Crimen et Delictum, VII (April 2014)
International Journal of Criminological and Investigative Sciences
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Innes: legami di sicurezza.
G. Sandri, A. Puccia, M. Bardi, L. Caracciolo, E. Corbari, M.L.
Gagliardi, A. Morselli, F. Savazzi, I. Squinzani, M. Tosi 1
(...) aut invisa Minervae
laxos in foribus suspendit aranea casses2.
Virgilio, Georgiche, Lib. IV, 246/247
Abstract (versione italiana)
All’interno del presente lavoro i ricercatori dell’Istituto
FDE - Istituto di Criminologia di Mantova propongno
un’approfondita analisi socio-criminologica del tema
dell’insicurezza dei cittadini e avanzano per la prima volta un
nuovo
paradigma
interpretativo
basandolo
sulla
sperimentazione del progetto europeo INNES | Intimate
Neighborhood Strengthening. Gli stessi, a seguito di una attenta
riflessione critica sulle motivazioni e sulle condizioni che
determinano e hanno determinato le paure e le insicurezze
della Società dell’ultimo ventennio (individuali e collettive),
enunciano, attraverso la “Teoria della Ragnatela Sociale”, le
basi per un nuovo modello interpretativo-applicativo basato
sulla solidarietà e sul rafforzamento dei legami di vicinato
quali forme efficaci per l’abbassamento dei livelli di percezione
di insicurezza.
Parole chiave:
chiave INNES, sicurezza, solidarietà, legami sociali,
Mantova.
Abstract (english version)
Inside this work researchers of the FDE Institute of
Criminology of Mantua propose an in-depth sociocriminological analysis about the issue of citizens insecurity
and advancing for the first time a new interpretative paradigm
based on findings coming from the European project INNES |
Intimate Neighborhood Strengthening. After a critical
1
Gruppo di ricerca EU-INNES, FDE Istituto di Criminologia di Mantova.
2
(...) il ragno inviso a Minerva che / sospende ampie tele dinanzi alle entrate.
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reflection on the motivations and conditions that determine
and have determined social fears and insecurities within the
last two decades (individual and collective), they propose a
new interpretative model named "Theory of Social Coweb".
That model focus on the solidarity and the strengthening of
intimate neighbourhood bonds as effective approaches in
lowering citizens insecurity perception levels.
Keywords: INNES, citizen security, solidariety, social bonds,
Mantova.
I miti della Sicurezza
Essere “sicuri”; vivere “sicuri”; sentirsi “sicuri”: queste
sono le questioni che da almeno vent’anni sembrano al centro
di ogni preoccupazione individuale e collettiva. Riuscire ad
attribuire al sostantivo “sicurezza” un significato univoco è
difficile: per ragioni che qui non approfondiamo, l’accezione
più immediata nella sensibilità pubblica è quella che
attribuisce alla sicurezza individuale e collettiva una
dimensione criminale. Essere, vivere e sentirsi “sicuri” rispetto
al rischio di subire reati, di divenire “vittime”: come fare a
ridurre la paura del crimine e l’insicurezza da crimine è il tema
che di seguito si proverà ad affrontare.
L’osservazione secondo cui la Società ha modificato i
propri sistemi di relazione tra i suoi attori (individuali, di
gruppo e universali) è un fatto: ciò che ha reso probabilmente
più sensibile questo cambiamento è determinato dalla natura
virtuale dei legami che oggi sembrano prevalere tra le persone.
La mancanza di sicurezza e la paura del crimine si
nutrono anch’esse di una dimensione virtuale: i reati esistono;
esistono gli autori e le vittime; la rappresentazione che però di
essi, i reati, molto spesso se ne offre o ci si fornisce da sé è
inesatta perché stimata sul piano della percezione.
La “percezione dell’insicurezza”, tema che da un
ventennio a questa parte si dibatte in modo trasversale, è la
testimonianza di questa dimensione virtuale, che rende
concreto ciò che è invece astratto.
Riuscire a stabilire o ristabilire una relazione di
corrispondenza tra insicurezza e fatti che la spiegano è quindi
la questione principale: come rendere le persone
individualmente o collettivamente più sicure, sarà quindi la
conseguenza di quell’analisi.
