Il caso “pale da neve”

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Nelle mie intenzioni queste pagine dovrebbero contribuire a farvi capire sia in che misura può essere
interessante, per voi, lo studio dell’economia, sia quanto poco il profano capisca delle questioni attinenti l’economia.
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Ci fu un tempo in cui poteva capitare, più spesso nel mondo anglosassone, che alla prima lezione del
primo corso universitario di economia un docente dinosaurico (quasi quanto me) esordisse
in questo modo:
“Immaginatevi di abitare in una piccola città in cui ci sia un solo negozio di
ferramenta (badili, martelli, attrezzi da giardino ecc.) con, in magazzino, 30 pale da neve che il
titolare, Mr. Greedy Dealer, vende da sempre a 10 € l’una. In quella città vivono,
tutte in villette singole, un migliaio di famiglie, la gran parte delle quali sono
sprovviste di pale in quanto finora mai hanno avvertito l’utilità di possederne. Anche
voi, in casa, non avete pale. Ora immaginate che una nevicata notturna improvvisa
e straordinaria isoli quel paese, in modo che voi e gli altri abitanti possiate
procurarvi una pala solo in quel negozio che, a sua volta, non potrà per vari giorni
ricevere alcuna fornitura. Dovete scaricare i tetti pericolosamente appesantiti dalla
neve, liberare il viottolo che dalla porta di casa e dal garage porta alla strada,
disseppellire la cuccia del vostro chiwawa ecc.; insomma: vi serve una pala. Infilate
gli stivali alti da pescatore del nonno e, arrivati al negozio di ferramenta, scoprite che il
prezzo di una pala è ora 100 €.”
A questo punto l’insegnante chiedeva agli studenti: “Ipotizzate ora che Greedy Dealer sia riuscito a
vendere al prezzo maggiorato tutte le pale che aveva in magazzino; cosa pensate di lui e della sua decisione
di decuplicarne il prezzo in seguito alla nevicata?” e li invitava a scegliere fra queste quattro alternative:
A) si è comportato in modo scorretto in quanto si è arricchito sfruttando la situazione a danno della collettività;
B) si è comportato in modo scorretto, si è arricchito, ma non ha danneggiando la collettività;
C) si è comportato in modo corretto in quanto si è arricchito senza danneggiare la collettività;
D) si è comportato in modo corretto in quanto si è arricchito e ha migliorato le condizioni della collettività.
Sempre, tutti gli anni, la risposta A) prevaleva nettamente sulle altre messe insieme, e quasi nessuno
sceglieva D), cosicché il docente dinosaurico, il quale riteneva corretta proprio la D), si confermava nella
convinzione che l’economia è materia non banale e tanto meno intuitiva.
Ora, qui, lasciamo perdere, poiché riguarda più l’etica che l’economia, la questione “comportamento
corretto / comportamento scorretto” e concentriamoci invece sulla domanda: “speculando in quel modo, Mr. Dealer
ha danneggiato, non ha danneggiato o ha addirittura migliorato le condizioni del resto della comunità?”.
Ciò che porta spesso il profano a ritenere che la speculazione danneggi la società è basato, soprattutto,
su tre errori tanto frequenti quanto grossolani: il primo è confondere la ricchezza col denaro, il
secondo è ritenere che il valore sia oggettivo, il terzo è credere che gli scambi e l’economia siano “giochi a
somma zero”, nel senso che se c’è qualcuno che ci guadagna allora ci sarà qualcun altro che ci rimette.
E’ certo, infatti, che se Mr. Dealar avesse lasciato a 10 € il prezzo delle pale lui ora avrebbe 2.700 € in
meno (90 € x 30 pale) e i suoi concittadini altrettanti € in più, ma è anche certo che i suoi concittadini, pur con 2.700
€ in più nelle tasche, sarebbero in condizioni peggiori di quelle in cui invece si trovano a causa della
speculazione attuata da Mr. Greedy, cioè dopo aver pagato care le pale.
L’economista, al contrario del profano, ha infatti ben chiaro tre cose:
a) che la ricchezza non è data dal denaro bensì dal valore dei beni disponibili;
b) che il valore di un bene, derivando dall’utilità da esso ottenibile, non è una sua caratteristica
intrinseca e oggettiva (come, invece, sono ad esempio il peso, il colore, o la sua lunghezza) in quanto il valore è soggettivo
(per te, che hai solo pochi metri di marciapiede da spalare, una pala vale magari 15 €; per me, che ho un viottolo di 100 metri, la stessa pala ne vale
150). [1] Insomma, il “giusto prezzo” delle cose non può essere trovato perché non esiste;
c) (strettamente collegato a b)) che l’economia è intrinsecamente dinamica, e quindi nulla in essa è fisso, men che
meno il valore dei beni, così che da uno scambio, purché non imposto, entrambe le parti si avvantaggiano:
chi compra lo fa perché per lui quel bene vale più del prezzo a cui gli viene venduto, chi vende lo fa perché
ritiene che il bene valga meno di quel prezzo; entrambi, quindi, ne traggono un utile, entrambi si arricchiscono.
