La Teoria della Ragnatela Sociale. Relazioni umane e solidarietà.
A. Puccia1, G. Sandri2, M. Tosi3, E. Corbari4
<<L'insicurezza della società può diventare patologica. Va
combattuta investendo sulla qualità delle relazioni umane.>>
Abstract (versione italiana)
All’interno del presente lavoro il gruppo di studio composto dagli operatori del Centro di
Supporto alle Vittime di Reato per la provincia di Mantova e dai ricercatori di FDE - Istituto di
Criminologia di Mantova propongono un’approfondita analisi socio-criminologica del tema
dell’insicurezza dei cittadini e avanzano per la prima volta un nuovo paradigma interpretativo
dell’insicurezza percepita. Gli stessi, a seguito di una attenta riflessione critica sulle motivazioni e
sulle condizioni che determinano e hanno determinato le paure e le insicurezze della Società
dell’ultimo ventennio (individuali e collettive), enunciano, attraverso la “Teoria della Ragnatela
Sociale”, le basi per un nuovo modello interpretativo-applicativo basato sulla solidarietà e sul
rafforzamento dei legami di vicinato quali forme efficaci per l’abbassamento dei livelli di
percezione di insicurezza, nonché per invertire la deriva dell’individualismo che ci sta portando ad
essere più vulnerabili e quindi più vittime.
Parole chiave: vittime, sicurezza, solidarietà, legami sociali, ragnatela sociale.
Abstract (english version)
In this work practitioners of the Victims Support Centre of LIBRA Onlus Mantova and
researchers of the FDE Institute of Criminology of Mantua propose an in-depth sociocriminological analysis about the issue of citizens insecurity and advance for the first time a new
interpretative paradigm about citizen insecurity perception. After a critical reflection on the
motivations and conditions that determine and have determined (individual and collective) social
fears and insecurities in the last two decades, they propose a new interpretative model named
"Theory of Social Cobweb". This model focuses on solidarity and on the strengthening of intimate
neighbourhood bonds as effective approaches in lowering citizens' insecurity perception levels,
and to deal with the individualistic drift who is leading us to be more vulnerable and so more
victims.
Keywords: victims, citizen security, solidarity, social bonds, social cobweb.
1 Presidente Associazione LIBRA Onlus di Mantova.
2 Giurista e Criminologo. Professore di Sociologia della Devianza e Criminologia, FDE Istituto di Criminologia di Mantova.
3 Giurista e Criminologa. Ricercatrice in Criminologia, FDE Istituto di Criminologia di Mantova.
4 Responsabile del Centro di Supporto alle Vittime di Reato per la provincia di Mantova, Associazione LIBRA Onlus di Mantova.
Gli stereotipi della sicurezza individuale e collettiva
Essere “sicuri”; vivere “sicuri”; sentirsi “sicuri”: queste sono le questioni che da almeno
vent’anni sembrano al centro di ogni preoccupazione individuale e collettiva. Riuscire ad attribuire
al sostantivo “sicurezza” un significato univoco è difficile: per ragioni che qui non approfondiamo,
l’accezione più immediata nella sensibilità pubblica è quella che attribuisce alla sicurezza
individuale e collettiva una dimensione criminale. Essere, vivere e sentirsi “sicuri” rispetto al
rischio di subire reati, di divenire “vittime”: come fare a ridurre la paura del crimine e l’insicurezza
da crimine è il tema che di seguito si proverà ad affrontare.
L’osservazione secondo cui la Società ha modificato i propri sistemi di relazione tra i suoi
attori (individuali, di gruppo e universali) è un fatto: ciò che ha reso probabilmente più sensibile
questo cambiamento è determinato dalla natura virtuale dei legami che oggi sembrano prevalere
tra le persone.
La mancanza di sicurezza e la paura del crimine si nutrono anch’esse di una dimensione
virtuale: i reati esistono; esistono gli autori e le vittime; la rappresentazione che però di essi, i reati,
molto spesso se ne offre o ci si fornisce da sé è inesatta perché stimata sul piano della percezione.
La “percezione dell’insicurezza”, tema che da un ventennio a questa parte si dibatte in
modo trasversale, è la testimonianza di questa dimensione virtuale, che rende concreto ciò che è
invece astratto.
