00Pag_Dianoia 19_2014.qxp:Layout 1 16-12-2014 9:29 Pagina 1 19. dianoia Rivista di filosofia del Dipartimento di Filosofia e Comunicazione dell’Università di Bologna 00Pag_Dianoia 19_2014.qxp:Layout 1 26-01-2015 8:48 Pagina 3 19. dianoia Sommario 5 Profili dell’ombra a cura di Annarita Angelini 7 11 27 Annarita Angelini, Presentazione Baldine Saint Girons, Lo stadio dell’ombra Annarita Angelini, Ombre dei sensi e ombre del pensiero. Dal raggio ombroso alle lezioni di tenebre Raffaele Danna, L’«ombra del beato regno». Presenze umbratili nel Purgatorio di Dante Marco Matteoli, Giordano Bruno e l’ombra della conoscenza Florence Malhomme, Ombra e musica. La musica che siamo Giuseppe Longo, L’infinito matematico “in prospettiva” e l’ombra dei possibili Apparato iconografico 61 91 117 149 167 181 183 203 223 229 279 303 319 337 339 Saggi Diego Donna, Norma, segno, autorità. Spinoza interprete dei profeti Beatrice Collina, Il rapporto tra economia ed etica nel dibattito austro-tedesco del XIX secolo Davide Spagnoli, Introduzione a Matematica ed ideologia: la politica degli infinitesimali Joseph W. Dauben, Matematica ed ideologia: la politica degli infinitesimali Diego Melegari, La verità di questo mondo. Rileggendo Tran-Duc-Thao Riccardo Fedriga, Possibilità, scelta critica e impegno: Mario Dal Pra storico della filosofia Daniela Marchitto, Sensazione di libertà e libertà senza azione: aspetti del dibattito contemporaneo 367 Note e discussioni Jonathan Molinari, “Collaborative paradigm” e pratica della complessità: sulla nuova edizione inglese dell’Oratio pichiana Gennaro Imbriano, Tra teoria della storia, iconologia e “ippologia politica”. Sulle tracce del Nachlass di Reinhart Koselleck Luca Scuccimarra, Nelle tenebre del Novecento. Una ricerca collettiva sulla violenza di massa Valerio Portacci, Bioetica e diritto penale. Prospettive dell’autonomia 375 Recensioni 349 359 08Donna_1.qxp:Layout 1 15-12-2014 11:21 Pagina 183 Norma, segno, autorità. Spinoza interprete dei profeti Diego Donna The distinction established by Spinoza between philosophy and prophecy poses the question of the authority of the Scriptures. The notion of authority can be interpreted in two ways: either as an instrument used to encourage obedience, as is the case with the Old Testament, in which prophecy reveals the law (Moses), or as belief in the truth of the Scriptures. In both cases, Spinoza’s aim in the Tractatus theologico-politicus is to separate the norm of truth (the true idea) from authority. The first pertains to philosophy, the second to theology and morals. There is also a third candidate between true knowledge and religion: the teaching of the apostles, not mediated by any exterior law but by the pure Spirit of Christ, which promotes a universal ethics that is compatible with reason. However, the rift created by Christianity between authority and truth will lead to doctrinal controversies, schisms and, ultimately, the rise of theology, with which the original distinction between prophecy and Christ’s message becomes vain. Keywords: Spinoza, sign, prophecy, apostolic teaching, Scripture. Introduzione La conoscenza naturale, discendendo direttamente da Dio, non è in alcun modo inferiore alla conoscenza profetica. Quanto alla «mente dei profeti», essa non è la «mente di Dio»1. Questi sono i due assunti programmatici della critica spinoziana alla profezia su cui generalmente si è concen1 Tractatus theologico-politicus [TTP], in Opera, hrsg. C. Gebhardt [G.], Heidelberg, C. Winter, 4 voll., 1925, III, p. 16. La traduzione italiana è tratta dall’edizione a cura di F. Mignini, O. Proietti [M.], Spinoza, Opere, Milano, Mondadori, 2007, p. 439. «Dianoia», 19 (2014) 08Donna_1.qxp:Layout 1 184 15-12-2014 11:21 Pagina 184 Diego Donna trata l’attenzione degli studiosi. Nell’Ethica è la filosofia con i suoi strumenti (idee adeguate e nozioni comuni) a determinare la vera natura di Dio, nel Tractatus theologico-politicus l’immagine di Dio venerata dal «volgo» è ricondotta all’interpretazione storica del suo senso. Se letta in questa prospettiva risulta piuttosto disorientante l’affermazione con cui si apre il Tractatus: «la profezia o rivelazione è la conoscenza certa di una cosa rivelata agli uomini da Dio»2. Ammesso che lo scopo principale della critica biblica spinoziana sia la delimitazione del campo entro cui l’idea vera, o adeguata, può operare con le sue sole forze rispetto alla conoscenza immaginativa, non si vede come la profezia, che dell’immaginazione costituisce il frutto per eccellenza, possa essere accostata alla «conoscenza certa». L’appello alla giustizia e alla carità quali condizioni «sufficienti» alla salvezza sembra non meno in contraddizione con il classico principio spinoziano della separazione tra filosofia e fede, tra la salvezza destinata al filosofo e quella che spetta all’«ignorante»3. I commentatori hanno spesso ricondotto tali ambiguità a motivi di carattere dialettico e retorico4 riconoscendo le linee guida della critica spinoziana alla religione (distinzione fra intelletto e immaginazione, difesa della libertà di filosofare dalle ingerenze dell’autorità ecclesiastica), salvo ammettere, come fa Strauss, l’esistenza di un doppio registro comunicativo, «eterodosso» o «ortodosso», a seconda dei destinatari a cui è indirizzato il discorso. Secondo Strauss, nello scrivere il trattato Spinoza sarebbe animato da due priorità: evitare che la persecuzione nei suoi confronti si estenda dall’ambito ebraico a quello cristiano, cercare un accordo con quei «potenziali filosofi», o cristiani liberali, esasperati sia dalle guerre di religione, sia dal 2 TTP, 1, G. III, p. 15; M. p. 438. Il rimando è ovviamente al celebre studio di A. Matheron, Le Christ et le Salut des Ignorants chez Spinoza, Paris, Aubier Montaigne, 1971. 