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Lo sanno bene i bambini che si scambiano le figurine: se Andrea e Pierino durante l’intervallo si sono
scambiati un Messi per un Ronaldo, lo hanno fatto perché ad Andrea mancava Ronaldo ma aveva Messi
doppio, mentre Pierino aveva due Ronaldo ma gli mancava Messi. Dopo lo scambio entrambi si sono ritrovati
più ricchi e sono tornati in classe più soddisfatti. [2]
Sulla base di a), b) e c) e applicandolo al coso delle pale da neve, il ragionamento che porta un economista
a ritenere che l’azione speculativa sia, salvo casi particolari, benefica per la società può essere così esposto:
1) le pale al momento disponibili
in città non sono in ogni caso sufficienti per tutti, quindi inevitabilmente qualcuno
che ha bisogno di usarle per spalare la neve dovrà rinunciarci (più in generale: le risorse, nel breve termine, sono limitate);
2) se il prezzo rimanesse a 10 € sarebbe il “caso” a decidere chi avrà le pale (chi abita più vicino al negozio, chi si sveglia per
primo ecc.) e chi no (chi è impegnato al lavoro, chi, per fare la colazione ai figli, esce di casa tardi e arriva al negozio quando le pale sono già esaurite ecc.);
3) la distribuzione “casuale” delle pale inevitabilmente fa sì che qualche pala sarà acquistata da chi non sente una
pressante necessità di usarla (magari valuta in non più di 15 € l’utilità di possederne una, nel senso che, avendo poco da spalare, già
a 20 € non la comprerebbe), e rimarrà invece senza qualcuno che era disposto a pagarla anche 150 € in quanto gli
sarebbe servita tantissimo (più in generale: le risorse sarebbero “allocate”, cioè distribuite, irrazionalmente, inefficientemente);
4) le pale capitate a chi le sfrutta poco hanno una minore utilità (soddisfano bisogni di valore inferiore) di
in mano a chi ne ha maggior bisogno e quindi le valuta di più (ed è allora disposto a pagarle di più);
quanto avrebbero
valore complessivo delle 30 pale, se collocate a caso perché vendute al vecchio prezzo di 10 € , è quindi
inevitabilmente inferiore al valore che le stesse pale hanno se sono in mano a chi le ha acquistate a 100 € (e
5) il
valgono di più perché danno maggiore utilità, cioè soddisfano esigenze più sentite).
[1] Sul fatto che il valore sia soggettivo concordano tutti gli economisti, di qualsiasi scuola, a eccezione di alcuni marxisti irriducibili.
[2] Andrea e Pierino, grazie all’esperienza, si sono formati un’idea corretta degli effetti dello scambio. Purtroppo, però, arriva la scuola che rovina tutto, con la maestra che racconta
stupidaggini del tipo che chi cerca il profitto è avido e cattivo, che in Darfur si muore di fame perché da noi si spreca il cibo o che i costi sono gli acquisti e i ricavi gli incassi delle vendite.
Ecco perché gli adulti, di economia, in genere capiscono meno dei bambini.
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Alle medie o nel biennio, nel programma di italiano avete fatto Manzoni, perciò di lui ne sapete più di
me. Probabilmente non sapete, però, che Don Lisander capiva l’economia molto più di Alfano, Berlusconi,
Camusso, D’Alema, Esposito, Fassino, Grillo, [… …], Renzi, Salvini, Turco, Uras e Zanda messi insieme.
Per fugare eventuali dubbi vi riporto, qui sotto, un brano tratto dal XII
capitolo de “I promessi sposi” (e per non inquinare la carta evito, invece, di riportarvi anche
solo una delle innumerevoli cavolate dette da qualcuno dei vari esponenti della classe dirigente).
A chi non l’avesse presente, ricordo che il 12° è il capitolo dei tumulti
milanesi, quello con l’assalto al forno delle grucce; nella cronaca Manzoniana
i disordini sono collegati al prezzo “politico” del pane. Esso fu prima abbassato
forzatamente dal Gran Cancelliere Antonio Ferrer per tener buono il popolo
che si lamentava per il prezzo divenuto troppo alto; poi, quando i fornai quasi
cessarono la produzione perché stanchi di vendere a un prezzo che non
copriva i costi e fecero così mancare il pane, il prezzo fu aumentato dal governatore Don Gonzalo de Cordova a
un livello deciso da una giunta di saggi che si credevano in grado di stabilirne il giusto prezzo.
“Don Gonzalo, ingolfato fin sopra i capelli dalle faccende della
guerra, fece ciò che il lettore s’immagina certamente: nominò una giunta,
alla quale conferì l’autorità di stabilire al pane un prezzo che potesse
correre; una cosa da poterci campar tanto una parte che l’altra. I deputati
si radunarono, o come qui si diceva spagnolescamente nel gergo
segretariesco d’allora, si giuntarono; e dopo mille riverenze, complimenti,
preamboli, sospiri, reticenze, proposizioni in aria, tergiversazioni,
strascinati tutti verso una deliberazione da una necessità sentita da tutti,
certi che tiravano un gran dado, ma convinti che altro non v’era da fare, si
accordarono ad aumentare il prezzo del pane. I fornai respirarono, ma il
popolo imbestialì. [3]”
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Manzoni, contrariamente ai politici di oggi, ha ben chiaro che il rincaro del prezzo è, oltre che una
conseguenza della scarsità dell’offerta, anche l’indispensabile suo rimedio: “ … la penuria [di farina] si fece subito
sentire, e con la penuria quel suo doloroso, ma salutevole come inevitabile effetto, il rincaro.”
L’aumento di un prezzo è, sebbene “doloroso”, anche “salutevole” perché stimola un aumento
dell’offerta (oltre che una diminuzione della domanda); i prezzi, infatti, sono segnali, segnali che indicano agli
operatori economici (cioè a tutti noi, a tutti coloro che hanno una qualche possibilità di acquisto o di vendita) la corretta direzione da
seguire: a chi acquista, il prezzo che sale suggerisce di sostituire almeno in parte quel bene con altri il cui
prezzo è divenuto ora (relativamente) più conveniente; a chi vende, lo stesso prezzo che sale fa da stimolo a
produrre o procurarsi un quantitativo maggiore di quel bene per proporlo poi in vendita.
