Rischio di deflazione… BCE poco reattiva? Secondo l’ultima stima flash di Eurostat, l’inflazione dell’Eurozona ha rallentato allo 0,5% annuo a marzo dallo 0,7% di febbraio. L'inflazione “core” (ossia al netto di energia, alimentari, alcool e tabacco ) ha a sua volta rallentato dall’1 % allo 0,8 %. L'inflazione nel settore servizi ha anch’essa rallentato al 1,1 % dall’1,3 % di febbraio. I prezzi dell'energia sono diminuiti del 2,1 % e continuano ad esercitare pressioni al ribasso sull'inflazione complessiva. La stima di marzo e’ stata la piu’ bassa degli ultimi cinque anni e il livello dei prezzi sta crescendo a meno della meta’ dell'obiettivo della BCE. L'inflazione dell’eurozona e’ ormai rimasta al di sotto dell'1% per sei mesi consecutivi a fronte nello stesso periodo di un certo recupero delle economie, seppur debole ‐ e gli indicatori recenti, quali le aspettative sui prezzi dei consumatori e delle imprese e le componenti relative ai prezzi dell’indagine sui direttori acquisti, continuano a rallentare. Pur non essendo ancora disponibile la ripartizione per paese, la stima flash indica che le economie piu’ forti hanno anch’esse registrato un rallentamento della crescita dei prezzi. L’inflazione tedesca era appena dello 0,8 % anno su anno nel mese di febbraio, in calo rispetto all’1% di gennaio, il suo livello piu’ basso negli ultimi quattro anni. La Spagna e’ gia’ scivolata in deflazione e i prezzi al consumo in Italia hanno rallentato ulteriormente ad appena lo 0,3% di marzo da 0.4 % il mese precedente. I pericoli legati alla deflazione La deflazione puo’ anche essere più pericolosa dell'inflazione. Ove le aspettative di deflazione si radichino negli operatori economici, le famiglie e le imprese tenderanno a rinviare i loro acquisti in attesa di poter acquistare/investire in futuro a prezzi migliori e che il valore del loro reddito cresca. La crescita in termini nominali della produzione rimane molto bassa o nulla e con ricavi in diminuzione le imprese indebitate sono costrette a ridurre l’occupazione o peggio a fallire. Inoltre, un livello di inflazione basso o negativo rende piu’ complicato per le imprese del Sud Europa recuperare il gap di competitività con quelle del Nord senza cadere in ulteriore deflazione. Se in Germania e in Italia il costo del lavoro salisse in linea con le rispettive variazioni nazionali dei prezzi (variazione dei salari italiani di circa mezzo punto percentuale piu’ bassa di quella tedesca) occorrerebbero circa 30 anni per recuperare un differenziale del 15%. In caso di deflazione il peso del debito, coeteris paribus, rimane invariato o addirittura peggiora. Con debiti e mutui fissi in valore nominale, la deflazione aumenta il peso reale del debito. In particolare, la sostenibilità del debito pubblico e’ determinata dalla differenza tra il tasso di interesse reale pagato sui titoli del debito pubblico e il tasso di crescita reale del Pil. Prendendo come esempio l’Italia, con un'inflazione allo 0,3%, il tasso di interesse reale sui titoli del nostro debito pubblico rimane intorno al 3%, di gran lunga superiore al nostro tasso di crescita reale (prevedibile intorno allo 0,5% nel 2014). Questo significa che un surplus primario (ovvero al netto degli interessi) del 3% del Pil riesce a malapena a non far crescere il rapporto tra debito e Pil italiani, mentre andrebbe ridotto a buon ritmo (circa il 3% l’anno per i prossimi venti anni secondo il Fiscal Compact). Le cause della bassa inflazione nell’eurozona Quali sono i fattori fondamentali che hanno portato al rischio concreto di deflazione e che, se non contrastati, potranno determinare una caduta dei prezzi? 