Il trattamento del dolore cronico muscolo-scheletrico

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ANNO 16 - NUMERO 1 - 2016
Osteoreport
Il trattamento
del dolore cronico
muscolo-scheletrico.
Ruolo dei miorilassanti
Marco Ghini
Specialista Reumatologo
Azienda USL Modena
osteoporosi.it
ANNO 16 - NUMERO 1 - 2016
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osteoreport
Il trattamento del dolore cronico
muscolo-scheletrico. Ruolo dei miorilassanti.
Marco Ghini
Specialista Reumatologo Azienda USL Modena
Introduzione
Che la lotta contro il dolore
rappresenti uno dei capisaldi
della professione medica è
dimostrato dal fatto che già
nel 400 a.c. con Ippocrate si
fanno strada i concetti che il
dolore deve essere dominato
attraverso il gesto tecnico e
che “Il medico e il malato
devono, insieme, combattere contro la sofferenza”.
Con la pubblicazione della
Legge 38 del 15 Marzo 2010
lo Stato Italiano ha sancito il
diritto di ogni paziente affetto da dolore cronico ad essere curato1, ponendosi di fatto all’avanguardia in Europa
come prima nazione dotata
di una legge specifica sul
trattamento del dolore cronico. Sostenendo il diritto di
ogni cittadino a non soffrire,
la legge riconosce che il dolore, da solo, può costituire
una malattia e disciplina l’esercizio di tale diritto, attraverso novità assistenziali che
coinvolgono sia il personale
sanitario che i pazienti.
Dalla definizione di “malato” come, fra l’altro, “persona affetta da patologia dolorosa cronica da moderata a
severa”, a quella di “terapia
del dolore” come “l’insieme
di interventi (...), rivolti a
elaborare percorsi diagnostico-terapeutici per la soppres-
sione ed il controllo del dolore”, appare chiaro lo sforzo
del legislatore di contribuire
a creare una nuova cultura di
cura del dolore, mettendo
concretamente a disposizione del medico tutti gli strumenti terapeutici disponibili
in farmacopea, inclusi i farmaci oppiacei e non, tra i
quali hanno un ruolo rilevante i miorilassanti. Ai sensi della legge, il personale sanitario ha adesso l’obbligo
di monitorare il dolore dei
pazienti, a prescindere dalla
patologia per la quale vengono ricoverati o valutati. La rilevazione del dolore e la
somministrazione di farmaci antalgici devono essere annotate sulla cartella clinica,
con dosaggi e risultati di sollievo raggiunti (concetto di
“Dolore come quinto segno
vitale” insieme a pressione
arteriosa, frequenza cardiaca, temperatura corporea,
frequenza respiratoria).
La grande innovazione rappresentata dalla legge 38 è
stata riconosciuta a livello
internazionale, tanto che la
Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) ha chiesto
di adottare la legge italiana
38/2010 sulle cure palliative
quale "model law" per la legislazione mondiale in materia.
La dimensione del problema. I dati dello studio
“Pain Proposal. Improving
the current and future management of chronic pain.
A European consensus report”
Il dolore cronico rappresenta
senza dubbio un problema
di importanza sociale, innanzi tutto per la sua elevata
prevalenza, ma anche in
quanto influenza pesantemente la qualità di vita del
paziente. Oltre all’impatto
sociale, sono molto gravi anche le ripercussioni economiche: ogni anno in Italia
vengono perse circa 200 milioni di giornate lavorative
ed a livello europeo è stato
calcolato che i costi complessivi del dolore cronico per i
sistemi sanitari dei vari paesi
sono pari a 300 miliardi di
euro (circa il 2-3% del PIL
per ogni stato). Questi dati
sono tratti dal report pubblicato dalla European Pain Federation (EFIC) nel 2010,
denominato “Pain Proposal” che ha coinvolto esperti
provenienti da 15 paesi europei2. Dall’esame dei dati
riportati si evince che il 19%
dei cittadini europei è affetto
da dolore cronico riportando un devastante impatto
sulla qualità della vita. Di
questi infatti, il 29% rischia
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di perdere il posto di lavoro,
nel 27% dei casi i pazienti si
sentono socialmente isolati
a causa del dolore e il 62% è
convinto che ci sia poca consapevolezza da parte del sistema sanitario riguardo a
questo problema. Per quanto attiene diagnosi e terapia,
i pazienti con dolore cronico
si rivolgono al medico curante circa 2 volte al mese, il
25% si è rivolto al Pronto
Soccorso ed il 22 % è stato ricoverato a causa del dolore,
la latenza media tra insorgenza del dolore e diagnosi
varia da 2,2 a 5 anni, nel
38% dei casi il dolore risulta
non adeguatamente trattato.