All’epoca dei fatti magistralmente descritti dal Manzoni la carenza di pane, e quindi il suo alto prezzo,
era la conseguenza dell’alto prezzo del grano, a sua volta causato da alcuni anni di scarsi raccolti nel territorio
lombardo: il naturale aumento del prezzo del grano ne avrebbe stimolato, soprattutto se in quell’epoca gli
scambi fossero stati più liberi e meno costosi (se cioè la “globalizzazione” avesse già fatto i progressi di cui beneficiamo oggi),
l’afflusso da altri territori attenuando così il problema.
La decisione del Gran Cancelliere Antonio Ferrer di fissare per decreto governativo un prezzo (del pane o
del grano) più basso di quello di mercato peggiorò quindi non poco una situazione già non naturalmente brillante.
I sistemi per stabilire i prezzi dei beni sono, in estrema sintesi, essenzialmente tre: a), b) e c),:
a) col primo sistema, all’opera nella Milano spagnolesca e mercantilista del Seicento e tipico del
“dirigismo” più spinto, il prezzo viene deciso da un'Autorità (il Gran Cancelliere Antonio Ferrer, il parlamento, il governo, lo
sceriffo, il sindaco o qualcun altro) e tutti devono adeguarsi e scambiare quel bene a quel prezzo: chi non lo fa (chi cioè
compra o vende a un prezzo diverso da quello stabilito dall’alto, andando in questo modo ad alimentare il cosiddetto “mercato nero”) rischia di
essere sanzionato (con multe, galera o altre seccature);
b) col secondo sistema, praticato nel paese di Mr. Greedy Dealer e caratteristico del “liberismo”,
chiunque è libero di proporre il prezzo che crede, così come chiunque è libero di rifiutare il prezzo che gli
viene proposto; quando a offrire (e a richiedere) il bene sono in molti (diversamente, quindi, dal caso di Mr. Dealer) allora il
prezzo varia in continuazione e in modo spontaneo, senza che nessuno lo fissi, seguendo la mutevole pressione
della domanda e dell’offerta complessiva.
c) col terzo sistema, anch’esso frequente nelle società dirigiste, lo stato (o qualche altra autorità pubblica) non
fissa un particolare livello di prezzo bensì lo influenza con norme che tendono a diminuirlo (agevolazioni fiscali a chi
applica prezzi inferiori a un certo livello, contributi alla rottamazione, fissazione di tetti massimi al prezzo ecc.) o aumentarlo (applicazione di
accise sui carburanti, di dazi sulle ciabatte pakistane, limiti minimi agli stipendi ecc.) oppure mettendosi lui stesso a produrre il bene
e a distribuirlo gratuitamente o a venderlo a un prezzo nettamente inferiore al costo di produzione (come spesso
capita per servizi d’istruzione, sanitari, di trasporto ecc.).
I tre sistemi convivono sempre fra loro, nel senso che in ogni paese in un qualsiasi momento ci sono
alcuni beni i cui prezzi sono fissati dall'autorità, altri il cui prezzo è invece libero e altri ancora col prezzo
influenzato ma non direttamente determinato dalle scelte di chi ha il potere politico.
Più numerosi sono i prezzi fissati o influenzati dall’autorità e più tendenzialmente “dirigista” (socialista o
corporativo non fa una gran differenza ) è il sistema economico: più sarà, cioè, la “politica” (sia essa incarnata da un parlamento
democratico, da un partito unico o da un dittatore assoluto) a guidare la società occupandosi della vita degli individui e
imponendosi così sull’economia.
All’opposto, più sono i beni la formazione del cui prezzo è lasciata al mercato e più quella sarà una
società liberista: più sarà, cioè, l’“economia” (intesa come il coacervo delle innumerevoli scelte quotidiane che ognuno dei milioni di
individui prende nel decidere cosa fare nella giornata e della sua vita) a guidare la società impedendo alla politica (ma non alle
singole persone) di occuparsi della vita degli altri.
Se è vero che in Italia, col tempo, è diminuito il numero dei prezzi stabiliti col sistema a) [4] , è però anche
vero che sono aumentati e vanno sempre più aumentando quelli che si formano attraverso il processo c).
[3] Notare come l’ironia di Manzoni sferza la presunzione mercantilistica dei pianificatori, i quali, allora come oggi, nelle giunte, nei governi e nei parlamenti si consolidano nella
convinzione della loro utilità attraverso pomposi rituali autoreferenziali.
[4] Fino a non molti anni fa, in Italia, era il governo a stabilire il prezzo, ad esempio, della benzina, del gasolio, del metano, del pane comune, del sale, dei servizi telefonici,
dell’elettricità, dei pedaggi autostradali, delle sigarette, ecc.
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Immagina ora un’isola, senza alcun
rapporto col resto del mondo, nel cui Sud vivono,
in un villaggio, un centinaio di abitanti dediti per
lo più all’agricoltura.
L’unica fonte d’acqua è un fiume che nasce
da una montagna e scende poi al mare attraverso il
Nord dell’isola, zona inospitale perché paludosa.
La fornitura dell’acqua necessaria alla
popolazione e all’agricoltura avviene grazie al
lavoro degli “acquaioli”, una decina di lavoratori
che quotidianamente si recano alla fonte sulla
montagna, lì riempiono dei recipienti che poi,
tornati al villaggio, vuotano nella
“Grande Cisterna”.
Più volte, in passato, qualcuno ha proposto di
scavare un canale che, partendo dalla fonte in montagna,
devii una parte dell’acqua del fiume facendola giungere
fino alla zona abitata e coltivata dell’isola.