Riuscire a stabilire o ristabilire una relazione di corrispondenza tra insicurezza e fatti che la
spiegano è quindi la questione principale: come rendere le persone individualmente o
collettivamente più sicure, sarà quindi la conseguenza di quell’analisi.
L’idea degli autori, la loro filosofia, consiste nel cercare di attivare –o riattivare- meccanismi
di azione sociale partecipata, di solidarietà, che alcune condizioni storiche e sociali contemporanee
sembrerebbero aver bloccato, in primis l’effetto della deriva individualista che spesso pervade i
nostri comportamenti. Se questa ripartenza è importante in molti campi della Società, occorre
capire come renderla possibile rispetto a una parte piccolissima del vivere sociale: quella parte che
è interessata dal crimine, reale o no. Riuscire a ridurre la percezione diffusa secondo cui l’essere
Tutti vittime potenziali significa divenirlo certamente, potrebbe essere un risultato incoraggiante.
Rendere le persone, individualmente e collettivamente, attori della sicurezza propria e altrui
attraverso il sostegno solidale a chi è realmente “vittima”, significa realizzare la sicurezza e
rendere i luoghi sicuri.
Tutto il lavoro e la riflessione critica promossa dal gruppo LIBRA-FDE durante l’ultimo
triennio (2011-2014), concentra la sua attenzione rispetto alle relazioni sociali (ritenute carenti)
all’interno delle nostre comunità, con riguardo ai processi di vittimizzazione criminale.
Il contesto socio-economico e territoriale in cui ci si muove è quello di Mantova che –in
astratto- sembrerebbe ben poca cosa rispetto ad altre realtà geografiche. In Italia, non in Europa o
nel Mondo, ci sono aree urbane che, se non sono per definizione “metropoli”, lo sono nei fatti. In
teoria Mantova, Comune di poco più di 47.000 abitanti5, sembrerebbe possedere le caratteristiche
di una cittadina ideale: piccola, in cui la relazione interpersonale è (sarebbe ancora) reale e
possibile, e nella quale il problema della “spersonalizzazione dei rapporti”, tipici della massa,
sembrerebbe esclusa. Eppure c’è qualcosa che accomuna contesti e territori così diversi –un sottile
filo scuro- che lega l’abitare ovunque: in case isolate, in frazioni, in borghi, in cittadine, in città e/o
metropoli: la Paura. La Paura, questo sentimento indescrivibile. Ognuno di noi “sa” che cos’è la
“paura”; ognuno di noi la racconta ma ognuno di noi ha paure diverse; non è possibile che la
paura sia qualcosa di unico; dunque: di che cosa stiamo parlando? Di quale Paura? La Società
contemporanea si è dovuta armare di un simbolo condiviso che facesse (che faccia) parlare tutti gli
abitanti dei luoghi umani una sola lingua. La Lingua della Sicurezza. Per quello che interessa
coloro che scrivono, la “sicurezza criminale”.
5 Istat 2011, 15° censimento della popolazione e delle abitazioni.
Paure: la Società vittima
La paura è un sentimento umano, è un’emozione suscettibile di gradazioni –per cui ci si
può sentire, ad esempio, atterriti o terrorizzati- fino a trasformarsi in una condizione quasi
permanente che avvolge l’individuo in maniera totale. Una condizione come questa, che non è
necessariamente patologica se la si osserva dal punto di vista sociale e non clinico, la si definirà
“insicurezza”. L’insicurezza può essere quindi uno stato –permanente o- nel quale un individuo
indipendentemente dalla realtà dello stimolo o dalla sua intensità, produce comportamenti reattivi
caratterizzati dalla paura nelle sue forme articolate: atterrimento e terrore come poli estremi di un
processo stimolo/risposta. Tali individui –quando vivono una condizione di insicurezza
permanente- sono definiti patologici; l’insicurezza, cioè, è una malattia.6
Si sostiene anche che una società “insicura” non si trova in una condizione patologica
(come lo è nel caso del singolo o del gruppo), perché una società che per intero ha sviluppato
l’insicurezza come modalità di adattamento alle esperienze e alle relazioni è una società che si è
dotata di una forma di organizzazione e razionalità alternative. E’ una società, cioè, funzionale a se
stessa. La paura è uno strumento attraverso il quale la società si replica e si conserva. La paura e
l’insicurezza sono forme di pedagogia attraverso cui l’organizzazione sociale decide di orientare i
suoi destini e le sue scelte.
