BENTO SPINOZA (L`ETICA) Impressioni La prima volta che ho letto l

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BENTO SPINOZA
(L’ETICA)
Impressioni
La prima volta che ho letto l’Etica di Spinoza mi sono detto che:
L’Etica richiede lettori non pigri, discretamente dotati e soprattutto che abbiano molto tempo a
disposizione (non è un caso il fatto che io abbia maggiormente apprezzato questo testo in seconda
lettura durante il mio periodo di detenzione…) se le si concede tutto questo, in cambio offre molto
di più di quello che ci si può ragionevolmente attendere da un libro: svela l’enigma di questa nostra
vita, e indica la via della felicità, due doni che nessuno può disprezzare.
Ogni filosofo vuol trovare un senso, ossia un’unità del mondo; ma gli oggetti che deve considerare
sono infiniti e i nessi concettuali che deve stabilire tra di essi sono, se possibile, ancora più infiniti.
Il vigore di un filosofo è misurato dall’ampiezza di questa rete, che egli getta sulle cose, tentando di
afferrarle e di stringerle.
Ma ciò che conta ugualmente, è il tessuto di questa rete.
La bava del ragno deve essere rilucente e uniforme, e tenue abbastanza da ingannare la preda.
È la forza dello sguardo, che stabilisce questa unità, lucida ed avvolgente.
Per profondità di un filosofo, si intende appunto ciò, e, dopo i greci nessun filosofo è stato a mio
vedere profondo come Spinoza.
Che si accinge a leggere l’Etica, si trova anzitutto di fronte a difficoltà grandissime: le definizioni,
gli assiomi, le proposizioni, si presentano come bastioni inespugnabili, quasi isolati e ostili uni agli
altri. Ma approfondendo l’indagine, cioè scendendo nei cunicoli sotterranei di ciascun bastione, si
scoprono i collegamenti.
Per inoltrarsi nel buio di quelle gallerie, occorre possedere un cuore fermo, e un occhio notturno.
I contrasti tra i pensieri spinoziani vanno attenuandosi, man mano che si segue centrifugamente la
loro concatenazione. E chiunque si compiaccia di indugiare sull’incompatibilità di due proposizioni,
dovrebbe ragionevolmente dubitare dell’ampiezza del proprio respiro intellettuale, prima che della
coerenza di Spinoza. Perché il punto dove convergono i pensieri di costui l’unità della sua visione è
sepolto in un abisso, e occorrono giorni e mesi di meditazione, per scavare sino in fondo il pozzo di
ogni singola proposizione.
Se tale è la natura di Spinoza, a ben poco serve il collocarlo nel suo tempo, e studiarlo storicamente,
indagando il nesso che lo lega ai filosofi precedenti, e ricercando le tracce del suo pensiero nella
speculazione posteriore.
Certo, egli si serve di molti concetti offerti dalla tradizione, ma li riempie di suoi contenuti; e
quando avremo stabilito i suoi presupposti culturali e i suoi influssi, continueremo a scivolare lungo
la superficie di una sfera, in cui invece, come si è detto, si tratta di penetrare sino al centro.
D’altronde non ha senso chiederci che cosa sia vivo di lui oggi perché l’unica risposta sincera è
“nulla”; tale risposta, anziché autorizzarci a trascurarlo, dovrebbe indurci a riprenderlo seriamente
in considerazione. Perciò sono più stimabili o almeno utili, i suoi denigratori che non i cauti e
tiepidi ammiratori. Perché quelli fecero rumore intorno alle parole miti, ma terribili, che
suggerivano agli uomini la liberazione dai miti della religione e della filosofia, dalla credenza nel
libero arbitrio, dalla millenaria superstizione sul valore assoluto del bene e del male.
Eppure, ancora oggi il bene e il male sono concetti assoluti, e il finalismo domina le menti degli
uomini.
In Spinoza non vi sono fratture: la sua vita fu in armonia con il suo pensiero.
L’uomo non si distingue per la sua opera. E ancora, il problema della coscienza non si divide dal
problema morale. Cosi in ogni parte della sua opera.
L’antitesi fra razionalismo e irrazionalismo, cui da secoli tutti soggiacciono, è guardata dall’alto,
secondo la prospettiva del “conatus”
Il crepaccio che separa l’individuo dal tutto viene saldato, senza danno ne per una ne per l’altra
parte. Attraverso la cosa si può giungere intuitivamente alla totalità: la tesi mistica è dimostrata con
la ragione.
Spinoza è un’unità, mentre il mondo moderno è una molteplicità frantumata.
La voce di Spinoza giunge a noi da lontano, sommessa; non chiede di essere ascoltata.
L’Etica ha la fermezza di un tempio, in un paesaggio disabitato: se sapremo contemplarlo, penetrare
devoti nel suo interno conosceremo il divino…
Gimli inviato esterno de “La Gazzetta Dentro”
BENTO SPINOZA
(L’ETICA)
Avvertenze editoriali
La storia della stesura dell’ Etica e delle sue edizioni (latina e olandese) può essere cosi riassunta,
sulla base degli scarsi documenti che possediamo sulla vita di Spinoza e secondo i risultati della
critica moderna.
Negli anni intorno al 1660, prima di accingersi alla elaborazione geometrica del suo sistema
filosofico, Spinoza aveva esposto ad una cerchia di amici le sue idee.
I suoi amici le raccolsero poi in quella che è considerata la sua prima opera e che, per la lacunosità,
la disorganicità e le evidenti alterazioni del testo, può oggi valere soltanto come un primo abbozzo
dell’Etica. Dalla corrispondenza di Spinoza con i suoi amici di Amsterdam, risulta che, gia nel
Febbraio 1663, egli aveva a loro inviato le prime proposizioni dell’Etica.
Nel Giugno 1665, le prime due parti dell’opera erano state portate a termine, la terza non ancora per
problemi legati alla traduzione.
Questa constatazione è molto importante, perché secondo gli esperti permette di spiegare il rapporto
che intercorre tra il testo latino dell’Etica e quello della traduzione olandese , pubblicati ambedue
postumi e nell’anno stesso della morte di Spinoza.
Gimli inviato esterno de “La Gazzetta Dentro”
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