Capitolo Secondo: L’interpretazione e l’efficacia della legge penale
li
br
i
S.
p.
B)Le eccezioni al divieto
— L’analogia è applicabile alle scriminanti, in quanto le norme che le prevedono non hanno carattere eccezionale, ma sono espressione di principi
generali. Un’ipotesi di causa di giustificazione non codificata, ma frutto di
applicazione analogica, è la pratica sportiva: la conseguenza è che non sono
punibili condotte lesive che si realizzano durante l’ordinario svolgimento
della competizione (Cass. 2765/2000).
Ciò nonostante il ricorso all’analogia è esclusa per talune cause di giustificazione in quanto la legge le prevede nella loro massima portata logica (ad
esempio, l’esercizio del diritto) ovvero in termini tali da impedire che altre
ipotesi extra-legali siano riconducibili alla ratio della scriminante (ad esempio, il consenso dell’avente diritto).
— La dottrina prevalente, inoltre, esclude il procedimento analogico anche
per le c.d. immunità: infatti, le norme che le prevedono sono eccezionali,
poiché derogano al principio dell’obbligatorietà della legge penale per tutti
coloro che si trovano nel territorio dello Stato.
A
.
13
se
C)L’interpretazione estensiva
L’art. 14 disp. prel. non pone alcuna limitazione alla interpretazione estensiva, che, pertanto, è ammissibile per tutte le disposizioni, comprese quelle
penali ed eccezionali; questo procedimento, infatti, non estende la norma a
casi non regolati, ma la rende applicabile a tutti quelli cui essa deve riferirsi.
Es
Differenza tra analogia ed interpretazione estensiva
ht
©
Attraverso l’analogia si applica ad un caso non coperto da alcuna norma la disposizione che
disciplina una caso simile.
Diversa è la nozione di interpretazione estensiva, in base alla quale ad una norma può essere data un’interpretazione più ampia, ma pur sempre nel rispetto della lettera della legge:
ad esempio il termine «figlio» viene riferito sia a quelli legittimi, che naturali ed adottivi.
Poiché come detto in diritto penale l’interpretazione estensiva non è vietata, ne consegue, a
titolo esemplificativo, che l’aggravante del furto, prevista dall’art. 625, n. 6, c.p. «fatto commesso sul bagaglio dei viaggiatori» è applicabile estensivamente se il fatto è commesso sul
bagaglio del personale di servizio viaggiante di un treno o di un aereo. Costituirebbe, invece,
analogia (vietata) e non interpretazione estensiva, applicare la disposizione al furto di borse
in danno del personale non viaggiante in servizio presso le stazioni e gli aeroporti.
ig
2.L’efficacia della legge penale nel tempo (Art. 2 c.p.)
C
op
yr
A)Principio di irretroattività
L’art. 2 cod. pen. disciplina l’efficacia nel tempo della legge penale e della
successione di leggi, ipotesi quest’ultima che ricorre quando una nuova legge
regola in maniera differente una materia precedentemente disciplinata da
altra normativa.
In particolare il comma primo sancisce il pricipio di irretroattività della
legge penale, in linea con le disposizioni generali contenute nell’art. 11 delle
disp. prel. c.c.
In campo penale, però, il principio opera in manire più rigida, in quanto
trova presidio anche nell’art. 25 della Costituzione, in base al quale «nessuno
può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del
fatto commesso». Come si vede la regola della irretroattività trova rigida applicazione solo per le norme penali incriminatrici.
Parte Prima: Parte generale
A
.
14
Es
se
li
br
i
S.
p.
B)La successione di leggi
Gli ulteriori commi dell’art. 2 c.p. disciplinano la successione di leggi,
prevedendo in tale caso l’applcazione della norma più favorevole, nel rispetto
del generale principio del favor rei.
In sintesi le disposizioni dell’art. 2 possono essere ricostruite nel loro contenuto, nel modo che segue:
• nuove incriminazioni (art. 2, comma 1, c.p.): quando una nuova norma
elevi a reato un fatto che in precedenza non era previsto come tale, si applica il principio della irretroattività della legge, per cui ogni legge che prevede nuove figure di reato si applica solo ai fatti commessi dopo la sua
entrata in vigore (v. anche art. 25, c. 2°, Cost.);
• abolizione di incriminazioni precedenti (art. 2, comma 2, c.p.): quando una
nuova norma non prevede più come reato un fatto che in precedenza era
considerato tale, si applica il principio della retroattività della legge nuova
più favorevole al reo. L’abolitio criminis incide sul giudicato, facendo
cessare l’esecuzione della pena e gli altri effetti penali della condanna;
• se la nuova legge è solo modificatrice della precedente, soccorre, infine,
il quarto comma dell‘art.2, ai sensi del quale se la legge del tempo in cui fu
commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile. Il limite dell’intangibilità del giudicato trova, tuttavia,
un’eccezione nel disposto del terzo comma dell’art.2, neointrodotto dalla
c.d. legge sui reati di opinione (L.24-2-2006, n. 85), a norma del quale se vi
è stata condanna a pena detentiva e la legge posteriore prevede esclusivamente la pena pecuniaria, la pena detentiva inflitta si converte immediatamente nella corrispondente pena pecuniaria, ai sensi dell’articolo 135 del
codice penale.
Per determinare quale sia la disposizione più favorevole, non deve farsi una valurtazione astratta, ma concreta: ad es. se una nuova legge penale prevede per il furto un inasprimento delle pene ma, contemporaneamente lo rende procedibile a querela e non più
d’ufficio, è più favorevole per il reo la nuova legge se nel relativo processo non è stata
presentata querela.
ht
©
Eccezioni
yr
ig
Le disposizioni dell’art. 2 non si applicano nel caso di leggi eccezionali o temporanee (art.
2, comma 5, c.p.), per le quali si applica sempre la legge del tempo in cui è stato commesso
il reato. La ratio di una tale limitazione è palese: evitare che gli autori dei reati previsti da
tali leggi si sottraggano all’applicazione della pena, commettendo il fatto in prossimità della
scadenza del termine di efficacia della norma ovvero quando l’eccezionalità della situazione
sta per cessare (1).
Inoltre, esse non si applicano alle norme di carattere processuale, sicché queste ultime, anche
se «sfavorevoli» per l’imputato (ad es. in tema di custodia cautelare), possono avere efficacia
retroattiva (2).
C
op
Riguardo ai decreti legge non convertiti o convertiti con modifiche, le norme da essi
poste, non si applicano ai fatti commessi anteriormente alla loro entrata in vigore (v. Corte Cost.
n. 51/1985), anche se più favorevoli. La ragione di ciò va ricercata nel fatto che le norme del decreto legge non convertito, perdono efficacia fin dall’origine (ex tunc); pertanto non si verifica
alcun fenomeno di «successione» a cui applicare le regole dell’art. 2 c.p. Parte della dottrina, però,
ne sostiene l’applicabilità ai fatti commessi durante la vigenza del decreto stesso.
(1) Il divieto di applicazione di tali disposizioni alle norme finanziarie, previsto dall’art. 20 L. 4/1929, è
stato abrogato dal D.Lgs. 507/1999.
(2) Cfr. Corte Cost. 1-2-1982, n. 15.
Capitolo Secondo: L’interpretazione e l’efficacia della legge penale
p.
Le leggi penali dichiarate incostituzionali, poi, secondo un recente indirizzo della Corte
Costituzionale (sent. n. 148/1993), continuano ad applicarsi, se più favorevoli, ai fatti commessi
sotto il loro vigore, in omaggio al principio di irretroattività delle norme penali incriminatrici.
S.
3.L’efficacia della legge penale nello spazio
i
In via generale vige il principio della territorialità della legge penale
(artt. 3 e 6 c.p.) per il quale essa obbliga tutti coloro che (cittadini o stranieri)
si trovano nel territorio dello Stato e per i reati ivi commessi.
4.Deroghe al principio di territorialità
br
Il capoverso dell’art. 3 prevede la possibilità di deroghe al principio della
territorialità: ciò si verifica allorquando sono puniti dallo Stato italiano e secondo le leggi italiane i reati commessi all’estero.
se
li
A)Reati commessi all’estero punibili incondizionatamente
Ai sensi dell’art. 7 c.p., come modificato dal D.L. 374/2001, (conv. in L.
438/2001) è punito incondizionatamente secondo la legge penale italiana il
cittadino o lo straniero che commette in territorio estero i seguenti reati:
Es
1) delitti contro la personalità dello Stato italiano;
2) delitti di contraffazione del sigillo dello Stato e di uso di tale sigillo contraffatto;
3) delitti di falsità in monete aventi corso legale nel territorio dello Stato e in valori di bollo, o
in carte di pubblico credito italiano;
4) delitti commessi da pubblici ufficiali a servizio dello Stato abusando dei poteri o violando i
doveri inerenti alle loro funzioni;
5) ogni reato per cui speciali disposizioni di legge o di convenzioni internazionali stabiliscano
l’applicabilità della legge italiana.
Tale articolo accoglie, in sostanza, il principio della universalità e lo fa in considerazione
della particolare natura dei delitti elencati dall’articolo (così ANTOLISEI e MANTOVANI).
ig
ht
©
B)Delitti politici
Ai sensi dell’art. 8 c.p. è punito secondo la legge italiana, su richiesta del
Ministro della Giustizia (cui si deve aggiungere la querela della persona offesa se si tratta di delitto punibile a querela), il cittadino o lo straniero che
commette in territorio estero un delitto politico non compreso tra quelli indicati nel n. 1 dell’articolo precedente.
Nozione
Ai sensi dell’ultimo comma dello stesso art. 8, agli effetti della legge penale, è delitto politico ogni
delitto che offende un interesse politico dello Stato ovvero un diritto politico del cittadino; è altresì
considerato delitto politico il delitto comune determinato, in tutto o in parte, da motivi politici.
yr
Due sono, dunque, le forme di delitto politico previste dal legislatore:
op
a) il delitto oggettivamente politico, che è quello che offende un interesse politico dello Stato (integrità territoriale, indipendenza, sovranità, forma di governo etc.) ovvero un diritto
politico del cittadino (diritti elettorali attivi e passivi);
b) il delitto soggettivamente politico, che è il delitto comune determinato, in tutto o in
parte, da motivi politici.
Secondo la giurisprudenza prevalente perché un reato comune possa essere ritenuto soggettivamente politico è necessario che sia qualificato da un movente strettamente ed esclusivamente
politico; è necessario, cioè, che il reo sia stato spinto a delinquere al fine di potere, a mezzo della
sua azione, incidere sulla esistenza, costituzione o funzionamento dello Stato, oppure favorire o
contrastare idee, tendenze politiche, sociali o religiose, al precipuo scopo di realizzare una precisa idea politica.
Rientrano in questa categoria il cd. delitto anarchico e quello commesso per finalità di terrorismo.
C
A
.
15
Parte Prima: Parte generale
A
.
16
p.
Critiche in dottrina sono state espresse all’ammissibilità di un delitto soggettivamente politico solo in parte, categoria di incerta qualificazione, la quale rischia di ampliare eccessivamente
il novero dei delitti qualificabili come politici.
i
S.
C)Delitto comune commesso all’estero dal cittadino italiano
Ai sensi dell’art. 9 c.p. (modificato dalla L. 29-9-2000, n. 300), il delitto
comune commesso all’estero dal cittadino italiano è punibile in Italia e secondo
la legge italiana a condizione che:
— si tratti di delitto;
— sia punito con la reclusione e non con la sola multa;
— il reo sia presente nel territorio dello Stato.
br
Occorre, altresì, distinguere tra:
se
li
— delitto commesso a danno dello Stato o di un cittadino italiano, che è punibile solo se
la pena stabilita dalla legge è non inferiore nel minimo a tre anni di reclusione; se invece
la pena è inferiore a tre anni occorre anche la richiesta del Ministro della Giustizia, o l’istanza o la querela della persona offesa;
— delitto commesso a danno delle comunità europee, di uno Stato estero o di un cittadino straniero, per il quale occorre che l’estradizione non sia stata concessa o non sia
stata accettata dallo Stato estero, e che vi sia la richiesta del Ministro della Giustizia.
Es
D)Delitto comune commesso all’estero dallo straniero
Ai sensi dell’art. 10 c.p. (modificato dalla L. 29-9-2000, n. 300) anche in
questo caso deve trattarsi di:
a) delitto;
b) punito con la reclusione;
c) il cui autore sia presente nel territorio dello Stato.
Occorre, inoltre, distinguere tra:
ht
©
— delitto commesso a danno dello Stato o di un cittadino italiano, per il quale occorre
una pena minima non inferiore ad un anno di reclusione, la richiesta del Ministro, o la
querela o l’istanza dell’offeso;
— delitto commesso a danno delle comunità europee, di uno Stato estero o di un cittadino straniero, per il quale occorre una pena minima non inferiore a tre anni di reclusione, la richiesta del Ministro e la mancata concessione o accettazione dell’estradizione, sia
da parte del governo dello Stato in cui il reato fu commesso sia da parte del Governo dello Stato cui appartiene il reo.
C
op
yr
ig
E)Riconoscimento di sentenze penali straniere (art. 12)
Il principio della territorialità del diritto penale importerebbe la inapplicabilità e ineseguibilità in Italia delle sentenze pronunziate da tribunali stranieri; tuttavia è ammesso eccezionalmente il riconoscimento delle sentenze
straniere ai seguenti fini:
— per stabilire la recidiva o altro effetto penale della condanna ovvero per
dichiarare l’abitualità o la professionalità nel reato o la tendenza a delinquere;
— quando la condanna penale importerebbe secondo la legge italiana una
pena accessoria;
— quando, secondo la legge italiana, si dovrebbe sottoporre la persona condannata o prosciolta a misure di sicurezza;
— quando la sentenza straniera importa condanna alla restituzione o al risarcimento del danno o ad altri effetti civili (esempio: separazione personale), che devono essere fatti valere nel territorio dello Stato.
Capitolo Secondo: L’interpretazione e l’efficacia della legge penale
A
.
17
Riguardano i reati commessi all’estero, e sono punibili secondo la legge penale italiana.
Sono politici:
➤I delitti che offendono un diritto politico dello Stato o del
cittadino italiano (delitto oggettivamente politico).
➤I delitti comuni determinati in tutto o in parte da motivi
politici (delitto soggettivamente politico).
S.
Incondizionatamente i reati sono indicati dall’art. 7 cpv. c.p.
I cd. delitti politici a richiesta del Ministro di grazia e giustizia.
p.
Deroghe al principio di territorialità
➤ Il delitto comune commesso dal cittadino italiano è punibile se:
➤ trattandosi di delitto commesso a danno dello Stato o di
5.L’estradizione
©
Es
se
li
br
i
un cittadino italiano la pena stabilita dalla legge non è
inferiore nel minimo a tre anni di reclusione;
➤ la pena è inferiore a tre anni, per cui occorre la richiesta
del Ministro della Giustizia o l’istanza o la querela della
persona offesa;
Delitti comuni sono puniti se: ➤ trattandosi di delitto commesso a danno delle Comunità
europee, di uno Stato estero o di un cittadino straniero,
occorre che la estradizione non sia stata concessa o non
sia stata accettata dallo Stato estero, e che vi sia la richiesta
della Giustizia.
• sono puniti con la reclusione
• il reo è presente nel territorio ➤ Il delitto comune commesso da un cittadino straniero è
punibile secondo la legge italiana se:
• si tratta di un delitto commesso a danno dello Stato o di
un cittadino italiano sanzionato con una pena minima
non inferiore ad un anno di reclusione; occorre anche
la richiesta del Ministro della Giustizia e la querela o
l’istanza dell’offeso;
• si tratta di un reato commesso a danno delle Comunità
europee, di uno Stato estero o di un cittadino straniero,
punito con una pena inferiore nel minimo a tre anni;
occorre la richiesta del Ministro della Giustizia e che
l’estradizione non sia stata concessa o accettata né dal
governo dello Stato in cui fu commesso il reato né dallo
Stato cui appartiene il reo.
ig
ht
A)Nozione e tipi
L’estradizione, secondo la più consolidata dottrina, consiste nella consegna
che uno Stato fa di un individuo, che si sia rifugiato nel suo territorio, ad un
altro Stato, perché ivi venga sottoposto al giudizio penale (se imputato) o alle
sanzioni penali (se già condannato).
Nei paesi aderenti all’Unione Europea la procedura di estradizione è sostituita dal mandato di arresto europeo (v. §6 che segue).
op
yr
L’estradizione può essere:
— attiva, quando è lo Stato italiano che richiede ad uno Stato estero la
consegna di un individuo imputato o condannato in Italia;
— passiva, quando è lo Stato italiano che riceve da uno Stato estero, la richiesta di consegna.
C
B)Condizioni e limiti
Per l’estradizione passiva, cioè la consegna di un imputato alle Autorità
Giudiziarie estere, la legge italiana (art. 13 c.p.) pone le seguenti condizioni:
— il fatto che forma oggetto della domanda di estradizione deve essere preveduto come reato sia dalla legge italiana che da quella straniera (cd. requisito della doppia incriminabilità);
Parte Prima: Parte generale
A
.
18
In ogni caso, comunque, l’estradizione non può essere concessa:
S.
p.
— non si deve trattare di reato per il quale le convenzioni internazionali facciano espresso divieto di estradizione;
— l’estradando deve essere straniero: in caso contrario, se trattasi di cittadino
italiano, l’estradizione deve essere espressamente prevista da convenzioni
internazionali (art. 26 Cost.).
i
• per reati politici (artt. 10 e 26 Costituzione), esclusi i delitti di genocidio (L. Cost. 21 giugno
1967, n. 1);
• per motivi di razza, religione o nazionalità (L. 30 gennaio 1963 n. 300);
• per reati puniti all’estero con la pena di morte (v. sent. Corte Cost. 27 giugno 1996, n. 223),
in quanto in contrasto con principi costituzionali.
br
La procedura per la concessione dell’estradizione è disciplinata dal codice
processuale penale (artt. 697-722 c.p.p.).
C)Il cd. «principio di specialità» in tema di estradizione
li
Per un principio generale dell’ordinamento internazionale (principio che la dottrina chiama
«di specialità») la richiesta di estradizione per determinati reati importa la preventiva accettazione da parte dello Stato richiedente:
se
— dell’obbligo di non processare l’estradato per un fatto anteriore e diverso da quello per il
quale è stata concessa l’estradizione;
— del dovere di non assoggettare lo stesso ad una pena diversa da quella relativa al fatto per
cui è stata concessa l’estradizione.
Es
Il principio di specialità opera tanto nella estradizione attiva (art. 721 c.p.p.) quanto in quella passiva (art. 699 c.p.p.).