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L’idea di INNES3, la sua filosofia, consistono nel
cercare di attivare –o riattivare- meccanismi di azione sociale
partecipata, di solidarietà, che alcune condizioni storiche e
sociali contemporanee sembrerebbero aver bloccato. Se questa
ripartenza è importante in molti campi della Società, occorre
capire come renderla possibile rispetto a una parte
piccolissima del vivere sociale: quella parte che è interessata
dal crimine, reale o no. Riuscire a ridurre la percezione diffusa
secondo cui l’essere Tutti vittime potenziali significa divenirlo
certamente, potrebbe essere un risultato incoraggiante.
Rendere le persone, individualmente e collettivamente, attori
della sicurezza propria e altrui attraverso il sostegno solidale a
chi è realmente “vittima”, significa realizzare la sicurezza e
rendere i luoghi sicuri.
Il Progetto INNES concentra la sua attenzione rispetto
alle relazioni sociali (ritenute carenti) all’interno dei centri
urbani, con riguardo ai processi di vittimizzazione criminale,
che renderebbero attivi proprio tali processi di vittimizzazione.
Il caso di Mantova e quello di Pegognaga –in astrattosembrerebbero ben poca cosa rispetto ad altre realtà
geografiche. In Italia, non in Europa o nel Mondo, ci sono
centri urbani che, se non sono per definizione “metropoli”, lo
sono nei fatti. In teoria Mantova, Comune di poco più di 47.000
abitanti4, sembrerebbe possedere le caratteristiche di una
cittadina ideale: piccola, in cui la relazione interpersonale è
(sarebbe ancora) reale e possibile, e nella quale il problema
della “spersonalizzazione dei rapporti”, tipici della massa,
sembrerebbe esclusa. Pegognaga, Comune di poco più di 7.000
abitanti5 a maggior ragione, ancor di più. Eppure c’è qualcosa
di comune –un sottile filo scuro- che lega l’abitare ovunque: in
case isolate, in frazioni, in borghi, in cittadine, in città e/o
metropoli: la Paura. La Paura, questo sentimento
indescrivibile. Ognuno di noi “sa” che cos’è la “paura”;
ognuno di noi la racconta ma ognuno di noi ha paure diverse;
non è possibile che la paura sia qualcosa di unico; dunque: di
che cosa stiamo parlando? Di quale Paura? La Società
contemporanea si è dovuta armare di un simbolo condiviso
che facesse (che faccia) parlare tutti gli abitanti dei luoghi
3
INNES - Intimate Neighbourhood Strengthening. An Italian Crime Prevention Pilot
Programme for Small Cities. Ref. nr. HOME/2011/ISEC/AG/4000002580. Traduzione in
italiano: INNES - Rafforzamento dei legami di vicinato. Un programma pilota per la
prevenzione del crimine nelle piccole città. Progetto sostenuto dalla Comunità Europea
– DG Home Affairs.
4
5
Istat 2011, 15° censimento della popolazione e delle abitazioni.
Idem.
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umani una sola lingua. La Lingua della Sicurezza. Per quello
che interessa INNES, la “sicurezza criminale”.
Paura
La paura è un sentimento umano, è un’emozione
suscettibile di gradazioni –per cui ci si può sentire, ad esempio,
atterriti o terrorizzati- fino a trasformarsi in una condizione
quasi permanente che avvolge l’individuo in maniera totale.
Una condizione come questa, che non è necessariamente
patologica se la si osserva dal punto di vista sociale e non
clinico, la si definirà “insicurezza”. L’insicurezza può essere
quindi uno stato –permanente o - nel quale un individuo
indipendentemente dalla realtà dello stimolo o dalla sua
intensità, produce comportamenti reattivi caratterizzati dalla
paura nelle sue forme articolate: atterrimento e terrore come
poli estremi di un processo stimolo/risposta. Tali individui –
quando vivono una condizione di insicurezza permanentesono definiti patologici; l’insicurezza, cioè, è una malattia.
Si sostiene anche che una società “insicura” non si trova
in una condizione patologica (come lo è nel caso del singolo o
del gruppo), perché una società che per intero ha sviluppato
l’insicurezza come modalità di adattamento alle esperienze e
alle relazioni è una società che si è dotata di una forma di
organizzazione e razionalità alternative. E’ una società, cioè,
funzionale a se stessa. La paura è uno strumento attraverso il
quale la società si replica e si conserva. La paura e l’insicurezza
sono forme di pedagogia attraverso cui l’organizzazione
sociale decide di orientare i suoi destini e le sue scelte.