Ognuno di noi misura la paura sulla base della propria esperienza diretta con i fatti; la
paura, però, è anche il risultato di un processo culturale e sociale che esclude -per certi versi- la
necessità di "fare" determinate esperienze.
I fatti non sono puri e semplici accadimenti o inerti oggetti materiali: i fatti sono anche
queste cose ma sono, soprattutto, relazioni che l’individuo stabilisce tra gli uni (accadimenti e
oggetti) e Sè; si tratta, perciò, di relazioni psicologiche, culturali e sociali. La dimensione sociale
della paura è forse la più importante –rispetto a quelle psicologiche e culturali- perché se è vero
che coinvolge il singolo individuo, è anche vero che le relazioni basate sulla paura di cui si parla si
ritrovano nei gruppi e nella società intera. La paura, considerata come processo, è complessa
perché richiama a sè un vasto insieme di significati; la paura tende a moltiplicarsi pur
conservando, quasi intatte, le sue strutture originarie.
La paura è –in un certo senso- un’esperienza contagiosa: agisce su un piano, o un livello,
nel quale alcune regole di comprensione della realtà smettono di essere accettabili: la paura rifiuta
un confronto con la sua spiegazione e genera interpretazioni sempre più irrazionali.
Ogni epoca ha la propria cultura della paura. La paura, individuale e/o collettiva, seleziona
gli oggetti (e quindi le relazioni) in grado di suscitare reazioni irrazionali. Un tentativo –peraltro
riuscito- di descrivere una storia sociale della paura è stato esperito dalla studiosa Joanna Bourke
(2007): nel suo lavoro sono state narrate alcune paure che hanno coinvolto e unito l’Occidente a
partire dalla seconda metà, circa, del XIX secolo.
E’ ovvio che in quell’antologia di paure descritte dalla Bourke compaiono solo alcune di
quelle che con fortune diverse hanno attraversato una parte della società in una determinata epoca:
ciò che rileva è la funzione che la paura ha rivestito rispetto alla struttura sociale.
Il XXI secolo è iniziato all’insegna della paura e dell’insicurezza come modalità di
adattamento universale e globalizzato: insicurezza sociale –legata a precisi fenomeni che hanno
mutato le garanzie e le tutele sociali che buona parte della popolazione dava per acquisite;
insicurezza economica –legata a mutamenti apparentemente orientati a produrre l’impoverimento
generale; insicurezza “criminale”, quella, cioè, in cui gli individui si sentono minacciati dal crimine
e che –come conseguenza- ha prodotto precisi orientamenti in ordine alle politiche repressive.
La paura del crimine e l’insicurezza che ne consegue non sono un fenomeno recente; sono
però un fenomeno Moderno, che ha coinciso –grosso modo- con l’invenzione degli Stati nazionali e
6 Trattasi di considerazioni ricavate dal quotidiano lavoro promosso a favore delle vittime di reato presso il CSVR di LIBRA (Centro di
Supporto alle Vittime di Reato per la provincia di Mantova), nonché all’interno delle sessioni comunitarie denominate “Quartieri Senza
Paura”, promosse presso numerosi quartieri della città in virtù del progetto INNES (Intimate Neighbourhood Strengthening).
con la nascita di apparati statali vicini alla concezione contemporanea. In ogni epoca si sono
verificati, e si verificano oggi, fatti "criminali": essi hanno determinato e determinano l'insorgere di
precise paure. Altro importante lavoro a supporto delle considerazioni sopra esposte lo si può
rintracciare nella recente letteratura di Zygmunt Bauman (2014): il sociologo presenta una
carrellata di fatti contemporanei che hanno fortemente condizionato non solo l’intera collettività,
ma addirittura hanno orientato le policy dei singoli Stati e internazionali dell’ultimo ventennio.
Oggi la paura e l'insicurezza legate alla criminalità hanno una soglia di attenzione
scollegate alla gravità e al numero di fatti che, in astratto, dovrebbero giustificare gli allarmi cui
siamo sottoposti. Sostenere che i reati non sono compiuti, o che ne sono compiuti sempre meno, è
affermare una cosa che non ha alcuna possibilità di rassicurare nessuno e questo è il punto del
problema. La criminalità complessiva, in Italia, negli ultimi 50 anni, è in calo: nonostante questo
viviamo esistenze impaurite, come se fossimo assediati da ladri e assassini. Si può osservare che
alcune tipologie di reato hanno un andamento irregolare: diminuiscono, crescono, si stabilizzano e
poi riprendono il proprio moto altalenante.