4 Cfr. Th. Verbeek (Spinoza’s Theologico-Political Treatise. Exploring the ‘Will of God’, Ashgate, Aldershot, 2003, pp. 2-3), per il quale la presunta identità fra profezia e conoscenza certa si gioca su due malintesi, volutamente congegnati da Spinoza. Il primo riguarda l’uso del termine «divino»: sia la profezia che la conoscenza razionale sono «divine», ma in senso diverso, la prima essendo ritenuta dal volgo estranea al lume naturale, la seconda, al contrario, in quanto si basa per il filosofo sul concetto adeguato di Dio che, essendo a sua volta razionale, è accessibile a tutti. La «conoscenza certa» può essere poi intesa come credenza, o consapevolezza soggettiva (belief), oppure nel senso più specifico di scienza. «As a result, the point of Spinoza’s definition of ‘profecy’ is not to explain the meaning of the word ‘profecy’ but to lay down a dialectical principle such that he can establish an identity of some sort between his own philosophy and traditional religion». 3 08Donna_1.qxp:Layout 1 15-12-2014 Spinoza interprete dei profeti 11:21 Pagina 185 185 profondo indebolimento che attraversa le istituzioni ecclesiastiche nel diciassettesimo secolo. Cacciato dalla comunità ebraica, «“cristiano coi cristiani” esattamente come, dal suo punto di vista – continua Strauss – Paolo era “un greco con i greci e un ebreo con gli ebrei”»5, Spinoza sa che «il popolo lo sta ascoltando». Per questo «si esprime contraddittoriamente: coloro che si scandalizzano delle sue affermazioni eterodosse verranno poi tranquillizzati dalle sue formule più o meno ortodosse»6. Di fatto, agli occhi del filosofo, la Bibbia è un testo profondamente oscuro e confuso. Il rischio, conclude Strauss, è che tale posizione, espressa «cautamente», cioè attraverso un uso consapevolmente ambiguo ed ellittico dei termini, venga adombrata anziché essere chiarita da un libro «a sua volta pieno di contraddizioni»7. Il rapporto fra verità e autorità, tra filosofia e fede riflette l’intero plesso di difficoltà. Distinte con fermezza allorché si tratta di difendere la libertà di filosofare dalle ingerenze della teologia, verità e autorità appaiono invece legate nel caso di quelle «leggi umane» che si pensa siano state sancite dalla rivelazione8. Spetta al filosofo svelare il funzionamento della macchina teologico-politica distinguendo la norma della verità (le idee dell’intelletto) dai segni dell’immaginazione. La questione si complica nel caso dell’insegnamento di Cristo, apparentemente estraneo alle altre forme di superstizione religiosa: anzitutto perché egli comunicò con Dio non sotto forma di immagini, bensì ad mentem; in secondo luogo, perché il suo insegnamento di «giustizia e carità» fu destinato non ad una sola nazione, bensì all’umanità intera: «prima della venuta di Cristo, i profeti solevano predicare la religione come legge della patria in forza del patto stabilito al tempo di Mosè; dopo la venuta di Cristo, invece, gli apostoli la predicarono a tutti come legge universale»9. Una legge, continua Spinoza, nient’af5 Cfr. L. Strauss, Come studiare il Trattato teologico-politico di Spinoza, in Scrittura e persecuzione (1952), trad. it. di G. Ferrara, F. Profili, Venezia, Marsilio, 1990, p. 187. Per A. Tosel (Spinoza ou le crepuscule de la servitude. Essai sur le Traité Théologico-Politique, Paris, Aubier, 1984, p. 167), il Tractatus costituisce una sorta di «introduction à la philosophie. […] La forme polemique, le langage volontairement traditionnel, la dispersion assumée des énoncés pour éprouver la sagacité des lecteurs et former l’intellectus à son labeur de concatenatio ne doivent pas manquer qu’il s’agit là d’autant de moyens pour mettre en place ce que l’on a nommé l’Ethique souterraine du TTP». 6 Ivi, p. 180. 7 Ivi, p. 172. 8 TTP, 4, G. III, p. 61; M. pp. 497-498. 9 TTP, 12, G. III, p. 163; M. p. 628. 08Donna_1.qxp:Layout 1 15-12-2014 11:21 Pagina 186 186 Diego Donna fatto nuova, essendo «del tutto naturale»; laddove però il profeta non la discute, imponendola secondo il comandamento ricevuto da Dio, «gli apostoli sono ovunque raziocinanti, a tal punto che sembrano sempre disputare e non profetizzare»10. Di qui la loro qualifica di «dottori», o «maestri», la quale mostra tuttavia una profonda ambivalenza nel momento in cui anche l’ufficio dell’apostolato si doterà della «presenza» e dei «segni» come requisiti necessari «per convertire le genti»11. La religione naturale di carità e giustizia, ricorda Spinoza parafrasando Giovanni 1, 10, «era nel mondo, e il mondo non la conobbe»12; al contrario, ne disperse i frutti, riassorbendola in teologia, il nuovo apparato di sapere e potere in cui il messaggio universale di carità promosso da Cristo si rovescia negli scismi e nei conflitti fra le diverse chiese. Unico scopo, determinare la vera interpretazione della parola di Dio. La pluralità dei «fondamenti» produce altrettanti rigorismi, «e lo sarà certo in eterno – conclude il filosofo – se la religione non verrà finalmente separata dalle speculazioni filosofiche»13. La distanza fra interpretazione e conoscenza, fra autorità e verità, fra la norma autonoma delle idee e la fiducia nei segni (fides ex auditu et ex signis) è irriducibile. Forse per questo l’esercizio della filosofia rimane tanto arduo quanto inviso alla maggioranza degli uomini: il suo fine è la conquista di una perfetta autonomia da parte della mente. 1. Norma e segno Gli sforzi maggiori del Tractatus sono volti a distinguere fra conoscenza certa e conoscenza profetica, cosa possibile solo se si è risaliti alla differenza più radicale fra idee e immagini. Separare l’intelletto dall’immaginazione è di vitale importanza ai fini del conseguimento di ciò che sia il Tractatus de intellectus emendatione, sia il Tractatus theologico-politicus, chiamano «sommo bene», vale a dire l’unità fra la nostra mente e l’ordine della natura14. La conoscenza della natura, così come quella dell’intelletto e delle sue capacità (le idee vere), dipendono dall’idea dell’«ente perfetto» 10 TTP, 11, G. III, p. 152; M. p. 614. TTP, 11, G. III, p. 153; M. p. 616. 12 TTP, 12, G. III, p. 163; M. p. 628. 13 TTP, 11, G. III, pp. 157-158; M. p. 621. 14 Cfr. Tractatus de intellectus emendatione [TIE], G. II, p. 8. 