Ognuno di noi misura la paura sulla base della propria
esperienza diretta con i fatti; la paura, però, è anche il risultato
di un processo culturale e sociale che esclude -per certi versila necessità di "fare" determinate esperienze.
I fatti non sono puri e semplici accadimenti o inerti
oggetti materiali: i fatti sono anche queste cose ma sono,
soprattutto, che l’individuo stabilisce tra gli uni (accadimenti e
oggetti) e Sè; si tratta, perciò, di relazioni psicologiche,
culturali e sociali. La dimensione sociale della paura è forse la
più importante –rispetto a quelle psicologiche e culturaliperché se è vero che coinvolge il singolo individuo, è anche
vero che le relazioni basate sulla paura di cui si parla si
ritrovano nei gruppi e nella società intera. La paura,
considerata come processo, è complessa perché richiama a sè
un vasto insieme di significati; la paura tende a moltiplicarsi
pur conservando, quasi intatte, le sue strutture originarie.
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La paura è –in un certo senso- un’esperienza
contagiosa: agisce su un piano, o un livello, nel quale alcune
regole di comprensione della realtà smettono di essere
accettabili: la paura rifiuta un confronto con la sua spiegazione
e genera interpretazioni sempre più irrazionali.
Ogni epoca ha la propria cultura della paura. La paura,
individuale e/o collettiva, seleziona gli oggetti (e quindi le
relazioni) in grado di suscitare reazioni irrazionali. Un
tentativo –peraltro riuscito- di descrivere una storia sociale
della paura è stato esperito dalla studiosa Joanna Bourke
(2007): nel suo lavoro sono state narrate alcune paure che
hanno coinvolto e unito l’Occidente a partire dalla seconda
metà, circa, del XIX secolo.
E’ ovvio che in quell’antologia di paure descritte dalla
Bourke compaiono solo alcune di quelle che con fortune
diverse hanno attraversato una parte della società in una
determinata epoca: ciò che rileva è la funzione che la paura ha
rivestito rispetto alla struttura sociale.
Il XXI secolo è iniziato all’insegna della paura e
dell’insicurezza come modalità di adattamento universale e
globalizzato: insicurezza sociale –legata a precisi fenomeni che
hanno mutato le garanzie e le tutele sociali che buona parte
della popolazione dava per acquisite; insicurezza economica –
legata a mutamenti apparentemente orientati a produrre
l’impoverimento generale; insicurezza “criminale”, quella,
cioè, in cui gli individui si sentono minacciati dal crimine e che
–come conseguenza- ha prodotto precisi orientamenti in
ordine alle politiche repressive.
La paura del crimine e l’insicurezza che ne consegue
non sono un fenomeno recente; sono però un fenomeno
Moderno, che ha coinciso –grosso modo- con l’invenzione
degli Stati nazionali e con la nascita di apparati statali vicini
alla concezione contemporanea. In ogni epoca si sono
verificati, e si verificano oggi, fatti "criminali": essi hanno
determinato e determinano l'insorgere di precise paure.
Oggi la paura e l'insicurezza legate alla criminalità
hanno una soglia di attenzione scollegate alla gravità e al
numero di fatti che, in astratto, dovrebbero giustificare gli
allarmi cui siamo sottoposti. Sostenere che i reati non sono
compiuti, o che ne sono compiuti sempre meno, è affermare
una cosa che non ha alcuna possibilità di rassicurare nessuno e
questo è il punto del problema. La criminalità complessiva, in
Italia, negli ultimi 50 anni, è in calo: nonostante questo
viviamo esistenze impaurite, come se fossimo assediati da
ladri e assassini. Si può osservare che alcune tipologie di reato
hanno un andamento irregolare: diminuiscono, crescono, si
stabilizzano e poi riprendono il proprio moto altalenante.