Descrivere la società italiana come una realtà nella quale il rischio di essere vittimizzati con
probabilità sensibile è effettivamente certo, significa rappresentare una società che non è la nostra.
A tal fine non si può non citare l’intuizione e il conseguente lavoro di speculazione promosso da
Urlich Beck (2000), il quale ha teorizzato la “Società del rischio”.
L’insicurezza che attraversa il nostro paese, dalle metropoli, alle città, ai piccoli comuni, è
vissuta nello stesso modo preoccupato: indipendentemente dai dati, quindi dai fatti, quindi dalle
relazioni che gli individui e la società nel suo insieme hanno con tali evidenze. La nostra società
non è assediata dal crimine: fortunatamente non lo è; eppure essa riesce a trovare la propria
ragione di coesione soltanto rispetto alla paura: questo è il problema. Intendiamoci: non è un
fenomeno nuovo; sulla paura si sono costruiti poteri molto rigidi, storicamente inverati; ma è un
modo probabilmente sbagliato, infruttuoso e poco utile, per produrre relazioni e legami. Tentare la
strada della conoscenza (intellettuale dei fatti e della realtà) e dell'incontro (sociale, tra le persone),
è/sono un'alternativa praticabile. Questo non significa che si risolverà il problema del crimine e
della paura; più semplicemente significa che vale la pena tentare, per capire se qualcosa cambia e
cambierà.
Senza Paura no, con meno Paura sì
Secondo gli autori di questo articolo, rafforzare i legami di vicinato significa individuare
quelle azioni a carattere sociale che possano rispondere ai bisogni individuali e collettivi,
soddisfacendoli in tutto o in parte, e che riescano ad esprimere –contestualmente- concreta
solidarietà. Si tratta pertanto di un approccio pragmatico, basato sul supporto tra le persone (peersupport-circle), partendo dall’assunto che la quotidiana interazione e relazione tra di esse possa
fungere da sostegno a chi si trova in una condizione di disagio o vittimizzazione.
Gli attori di questo processo sono i cittadini (singoli o nelle proprie aggregazioni) e le
istituzioni; i destinatari sono i cittadini.
La solidarietà è un sentimento (un atteggiamento psicologico) che riconoscendo i bisogni e
le difficoltà di Altri-da-Sé stimola il sostegno e l’aiuto come se si trattasse di Sé. La Solidarietà, in
astratto, è un riconoscimento di uguale appartenenza a una medesima condizione: la solidarietà
innesca, nel soggetto che la vive, comportamenti attivi di compartecipazione e azioni concrete.
I legami sociali, deboli o forti che siano, sono la nervatura necessaria per rendere possibile
la convivenza. L’assenza di legami sociali trasforma la convivenza in una relazione fragile, nella
quale gli individui e i gruppi sono scollegati tra loro, tenuti insieme da meccanismi di interesse e di
potere contrastanti tra loro; l’atomizzazione degli individui e dei gruppi, che costituiscono solo
formalmente una Società, si fonda sul dominio e non sulla distribuzione orizzontale della
responsabilità. La Paura nella società contemporanea sembra essere diventata il collante
universale. Per provare a contrastare la Paura è necessario investire e tentare di rafforzare qualcosa
d’altro.
Il concetto di “rafforzamento”7 presuppone l’esistenza di una struttura, di un fondamento,
che si dà come esistente; se tale struttura o fondamento è assente, allora occorre svilupparla. L’idea
centrale è che nei legami sociali occorra individuare il loro fondamento solidale (quando c’è)
oppure svilupparlo (quando manca) e quindi rafforzarlo in modo che diventi strutturale.
Una società solidale è una società aperta: è una società nella quale –conosciute e accettate le
differenze che caratterizzano tutto ciò che è plurale- riesce a individuare i legami fondamentali che
rendono gli individui simili. Da questa somiglianza rispetto ai bisogni e alle necessità, al
riconoscimento del diverso, è possibile partire per tentare di immaginare azioni concrete
rafforzative.