Nonostante tutti da sempre si rendano conto della
sua utilità, collegata soprattutto
all’aumento di
produzione agricola che la migliore irrigazione
garantirebbe, il progetto è però sempre stato accantonato;
il fatto è che la costruzione del canale impegnerebbe per
circa un anno una decina di persone le quali, per tutto quel
periodo, dovrebbero cambiare occupazione; ma l’attuale
produzione agricola è appena sufficiente per alimentare
gli abitanti, e distogliere dall’agricoltura per un anno dieci lavoratori causerebbe una carestia intollerabile.
A qualcuno è, però, venuta ora l’idea che a scavare il canale possano essere i lavoratori addetti al
trasporto dell’acqua: basterà accumulare nella Grande Cisterna una scorta d’acqua sufficiente per le
esigenze di un anno, dopo di che sarà agevole convincere gli acquaioli a sospendere il trasporto d’acqua per
dedicarsi al canale (e si convinceranno, se non altro, perché il prezzo dell’acqua, che loro vendono, diminuirà in virtù della gran quantità
accumulata, e quindi riterranno più vantaggioso farsi pagare come scavatori che come acquaioli).
Il popolo si riunisce in assemblea, viene illustrata l’idea, e tutti si impegnano a ridurre i consumi
d’acqua in modo tale da raggiungere presto, nella Grande Cisterna, il livello di scorta di 365 fg, (fg è l’unità di
misura utilizzata nell’isola) sufficiente per dare inizio senza troppi rischi alla costruzione del canale.
Se non capitano ostacoli imprevisti, dopo
qualche tempo di minori consumi (d’acqua) il
villaggio avrà accumulato sufficienti risorse da
investire nella grande opera del canale,
terminata la quale si aprirà un’epoca di
benessere: più produzione agricola grazie
all’abbondante irrigazione e meno puzza nel
villaggio grazie alle più frequenti docce. Il
capitale accumulato (prima sotto forma d’acqua
risparmiata e poi trasformato in canale irriguo) ha permesso
di aumentare la produzione attraverso un
miglioramento della produttività del settore
agricolo.
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Ecco come, secondo la ricetta antica (da troppi ritenuta preistorica), migliora l’economia di un paese: il non
consumare subito la produzione (cioè il risparmiare) porta, se si fanno investimenti ragionevoli, a maggiore
produzione e quindi a maggior possibilità di consumare in futuro. E’ la ricetta di chi ritiene che venga prima
(sia in senso cronologico, sia come importanza e quindi sia più meritevole di attenzione) la produzione e solo dopo il consumo. E’
la ricetta dell’epoca pre-keynesiana, di quando risparmiare era considerato virtuoso.
Dall’altra parte del mondo c’è un’isola gemella; l’unica differenza è che qui gli abitanti hanno eletto
una “Grande Guida Suprema” (GGS) a cui sono state delegate le decisioni più importanti. Immediatamente
dopo essere stato eletto, GGS ha nominato un suo vecchio compagno di merende alla carica di “Gigantesco
Mentore Kapo” (JMK) (nell’isola, ragionevolmente, la gente non fa distinzione fra la “c” dura e la “k”, né fra la “g” tenera e la “j”)
Il primo suggerimento dato da JMK all’amico GGS è di gestire, lui solo, la Grande Cisterna, e così la
Guida Suprema annuncia al popolo che, per evitare il rischio che qualcuno inquini l’acqua e quindi per il
Bene Comune, lui solo potrà d’ora in poi controllare il livello dell’acqua nella cisterna.
Successivamente, JMK consiglia a GGS di anticipare i tempi della costruzione del canale: secondo i suoi
calcoli e poiché i potenti modelli matematici usati dalla moderna meteorologia prevedono abbondanti piogge
future, non è necessario risparmiare e accumulare tanta acqua, è sufficiente che il suo livello nella Grande
Cisterna arrivi a 200 fg, e non a 365 come il popolo ignorante ancora ritiene. Ecco che, raggiunto il livello di
200 fg, la Guida Suprema, sempre per il Bene Comune, annuncia al popolo che la cisterna è piena fino a 400,
in modo tale che, in seguito a questa informazione, il prezzo dell’acqua scenda e gli acquaioli si convincano
a cambiare attività e si dedichino con entusiasmo alla costruzione del canale.
Passano alcuni mesi e le abbondanti piogge previste sono rimaste incastrate negli ingranaggi dei
potenti modelli matematici dei meteorologi (insomma, è piovuto meno del previsto). L’acqua nella Grande Cisterna è
quindi ormai quasi terminata e il canale, ancora a metà, è del tutto inutile; per scongiurare catastrofi peggiori
diviene inevitabile, allora, interromperne la costruzione e tornare a rifornirsi alla fonte coi recipienti.
Il canale costruito a metà rimarrà lì a deteriorarsi col tempo, inutile a tutto, inutile anche come monito
a non fidarsi delle Guide Supreme e dei loro Grandi Mentori: JMK e GGS riusciranno, infatti, a convincere la
gente che la colpa del disastro è dei ladri d’acqua e di chi la spreca, e che quindi è necessario, sempre per il
Bene Comune, che il popolo dia alla Grande Guida Suprema maggiori mezzi e poteri per arrestare i primi e
per educare gli altri. La Grande Guida Suprema premierà poi, con lauti compensi e ambite onorificenze, il
suo Jigantesco Mentore Kapo per i saggi consigli che gli hanno permesso di consolidare la sua autorità e il
suo ruolo di guida.