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Descrivere la società italiana come una realtà nella
quale il rischio di essere vittimizzati con probabilità sensibile è
effettivamente certo, significa rappresentare una società che
non è la nostra. L’insicurezza che attraversa il nostro paese,
dalle metropoli, alle città, ai piccoli comuni, è vissuta nello
stesso modo preoccupato: indipendentemente dai dati, quindi
dai fatti, quindi dalle relazioni che gli individui e la società nel
suo insieme hanno con tali evidenze. La nostra società non è
assediata dal crimine: fortunatamente non lo è; eppure essa
riesce a trovare la propria ragione di coesione soltanto rispetto
alla paura: questo è il problema. Intendiamoci: non è un
fenomeno nuovo; sulla paura si sono costruiti poteri molto
rigidi, storicamente inverati; ma è un modo probabilmente
sbagliato, infruttuoso e poco utile, per produrre relazioni e
legami. Tentare la strada della conoscenza (intellettuale dei
fatti e della realtà) e dell'incontro (sociale, tra le persone),
è/sono un'alternativa praticabile. Questo non significa che si
risolverà il problema del crimine e della paura; più
semplicemente significa che vale la pena tentare, per capire se
qualcosa cambia e cambierà.
Senza Paura no, con meno Paura sì
Secondo gli studiosi dell’Istituto di Criminologia di
Mantova, rafforzare i legami di vicinato significa individuare
quelle azioni a carattere sociale che possano rispondere ai
bisogni individuali e collettivi, soddisfacendoli in tutto o in
parte, e che riescano ad esprimere –contestualmente- concreta
solidarietà.
Gli attori di questo processo sono i cittadini (singoli o
nelle proprie aggregazioni) e le istituzioni; i destinatari sono i
cittadini.
La solidarietà è un sentimento (un atteggiamento
psicologico) che riconoscendo i bisogni e le difficoltà di Altrida-Sé stimola il sostegno e l’aiuto come se si trattasse di Sé. La
Solidarietà, in astratto, è un riconoscimento di uguale
appartenenza a una medesima condizione: la solidarietà
innesca, nel soggetto che la vive, comportamenti attivi di
compartecipazione e azioni concreti.
I legami sociali, deboli o forti che siano, sono la
nervatura necessaria per rendere possibile la convivenza.
L’assenza di legami sociali trasforma la convivenza in una
relazione fragile, nella quale gli individui e i gruppi sono
scollegati tra loro, tenuti insieme da meccanismi di interesse e
di potere contrastanti tra loro; l’atomizzazione degli individui
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e dei gruppi, che costituiscono solo formalmente una Società,
si fonda sul dominio e non sulla distribuzione orizzontale della
responsabilità. La Paura nella società contemporanea sembra
essere diventata il collante universale. Per provare a
contrastare la Paura è necessario investire e tentare di
rafforzare qualcosa d’altro.
Il concetto di “rafforzamento” presuppone l’esistenza
di una struttura, di un fondamento, che si dà come esistente; se
tale struttura o fondamento è assente, allora occorre
svilupparla. L’idea centrale è che nei legami sociali occorra
individuare il loro fondamento solidale (quando c’è) oppure
svilupparlo (quando manca) e quindi rafforzarlo in modo che
diventi strutturale.
Una società solidale è una società aperta: è una società
nella quale –conosciute e accettate le differenze che
caratterizzano tutto ciò che è plurale- riesce a individuare i
legami fondamentali che rendono gli individui simili. Da
questa somiglianza rispetto ai bisogni e alle necessità, al
riconoscimento del diverso, è possibile partire per tentare di
immaginare azioni concrete rafforzative.
Il Progetto INNES ha inteso ragionare in termini di
solidarietà rispetto alla sicurezza criminale nell’ambito
ristretto delle relazioni di “Vicinato”. La “Solidarietà di
Vicinato”, da questo punto di vista, è l’applicazione in scala
ridotta del principio più generale di Solidarietà cui ci si è
ispirati.
Il termine “Solidarietà” è molto evocativo: sembra
tuttavia aver assunto, per ragioni non troppo misteriose
determinate dalla sua evoluzione, un contenuto piuttosto
passivo. La solidarietà sembrerebbe consistere oggi in un
sentimento e un corrispondente atteggiamento pratico, di
condivisione ideale quasi contemplativa. La solidarietà, al
contrario, dovrebbe possedere un carattere dinamico,
dovrebbe tradursi in un “agire”, un “fare” qualcosa che non
lasci spazio alla compiaciuta contemplazione (c’è un povero,
uno sfortunato, una vittima: me ne dispiaccio amaramente, ne
soffro, gli testimonio la mia solidarietà –ti sono solidale!) e
tutto finisce lì.