Nel 20% circa dei pazienti
con dolore cronico addirittura non viene fatta la diagnosi (Fig. 1).
Le cause del dolore cronico
sono prevalentemente di tipo muscolo-scheletrico (Fig.
2) ed in queste patologie
(back pain, sindromi miofasciali, sindrome fibromialgica, ecc.) un ruolo predominante è svolto dalla contrattura muscolare.
Le strategie terapeutiche utilizzate per il trattamento del
dolore cronico sono in prima istanza rappresentate dai
farmaci, seguiti dalle terapie
fisiche, l’agopuntura e la
osteopatia (Fig. 3).
3
Nel complesso dallo studio
europeo “Pain proposal”
emerge un quadro abbastanza drammatico riguardante
il dolore cronico, con milioni di persone interessate da
questa patologia che sono in
gran parte diagnosticate tardivamente, trattate in modo
inadeguato e non soddisfatte
delle risposte date loro dai
sanitari. Sulla base di questi
dati appare essenziale applicare più corretti protocolli di
diagnosi e cura, anche alla
luce della esperienza clinica
maturata sul campo, delle linee guida internazionali e
dei modelli di studio già disponibili, in ottemperanza alle nuove prescrizioni normative in materia contenute
nella già citata Legge 38 del
2010, considerando anche
che a questo punto il medico
può essere chiamato a rispondere in sede legale ad
eventuali inadempienze relative alla gestione dei pazienti con dolore cronico.
La Sindrome Fibromialgica
come modello di studio
del dolore cronico
muscolo-scheletrico
Tra le patologie caratterizzate da dolore cronico muscolo-scheletrico la Sindrome
Fibromialgica (FMS) è fra le
più studiate e può essere pertanto considerata un importante modello fisiopatologico per la comprensione della
patogenesi e delle modalità
terapeutiche del dolore cronico.
TOTALE
16%
Finlandia
27%
Portogallo
23%
Svezia
22%
Belgio
22%
Grecia
19%
Francia
18%
Austria
18%
Italia
18%
Svizzera
18%
Norvegia
16%
Spagna
13%
Irlanda
13%
Regno Unito
13%
Germania
10%
Olanda
6%
Figura 1 - Percentuale (%) di casi di dolore cronico non diagnosticati - Suddivisione per nazione
europea. Modificato da (2)
LE CAUSE PIÙ FREQUENTI
Disturbi alla schiena
55%
Dolore articolare
46%
Dolore cervicale
34%
ALTRE CAUSE FREQUENTI
Cefalea
22%
Artrosi
18%
Emicrania
16%
Fibromialgia
13%
Neuropatia
11%
Interventi chirurgici/procedure mediche
10%
Dolore viscerale
7%
Diabete
4%
Dolore oncologico
2%
Herpes zoster
1%
Figura 2 - Diverse origini del dolore cronico. Modificato da (2)
Epidemiologia, definizione
e diagnosi della FMS
In base al primo studio di
popolazione italiano pubblicato nel 2006 la prevalenza della FMS nella popolazione generale del nostro
paese è del 9,4% (pari a più
di 5 milioni di individui affetti), mentre considerando
solo il sesso femminile si ar-
riva addirittura al 14,5%3.