Il significato che il presente contributo intende dare al concetto di solidarietà, rispetto alla
sicurezza criminale, è riferito alle relazioni di “Vicinato”. La “Solidarietà di Vicinato”, da questo
punto di vista, è l’applicazione in scala ridotta del principio più generale di Solidarietà cui ci si è
ispirati.
Il termine “Solidarietà” è molto evocativo: sembra tuttavia aver assunto, per ragioni non
troppo misteriose determinate dalla sua evoluzione, un contenuto piuttosto passivo. La solidarietà
sembrerebbe consistere oggi in un sentimento e un corrispondente atteggiamento pratico, di
condivisione ideale quasi contemplativa. La solidarietà, al contrario, dovrebbe possedere un
carattere dinamico, dovrebbe tradursi in un “agire”, un “fare” qualcosa che non lasci spazio alla
compiaciuta contemplazione (c’è un povero, uno sfortunato, una vittima: me ne dispiaccio
amaramente, ne soffro, gli testimonio la mia solidarietà –ti sono solidale!) e tutto finisce lì.
La solidarietà è tale solo se si esprime attraverso comportamenti concreti: non significa che
ve ne siano di “giusti” e “sbagliati” (è giusto fare l’elemosina al povero per manifestare la propria
solidarietà?); significa solo che attraverso un processo sociale condiviso, fatto di azioni che
cambiano le condizioni attuali, si cerca di rimuovere o impedire la causa che ha determinato quel
problema sociale. Perché è sulle cause che determinano la vittimizzazione, l’insicurezza e la paura
individuale e collettiva che l’Associazione LIBRA Onlus e l’Istituto di Criminologia di Mantova,
anche attraverso i numerosi contributi provenienti dagli stakeholder, hanno inteso muoversi e
interrogarsi.
Oltre la Rete: il modello della Ragnatela Sociale
Osservare la società nelle sue formazioni principali (individuo e gruppi) significa guardare
la natura dei legami che la costituiscono: i legami tra gli individui si sono allentati ma non significa
che siano scomparsi o non siano più necessari o importanti; hanno trasformato la loro consistenza.
Rinsaldare i legami rispetto alla loro solidità relazionale, fondandoli sull’incontro reale tra le
persone, può contribuire a produrre sicurezza.
Considerare contemporaneamente le esistenze sensibili di reo, vittima e comunità
osservante è la filosofia con cui si approccia e si studiano le questioni criminologiche.
Ognuno di noi, individualmente, è molte cose: sia nella relazione con Sé sia nella relazione
con gli altri. Noi siamo “molti”: siamo Bene e/o Male; siamo Giusti e/o Sbagliati; siamo Buoni e/o
Cattivi, eccetera, e viviamo costantemente una condizione di contrapposizione rispetto a giudizi
che esprimiamo su noi stessi o che attribuiamo ad altri o che altri riconoscono a noi. I giudizi
(positivi, negativi, indifferenti) determinano gli spazi di relazione sociale oltre che i confini della
nostra identità psicologica. Gli individui non sono mai esclusivamente un polo della
contrapposizione “positivo/negativo”. I discorsi intorno alla sicurezza, per ragioni sociali evidenti
7 Il rafforzamento dei legami con i significati (famigliari, parenti, amici e conoscenti) è uno dei principali focus su cui è orientato il
lavoro “con” la vittima di reato allorquando questa chieda supporto al nostro sportello di ascolto. Occorre infatti, quando si lavora con
una persona che ha subito un reato o altro disagio, ristabilire parimenti la consapevolezza delle proprie risorse e capacità sia a livello
personale che di comunità, per superare la condizione di vittimizzazione reale o percepita che sia.
e chiare, selezionano sempre quale estremo osservare. L’attenzione sugli autori di reato e sulla loro
pericolosità è sempre stata maggiore e orientata principalmente alla neutralizzazione di tratti,
condizioni, impulsi o patologie che determinano i loro comportamenti; tale attenzione è solo una
parte della soluzione del problema sicurezza: la sicurezza, nella prospettiva che qui importa, ha
una dimensione sociale e della società fanno parte tutti gli attori, singoli o associati.
L’autore del reato (o della violenza), la vittima del reato (o della violenza) e la società
spettatrice (del reato o della violenza) sono interdipendenti, sono i protagonisti di un processo che
è certamente complesso ma dal quale e nel quale nessuno può essere messo da parte o può
estraniarsi.