6. Il mandato di arresto europeo
ig
ht
©
A)Nozione
Dopo un tormentato iter parlamentare anche l’Italia ha conformato il proprio diritto interno alla decisione del consiglio dell’Unione europea del 13-6-2002,
varando la legge 22-4-2005, n. 69, che ha disciplinato il mandato di arresto
europeo.
Si definisce mandato di arresto europeo una decisione giudiziaria emessa da uno Stato membro dell’Unione europea (c.d. Stato membro di emissione),
in vista dell’arresto e della consegna da parte di un altro Stato membro (c.d.
Stato di membro di esecuzione), di una persona, al fine dell’esercizio di azioni
giudiziarie in materia penale o dell’esecuzione di una pena o di una misura di
sicurezza privativa della libertà personale (art. 1).
Requisiti del mandato devono essere:
la sottoscrizione da parte di un giudice;
la presenza di una motivazione del provvedimento;
la natura irrevocabile del provvedimento nel caso si tratti di una sentenza;
la non contrarietà con i principi supremi della Costituzione, anche in tema di diritti di
libertà e giusto processo.
C
op
yr
a)
b)
c)
d)
Questa nuova normativa sostituisce le disposizioni sull’estradizione nei
rapporti tra gli Stati membri dell’Unione Europea ed introduce una nuova
disciplina della consegna nelle relazioni tra autorità giudiziarie in relazione a
persone colpite da misura cautelari ovvero da sentenze definitive con condanna da espiare.
Lo scopo è di rendere più agevole all’interno dell’Unione Europea la consegna dei ricercati sottoposti a condanna o a misura cautelare.
Capitolo Secondo: L’interpretazione e l’efficacia della legge penale
A
.
19
B)Procedura passiva di consegna
li
br
i
S.
p.
Ricorre tale ipotesi quando è un altro Stato dell’Unione a richiedere allo
Stato italiano la consegna di un imputato o di un condannato presente sul
territorio (art. 5).
Competente a dare esecuzione al mandato è la Corte di Appello nel cui
distretto è residente la persona da consegnare.
Presupposto per l’accoglimento della richiesta, è che il fatto per cui è emesso il mandato costituisca reato anche secondo l’ordinamento italiano, c.d.
doppia incriminazione (art. 7).
Indipendentemente dalla doppia incriminazione, la consegna è obbligatoria, per fatti di particolare gravità elencati dall’art. 8: ad esempio associazione
per delinquere; commercio di armi ed esplosivi; ecc.
La consegna è inoltre subordinata al fatto che la persona che ne è oggetto
non sia sottoposta a procedimento penale per un fatto commesso anteriormente e diverso da quello indicato nel mandato (c.d. principio di specialità:
l’art. 26 precede però delle eccezioni che consentono egualmente la consegna,
anche se l’interessato è soggetto ad altro processo).
ht
7.Le immunità
©
Es
se
C)Procedura attiva di consegna
Ricorre tale ipotesi quando è lo Stato italiano a richiedere ad altro Stato
dell’Unione la consegna di un imputato o di un condannato presente sul loro
territorio (art. 28).
Competente ad emettere il mandato è il giudice che ha applicato una misura cautelare di custodia in carcere o arresti domiciliari (es. il GIP); ovvero se
vi è una sentenza definitiva da eseguire, il pubblico ministero che ha emesso
l’ordine di esecuzione della pena ai sensi dell’artt. 656 c.p.p. o competente
all’esecuzione di una misura di sicurezza personale ai sensi dell’art. 658 c.p.p.
Il mandato di arresto europeo è inoltrato al Ministro della Giustizia che
lo trasmette, dopo averne tradotto il testo, alla autorità competente per l’esecuzione dell’altro Stato.
op
yr
ig
L’art. 3 c.p. stabilisce che la legge penale obbliga tutti coloro che, cittadini o
stranieri, si trovano nel territorio dello Stato.
Costituiscono eccezione a tale principio le c.d. «immunità»:
a) derivanti dal diritto pubblico interno
— il Capo dello Stato non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio
delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento e attentato alla Costituzione (art. 90 Cost.);
— i Membri del Parlamento e dei Consigli Regionali non sono perseguibili
per le opinioni e i voti espressi nell’esercizio delle loro funzioni (art. 68
Cost.);
b) derivanti dal diritto internazionale
riguarda i Capi di Stati esteri, i Ministri degli Esteri, gli agenti diplomatici e
consolari, etc., e sono dettate da necessità di ordine politico.
C
Le immunità sono considerate cause personali di esclusione della punibilità.
Parte Prima: Parte generale
A
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20
p.
Capitolo Terzo
S.
Il reato in generale
I
li
br
i
l reato, da un punto di vista formale o giuridico, è quel fatto giuridico volontaria illecita, alla quale l’ordinamento ricollega, come conseguenza, una
sanzione penale (ergastolo, reclusione, arresto, multa, ammenda).
Se al fatto illecito non si ricollegano sanzioni penali bensì mere sanzioni amministrative o civili (risarcimento), si è in presenza rispettivamente di un illecito amministrativo o di un illecito civile.
Secondo una visione sostanziale, la scelta del legislatore di individuare come illeciti
penali alcuni comportamenti è ancorata alla valutazione per cui taluni fatti umani
aggrediscono beni giuridici ritenuti meritevoli di particolare protezione, secondo la
gerarchia dei valori contenuti nella Costituzione, sicché per la loro tutela appare
necessario il ricorso alla minaccia dell’irrogazione di una pena criminale.
se
Sezione I
Introduzione
Es
1. Concetto di reato
yr
ig
ht
©
La dottrina penalistica, come detto a proposito del principio di legalità
(Cap. 1, § 5) distingue due diverse nozioni di reato:
— formale, secondo cui è reato ogni fatto umano al quale l’ordinamento giuridico ricollega una sanzione penale, vale a dire una pena inflitta dalla Autorità giudiziaria a seguito di un procedimento giurisdizionale (c.d. pena criminale);
— sostanziale, secondo cui è reato ogni fatto considerato socialmente pericoloso.
La dottrina più attenta, servendosi dei principi dettati dalla Costituzione
in materia penale, ha elaborato una nozione formale-sostanziale, secondo cui
è configurabile come reato un fatto umano, previsto dalla legge (principio
di legalità) in modo preciso (principio di tassatività), ed attribuibile ad un
soggetto (principio della personalità della responsabilità penale) sia causalmente (principio di materialità) che psicologicamente (principio di soggettività), offensivo di un bene giuridico costituzionalmente rilevante (principio di offensività) e sanzionato da una norma preesistente al momento
della commissione del fatto (principio di irretroattività), che preveda una
pena proporzionata alla gravità del fatto e tesa alla rieducazione del
condannato (principio del finalismo rieducativo della pena).
C
op
Differenze tra il reato e gli altri illeciti
L’ordinamento giuridico può configurare un comportamento umano contrario ad una norma
come illecito penale, illecito civile o illecito amministrativo:
•
La distinzione del reato dall’illecito amministrativo si fonda esclusivamente su elementi
formali (essendo, secondo la dottrina prevalente, impossibile individuare una differenza
sostanziale) ossia sul tipo di sanzione prescelta dal legislatore e sull’organo — giurisdizionale o amministrativo — competente ad infliggerla.
•Analogamente, si ritiene che il reato possa essere distinto dall’illecito civile esclusivamente in base al criterio estrinseco e legale del «nomen iuris» della sanzione: pena per il reato
e risarcimento del danno o restituzione per l’illecito civile.
Capitolo Terzo: Il reato in generale
•Inoltre, si osserva che in campo civile non dominano i principi della riserva di legge e di
S.
p.
tassatività mentre sono ammesse forme di responsabilità indiretta (cd. responsabilità per
rischio) o di responsabilità oggettiva; in campo amministrativo, invece, la riserva di legge
è solo relativa (laddove in diritto penale si discute se sia assoluta o relativa).
•Va precisato che una condotta può costituire illecito, contemporaneamente, su diversi
piani: ad es. se un’automobilista investe un pedone uccidendolo, potrà essere sottoposto
all’azione penale per l’omicidio colposo ed a quella civile per il risarcimento del danno
prodotto ai familiari della vittima. Se il conducente era un autista di un autobus comunale, potrà anche essere sottoposto alle relative sanzioni amministrative, nella sua qualità di
pubblico dipendente.
A
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21
i
2.Delitti e contravvenzioni
li
br
I reati si distinguono in due grandi categorie: delitti e contravvenzioni.
Quanto al criterio di distinzione, l’art. 39 c.p. stabilisce che:
— i delitti sono i reati puniti con le pene della reclusione e/o della multa o
dell’ergastolo;
— le contravvenzioni sono punite con le pene dell’arresto e/o dell’ammenda.
se
Dottrina
ht
©
Es
La dottrina si è sforzata di individuare un criterio sostanziale di distinzione tra i due tipi di
illecito penale, senza peraltro giungere a conclusione univoche. Oggi si esclude l’esistenza di
una reale differenza ontologica tra i due tipi di reato e si afferma che la qualificazione di un
reato come «delitto» o «contravvenzione» dipende solo da una scelta di politica criminale
operata dal legislatore, che si concreta nella previsione di una diversa sanzione penale per
ciascuna categoria.
Tale distinzione è particolarmente rilevante, nel nostro diritto positivo, con riguardo alla diversa disciplina relativa all’applicazione delle pene principali ed accessorie.
Vi sono, inoltre, profonde differenze di disciplina: ad esempio, per le contravvenzioni non
è ammissibile il tentativo (cfr. art. 56 c.p. ove si parla di «delitto tentato»); dal punto di vista
dell’elemento psicologico, le contravvenzioni sono punite, indifferentemente, sia a titolo di dolo
che di colpa; i delitti, invece, di regola sono punibili solo a titolo di dolo (cfr. art. 42, c. 2 e 4,
c.p.) a meno che accanto alla figura dolosa del delitto, non sia prevista una corrispondente
figura di delitto colposo (es. art. 576 e 589 c.p. in tema di omicidio doloso e colposo) o preterintenzionale (es art. 584 c.p. in tema di omicidio preterintenzionale).
op
yr
ig
La L. 15-7-2009, n. 94 (cd. Pacchetto sicurezza) ha modificato gli importi
minimi e massimi stabiliti sia per la pena della multa che per la pena dell’ammenda. Alla luce di tali correttivi, la pena pecuniaria per la commissione di
un delitto (multa) consiste nel pagamento allo Stato di una somma oscillante fra un minimo di 50 ed un massimo di 50.000 euro (in luogo del minimo
di 7 5 e del massimo di 7 5.164 comminati dalla previgente formulazione
dell’art. 24 c.p.), mentre la pena pecuniaria per la commissione di una contravvenzione (ammenda) consiste in una somma che va da un minimo di 20
euro ad un massimo di 10.000 euro (in luogo del minimo di 7 2 e del massimo
di 7 1.032 comminati dalla previgente formulazione dell’art. 26 c.p.).
3. Il soggetto attivo del reato
C
Il soggetto attivo del reato è colui (o coloro, nel caso di concorso di persone) che pone in essere il comportamento vietato dalla norma incriminatrice.
Parte Prima: Parte generale
A
.
22
In relazione al soggetto, distinguiamo due categorie di reati:
S.
p.
— reati comuni: sono quelli che chiunque può commettere, indipendentemente da particolari qualità soggettive. In tali ipotesi la norma, di regola, fa riferimento all’espressione
«chiunque» (ad es.: l’omicidio);
— reati propri: quelli che solo soggetti che rivestono una determinata qualità (c.d. intraneus), ovvero si trovano in una determinata situazione possono porre in essere (così, solo
un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio possono commettere il delitto
di peculato, art. 314; solo chi è testimone in un processo può commettere il reato di
falsa testimonianza, art. 372 etc.).
4. Il soggetto passivo del reato
br
i
Anche nei reati propri, come in quelli comuni, è amissibile il concorso di persone, anche
se taluno degli agenti non rivesta la qualità prevista; è necessario però che l’extraneus conosca la qualità personale dell’intraneus: ad es. se un privato cittadino istiga il Sindaco a rilasciargli una concessione edilizia contro legge, entrambi risponderanno di abuso di ufficio,
benché detto delitto (art. 323 c.p.) abbia la natura di reato proprio.
©
Es
se
li
Il soggetto passivo del reato (nel codice si parla di «persona offesa dal reato») è il titolare del bene o dell’interesse che la norma giuridica tutela e
che è leso dal comportamento umano costituente reato (es.: soggetto
passivo del delitto di furto è il proprietario della cosa rubata).
Soggetto passivo può essere un singolo individuo ovvero una persona giuridica, ivi compreso lo Stato (ad esempio nei reati contro la personalità dello
Stato, nei reati contro l’amministrazione della giustizia, etc.).
Quando un reato lede o pone in pericolo più beni-interessi, appartenenti a
soggetti distinti, si dice plurioffensivo (es.: la calunnia: offende nello stesso
tempo lo Stato, nel suo interesse alla regolare amministrazione della giustizia,
e la persona falsamente incolpata).
Se i reati offendono un numero indeterminato di persone si parla di reati
vaghi (o vaganti) (es. art. 422 c.p., strage).
Differenze
yr
ig
ht
Il soggetto passivo va distinto dall’oggetto materiale del reato (la persona o la cosa su cui
cade l’attività del reo). Quando oggetto materiale del reato è una persona (es. nel caso di lesioni), la qualità di soggetto passivo ed oggetto materiale coincidono nella stesso soggetto. Talvolta però può non coincidere: ad es. nel delitto di sottrazione consensuale di minore (art. 573
c.p.) l’oggetto materiale del reato su cui cade l’azione criminosa è il minore, soggetto passivo
sono i genitori (titolari del bene protetto dalla norma).
Il soggetto passivo va altresì distinto dal danneggiato civilmente (chi, pur non essendo titolare dell’interesse protetto, riceve dal reato un danno civilmente risarcibile). Le due figure,
invero, possono non coincidere, come nel caso dell’omicidio, dove rivestono la qualifica di
danneggiati i familiari della vittima.
5.La struttura del reato
C
op
La dottrina, analizzando le singole figure criminose, ha elaborato una teoria generale del reato che individua nella struttura dell’illecito penale una serie
di elementi costitutivi comuni a tutte le fattispecie criminose.
L’analisi della struttura del reato ha condotto alla formazione di due diverse concezioni: la teoria della tripartizione e la teoria della bipartizione.
Capitolo Terzo: Il reato in generale
S.
p.
A)La concezione tripartita
Secondo la concezione tripartita (Beling; Fiandaca-Musco), il reato si
compone di tre elementi, ossia:
— tipicità, il fatto costituente reato è cristallizzato in una norma che ne descrive in maniera precisa i contorni e l’ambito applicativo;
— antigiuridicità, costituita dalla contrarietà del comportamento, non solo
alla norma penale incriminatrice (c.d. norma di divieto), ma a tutto l’ordinamento, non essendovi altre norme che giustificano detta condotta (c.d.
norme permissiva) depotenziandone l’antigiuridicità.
A
.
23
br
i
Ad esempio, se una persona rompe una serratura e si introduce in un appartamento, non è detto
che abbia commesso i reati di danneggiamento e violazione di domicilio pur essendo tale condotta prevista e sanzionata dagli artt. 635 e 614 c.p. (norme di divieto); invero se detta persona è un
ufficiale giudiziario che sta eseguendo uno sfratto, la sua condotta violenta è giustificata (art. 51
c.p.) dalle norme del codice di procedura civile che in tal caso operano come norme permissive.
se
li
— colpevolezza, intesa non solo come presenza di un coefficiente psichico
nella condotta (secondo la concezione psicologica), ma anche come giudizio
di rimproverabilità dell’autore (secondo la concezione normativa). Vedi
amplius §16, pp. 39 e seg.
Es
Ad esempio, se una persona incapace di intendere e volere uccide un’altra persona, benchè la
condotta tenuta aderisca alla fattispecie astratta dell’omicidio, in realtà non si potrà configurare il delitto per difetto di rimproverabilità e quindi di «colpevolezza», ciò in quanto l’imputabilità è un presupposto della rimproverabilità.
Pertanto la tipicità è solo un «indizio» dell’esistenza di un reato, essendo
necessario che non sussista alcuna causa di giustificazione che consenta la
condotta eliminando l’antigiuridicità (artt. 50-54 c.p.) e che detta condotta sia
rimproverabile (colpevolezza).
ig
ht
©
B)La concezione bipartita
A tale concezione si contrappone la teoria della bipartizione (Mantovani), secondo la quale il reato si compone:
— di un fatto tipico antigiuridico, che è costituito, come sopra, dall’aderenza
della condotta alla norma incriminatrice e, contestualmente, dalla sua antigiuridicità. Come si vede per tale teoria l’antigiuridicità è immanente alla tipicità;
— della colpevolezza, intesa come sopra illustrato.
yr
Pertanto nella teoria bipartita, l’antigiuridicità non ha una propria autonomia,
sicchè la presenza di un causa di giustificazione della condotta illecita (es. legittima difesa) nega in radice la presenza della tipicità. Ecco perché la teoria bipartita viene anche definita come dottrina degli elementi negativi del fatto.
L’antigiuridicità espressa e speciale
C
op
Come visto l’antigiuridicità costituisce un elemento fondamentale della struttura del reato,
come giudizio di valore del fatto, in una prospettiva di relazione con le norme dell’intero ordinamento. Talvolta il legislatore rimarca la necessità della presenza di tale elemento, utilizzando parole come «illecitamente», «abusivamente», «indebitamente» (es. art. 328 c.p.): in tali casi
si parla di antigiuridicità espressa. In altri casi poi la norma incriminatrice pretende che la
condotta sia contraria a specifiche norme (ad es. nell’art. 323 c.p., abuso di ufficio, si pretende
la violazione di norme di legge o di regolamento o del dovere di astensione): si parla in tali casi
di antigiuridicità speciale. Per la sussistenza del reato in cui è presente tale particolare tipo
di antigiuridicità è necessario che il soggetto agente abbia consapevolezza della «abusività»
della sua condotta: ne consegue che l’antigiuridicità diviene, in tali ipotesi, oggetto del dolo.
Parte Prima: Parte generale
A
.
24
p.
Struttura del reato
(secondo la teoria tripartita)
Fatto tipicoAntigiuridicità
(pp. 23 e seg.)
ElementoElemento
oggettivo
soggettivo
(pp. 24 e seg.) (pp. 30 e seg.)
S.
i
(pp. 39 e seg.)
br
Sezione II
Colpevolezza
Il fatto tipico: l’elemento oggettivo
6.La condotta umana
se
li
La struttura del fatto tipico è costituita da una fattispecie oggettivomateriale ed una fattispecie soggettiva. Elementi oggettivi sono, oltre all’autore, al soggetto passivo ed all’oggetto materiale, la condotta, l’evento ed il
nesso di causalità.