La FMS, caratterizzata da sofferenza muscolo-scheletrica
diffusa e presenza di punti
elettivi di dolorabilità (definiti tender points, da non
confondere con i trigger
points che sono l’elemento
caratterizzante la sindrome
4
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miofasciale), presenta aspetti clinici multiformi ed è definita da una triade sintomatologica tipica: dolori muscolari diffusi, intensa astenia, insonnia (sonno non ristoratore). L’esordio può essere subdolo, progressivo,
oppure improvviso (conse-
guente a trauma o altro fattore scatenante). Negli ultimi
20 anni sono stati utilizzati
dai reumatologi di tutto il
mondo i criteri diagnostici
messi a punto nel 1990
dall’American College of
Rheumatology (ACR) che
stabiliscono che per la dia-
gnosi di FMS deve essere presente da almeno 3 mesi dolore diffuso (cioè che interessa l’emisoma superiore e inferiore, destro e sinistro come anche lo scheletro assiale), associato a dolorabilità
in almeno 11 dei 18 tender
points. Tali criteri sono stati
a più riprese contestati relativamente alla soggettività
nella esecuzione della palpazione dei punti tender che,
se non eseguita correttamente, porta a frequenti errori
diagnostici, sia da parte del
medico di medicina generale
(MMG) che dello specialista.
Per ovviare a questi inconvenienti lo stesso ACR ha pubblicato nel 2010 un nuovo
set di criteri per la diagnosi
di FMS, ulteriormente aggiornati nel 20114, non più
basato sulla conta dei tender
points, ma sulla somministrazione di due specifiche
scale di valutazione ad hoc
(vedi Fig. 4). Tale set di criteri non si sostituisce al precedente (che rimane valido se
correttamente seguito), ma
rappresenta una valida alternativa diagnostica, in particolare per il MMG5.
Il ruolo della genetica
e delle tecniche di
neuroimaging nella
comprensione della
eziopatogenesi della FMS
La genetica gioca certamente
un ruolo importante nella
patogenesi della FMS. I parenti di primo grado dei pazienti affetti da FMS hanno
un rischio 8 volte maggiore
di sviluppare la malattia rispetto alla popolazione generale6. Inoltre i pazienti con
FMS mostrano frequentemente polimorfismo per il
gene del recettore della serotonina (5HTT), del recettore
della dopamina (D4) e dell’enzima catecol-o-metiltransferasi (COMT) coinvolto nel metabolismo della no-
0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90% 100%
Terapia farmacologica
Fisioterapia
Terapia fisica
Massoterapia
Termoterapia caldo/freddo
Stimolazione nervosa
transcutanea
Agopuntura
Terapia a pressione
Osteopatia
Terapia chiropratica
Ipnosi
Overoll
Main
Max
Altro (specificare)
Nessuno dei citati
Figura 3 - Tipi di trattamento del dolore cronico. La terapia farmacologica è di gran lunga il tipo
di trattamento più spesso utilizzato (69%), seguito dalla fisioterapia (21%) e dalla terapia fisica
(21). Modificato da (2)
Figura 4 - Nuovi criteri diagnostici per la FMS (American College of Rheumatology) Modificato da (4).
radrenalina7. Esiste un’ampia variabilità nella percezione del dolore tra i diversi
individui e anche questo fenomeno può essere spiegato
su base genetica. Infatti, re-
centemente sono state individuate 3 varianti genetiche
(aplotipi) del gene che codifica per la COMT, designate
come “bassa sensibilità dolorifica” (LPS), “media sensiosteoporosi.it - NUMERO 1 - 2016
bilità dolorifica” (APS) e “alta sensibilità dolorifica”
(HPS). Questi aplotipi sono
presenti nel 96% della popolazione ed esistono 5 possibili combinazioni che deter5
minano nel singolo individuo la sensibilità al dolore.
La presenza anche di un singolo aplotipo LPS diminuisce di 2,3 volte la probabilità
di sviluppare condizioni di
dolore cronico. L’inibizione
della COMT nel ratto comporta un’aumentata sensibilità al dolore. L’aplotipo LPS
determina livelli molto maggiori di attività enzimatica
COMT rispetto agli altri 2
aplotipi8. Oltre al deficit delle vie serotoninergiche e noradrenergiche, un secondo
meccanismo che sembra essere fondamentale nello sviluppo della sintomatologia
caratteristica della FMS è correlato al marcato aumento di
sostanza P che è stato evidenziato nel liquido cerebrospinale dei pazienti affetti da FMS9.