11 08Donna_1.qxp:Layout 1 15-12-2014 11:21 Pagina 187 Spinoza interprete dei profeti 187 o idea di Dio; il sommo bene equivarrà dunque al possesso di tale idea – «vera cognizione» e «amore di Dio», secondo l’argomentazione del Tractatus theologico-politicus15: Poiché nulla può essere, né essere concepito senza Dio, è certo che tutte le cose che sono in natura implicano ed esprimono il concetto di Dio in proporzione della loro essenza e perfezione. Pertanto quanto più conosciamo le cose naturali, tanto maggiormente e con più perfezione conosciamo Dio. […] E perciò tutta la nostra conoscenza, ossia il nostro sommo bene, non soltanto dipende dalla conoscenza di Dio, ma consiste totalmente in essa16. D’altra parte, continua Spinoza, profezia e filosofia sono entrambe frutto della mente umana in quanto modificazione dell’unica sostanza infinita nell’attributo del pensiero. Nel lessico ambivalente del primo capitolo: «la natura della mente è la causa prima della rivelazione divina»17, conoscenza naturale e conoscenza profetica sono dettate «in noi dalla natura e dai decreti di Dio in quanto ne siamo partecipi»18. L’ordo philosophandi e la conoscenza profetica procedono così direttamente da Dio nella misura in cui la mente umana partecipa dell’intelletto infinito. Con una differenza, però: i segni della rivelazione furono elaborati dai profeti in immagini e comunicati per verba, non ad mentem, ovvero secondo la potenza dell’intelletto19. In altre parole, tutta la conoscenza deriva da Dio, ma non tutte le idee possiedono il medesimo statuto: la conoscenza profetica apprende la realtà non in se stessa (secondo l’ordine delle cause), bensì sotto forma di immagini convalidate da segni e parole. Come se Spinoza stesse suggerendo da un lato un’alleanza possibile tra filosofia e profezia rivendicando dall’altro la netta divergenza fra intelletto e immaginazione. Ad una lettura più approfondita si chiarisce tuttavia l’opzione spinoziana. Ex auditu, ex aliquo signo: queste le modalità conoscitive della profezia, già esplorate nel De emendatione a proposito della conoscenza immaginativa20. Le idee si distinguono dalle immagini non solo per il contenuto che esse esprimono (l’immagine di Dio come supremo le- 15 TTP, 4, G. III, p. 60; M. p. 496. Ibid. 17 TTP, 1, G. III, p. 16; M. p. 439. 18 Ibid. 19 TTP, 1, G. III, p. 16; M. p. 440. 20 Cfr. TIE, G. II, pp. 10-11. 16 08Donna_1.qxp:Layout 1 15-12-2014 11:21 Pagina 188 188 Diego Donna gislatore è radicalmente incompatibile con il concetto vero di Dio, causa sui e causa immanens di tutte le cose), ma anche per la forma in cui si manifestano. La verità espressa dalle idee dell’intelletto non poggia su alcuna autorità o criterio esterno di verifica: «per la certezza della verità non è necessario alcun altro segno che il possesso di un’idea vera […] nessuno può sapere che cosa sia la suprema certezza, all’infuori di chi possiede un’idea adeguata o l’essenza oggettiva di qualcosa: identiche sono la certezza e l’essenza oggettiva»21. La certezza delle idee dell’intelletto è indice di se stessa (veritas index sui, nelle parole dell’Ethica22, norma, nei termini del Tractatus de intellectus emendatione), non riferendosi ad alcun principio ad essa superiore: «la verità non richiede alcun segno»23. Il problema, prosegue il Tractatus theologico-politicus con un lessico ambiguamente teso fra teologia e filosofia, è che l’«uomo carnale», «digiuno di Dio», non comprende questa forma più alta di legge che vige senza comandare essendo «Dio stesso in quanto la sua idea è in noi»24. Per l’uomo comune la legge è controparte dell’obbedienza, cui sia il popolo sia il sovrano sono tenuti a sottostare. Le verità della Scrittura sono inoltre ricevute dal profeta secondo una catena di mediazioni: come sensazioni, che egli recepisce passivamente, traducendole in immagini e in parole, come comandamenti della cui autorità è investita la moralità collettiva. L’esperienza profetica è in ogni caso estranea al fondamento universale degli assiomi e delle nozioni comuni attinti dalla «pura mente». Per questo essa è «sovrana» nel proprio ambito, ossia rimanda alla specificità unica ed irripetibile delle condizioni psicologiche, fisiologiche e caratteriali di chi l’ha ricevuta. Il profeta ritiene che il segno discenda dalla «volontà» di Dio, la cui autorità è per definizione incondizionata. Non potrebbe essere altrimenti: l’autorità di un sovrano cessa di esser tale se le ragioni che la legittimano dipendono dal giudizio di chi è ad essa subordinato. Spinoza risponde che se siamo in possesso di un’idea vera, siamo anche certi della falsità di ciò che le si oppone: «chi ha un’idea vera sa, al tempo stesso, di averla e non può dubitare della verità della cosa»25. La conoscenza certa ed evidente che in Dio volontà e intelletto coin- 21 TIE, G. II, p. 15; M. p. 37. Ethica [E], II, prop. 43, schol., G. II, p. 124. 23 TIE, G. II, p. 15; M. p. 37. 24 Cfr. TTP, 4, G. III, pp. 60, 61; M. pp. 496, 497. 25 E, II, prop. 43, G. II, p. 123; M. p. 878. 22 08Donna_1.qxp:Layout 1 15-12-2014 11:21 Pagina 189 Spinoza interprete dei profeti 189 cidono implicherà dunque in modo altrettanto certo ed evidente la falsità dell’idea secondo cui Dio è un legislatore sovrano. In breve, la conoscenza profetica, pur derivando come quella del filosofo direttamente dalla potenza infinita di Dio, non sa cogliere tale rapporto di adeguazione, distorcendo così la visione corretta del rapporto fra intelletto umano e intelletto divino. I segni «erano dati in relazione alle opinioni e alla capacità di comprensione del profeta, tanto che un segno, che rendeva certo il profeta della sua profezia, non avrebbe potuto minimamente convincere un altro profeta»26. I segni servono a «convincere» il profeta, ma la «certezza morale» che da essi deriva è del tutto estranea alla «certezza matematica»27. La certezza morale si applica a fatti storici e contingenti, nonché alle «ipotesi» di cui fa abitualmente uso la scienza fisica, purché siano giustificate dalle «leggi di natura» su cui si fonda l’universo materiale28. Ovviamente, nella prospettiva spinoziana, la conoscenza vera di Dio non può risultare da alcuna certezza morale: essa non deriva né da ipotesi, né dalla narrazione di fatti storici, ma è stabilita a priori dalla mente secondo il plesso di assiomi, definizioni, proposizioni, dimostrazioni, scoli e corollari di cui si compone la struttura argomentativa dell’Ethica. E tali strumenti sono tutto ciò di cui abbiamo bisogno per costruire una scienza assiomatica, certa ed evidente dell’ordine concreto della natura: chi non vede che la conoscenza di Dio non fu uguale in tutti gli uomini di fede? […] Uomini, donne, bambini, tutti possono parimenti ubbidire a un comando, ma non per questo divenire sapienti. […] Le cose invisibili – invece – che sono oggetto della sola mente, non si possono vedere con altri occhi che non siano le dimostrazioni29. 