Chi volesse fare un parallelo con la storia recente sostituisca:
- l’annuncio (falso) della presenza di tanta acqua nel serbatoio con la diminuzione dei tassi d’interesse
operata delle Banche Centrali a partire dal 2001 per stimolare consumatori e aziende a, rispettivamente,
consumare e investire di più indebitandosi più di quanto avrebbero fatto se i tassi fossero stati più alti, e questa
decisione fu presa per sostenere l’economia temuta in flessione;
- lo scavo del canale irriguo con la costruzione, nel decennio precedente il 2008, di una quantità esagerata
di immobili (buona parte dei quali è ora inutilizzata e offerta fallimentarmente in vendita) e anche con lo sviluppo abnorme, sia in
volume di attività sia in numero di addetti, di un settore finanziario che assorbe sempre più risorse, anche
lavorative;
- GGS con i governi e le Banche Centrali di quasi tutto il mondo;
- JMK con gli economisti-econometrici consulenti di quei governi e di quelle Banche Centrali;
- i potenti modelli matematici su cui si basano i meteorologi con gli ancor più potenti, costosi (e fallaci)
modelli matematici su cui si basano gli econometrici (cugini bastardi degli economisti);
- i ladri, gli sprecatori d’acqua e altri eventuali capri espiatori con, a scelta: gli speculatori, gli evasori
fiscali, il neolibbberismo e la sete di profitto, i corrotti e i corruttori, la Merkel e le sue politiche di austerity,
il lavoro in nero, la Cina, la globalizzazione, gli Stati Uniti, l’Euro, il Dollaro troppo forte, il Dollaro troppo debole, il
prezzo del petrolio troppo alto, il prezzo del petrolio troppo basso , il climate change, le multinazionali,
Uncle Donald Duck, la mafia, il destino cinico e baro e
i petrolieri, Donald Trump,
quel c.c.t.p.
- l’imprevisto ritardo delle piogge con uno degli inevitabili fatti rilevanti che sempre accadranno in modo
inatteso, siano essi catastrofi naturali o, più frequentemente, d’origine umana come l’11/9, un’improvvisa
tensione internazionale, la vittoria alle elezioni di una forza politica scriteriata ecc.
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L’interpretazione riquadrata nella pagina precedente delle vicende capitate nell’isola gemella è in
linea con la spiegazione che gli economisti vicini alla “scuola austriaca” danno della crisi, prima
finanziaria e poi economica, cominciata verso la fine del 2008 con il fallimento della Lehman Brothers
(attenzione: non fu certo quell’evento la causa della crisi, in realtà la vicenda di quella banca d’investimento
svolse solo la funzione dell’ultimo fiocco di neve che, cadendo su un tetto ormai sovraccarico, lo fa crollare).
Forzando verso il basso i tassi d’interesse attraverso le manovre monetarie
espansive, la Banca Centrale cerca (o s’illude) di sanare la carenza di beni reali
investiti ragionevolmente con l’abbondanza di capitali finanziari. Ma la mancanza
di risparmio (reale, non monetario) difficilmente può essere “sostituita” dall’aumento
di produzione di moneta, e se anche in questo modo si riuscisse a stimolare gli
investimenti, è probabile che questi risultino irragionevoli perché fatti seguendo I membri della giunta esecutiva della BCE
le indicazioni offerte da prezzi innaturali, come irragionevoli si sono dimostrati gli intenti a stabilire il “giusto” tasso d’interesse.
investimenti nel settore edile del decennio precedente la crisi del 2008, investimenti che furono stimolati dalla
continua crescita del prezzo delle case a sua volta originata dal progressivo calo del costo del denaro (e il motivo
di questo collegamento “diminuzione dei tassi → aumento dei prezzi dei beni d’investimento” ti dovrebbe essere chiaro se solo hai capito
le basi più elementari della matematica finanziaria e quindi sai calcolare quanto vale una gallina dalle uova d’oro).
Gli economisti di orientamento “austriaco” ritengono che la fonte principale dei problemi economici odierni
sia da ricercare nella distorsione dei prezzi “naturali” causata dalla imprudente politica monetaria condotta dalle
Banche Centrali negli anni precedenti l’inizio della crisi. In brutale sintesi: l’artificiale abbassamento dei tassi
d’interesse operato per troppi anni dalle Banche Centrali di un po’ tutto il mondo (Fed, BCE, BoJ, BoE ecc., rispettivamente per
“sostenere” le economie di USA, dell’area Euro, del Giappone, della Gran Bretagna ecc.) ha generato un disordine economico generale.
Come già detto, infatti, l’effetto di un prezzo “troppo” basso (innaturalmente basso) di un bene è (anche) un aumento
innaturale della sua domanda. Applicato al tasso d’interesse, cioè al prezzo per l’uso della moneta, questo
effetto provoca un eccesso innaturale di richiesta di finanziamenti (la domanda di capitali finanziari) e quindi di
indebitamento complessivo (il leverage diviene eccessivo, direbbero gli aziendalisti).
Il fatto poi che un debito non sia altro che un credito visto di spalle (come da anni vi sottolineo) non deve
tranquillizzare (se ci sono molti debiti ci devono essere anche molti crediti e allora le due cose si compensano) : il problema è che quando i
debiti sono troppi, il debitore rischia di non essere più giudicato in grado di pagarli, e poiché la regola generale è che
un debito in scadenza lo si salda facendo un nuovo debito [ (il caso del mutuo per la casa rimborsato risparmiando una parte dello
stipendio è, in pratica, l’unica eccezione a questa regola che, invece, vale per tutte le aziende di produzione (dal bar di Cogruzzo alla Volkswagen) e per
tutti gli stati (da San Marino alla Germania): sono tutti in grado di rimborsare i debiti in scadenza solo se trovano qualcuno che gli fa un nuovo prestito ], se la
sfiducia sulla solvibilità del debitore si fa strada tra gli operatori ciò rende il debitore effettivamente insolvente,
qualunque sia la sua situazione; è la tipica profezia che si auto-avvera: la previsione che il debitore fallirà si realizza
per il solo fatto che sia stata creduta.