La solidarietà è tale solo se si esprime attraverso
comportamenti concreti: non significa che ve ne siano di
“giusti” e “sbagliati” (è giusto fare l’elemosina al povero per
manifestare la propria solidarietà?); significa solo che
attraverso un processo sociale condiviso, fatto di azioni che
cambiano le condizioni attuali, si cerca di rimuovere o
impedire la causa che ha determinato quel problema sociale.
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Il Progetto INNES ha sviluppato una posizione teorica
critica rispetto al c.d. “Controllo di Vicinato”6 e alle sue
pratiche, analizzandole in un precedente lavoro (Bardi 2013)
nel quale sono stati evidenziati alcuni limiti strutturali. Di
seguito, e brevemente, se ne segnala uno, teorico, che pur nella
sua astrattezza ne sottolinea un aspetto ritenuto rilevante. Nel
concetto di “controllo” sono contenuti significati importanti ed
evocativi: taluni sono positivi, quando riferiti e/o riferibili alle
tecniche di prevenzione di problemi ben più gravi, ma che
rimandano però ad un’idea statica di legame sociale; il
controllo “fissa” una determinata situazione, sottraendole –in
un certo senso- il carattere dinamico che hanno sempre (latenti
o in atto) le azioni e le relazioni sociali. Secondo INNES, al
contrario, è importante potenziare l’aspetto trasformativo e
dinamico delle relazioni e delle azioni sociali, rendendole
concrete.
Molti discorsi –e molte politiche- spingono verso due
opposte rappresentazioni retoriche della sicurezza rispetto al
rischio di vittimizzazione nei centri abitati: rassicurare
spiegando perché ci si deve sentire sicuri (con il conforto della
statistica: e allora essere “vittime” diventa questione di Caso o
Probabilità); oppure rassicurare perché gli autori di reati
saranno consegnati nelle mani della Giustizia attraverso una
repressione sempre più militare e meno poliziesca. Spiegare
perché si è sicuri è importante. Spiegare come si può essere
sicuri lo è altrettanto.
Possiamo blindare le nostre case fin che vogliamo: un
ladro probabilmente entrerà comunque. Non avremo cioè
eliminato la Paura asserragliandoci nei bunker se la Paura la
porteremo dentro noi stessi. Poter contare sul sostegno e
l’aiuto concreto che una Comunità, fuori, può assicurarci se
saremo, disgraziatamente, noi, vittime, può rendere le nostre
esistenze meno sole. Sapere che un reato contro il patrimonio,
per esempio, non è solo questione che riguardi l’autore e la sua
vittima ma un comportamento che interessa anche altre
persone, non direttamente offese dal fatto ma che in ragione di
quel fatto faranno la loro parte per renderlo alla vittima meno
drammatico e pesante, è una consapevolezza che crea
solidarietà e crea legami, e con i legami, relazioni.
Secondo la prospettiva INNES, la solidarietà di vicinato
non è la riedizione del vecchio vicinato impiccione del cortile
6
Il controllo di vicinato è l’espressione finale delle nuove politiche tese allo sviluppo
della partecipazione; nasce negli anni ‘60, in America, e si caratterizza come un
movimento che promuove l’attività dei cittadini nella prevenzione della criminalità e di
controllo del crimine (Titus, 1984). Praticha che prende origine dal programma
anglossassone denominato “Neighborhood Watch” (Bennet et Al., 2008).
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che scosta la tenda quando passa un estraneo e lo fissa o
addirittura lo segnala alla polizia: è, invece, l’idea secondo cui
riconoscendosi negli altri e sapendo di poter fare qualcosa per
loro, si può contare su una reciprocità condivisa che agisce nel
momento del bisogno.
Il progetto INNES ha promosso incontri con la
cittadinanza nei quali ha discusso questa prospettiva,
invitando le persone a guardare in faccia le paure, a sottrarre la
dimensione percettiva per coglierne quella reale, e a pensare
cosa e come fare, concretamente, nel momento del bisogno: a
sviluppare azioni di sostegno per realizzare legami tra persone
in carne e ossa.
Oltre la Rete: il Mito di Aracne e il modello della
Ragnatela Sociale
Osservare la società nelle sue formazioni principali
(individuo e gruppi) significa guardare la natura dei legami
che la costituiscono: i legami tra gli individui si sono allentati
ma non significa che siano scomparsi o non siano più necessari
o importanti; hanno trasformato la loro consistenza. Rinsaldare
i legami rispetto alla loro solidità relazionale, fondandoli
sull’incontro reale tra le persone, può contribuire a produrre
sicurezza.