In un prossimo futuro la diagnosi di FMS potrà essere basata oltre che sulla determinazione del polimorfismo
genico, in quanto test di laboratorio sono già allo studio, anche sull’impiego di
tecniche di neuroimaging,
quali la Risonanza Magnetica Funzionale (fMRI). Utilizzando questa nuova metodica di neuroimaging, la quale
è in grado di evidenziare l’attività funzionale delle varie
aree cerebrali unitamente alla loro morfologia, si è osservato infatti che dopo applicazione di stimolo algogeno
in 16 pazienti FMS e in 16
controlli, lo stimolo in grado
di provocare dolore nei pazienti FMS era di 2,4 Kg/cm²
mentre nei controlli era di
4,1 Kg/cm². Il pattern di attivazione cerebrale era simile
(con 7 aree in comune). Lo
stimolo di 2,4 Kg/cm² nei
controlli attiva solo 1 area
cerebrale, contro le 13 dei
pazienti FMS. Gli autori dello studio concludono che la
FMS è caratterizzata da una
amplificazione corticale e
sottocorticale della percezione dolorosa ed è verosimilmente questo il meccanismo
principale alla base dello sviluppo di iperalgesia nei pazienti affetti da FMS10. Questa nuova metodica radiologica si propone quindi in un
prossimo futuro come uno
strumento diagnostico essenziale nella FMS, ed è anche ipotizzabile un suo ruolo nella decisione terapeutica (utilizzo di farmaci selettivi in base alla disfunzione
documentabile di alcuni neurotrasmettitori correlabili alle aree cerebrali che mostrano deficit di attivazione).
6
osteoporosi.it - NUMERO 1 - 2016
Il trattamento della FMS
Fino ad alcuni anni fa la terapia della FMS era considerata
del tutto empirica, legata fondamentalmente alla esperienza clinica dello specialista.
Dal 2005 ad oggi sono stati
pubblicati 3 set di linee guida:
le Linee Guida dell’American
Pain Society (APS: 2005)11, le
Linee Guida della European
League Against Rheumatism
(EULAR: 2008)12 e le Linee
Guida canadesi National Fibromyalgia Guideline Advisory Panel (NFGAP: 2012)13.
Le raccomandazioni relative
alla terapia farmacologica
maggiormente seguite negli
ultimi anni sono quelle della
APS: il primo intervento farmacologico deve essere rappresentato da un miorilassante ad azione centrale (es.
ciclobenzaprina da 10 a 30 mg
al momento di coricarsi o tizanidina da 2 a 6 mg); per la
gestione del dolore deve essere utilizzato il tramadolo
(50-100 mg 2 o 3 volte al dì)
da solo o in combinazione
con paracetamolo; in caso di
risposta insufficiente si potrà
associare per la terapia del
dolore un inibitore del riassorbimento della 5HT (SSRI) da
solo oppure in associazione
ai triciclici; non sono indica-
ti né i FANS né i corticosteroidi. Nelle più recenti linee
guida dell’EULAR sono state
aggiunte le indicazioni al
trattamento con duloxetina e
milnacipran (inibitori duali
della ricaptazione di 5HT e
NA), pregabalin e pramipexolo. Nelle ultime linee guida
pubblicate (NFGAP) per la
prima volta si pone indicazione al trattamento del dolore con oppiacei maggiori
(metadone o tapentadolo) e
con cannabinoidi.
Ciclobenzaprina: questo
miorilassante viene considerato farmaco di prima linea
nelle linee guida APS. Esistono 2 studi sull’efficacia del
trattamento della FMS con
ciclobenzaprina contro placebo: quello di Bennett et al,
del 1988, condotto su 120
pazienti14 e quello di Carette
et al del 1994 (208 pazienti)15. La ciclobenzaprina è
stata somministrata ad una
dose media giornaliera variabile da 10 a 40 mg e per
una durata oscillante da 4 a
12 settimane. La metanalisi
degli studi ha confermato
che i pazienti trattati hanno
probabilità 3 volte maggiore
di presentare sia miglioramento complessivo che di
singoli sintomi16. Il problema principale dell’utilizzo
della ciclobenzaprina è quello degli effetti collaterali; il
farmaco è strutturalmente
correlato ai triciclici con i
quali condivide infatti gli effetti collaterali (sonnolenza,
secchezza delle fauci, stipsi,
ecc.) che si presentano con
elevata frequenza (30 % dei
casi) e ne limitano quindi la
somministrazione.