26 TTP, 2, G. III, p. 32; M. p. 461. Ibid. 28 Sull’uso dell’ipotesi in scienza cfr. Descartes, Discours de la methode, in Œuvres, C. Adam, P. Tannery (a cura di) [AT], L. Cerf, Paris, 11 voll., 1897-1913, VI, pp. 64-65. I Principia (IV, 204-205, AT, IX, p. 322) assegnano il carattere di «certezza morale» a quelle ipotesi che spiegano i fenomeni più particolari (magnetismo, fuoco, calore, ecc). Cfr. fra gli altri, D.M. Clarke, The Concept of experience in Descartes’ theory of knowldege, «Studia leibnitiana», VIII (1976), pp. 18-39. Per il confronto di Spinoza con i modelli della scienza si vedano gli studi raccolti in M. Grene (a cura di), Spinoza and the sciences, Dordrecht e Boston, Reidel, 1986. 29 TTP, 13, G. III, p. 170; M. p. 636. 27 08Donna_1.qxp:Layout 1 15-12-2014 11:21 Pagina 190 190 Diego Donna I segni offrono una conoscenza credibile (fede) ma indimostrabile: il criterio della loro verità poggia sul presunto volere di Dio, tanto più vivo nella mente del profeta quanto più vivida è la sensazione attraverso cui viene recepito. Mosè introdusse la religione nello stato «per virtù e per comando divino […] il popolo non poteva far nulla senza ricordarsi della Legge ed eseguire quei mandati che dipendevano dal solo arbitrio del comandante»30. L’intelligibilità del segno non è data dalla norma autoevidente della verità, bensì dalla fiducia nel comandamento: interprete è colui che interpreta i decreti di Dio per coloro ai quali non sono stati rivelati. E nell’accoglierli, costoro poggiano sulla sola autorità del profeta. […] Analogamente, i poteri sovrani sono gli interpreti del diritto dello Stato, poiché le leggi che essi promulgano sono difese dalla loro sola autorità e poggiano sulla loro testimonianza31. Spinoza procede quindi nell’invalidazione del miracolo, tradizionalmente assunto come segno della verità della profezia. L’argomentazione si articola, com’è noto, su due livelli. Anzitutto, il miracolo è al servizio dell’autenticità della dottrina, «il che è insegnato espressamente anche da Mosè – quando – in Deuteronomio 18 ordina al popolo di obbedire al profeta che ha dato il vero segno in nome di Dio, ma di condannarlo a morte se avrà predetto qualcosa di falso, anche se in nome di Dio. […] Ne consegue che il vero profeta si riconosce dal falso sia per la dottrina che per il miracolo»32. È dunque il miracolo ad essere subordinato alla dottrina, non viceversa. Più radicalmente, nell’ottica spinoziana, l’ordine necessario delle leggi naturali esclude la presenza di qualsiasi evento sovrannaturale33. Di nuovo, i segni dell’immaginazione andranno separati dalla norma della verità: autorità e verità, annodate nel medesimo ingranaggio teologico-politico, devono essere sciolte l’una dall’altra. Eppure, le conclusioni del filosofo prendono una direzione inaspettata rispetto a quanto prevede la classica immagine del costruttore di un’etica e di una scienza politica rigorosamente razionaliste. Le idee dell’intelletto, troviamo scritto nel Tractatus, hanno solitamente ben poca influenza in ambito pratico: 30 TTP, 5, G. III, p. 75; M. p. 516. TTP, adn, G. III, p. 251; M. p. 739. 32 TTP, G. III, 15, p. 186; M. p. 656. 33 Cfr. TTP, G. III, 1, p. 23. 31 08Donna_1.qxp:Layout 1 15-12-2014 11:21 Pagina 191 Spinoza interprete dei profeti 191 È segno di insipienza, infatti, non voler accogliere ciò che è confermato dalle testimonianze di tanti profeti, ciò che è fonte di grande conforto per quanti non hanno la forza della ragione. […] E questo solo per la ragione che non si può dimostrare matematicamente. Quasi che per regolare saggiamente la vita non si debba ammettere nulla come vero, che non sia posto assolutamente al di fuori di ogni dubbio, o come se quasi tutte le nostre azioni non siano assai incerte e piene di rischio34. Sono le credenze immaginative a tenere uniti gli uomini orientandoli al rispetto della legge positiva. La credenza nell’autorità divina (il volere di Dio) è così fonte di «notevole utilità per lo Stato»35, i segni della profezia forniscono la giustificazione teologica del legame politico a cui i desideri e le passioni (hominum libidinem) andranno sottoposti36. La profezia, ritenuta dal credente interprete della parola di Dio, non estende la propria autorità oltre il dominio della pura morale (quae usum vitae et veram virtutem spectant)37, ma è di massima utilità in quest’ambito; viceversa, la filosofia non ha nulla a che vedere con la pratica dell’obbedienza: «la religione, sia essa rivelata per lume naturale o per lume profetico, riceve la forza del mandato dalla sola decisione di quanti hanno il diritto di comandare»38. La distinzione fra discorso teologico (politico) e discorso filosofico è dunque ribadita con forza. Soprattutto, continua Spinoza, se i filosofi fossero i detentori delle verità della Scrittura, essi si trasformerebbero in una nuova casta di «sacerdoti o pontefici» che presto o tardi il popolo «disprezzerebbe»39. La fiducia nella volontà di un Dio supremo legislatore è sufficiente a garantire la verità del messaggio rivelato; del resto, il nesso fra verità (conoscenza) e autorità (fede) non è affatto evidente, continua il filosofo: l’autorità è controparte dell’obbedienza, la verità della conoscenza. In definitiva, la difesa spinoziana della libertà di filosofare rispetto alle ingerenze e ai vincoli della teologia non culmina nella pretesa di sottomettere l’autorità politico-religiosa a quella filosofica. Al contrario, non vi è alternativa possibile alla separazione fra le due sfere, come ribadisce il capi- 34 TTP, 15, G. III, p. 187; M. pp. 657-658. TTP, 15, G. III, p. 187; M. p. 657. 36 TTP, 5, G. III, pp. 73-74. 37 Cfr. TTP, 1, G. III, p. 9. 38 TTP, 19, G. III, p. 231; M. p. 715. 39 TTP, 7, G. III, p. 114; M. p. 565. 