L’intervento dell’Italia Allo scoppio della guerra l’Italia era legata alla Germania e all’Austria-Ungheria per mezzo della Triplice Alleanza. Il capo di Stato Maggiore dell’esercito, generale Luigi Cadorna, sollecitava l’entrata in guerra a fianco delle truppe tedesche e austriache, ma il governo, presieduto dal liberale conservatore Antonio Salandra, decise che l’Italia sarebbe rimasta neutrale, in quanto la Triplice Alleanza era un trattato puramente difensivo e secondo il giudizio di Salandra non si era verificata una vera e propria aggressione nei confronti dei due Imperi alleati con l’Italia. Una volta scartata l’ipotesi di un intervento a fianco degli Imperi centrali, cominciò ad essere presa in considerazione l’eventualità opposta: quella di una guerra contro l’Austria, che avrebbe consentito all’Italia di portare a compimento il processo risorgimentale, riunendo alla patria Trento e Trieste. I sostenitori della neutralità Invece di un grande movimento di solidarietà nazionale, la prospettiva della guerra generò in Italia un vasto dibattito e una violenta frattura dell’opinione pubblica, divisa tra interventisti e neutralisti. 1) Il più autorevole dei neutralisti era Giovanni Giolitti, il quale aveva intuito che il conflitto sarebbe stato lungo ed estenuante e pensava che l’Italia avrebbe avuto maggiori vantaggi sfruttando la propria posizione di neutralità. 2) Anche la Chiesa pensava fosse opportuno restare fuori dal conflitto, sia per ragioni di natura morale, in quanto il conflitto si stava rivelando un enorme massacro (papa Benedetto XV lo definì la guerra una “inutile strage”), sia per ragioni politiche, l’intervento italiano contro l’Austria-Ungheria avrebbe potuto contribuire alla sconfitta dell’unica grande potenza dichiaratamente cattolica. 3) A favore della neutralità si schierarono anche i socialisti, poiché pensavano che la guerra mondiale altro non fosse che la continuazione della volontà imperialista degli stati di strappare con la forza ai rivali nuove regioni e che il proletariato non avrebbe ottenuto alcun beneficio da questa guerra, tutta a vantaggio dei capitalisti. Tuttavia, i socialisti italiani si limitarono a una opposizione verbale alla guerra, espressa dal motto “né aderire né sabotare”. Gli interventisti Fra i sostenitori della linea interventista vi furono: 1) i gruppi della sinistra democratica, tra cui Gaetano Salvemini e Cesare Battisti (che sarebbe stato poi impiccato dagli austriaci nel 1916), eredi della tradizione mazziniana e risorgimentale, secondo cui la guerra rappresentava un “nuovo Risorgimento”, ovvero l’occasione per liberare Trento e Trieste e completare l’unificazione nazionale. 2) alcune frange “eretiche” del movimento operaio, come i sindacalisti rivoluzionari, i quali, ispirati dalle teorie del filosofo francese George Sorel, vedevano nella guerra e nel suo inevitabile carico di morte, miseria e disordine sociale la condizione ideale per dare avvio alla rivoluzione proletaria. Su posizioni simili si schierò anche Benito Mussolini, che il 15 novembre 1914 fondò un nuovo giornale, “Il Popolo d’Italia”, proprio per sostenere la propaganda a favore dell’intervento. Benché il giornale riportasse come sottotitolo la dicitura “quotidiano socialista”, esso fu finanziato da numerosi gruppi di industriali, favorevoli al coinvolgimento del paese in guerra, e probabilmente anche dall’ambasciata francese. 3) sul fronte opposto c’erano i nazionalisti, che erano anche i più accesi sostenitori dell’intervento; il movimento era stato fondato da Enrico Corradini nel 1903 e aveva nella rivista “Il Regno” il principale mezzo di diffusione delle proprie idee. Corradini strumentalizzò la terminologia marxista per sostenere idee nazionaliste: riteneva che vi fossero nel mondo “Nazioni borghesi”, ovvero quelle che avevano costruito già da tempo i propri imperi e si erano arricchite, e “Nazioni proletarie”, ovvero quelle, fra cui l’Italia, che erano ancora alla ricerca di una propria affermazione politico-militare e di un impero coloniale. Le nazioni ricche, secondo Corradini, soffocavano quelle proletarie, destinate tuttavia ad emergere e a prendere il posto delle ormai