Da oltre vent’anni alcuni problemi sociali sono osservati secondo la prospettiva della
“Rete”8: fare rete significa creare alcune condizioni di legame istituzionale formale e informale
attraverso le quali soggetti deboli possano ottenere sostegno e ricevere ciò di cui hanno bisogno
per recuperare autonomia individuale e sociale. In questa prospettiva i ruoli pubblici e/o privati
dei singoli attori contribuirebbero a raggiungere lo scopo: questo vale e varrebbe anche rispetto,
per esempio, alla vittima di un reato. Creare una rete significherebbe con riguardo alla sicurezza
criminale, sviluppare sostanzialmente tre processi: quello di sostegno alla vittima; quello di
prevenzione, intercettamento e controllo dell’autore, e quello di legame e coesione sociale generale.
In astratto, l’idea della rete è congeniale al processo: è funzionale all’obbiettivo. Secondo la
prospettiva qui suggerita, tuttavia, essa presenta un limite potenziale che non è trascurabile e che
rischia di annullare il processo virtuoso cui essa aspira. Immaginare una rete vuol dire
rappresentarsi una figura come quella sotto:
La caratteristica di tale rete è di possedere filamenti annodati che permettono i processi di
cui si è scritto ma che, proprio in ragione di quei nodi che la costruiscono, può rivelarsi inefficace.
Un nodo costituisce, nella rete, un luogo di passaggio: può essere un luogo formale istituzionale o
informale, nel quale una persona giunge per ottenere sostegno o essere indirizzata altrove; dal
nodo della rete, in effetti, come nella figura che segue, si dipartono altri fili, altre opportunità.
Un processo sociale nel quale esistono nodi è potenzialmente un percorso ad ostacoli: il
nodo stringe e non è detto che da quel nodo si possa poi passare: si riesca cioè a far passare
l’informazione, l’interazione, la persona. La caratteristica della rete è quella di possedere nodi e se
anche essi sono necessari alla sua struttura e alla sua funzione (che –ribadiamo- è orientata a
8 Il progetto europeo VIS Network “VIctim Supporting Project: a network to support and aid crime victims” ref. GRANT AGREEMENT
nr. JUST/2011/JPEN/AG/2960, di cui gli autori fanno parte in qualità di board mantovano, pone la sua metodologia operativa proprio
sul concetto di rete. Ed è proprio a questo costrutto che il paradigma della ragnatela sociale intende dare rinnovata prospettiva.
sviluppare i processi di sostegno/tutela; prevenzione/intercettamento/controllo; coesione sociale),
può determinare un vero e proprio blocco; se questo accade, è ovvio, il processo è vano. Si sono
spese risorse, energie, tempo inutilmente: la rete è debole. Nell’immagine sotto, si chiariscono
graficamente i rischi: la persona che dal punto “A” deve raggiungere il punto “B”, incontrando i
nodi, potrebbe essere sviata o addirittura non raggiungerlo mai.
A
B
Quando inoltre cerchiamo di applicare la metodologia della rete a processi di supporto che
prevedono il coinvolgimento di attori diversi (pubblici e privati), non possiamo escludere che i
nodi che tra questi si stringono in virtù di atti formali (protocolli, convenzioni, accordi), essi stessi
siano oggetto se non di ostacolo, di rallentamenti e/o deviazioni dovute alla struttura
organizzativa stessa degli attori coinvolti. Ciò con immediata ripercussione negativa sul soggetto
che necessita dei servizi di quella rete.
Il gruppo di studio in capo al progetto INNES9, sviluppatosi parallelamente al progetto VIS
Network, ha cercato di capire se esistono alternative alla rete, che ne conservino le potenzialità
virtuose sottraendone però quelle plausibilmente negative, rischiose, di inefficacia. L’idea è
maturata attraverso un confronto che ha cercato di individuare in fatti reali, in cose che esistono
già, elementi di ispirazione.
Il punto di partenza è stato il riferimento ad un mondo apparentemente lontanissimo dal
problema ma che invece ha offerto una chiave interpretativa interessante per capire la questione.