35 08Donna_1.qxp:Layout 1 192 15-12-2014 11:21 Pagina 192 Diego Donna tolo quindicesimo del Tractatus, là dove viene approfondito il problema del rapporto fra autorità e Scrittura. Avendo sottoposto a verifica nel capitolo settimo la posizione razionalistica di Maimonide, Spinoza prende in esame la tesi opposta di Alfakhar40: la Scrittura è l’unica depositaria della norma della verità, il suo carattere divino essendo per definizione estraneo a qualsiasi contraddizione. Laddove il razionalismo maimonideo aveva avanzato la proposta di una lettura allegorica di quei passi scritturali che appaiono in contrasto con la ragione, la posizione fideistica di coloro che invocano il ritorno alla sola Scriptura, rappresentati nel Tractatus dalla figura di Alfakhar, giunge al contrario ad interdire l’utilizzo stesso della ragione in materia teologica: [Alfakhar] desiderando evitare l’errore di Maimonide è caduto nell’errore contrario. Stabilì infatti che la ragion debba esser l’ancella della Scrittura ed ad essa completamente sottoposta. […] A partire di qui, forma questa regola universale: tutto ciò che la Scrittura afferma dogmaticamente con chiare parole, si deve ammettere senz’altro come vero per la sua sola autorità41. Spinoza dichiara di «apprezzare» il principio della lettura della Scrittura sola Scriptura, perno dall’ermeneutica luterana e calvinista: «il nostro metodo, che si fonda sulla conoscenza della Scrittura attraverso la Scrittura, è l’unico e il vero»42, sentenzia nel Tractatus. Ma se per il teologo il senso letterale è l’unico senso possibile essendo la dottrina espressione diretta, inalterabile e incorruttibile dello Spirito Santo, la considerazione letterale dei passi biblici rivela al contrario, nelle mani del filosofo, le profonde problematicità connesse all’esercizio ermeneutico: «talmente grandi – continua Spinoza – che non esiterei ad affermare che noi, in numerosi luoghi, ignoriamo o possiamo solo indovinare senza certezza il vero senso della Scrittura»43. La difesa dell’autorità assoluta della Scrittura è inammissibile per almeno due motivi. Il primo era già stato discusso nel capitolo settimo a proposito del problema dell’interpretazione: la Scrittura non è affatto un testo 40 Leader ebraico della comunità di Toledo, Alfakhar contesta nell’Epistola contra Maimonidem (Costantinopoli, 1521/1522) il diritto della ragione ad intervenire nell’interpretazione della Scrittura. Cfr. la traduzione in inglese e il commento di J. Adler, Letters of Judah Alfakhar and David Kimchi, «Studia Spinozana», 12 (1996), pp. 147-167. 41 TTP, 15, G. III, p. 181; M. p. 650. 42 TTP, 7, G. III, p. 105; M. p. 553. 43 TTP, 7, G. III, p. 111; M. p. 561. 08Donna_1.qxp:Layout 1 15-12-2014 11:21 Pagina 193 Spinoza interprete dei profeti 193 unitario e coerente, la presunta univocità della parola divina si scontra con le innumerevoli interpretazioni umane che nel corso dei secoli hanno preteso di raccoglierne il messaggio. Rimettendosi all’interpretazione del segno, la rivelazione è destinata all’equivocità delle varie spiegazioni in lotta per il monopolio profetico. In secondo luogo, la teologia, ovvero lo studio e l’interpretazione delle vestigia o signa Dei, non fa che duplicare la logica allucinatoria del profeta per la quale esisterebbe un ordine sovrannaturale che fa segno all’ordine umano e naturale, a conferma della volontà trascendente e imperscrutabile di Dio. Dio parla agli uomini e alla storia annunciandoci e convalidando il suo messaggio attraverso segni: [i teologi] sognano misteri profondissimi celati nella Scrittura e, abbandonando ogni altra cosa utile, si affaticano a trovare in essa simili cose, cioè degli assurdi. Ciò che così fingono delirando, attribuiscono interamente allo Spirito Santo e si affannano a difendere i loro deliri con tutta la forza e l’impeto degli affetti44. La strategia argomentativa spinoziana nei confronti del «delirio» e delle «invenzioni» che ostacolano la conoscenza di «quanto la Scrittura o lo Spirito Santo vuole insegnare»45 parte quindi dalla considerazione del contenuto stesso della rivelazione. Dal punto di vista speculativo la Scrittura tratta cose che «di fatto superano la comprensione umana», non apportando alcun aumento di conoscenza46. I profeti dissentivano profondamente «sulle cose speculative», le loro opinioni essendo conformi ai «pregiudizi della loro epoca». Per di più, il volgo conserva la lingua dei dotti, ma «solo i dotti conservano i libri e il senso dei discorsi», mutando o corrompendo il senso dei libri «che ebbero in loro potere»47. Le conclusioni sono evidenti: «il nostro metodo insegna solo a scoprire che cosa in realtà videro o udirono i profeti, non che cosa vollero significare con quei loro geroglifici»48. Parlando della costituzione e della natura della lingua in cui la Bibbia è stata scritta Spinoza arriverà ad affermare «che è impossibile scoprire un metodo che insegni a trovare con certezza il vero senso di tutte le frasi della Scrittura»49. In breve, l’esercizio ermeneutico dimostra l’infondatezza del44 TTP, 7, G. III, p. 98; M. p. 545. Ibid. 46 TTP, 7, G. III, p. 99; M. p. 546. 47 TTP, 7, G. III, pp. 104-106; M. pp. 553-555. 48 TTP, 7, G. III, p. 105; M. p. 553. 49 TTP, 7, G. III, p. 107; M. p. 556. 45 08Donna_1.qxp:Layout 1 15-12-2014 11:21 194 Pagina 194 Diego Donna lo stesso metodo interpretativo: sia perché «possiamo solo indovinare [il senso dei testi] ma non dedurlo dai fondamenti della Scrittura»50, sia perché solo le dottrine morali, che della Scrittura rappresentano il vero insegnamento, sono «incorrotte». Esse conseguono «con la massima evidenza da questo fondamento universale: propugnare la giustizia, essere d’aiuto a chi ha bisogno, non uccidere, non desiderare alcuna cosa d’altri ecc.». E la «malizia degli uomini o il tempo vorace non poterono corrompere o cancellare nessuna di queste cose»51. L’insegnamento morale è perfettamente comprendibile senza il ricorso ad alcuna interpretazione, letterale, teologica, o filosofica che sia. A cosa si riduce allora il compito dell’ermeneutica? Svelare la natura della Bibbia in quanto libro popolare per eccellenza, comprensibile da tutti rispetto al suo contenuto morale, del tutto oscuro per quanto concerne la dottrina speculativa. «Le dottrine sulla vera pietà sono espresse nei termini più correnti, giacché sono dottrine assai comuni, né meno semplici e facili da comprendere»52. Del tutto chiare ed evidenti agli occhi del popolo, esse potranno essere colte senza il ricorso ad alcuna interpretazione. Ed una volta sottratte al giogo delle forme passionali ed immaginative della religione, coincideranno con l’uso naturale delle «nozioni comuni»53. Il ritorno alla Scrittura dimostra insomma l’arbitrarietà e la contingenza di tutte le interpretazioni su cui per secoli si è affaticata la teologia. La ricerca dei «misteri profondissimi» da parte di coloro che antepongono il senso speculativo a quello morale impedisce anzi un autentico accesso al testo, laddove la lente dell’indagine razionale ne evidenzia la sua funzione di bacino immaginativo dell’autorità politica. La ragione è del resto l’unico ausilio a nostra disposizione per l’accertamento della verità in qualsiasi materia: «sono stupito – conclude Spinoza – che un uomo dotato di ragione [Alfakhar] si sforzi di distruggere la ragione»54. Inevitabile conseguenza, se si accetta incondizionatamente l’autorità della Scrittura: Se infatti la ragione, benché si opponga ad essa, si deve completamente sottomettere alla Scrittura, dobbiamo fare questo, io domando, con la ragione oppure senza la ragione, come dei ciechi? Se senza la ragione, agi- 50 Ibid. TTP, 12, G. III, p. 165; M. p. 631. 