1) La politica monetaria della BCE e’ attualmente restrittiva, nonostante il tasso di interesse che la Bce pratica sui prestiti alle banche sia solo 0,25%. L'aggregato monetario più ampio (M3) e’ infatti cresciuto solo dell'1,2% negli ultimi tre mesi: non abbastanza per sostenere un obiettivo di tasso di inflazione del 2%. 2) Contemporaneamente i prestiti bancari al settore privato nell'eurozona sono scesi del 2,3% negli ultimi 3 mesi. Anche se i tassi praticati dalla BCE non sono elevati, il settore bancario – in Europa il principale meccanismo di trasmissione della politica monetaria – e’ ancora in grave difficolta’ e alle prese con significative ristrutturazioni. La necessita’ di veloce ricapitalizzazione delle banche, resa piu’ acuta dall’avvicinarsi dell’Asset Quality Review e degli stress tests i cui risultati sono previsti per l’autunno 2014, ha contribuito significativamente a determinare la carenza di credito bancario verso le imprese (contrattosi da gennaio 2012 di oltre ‐8%). Cio’ ha influenzato negativamente gli investimenti privati, l’elemento della domanda interna dell’eurozona che piu’ e’ crollato negli ultimi due anni (circa ‐7% per l’intera eurozona). Source: Oxford Economics/HaverAnalytics 3) Il livello di capacita’ produttiva inutilizzata e’ ancora molto alto e, anche se le prospettive per le imprese stanno migliorando, ci vorrà del tempo prima che sia riassorbito. Con l'eccezione della Germania, i sondaggi indicano che i tassi di utilizzo della capacità produttiva rimangono ben al di sotto dei loro livelli di lungo periodo. Questa capacità inutilizzata sarà progressivamente riassorbita appena le condizioni della domanda miglioreranno, ma nell’attesa di un recupero piu’ completo la pressione sui prezzi di macchinari e beni di investimento rimarra’ debole. 4) la disoccupazione ha raggiunto livelli record nella media della zona euro (intorno al 12% della forza lavoro da un paio di anni) ed e’ destinata a salire ulteriormente in alcuni paesi. E’ improbabile che le famiglie possano far ripartire i consumi prima che le prospettive della situazione occupazionale migliorino, cosa che non avverra’ fino al 2015, e anche allora solo gradualmente. 5) L’euro ai livelli attuali appare decisamente sopravvalutato, mentre allo stesso tempo i prezzi delle commodities sui mercati internazionali appaiono deboli. Molti analisti hanno cercato di trovare le motivazioni profonde della forza dell’euro, ma come spesso avviene quando si tratta di tassi di cambio, nessuna spiegazione appare veramente convincente. Di certo, la forza della moneta riduce i prezzi delle importazioni, contribuendo a smorzare eventuali tensioni sui prezzi interni. E’ peraltro molto probabile che ove la BCE adottasse in maniera chiara una politica monetaria espansiva l’euro finirebbe con l’indebolirsi. La previsione di Oxford Economics e’ per un cambio euro/dollaro intorno a 1,28 per la fine del 2014 – ove non si verificasse un indebolimento della moneta pero’, il rischio di cadere in deflazione sarebbe molto elevato. 6) A livello eurozona, il processo di consolidamento fiscale ha portato frutti positivi in molti paesi, in particolar modo in quelli periferici, ma non solo. Tuttavia, l’inasprimento fiscale ha indebolito la crescita del Pil dell’eurozona di oltre 1 punto percentuale all'anno durante il 2011‐13 (stima Oxford Economics basata sul modello econometrico GEM). Nel 2014 i bilanci pubblici continueranno molto probabilmente a registrare un orientamento restrittivo, seppure molto minore (probabilmente meno della meta’) che negli ultimi tre anni. Conseguenze per l’eurozona Le conseguenze di un periodo prolungato di riduzione dei prezzi sarebbero potenzialmente molto gravi. In una economia come quella dell’eurozona, caratterizzata da forte indebitamento pubblico e privato, la deflazione avrebbe un impatto significativamente negativo. In una situazione caratterizzata