the pain memory

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THE PAIN MEMORY
Diego Beltrutti (*) - Aldo Lamberto (#)
* Servizio di Anestesia e Rianimazione - Centro del Dolore - Ospedale S.
Spirito - ASL 18 Alba-Bra - Via V. Emanuele 3 -12042 – Bra - Italy.
# Servizio di Anestesia e Rianimazione - Centro del Dolore e Cure
Palliative - Azienda Ospedaliera S. Croce e Carle - Via M. Coppino, 26 12100 – Cuneo - Italy.
Qualsiasi approccio al corpo umano non può escludere il cervello ed il suo
funzionamento. A sua volta lo studio del cervello non può mai fare a meno di
considerare il ruolo ed il funzionamento della memoria. Sperimentazioni degli ultimi
trent’anni hanno dimostrato che il processo di codificazione mnestica per il passaggio
da memoria a breve termine (STM) a memoria a lungo termine (LTM) è piuttosto
complesso. I ricordi vengono registrati sotto forma di modifiche della biochimica e della
struttura molecolare dei neuroni che è modulata da diverse sostanze prodotte
dall’organismo sia nel SNC che a livello periferico. McGaugh nel 1972 [1] dimostrò il
ruolo dell’adrenalina, della noradrenalina e delle endorfine nella facilitazione o
inibizione del processo di consolidazione della memoria (la noradrenalina inibisce e
anche le endorfine perché queste ultime si oppongono agli effetti positivi esercitati dalla
strimolazione adrenergica e noradrenergica indotta da situazioni blandamente stressanti)
Il complesso sistema della memoria comporta un processo di interazioni cognitivoemotive, di generalizzazione e categorizzazione. Questi due ultime caratteristiche sono
responsabili dell’allargamento dell’esperienza specifica ad altre simili e le inseriscono
all’interno di categorie che possono essere facilmente richiamabili alla memoria.
Quando accade un evento, la capacità di memorizzazione dello stesso avviene in modo
strettamente connesso alle emozioni che suscita, siano esse positive che negative. Se poi
l’evento si protrae per un certo periodo di tempo, la memorizzazione passa dal breve al
lungo termine diventando così incancellabile.
Quest’ultima affermazione sembra essere messa in discussione dagli studi
sull’amnesia, soprattutto quando ci si riferisce a persone anziane. Nel rapporto con le
persone giovani la differenza si esplicita soprattutto nella Short Term Memory (STM).
Gli anziani hanno messo in evidenza che la capacità di ritenzione immediata, che in
termine tecnico è definita "span" di memoria, non è diversa nei giovani e negli anziani.
Essa però subisce l'effetto della consegna indicata dallo sperimentatore e del materiale
da memorizzare. Gli anziani presentano prestazioni inferiori a quelle dei giovani nelle
prove a tempo e in quelle in cui l'informazione deve subire un processo di
rielaborazione prima di poter essere conservata. Una di queste prove sperimentali
consisteva [2] nel ripetere liste di cifre o di parole. In questo caso le prestazioni degli
anziani non si discostavano da quelle dei giovani sia nel numero medio degli item
ricordati sia in quello che viene definito “recency effect” e che consiste nel ricordare gli
ultimi item della lista. Ma nelle prove in cui bisognava effettuare qualche elaborazione,
come ricordare solo un certo tipo di informazione (ad esempio, di un elenco di oggetti
animati e inanimati ricordare solo quelli inanimati), gli anziani davano prestazioni assai
più modeste dei giovani.
A seguito di queste e di altre ricerche similari gli psicologi pensarono che il successo
o l’insuccesso nel ricordare è determinato dalle strategie con le quali avviene
l’eleborazione dell’informazione. Perciò le amnesie, dovevano considerarsi come
conseguenze di difetti processuali, e non semplicemente di struttura del meccanismo
della STM.
L’interesse per il meccanismo delle amnesie è determinato dal fatto che per capire il
loro funzionamento occorre anche comprendere le strade attraverso le quali un ricordo
si fissa e si modifica nel tempo senza essere dimenticato. Un modo di spiegare i
meccanismi dell’amnesia è che essa sia frutto di difetti nei meccanismi di conservazione
delle informazioni. Perciò la durata dell’informazione non dipende solo dall’averla
depositata nella LTM, ma è il tipo o il livello dell'elaborazione cui sono sottoposte le
informazioni prima della conservazione che ne assicura la durata. Da questo punto di
vista, la LTM non andrebbe più immaginata come "topos" in cui risiedono i ricordi, cioè
come una struttura, ma come la condizione in cui si trova il ricordo, in quanto risultato
di un processo di elaborazione.
Secondo questo approccio le informazioni in ingresso possono essere conservate
con tre modalità diverse. Il primo è una conservazione identica a quella iniziale (livello
di elaborazione sensoriale, superficiale e aleatorio). Il secondo è conseguente ad
un'elaborazione che ne metta in evidenza il significato (livello semantico, durevole). Il
terzo avviene dopo un'elaborazione più profonda che consenta di astrarne i concetti
(livello concettuale, definitivo e durevole).