Tizanidina: è un miorilassante ad azione centrale che
agendo come agonista dei
recettori alfa-2-adrenergici
localizzati a livello spinale
riduce gli spasmi muscolari e
il tono muscolare patologicamente aumentato inter-
rompendo il circolo vizioso
dolore-contrattura-dolore
attraverso un effetto miorilassante che si traduce in efficacia antalgica17 (Fig. 5)
L’utilizzo della tizanidina
nella FMS ha preso l’avvio
dalla osservazione di Ono e
coll. che hanno documentato l’effetto del farmaco nel ridurre il rilascio di sostanza P
in vitro da preparati di midollo spinale di ratto stimolati
con la neurotossina veratridina18. Ipotizzando che la
tizanidina avesse lo stesso
effetto in vivo sul midollo
spinale umano, Russell e
coll. hanno studiato 25 pazienti fibromialgici, somministrando per 8 settimane tizanidina in unica dose serale
a posologia variabile da 4 a
24 mg. I livelli di sostanza P
nel liquor sono diminuiti in
modo statisticamente significativo (P = 0.02) in corso di
terapia con tizanidina. Solo
2 pazienti hanno abbandonato lo studio per effetti collaterali (8 %). Clinicamente
i pazienti hanno riferito un
significativo miglioramento
del sonno, del dolore soggettivo e della funzione fisica.
L’autore conclude così che la
tizanidina è ben tollerata e
può essere utile nel trattamento della FMS19.
Nel 2000 è stato poi pubblicato uno studio sull’utilizzo
di tizanidina nella FMS in un
piccolo campione di pazienti (43)20. È stato utilizzato un
dosaggio iniziale serale di 2
mg, incrementato poi a 4 mg
dopo 5 giorni e, se tollerato,
a 6 mg successivamente. Solo 6 pazienti hanno sospeso
la terapia per effetti collaterali (13%). Nei restanti pazienti al termine del trattamento l’autore ha documentato un significativo miglioramento del numero di tender points dolenti, del FIQ
(Fibromyalgia Impact Questionnaire) e dello score del-
Navizan agisce come
agonista dei recettori
alfa-2 adrenergici8
Navizan riduce il rilascio
di aminoacidi eccitatori
nel midollo spinale8
Recettori
alfa-2 adrenergici
Recettori per
gli aminoacidi
eccitatori
Aminoacidi
eccitatori
Figura 5 - Meccanismo d’azione della tizanidina: il legame della tizanidina ai recettori alfa-2adrenergici localizzati a livello spinale riduce il rilascio di amminoacidi eccitatori nel midollo
spinale, facilita l’azione della glicina ed inibisce i neuroni motori. (SHEIK)
la VAS relativamente ad astenia, dolore e sonno. I risultati sono apparsi migliori nei
pazienti che hanno proseguito la attività lavorativa
durante il trattamento rispetto a quelli che sono rimasti
inattivi.
La tizanidina può inoltre essere somministrata in associazione ai FANS. Un recente
studio clinico ha dimostrato
che l’associazione tra tizanidina e aceclofenac determina un maggiore sollievo dal
dolore rispetto all’uso del solo miorilassante21. Inoltre la
tizanidina in questo tipo di
associazioni esplica un effetto gastroprotettivo in quanto
riduce la secrezione degli acidi gastrici e protegge la mucosa modificando il contenuto delle glicoproteine gastriche alterato dai FANS22.
Oltre il sollievo dal dolore,
l’associazione della tizanidina ad altre terapie, riduce il
consumo stesso di FANS e altri farmaci comunemente
utilizzati in queste condizioni come ansiolitici e antide-
pressivi riducendo in questo
modo i loro potenziali effetti
collaterali21.
Antidepressivi: una recente
metanalisi pubblicata sul
Journal of the American Medical Association conferma
l’efficacia dei farmaci antidepressivi nei pazienti fibromialgici nei quali questi farmaci sono in grado di ridurre il dolore e i disturbi del
sonno e migliorare il tono
dell’umore e la qualità di vita. La metanalisi ha analizzato 18 studi randomizzati che
hanno coinvolto complessivamente 1.427 partecipanti.