Quando Werner Heisenberg ha concepito le sue equazioni fondamentali sulla meccanica
quantistica, si racconta che fosse alle prese con il problema di riuscire a capire dove fosse (dove si
trovasse) l’elettrone in un nucleo atomico in un dato momento dell’osservazione. La meccanica
quantistica ha sovvertito completamente l’idea di Realtà e le vicende umane e personali dei
protagonisti di quella stagione fondamentale per l’Uomo, lontane un secolo o quasi, ne sono la
testimonianza chiara.
Heisenberg si trovava a Copenhagen nel 1925, insieme ad altri fisici e tutti discutevano di
quanti e atomi con Niels Bohr. Rientrando a casa una sera, passando per un parco buio, nel quale
solo pochi lampioni proiettavano il loro fascio di luce sul terreno, si era accorto che proprio
all’interno di quei coni di luce in un mondo buio, compariva ogni tanto, l’ombra di un passante che
come lui attraversava quel parco (Rovelli, 2014). Dall’episodio Heisenberg ricava le sue intuizioni,
con le conseguenze note.
L’episodio è importante, per la nostra riflessione sulla ragnatela sociale, perché rappresenta
una metafora fondamentale per arrivare a capire dov’è la debolezza della rete. Le ombre che
passano sotto i coni di luce rappresentano gli attori sociali: sono le vittime, gli autori, la società nel
9
INNES - Intimate Neighbourhood Strengthening. An Italian Crime Prevention Pilot Programme for Small Cities. Ref. nr.
HOME/2011/ISEC/AG/4000002580. Traduzione in italiano: INNES - Rafforzamento dei legami di vicinato. Un programma pilota per
la prevenzione del crimine nelle piccole città. Progetto sostenuto dalla Comunità Europea – DG Home Affairs.
suo insieme di cui ci accorgiamo sempre solo quando sono all’interno di quel cono di luce,
metaforicamente inteso quale spazio di attenzione istituzionale e collettiva.
Fuori del dal cono di luce, dove sono gli attori?
È questo il problema centrale: riuscire a concepire un sistema nel quale ognuno possa, in un
determinato momento, poter contare su una rete di sensibilità sociali per cui la solitudine è esclusa;
questo sistema riuscirebbe ad assolvere, per esempio, funzioni di prevenzione (anticipando la
vittimizzazione e/o la strutturazione dell’antisocialità e/o la disgregazione sociale); funzioni di
controllo e/o intercettamento (quando la vittimizzazione è avvenuta e/o l’antisocialità si è
manifestata); funzione di aggregazione e coesione dei legami sociali, rendendoli solidi ed elastici
allo stesso tempo. Questo sistema dovrebbe poter contare sull’assenza di nodi, perché i nodi a
volte stringono troppo, impediscono il passaggio, rendono impossibile il processo. I nodi
sarebbero i coni di luce proiettati dai lampioni nel buio del parco di cui racconta Heisenberg, che
non ci spiegano il prima e non ci spiegano il dopo rispetto al passaggio dell’ombra; non dicono,
cioè, dove sono le persone durante i processi sociali, perché di esse ci si accorge solo quando sono
appunto sotto i riflettori. Dove sono le vittime e gli autori, prima di subire o agire una condotta
criminale: un reato? Dove sono, ma anche, chi sono queste persone? Siamo noi.
La questione, che per noi è dirimente, è quella di capire se è rintracciabile un modello cui
riferirsi, per cercare di tradurre l’idea di una struttura sociale che superi la rete: che superi quindi il
rischio che il nodo diventi l’ostacolo, e che invece riesca a collegare, sempre, le persone -gli attorinei processi sociali.
L’idea, o il modello, cui si fa riferimento si ispira alla ragnatela che tessono i ragni.
Le ragnatele sono strutture formidabili: non solo per la capacità di sopportare carichi
proporzionalmente superiori a quella che è la loro portata teorica. Rispetto alla Paura e/o
all’Insicurezza, è chiaro quale potrebbe essere il potenziale della ragnatela: distribuire il carico di
esse significa rendere “paure” e “insicurezze” meno aggressive, violente, insormontabili per il
singolo individuo, che le potrà distribuire sulla collettività. Le ragnatele sono anche strutture nelle
quali i fili si intrecciano tra loro senza avere alcuna necessità di nodo, creando geometrie perfette.