L’elemento soggettivo, invece, può assumere la forma del dolo o della colpa
ovvero, più raramente, della preterintenzione.
yr
ig
ht
©
Es
Si tratta del requisito primo ed imprescindibile dell’illecito penale,
ossia, è il comportamento umano costituente reato.
Può consistere in:
• azione (c.d. reati di azione o commissivi)
quando si concreta in un movimento del corpo, idoneo ad offendere:
— uno specifico interesse protetto dalla norma e sentito dalla collettività
(c.d. reati di offesa: es. l’omicidio che lede il bene giuridico “vita”);
— l’interesse statuale a che una determinata situazione di pericolo non si
verifichi. In tale caso la norma mira ad anticipare la tutela della collettività, prima che uno specifico bene venga leso (c.d. reati ostacolo o di
mero scopo: es. porto illegale di arma);
• omissione (c.d. reati di omissione o omissivi)
quando si concreta in un non facere del soggetto. Per aversi reato, in tal
caso, non è sufficiente la semplice inerzia da parte del soggetto, essendo
necessario che egli ometta di compiere un’azione che, per legge, aveva
l’obbligo di compiere. Esempio è dato dall’omissione di soccorso.
C
op
I reati di omissione, in base alla struttura, si distinguono in:
— reati omissivi propri
quelli che consistono nel mancato compimento dell’azione comandata e per la sussistenza
dei quali non occorre il verificarsi di alcun evento materiale, es. omissione di atti d’ufficio;
— reati omissivi impropri (o commissivi mediante omissione)
quelli che consistono nel mancato impedimento di un evento tipico e per l’esistenza dei quali occorre il suo verificarsi, es. omicidio del neonato per mancato allattamento della madre.
Si noti, da ultimo, che la condotta umana può consistere, al contempo, in
un’azione e in una omissione: è questo il caso dei reati a condotta mista
(es. un falso ideologico in atto pubblico, effettuato attraverso una attestazione
che omette di riferire determinate circostanze: art. 483 c.p.).
Capitolo Terzo: Il reato in generale
A
.
25
7.L’evento
quando la legge richiede che l’azione
od omissione produca un determinato
effetto esteriore.
Vi rientrano le categorie di reato più
gravi quali, ad esempio, l’omicidio, in
cui la conseguenza della condotta è la
morte di un uomo.
Es
quelli che si perfezionano con il solo
compimento di una data azione od
omissione.
Vi appartengono, per la maggior parte,
le contravvenzioni, alcuni delitti (es.
evasione, art. 385 c.p.) e i reati omissivi propri.
Reati di evento
se
Reati di pura condotta
li
br
i
S.
p.
Si tratta dell’effetto o risultato della condotta umana che il diritto prende in
considerazione per ricollegare al suo verificarsi conseguenze giuridiche (arg.
ex art. 40 c.p.). La dottrina individua due diverse concezioni dell’evento:
a) concezione naturalistica (Antolisei)
secondo cui l’evento è l’effetto naturale della condotta umana.
In realtà, dalla condotta possono derivare molteplici effetti ma quello penalmente rilevante è solo l’evento tipico che può essere:
— elemento essenziale del reato (es. la morte nell’omicidio, art. 575 c.p.);
— elemento aggravante (es. la morte nell’omissione di soccorso, art. 593, c.
3, c.p.).
Dunque, non essendo l’evento in senso naturalistico elemento costitutivo
di tutti i reati, si distinguono:
ig
ht
©
Essendo l’evento cronologicamente distinto dalla condotta, secondo la
concezione naturalistica, si distinguono:
quando l’evento segue a
distanza di tempo la con- Reati ad evento
frazionato
dotta (es. il pedone decide a Reati a distanza
quando l’evento si verifica in un luogo diverso
da quello in cui si è realizzata la condotta (es. un
distanza di tempo dall’investimento)
pacco bomba spedito in altra
città)
C
op
yr
Reati ad evento
differito
quando il verificarsi
dell’evento si fraziona nel
tempo (es. nel delitto di lesioni, una pluralità di patologie si
manifestano a distanza di tempo l’una dall’altra)
Parte Prima: Parte generale
A
.
26
i
S.
p.
b) concezione giuridica (Pannain)
secondo cui l’evento penalmente rilevante è dato dall’offesa dell’interesse
protetto dalla norma.
Ne consegue:
— la sussistenza dell’evento in tutti i reati in quanto tutti i reati ledono
o mettono in pericolo un bene.
Quindi viene meno, secondo tale concezione, la distinzione tra reati di
condotta e di evento;
— l’inconfigurabilità di reati con doppio evento o dei reati aggravati
dall’evento, dovendosi parlare sempre di un solo evento.
br
Dottrina
se
li
Secondo MANTOVANI, il nostro codice penale è ambiguo sul punto posto che, talvolta, sembra
aderire alla concezione naturalistica (es. artt. 6, 40, 42 etc.) e, talaltra, a quella giuridica (es.
artt. 43, 49). Si può dire che, nei casi in cui la norma penale descriva un accadimento naturalistico distinto e conseguente alla condotta, richiedendolo come elemento costitutivo della
fattispecie incriminata, si tratta di reati di evento (naturalistico). L’evento, invece, è solo giuridicamente configurabile nei reati c.d. di pura condotta, nei quali si identifica con la pura
azione o la pura omissione vietate dalla relativa norma (fiore). La verità è che se il nesso di
causalità (condotta/offesa) deve esserci in tutti i reati è, però, insopprimibile la distinzione dei
reati di condotta da quelli di evento.
8. Il rapporto di causalità
ht
©
Es
Per aversi la tipicità del fatto occorre un terzo elemento rappresentato dal
nesso causale tra la condotta posta in essere e la conseguenza da essa determinata.
In sostanza il nesso di causalità sussiste quando è possibile attribuire un
determinato evento offensivo ad una determinata condotta (FIORE).
L’esigenza del nesso di causalità tra condotta ed evento è sancita dal legislatore in via generale nell’art. 40 c.p., per cui «nessuno può essere punito per
un fatto preveduto dalla legge come reato se l’evento dannoso o pericoloso, da
cui dipende l’esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione».
yr
ig
Tale esigenza è desumibile talvolta dalle singole norme incriminatrici, ove il nesso causale è
variamente espresso dai verbi transitivi «cagionare», «determinare», «procurare», «produrre»
etc., ma trova la sua più solenne consacrazione nell’art. 27 Cost., il quale nel sancire che «la
responsabilità penale è personale» ha negato l’ammissibilità di una responsabilità per fatto altrui,
consentendo di configurare solo una responsabilità per fatto proprio, che postula in primo
luogo il nesso di causalità fra condotta ed evento.
op
L’esigenza di individuare una regola idonea a consentire il concreto accertamento del nesso causale ha introdotto la dottrina ad elaborare diverse teorie,
di seguito sinteticamente esposte.
C
a) Teoria condizionalistica (Von Buri, Giannini)
Secondo la teoria condizionalistica, causa dell’evento è l’insieme degli
antecedenti senza i quali l’evento non si sarebbe verificato: per aversi
rapporto di causalità, dunque, basta che l’agente abbia realizzato una
condizione qualsiasi dell’evento, atteso che tutte le condizioni sono equivalenti.
Capitolo Terzo: Il reato in generale
b) Teoria della causalità adeguata (Von Kries, Bettiol)
S.
p.
Per accertare l’esistenza di tale nesso causale è sufficiente il ricorso al procedimento della eliminazione mentale (o giudizio controfattuale): se eliminando mentalmente la condotta presa
in considerazione l’evento rimane, tale condotta non è causa dello stesso; se, viceversa, eliminando mentalmente la condotta viene meno anche l’evento, questo è causato da quella.
Tale teoria ha il difetto di portare ad una estensione eccessiva della responsabilità: considerando, infatti, equivalenti tutte le condizioni che concorrono alla produzione di un evento, si finisce
col considerare rilevanti anche gli antecedenti più remoti fino ad arrivare a conclusioni paradossali: ad es. incriminare per omicidio il commerciante che ha venduto l’arma all’assassino.
A
.
27
li
br
i
La teoria della causalità adeguata è sorta per ovviare al pericolo della eccessiva estensione del concetto di causa (e di conseguenza della responsabilità) cui porta la teoria condizionalistica.
Secondo tale teoria, infatti, causa dell’evento è solo quella condizione che,
secondo l’id quod plerumque accidit, e cioè secondo la comune esperienza, è
la più idonea a produrlo: affinché esista un rapporto di causalità giuridicamente
rilevante, dunque, occorre che l’agente abbia determinato l’evento con un’azione
che, secondo lo sviluppo eziologico normale della vicenda, è adeguata a produrlo.
Es
se
Anche questa teoria, però, non si sottrae a critiche. Il riferimento alla «comune esperienza»,
allo «sviluppo normale della vicenda», infatti, la rende, in pratica, una teoria poco rigorosa ed
esclusivamente empirica.
Ma, soprattutto, tale teoria finisce col limitare eccessivamente il campo delle responsabilità
penale non solo perché esclude tutte le cause atipiche ma, soprattutto, perché finisce col negare rilevanza penale alle ipotesi di sfruttamento doloso di particolari conoscenze individuali.
c) Teoria della causalità umana (Antolisei)
ig
ht
©
Per ovviare ai limiti della teoria della causalità adeguata, ANTOLISEI ha
elaborato la teoria cd. della causalità umana.
L’Autore ritiene che esiste una sfera d’azione che l’uomo può dominare
in virtù dei suoi poteri conoscitivi e volitivi; orbene, solo i risultati che rientrano in questa sfera possono considerarsi causati dall’uomo, perché,
se anche egli non li ha voluti, era comunque in grado di impedirli.
Ciò che sfugge veramente alla signoria dell’uomo è, invece, quel fatto che
ha una probabilità minima di verificarsi, ovvero il fatto eccezionale.
In definitiva, quindi, per l’esistenza del rapporto di causalità, è necessario
che l’uomo abbia posto in essere una condizione dell’evento e che quest’ultimo
non sia il risultato del concorso di fattori eccezionali.
yr
Anche la teoria della causalità umana, però, non va esente da critiche: essa non riesce a superare
i problemi dogmatici posti dalla teoria condizionalistica, relativi alla indimostrabilità del nesso
causale nel caso in cui non si conosca a priori l’idoneità della condizione a cagionare il fatto.
d) Teoria della sussunzione a leggi scientifiche
C
op
Le critiche alle teorie fin qui esposte si superano solo se si perviene ad una
spiegazione causale di tipo generalizzante e cioè mediante il ricorso a leggi valide scientificamente (anche in virtù del principio di legalità e determinatezza).
Tale indagine, come ha poi chiarito MANTOVANI, non va fatta sulla base della sola esperienza
dell’agente (perché, altrimenti, avremmo tante nozioni di causalità quanti sono i diversi livelli di
conoscenza delle persone umane) né sulla base dell’esperienza media dell’umanità (perché, altrimenti, si ricadrebbe nell’errore di fondo della causalità adeguata), bensì sulla base della migliore scienza ed esperienza di quel particolare momento storico ed in quella data materia.
Parte Prima: Parte generale
A
.
28
S.
p.
È proprio a questo concetto che si riallaccia la teoria condizionalistica
orientata secondo il modello della sussunzione sotto leggi scientifiche (STELLA, FIANDACA-MUSCO, ROMANO, PADOVANI, FIORE): per stabilire se
un antecedente possa considerarsi causa di un evento successivo, sarà necessario accertare che esso rientri nell’insieme di quegli accadimenti che,
sulla base di una successione regolare conforme ad una legge scientifica
(cd. legge di copertura), portano ad eventi del tipo di quello verificatosi in
concreto.
br
i
Ovviamente la legge di copertura non deve necessariamente essere universale (ammesso che
esistano leggi scientifiche universali) e quindi idonea ad affermare che a quella condotta consegua sempre quell’evento, ma può anche essere statistica, e cioè basata su un alto grado di
probabilità del verificarsi dell’evento a seguito di quella determinata condotta.
Trovata la legge di copertura si controlla se il singolo fatto, così come si è
concretamente realizzato, possa essere sussunto sotto di essa.
ig
ht
©
Es
se
li
Un determinato evento può anche essere il frutto di una pluralità di cause, ognuna idonea a
determinarlo o, quantomeno idonea ad aggravare il rischio del suo verificarsi: ad es. se a seguito di un investimento un pedone riporta gravissime lesioni e muore successivamente in
ospedale a seguito di un errato intervento operatorio, l’evento mortale e frutto di due cause:
l’investimento (causa antecedente) e l’errore operatorio (causa susseguente). In tale ipotesi
entrambi gli agenti, investitore e medico, potrebbero essere chiamati a rispondere dell’omicidio colposo in ragione ognuno di una diversa condotta,causa dell’evento.
Talvolta la causa concorrente può anche prescindere da una condotta umana, come nel caso
dell’emofiliaco (persona che ha problemi di coagulazione del sangue) che muore dopo una
leggera coltellata, la cui ferita non si è però tempestivamente rimarginata per la preesistente
patologia.
Tali ipotesi sono previste dall’art. 41 c.p. che disciplina le concause.
Dispone l’art. 41 che «Il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute, anche se
indipendenti dall’azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità tra azione od omissione e l’evento». Tale disposizione sembrerebbe codificare nel nostro ordinamento
la ripudiata teoria condizionalistica; senonchè il secondo comma dell’art. 41 prevede che «le
cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità quando sono state da sole sufficienti a
cagionare l’evento»
Benché il secondo comma faccia riferimento all’incidenza di fattori eccezionali (idonei ad
interrompere il rapporto di causalità) solo in relazione alle cause sopravvenute, la dottrina
(Antolisei) ritiene che per analogia in bonam partem detta disposizione vada estesa anche alle
cause preesistenti o simultanee. Altra dottrina, invece estende l’applicazione della norma facendo ricorso all’art. 45 c.p. (configurando le cause preesistenti o concomitanti idonee da sole
a determinare l’evento, come ipotesi di caso fortuito).
Il rapporto di causalità nei reati omissivi
yr
L’omissione penalmente rilevante può definirsi una forma di condotta criminosa costituita
dal comportamento negativo di un soggetto il quale non compie un’azione possibile che
aveva l’obbligo giuridico di compiere (art. 40, c. 2°, c.p.: «Non impedire un evento, che di ha
l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo»).
C
op
Tradizionalmente i reati omissivi,come già visto, si distinguono in due grandi categorie:
a)I reati omissivi propri (o altrimenti definiti di pura omissione): si esauriscono in una
condotta violativa dell’obbligo giuridico di agire senza produrre alcun evento naturalistico giuridicamente rilevante (reati di mera condotta);
b)I reati omissivi impropri: la condotta è violativa di un obbligo giuridico ed è idonea a
produrre un evento in senso naturalistico (reati di evento); questi ultimi sono frutto
della combinazione tra la clausola estensiva generale dell’art. 40 cpv. c.p. più altra fattispecie incriminatrice di parte speciale. A es. una madre che non allatta un neonato, viene
meno ad un suo obbligo giuridico (art. 40, c. 2), causando la morte e quindi ponendo in
essere un omicidio (art. 575).
Capitolo Terzo: Il reato in generale
br
i
S.
p.
Pertanto, perché il comportamento omissivo di un soggetto possa dirsi causa di un evento, è
necessario che questi abbia una posizione di garanzia e cioè un obbligo di agire per evitare
l’evento; detto obbligo può derivare dalla legge (il datore di lavoro deve garantire la sicurezza delle strutture aziendali); da contratto (la baby sitter deve garantire la sicurezza del
bambino affidatole); da una precedente azione pericolosa (colui che scava una buca in
strada, deve recintarla per evitare incidenti).
Il riconoscimento della sussistenza del rapporto di causalità in relazione ad un’omissione
assumerà connotazioni diverse a seconda che si tratti di reato con evento in senso naturalistico o meno. Solo nel primo caso, infatti, sarà possibile il suo accertamento sul piano sensoriale-percettivo. Nei reati dove manca l’evento in senso naturalistico occorrerà, per contro,
verificare se tenendo la condotta imposta dall’obbligo giuridico, l’offesa al bene protetto (e
cioè l’evento in senso giuridico), sarebbe stata evitata.
A
.
29
se
Omissione e responsabilità del medico
li
È possibile trasferire la posizione di garanzia in capo ad altri? Sia la dottrina che la giurisprudenza danno una risposta positiva. Ad esempio il datore di lavoro, imprenditore edile, può
delegare al suo capocantiere il controllo del rispetto delle norme di sicurezza. Ovviamente è
necessario, perché la delega abbia efficacia, che persona delegata abbia le capacità professionali per assolvere all’incarico.
C
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Es
Nel settore della responsabilità professionale-medica particolarmente problematica è la ricostruzione del nesso causale tra condotta omissiva ed evento. In passato la tesi più accreditata era quella dell’alto grado di probabilità dell’evento: in sostanza si parte dalla premessa che, nella attività medica, non è possibile un giudizio di certezza sull’esito che avrebbero
avuto determinati interventi, in ipotesi omessi. Il criterio allora non potrà che essere di tipo
probabilistico. Occorre pertanto la prova che il comportamento non omissivo del medico (es.
erogare un farmaco; effettuare un intervento chirurgico) avrebbe impedito l’evento lesivo
con un elevato grado di probabilità, prossimo alla certezza. Deve trattarsi, osservano talune
rigorose sentenze, di una probabilità che si avvicini al 100%: solo, infatti, la più alta, rilevante, cospicua probabilità di successo dell’intervento terapeutico omesso consentirebbe l’imputazione oggettiva dell’evento al medico.
La più recente giurisprudenza (Cass. Sez. Un. 30328/02, c.d. «sentenza Franzese») ha introdotto un diverso criterio di valutazione della causalità in caso di omissione medica, quello
della probabilità logica.
Si osserva che non è consentito dedurre dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge
statistica la conferma o meno dell’esistenza del nesso causale, perché il giudice deve verificarne la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto, cosicché si raggiunga la certezza processuale che la condotta omissiva del medico è stata condizione necessaria
dell’evento lesivo con alto o elevato grado di credibilità razionale o di probabilità logica.
Ne deriva che,se per gli orientamenti precedenti della giurisprudenza le leggi statistiche
erano decisive,perché fornivano il «quantum» della percentuale di successo dell’attività
omessa, adesso per la Suprema Corte rappresentano soltanto uno degli elementi che il giudice può e deve considerare, unitariamente a tutte le altre emergenze del caso concreto.
Accanto alla sussunzione sotto leggi scientifiche occorre, pertanto, un successivo giudizio di
conferma, puramente logico che renda ragionevole, coerente e giusto il ragionamento puramente astratto effettuato in un primo momento.