Gli studi erano tutti a breve
termine, uno solo a 28 settimane, un altro a 16 settimane e gli altri duravano non
oltre le 12 settimane. L’analisi ha preso in esame 9 diversi
farmaci antidepressivi, inclusi 2 triciclici, 3 SSRI (inibitori del reuptake della serotonina), 2 inibitori duali
del reuptake della serotonina e della noradrenalina
(SNRI) e 2 anti-MAO. I farmaci triciclici sono risultati i
più efficaci e sono stati i soli
ad avere effetto sul sintomo
fatica. I farmaci studiati di
questa classe sono amitritptilina (7 studi) e nortriptilina (1 studio). Questi due farmaci venivano impiegati a
dosi variabili tra i 12,5 e i 50
mg/die, molto al disotto delle dosi per la cura della depressione e allineate alle dosi per la terapia del dolore.
Altri antidepressivi risultati
efficaci in studi controllati sono: paroxetina, citalopram,
sertralina. Anche duloxetina,
studiata su oltre 1.100 pazienti verso i 446 degli 8 studi
con triciclici, ha evidenziato
una buona efficacia23.
Tramadolo: il tramadolo è
un analgesico ad azione centrale che agisce principalmente mediante inibizione
della ricaptazione di noradrenalina e di serotonina24.
Il tramadolo viene commercializzato anche in associazione con paracetamolo il
quale esplica la sua azione
analgesica mediante inibizione della sintesi di NO e
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del rilascio di PGE2 nel sistema nervoso centrale. Il profilo di efficacia/sicurezza dell’associazione paracetamolo/tramadolo nel trattamento della FMS è stato valutato,
fra l’altro, nel corso di un interessante studio pubblicato
da Bennet et al sull’American
Journal of Medicine.
Obiettivo dello studio in
doppio cieco, randomizzato,
controllato con placebo era
quello di valutare l’efficacia e
la tollerabilità dell’associazione analgesica paracetamolo 325 mg + tramadolo
37,5 mg nel trattamento del
dolore da FMS. Lo studio è
stato condotto su 315 pazienti adulti (19-75 anni)
con diagnosi di fibromialgia
secondo i criteri dell’American College of Rheumatology. Al termine dello studio
i pazienti trattati con paracetamolo + tramadolo hanno
manifestato un’intensità del
dolore significativamente inferiore e un sollievo del dolore significativamente superiore rispetto ai pazienti trattati con placebo.
Nessun evento avverso grave
è stato associato dagli osservatori al trattamento in studio25.
Pregabalin: il più ampio studio randomizzato contro
placebo mai effettuato in
pazienti con FMS (n=529)
è stato condotto con pregabalin, su 4 bracci di trattamento: 150 mg=132 pz; 300
mg=134 pz; 450 mg=132 pz;
placebo=131 pz. I risultati
confermano che pregabalin
al dosaggio di 450 mg riduce
in modo statisticamente significativo dolore ed astenia
e migliora la qualità del sonno e della vita (SF-36). Le sospensioni del trattamento
per effetti collaterali sono
state nell’ordine del 9%.
Su queste basi pregabalin è
stato approvato dalla FDA
per il trattamento della FMS
il 21 giugno del 200726.
7
Duloxetina: la duloxetina è
stata approvata dalla FDA
per il trattamento della FMS
il 13 giugno del 2008. Fra gli
studi più interessanti citiamo uno studio randomizzato in doppio-cieco contro
placebo condotto su 354 pazienti FMS con depressione
(26%) o senza depressione
(74%). Nei 3 bracci dello
studio è stata somministrata
duloxetina al dosaggio di 60
mg (118 pazienti) e 120 mg
(116 pazienti); vs placebo
(120 pazienti). L’obiettivo
della riduzione di almeno il
30% del dolore è stato raggiunto con duloxetina 60 mg
e 120 mg con p<0,001 rispetto al placebo. L’effetto
sul dolore è indipendente
dall’effetto sull’umore e non
è correlato alla presenza o
meno di depressione. Ambedue i dosaggi sono stati ben
tollerati27.