Creare legami e relazioni fondate su un modello a ragnatela, quindi, dove i fili sono gli individui
(ma sono anche la solidarietà che può tornare a caratterizzarli e sono infine la conoscenza che si ha
dell’altro, delle cose e della realtà), significa raggiungere lo scopo: collegamento e relazione diretti.
Inoltre, va considerato il fatto che la ragnatela sociale non è costruita appositamente per
rispondere ad un bisogno, come invece lo è la rete: rete antiviolenza, rete contro il disagio
abitativo, rete per il supporto alle dipendenze, e così via.
Al centro di questo modello, quindi, ci sarebbero sempre le persone: e le persone, rispetto al
tessuto della ragnatela sociale, sarebbero i ragni, che quotidianamente –non quindi a posteriori per
risolvere un problema o intervenire su un bisogno specifico- tessono i fili della ragnatela. Essa si
configura pertanto quale processo continuo e costante che trova applicazione e rafforzamento nei
piccoli gesti di solidarietà che ognuno di noi può decidere di compiere ogni giorno. Più l’individuo
e le sue aggregazioni comunitarie percepiscono beneficio da questo processo in divenire, più la
ragnatela si rafforzerà e ingrandirà con effetto moltiplicatore autonomo (Sandri et Al., 2014).
In natura, i ragni, attraverso la sensibilità che li caratterizza, percepiscono i cambiamenti
che colpiscono la tela se un insetto in essa incappa: e non occorre che siano al centro della struttura
o siano fisicamente vicini alla preda. I filamenti della tela, non avendo nodi, trasmettono il segnale:
non c’è il rischio, cioè, che qualcosa ostacoli il passaggio dell’informazione. Così la ragnatela
sociale percepisce e trasmette alla sua comunità i segnali di richiesta e risposta d’aiuto.
Se una Rete si rompe, per aggiustarla occorre ri-creare un nodo che unisca le parti
nuovamente: una ragnatela invece è ricucita dal ragno, ossia dall’individuo. Il ragno, quindi, ricuce
legami e lo fa ripartendo dalla rottura, senza che i fili debbano essere riannodati.
Nel presentare e nel discutere il modello sono state avanzate alcune perplessità. L’idea
della Ragnatela (sociale) evoca il significato di “trappola”: è uno strumento attraverso il quale il
ragno cattura la propria preda, per annientarla e poi cibarsene. La questione, se posta in questo
modo, rischia di non essere compresa rispetto all’importanza del suo significato. Anche le reti, le
comuni reti da pesca, imprigionano e catturano: pure in questo caso le obiezioni potrebbero avere
la stessa consistenza ma di “Reti” si continua a parlare. Altra perplessità su cui si è inteso fornire
un ulteriore elemento di chiarezza è quella per la quale l’individuo/attore sociale, paragonato ad
un ragno, potrebbe essere interpretato come sostanzialmente individualista e in una società
individualista si fatica a capire dove è possibile rintracciare i legami solidaristici, che sarebbero
quelli che fonderebbero –insieme ad altro- la struttura della tela. Anche tra i ragni “individualisti”,
però, esistono eccezioni: ve ne è una specie, chiaramente sociale, nella quale migliaia di individui
collaborano a costruire, insieme, tele enormi, che serviranno poi a tutta la loro comunità10.
I fili della tela siamo noi, siamo tutti: tutti abbiamo un legame con l’altro; ognuno di noi di
Sé e dell’Altro può avere, dare e ricevere, giudizi e opinioni; ma le relazioni sono anche altro e
sono una necessità.
La ragnatela sociale è un modello pro-attivo –basato sul concetto di solidarietà di vicinatoche tenta di interpretare i comportamenti sociali delle comunità urbane e che restituisce ai suoi
attori (singoli, aggregati) il diritto/dovere di autodeterminarsi attraverso il coinvolgimento delle
comunità in cui essi vivono (community empowerment).
Nel Mito di Aracne, una donna mortale è stata condannata a tessere per l’eternità perché, lo
si ricordava sopra, a causa della sua Hybris, aveva sfidato prima una Dea e poi l’aveva oltraggiata.
Se il nostro destino è quello di tessere, cerchiamo di farlo pensando che ognuno dei punti di
questa Ragnatela sia l’Altro. L’Altro, per noi, deve essere quello che noi dobbiamo essere per lui:
Sicurezza.
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