Parte Prima: Parte generale
A
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30
p.
9.Ulteriori tipologie di reati in relazione all’elemento
oggettivo
reati di danno
reati di pericolo
S.
Rispetto all’elemento oggettivo, è possibile distinguere reati anche:
— secondo la natura del pregiudizio arrecato:
li
reati di pericolo
concreto
br
i
se determinano la se si perfezionano con la semplice messa in pericolo
lesione o la distruzio- (minaccia) del bene tutelato. Questi ultimi si distinguone del bene giuridico no in:
protetto (es. lesioni
ex art. 582 c.p.).
Es
se
per i quali occorre l’accertamento in concreto, da parte
del giudice, del verificarsi
della situazione di pericolo
(es. l’incendio di cosa propria ex art. 423, comma 2,
c.p. non costituisce reato se
non è in concreto idoneo a
porre in pericolo la pubblica incolumità).
per i quali la legge dispone
una prescrizione assoluta
(iuris et de iure) di pericolosità, indipendentemente
dal verificarsi del pericolo
nella realtà (es. l’incendio
di cosa altrui ex art. 423,
comma 1, c.p. si presume
idoneo a porre in pericolo
la pubblica incolumità).
©
La giurisprudenza critica la distinzione tra pericolo concreto e presunto affermando che, in diritto penale, le presunzioni devono essere bandite tollerando tale distinzione solo perché, nella
realtà, il concetto di pericolo concreto e presunto è ben individuabile e, quindi, verificabile in
concreto. La distinzione, cioè, ha solo validità a livello probatorio in quanto è in questa fase che
l’indagine prende in considerazione, oltre la condotta, anche i presupposti ed i suoi risultati;
ht
reati di pericolo
presunto
ig
— secondo il tempo in cui si estende la condotta dell’agente:
reati di durata (permanenti)
C
op
yr
quelli per la cui esistenza la legge richiede che l’offesa al bene giuridico si protragga nel tempo per effetto della persistente condotta volontaria del soggetto (es. sequestro di persona art. 605).
reati istantanei
quelli in cui l’offesa è istantanea perché
viene ad esistenza e si conclude immediatamente, data la sua stessa impossibilità di protrarsi nel tempo (es.
omicidio art. 575).
Una particolare forma di reati con condotta protratta nel tempo (ma non continuativa e con
soluzione di continuità), sono i reati abituali (c.d. a condotta plurima) laddove per la tipicità
del fatto è necessario che l’autore commetta più condotte, ognuna dotata di propria autonomia
ma che, riviste unitariamente, costituiscono un unico reato. Ne è un esempio il delitto di
maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.) per il cui configurarsi sono necessarie una pluralità
di condotte ripartite nel tempo: ad esempio insultare il coniuge, picchiarlo, fargli mancare i
mezzi si sussistenza). Altro esempio è la relazione incestuosa (art. 564, c. 2, c.p.).
Capitolo Terzo: Il reato in generale
Sezione III
Il fatto tipico: l’elemento soggettivo
10. Il dolo
S.
p.
Quando il reato abituale è composto da una pluralità di condotte che, a loro volta, singolarmente, costituiscono reato, esso viene definito reato abituale improprio (es. quando il delitto
di cui all’art. 572 c.p. è compiuto attraverso reiterati atti di percosse e lesioni inferte al coniuge o ai figli, in tempi diversi).
A
.
31
br
i
L’elemento soggettivo, inteso come l’atteggiamento psichico dell’agente, può
assumere la forma del dolo, della colpa o ella preterintenzione.
Particolarmente rilevante è il momento rappresentativo del dolo (intesa come visione anticipata), in quanto la mancanza o scarsa conoscenza della situazione di fatto potrebbe determinare un errore che esclude il dolo (art. 47 c.p.: ad es. se un cacciatore spara verso un cespuglio
pensando vi sia una lepre ed, invece, vi è un altro cacciatore che viene ucciso dal colpo, difettando in capo all’agente la rappresentazione della presenza di un uomo, non sarà imputabile
a titolo di omicidio doloso, ma al massimo di omicidio colposo;
©
Es
se
li
a)Nozione di dolo
Può definirsi la forma tipica della volontà colpevole (art. 42 comma 2 c.p.).
Il reato è doloso o, secondo l’intenzione, quando l’evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell’azione o dell’omissione da cui la legge fa dipendere
l’esistenza di un reato, è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza
della propria azione od omissione (art. 43 c.p.).
Il dolo presuppone:
1) un momento rappresentativo: in quanto occorre che l’agente deve avere
avuto la visione anticipata di tutti gli elementi significativi del fatto che,
secondo una determinata norma incriminatrice, costituiscono il reato (ad
es. nell’omicidio deve rappresentarsi di avere in mano un fucile carico e
che il bersaglio è un uomo).
Oggetto del dolo
ht
2) un momento volitivo: in quanto occorre che la volontà dell’agente sia rivolta alla effettiva realizzazione della condotta e dell’evento conseguente ad essa.
C
op
yr
ig
Va precisato che oggetto del dolo (cioè ciò che l’agente deve preventivamente conoscere)
non è solo l’evento ma il fatto oggettivo del reato, il complesso cioè di tutti gli elementi obiettivi della fattispecie criminosa.
In particolare costituiscono oggetto di mera rappresentazione:
a) gli elementi positivi naturalistici, precedenti e concomitanti alla condotta: presupposti, strumenti e mezzi, luogo e tempo della condotta, oggetto materiale, qualifiche del soggetto passivo;
b) gli elementi normativi della fattispecie, quali ad es. l’altruità della cosa nel furto;
c) gli elementi negativi del fatto, cioè l’assenza di situazioni previste dalla legge come scriminanti, generali o speciali;
d) la illiceità speciale, intesa come richiamo ad una specifica antigiuridicità della condotta
(es. «senza autorizzazione», «abusivamente»), quando questa costituisce un elemento
normativo della fattispecie (Cass. 11848/95).
Costituiscono, invece, oggetto di rappresentazione, ma anche di volizione:
a) la condotta;
b) l’evento naturale quale conseguenza dell’azione;
c) il nesso di causalità, quantomeno nei tratti essenziali del suo decorso;
d) l’evento inteso in senso giuridico, quale lesione o messa in pericolo del bene giuridico
tutelato dalla norma.
Parte Prima: Parte generale
S.
p.
b)Tipologia
Nella commissione dei reati possono ricorrere differenti tipi di dolo:
1) dolo diretto e indiretto;
2) dolo generico e specifico;
3) dolo di danno e di pericolo;
4) dolo d’impeto e dolo di proposito.
A
.
32
Tipologie di dolo
yr
ig
ht
©
Es
se
li
br
i
• Dolo intenzionale o diretto
Si ha quando la volontà ha avuto direttamente di mira l’evento tipico. Taluni distinguono le
ipotesi di dolo intenzionale da quello di dolo diretto, ritenendo configurabile il primo quando
l’evento costituisce il fine in vista del quale il soggetto agisce o lo strumento necessario a
conseguire il fine ultimo, ed il secondo quando l’evento costituisce la conseguenza accessoria
necessariamente connessa al fatto principale.
• Dolo eventuale o indiretto
Si ha quando l’agente, ponendo in essere una condotta diretta ad altri scopi, si rappresenta
la concreta possibilità del verificarsi di ulteriori conseguenze della propria azione e, nonostante ciò, agisce ugualmente, accettando il rischio di cagionarle (ad es. se si incendia un
negozio per lucrare sull’assicurazione, l’eventuale morte di una persona occasionalmente
presente, è imputabile a titolo di omicidio con dolo eventuale).
Non può invece parlarsi di dolo eventuale o indiretto nel caso in cui il soggetto, pur essendosi rappresentato l’evento, abbia agito con la sicura convinzione che il medesimo non si
sarebbe verificato. Infatti, se si accerta che l’agente, qualora avesse previsto l’evento come
conseguenza certa della sua condotta, si sarebbe astenuto dall’agire, si configura la cd. colpa
con previsione o colpa cosciente.
• Dolo generico e specifico
Si ha dolo generico, nella maggior parte dei reati, quando è sufficiente la coscienza e la volontà del fatto, e non occorre indagare sul fine perseguito dall’agente; si ha invece dolo specifico quando la legge esige che il soggetto agisca per raggiungere un determinato fine, la cui
realizzazione non è comunque necessaria per l’esistenza del reato (es.: il fine di trarre profitto nel delitto di furto).
• Dolo di danno e di pericolo
Si ha (—) di danno quando il soggetto agente vuole ledere il bene protetto; si ha dolo di pericolo quando vuole solo minacciare il bene-interesse tutelato.
• Dolo d’impeto, di proposito e premeditazione
Il dolo è d’impeto quando la decisione di commettere il reato sorge improvvisa e viene immediatamente eseguita, senza che vi sia alcun intervallo tra la formulazione del proposito criminoso e la sua attuazione; è invece di proposito quando intercorre un consistente distacco
temporale tra il sorgere dell’idea criminosa e la sua esecuzione; una species del dolo di proposito è la premeditazione, prevista come circostanza aggravante nell’omicidio e nelle lesioni
personali.
• Dolo iniziale, concomitante, successivo
Si dice iniziale il dolo che si riscontra solo nel momento della condotta; concomitante, quello che accompagna lo svolgimento del processo causale da cui deriva l’evento; successivo,
quello che si manifesta dopo il compimento della condotta.
C
op
Nell’ambito del dolo indiretto si distinguono:
— il dolo eventuale: si ha quando il soggetto si rappresenta e vuole un evento ma, prevedendo la possibile verificazione di un altro evento diverso, agisce anche a costo di produrlo;
— il dolo alternativo: si ha quando il soggetto si rappresenta la possibilità del verificarsi
di due eventi e mostra indifferenza rispetto a quale dei due deriverà dalla sua condotta.
Differenze
Dal dolo occorre tener nettamente distinto il movente del reato: il movente, infatti, altro non
è che il motivo per cui il soggetto compie il fatto costituente reato e, generalmente, tale motivo
è irrilevante (salvo per la valutazione delle circostanze).
Capitolo Terzo: Il reato in generale
S.
p.
c) Accertamento del dolo
Si effettua considerando tutte le circostanze esteriori che in qualche modo
possono essere espressione dell’atteggiamento psichico e deducendo l’esistenza della rappresentazione e della volizione in cui si concreta il dolo dalle comuni regole di esperienza.
A
.
33
li
br
i
d)L’intensità del dolo
Il giudizio sull’intensità del dolo (intesa come il grado della determinazione dell’agente a conseguire un proposito criminoso) va effettuato valutando il
livello di aderenza o di partecipazione della coscienza e volontà al reato. La
variazione dell’intensità può essere:
— quantitativa: quando riguarda la maggiore o minore intensità del volere o
della rappresentazione del fatto rispetto alla volontà o alla coscienza;
— qualitativa: quando riguarda la coscienza del disvalore del fatto.
Tale giudizio è rilevante per la quantificazione della pena (v. art. 133 c.p.).
11.La colpa
Es
se
a)Nozione
Rispetto al dolo è una forma meno grave di volontà colpevole in quanto
manca completamente nel soggetto la volontà di cagionare l’evento.
Essa ricorre in tutti i casi in cui il soggetto, pur potendo prevedere che
la sua azione era tale da produrre eventuali conseguenze dannose o pericolose, ha agito con imprudenza o scarsa attenzione o con leggerezza,
senza cioè adottare quelle misure e quelle precauzioni che avrebbero impedito il verificarsi dell’evento.
Tipologie di colpa
colpa generica, ovvero derivante da:
ht
•
©
L’automobilista che investe un pedone, cagionandone la morte, è responsabile del delitto di omicidio colposo se l’investimento è stato la conseguenza del suo imprudente comportamento di guida.
•
yr
ig
— imprudenza, consistente nell’aver agito senza adottare le opportune cautele; ­essa si
sostanzia nell’avventatezza e presuppone scarsa considerazione degli altrui interessi
(es.: il titolare di un’attività industriale di preparazione di gas tossici non adotta le
misure tecniche per evitare perdite o fuoriuscite di gas);
— negligenza, consistente nell’aver agito senza l’accortezza e l’attenzione che sarebbero state necessarie; essa si sostanzia nella mancanza di attenzione o sollecitudine (es.:
il chirurgo dimentica un tampone emostatico nel corpo del paziente operato);
— imperizia, consistente nella inettitudine o nella scarsa preparazione professionale,
di cui il soggetto è perfettamente cosciente; di regola si risolve in una imprudenza o
negligenza qualificata (es.: un soggetto miope si pone alla guida di una autovettura
senza occhiali pur sapendo di non essere in grado di fronteggiare ogni situazione che
gli si potrebbe presentare);
C
op
colpa specifica: deriva dalla inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline, cioè
dalla violazione di norme che, imponendo determinate cautele, mirano a prevenire proprio eventi del tipo cagionato dal soggetto (es. norme antinfortunistiche);
• colpa propria: è la forma normale di colpa e ricorre in tutti i casi in cui l’evento non è
voluto dall’agente;
• colpa impropria: si ha quando l’evento è voluto dall’agente (e si dovrebbe quindi rispondere a titolo di dolo) ma la legge stabilisce, in via eccezionale, che l’agente risponde a
titolo di colpa. I casi di colpa impropria sono i seguenti: eccesso colposo nelle cause di
giustificazione (art. 55), supposizione erronea dell’esistenza di una causa di giustificazione inesistente (art. 59, comma 3), errore di fatto determinato da colpa (art. 47, comma 1);
Parte Prima: Parte generale
A
.
34
•
S.
p.
colpa cosciente: ricorre quando l’agente ha previsto l’evento senza averlo voluto. Si distingue dal dolo eventuale perché nella colpa cosciente il reo agisce con la certezza che
l’evento previsto come possibile non si verificherà (e non agisce anche a costo della sua
verificazione);
• colpa incosciente: quando l’evento non è voluto e nemmeno previsto dall’agente.
br
i
Il concetto di colpa cosciente non è una frutto di una elaborazione teorica, ma è codificata
nell’art. 41, n. 3, c.p. come aggravante dei delitti colposi, la quale ricorre quando il soggetto
ha «agito nonostante la previsione dell’evento». Come già accennato sopra, la differenza tra
dolo eventuale e colpa cosciente va rinvenuta nella previsione dell’evento. Questa, nel dolo
eventuale, si propone non come incerta, ma come concretamente possibile e l’agente nella
volizione dell’azione ne accetta il rischio, così che la volontà investe anche l’evento rappresentato. Nella colpa cosciente la verificabilità dell’evento rimane un’ipotesi astratta che
nella coscienza dell’autore non viene concepita come concretamente realizzabile e, pertanto,
non è in alcun modo voluta: ad es. se getto una pietra in una vetrina per danneggiarla, accetto il rischio che una scheggia provochi lesioni ad una persona; pertanto, se detto evento si
verifica, risponderò di lesioni volontarie (art. 582 c.p.) con dolo eventuale.
se
li
Si ricordi che la responsabilità per colpa, nei delitti, è eccezionale,
quindi per la sua punibilità è sempre necessaria la previsione espressa della
legge, mentre le contravvenzioni sono punibili sia che siano dolose che colpose (cfr. art. 42, c. 2 e 4, c.p.).
Es
b)Natura giuridica
Per stabilire in che cosa consiste l’essenza della colpa e perché questa costituisce forma autonoma di responsabilità, distinta da quella dolosa, secondo
la moderna dottrina occorre impostare la teoria della colpa superando sia le
teorie soggettive che oggettive ed accettando la cd. teoria mista.
In particolare:
•
ig
ht
©
secondo le teorie soggettivistiche (della prevedibilità, evitabilità ed errore), la colpa
consiste o nella mancata previsione di un evento prevedibile o nel non aver evitato l’evitabile o in un errore di valutazione o esecuzione;
• di contro, per le teorie oggettivistiche l’essenza va ravvisata nella violazione di un dovere di attenzione o nell’inosservazione di regole doverose di condotta;
• più esauriente è la teoria mista secondo cui l’essenza della colpa deve ravvisarsi nel
«rimprovero al soggetto per aver realizzato involontariamente, ma pur sempre attraverso la
violazione di regole doverose di condotta, un fatto di reato che egli poteva evitare mediante
l’osservanza esigibile di tali regole» (MANTOVANI).
C
op
yr
c) Elementi costitutivi
Elementi costitutivi della colpa sono:
— l’assenza della volontà dell’evento e cioè della lesione o messa in pericolo
del bene giuridico protetto dalla norma (cfr. art. 43 c.p.);
— l’esistenza di una condotta obiettivamente contraria ad una norma precauzionale, sia essa codificata (es. norme del codice della strada) o meno;
— l’evitabilità dell’evento attraverso il rispetto della norma precauzionale
(es. accertando che l’eccessiva velocità di circolazione, nel rispetto del codice della strada, avrebbe evitato l’investimento del pedone);
— possibilità da parte dell’agente di rispettare la norma precauzionale (c.d.
esigibilità della condotta: ad es. non versa in colpa il casellante di un
passaggio a livello che si addormenta, in quanto alcuni amici per scherzo
gli hanno messo un sonnifero nell’acqua).
Capitolo Terzo: Il reato in generale
A
.
35
p.
La colpa professionale
br
i
S.
Si è posto il problema di stabilire se il reato colposo cagionato da un soggetto nell’esercizio
della sua professione (c.d. colpa professionale) debba essere valutato secondo le regole generali dettate dall’art. 43 c.p. in tema di colpa (e cioè nel senso che egli deve essere chiamato a rispondere di qualsiasi negligenza, imprudenza, imperizia o per colpa specifica), oppure se anche in campo penale debba trovare applicazione il dettato dell’art. 2236 c.c. (per il
quale il professionista deve essere chiamato a rispondere solo per colpa grave, con esclusione,
quindi, di ogni responsabilità per fatti commessi con colpa media o lieve).
La dottrina è sostanzialmente concorde nel ritenere che, per valutare la sussistenza o meno della
colpa professionale, si debba far riferimento, in particolare, al parametro dell’imperizia; i criteri
per valutare il grado di imperizia richiesto al professionista originano, però, notevoli contrasti.
L’orientamento prevalente sostiene che l’accertamento della colpa professionale (in particolare,
del sanitario) vada fatto con larghezza e comprensione (in considerazione delle peculiarità dell’esercizio dell’arte medica), ma sempre nell’ambito dei criteri dettati, per l’individuazione della
colpa medesima, dall’art. 43 c.p. e non in base agli elementi dettati dall’art. 2236 c.c.