Milnacipran: la FDA in data
14 Gennaio 2009 ha approvato l’utilizzo di milnacipran per la terapia della FMS.
Il farmaco è un inibitore
duale della ricaptazione di
serotonina e noradrenalina,
già indicato per la cura della
depressione da moderata a
severa e per la terapia del dolore cronico. L’efficacia e la
sicurezza del farmaco in questa indicazione sono state
valutate nel corso di 2 studi,
il primo a 6 mesi ed il secondo a 3 mesi, che hanno coinvolto 2.084 pazienti (1.460
milnacipran, 624 placebo),
affetti da FMS.
Questi studi hanno evidenziato che il milnacipran, alla
dose di 100-200 mg/die, dimostra una efficacia statisticamente significativa e clinicamente rilevante nel migliorare il dolore, la funzionalità fisica e la valutazione
complessiva dello stato di
salute da parte del paziente.
In questi 2 studi, il farmaco
ha determinato una riduzio-
ne statisticamente significativa e clinicamente rilevante
rispetto al basale, di almeno
il 30% del dolore e una elevata percentuale di pazienti
si sono dichiarati “migliorati
moltissimo”28.
Oppiacei: il dolore neuropatico per molto tempo è stato
considerato totalmente resistente agli oppiacei, tanto
che questi farmaci non venivano prescritti in tale condizione. Più recentemente il
consenso clinico sull’impiego degli oppiacei è andato
aumentando come conseguenza di numerosi studi di
efficacia nelle varie forme di
dolore neuropatico. Tra gli
oppiacei i più efficaci in questo tipo di dolore sono risultati essere il metadone, l’ossicodone e l’idromorfone; di
particolare interesse la recente commercializzazione di
Tapentadolo, capostipite di
una nuova classe di oppiacei, denominati MOR/NRI
in ragione del duplice meccanismo d’azione (legame ai
recettori oppiacei MOR ed
inibizione della ricaptazione
di noradrenalina).
Il Tapentadolo è stato inserito, unitamente al metadone,
nelle nuove linee guida canadesi (NFGAP: 2012) per la
terapia della FMS come farmaco di seconda linea dopo
il paracetamolo ed il tramadolo. Oltre al classico meccanismo di azione basato sulla
azione sui recettori MOR a livello spinale che si traduce
in un potenziamento delle
vie inibitorie discendenti, è
stato dimostrato che gli oppiacei hanno anche effetti
periferici. La infiammazione
dei tessuti periferici porta ad
un aumento del coupling tra
proteina G e recettori degli
oppiacei. Il rilascio di oppiodi endogeni a tale livello inibisce la eccitabilità dei neuroni sensitivi e blocca il rilascio di neuropeptidi ad azio-
8
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ne proinfiammatoria e questo conduce alla azione analgesica29.
Cannabinoidi: l'utilizzo di
derivati della cannabis nella
terapia del dolore cronico è
stato oggetto di numerosi dibattiti negli ultimi anni30.
L'uso terapeutico del nabilone (cannabinoide sintetico)
è permesso in Canada per il
trattamento del dolore cronico ed il farmaco è stato introdotto nelle linee guida
NFGAP 2012 sulla base di
due studi pubblicati nei quali l'uso di nabilone ha portato ad un significativo miglioramento del dolore e della
qualità del sonno nei pazienti affetti da FMS31, 32.
Il dolore come malattia:
il trattamento del dolore
cronico
Sulla base di quanto esposto
in precedenza, lo studio della FMS si conferma come importante modello per dimostrare una base neurofisiologica ben definita alle patologie caratterizzate da dolore
cronico muscolo-scheletrico
ed una predisposizione genetica nella determinazione
della sensibilità dolorifica di
ogni individuo. Ne deriva il
nuovo concetto di dolore come malattia e non più solo
come sintomo. Un sintomo
può essere trattato come tale,
una malattia va interpretata
e curata in base alle cause:
ciò comporta un differente
approccio alla terapia del
dolore cronico, che preveda,
fra l’altro, l’utilizzo sinergico
di farmaci non oppioidi
(miorilassanti, benzodiazepine, analgesici, etc), antidepressivi ad azione analgesica
e oppiacei maggiori.