declinanti potenze borghesi. Per favorire questo processo però era necessario schiacciare “l’ignobile socialismo”, che conduceva la nazione verso la guerra civile, esortando i proletari a combattere contro i borghesi. Inoltre, Corradini era nemico della democrazia e del parlamentarismo e riteneva che il potere dovesse essere esercitato in modo autoritario da una élite ristretta, capace di individuare gli obiettivi della politica nazionale e di perseguirli con mano ferma. Le posizioni antidemocratiche e nazionaliste di Corradini trovarono numerosi consensi fra gli intellettuali, primo fra tutti Gabriele D’Annunzio. Nel più famoso dei suoi romanzi, Il piacere (1889), D’annunzio, influenzato anche dalla versione distorta della filosofia del superuomo di Nietzsche, criticava “il grigio diluvio democratico” dei suoi tempi, che non lasciva più spazio all’eroe e all’uomo eccezionale, schiacciato dalle masse.Da una nuova generazione di intellettuali la guerra venne vista come evento affascinante e avvincente per eccellenza. Giovanni Papini, nel 1913 sulla rivista Lacerba, celebrò la guerra come uno strumento liberatore, capace di spazzar via dalla Terra l’umanità in esubero, le ottuse masse che soffocavano il genio. In termini simili Filippo Tommaso Marinetti definì la guerra la “sola igiene del mondo”. Marinetti diede vita nel 1909 al movimento artistico del Futurismo, preoccupato di adeguare l’arte alla realtà moderna, al XX secolo, visto come tempo della velocità. Il Patto di Londra Nella primavera del 1915 gli interventisti intensificarono la propaganda a favore della guerra e organizzarono numerose manifestazioni dei massa, in cui fu determinante il contributo coreografico di D’Annunzio. Alcuni di quei raduni rappresentarono l’avvio del nuovo modo di gestire la leadership politica, anticipando le liturgie di masse del periodo fascista. Il leader non era più una figura separata dal popolo, ma colui che sapeva emozionarlo. Chi partecipava al raduno era colpito dalle musiche, dai colori, dal contesto, ancor prima che dalle parole dell’oratore. Il risultato era una profonda carica emotiva, capace di travolgere ogni obiezione di tipo razionale. Il 26 aprile 1915, il governo italiano firmò il Patto di Londra, con cui si impegnava ad entrare in guerra entro un mese, a fianco di Francia, Gran Bretagna e Russia, contro Austria-Ungheria e Germania. L’accordo prevedeva, dopo la vittoria, che all’Italia sarebbero state assegnate Trento e Trieste, l’Alto Adige, l’Istria, la Dalmazia1 e una parte delle colonie tedesche. Il Patto per essere esecutivo doveva essere ratificato dal Parlamento, la cui maggioranza era però su posizioni neutraliste, simili a quelle di Giolitti. Tale atteggiamento suscitò la collera degli interventisti2. Il “maggio radioso” Il maggio del 1915 (ribattezzato da D’Annunzio “maggio radioso”) vide in tutte le principali città italiane scontri violenti fra neutralisti e interventisti. Resosi conto di non godere della fiducia della Camera, il 13 maggio Salandra diede le dimissioni, ma il re Vittorio Emanuele III, deciso sostenitore dell’intervento, gli conferì di nuovo l’incarico. A quel punto per i deputati votare di nuovo contro il Patto di Londra avrebbe significato sconfessare l’autorità del Re; pertanto il 20 maggio il Parlamento ratificò la decisione del governo, con il voto contrario dei socialisti, provocando l’ingresso dell’Italia in guerra (24 maggio). Di fatto il Parlamento era stato scavalcato e ciò determinò una sua perdita di prestigio che si ripercosse anche negli anni successivi alla fine del conflitto. 1 Con il nome Dalmazia si intende la costa orientale dell’Adriatico, abitata prevalentemente da slavi. Attualmente è politicamente suddivisa tra Croazia, Montenegro e Bosnia ed Erzegovina.) 2 In quell’occasione Mussolini scrisse: “Sono sempre più convinto che per la salute dell’Italia bisognerebbe fucilare, dico fucilare, nella schiena, qualche dozzina di deputati e mandare all’ergastolo un paio almeno di ex ministri. Non solo, ma io credo, con fede sempre più profonda, che il Parlamento in Italia sia il bubbono pestifero che avvelena il sangue della Nazione. Occorre estirparlo”.