Il mito di Aracne racconta di una sfida che ha visto
soccombere una donna rispetto ad una Dea. Nel mito classico,
la donna di nome Aracne, pur avendo sconfitto nell’arte della
tessitura la divina Atena, per averne ferito l’orgoglio a causa
della sua tracotanza, sarà da questa trasformata in un ragno
che tesserà per l’eternità.
Ognuno di noi, individualmente, è molte cose: sia nella
relazione con Sé sia nella relazione con gli altri. Noi siamo
“molti”: siamo Bene e/o Male; siamo Giusti e/o Sbagliati;
siamo Buoni e/o Cattivi, eccetera, e viviamo costantemente
una condizione di contrapposizione rispetto a giudizi che
esprimiamo su noi stessi o che attribuiamo a altri o che altri
riconoscono a noi. I giudizi (positivi, negativi, indifferenti)
determinano gli spazi di relazione sociale oltre che i confini
della nostra identità psicologica. Gli individui non sono mai
esclusivamente
un
polo
della
contrapposizione
“positivo/negativo”. I discorsi intorno alla sicurezza, per
ragioni sociali evidenti e chiare, selezionano sempre quale
estremo osservare. L’attenzione sugli autori di reato e sulla
loro pericolosità è sempre stata maggiore e orientata
principalmente alla neutralizzazione di tratti, condizioni,
impulsi o patologie che determinano i loro comportamenti;
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tale attenzione è solo una parte della soluzione del problema
sicurezza: la sicurezza, nella prospettiva che qui importa, ha
una dimensione sociale e della società fanno parte tutti gli
attori, singoli o associati.
L’autore del reato (o della violenza), la vittima del reato
(o della violenza) e la società spettatrice (del reato o della
violenza) sono interdipendenti, sono i protagonisti di un
processo che è certamente complesso ma dal quale e nel quale
nessuno può essere messo da parte o può estraniarsi.
Da oltre vent’anni alcuni problemi sociali sono
osservati secondo la prospettiva della “Rete”: fare rete significa
creare alcune condizioni di legame istituzionale formale e
informale attraverso le quali soggetti deboli possano ottenere
sostegno e ricevere ciò di cui hanno bisogno per recuperare
autonomia individuale e sociale. In questa prospettiva i ruoli
pubblici e/o privati dei singoli attori contribuirebbero a
raggiungere lo scopo: questo vale e varrebbe anche rispetto,
per esempio, alla vittima di un reato. Creare una rete
significherebbe con riguardo alla sicurezza criminale,
sviluppare sostanzialmente tre processi: quello di sostegno alla
vittima; quello di prevenzione, intercettamento e controllo
dell’autore, e quello di legame e coesione sociale generale. In
astratto, l’idea della rete è congeniale al processo: è funzionale
all’obbiettivo. Secondo la prospettiva INNES, tuttavia, essa
presenta un limite potenziale che non è trascurabile e che
rischia di annullare il processo virtuoso cui essa aspira.
Immaginare una rete vuol dire rappresentarsi una figura come
quella sotto:
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La caratteristica di tale rete è di possedere filamenti
annodati che permettono i processi di cui si è scritto ma che,
proprio in ragione di quei nodi che la costruiscono, può
rivelarsi inefficace. Un nodo costituisce, nella rete, un luogo di
passaggio: può essere un luogo formale istituzionale o
informale, nel quale una persona giunge per ottenere sostegno
o essere indirizzata altrove; dal nodo della rete, in effetti, come
nella figura che segue, si dipartono altri fili, altre opportunità.
Un processo sociale nel quale esistono nodi è
potenzialmente un percorso ad ostacoli: il nodo stringe e non è
detto che da quel nodo si possa poi passare. La caratteristica
della rete è quella di possedere nodi e se anche essi sono
necessari alla sua struttura e alla sua funzione (che –
ribadiamo- è orientata a sviluppare i processi di
sostegno/tutela;
prevenzione/intercettamento/controllo;
coesione sociale), può determinare un vero e proprio blocco; se
questo accade, è ovvio, il processo è vano. Si sono spese
risorse, energie, tempo inutilmente: la rete è debole.