L’OMS, già da diversi anni
ha messo a punto una scala
di trattamento del dolore
che riassume in modo molto
efficace le più recenti linee
guida sull’argomento33, co-
dificando anche le principali
classi farmacologiche disponibili in farmacopea (Fig. 6).
La scala della OMS appare
particolarmente interessante
non solo perché offre al clinico uno schema semplice
ed efficace di intervento e di
graduazione progressiva dell’offerta terapeutica, ma anche perché ben introduce un
moderno approccio alla terapia del dolore: la terapia
analgesica multimodale.
Il concetto di analgesia
multimodale
Il concetto di analgesia multimodale, o equilibrata, ha
fatto la sua comparsa in letteratura già a partire dalla
prima metà degli anni novanta (Fig. 7). L’idea di base
è di sfruttare i diversi meccanismi e siti di azione dei farmaci analgesici, prevedendo
l’utilizzo di miorilassanti e
FANS, oppure degli oppioidi
in associazione con paracetamolo, con l’obiettivo di ottenere un potenziamento sinergico dell’effetto analgesico, che consenta nel contempo una riduzione del dosaggio dei singoli principi attivi
ed in definitiva l’ottimizzazione del rapporto rischio/
beneficio del trattamento
considerato nella sua globalità. Sul piano pratico ciò
può essere ottenuto utilizzando formulazioni farmaceutiche a dosaggio fisso, caratterizzate da una maggior
maneggevolezza e da una facilitata compliance del paziente, o da protocolli terapeutici che prevedano la
somministrazione diversificata di più molecole a dosaggio ovviamente personalizzato. L’utilizzo di associazioni a dosaggio libero, in teoria maggiormente individualizzabili ma in pratica gravate da maggiori difficoltà di titolazione e di aderenza al
trattamento da parte del pa-
ziente, richiede particolare
attenzione soprattutto nel
soggetto anziano34.
Il vantaggio di questo tipo di
approccio risiede nella possibilità di sfruttare i diversi
siti di azione ed i profili farmacodinamici sinergici dei
diversi farmaci utilizzati, i
cui meccanismi di azione
non si sovrappongono ma
sono complementari.
Ciò fa sì che la loro associazione sinergica determini un
livello di analgesia superiore
a quello atteso dalla semplice somma delle loro singole
attività analgesiche.
Conclusioni
La lotta contro il dolore è
una delle sfide più importanti con cui i medici di ogni
epoca hanno dovuto cimentarsi. Oggi la moderna farmacopea e soprattutto un
nuovo approccio nei confronti del dolore cronico, visto non più come sintomo
ma come malattia vera e propria, rendono non solo possibile ma anche necessario
un approccio clinico mirato,
finalizzato al controllo del
dolore stesso ed alla riduzione delle gravi conseguenze
che esso provoca nel vissuto
quotidiano del paziente.
Per vincere questa battaglia è
necessario apprendere le
modalità di una corretta diagnosi e terapia del dolore
cronico, che prevedono l’utilizzo secondo vari schemi di
associazione di differenti farmaci, tra i quali i miorilassanti rivestono un ruolo di
primo piano.
Fortunatamente la disponibilità di linee guida condivise e di modelli di studio del
dolore basati sull’esperienza
maturata in questi ultimi anni nel trattamento di patologie croniche come la FMS,
costituiscono un valido supporto alla pratica clinica
quotidiana.
Figura 6 - Classificazione dei farmaci analgesici secondo l’OMS. Modificato da (33)
DO
OLORE
Oppioidi
Alfa-2-agonisti
Acetaminofene
Analgesici centrali
FANS
Anestetici locali
Oppioidi
Alfa-2-agonisti
NMDA-Antagonisti
Input
ascendente
dente
TRAUMA
Nocicettore
re
periferico
Ganglio della
radice dorsale
Modulazione
discendente
Cornoo dorsale
Nervo
periferico
Tratto
spino-talamico
Anestetici locali
Anestetici locali
FANS
Inibitori
b to CO
COX-2
Figura 7 - Modello di analgesia multimodale. Modificato da (34).
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