L’intero sistema finanziario si regge sulla fiducia (la fiducia che i debiti verranno pagati o, ed è la stessa cosa, che i crediti
valgano il loro valore nominale; la fiducia che le banche, quando glieli chiediamo, ci diano i nostri soldi depositati sul conto corrente; la fiducia che con 50 € si
riesca anche domani a comprare beni che valgono quanto i beni che si possono comprare oggi), e per allontanare l’eventualità che il sistema si
deteriori o addirittura collassi, allora è meglio non incoraggiare troppo l’indebitamento e quindi è meglio perdere
l’abitudine di schiacciare verso il basso i tassi d’interesse.
Poiché è innegabile che l’andamento dei tassi d’interesse sia determinato da decisioni politiche prese dall’alto
di una scrivania pubblica, se si ritiene valida l’interpretazione “austriaca” allora risulta che il responsabile primario
della attuale crisi è la politica e che, al contrario, il mercato è innocente.
Altri economisti, e in particolare quelli di scuola
keynesiana, sostengono invece che a provocare il
disastro sia stata la “deregulation” introdotta negli anni ’90 nel mondo finanziario: l’aver lasciato più libertà operativa
alle banche e agli altri intermediari del credito ha indotto gli operatori, tesi alla massimizzazione del profitto e
sottoposti a controlli inadeguati, a comportamenti speculativi e scriteriati che hanno compromesso la stabilità del
sistema. Per questi economisti, inclini all’interventismo pubblico, è stato il prevalere dell’economia sulla politica che
ha provocato la crisi.
Se ho dedicato tanto più spazio all’esposizione delle tesi “liberiste” (e in particolare “austriache”) rispetto a quelle
“dirigistiche” o, come anche si dice, “interventiste” (in quanto si ritiene che lo stato debba “intervenire” nell’economia) è per tre motivi:
a) in questo modo sono riuscito a toccare concetti base di economia (come il “valore” dei beni, la formazione dei prezzi, il tasso
d’interesse) che troppo spesso si danno per scontati ma che, all’opposto, sono difficili da comprendere;
b)
l’interpretazione dirigistica è quella che certamente avete ascoltato più spesso (ammesso che abbiate ascoltato qualcosa) venendo
essa continuamente ripetuta in televisione, su quasi tutti i giornali, da tante cattedre, nel parlamento e, ahimè, da troppi
pulpiti, mentre la liberista (in particolare l’austriaca) probabilmente non vi capiterà più di sentirla; c) la mia natura
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convintamente libertaria mi porta a meglio argomentare quelle posizioni e, in base all’eterno principio “è meglio fare
ciò che si sa far meglio”, mi sono limitato a una sinteticissima descrizione dell’interpretazione che dei medesimi fatti
fa chi è su posizioni lontane dalle mie.
Vorrei, però, chiarire una cosa: è frequente che diverse e a volte opposte posizioni siano sostenute da
economisti comunque di notevolissima preparazione, intelligenza e cultura, pertanto (ammesso che vogliate proseguire nello
studio delle questioni economiche) non commettete l’errore di abbeverarvi a un’unica fonte (e, mi raccomando, verificate se la fonte è
potabile, cioè se chi scrive o parla capisce di economia).
Il coesistere di posizioni tra loro contrastanti è dovuto al fatto che
l’Economia non è una scienza come la fisica, la chimica e le altre scienze dette “dure”, cioè quelle le cui teorie
possono essere sottoposte a verifica sperimentale; una teoria economica molto raramente può essere concretamente
verificata o falsificata attraverso l’osservazione della realtà, e ciò perché la realtà sociale è il frutto di infinite variabili
collegate fra loro da relazioni intricatissime e, soprattutto, è plasmata da un fattore – la volontà umana – né
prevedibile né misurabile. Non è quindi quasi mai possibile verificare e quindi essere certi che un certo effetto sia
stato causato da una o un’altra azione.
Non dovete, quindi, fossilizzarvi su certe posizioni: alcune scuole di pensiero economico spiegano meglio certi
avvenimenti ma sono inadatte a comprendere altri fenomeni, perciò siate aperti a cogliere il buono che c’è in ognuna
di loro.
Più avanti, a pagina 9, vi riporto uno schema, proposto dall’economista sud coreano Ha-Joon Chang, in cui mi
sembra siano ottimamente sintetizzate le principali caratteristiche delle varie scuole economiche. Prima, però, vorrei
provare a spiegare qual è la differenza di base su cui poggiano i due opposti orientamenti, il liberista e il dirigista; per
farlo, ricorro a una similitudine: come il traffico può essere regolato coi semafori oppure con le rotonde, così
l’economia può funzionare basandosi sulla pianificazione centralizzata oppure sul libero mercato.
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Il
semaforo
presuppone
che
l’automobilista (il cittadino) debba essere
guidato rigidamente dall’alto (dai colori
delle luci, l’automobilista; dalle decisioni di
chi governa, il cittadino): rosso, ti devi
fermare, verde, puoi passare. E a decidere
quanto deve durare il rosso e quanto il verde
e chi deve passare prima e chi dopo (quale è il prezzo “giusto”, chi, e quanto deve produrre ecc.) è un software che
esegue regole attentamente pensate dai tecnici comunali dell’assessorato al traffico. Poco importa se nelle altre
strade non vedi alcun veicolo e la visibilità è perfetta: no, la tua azione di guida all’incrocio (la tua vita
quotidiana di cittadino) deve essere decisa dall’alto del semaforo (dall’alto delle scrivanie dei burocrati ministeriali
che eseguono le regole attentamente pensate dai politici al governo e in parlamento) e tu devi limitarti a obbedire
alla regola, senza discutere, senza metterci del tuo.