Colpa medica e lavoro in equipe
se
li
In materia di colpa medica nelle attività d’èquipe, dell’evento lesivo cagionato al paziente risponde ogni componente dell’èquipe che non osservi le regole di diligenza e perizia connesse
alle specifiche ed effettive mansioni svolte e che venga peraltro meno al dovere di conoscere e valutare le attività degli altri medici in modo da porre rimedio ad eventuali errori che pur
posti in essere da altri siano evidenti per un professionista medio (Cass. IV, 12-7-2006, 33619).
1) Criteri soggettivi di graduazione:
Es
d)Grado della colpa
Ai sensi dell’art. 133 c.p. fra i vari indici di commisurazione della pena, figura anche il grado della colpa.
— consapevolezza o meno di tenere una condotta pericolosa;
— quantum di esigibilità dell’osservanza delle regole cautelari;
— motivi che hanno spinto il soggetto ad agire.
2) Criteri oggettivi
©
— quantum di evitabilità;
— quantum di divergenza tra la condotta doverosa e quella tenuta.
ht
Nel caso di concorso di più indici, il giudice deve procedere ad un giudizio
di cumulo o di equivalenza o di prevalenza della stessa.
forme della colpa
ig
Colpa impropria
Colpa propria
yr
Elementi costitutivi
op
Profilo oggettivo
Violazione di una
regola di condotta
C
colpa generica
➤ negligenza
➤ imprudenza
➤ imperizia
Profilo soggettivo
Assenza nel reo della
volontà di realizzare l’evento
colpa specifica
➤ leggi
➤ regolamenti
➤ ordini
➤ discipline
➤ eccesso colposo nelle cause di
giustificazione
➤ errore determinato da colpa
➤ errata supposizione di causa
di giustificazione
Consapevolezza o
meno di violare la
regola di condotta
— colpa cosciente
— colpa incosciente
Parte Prima: Parte generale
A
.
36
12.La preterintenzione
S.
p.
A)Definizione
L’art. 43, comma 2, c.p., stabilisce che il «delitto è preterintenzionale, o
oltre l’intenzione, quando dall’azione o dall’omissione deriva un evento dannoso
o pericoloso più grave di quello voluto dall’agente».
Ad es. colpisco con uno schiaffo una persona la quale, scivolando, batte la testa a terra e
muore. In tal caso l’evento si realizza oltre l’intenzione, che era solo quella di percuotere.
br
i
Il codice prevede un unico caso di preterintenzione, l’omicidio preterintenzionale (art. 584 c.p.) che ricorre quando, con atti diretti a commettere uno dei
delitti preveduti dagli articoli 581 (percosse) e 582 (lesioni), si cagiona la morte
di un uomo.
li
L’omicidio preterintenzionale (art. 584) è punito meno gravemente rispetto all’omicidio volontario (art. 575) in quanto l’evento mortale non è voluto; è punito più gravemente rispetto all’omicidio colposo (art. 589), in quanto pur sempre l’evento è determinato da un’iniziale azione
violenta e doloso dell’agente: percosse o lesioni.
se
La L. 22-5-1978, n. 194 ha introdotto, poi, l’aborto preterintenzionale, cagionato cioè con azioni dirette a provocare lesioni alla donna (art. 18, comma
2).
Es
B)Struttura
Nel delitto preterintenzionale, ed in particolare nell’omicidio preterintenzionale, vi è la volontà di un evento minore (percosse o lesioni), che ne rappresenta la base dolosa, e la non volontà di un evento più grave (morte od aborto),
che è pur sempre conseguenza della condotta dell’agente, ma va oltre la sua
intenzione.
Si discute in dottrina se la preterintenzione sia:
ht
©
1) un dolo misto a colpa (dolo per l’evento minore voluto e colpa per l’evento più grave: cfr. Cass.
8-6-06, n. 19611);
2) un dolo misto a responsabilità oggettiva (dolo per l’evento voluto e responsabilità oggettiva per
quello non voluto: cfr. Cass. 14-4-06, n. 13673).
ig
La scelta tra le due teorie non è priva di conseguenze pratiche: infatti, mentre secondo la
teoria del dolo misto a responsabilità oggettiva l’agente risponde di tutti gli eventi ulteriori, per
il solo fatto che questi sono conseguenza della sua condotta, secondo la teoria del dolo misto a
colpa l’agente risponde soltanto di quei risultati ulteriori, che sono prevedibili ed evitabili.
La giurisprudenza dominante aderisce alla tesi del dolo misto a colpa, ritenendo che, in tal
modo, la preterintenzione rientra a pieno titolo nel principio di personalità della responsabilità
penale.
yr
➤Volontà (dolo) di un evento minore.
Elementi
➤ Non volontà di un evento più grave, che va quindi «oltre l’intenzione».
op
Natura
➤ Dolo misto a responsabilità oggettiva: non è richiesto che l’evento più
grave sia dovuto a negligenza, imprudenza o imperizia.
➤ Dolo misto a colpa: l’evento più grave deve essere quantomeno previsto.
C
13. Elemento soggettivo nelle contravvenzioni
Dispone l’art. 42, comma 4, c.p. che «nelle contravvenzioni ciascuno risponde della propria azione od omissione cosciente e volontaria, sia essa dolosa
o colposa».
Capitolo Terzo: Il reato in generale
S.
p.
Abbandonata ormai la tesi che riteneva sufficiente per la punibilità delle
contravvenzioni la coscienza e volontà della condotta, indipendentemente
dalla sussistenza del dolo o della colpa (Pannain), la prevalente dottrina e la
giurisprudenza ritengono che l’art. 42 c.p. non stabilisca l’irrilevanza del dolo
o della colpa, ma preveda che l’elemento soggettivo nelle contravvenzioni
può essere costituito indifferentemente dal dolo o dalla colpa (Vannini).
Mentre nei delitti il dolo rappresenta il criterio tipico d’imputazione e la colpa
l’eccezione, nelle contravvenzioni per la punibilità è sufficiente la sola colpa.
A
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37
br
i
La ratio di tale maggiore estensione dell’elemento soggettivo nelle contravvenzioni va ricercata nel fatto che, se è vero che con tali tipi di reato vengono tutelati beni giuridici di minore
rilevanza, oppure vengono punite modalità di aggressione di minore pericolosità, il Legislatore ha inteso ampliare la soglia di punibilità anche a condotte meramente colpose. In ogni caso
il differente elemento soggettivo, inciderà, ai sensi dell’art. 133 c.p., sull’entità della pena: ad
es. se imbratto la strada volontariamente (art. 674 c.p.) avrò una pena maggiore; se la imbratto per negligenza, mi sarà irrogata una pena più mite.
li
Dottrina
Es
se
Se pacifica appare tale conclusione, permangono in dottrina opinioni divergenti sulla tecnica di accertamento dell’elemento soggettivo.
Secondo alcuni, il legislatore avrebbe posto una presunzione «iuris tantum» di colpevolezza
(antolisei), la quale verrebbe meno quando l’imputato dia la prova contraria dimostrando che non gli si può rimproverare alcuna leggerezza o negligenza.
Altri autori ritengono tale impostazione priva di fondamento normativo ed in contrasto con
i principi generali in tema di accertamento dell’elemento soggettivo.
Pertanto, anche nelle contravvenzioni l’accertamento del dolo o della colpa dovrà essere compiuto secondo le regole ordinarie (Mantovani, Fiandaca-Musco). La dottrina ammette, tuttavia, il ricorso alle comuni regole di esperienza, sulla base delle quali il giudice potrà
condannare qualora non si evidenzino delle circostanze che lascino pensare ad una situazione eccezionale in cui il soggetto abbia agito senza dolo o colpa.
©
14. Responsabilità oggettiva
yr
ig
ht
L’art. 42 c.p., dopo aver posto il principio generale secondo il quale la responsabilità penale non può prescindere dalla presenza del dolo o della colpa,
aggiunge, al terzo comma, che «la legge determina i casi nei quali l’evento è
posto altrimenti a carico dell’agente, come conseguenza della sua azione od
omissione».
Si tratta della c.d. responsabilità oggettiva (di dubbia compatibilità costituzionale), che ricorre quando l’agente è chiamato a rispondere dei risultati
della sua azione, anche se rispetto ai medesimi nessun rimprovero, neppure
di semplice leggerezza, gli può essere mosso: egli risponderà, pertanto, del
fatto realizzato sulla base del solo rapporto di causalità, indipendentemente
dal concorso del dolo o della colpa.
C
op
A titolo esemplificativo, in tema di concorso di persone nel reato, dispone l’art. 116 c.p. che
qualora il reato commesso sia diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti, anche questi
ne risponde, se l’evento è conseguenza della sua azione od omissione. Il fatto che la norma faccia
riferimento alla rilevanza della sola «causalità» della condotta del concorrente, pur in assenza
della volontà dell’evento diverso, induce a ritenere che questa sia un’ipotesi di responsabilità oggettiva: pertanto, ad esempio, se nel corso di una rapina in una villa, uno dei concorrenti commette una violenza sessuale, anche gli altri ne dovrebbero rispondere, anche se tale
«evento» non era da loro voluto. Vedremo in prosieguo [cfr. Capitolo sul «Concorso di persone»]
come, per armonizzare la norma con il principio costituzionale della responsabilità penale, la
dottrina e la giurisprudenza risolvono il caso.
Parte Prima: Parte generale
A
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38
l’aberratio delicti (art. 83 c.p.);
la responsabilità del partecipe per il reato diverso da quello voluto (art. 116 c.p.);
la responsabilità dell’extraneus per concorso nel reato proprio (art. 117 c.p.);
S.
•
•
•
p.
Vengono tradizionalmente ricondotte all’istituto della responsabilità
oggettiva le seguenti figure:
Oltre a queste figure ve ne sono altre su cui però non vi è un’opinione unanime. Esse sono:
il delitto preterintenzionale (art. 43 comma 2 c.p.);
i reati aggravati dall’evento (vedi infra par. 16);
la responsabilità per i reati in materia di stampa (artt. 57-58 c.p.).
i
•
•
•
ig
ht
©
Es
se
li
br
Alcuni autori (FIANDACA-MUSCO, PAGLIARO) hanno suggerito una distinzione dei casi di responsabilità oggettiva in due gruppi:
— responsabilità oggettiva pura, in cui si prescinde del tutto dall’elemento
soggettivo, e il fatto è attribuito sulla base del solo rapporto di causalità
(sono le figure di cui alle lettere a), b) e c));
— responsabilità oggettiva mista a dolo o colpa, in cui la responsabilità oggettiva si innesta su di una fattispecie dolosa o colposa (le ipotesi di cui alle
lettere d), e) ed f)).
Sin dall’entrata in vigore della Costituzione, la disposizione di cui all’art.
42 comma 3 c.p. è stata al centro di un acceso dibattito dottrinale: oggetto
della controversia è la compatibilità della previsione in analisi con il dettato
dell’art. 27 comma 1 Cost., che sancisce la personalità della responsabilità
penale:
• La dottrina tradizionale, muovendo dal presupposto che l’art. 27, comma
1, Cost., si limita ad escludere l’ammissibilità della responsabilità per fatto
altrui, riteneva che la responsabilità oggettiva non fosse in contrasto col
dettato costituzionale, trattandosi di una responsabilità per fatto proprio,
sia pure imputata sulla base del solo nesso causale.
• La dottrina attualmente prevalente, ritenendo che l’art. 27, comma 1,
Cost., sancisca il principio della responsabilità per fatto proprio e colpevole, afferma che tutti i casi di responsabilità oggettiva presenti
nell’ordinamento, non solo «sono fossili del passato, ma sono anche
costituzionalmente illegittimi». Pertanto, come vedremo, si tenta di
dare agli articoli citati un’interpretazione compatibile con il principio
di colpevolezza.
15. I reati aggravati dall’evento
C
op
yr
Si dicono aggravati o qualificati dall’evento i reati che subiscono un aumento di pena per il verificarsi di un evento ulteriore, rispetto al fatto che già costituisce reato consumato: evento che viene posto a carico dell’agente come
semplice conseguenza della sua azione od omissione.
Esempi
Sono reati aggravati dall’evento la calunnia (nell’ipotesi prevista dall’ultimo comma art. 368);
l’abuso dei mezzi di correzione edi disciplina (art. 571); i maltrattamenti in famiglia (art.
572, comma 2).
Capitolo Terzo: Il reato in generale
S.
p.
Tra i reati aggravati dall’evento si distinguono:
— reati in cui l’evento più grave può essere indifferentemente voluto o disvoluto (es. la calunnia è aggravata se da essa derivi una condanna);
— reati in cui l’evento più grave deve necessariamente non essere voluto, in caso
contrario muterebbe il titolo del reato (es. nell’aborto, se l’agente vuole la
morte della donna, risponde di omicidio doloso).
A
.
39
br
i
La natura giuridica dei reati aggravati dall’evento è oggetto di discussioni in dottrina.
Alcuni autori ritengono che si tratti di reati circostanziati, ai quali, quindi, sarebbe possibile
applicare il giudizio di comparazione delle circostanze ex art. 69 c.p.
Altri autori, invece, ritengono che la natura di tali reati non sia unitaria: accanto ad ipotesi
riconducibili al reato circostanziato, ne esistono altre qualificabili come reato autonomo, ed in
particolare come ipotesi di reato preterintenzionale.
Es
se
li
Dopo la riforma del regime di imputazione delle circostanze (art. 59 c.p.), non può dirsi che i
reati aggravati dall’evento siano ipotesi di responsabilità oggettiva: infatti il secondo comma
dell’art. 59 stabilisce che «Le circostanze che aggravano la pena sono valutate a carico dell’agente soltanto se da lui conosciute ovvero ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa».
Pertanto l’agente nel momento in cui commette il reato deve quantomeno prevedere (o colpevolemente ignorare) la possibilità del verificarsi di un evento ulteriore più grave: la necessità della
presenza di un coefficiente psichico esclude la configurabilità della responsabilità oggettiva. Ad
es. chi partecipa ad una rissa (art. 588 c.p.) risponderà di tale reato e non anche dell’eventuale morte di uno dei corrissanti. Se però aveva visto in precedenza uno dei contendenti armato
di coltello, pur non essendo imputabile per l’omicidio non avendovi partecipato, risponderà
di rissa aggravata ai sensi dell’art. 588, c. 2, c.p. in quanto l’evento letale era prevedibile.
Sezione IV
La colpevolezza
©
16. Il principio di colpevolezza e la responsabilità personalizzata
ig
ht
Per la sussistenza del reato, non è sufficiente che il soggetto ponga in essere un fatto corrispondente ad una fattispecie astratta penalmente sanzionata,
ma occorre, anche, che sia possibile formulare a carico dell’agente un giudizio
di riproverabilità.
Tale esigenza è espressa dall’art. 27, comma 1, Cost., il quale, nell’affermare che la «responsabilità penale è personale», sancisce il principio della responsabilità per fatto proprio colpevole.
Ne consegue l’illegittimità costituzionale non solo delle ipotesi di responsabilità per fatto altrui, ma anche della responsabilità oggettiva (v. amplius §14).
op
yr
Secondo alcuni (BETTIOL), in realtà, l’art. 27 Cost. avrebbe introdotto nel nostro ordinamento il concetto di responsabilità personalizzata, per cui il soggetto non risponderebbe per il
singolo fatto compiuto ma per la sua condotta di vita o per il suo atteggiamento interiore. Si
obietta il contrasto di tale interpretazione con il principio di offensività.
17.La colpevolezza
C
Per quanto riguarda il concetto di colpevolezza, distinguiamo:
— la concezione psicologica (Antolisei)
In passato la colpevolezza veniva intesa come un nesso psichico tra l’agente ed il fatto, eguale in tutti i casi e non graduabile, necessario per affermare
la responsabilità ma non per valutarne l’entità.
Parte Prima: Parte generale
A
.
40
La tesi esposta è sottoponibile a una duplice obiezione, in quanto non consente, da un lato, di ricondurre le varie forme di responsabilità colpevole
ad un concetto unitario, e dall’altro, non consente una effettiva graduazione della colpevolezza;
— concezione normativa (Fiandaca, Fiore, Mantovani)
Secondo la prevalente dottrina, la colpevolezza si oggettiva in un giudizio di rimproverabilità per l’atteggiamento antidoveroso della volontà
che era possibile non assumere. In tal modo è consentito graduare la
responsabilità in rapporto alla maggiore o minore antidoverosità della
volontà.
br
18. Presupposti della colpevolezza
i
S.
p.
Secondo parte della dottrina, è tale innanzitutto l’imputabilità, sicché la
sua mancanza determina la sua insussistenza: una persona incapace non può
essere “rimproverabile”.
se
li
Altri autori, muovendo da una concezione psicologica, osservano che il dolo e la colpa possono riscontrarsi anche nei minori ed infermi di mente (arg. ex artt. 222 e 224 c.p.) e pertanto
l’imputabilità non può essere considerata come presupposto della colpevolezza.
Es
La colpevolezza, per definizione, presuppone la conoscenza del disvalore
del fatto: intanto può rimproverarsi al soggetto di aver causato un fatto (che
non doveva verificarsi) in quanto egli sia a conoscenza che quel modo di agire
è antidoveroso e riprovevole.
Dottrina
ht
©
Gli autori concordano nel non richiedere la coscienza dell’antigiuridicità del fatto, cioè la consapevolezza che il fatto è vietato dalla legge penale: l’art. 5 c.p., infatti, affermando che «nessuno può invocare a propria scusa l’ignoranza della legge penale», codifica l’antico principio
«ignorantia legis non excusat».
Inoltre, mentre la dottrina tradizionale ritiene sufficiente, per l’esistenza della colpevolezza,
la coscienza dell’antisocialità del fatto, cioè la consapevolezza di compiere un fatto offensivo
di interessi altrui (ANTOLISEI), la dottrina più recente, invece, richiede la coscienza di offendere l’interesse protetto dalla norma penale (BRICOLA).
Tali opinioni, tuttavia, non tengono conto dell’esistenza di numerosi reati di pura creazione
legislativa, che non sono sentiti dalla comune coscienza come fatti antisociali, e di quei reati
c.d. senza offesa, consistenti in fatti non lesivi di alcun concreto interesse, ma incriminati
perché contrari ai fini perseguiti dall’ordinamento.
ig
Secondo MANTOVANI bisogna distinguere i reati di offesa da quelli di scopo perché:
yr
— per i reati di offesa, se non è necessaria la conoscenza della norma penale occorre pur
sempre la conoscibilità e la coscienza dell’antisocialità secondo il comune giudizio;
— per i reati di scopo la conoscenza può essere surrogata dalla sola conoscibilità.
C
op
Infine, sono presupposti della colpevolezza il dolo e la colpa.