Gli studi sulla memorizzazione nella persona anziana sono particolarmente
interessanti per uno studio sulla memoria di dolore anche perché molto spesso i pazienti
sofferenti di dolore cronico appartengono a fasce di età elevate. Gli studi hanno
mostrato gli anziani hanno una maggior vividezza per i ricordi più antichi; ciò non
sarebbe imputabile semplicemente alla miglior memoria della giovinezza, ma anche ad
una sorta di "ricostruzione secondaria", vale a dire ad un processo parzialmente
ricostruttivo attorno ad uno schema di identità personale che l'interessato opera
attraverso gli anni. Spesso è stato dimostrato che quel che gli anziani rievocano
raramente coincide con ciò che è realmente avvenuto: con il passare del tempo quell'esperienza era stata rivissuta e rivisitata molte volte, alla luce di interessi e di
informazioni successive. Quindi la maggior vividezza dei ricordi più antichi va ricercata
nella frequenza con la quale vengono rielaborati dalla persona.
Un individuo che abbia avuto per anni problemi di dolore, frequenti ricorsi a terapie
mai del tutto efficaci, attua continuamente questa rielaborazione per cui il ricordo viene
fissato e anche trasformato a seconda delle nuove emozioni, sensazioni e valutazioni
che sperimenta.
L’esperienza dolorosa è sicuramente ad alto contenuto emotivo e spesso si
prolunga nel tempo, perciò entra a far parte della LTM. Il ricordo del dolore
spesso prevale sull’episodio primario per l'impatto sulla fisiopatologia e sulla
sofferenza umana. La intensità della memoria per una procedura dolorosa
dipende da molti fattori, tra i quali troviamo la intensità del dolore associato a
quella procedura. Una delle osservazioni più frequenti è che il ricordo che il
pazienti conservavano delle medicazione dolorose è spesso impreciso. Il
ricordo del dolore provato dai pazienti è strettamente correlato al picco di dolore
provato e non alla durata della procedura. Uno studio di Tasmuth e coll. [3]
affronta il problema della correlazione fra dolore postoperatorio in seguito a
mastectomia e sviluppo di dolore cronico. Esaminando 93 paziente hanno
potuto notare che ad un anno di follow-up quelle che soffrivano di dolore
cronico avevano lamentato un maggior dolore nel postoperatorio. Analoga
correlazione è stata rilevata fra in uno studio sullo sviluppo del dolore cronico in
donne per cancro alla mammella e stato visto che il più forte fattore di rischio
era rappresentato dalla intensità del dolore provato nel postoperatorio. Altri
fattori correlati sono stati la presenza di depressione ed una maggior tendenza
alla sovrastima valutativa del dolore.
Esaminando ancora la relazione fra dolore acuto e cronico è stato notato come l'
intensità relativa al ricordo del dolore possa diminuire o aumentare. Kalso [4] ha
descritto alcuni fattori che determinano la direzione della memoria del dolore. Il
principale è rappresentato dall’intensità del dolore provato nello specifico momento
della nocicezione. In seconda istanza un altro fattore molto importante è
rappresentato dal ricordo dell'intensità di dolore precedenti. Da questi studi emerge
che il ricordo del dolore è strettamente correlato con la intensità dolosa sperimentata
nell'episodio che lo ha scatenato.
Arnstein [5] offre un importante contributo alla comprensione della relazione fra
memoria e dolore partendo dal concetto di neuroplasticità. Con questo termine si
intende la capacità dei neuroni di alterare la loro struttura e le loro funzioni come
risposta a stimoli interni od esterni. Infatti modificazioni neuroplastiche chimiche e
fisiche sono in relazione con l'apprendimento, la memoria e il dolore cronico.
Quindi il dolore cronico è un processo "maladattivo" di apprendimento. Arnstein fa
notare che, se il dolore si mantiene per oltre 24 ore si creano le condizioni di
neuplasticità per cui si può sviluppare un dolore cronico difficile da curare. Così
come il dolore cronico può essere connesso ad un iniziale trauma acuto capace di
indurre una modificazione nella plasticità neuronale così anche la presenza di traumi
psicologici possono indurre rimodellamenti neuronali, per cui è possibile che si
instauri un circolo vizioso di mantenimento del dolore.
Uno dei campi più fecondi della ricerca sulla memoria di dolore è quello sul
dolore dell’arto fantasma. Da molti anni si discute sulla correlazione fra il dolore
provato dal paziente precedentemente all’amputazione ed il dolore dell’arto
fantasma. Si pensa che il dolore dell’arto fantasma sia un perpetuarsi nel tempo
di una esperienza di dolore provata prima dell’amputazione.
Nikolajsen e coll. [6] hanno cercato la correlazione fra il dolore precedente
all’amputazione, il dolore al moncone ed il dolore dell’arto fantasma. Secondo le
loro ricerche il grado di intensità e la durata del dolore precedente
all’amputazione aumentano in modo statisticamente significativo l’incidenza di
dolore al moncone e di dolore dell’arto fantasma nella prima settimana postamputazione. La valutazione del paziente tre mesi dolo l’amputazione indica
che la correlazione è ancora significativamente valida per il dolore dell’arto
fantasma. Circa il 42% dei pazienti oggetto della loro ricerca hanno riferito che il
dolore dell’arto fantasma era molto simile al dolore provato prima
dell’amputazione. Sul piano valutativo è interessante notare che a distanza di 6
mesi i pazienti davano una valutazione soprastimata del dolore precedente
all’amputazione.