Con la rotonda, invece, si dà una regola generale, che però l’automobilista deve interpretare
ragionevolmente e responsabilmente, caso per caso: la regola dice “in fase di immissione, se arrivano
veicoli da sinistra ti devi fermare; altrimenti puoi passare; ma è a te che resta da valutare se la distanza
dell’auto alla tua sinistra è, in rapporto alla sua velocità, sufficientemente ampia per immetterti. Il traffico, qui,
è coordinato da nessuno; o, meglio, è coordinato dalle decisioni individuali dei tanti automobilisti che
transitano. Il sottinteso è che l’automobilista sia in grado, autonomamente e all’interno di una semplice regola
generale, di decidere al meglio per sé (per evitarsi un incidente e contemporaneamente non far tardi all’appuntamento); e la somma
di tutti i “meglio” individuali rende più fluido il traffico (determina anche il “meglio” per tutti). Così come avviene nel
passaggio dal semaforo alla rotonda, anche in quello da una società dirigistica a una liberista la responsabilità e
il ragionamento sostituiscono l’ubbidienza e la meccanicità.
Vivere è scegliere, e più si sceglie più si è vivi; e come ogni singola operazione aziendale è la
conseguenza di una scelta, anche tutta l’esistenza umana è una serie continua e intricatissima di scelte che
qualcuno deve fare. Il libertario (da tempo il termine “liberale” o, all’inglese, “liberal” ha assunto il significato (opposto) di “dirigista”, e
negli ultimi anni anche il termine “liberista” si va degradando per effetto dell’abitudine di definire “liberiste” delle politiche economiche in realtà
dirigistiche) preferisce che la gran parte delle scelte siano individuali; il dirigista, al contrario, ritiene opportuno
che sia un pastore buono e sapiente (il politico eletto democraticamente, il “piccolo padre” di staliniana memoria, il Grande Fratello di
Orwelliana fantasia) a prendere la maggior parte delle decisioni per tutti (i cittadini elettori o i sudditi più o meno adoranti). Così
come non si può dire che il gelato alla fragola sia oggettivamente più buono di quello al limone, non si può
nemmeno affermare che un sistema sia migliore dell’altro: è comunque una questione di gusti, di filosofia di
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vita. C’è chi preferisce sobbarcarsi il peso di molte responsabilità (di molte decisioni) pur di avere molta libertà,
e chi invece desidera una vita con meno pensieri, forse più serena e tranquilla, ma anche meno libera.
Il politico, il ministro e i loro mercenari (cioè i burocrati) sono convinti di vedere meglio, dall’alto delle loro
scrivanie, cosa è bene e cosa è male per i cittadini di quanto, individualmente, questi riescano a fare ciascuno
per il vantaggio proprio e della propria famiglia: ed ecco che il politico decide che per tutti, e quindi anche per
te, è meglio che un terzo del tuo stipendio lordo tu lo debba risparmiare (non consumare) e quindi è meglio che ti
venga tolto subito per poi ridartelo sotto forma di pensione (speraci ...); oppure, ecco che il politico ti dice, per il
bene di tutti e quindi anche il tuo, quale è la paga minima che devi chiedere per lavorare (e non ti preoccupare se resti
disoccupato perché troppo alta), e così via per innumerevoli altre cose, come la scelta se allargare la cucina rinunciando
a metà garage o fino alle decisioni più minute come la scelta del colore delle tue persiane o di chi ti deve
insegnare economia (che tu non possa scegliere i tuoi insegnanti a scuola lo sai già, che tu debba chiedere preventivamente l’autorizzazione
del burocrate comunale per tingere di verde le tue persiane o per tagliare un albero ammalato nel tuo giardino lo imparerai crescendo).
Alla base della scelta “libero mercato vs economia guidata dall’alto” ci sono poi altri due elementi (oltre
alla preferenza, di cui ho appena detto, fra “più libertà ma più incertezza” o “più obbedienza ma più sicurezza”): a) una diversa
immagine della complessità del mondo e, b) una diversa teoria della conoscenza.
a) il liberista, contrariamente al dirigista, ritiene che la società sia un intrico non dipanabile (non districabile)
perché formato da troppe variabili legate da relazioni eccessivamente complicate e troppo dipendenti dalle
volontà degli individui le quali, a loro volta, sono scarsamente conoscibili ed eccessivamente mutevoli per
permettere a un ente decisore centralizzato di fare scelte ragionevoli.
b) entrambi, liberista e dirigista, sono consapevoli che le scelte corrette richiedono conoscenza (se per
questo, lo sa anche il ragioniere che passa la vita lavorativa a raccogliere ordinatamente – e quindi spesso usando la partita doppia – le informazioni sui fatti aziendali per
poi elaborarle opportunamente in modo che chi amministra possa prendere le decisioni migliori), ma mentre il dirigista è convinto che la
concentrazione delle informazioni porti a maggior conoscenza e quindi a scelte migliori, il liberista ritiene che,
accentrate in un unico ente decisore, tante informazioni vadano perse e tante altre si deteriorino, soprattutto perché,
quando l’ente centrale può disporne, non sono più aggiornate; cosicché la conoscenza accentrata che si ottiene
risulta solo una frazione della somma delle tantissime piccole conoscenze che sono diffuse fra gli individui.