A questo proposito è, però, necessaria una precisazione al fine di non consentire l’errata equazione dolo-colpa e colpevolezza. Infatti il dolo e la colpa
costituiscono l’elemento soggettivo del fatto tipico, ma in quanto espressione
di un atteggiamento psichico rimproverabile, costituiscono anche un’indizio
della sussistenza della colpevolezza. Ecco perché la dottrina e la giurisprudenza costituzionale (sent. 1085/88) parlano di doppia funzione del dolo e
della colpa: una volta come elemento soggettivo (accanto a quello oggettivo)
del fatto tipico; una seconda volta, come oggetto del giudizio di rimproverabilità e, quindi, come indizio della colpevolezza.
Capitolo Terzo: Il reato in generale
Il principio di colpevolezza nella sent. Corte Cost. 364/1988
S.
p.
Ne consegue, a titolo esemplificativo, che può esserci fatto tipico doloso, ma non colpevolezza:
un pazzo che volontariamente uccide, commette il fatto tipico dell’omicidio (art. 575 c.p.), con
dolo (avendo voluto l’evento); ma in quanto mancante di capacità di intendere e volere (imputabilità), non è rimproverabile e quindi manca il requisito della «colpevolezza» necessario per integrare il reato.
A
.
41
se
li
br
i
L’art. 27 della Cost. dispone nel primo comma che la responsabilità penale è personale.
Secondo una restrittiva interpretazione della norma, ciò significa che nel diritto penale non
è configurabile la responsabilità per fatto altrui, ammissibile, invece, in campo civile.
La sentenza 364/98 sul punto è però innovativa, in quanto specifica che con il termine «personale» si intende anche che il fatto penalmente rilevante deve essere collegato all’agente non
solo attraverso il nesso causale, ma anche attraverso un legame psicologico. Tale legame si
sostanzia nella possibilità di poter muovere un «rimprovero» all’agente per non avere governato i suoi impulsi psichici verso un comportamento lecito: in ciò è l’essenza del principio
di colpevolezza. La necessità della rimproverabilità della condotta, si evince dal terzo comma dell’art. 27 Cost. laddove è previsto che la pena deve avere una funzione rieducativa: orbene necessita di essere rieducato solo chi è rimproverabile.
Il principio di colpevolezza determina il ripudio nel nostro ordinamento della responsabilità oggettiva, quanto meno nella sua forma pura, in quanto l’agente per essere rimproverabile, deve versare almeno in colpa sugli elementi più significativi della fattispecie penale. Ecco
perché, come già detto, dolo e colpa sono indizi della rimproverabilità dell’agente e, quindi,
della presenza della «colpevolezza» che, come più volte ricordato, è un elemento strutturale
del reato.
Es
Il principio «ignorantia legis non excusat» (art. 5 c.p.)
ht
©
Tale principio è stato recepito dal nostro codice penale all’art. 5, assumendo però nel tempo
diversa portata; infatti, in passato, data la pretesa razionalità della legge scritta, esso si fondava su una generale presunzione di conoscenza della legge.
Attualmente, tuttavia, manca di basi reali, in quanto la continua proliferazione di leggi ha
dato vita ad un ordinamento nel quale anche un cittadino diligente non è in grado di conoscere tutte le normative poste in essere.
Ciò ha determinato, in alcuni Paesi, l’introduzione di un principio che serve a temperare il
rigore della presunzione di conoscenza della legge dato dalla conoscibilità della legge penale (per cui l’ignoranza e l’errore non scusano se evitabili ed invincibili mentre scusano se
inevitabili e invincibili).
Nel nostro codice, un siffatto temperamento fu introdotto in via interpretativa, escludendo
la conoscibilità della legge in presenza di due cause oggettive:
ig
— ignoranza invincibile per l’assoluta impossibilità collettiva di prendere conoscenza
della legge (es. mancata distribuzione della Gazzetta Ufficiale dovuta ad uno sciopero);
— errore scusabile sulla liceità del fatto determinato da fonti qualificate (es. concorde
interpretazione giurisprudenziale poi mutata).
C
op
yr
Questa scusante della buona fede fu ammessa inizialmente dalla Corte di Cassazione (limitatamente alle contravvenzioni e senza cogliere la ratio profonda della scelta) e poi dalla
Corte Costituzionale con sentenza n. 364/1988 che ha dichiarato incostituzionale l’art. 5 (per
contrasto con gli artt. 27 e 3 della Costituzione) laddove non escludeva dall’inescusabilità
dell’ignoranza della legge penale l’ignoranza inevitabile.
Infine si osserva che l’inevitabilità dell’ignoranza va valutata sia sotto il profilo oggettivo
(tenendo conto delle circostanze di fatto che possono averla determinata) sia sotto quello
soggettivo (tenendo conto di particolari conoscenze o abilità del soggetto che gli consentano di
accertare il contenuto della legge).
Parte Prima: Parte generale
A
.
42
p.
Verifica della sussistenza
di un reato in concreto
➤
S.
Alla fine di questo capitolo appare opportuno sperimentare come si accerta in concreto se effettivamente in un fatto si configurano gli estremi di un reato. A titolo esemplificativo viene analizzata
l’ipotesi di un omicidio volontario (art. 575 c.p.):
Presupposti del fatto
— la vittima Caio era una persona vivente
Fatto tipico
i
➤
br
— Elemento oggettivo
➤ condotta
li
— Tizio ha sparato con una pistola
➤ evento
— Caio è morto
se
➤ nesso causale
— la morte è conseguenza della ferita d’arma da fuoco
Es
— Elemento soggettivo
— Dolo
➤
momento rappresentativo
— Tizio si è rappresentato di stare sparando ad un uomo
momento volitivo
©
➤
— la sua intenzione era di uccidere
➤
ht
Antigiuridicità
— la condotta di Tizio non è giustificata da alcuna altra norma: ad es. non
➤
ig
ha agito per legittima difesa
Colpevolezza
— Tizio è “rimproverabile” in quanto al momento del fatto era capace di
C
op
yr
intendere e volere ed ha agito con coscienza e volontà della condotta e
dell’evento
Capitolo Quarto: Le cause di esclusione del reato
A
.
43
p.
Capitolo Quarto
S.
Le cause di esclusione del reato
I
br
i
l codice penale prevede una pluralità di situazioni ricorrendo le quali non può
configurarsi un reato. In particolare, ricordando ancora una volta che secondo la
teoria tripartita la struttura del reato è composta dal fatto tipico (comprensivo di
elemento oggettivo e soggettivo), colpevolezza ed antigiuridicità, vi sono situazioni
che escludono in radice la tipicità del fatto (ad es. perché fanno venir meno
l’elemento soggettivo o parte di quello oggettivo); ovvero, pur essendo presente un
fatto tipico, escludono l’antigiuridicità (es. la legittima difesa).
li
Ad esempio se un soggetto asporta una borsa ritenendo che sia sua, poiché l’errore esclude il
dolo (art. 47 c.p.), non sussiste il fatto tipico del furto (art. 624 c.p.) per mancanza dell’elemento soggettivo. Se invece una persona ne uccide un’altra in situazione di legittima difesa (art.
52 c.p.), pur sussistendo il fatto tipico dell’omicidio, difetterà l’altro elemento costitutivo del
reato che è l’antigiuridicità.
Cause di esclusione dell’antigiuridicità
di un fatto tipico
Es
Cause di esclusione del fatto tipico
se
CAUSE di ESCLUSIONE del REATO
©
— forza maggiore (art. 45)
— consenso dell’avente diritto (art. 50)
— caso fortuito (art. 45)
— esercizio di un diritto e adempimento
— costringimento fisico (art. 46) di un dovere (art. 51)
— errore di fatto (art. 47)
— legittima difesa (art. 52)
— errore determinato dall’altrui
— uso legittimo delle armi (art. 53)
inganno (art. 48)
— stato di necessità (art. 54)
1. Cause di esclusione del fatto tipico
C
op
yr
ig
ht
Sono situazioni caratterizzate dalla esclusione di un requisito essenziale
del fatto tipico. Ciò può accadere perché mancano i requisiti minimi della tipicità penale (es. il reato impossibile, art. 47, c. 2, c.p.); perché difetta il nesso
psichico (es. quando ricorre la forza maggiore, art. 45); perché difetta parte
dell’elemento oggettivo (es. in ipotesi di caso fortuito, art. 45); perché manca
l’elemento soggettivo (es. in caso di errore, art. 47).
In tali ipotesi il fatto commesso strutturalmente non aderisce alla fattispecie astratta prevista dal legislatore e pertanto manca di “tipicità”.
a)Determinano l’esclusione del nesso psichico, c.d. suitas, (coscienza e
volontà dell’azione ex art. 42 c.p.):
1) incoscienza indipendente dalla volontà: si ha in tutti i casi in cui il soggetto pone in essere un fatto astrattamente costituente reato in stato di
totale incoscienza che non può farsi risalire alla sua volontà, neppure a titolo di colpa (es.: azioni che il soggetto compie agitandosi durante il sonno);
2) forza maggiore (art. 45 c.p.): consiste in una forza esterna all’uomo che
per il suo potere superiore determina inevitabilmente il soggetto all’azione, anche contro la sua volontà (es.: un operaio, intento a lavorare su
un’impalcatura che, sbalzato al suolo da un violentissimo colpo di vento, cadendo cagiona la morte di un passante schiacciato dal peso del
suo corpo). In tal caso si dice che il soggetto non agit, sed agitur;
Parte Prima: Parte generale
A
.
44
S.
p.
3) costringimento fisico (art. 46 c.p.): è un’ipotesi di forza maggiore in
virtù della quale l’autore del reato è la longa manus di altro soggetto che
è l’unico responsabile del reato (es.: chi è costretto con la forza a premere il grilletto di una pistola, uccidendo altra persona).
b)Determina la mancanza di parte dell’elemento oggettivo:
1) il caso fortuito (art. 45 c.p.), che ricorre quando manca il nesso di causalità tra la condotta e l’evento e quest’ultimo si è verificato per l’operare di fattori eccezionali, indipendenti dalla condotta dell’agente (SANTORO).
br
i
Secondo altra parte della dottrina (ANTOLISEI) il caso fortuito non sarebbe determinato dall’assenza del nesso causale, ma dal difetto dell’elemento soggettivo della colpa: per i sostenitori di tale
orientamento, il caso fortuito non è altro che un evento imprevedibile. Per la più recente dottrina
(FIANDACA), invece, il caso fortuito sarebbe una figura dogmaticamente “polivalente” e quindi
invocabile sia per il difetto del nesso causale, che per la mancanza di colpa.
2. Segue: L’errore
Es
se
li
c)Determinano la mancanza di dolo o colpa:
1) l’errore sul fatto costituente reato (art. 47 c.p.): consiste in una inesatta percezione della realtà da parte dell’agente che, pertanto, ritiene di
porre in essere un fatto concreto diverso da quello vietato dalla norma
penale;
2) errore su una causa di giustificazione (art. 59, c. 4, c.p.), che esclude
il dolo e di cui si parlerà ampiamente nel § 4, lett. g) che segue.
©
L’errore può incidere:
1) sul processo di formazione della volontà, la quale nasce, quindi, viziata da
una falsa rappresentazione della realtà: c.d. errore-motivo (art. 47);
2) sulla fase esecutiva del reato, cioè sul momento in cui la volontà viene attuata: si parla, in tal caso, di errore-inabilità, che si ha nel c.d. reato aberrante (artt. 82-83).
ig
ht
Va precisato che tra le cause di esclusione del fatto tipico rientra solo l’errore motivo (errore
sul fatto), non anche l’errore inabilità (c.d. aberratio), che non esclude la tipicità penale del fatto,
e la cui trattazione andrebbe collocata piuttosto nel capitolo dedicato al concorso di reati. La
scelta di parlarne in questa sede è determinata dal fatto di segnalarne le differenze con l’ipotesi
di cui all’art. 47 c.p.
yr
L’errore-motivo si distingue in:
• errore sul fatto, che cade sul fatto previsto dalla norma (art. 5 c.p.);
• errore sul divieto, che cade sulla norma che prevede il fatto (art. 47).
C
op
Dottrina
Come osserva MANTOVANI, nell’errore sul divieto l’agente vuole un fatto identico a quello
previsto dalla norma incriminatrice, credendo che esso non sia vietato: egli erra, quindi sulla
qualificazione penale del fatto; viceversa, nell’errore sul fatto, l’agente vuole un fatto diverso da
quello incriminato, ed erra, quindi, sulla corrispondenza del fatto alla fattispecie penale.
Pertanto, mentre l’errore sul divieto non esclude nel soggetto la coscienza dell’offensività del
fatto, e quindi il dolo, l’errore sul fatto fa venir meno la volontà del fatto criminoso: qualora
però l’errore sul fatto sia dovuto a colpa, l’agente risponderà del fatto se questo è previsto come
delitto colposo.
Capitolo Quarto: Le cause di esclusione del reato
p.
A)L’errore sul fatto
Si ha quando il soggetto, anche se conosce con precisione la norma penale,
crede di realizzare un fatto diverso da quello vietato dalla norma penale (art. 47
comma 1). L’errore è determinato da una falsa rappresentazione della realtà.
A
.
45
S.
L’errore sul fatto può derivare:
— da un errore di fatto che consiste in una mancata o imperfetta percezione di un dato della
realtà sensibile, per effetto del quale il soggetto agente ritiene di porre in essere un fatto concreto diverso da quello vietato dalla norma penale. Esso può cadere sugli elementi positivi e
negativi del reato: es. il cacciatore spara in un cespuglio pensando vi sia una lepre, invece vi
è un uomo che, a seguito delle ferite, muore. In tal caso l’errore esclude il dolo dell’omicidio;
br
i
— da un errore sulla legge extrapenale richiamata dalla legge penale laddove per legge extrapenale s’intende una norma diversa da quella penale e da quest’ultima richiamata ai fini della
determinazione della fattispecie criminosa; sono tali, ad esempio, le norme civilistiche concernenti la proprietà, rilevanti per la definizione del concetto di altruità della cosa nei reati
contro il patrimonio. Inoltre, l’errore sulla legge extrapenale può tradursi in:
li
— un errore sul precetto, che non esclude la responsabilità penale (salvo che, come si è detto,
non sia inevitabile);
— un errore sul fatto, che esclude la responsabilità penale quando è scusabile;
— da un errore su una norma sociale richiamata dalla legge penale.
Es
se
Concludendo, l’errore sul fatto esclude il dolo e, quando sia scusabile, anche
la colpa; quando invece l’errore sul fatto è inescusabile, l’agente risponde a
titolo di colpa, se il fatto è previsto dalla legge come delitto colposo (art. 47, co.
2, c.p.: nell’esempio sopra riportato, il cacciatore potrebbe rispondere di omicidio colposo).
Tipologie di errore
➤
errore-inabilità
errore-motivo
da ignoranza o erronea interpretazione
della legge penale
da errore sul fatto
ht
errore sul precetto (art. 5 c.p.): realizzazione di fatto di reato nell’erro- ➤
nea convinzione che non costituisca
reato, derivante
ig
➤
©
reato aberrante (artt. 82-83 c.p.)
da errore su legge extrapenale
yr
errore sul fatto (art. 47 c.p.): realizzazione di fatto di reato nell’erroneo ➤
convincimento di realizzare fatto penalmente irrilevante, derivante
da ignoranza o erronea interpretazione
di legge extrapenale
op
B)L’errore sul divieto (o sul precetto)
Si ha quando il soggetto si rappresenta, vuole e realizza un fatto materiale
che è perfettamente identico a quello vietato dalla norma penale, ma che egli,
per errore, crede non costituisca reato. Ad es., in quanto mussulmano mi
sposo in Italia più volte, pensando che ciò mi sia concesso, mentre invece
integra il reato di bigamia (art. 556 c.p.).
L’errore sul divieto può derivare:
C
— dalla ignoranza o erronea interpretazione della legge penale;
— dalla ignoranza o erronea interpretazione della legge extrapenale, richiamata dalla norma penale, quando non si traduca anche in un errore sul fatto.
Parte Prima: Parte generale
A
.
46
3. Segue: Il reato aberrante (Artt. 82-83 c.p.)
S.
p.
L’errore sul precetto è penalmente irrilevante, a meno che non sia inevitabile: infatti, l’art. 5 c.p., nel testo modificato recentemente dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 364/1988, prevede che «l’ignoranza della legge penale
non scusa, tranne che si tratti di ignoranza inevitabile».
se
li
br
i
È un’ipotesi di errore nell’esecuzione del reato.
Tale errore non esclude il reato così come l’errore sul fatto, tuttavia, come
già detto, l’argomento viene trattato in questa sede proprio per marcarne le
differenze rispetto all’ipotesi di cui all’art. 47 c.p. Il codice penale prevede due
diverse manifestazioni del reato aberrante:
1) Aberratio ictus (art. 82 c.p.): ricorre quando il reo, per errore nell’uso dei
mezzi di esecuzione del reato (es. il proiettile deviando colpisce un soggetto anziché un altro) o per altra causa (es. nel momento in cui l’agente
preme il grilletto la persona presa di mira cade e viene colpito altro soggetto) cagiona offesa a persona diversa da quella alla quale l’offesa era diretta.
Il colpevole risponde come se avesse commesso il reato in danno della
persona che voleva offendere.
Quando poi, oltre alla persona diversa, sia colpita anche quella alla quale
l’offesa era diretta, il colpevole soggiace alla pena stabilita per il reato più
grave aumentata fino alla metà (vedi schema a fine capitolo).
ht
©
Es
2) Aberratio delicti (art. 83 c.p.): si ha quando il reo, per errore nell’uso dei
mezzi di esecuzione del reato o per altra causa, cagiona un evento diverso
da quello voluto (Es. Tizio vuole ammazzare Caio e gli spara contro ma,
mentre tira, Caio cade e il proiettile colpisce materie infiammabili provocando un incendio). Il colpevole risponde dell’evento non voluto a titolo di
colpa (sempre che il fatto sia previsto dalla legge come delitto colposo;
nell’es. Tizio risponderà di incendio colposo). Se il colpevole realizza poi
anche l’evento voluto, si applicano le norme sul concorso di reati.
C
op
yr
ig
Dalla dottrina, infine, è stata creata una terza figura di «aberratio», la c.d. aberratio itineris
causarum (o aberratio causae), che si verificherebbe quando per errore nella fase consumativa la successione causale si sia svolta in maniera diversa da quella prevista dall’agente. È il
caso di chi, volendo ammazzare un soggetto mediante annegamento, lo scaraventa nel fiume,
ma il soggetto muore perché batte la testa contro un sasso.
In questo caso, però, nessun effetto produce la diversa successione causale in quanto il soggetto risponderà sempre per omicidio doloso.
Diverso è il discorso per quanto riguarda i c.d. reati a forma vincolata, in relazione ai quali le
modalità dell’azione causale costituiscono elementi essenziali. In queste ipotesi, difatti, pur
sussistendo il dolo, l’agente non è punibile, non avendo realizzato la condotta tipica prevista
e sanzionata dall’ordinamento.