Nell’immagine sotto, si chiariscono graficamente i rischi: la
persona che dal punto “A” deve raggiungere il punto “B”,
incontrando i nodi, potrebbe essere sviata o addirittura non
raggiungerlo mai.
A
B
Il gruppo di studio INNES ha cercato di capire se
esistono alternative alla rete, che ne conservino le potenzialità
virtuose sottraendone però quelle plausibilmente negative,
rischiose, di inefficacia. L’idea è maturata attraverso un
confronto che ha cercato di individuare in fatti reali, in cose
che esistono già, elementi di ispirazione.
Il punto di partenza è stato il riferimento ad un mondo
apparentemente lontanissimo dal problema ma che invece ha
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offerto una chiave interpretativa interessante per capire la
questione.
Quando Werner Heisenberg ha concepito le sue
equazioni fondamentali sulla meccanica quantistica, si
racconta che fosse alle prese con il problema di riuscire a
capire dove fosse (dove si trovasse) l’elettrone in un nucleo
atomico in un dato momento dell’osservazione. La meccanica
quantistica ha sovvertito completamente l’idea di Realtà e le
vicende umane e personali dei protagonisti di quella stagione
fondamentale per l’Uomo, lontane un secolo o quasi, ne sono
la testimonianza chiara.
Heisenberg si trovava a Copenhagen nel 1925, insieme
ad altri fisici e tutti discutevano di quanti e atomi con Niels
Bohr. Rientrando a casa una sera, passando per un parco buio,
nel quale solo pochi lampioni proiettavano il loro fascio di luce
sul terreno, si era accorto che proprio all’interno di quei coni di
luce in un mondo buio, compariva ogni tanto, l’ombra di un
passante che come lui attraversava quel parco (Rovelli, 2014).
Dall’episodio Heisenberg ricava le sue intuizioni, con le
conseguenze note.
L’episodio è importante, per INNES, perché
rappresenta una metafora fondamentale per arrivare a capire
dov’è la debolezza della rete. Le ombre che passano sotto i coni
di luce rappresentano gli attori sociali: sono le vittime, gli
autori, la società nel suo insieme di cui ci accorgiamo sempre
solo quando sono all’interno di quel cono di luce,
metaforicamente inteso quale spazio di attenzione istituzionale
e collettiva. Fuori del dal cono di luce, dove sono gli attori? È
questo il problema centrale: riuscire a concepire un sistema nel
quale ognuno possa, in un determinato momento, poter
contare su una rete di sensibilità sociali per cui la solitudine è
esclusa; questo sistema riuscirebbe ad assolvere, per esempio,
funzioni di prevenzione (anticipando la vittimizzazione e/o la
strutturazione dell’antisocialità e/o la disgregazione sociale);
funzioni di controllo e/o intercettamento (quando la
vittimizzazione è avvenuta e/o l’antisocialità si è manifestata);
funzione di aggregazione e coesione dei legami sociali,
rendendoli solidi ed elastici allo stesso tempo. Questo sistema
dovrebbe poter contare sull’assenza di nodi, perché i nodi a
volte stringono troppo, impediscono il passaggio, rendono
impossibile il processo. I nodi sarebbero i coni di luce proiettati
dai lampioni nel buio del parco di cui racconta Heisenberg, che
non ci spiegano il prima e non ci spiegano il dopo rispetto al
passaggio dell’ombra; non dicono, cioè, dove sono le persone
durante i processi sociali, perché di esse ci si accorge solo
quando sono appunto sotto i riflettori.
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La questione, che per INNES è dirimente, è quella di
capire se è rintracciabile un modello cui riferirsi, per cercare di
tradurre l’idea di una struttura sociale che superi la rete: che
superi quindi il rischio che il nodo diventi l’ostacolo, e che
invece riesca a collegare, sempre, le persone -gli attori- nei
processi sociali.
L’idea, o il modello, cui INNES fa riferimento si ispira
alla ragnatela che tessono i ragni.
Le ragnatele sono strutture formidabili: non solo per la
capacità di sopportare carichi proporzionalmente superiori a
quella che è la loro portata teorica. Rispetto alla Paura e/o
all’Insicurezza, è chiaro quale potrebbe essere il potenziale
della ragnatela: distribuire il carico di esse significa rendere
“paure” e “insicurezze” meno aggressive, violente,
insormontabili per il singolo individuo, che le potrà distribuire
sulla collettività. Le ragnatele sono anche strutture nelle quali i
fili si intrecciano tra loro senza avere alcuna necessità di nodo,
creando geometrie perfette. Creare legami e relazioni fondate
su un modello a ragnatela, quindi, dove i fili sono gli individui
(ma sono anche la solidarietà che può tornare a caratterizzarli e
sono infine la conoscenza che si ha dell’altro, delle cose e della
realtà), significa raggiungere lo scopo: collegamento e
relazione diretti.