da alta disoccupazione, i salari nominali non avrebbero spazio di incremento mentre i debiti pubblici e anche quelli di imprese e famiglie non sarebbero erosi dall’inflazione. Il deleveraging quindi dovrebbe avvenire necessariamente attraverso la riduzione del livello dell’indebitamento, limitando ulteriormente la capacita’ di spesa dei vari settori dell’economia (famiglie, imprese, banche, pubblica amministrazione). La deflazione porterebbe con se’ un rialzo implicito dell’onere del debito e, se prolungata, arrivare persino a rilanciare il rischio di un break‐up dell’euro. Lo scenario di deflazione per l’eurozona negli anni a venire e’ stato simulato da Oxford Economics (anche in questo caso utilizzando il modello GEM), nell’ipotesi per il 2014 di ulteriore rafforzamento dell’euro (1,42 contro il dollaro), disoccupazione in lieve rialzo e attivita’ economica genericamente debole. In questo contesto, la deflazione prenderebbe corpo in maniera piu’ evidente dalla fine del 2014 al 2018, con la discesa dei prezzi piu’ significativa nei paesi periferici. L’impatto sulla crescita sarebbe fortemente negativo, con il ritorno alla recessione per l’intera area e una perdita cumulata nel periodo di oltre il 5% del Pil. La crescita più debole e la deflazione aumentano il peso del debito pubblico e privato, con i paesi periferici che sperimentano aumenti più forti del debito come percentuale del PIL (per l’Italia oltre il 160% del Pil). Anche per la Francia, la sostenibilità del debito diventa critica, e il debito pubblico sale al 145% del PIL entro il 2018. BCE finora poco reattiva Ma il rischio reale per l’eurozona e’ che il passaggio alla deflazione non avvenga rapidamente. In un contesto europeo dove i paesi che detengono il maggiore potere politico ed economico sono culturalmente avversi all’inflazione, il lento manifestarsi della deflazione potrebbe finire per essere sottovalutato e la reazione di politica economica e monetaria arrivare in ritardo. La lezione della deflazione sviluppatasi in Giappone oltre vent’anni fa e da cui solo ora sta tentando faticosamente di uscire dovrebbe essere motivo di riflessione a favore di politiche monetarie e di bilancio piu’ espansive. Nella riunione del 3 aprile, la BCE ha lasciato il tasso di riferimento invariato allo 0,25% e non ha annunciato nuove misure alternative. Il presidente della BCE Mario Draghi ha ribadito l'orientamento di mantenere i tassi di interesse al "livello attuale o inferiore per un periodo di tempo prolungato". Draghi ha anche riportato che nel board c’e’ stata “un'ampia discussione su tutti gli strumenti nel nostro mandato. Abbiamo parlato di tassi di interesse più bassi, di un prolungamento delle operazioni di finanziamento senza limiti e di allentamento quantitativo”. La banca centrale ha discusso diverse misure di allentamento che potrebbero essere prese in considerazione nelle prossime riunioni se i rischi di deflazione dovessero palesarsi in maniera grave ‐ per la prima volta il quantitative easing e’ stato oggetto di ampio dibattito, ma le decisioni operative appaiono ancora lontane (secondo Roubini almeno 6 mesi). Successivamente alla conferenza stampa, e’ poi trapelata la notizia che la BCE starebbe studiando un intervento di acquisto di asset per un valore di un trilione di euro. La notizia non ha trovato conferma ufficiale e quindi e’ probabile che si tratti di una delle tante analisi che (giustamente) la BCE conduce per avere un quadro completo della situazione. L’impressione netta e’ che, questa volta forse piu’ che in altre occasioni, i tempi di reazione possano essere non adeguati alla unicita’ delle problematiche relative al rischio deflazione. Emilio Rossi Presidente EconPartners Senior Advisor, Oxford Economics Milano, 8 Aprile 2014