52 TTP, 7, G. III, p. 111; M. p. 562. 53 TTP, 7, G. III, p. 99; M. p. 546. 54 TTP, 15, G. III, p. 182; M. p. 651. 51 08Donna_1.qxp:Layout 1 15-12-2014 11:21 Pagina 195 Spinoza interprete dei profeti 195 remo certo da uomini stolti e privi di giudizio; se con la ragione, accoglieremo dunque la Scrittura per il solo comando della ragione, e quindi non l’accoglieremmo se ripugnasse alla ragione. E chi, io domando, può accogliere qualcosa con la mente se la ragione vi si oppone? Che significa, infatti, negare qualcosa con la mente, se non opporre la ragione. Non cesserò mai di stupirmi che vogliano sottomettere la ragione, il dono supremo e la luce divina, alle morte lettere55. In questo senso, l’attacco di Albert Burgh, uno dei corrispondenti di Spinoza convertitosi al cattolicesimo, coglie solo il punto d’avvio della strategia decostruttiva spinoziana. Il filosofo è accusato di «fabbricare» i propri «dogmi» avvalendosi dello stesso metodo della teologia riformata, «cioè della sola Scrittura». «E non ti lusinghi – continua Burgh – che non possono confutare la tua dottrina i Calvinisti, o i cosiddetti Riformati, né i Luterani, i Mennoniti, i Sociniani. Tutti costoro sono miseri al pari di te, e come te siedono all’ombra della morte»56. Ben diversa è in realtà la posizione del filosofo nei confronti dei teologi: il metodo del commento letterale ai testi è rivolto contro se stesso: impossibile determinare in modo univoco qualsiasi contenuto speculativo o teologico partendo dai testi. Ciò non significa che la filosofia abbia il compito di proiettare la propria luce nel dato rivelato «torturando» le parole della Scrittura: le verità scritturali non sono compatibili con le verità di ragione, né sotto la forma debole dell’allegoria né invocando il soccorso della teoresi filosofica. La critica al fideismo è in questo senso complementare a quella nei confronti di chi pretende di estrarre un contenuto razionale dalla superficie delle parole del testo sacro. La norma dell’idea vera esclude tutto ciò che è ad essa contrario: i profeti, continua Spinoza, a differenza di quanto credono al-Farabi, Avicenna, Averroè o Maimonide, non furono filosofi. L’interpretazione della Scrittura non rientra nei compiti della ragione, la quale è sì legittimata ad intraprenderne dall’esterno la propria lettura critica, ferma restando però la separazione tra filosofo e fedele: «la conoscenza rivelata è totalmente distinta dalla conoscenza naturale e non ha nulla in comune con essa. Sia l’una che l’altra possono quindi godere del proprio regno»57. La logica del commentario è inadeguata alle verità della filosofia, l’interpretazione letterale dei passi biblici si risolve in un non luogo a procedere, consideran- 55 Ibid. Burgh a Spinoza, Epistolæ [Ep.], 67, G. IV, p. 282; M. p. 1507. 57 TTP, praef., G. III, p. 10; M. p. 435. 56 08Donna_1.qxp:Layout 1 15-12-2014 11:21 Pagina 196 196 Diego Donna do la totale assenza d’unità o coerenza fra i testi, negata del resto anche sul piano teologico grazie all’analisi dei meccanismi della superstizione e dell’immaginazione profetica. Lo ribadirà l’appendice alla prima parte dell’Ethica, vero e proprio atto d’accusa nei confronti di ogni sapere teologico eretto a norma autonoma della verità: chi ricerca le vere cause dei miracoli e chi si adopera ad intendere le cose naturali come uno che sa e non ad ammirarle come uno stolto, per lo più è considerato e proclamato eretico ed empio da coloro che il volgo adora quali interpreti della natura. Sanno infatti, che tolta l’ignoranza, viene tolto anche lo stupore, l’unico mezzo che hanno per argomentare e difendere la propria autorità58. 2. Apostoli e profeti Il profeta ritiene di aver ricevuto il segno direttamente dal volere di Dio e lo confonde con la legge senza alcuna possibilità di discuterne le ragioni. Mosè apprese come guidare il proprio popolo senza doversi domandare se «quel modo era appunto ottimo. […] Pertanto, prescrisse tutte queste cose non come verità eterne, ma come mandati e istituti, e come leggi di Dio»59. La salvezza del filosofo discende dall’idea vera di Dio; le leggi di giustizia e di pietà, riconosciute ed obbedite dalla moltitudine per mezzo dell’immaginario simbolico e religioso, gettano le fondamenta dell’ordine sociale. Come in Mosè, Isaia, Geremia, Ezechiele: leggi etnicizzate e territorializzate, ma che giustificano anche una condotta di vita onesta e generosa, compatibile con l’ordinamento politico esteriore. In altre parole, non occorre possedere la vera scienza della natura di Dio per condurre una vita moralmente adeguata. Al contrario, i messaggi veicolati dalla conoscenza profetica, benché estranei alla comprensione della vera essenza divina, si prestano più facilmente della conoscenza intellettuale a fondare il legame politico. Più forte, infatti, è la potenza di socializzazione impressa nel loro carattere immaginativo. Vi è un caso, tuttavia, in cui il vincolo esteriore della religione incontra una legge universale che non costringe all’obbedienza, essendo stata espressa da una mente conforme «non alle sole opinioni dei Giudei, ma ad 58 59 E, I, app. G. II, p. 81; M. pp. 830-831. TTP, 4, G. III, p. 64; M. p. 501. 