La cosa può anche essere vista in questo modo: il dirigista ritiene che, poiché ogni individuo sa poco, le
scelte lasciate ai singoli sono spesso sbagliate e tutti gli errori compiuti individualmente causano sprechi e
danni maggiori di quelli provocati dall’imperfetta conoscenza dell’ente decisore centrale. Il liberista, invece,
ritiene che sia meglio e più prudente lasciare le scelte ai singoli, sia perché un potente strumento per migliorare
l’esistente è il processo di prova per tentativi ed errori (by trial and error) e, con le scelte decentrate, le
esperienze si moltiplicano rispetto al caso di comportamenti omogenei (uguali per tutti) imposti dalla scelta
accentrata; sia perché se è il singolo individuo che sbaglia (magari accantona troppo pochi risparmi in vista della vecchiaia e
non c’è un sistema pensionistico pubblico obbligatorio ) sarà un guaio per lui, non per tutta la popolazione, mentre se sbaglia
l’ente decisore centrale (come sbagliò lo stato, nei tanti decenni scorsi, quando decise sia di prelevare troppo pochi contributi per
la pensione sia di mandare in pensione troppo presto i lavoratori) allora gli effetti negativi ricadranno su tutti (e
soprattutto sui più deboli politicamente, cioè – vedi il caso delle pensioni – su voi giovani, che essendo molti meno di noi anziani
contate, democraticamente, meno di una cippa).
Per saperne e capirne (molto) di più, consiglio:
Ha-Joon Chang: Economia - Istruzioni per l’uso (Il saggiatore, 2015)
Sergio Ricossa: Impariamo l’economia (BUR, 2001) e, sempre di Ricossa, anche
La fine dell’economia - saggio sulla perfezione (Rubbettino, 2006)
Chang (1963 - vivente) insegna economia dello sviluppo a Cambridge ed è favorevole all’intervento
pubblico;
Ricossa, (1927 - † 2016) ha insegnato politica economica all’università di Torino ed era, invece, di
orientamento liberista/libertario.
Il libro di Chang e “Impariamo l’economia” sono, a mio parere, probabilmente il meglio della
divulgazione economica; “La fine dell’economia” è meno semplice ma rappresenta un’ottima
occasione per avvicinarsi alla storia (seria).
E ora, per completare la pagina, una massima che ogni economista, qualunque sia
l’orientamento, riconosce come vera:
“The first lesson of economics is scarcity: there is never enough of anything to
satisfy all those who want it. The first lesson of politics is to disregard the first
lesson of economics”. (Thomas Sowell)
L'eterna lotta fra l’economia
(a sinistra) e la politica (al centro).
Notare la slealtà della politica.
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.
L’economia
è costituita
da …
Gli individui
sono …
Egoisti e
razionali
L’ambito più
Il mondo è … importante della
economia è …
Le economie
cambiano
grazie …
Certo
All’accumulo
di capitale
(cioè agli
Investimenti)
Alle scelte
individuali
(esistenza
di “leggi di
ferro”)
La produzione
CLASSICA
Classi
NEOCLASSICA
Individui
Egoisti e
Razionali
Certo,
Lo scambio e
con rischi il consumo
calcolabili
MARXISTA
Egoisti e
razionali
Certo
Classi
(ma la razionalità è
affrontata in termini
di classe)
(tranne i lavoratori in
lotta per il socialismo)
SVILUPPISTA
AUSTRIACA
(“leggi di
movimento”)
All’incremento Protezionismo e
della capacità
intervento statale
produttiva
(solo temporanei)
Individui
quanto tradizionalisti)
KEYNESIANA
Classi
ISTITUZIONALISTI
COMPORTAMENTALI
Nessuna posizione Complesso,
prevalente, ma
ma non c’è
La produzione
sottolinea la non una posizione
razionalità dell’
prevalente
imprenditore
Posizione ambigua.
Poco razionali
Solo una minoranza
(guidati dalle abi- Incerto
si concentra sulla
tudini e dagli
produzione
“spiriti animali”)
Non c’è posizione
(istinto, abitudini, Complesso prevalente, ma >
risalto sulla prod.
razionalità)
e incerto
rispetto ai neoclas.
Stratificati
Individui e
istituzioni
Individui,
A razionalità
organizzazioni limitata e
e istituzioni
stratificati
Secondo la visione che l’eco nomista ha dei fallimenti
del mercato e dello stato
La produzione
Incerto (ma
Egoisti e
limitatamente Complesso Lo scambio
razionali (solo in e incerto
SHUMPETERIANA
Libero mercato o dirigismo
Alla lotta di classe,
all’accumulo di
Rivoluzione socialista e
capitale e al propianificazione centrale
gresso tecnologico
Nessuna
posizione
prevalente
Non ha una
posizione
definita
Libero mercato
La produzione
Più da classi
che da
individui
non c’è una
posizione
prevalente)
Raccomandazioni
politiche
Alle scelte
individuali,
radicate però
nella tradizione
Alla
innovazione
tecnologica
Libero mercato
(nessuno ne sa abbastanza, perciò lasciate
in pace la gente)
Posizione ambigua,
ma il capitalismo è
comunque condannato
al declino
Posizione
ambigua;
dipende dall’
economista
All’interazione
tra individui e
istituzioni
Politiche fiscali attive,
redistribuzione del
reddito ai poveri.
Non c’è posizione Non c’è una
Complesso prevalente, ma una posizione
certa inclinazione prevalente
e incerto
alla produzione
Posizione ambigua;
dipende dall’econo mista
Non c’è una posizione
prevalente, ma una certa
disponibilità ad accettare
l’intervento statale
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