Al centro di questo modello, quindi, ci sarebbero
sempre le persone: e le persone, rispetto al tessuto della
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ragnatela sociale, sarebbero i ragni. In natura, i ragni,
attraverso la sensibilità che li caratterizza, percepiscono i
cambiamenti che colpiscono la tela se un insetto in essa
incappa: e non occorre che siano al centro della struttura o
siano fisicamente vicini alla preda. I filamenti della tela, non
avendo nodi, trasmettono il segnale: non c’è il rischio, cioè, che
qualcosa ostacoli il passaggio dell’informazione. Così la
ragnatela sociale percepisce e trasmette alla sua comunità i
segnali di richiesta e risposta d’aiuto.
Se una Rete si rompe, per aggiustarla occorre ri-creare
un nodo che unisca le parti nuovamente: una ragnatela invece
è ricucita dal ragno, ossia dall’individuo. Il ragno, quindi,
ricuce legami e lo fa ripartendo dalla rottura, senza che i fili
debbano essere riannodati.
Nel presentare e nel discutere il modello sono state
avanzate alcune perplessità. L’idea della Ragnatela (sociale)
evoca il significato di “trappola”: è uno strumento attraverso il
quale il ragno cattura, per annientarla e poi cibarsene, la
propria preda. La questione, se posta in questo modo, rischia
di non essere compresa rispetto all’importanza del suo
significato. Anche le reti, le comuni reti da pesca,
imprigionano e catturano: pure in questo caso le obiezioni
potrebbero avere la stessa consistenza ma di “Reti” si continua
a parlare. Altra perplessità su cui si è inteso fornire un
ulteriore elemento di chiarezza è quella per la quale
l’individuo/attore sociale, paragonato ad un ragno, potrebbe
essere interpretato come sostanzialmente individualista e in
una società individualista si fatica a capire dove è possibile
rintracciare i legami solidaristici, che sarebbero quelli che
fonderebbero –insieme ad altro- la struttura della tela. Anche
tra i ragni “individualisti”, però, esistono eccezioni: ve ne è
una specie, chiaramente sociale, nella quale migliaia di
individui collaborano a costruire, insieme, tele enormi, che
serviranno poi a tutta la loro comunità7.
I fili della tela siamo noi, siamo tutti: tutti abbiamo un
legame con l’altro; ognuno di noi di Sé e dell’Altro può avere,
dare e ricevere, giudizi e opinioni; ma le relazioni sono anche
altro e sono una necessità.
La ragnatela sociale è un modello pro-attivo –basato sul
concetto di solidarietà di vicinato- che tenta di interpretare i
comportamenti sociali delle comunità urbane e che restituisce
ai suoi attori (singoli, aggregati) il diritto/dovere di
7
Si tratta della Specie Anelosimus Eximius.
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autodeterminarsi attraverso il coinvolgimento delle comunità
in cui essi vivono.
Nel Mito di Aracne, una donna mortale è stata
condannata a tessere per l’eternità perché, lo si ricordava
sopra, a causa della sua Hybris, aveva sfidato prima una Dea e
poi l’aveva oltraggiata.
Se il nostro destino è quello di tessere, cerchiamo di
farlo pensando che ognuno dei punti di questa Ragnatela sia
l’Altro. L’Altro, per noi, deve essere quello che noi dobbiamo
essere per lui: Sicurezza.
Bibliografia
BARDI M., Riflessioni di criminologia generale circa alcuni aspetti
del problema della insicurezza contemporanea, in Crimen et
Delictum. International Journal of Criminological and
Investigative Sciences, VI (November 2013), pp. 76-112.
BENNETT T, HOLLOWAY K, FARRINGTON D., The effectiveness of
neighborhood watch, Campbell Systematic Reviews 2008:18
BOURKE J., Paura. Una Storia Culturale, Bari 2007.
ROVELLI C., La Realtà non è come ci appare, Milano 2014.