Capitolo Quarto: Le cause di esclusione del reato
A
.
47
p.
Reato aberrante
aberratio delicti
(art. 83 c.p.)
errore nell’esecuzione
del reato
S.
aberratio ictus
(art. 82 c.p.)
errore nell’esecuzione
del reato
br
i
offesa a persona diversa
da quella voluta
pena prevista per il
rea­to più grave aumentata fino alla
metà
in via esclusiva
a.d. monolesiva
se
pena prevista per
il rea­to (irrilevanza dell’errore sulla
persona)
congiunta a quella
della vittima designata
a.i. plurilesiva
responsabilità a
titolo di colpa, se
fatto configurabile
in forma colposa
Es
in via esclusiva
a.i. monolesiva
li
evento diverso
da quello voluto
configurabile
concorso di
reati
©
circostanze imputate
ex art. 60 c.p.
congiunto
a quello perseguito
a.d. plurilesiva
ig
ht
aberratio
causae
op
yr
reati a forma
libera
irrilevante
decorso causale
diverso da quello
voluto
reati a
forma
vincolata
rilevante
4.Le cause di esclusione dell’antigiuridicità del fatto
tipico
C
Le cause oggettive di esclusione del fatto tipico sono comunemente denominate «cause di giustificazione» o «scriminanti».
Parte Prima: Parte generale
A
.
48
p.
L’esistenza di una causa di giustificazione esclude l’antigiuridicità del fatto,
e cioè pur in presenza della conformità del fatto a quanto previsto dalla norma
di divieto, la sussistenza della scriminante rende lecita la condotta (norma
permissiva) e quindi esclude la sussistenza del reato.
S.
Ad esempio, se una persona ne uccide un’altra, non è detto che abbia commesso il reato di
omicidio pur essendo la condotta commessa perfettamente aderente alla norma di divieto di cui
all’art. 575 c.p.; invero se detta persona ha agito in stato di legittima difesa, la sua condotta
omicida è giustificata dalla norma del codice penale che in tal caso opera come norma permissiva (art. 52 c.p.).
br
i
La rilevanza delle cause di giustificazione è obiettiva, per cui sono valutate «a favore dell’agente anche se da lui non conosciute o da lui per errore ritenute inesistenti» (art. 59, comma 1, c.p.).
Esimenti e scriminanti
Es
se
li
Prima di procedere all’analisi delle singole cause di giustificazione (scriminanti), è necessario fare una premessa. Più volte il codice prevede la non punibilità di un fatto, in presenza
di determinate circostanze: ad es. in caso di legittima difesa (art. 52 c.p.); oppure in caso di
favoreggiamento per salvare un prossimo congiunto (art. 384 c.p.); ovvero in caso di furto in
danno di un parente convivente (art. 649 c.p.). Le ragioni della non punibilità in tutti e tre i
casi ricordati non sono riconducibili ad un’unica ratio ecco perché la dottrina ha ricondotto
tutte le predette ipotesi ad una categoria generale di cause di non punibilità detta esimenti.
Nell’ambito delle esimenti, la più rilevante specie del genere è costituita dalle scriminati (artt.
50-54 c.p.). In sintesi nella categoria delle esimenti rientrano: 1) le cause di giustificazione
(scriminati); 2) le c.d. scusanti, cioè le cause di non punibilità determinate da inesigibilità
di una condotta diversa (es. art. 384 c.p.); 3) le cause di non punibilità determinate da
scelte politico-criminali (es. art. 649 c.p.).
ht
©
Le cause di giustificazione previste dalla legge sono:
a) il consenso dell’avente diritto (art. 50 c.p.).
Il consenso del titolare del bene o del diritto protetto dalla norma esclude
la illiceità di un fatto che normalmente arrecherebbe offesa a quel bene o
a quel diritto in quanto viene a priori a cadere la possibilità di un danno.
Ad es. se il proprietario di casa consente l’ingresso di Tizio nell’appartamento, non vi sarà alcuna violazione di domicilio.
Il consenso, a norma dell’art. 50, deve:
C
op
yr
ig
— avere ad oggetto un diritto disponibile.
Secondo la dottrina più recente debbono ritenersi indisponibili i diritti appartenenti alla
collettività, nonché i beni dell’individuo che sono tutelati indipendentemente dalla sua
volontà, perché riconosciuti di interesse pubblico (es. la vita);
— essere prestato validamente dal soggetto capace e titolare di tale diritto. Legittimato a prestare il consenso è colui che, altrimenti, sarebbe il soggetto passivo del reato, sempre che
abbia capacità di intendere e di volere al momento della manifestazione del consenso.
Quanto alla capacità di agire, si discute in dottrina sul limite di età richiesto per il suo
acquisto;
— sussistere al momento del fatto. Il consenso deve essere espresso con volontà non viziata
da errore, violenza o dolo, e deve essere lecito (non contrario a norme imperative, all’ordine pubblico e al buon costume) e attuale (cioè esistente al momento del fatto).
Il consenso informato
È un particolare tipo di consenso che necessita nell’esercizio dell’attività medica. Il sanitario, prima di effettuare una terapia (in particolare chirurgica), ha il dovere di informare
specificamente il paziente sugli effetti di essa e sui rischi connessi (es. dimensioni cicatrici;
Capitolo Quarto: Le cause di esclusione del reato
p.
possibilità di complicazioni post-operatorie). In difetto dell’informazione, il consenso prestato all’intervento è invalido e pertanto, indipendentemente dal suo buon esito, il medico
potrebbe essere chiamato a rispondere, ad esempio, della cicatrice operatoria (non autorizzata in modo informato) a titolo di lesioni volontarie.
A
.
49
br
i
S.
b)l’esercizio di un diritto (art. 51 c.p.).
Il titolare di un diritto, nell’esercizio di esso, può compiere alcuni atti che
normalmente costituiscono reato, rimanendo immune da pena.
Il fondamento di tale scriminante va rinvenuto nella logica considerazione
che, se l’ordinamento ha attribuito ad un soggetto un diritto e, quindi, la
facoltà di agire nell’esercizio di esso in un certo modo, l’azione riconosciuta non potrà certamente integrare un fatto illecito (esempio: il giornalista
che riferisce obiettivamente fatti che ledono l’onore di una persona non
commette il reato di diffamazione, perché esercita un diritto (di cronaca)
riconosciutogli dalla legge).
li
Tipologie
se
Nell’ambito dei diritti l’esercizio dei quali è scriminato, la dottrina individua, oltre al diritto
di cronaca giornalistica ed alla disciplina familiare, anche il diritto di critica ed i c.d. offendicula. In particolare, questi ultimi sono mezzi a tutela della proprietà atti ad offendere (es.
vetri rotti sopra un muro di recinzione). La giurisprudenza ammette, entro determinati limiti, l’uso degli offendicula.
ht
©
Es
Presupposti della scriminante sono:
— l’esistenza di un diritto;
— che il diritto sia esercitato dal suo titolare;
— che l’esercizio di esso non superi i limiti imposti dalla sua natura e dalla
esistenza di diritti altrui;
c) l’adempimento del dovere (art. 51 c.p.).
Nella ipotesi in esame, il comportamento del soggetto non costituisce reato
in quanto lo stesso non aveva alcuna facoltà di scelta, ma era tenuto a porlo
in essere dovendo adempiere ad un dovere; del fatto, eventualmente, risponderà il superiore gerarchico che ha impartito l’ordine (art. 51 comma 2).
Il dovere può derivare:
yr
ig
a) da una norma giuridica (ad esempio: il soldato che uccide in guerra non commette il
delitto di omicidio);
b) da un ordine dell’Autorità: ordine è qualsiasi manifestazione di volontà che un superiore
rivolge ad un inferiore gerarchico affinché tenga un determinato comportamento. Presupposto della scriminante è l’esistenza, tra il superiore e l’inferiore, di un rapporto di
subordinazione di diritto pubblico. L’ordine, inoltre, deve essere legittimo, tanto sotto il
profilo sostanziale quanto sotto quello formale.
Per il primo tipo di legittimità devono esistere i presupposti richiesti dalla legge. L’ordine
può essere disatteso solo se manifestamente criminoso.
C
op
Per la legittimità formale dell’ordine è invece richiesto che:
— il superiore abbia la competenza ad emetterlo;
— l’inferiore abbia la competenza ad eseguirlo;
— siano state rispettate le procedure e le formalità di legge previste per la sua
emissione.
Parte Prima: Parte generale
A
.
50
p.
L’ordine illegittimo vincolante
S.
L’inferiore gerarchico può sindacare l’ordine ricevuto solo dal punto di vista formale e non
nel merito. Ad esempio un poliziotto che deve eseguire un ordine di arresto contenuto in
una misura cautelare, deve solo controllare che essa provenga e sia firmata da un giudice.
Non deve valutare se detta misura sia sufficientemente motivata. Dell’eventuale arresto illegale risponderà il giudice.
Il sindacato può investire il merito, se l’ordine ricevuto è manifestamente criminoso: in tal caso
se il subordinato esegue l’ordine, anch’egli risponderà del reato, non operando la scriminante (ad
es. un funzionario di Polizia che, durante il servizio di ordine pubblico, immotivatamente comanda di sparare contro un corteo; in tal caso l’ordine non deve essere eseguito).
se
li
br
i
d)legittima difesa (art. 52 c.p.).
Purché vi sia un pericolo attuale per un proprio od altrui diritto, derivante
da una aggressione ingiusta da parte di un terzo, il soggetto può reagire
compiendo in danno dell’aggressore una azione che normalmente costituisce reato, sempre che tale reazione sia assolutamente necessaria per salvare il diritto minacciato e sia proporzionata all’offesa (esempio: il soggetto che uccide per difendersi da chi gli si sta scagliando contro armato di
coltello e con evidente intenzione omicida).
È talvolta ammessa la legittima difesa anticipata.
Requisiti dell’aggressione perché ricorra la scriminante sono:
Es
— oggetto dell’offesa deve essere un diritto;
— l’offesa deve essere ingiusta, cioè contraria al diritto;
— il pericolo minacciato deve essere attuale.
Agli stessi fini la reazione deve essere:
— necessaria;
— proporzionata all’offesa; proporzione che secondo la dottrina più recente deve sussistere
tra il male minacciato e quello inflitto.
©
La riforma della legittima difesa
yr
ig
ht
L’art. 52 c.p. ha subito una modifica strutturale con la legge n° 59 del 2006 la quale ha
aggiunto il secondo ed il terzo comma nei quali si prevede che il rapporto di proporzione,
enunciato nel primo comma, “sussiste” qualora, nei casi di violazione di domicilio o di
luogo ove si svolga attività commerciale, professionale o imprenditoriale, il legittimato a
presenziare in tali luoghi utilizza un’arma, legittimamente detenuta o altro idoneo mezzo,
al fine di difendere la propria o altrui incolumità e/o i propri o altrui beni subordinando ciò
alla sussistenza del pericolo di aggressione e alla mancata desistenza.
L’innovazione legislativa ha agito prevalentemente sul rapporto di proporzione tra aggressione e reazione in specifiche ipotesi, lasciando, per la verità, immutate le valutazioni relative agli altri elementi dell’esimente. Si è intervenuto, infatti, su tale rapporto di proporzione, attraverso la presunzione ex
lege della sua sussistenza allorquando l’aggressione sia realizzata con l’introduzione abusiva nel domicilio privato e vi sia pericolo per l’incolumità o di aggressione senza desistenza. In presenza di tali
requisiti la proporzionalità è presunta in modo assoluto e non relativo, non essendo ammessa
prova contraria: altrimenti non si spiegherebbe l’uso nella norma del predicato verbale “sussiste”. La
modifica de qua incide solo sul parametro della proporzione, ma non certo su quelli dell’attualità e
del l’inevitabilità del pericolo, che devono pur sempre sussistere.
C
op
e) uso legittimo delle armi (art. 53 c.p.)
Un caso particolare di attività giustificata da una norma giuridica è quello
dell’uso legittimo delle armi.
Possono invocare tale scriminante i pubblici ufficiali e quei soggetti che su legale richiesta del p.u. gli prestino assistenza. La legge ha, dunque, previsto una
«riserva di competenza» a favore del pubblico ufficiale relativamente ai casi
in cui è legittimo il ricorso alle armi. La richiesta di assistenza è legale quando
è fatta nei limiti e nei casi previsti dagli artt. 652 c.p. e 380 c.p.p.
Capitolo Quarto: Le cause di esclusione del reato
A
.
51
p.
Le condizioni perché si possa invocare la scriminante sono le seguenti:
S.
a) che il soggetto sia determinato dal fine di adempiere un dovere del proprio ufficio;
b) che il soggetto sia costretto a far uso delle armi dalla necessità (l’uso delle armi costituisce
«extrema ratio») di respingere una violenza, vincere una resistenza, impedire la consumazione dei delitti di cui all’ultimo inciso dell’art. 53.
Quanto alla resistenza è discusso se in essa rientri, oltre quella attiva, anche la passiva
quale l’inerzia o la fuga per impedire al pubblico ufficiale di adempiere un dovere di ufficio
(ad es. dimostranti che bloccano il traffico ferroviario sedendosi sulle rotaie).
L’art. 53 comma 3 c.p. richiama altri casi in cui la legge autorizza l’uso delle armi o di altri
mezzi di coazione fisica;
se
li
br
i
f) stato di necessità (art. 54 c.p.).
Ricorrendo il pericolo attuale di un danno grave alla persona (esempio: per il
bene della vita o della incolumità personale) e purché la situazione di pericolo non sia stata causata dallo stesso agente (con dolo o per colpa), il soggetto
può compiere in danno di un terzo un’azione che normalmente costituisce reato,
sempre che questa sia assolutamente necessaria per salvarsi e sia proporzionata al pericolo, e sempre che il soggetto non abbia un particolare dovere di
esporsi al pericolo stesso (esempi tipici: l’alpinista che, per salvarsi, taglia la
corda che lo lega al compagno sospeso nel vuoto e che rischia di trascinarlo
con sé nel vuoto; il naufrago che fa annegare un suo compagno in quanto la
zattera su cui si trova non può sostenere il peso di più di una persona).
Es
Perché ricorra lo stato di necessità occorre, dunque:
— l’esistenza di una situazione di pericolo attuale, da cui possa derivare un danno grave alla
persona la quale non lo abbia causato né sia tenuto ad esporvisi;
— un’azione lesiva assolutamente necessaria per salvarsi e proporzionata al pericolo.
©
L’ultimo comma dell’art. 54 statuisce che, se lo stato di necessità è determinato dall’altrui minaccia, del fatto commesso dalla persona minacciata risponde chi l’ha costretta a commetterlo;
Differenze:
ht
Legittima difesa Stato di necessità
• Il male minacciato può riguar-
• Il male minacciato deve riguardare solo diritti per dare sia diritti personali che sonali.
patrimoniali.
ig
• Si reagisce contro colui che
• Si agisce contro un terzo estraneo ed incolpevole, a
aggredisce. tal proposito la dottrina definisce lo stato di necessi tà come la scriminante amorale.
yr
• Esclude l’antigiuridicità del fatto. • Esclude l’antigiuridicità del fatto, ma residua per
l’agente l’onere di versare un equo indennizzo alla
vittima (art. 2045 c.c.).
C
op
g) errore sulle cause di giustificazione (art. 59 c.p.).
L’errore sulle scriminanti è disciplinato specificamente dall’art. 59 c.p., il
quale, conformemente alla disciplina dettata per l’errore sul fatto, stabilisce
che: «se l’agente ritiene per errore che esistano circostanze di esclusione della
pena, queste sono sempre valutate a favore di lui. Tuttavia, se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo».
Per l’operatività della scriminante putativa è necessario che l’agente supponga di trovarsi in
una situazione di fatto tale che, ove sussistesse realmente, egli eserciterebbe un diritto, adempirebbe un dovere giuridico, si troverebbe in uno stato di necessità o di legittima difesa.
Parte Prima: Parte generale
Qualora, invece, il soggetto agente ritenga erroneamente esistente una scriminante, in realtà
non prevista dalla legge, il suo è un errore sul precetto, e come tale penalmente irrilevante.
p.
A
.
52
Esempio
br
i
S.
Andrà assolto, perché il fatto non costituisce reato, colui che uccida una persona credendo
di essere assalito da un malvivente, qualora il suo errore non sia colposo e qualora nella sua
condotta non si ravvisi un eccesso di legittima difesa (nel qual caso risponderà per omicidio
colposo ex artt. 59, comma 3, e 55 c.p.). Ad es. un gioielliere spara verso un rapinatore che
impugna una pistola e che minaccia di ucciderlo: in realtà trattatasi di un amico che, a volto coperto e con una pistola finta, stava per scherzo simulando una rapina.
Se però, pur sussistendo tutti i presupposti per il ricorrere di una causa di giustificazione, l’agente colposamente ne travalichi i limiti (eccesso colposo) «si applicano le disposizioni concernenti i delitti colposi, se il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo»
(art. 55 c.p.).
Cause di giustificazione non codificate
li
La dottrina ritiene che possa farsi ricorso al procedimento analogico per individuare altre
cause di giustificazione non contemplate espressamente dalla legge. Sono state individuate le
seguenti ipotesi:
ht
©
Es
se
— informazioni commerciali: allorché tali informazioni vengano fornite dietro richiesta a
più persone e per il contenuto siano offensive dell’altrui reputazione (esempio: il signor X
suole non far fronte ai suoi impegni), formalmente ricorrerebbero gli estremi del reato di
diffamazione (art. 595): il fatto, tuttavia, non è punibile in base all’art. 51, trattandosi di
facoltà riconosciuta da una norma consuetudinaria o implicita nella tutela dell’attività
commerciale ex art. 41 Cost.;
— trattamento medico-chirurgico: per la liceità dell’attività medico-chirurgica diretta a
circoscrivere o guarire gli effetti di una malattia o ad eliminare o ridurre una deformità si
ritiene necessario il consenso del paziente (o consenso presunto nel caso dell’infortunato
operato urgentemente in stato di incoscienza). Il fondamento di tale scriminante è da ricercare nel fatto che l’attività medico-chirurgica risponde ad un interesse sociale;
— attività sportiva: il danno prodottosi fortuitamente nel corso di un’attività sportiva violenta, pur nel pieno rispetto delle regole del gioco, non può dirsi scaturente da atto illecito. Il fondamento di tale scriminante non risiede nella consuetudine e neppure nel consenso dell’offeso (perché vi osta l’art. 5 c.c.), ma, secondo BETTIOL, allorché si abbia a
soddisfare un dato interesse che si ritiene proprio di tutta la collettività (come il potenziamento fisico della gioventù attraverso lo sport), occorre anche assumere il rischio della
lesione di un interesse individuale relativo alla integrità fisica.