08Donna_1.qxp:Layout 1 15-12-2014 11:21 Pagina 197 Spinoza interprete dei profeti 197 opinioni e dottrine comuni al genere umano, ossia a nozioni universali e vere»60. Tale legge, compatibile alle nozioni comuni della ragione, è quella percepita intellettualmente da Cristo (ad mentem) e trasmessa dagli apostoli. Nell’Antico Testamento (i libri profetici) il volere di Dio coincide con la legge di Israele, l’insegnamento degli apostoli appare invece slegato da qualsiasi autorità politica esteriore: [I profeti] non furono chiamati a predicare e a profetizzare per tutte le nazioni, ma solo per alcun in particolare; avevano perciò bisogno di un mandato espresso e particolare per ciascuna. Gli apostoli, invece, furono chiamati a predicare a tutti, senza eccezione, e a convertire tutti alla religione. Pertanto, ovunque andassero, eseguivano il mandato di Cristo, né c’era bisogno che prima di partire fossero loro rivelate le cose da predicare. Erano infatti discepoli di Cristo, ai quali Cristo aveva detto: “quando vi consegneranno nelle loro mani, non vi date pensiero del come e di che cosa dovrete dire ecc”. (Matteo, 10, 19-20)61. L’apostolo trasmette una legge di giustizia e carità mediata interiormente dallo spirito di Cristo e disinvestita dalle leggi positive, la cui realizzazione spetta al sovrano terreno. L’insegnamento apostolico presenta così i contorni d’una religione basata su pochi insegnamenti, estranei al comando della profezia e al destino politico di un popolo solo. I precetti minimi della religione universale (religio catholica) derivano dalla comunicazione diretta di Cristo con Dio: «gli apostoli scrissero ma predicarono pure in qualità di maestri, e non in qualità di profeti», se non persino come «filosofi», basandosi sul lume naturale della ragione. Sembrerebbero delinearsi le condizioni di un’«etica universale», fondamento «dell’ottima vita civile», ma anche di una vita filosofica altissima, «totalmente» riassorbita nella conoscenza di Dio62. Anche in questo caso, tuttavia, l’argomentazione spinoziana è tutt’altro che univoca. Problematico appare anzitutto il passaggio dalle modalità di percezione che ebbe Cristo delle «cose nella verità» al loro insegnamento esteriore, dal contenuto intellettuale della conoscenza all’aspetto immaginativo della predicazione. Sul versante etico l’insegnamento di Cristo traghetta l’esperienza interiore del fedele in un’universalità morale fondata sulla carità, «raccomandata in entrambi i Testamenti»63, precisa comunque 60 TTP, 4, G. III, pp. 64-65; M. p. 502. TTP, 11, G. III, pp. 154-155; M. p. 617. 62 TTP, 4, G. III, p. 60; M. p. 497. 63 TTP, 12, G. III, p. 165; M. p. 631. 61 08Donna_1.qxp:Layout 1 15-12-2014 11:21 Pagina 198 198 Diego Donna Spinoza. Soprattutto, sul piano conoscitivo, Cristo percepì intellettualmente l’«essenza» di Dio «senza predisporre alcun mezzo corporeo»64. Riferendosi a tale forma intuitiva di conoscenza Spinoza non ne esplicita tuttavia il contenuto. Qual è l’essenza di Dio conosciuta da Cristo? Quella del Dio sostanza spinoziano (sembrerebbe non poter essere altrimenti se si identifica la figura di Cristo a quella del filosofo), o la natura del Dio persona della tradizione? Sappiamo con certezza dalle lettere che il Cristo di Spinoza è svuotato di qualsiasi natura divina: la sua resurrezione fu tutta spirituale, dirà Spinoza ad Oldenburg, e «per la salvezza non è affatto necessario conoscere Cristo secondo la carne»65. Cristo non è dunque il figlio di Dio. Per di più, sembra valere per lui la stessa regola riferita agli altri profeti, radicalmente estranei alla filosofia: se qualcuno vuole insegnare qualche dottrina a un’intera nazione, per non dire all’intero genere umano […] dovrà sforzarsi di adattare al meglio tanto i suoi argomenti quanto le definizioni delle cose da insegnare alle capacità di comprensione della plebe, che costituisce la maggioranza del genere umano66. Cristo comunicò alle genti non per via razionale, bensì per mezzo di parabole e segni esteriori, come richiesto dalle capacità di comprensione del popolo. È dunque un profeta o un filosofo? Spinoza non si deciderà né per l’una né per l’altra via, probabilmente in ragione dei motivi retorici e di prudenza cui si è fatto riferimento. Rimane il paradosso di un uomo che conosce uno intuitu ed adæquate i disegni e la natura divini, ma che non lascia traccia scritta del proprio pensiero: os Dei, come lo definisce Spinoza, promotore di una religione orientata ai semplici criteri di giustizia e carità. Come se in lui filosofia e teologia potessero momentaneamente riconciliarsi. In realtà, la figura di Cristo è il simbolo della lacerazione fra i due lati del potenziale uditorio a cui Spinoza rivolge il proprio appello per una vita secondo ragione: i cristiani da un lato, incapaci di diventare pienamente filosofi, i filosofi, dall’altro, costretti a pensare e a vivere in ossequio alla dottrina e all’autorità politica cristiana. La tensione tra fede e ragione, fra l’autorità della legge e la norma della verità, fra «carne» e «spirito», rimane irrisolta, indicando il paradosso della stessa vita filosofica 64 TTP, 1, G. III, p. 21; M. p. 445. Spinoza a Oldenburg, Ep. 73, G. IV, p. 308; M. p. 1302. 66 TTP, 5, G. III, p. 77; M. p. 518. 65 08Donna_1.qxp:Layout 1 15-12-2014 11:21 Pagina 199 Spinoza interprete dei profeti 199 che Spinoza proietta in quella di Cristo67. Riflesso teologico-politico della figura del filosofo, Cristo è un filosofo paradossale, che riserva a se stesso le verità della filosofia di fronte all’invincibile ignoranza delle masse; un uomo che pensa filosoficamente, benché costretto a ripiegare negli esempi morali di carità e d’amore accessibili al volgo. Sul versante politico, l’evoluzione storica della tradizione apostolica presenta del resto aspetti non meno problematici di quelli espressi dalla religione ebraica. Anzitutto perché man mano che le tendenze culturali e geografiche del cristianesimo sviluppano ciascuna la propria tradizione, lo scontro fra ortodossie contrapposte diventa inevitabile. In secondo luogo, l’assenza di una specifica autorità produce fin dagli inizi importanti divisioni circa il problema dei «fondamenti» della dottrina – si pensi al confronto fra Giacomo e Paolo sul rapporto tra fede e opere: Gli apostoli sono in accordo sulla religione, ma discordano grandemente sui fondamenti. Paolo, infatti, per confermare gli uomini nella religione e mostra loro che la salvezza dipende dalla sola grazia di Dio, insegno che non ci si può