Hill e coll. [7] hanno studiato un “single case” per verificare se era possibile
identificare i punti trigger e la loro correlazione con la memoria di dolore
somatosensoriale. L’osservazione è durata per oltre nove mesi al termine dei
quali è stato possibile isolare alcuni episodi somatosensoriali e anche due
episodi di injury-related phantom limb pain associati a trigger cognitivi e/o
emozionali.
Sul piano sperimentale il gruppo di ricerca dell’Università di Tubingen è
all’avanguardia per quanto riguarda il dolore, le correlazioni fra SNC e risposta
di dolore e la memoria di dolore. Su quest’ultimo argomento hanno svolto una
ricerca particolarmente interessante per valutare in che modo l’esperienza
personale di dolore potesse influenzare la complessità dimensionale dell’EEG
[8]. L’ipotesi di partenza era che le connessioni associative fra complessi di
cellule corticali che rappresentano le memorie collegate al dolore dovrebbero
essere più forti e più estese nelle persone che soffrono di dolore cronico.
Utilizzando un campione di nove pazienti con dolore cronico e nove controlli
sono riusciti a confermare che nei pazienti con dolore cronico c’era una diversa
complessità nell’EEG rispetto ai controlli. Questa osservazione era valida
solamente quando veniva richiamata la scena personale di dolore e non
quando venivano richiamate scene di distress. Attraverso questa
sperimentazione è possibile ipotizzare che la persistenza del dolore cronico
possa essere anche determinata da questa più ampia e facilmente accessibile
memoria di dolore.
Il paziente che soffre di dolore cronico spesso ha una lunga esperienza su
vari tipi di terapia fra cui operazioni chirurgiche o terapia mediche dolorose. Il
ricordo di questi eventi condiziona tutte le esperienze successive sia
nell’accettazione di ulteriori trattamenti terapeutici sia nella percezione del pain
relief in seguito alle terapie stesse.
Redelmeier e coll. [9] hanno ipotizzato che la memoria del paziente rispetto
a procedure mediche dolorose può influenzare la decisione su future terapie.
Inoltre la loro ipotesi rimaneva inalterata anche se la memoria era imperfetta e
suscettibile di errori e dimenticanze. La loro osservazione si riferiva a pazienti
sottoposti a colonscopia e a litotripsia. Il ricordo del dolore era fortemente
influenzato dai picchi di intensità del dolore e dall’intensità del dolore provata
negli ultimi tre minuti della procedura. La variabile costituita dalla durata della
procedura non produceva variazioni significative nella memoria di dolore.
L’osservazione che attribuisce notevole importanza al dolore provato negli ultimi
tre minuti della procedura si ricollega al citato “recency effect” per cui vengono
memorizzate più stabilmente le emozioni e le sensazioni provate nell’ultimo
periodo di osservazione. Il meccanismo è del tutto simile a quello dello studente
che ricorderà molto più agevolmente quello che ha studiato all’inizio (“effetto
primacy”) e alla fine (“effetto recency).
Gli studi sulla memoria aiutano a comprendere i meccanismi attraverso i
quali il ricordo del dolore e tutte le manifestazioni correlate, fisiche, valutative ed
affettive si fissano nella memoria e condizionano la risposta del paziente ad una
terapia.
References
1. McGaugh JL : Memory consolidation. Albion, San Francisco, 1972
2. Ratti M. T., Amoretti G. (1991), Le funzioni cognitive nella terza età, Roma, La
Nuova Italia Scientifica.
3. Tasmuth T, Estlanderb AM, Kalso E Effect of present pain and mood on the
memory of past postoperative pain in women treated surgically for breast cancer.
Pain 1996 Dec;68(2-3):343-7
4. Kalso E. Memory for pain Acta Anaesthesiologic Scand 41S 129-130, 1997
5. Arnstein PM The neuroplastic phenomenon: a physiologic link between chronic
pain and learning. I. Neurosci Nur 29: 179-186 1997
6. Nikolajsen L, Ilkjaer S, Kr‡ner K, et al, : The influence of preamputation pain on
postamputation stump and phantom pain. Pain 72 : 3 , 393 - 405, 1997
7. Hill A, Niven CA, Knussen C : Pain memories in phantom limbs: a case study. Pain
66 : 2 - 3, 381 - 4, 1996
8. Lutzenberger W, Flor H, Birbaumer N : Enhanced dimensional complexity of the
EEG during memory for personal pain in chronic pain patients. Neurosci Lett 226 :
3, 167 - 70, 1997
9. Redelmeier DA; Kahneman D Patients' memories of painful medical treatments:
real-time and retrospective evaluations of two minimally invasive procedure. Pain
66 : 1, 3 - 8, 1996
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