affatto gloriare per le azioni, ma per la sola fede, e che nessuno è giustificato dalle opere (vedi Romani 3, 27-28): di qui tutta la dottrina della predestinazione. Giacomo, invece, nella sua Lettera (vedi 2, 24), sostiene che l’uomo è giustificato dalle opere e non dalla sola fede. […] Infine, proprio perché gli apostoli edificarono la religione sopra fondamenti diversi, sono sorte molte controversie e molti scismi, mali da cui la Chiesa fu incessantemente tormentata sin dal tempo degli apostoli68. Nelle parole di Tosel, prende forma un potere politico, celato sotto la veste impolitica di una morale privata69; l’apostolo muta in teologo, espressione di una Chiesa in lotta per la propria egemonia politica e culturale. I dogmi della religio catholica sono oggetto di un nuovo scontro per il monopolio dell’interpretazione; difficile distinguere fra «dottori» e teologi: «accrebbero a tal punto i dogmi della religione, e li confusero a tal punto con la filosofia, che il sommo interprete della religione doveva essere, ad un tempo, sommo teologo e sommo filosofo»70. La comunità cristiana, ori- 67 Cfr. A. Tosel, Spinoza ou le crepuscule de la servitude, cit., p. 263. TTP, 11, G. III, p. 157; M. p. 621. 69 Cfr. A. Tosel, La figure du Christ et la vérité de la religion, in A. Bento, J.M. Silva Rosa (a cura di), Revisiting Spinoza’s Theological-Political Treatise, Hildesheim, Zürich, New York, Verlag, 2013, pp. 172-173. 70 TTP, 19, G. III, p. 237; M. p. 722. 68 08Donna_1.qxp:Layout 1 15-12-2014 200 11:21 Pagina 200 Diego Donna ginariamente alternativa al potere mondano, si è trasformata nell’ennesimo apparato ecclesiastico d’assoggettamento: quando più tardi, trascorsi molti anni, la religione cominciò ad essere introdotta nello Stato, gli ecclesiastici dovettero insegnarla agli stessi imperatori, così come l’avevano determinata. Poterono così ottenere facilmente di essere riconosciuti come i suoi maestri o interpreti, e quindi come i pastori della Chiesa e quasi vicari di Dio71. Qualunque esperienza religiosa, sia quella dell’Antico Testamento, la quale prescrive un’obbedienza diretta al volere di Dio non mediata da alcuna riflessione, sia quella mediata dall’insegnamento apostolico e conosciuta interiormente senza il ricorso ad alcun segno o autorità esterna, si risolvono in definitiva nel linguaggio contraddittorio e conflittuale dell’autorità. La religione del popolo ebraico elabora il proprio senso attorno alla profezia e al miracolo, traducendosi nell’elezione politica di una sola etnia; lo spirito di Cristo dovrebbe parlare alla coscienza di ciascuno. Entrambi si dimostrano tuttavia inscindibili dall’economia immaginaria del governo: quello direttamente teologico e politico della teocrazia ebraica, quello apparentemente impolitico del cristianesimo delle origini, corrotto però dall’evoluzione storica della Chiesa e dai suoi conflitti. La legge divina prescrive di amare Dio nella forma dell’obbedienza, la forma rinnovata del messaggio morale (filosofico?) ed apparentemente apolitico di Cristo non è a sua volta in grado di restituire l’idea adeguata di causa sui, o sostanza infinita, unica fonte da cui dedurre le leggi della potenza individuale e collettiva. In realtà, esperienza profetica e predicazione apostolica, il cui spartiacque sarebbe costituito dalla figura di Cristo, tendono a confondersi l’una nell’altra. Conclusioni Lo statuto dell’immaginazione rispetto all’intelletto, nonché la distinzione fra esperienza profetica e predicazione apostolica nel Tractatus theologicopoliticus sono oltremodo complessi e ambivalenti. Respinta sul piano intellettuale come possibile via nella scoperta della verità, l’immaginazione regola ed orienta gli uomini nel perseguimento dell’utile, il più delle volte mosso dal solo desiderio (ex sola libidine). In questo quadro, la religione 71 Ibid. 08Donna_1.qxp:Layout 1 15-12-2014 11:21 Pagina 201 Spinoza interprete dei profeti 201 ebraica è inequivocabilmente subordinata all’autorità politica. Più ambigua e sfumata è la posizione di Spinoza nei confronti del cristianesimo. Cristo non conobbe attraverso segni immaginativi o sensibili, e i suoi esempi non furono prescritti «come leggi»72. La conoscenza intuitiva di Cristo si distingue così sia dall’autorità del legislatore mosaico, sia dalle speculazioni indebite dei teologi cristiani. Il suo insegnamento resta nondimeno intrappolato nell’insieme dei precetti e delle figure che dominano la forma di vita immaginativa. Filosofo irriconoscibile per le masse, Cristo è costretto ad adattare «le sue parole al carattere della plebe […] ossia al carattere degli uomini carnali»73. Impossibile spezzare il legame fra segno, interpretazione e autorità. D’altronde, sul fronte filosofico le idee vere, che dipendono dall’idea adeguata di Dio, «sono comandi di Dio», poiché sono prescritte da Dio stesso «in quanto esiste nella nostra mente»74. Il che porterebbe a concludere che «norma» e «legge» diventano indistinguibili se tradotte sul piano della «pura mente». Ma Spinoza non conduce il suo ragionamento fino a questo punto, rivendicando al contrario la reciproca estraneità fra i due termini, salvo concedere talvolta spazio a posizioni più conciliatorie. Un dato sembra chiaro: il «sommo bene» (la conoscenza della potenza dell’intelletto e dell’ordine della natura in cui è inserito) non è deducibile se non dall’idea adeguata della causa prima dell’essenza e dell’esistenza di tutte le cose. Nell’idea adeguata di Dio – sostanza infinita e causa di sé in tutti i suoi modi – la norma della verità è sciolta dalla «servitù della Legge»75, poiché coincide con una pura forma di legge: «rispetta la legge divina soltanto chi si preoccupa di amare Dio non per il timore del supplizio, né per amore di altra cosa [ricchezze, fama, ecc.], ma per il solo fatto di sapere che il sommo bene è la conoscenza e l’amore di Dio»76. Un amore esemplificato in maniera perfetta dalla comunicazione della mente di Cristo con Dio, benché intraducibile, a quanto sembra, nelle forme esteriori dell’ordinamento politico e della vita passionale dell’uomo. 72 TTP, 4, G. III, p. 65; M. p. 502. Ibid. 74 TTP, 4, G. III, p. 60; M. pp. 496-497. 75 TTP, 4, G. III, p. 65; M. p. 502. 76 TTP, 4, G. III, p. 60; M. p. 497. 73 08Donna_1.qxp:Layout 1 15-12-2014 11:21 Pagina 202