C
op
yr
ig
h)eccesso colposo (art. 55 c.p.)
Si parla di eccesso colposo quando le regole e condizioni previste dalla legge perché sussista la scriminante non vengono rispettate dal soggetto
agente. In altri termini, in tale ipotesi esistono i presupposti di fatto della
causa di giustificazione ma il soggetto ne travalica i limiti (es. nella legittima difesa si supera il limite della proporzione nella reazione: ad un rapinatore che minaccia a mani nude, si spara con una pistola). In tal caso si
risponderà del fatto commesso a titolo di colpa se esso è previsto come
reato colposo (es. omicidio colposo). L’eccesso colposo, in quanto si risolve
in una abuso del diritto determinato da errore, può essere solo colposo,
non essendo concepibile un errore doloso. Per una parte della dottrina e
della giurisprudenza il reato commesso per eccesso colposo nelle cause di
giustificazione è un reato doloso perché l’evento più grave può essere
dall’agente previsto e voluto, tuttavia esso è trattato come colposo soltanto
quoad poenam. Sarebbe in altri termini una ipotesi di colpa impropria.
Secondo altra autorevole dottrina (Mantovani), invece, il reato è colposo a
tutti gli effetti. Ed infatti la colpa, essendo non volontà del fatto tipico, può
sussistere sia quando l’evento non è voluto sia quando è voluto, ma l’agen-
Capitolo Quarto: Le cause di esclusione del reato
p.
te non si è rappresentato una altro elemento positivo o negativo del fatto.
Ne consegue che la distinzione tra colpa propria e colpa impropria è meramente descrittiva.
S.
5. Il reato putativo (Art. 49, comma 1 c.p.)
br
i
Ricorre quando l’agente commette un fatto che non costituisce reato,
credendo erroneamente che esso costituisca un illecito penale (ad es.: il
soggetto crede di commettere furto, ma in realtà la cosa asportata è propria).
Il reato putativo, in realtà, è un fatto lecito del tutto indifferente per il diritto penale, quindi il suo autore non è punibile a meno che concorrano nel
fatto gli elementi costitutivi di un reato diverso, nel qual caso risponderà di
quest’ultimo.
Esempio
se
li
Un soggetto, credendosi imprenditore, ritiene di commettere bancarotta; anche se il soggetto non è passibile di bancarotta, tuttavia, se nel fatto ricorrono gli estremi dell’appropriazione indebita risponderà ugualmente di tale reato).
6. Il reato impossibile (Art. 49, comma 2, c.p.)
Es
Secondo l’art. 49 comma 2 c.p. «la punibilità è esclusa quando, per l’inidoneità dell’azione o per l’inesistenza dell’oggetto di essa, è impossibile l’evento
dannoso o pericoloso».
Questa norma, oggi, è dai più ritenuta la codificazione del principio di
necessaria offensività della condotta criminosa (v. cap. 1, § 7).
Il reato impossibile si verifica, secondo la lettera della legge:
— nel caso di inidoneità dell’azione (esempio: Tizio vuol uccidere con una
pistola giocattolo).
ig
ht
©
— nell’ipotesi in cui manchi l’oggetto dell’azione e, cioè, l’oggetto materiale
del reato (la persona o la cosa su cui cade l’attività fisica del reo); ad es. nel
caso in cui Tizio spara in una casa per uccidere un suo nemico, che, però,
è partito per le ferie.
Se si verifica un delitto impossibile, il giudice ha la facoltà di ordinare che
l’imputato, prosciolto, sia sottoposto alla misura di sicurezza della libertà vigilata, ciò perché il fatto può rivelare che l’autore sia un individuo socialmente
pericoloso (1).
yr
Il reato impossibile e tentativo inidoneo
op
Come vedremo in seguito, il reato può essere sia consumato che tentato (art. 56 c.p.). In tale
ultima ipotesi il fatto non viene completato in tutti i suoi elementi (ad es. si spara per uccidere, ma la vittima viene solo ferita; in tal caso si risponderà di tentato omicidio). Il tentativo,
però, presuppone la «idoneità» della condotta: non può rispondere di tentato omicidio chi
spara contro il suo nemico con una scacciacani! Ecco perché parte della dottrina ha ritenuto
il secondo comma dell’art. 49 (reato impossibile) un inutile doppione dell’ipotesi di tentativo
non idoneo e, quindi, non punibile. In sostanza, se gli atti fossero idonei si avrebbe tentativo
punibile, se inidonei reato impossibile.
C
A
.
53
(1) È questo uno dei due casi (c.d. quasi reato) nei quali si può applicare una misura di sicurezza senza
che sussista un reato: l’altro è costituito dalla istigazione e dall’accordo criminoso che da soli non costituiscono reato (art. 115 c.p.).
Parte Prima: Parte generale
A
.
54
br
i
S.
p.
La più recente dottrina (Mantovani, Fiore, Fiandaca), invece, sostiene che il secondo comma
dell’art. 49 c.p. abbia una funzione autonoma e cioè quella di codificare il principio di
offensività. Secondo tale dottrina si impone una diversa interpretazione del cpv. dell’art. 49
c.p. Si ha allora reato impossibile nel caso in cui il soggetto ha portato a termine l’intera condotta (non un mero tentativo), ma essa per le sue caratteristiche non ha determinato l’offesa al
bene protetto dalla norma. Ad esempio se mi approprio di un spillo per cucire di altra persona,
apparentemente ho commesso un furto consumato, ma poiché la condotta è inidonea a ledere il bene giuridico “patrimonio”, ci si troverà di fronte ad un reato impossibile, non punibile.
Si ha invece tentativo inidoneo, che allora è figura diversa, nel caso in cui siano stati compiuti
solo alcuni atti inidonei (il ladro viene sorpreso dalla polizia prima ancora che inizi la condotta furtiva). Essendo diverse le figure, diversi saranno i criteri di accertamento della idoneità o
meno rispettivamente degli atti e della azione: l’accertamento della idoneità degli atti nel
tentativo è effettuato secondo un giudizio di prognosi postuma (cioè ex ante ed in concreto);
l’inidoneità dell’azione nel reato impossibile, invece, va necessariamente valutata ex post.
per
inidoneità
assoluta
relativa
tentativo inidoneo
reato
impossibile
tentativo
punibile
ai sensi
dell’art. 56
c.p.
C
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yr
ig
ht
©
reato impossibile
per inesistenza
dell’oggetto
di singoli atti
Es
dell’intera azione
se
li
realizzazione di fatto riconducibile ad una
fattispecie di reato, ma improduttivo di evento
dannoso o pericoloso
conseguenze
non punibilità
facoltà del giudice di
applicare all’imputato
prosciolto una misura di
sicurezza
pena prevista per il reato effettivamente commesso, nel caso in cui il
fatto integri gli estremi
di un diverso reato
Capitolo Quinto: Le forme di manifestazione del reato
A
.
55
S.
Le forme di manifestazione del reato
p.
Capitolo Quinto
O
br
i
ltre alle forme ordinarie di manifestazione, che prevedono un iter criminis
composto da tre momenti cronologicamente distinti (ideazione, esecuzione e consumazione) il reato può presentarsi nelle forme del:
— tentativo, caso in cui il normale iter criminis si interrompe prima o durante
la fase dell’esecuzione (senza giungere dunque alla consumazione);
— reato circostanziato, in cui il fatto tipico presenta elementi ulteriori rispetto alla fattispecie prevista dal codice.
1.L’iter criminis
ht
©
Es
se
li
Il reato, dal punto di vista dinamico, si realizza passando attraverso varie
fasi (iter criminis):
— l’ideazione: si svolge all’interno della psiche del reo che si determina a commettere il reato;
— la preparazione: si verifica solo nei reati a dolo di proposito e consiste
nell’apprestare gli strumenti necessari per la realizzazione del reato;
— l’esecuzione: si ha quando il soggetto pone in essere materialmente la condotta esteriore richiesta per la sussistenza del reato;
— la perfezione: il reato è perfetto quando si sono realizzati tutti gli elementi
essenziali che la norma richiede per la sua esistenza;
— la consumazione: si ha quando il reato perfetto ha raggiunto la sua massima gravità concreta.
Generalmente, la perfezione e la consumazione coincidono, come nel reato istantaneo; esse si differenziano, però, nel reato permanente o abituale.
Pertanto, mentre la perfezione indica il momento in cui il reato è venuto
ad esistere, la consumazione indica il momento in cui è venuto a cessare, in
cui si chiude l’iter criminis per aprirsi la fase del postfactum.
2. Il tentativo (Art. 56 c.p.)
C
op
yr
ig
A)Definizione
Ricorre la figura del delitto tentato (o tentativo) quando il soggetto agente
vuole commettere un delitto e si attiva in tal senso, senza però realizzare completamente il fatto tipico per cause indipendenti dalla propria
volontà.
La punibilità del tentativo deriva dalla combinazione di due norme:
— la norma incriminatrice di parte speciale, che configura come reato un determinato fatto;
— l’art. 56 c.p., che disciplina i requisiti del tentativo.
L’art. 56 svolge, pertanto, una funzione estensiva dell’ordinamento penale,
in quanto consente di reprimere penalmente fatti che non giungono alla soglia
della consumazione e che, senza di essa, non sarebbero sanzionabili.
Parte Prima: Parte generale
A
.
56
p.
Differenze con il delitto consumato
S.
Sul piano sostanziale, il tentativo costituisce un «minus» rispetto al delitto consumato: infatti, mentre in quest’ultimo si ha una lesione effettiva dell’interesse protetto dalla norma incriminatrice, nel tentativo ricorre solo una lesione potenziale, cioè la messa in pericolo di tale
interesse. Ciò giustifica, sotto il profilo sanzionatorio, un trattamento meno severo del tentativo rispetto al delitto consumato.
Sul piano normativo, il tentativo costituisce un titolo autonomo di reato rispetto al delitto
consumato: esso, infatti, è previsto e sanzionato dalla legge e costituisce un reato perfetto in sé
e per sé.
li
br
i
Sotto il profilo soggettivo il delitto tentato è necessariamente doloso,
presupponendo l’intenzione di commettere il delitto perfetto in tutti i suoi elementi costitutivi.
Sotto il profilo oggettivo, il delitto tentato è costituito da:
— un elemento negativo: il mancato compimento dell’azione o il mancato verificarsi dell’evento;
— un elemento positivo: l’idoneità e la univoca direzione degli atti.
se
Secondo l’art. 56 c.p., il delitto tentato può assumere due forme:
Es
1) quando l’agente abbia posto in essere l’intera condotta, che avrebbe dovuto cagionare
l’evento, senza che lo stesso si sia però realizzato (c.d. tentativo compiuto): ad esempio,
ha sparato mancando la vittima;
2) quando l’agente abbia soltanto iniziato, senza portarla a termine, la condotta diretta alla
commissione del delitto (c.d. tentativo incompiuto): ad esempio, ha preso la mira ma è
stato disarmato prima di premere il grilletto.
È evidente che il mancato perfezionamento del delitto deve dipendere da circostanze estranee
alla condotta, altrimenti il tentativo non è configurabile per inidoneità della condotta (ad
esempio, l’agente ha sparato con un fucile giocattolo). Anche il tentativo, infatti, soggiace al
principio di necessaria offensività.
ht
©
B)Requisiti
Requisiti necessari per la configurabilità del tentativo sono la idoneità
degli atti e la loro univocità.
Quanto alla idoneità, essa va valutata secondo il criterio della «prognosi postuma»: riportandosi idealmente alla situazione concreta al momento del fatto,
con giudizio quindi effettuato ex ante, bisogna cioè valutare se la condotta era
idonea a ledere il bene giuridico protetto, con rilevante grado di possibilità.
ig
Ad es. se tizio lancia una bomba in un salotto ove da poco, occasionalmente, si è allontanato
il suo nemico, potrà essere imputato di tentato omicidio, in quanto, con giudizio ex ante, era
verosimile che l’avversario si trovasse in salotto e quindi morisse.
yr
In assenza di idoneità degli atti, ricorrerà una un’ipotesi di reato impossibile ai sensi del secondo comma dell’art. 49 c.p.
C
op
Quanto alla univocità, essa consiste nel fatto che la condotta deve avere
raggiunto una progressione tale di sviluppo da lasciare trasparire, oggettivamente, che verosimilmente il delitto sarebbe stato commesso.
Ad es. se un pregiudicato viene trovato con una pistola in tasca a poca distanza da una Banca, per ciò solo non può dirsi che stava per commettere una rapina. Invece se viene fermato
nell’atrio, mentre già impugna l’arma, ben può dirsi che lo sviluppo dell’azione, oggettivamente,
lasciava trasparire l’intenzione di commettere la rapina.
Il requisito della necessaria univocità degli atti lascia intendere perché il
tentativo sia ammissibile solo in relazione ai delitti dolosi, in quanto per quel-
Capitolo Quinto: Le forme di manifestazione del reato
p.
li colposi non può configurarsi una volontà diretta univocamente alla commissione del reato.
A
.
57
S.
È questo, inoltre, il motivo per il quale, secondo la prevalente dottrina e giurisprudenza, il
tentativo non è compatibile con il dolo eventuale, in cui l’agente si rappresenta l’evento come
possibile ma in realtà non agisce per determinarlo.
Il problema dell’individuazione dell’inizio dell’attività punibile
li
br
i
La dottrina più antica, cui si ispirava lo stesso codice Zanardelli, individuava l’inizio dell’attività punibile in base al grado di sviluppo dell’attività criminosa: secondo tale dottrina, costituivano tentativo punibile solo gli atti esecutivi, e non gli atti meramente preparatori del
reato (c.d. teoria dell’inizio dell’esecuzione).
Le difficoltà di rinvenire un soddisfacente criterio distintivo tra le due categorie di atti, però,
ha indotto il legislatore del 1930 ad abbandonare questa teoria, fondando il concetto di
tentativo punibile su di un diverso criterio.
Per la più moderna dottrina, perché si possa parlare di delitto tentato è necessario che il
soggetto attivo abbia posto in essere «atti idonei diretti in modo non equivoco a commettere
un delitto», senza fare distinzione tra atti preparatori ed atti esecutivi.
ht
©
Es
se
C)Inammissibilità e pena
Il tentativo è inammissibile:
— nelle contravvenzioni, dato che l’art. 56 c.p. parla di «delitto», non di reato;
— nei delitti abituali, che si perfezionano con la reiterazione delle condotte
criminose che di per sé non assumono rilevanza autonoma;
— nei delitti di attentato (o a consumazione anticipata), per i quali ciò che
costituisce il minimum per l’esistenza del tentativo già integra la consumazione del reato stesso;
— nei reati omissivi propri, ove prima della scadenza del termine per compiere l’azione non vi è ancora reato; dopo la scadenza esso è consumato;
— nei delitti colposi, nei quali manca l’intenzione di realizzare il fatto contemplato dalla norma incriminatrici, quindi non è possibile identificare il requisito della «univocità».
La pena per il delitto tentato è quella prevista per il delitto consumato ridotta da un terzo a due terzi.
3. Segue: Desistenza e recesso attivo
ig
La desistenza e il recesso attivo ricorrono quando il soggetto, dopo aver
compiuto atti che già di per sé costituiscono tentativo punibile, muta proposito ed opera in modo che il delitto non si perfezioni. Così il reato non si completa non per fattori estranei ma per mutata volontà del soggetto agente.
op
yr
A)Desistenza
Si ha desistenza (art. 56 comma 3) correlata al tentativo incompiuto,
quando l’agente, dopo aver iniziato l’esecuzione del delitto volontariamente
interrompe l’attività criminosa (es. ladro che, dopo aver forzato una porta, si
allontana senza introdursi nell’appartamento). Essa determina l’impunità, a
meno che l’attività criminosa, fino a quel momento posta in essere, costituisca
di per sé reato diverso (es. danneggiamento della porta).
C
B)Recesso attivo
Si ha recesso attivo (art. 56 comma 4) correlato al tentativo compiuto,
allorché il colpevole abbia già condotto a termine l’attività delittuosa e, desi-
Parte Prima: Parte generale
A
.
58
S.
p.
derando, in seguito a riflessioni, evitare il verificarsi dell’evento, si attiva per
impedirlo (es.: Tizio, dopo aver gettato Caio nel fiume, lo salva prima che anneghi).
Il recesso ha carattere solo e sempre positivo, in quanto esige una nuova
attività da parte dell’agente, ed anche per esso, come per la desistenza, occorre il requisito della volontarietà.
Il recesso attivo non importa, come la desistenza, la totale impunità ma solo
una ulteriore diminuzione della pena da un terzo alla metà. Esso, dunque,
si configura come una circostanza attenuante (l’unica prevista per il tentativo).
br
i
L’articolo 5 della legge n. 15/80 disciplina una figura particolare di recesso attivo del terrorista; stabilisce, infatti, tale articolo: «fuori del caso previsto dall’art. 56 del codice penale, non
è punibile il colpevole di un delitto commesso per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine
democratico che volontariamente impedisce l’evento e fornisce elementi di prova determinanti
per la esatta ricostruzione del fatto e per la individuazione degli eventuali concorrenti».
li
Schema sommario del tentativo
➤ compimento di atti
—idonei
se
Struttura oggettiva
diretti alla commissione di un delitto
—univoci
Es
➤ mancata consumazione del delitto
—per mancato prodursi dell’evento (tentativo compiuto)
—indipendentemente dalla volontà del reo
—derivante dalla volontà del reo (recesso attivo)
—per mancato compimento dell’azione (tentativo incompiuto)
—indipendentemente dalla volontà del reo
ht
➤
©
—derivante dalla volontà del reo (desistenza volontaria)
Elemento soggettivo
ig
➤
➤ dolo del delitto consumato
Conseguenze sanzionatorie
C
op
yr
➤ tentativo compiuto e tentativo incompiuto
—delitto punito con ergastolo:
—reclusione non inferiore a 12 anni
—delitto punibile con pena temporanea
—pena diminuita da 1/3 a 2/3
➤ desistenza volontaria
—l’agente risponde esclusivamente di quanto ha realizzato, con impunità
per il tentativo
➤ recesso attivo
—pena applicabile al tentativo, ulteriormente diminuita da 1/3 alla metà
Capitolo Quinto: Le forme di manifestazione del reato
A
.
59
4. Circostanze del reato
li
br
i
S.
p.
A)Generalità
Le circostanze sono elementi accidentali del reato, non indispensabili per
la sua esistenza, in quanto possono indifferentemente sussistere o mancare.
La presenza di una o più circostanze — che comporta la trasformazione
del reato da semplice in circostanziato — influisce soltanto sulla gravità del
reato e, quindi, sulla misura della pena per esso prevista (sul concorso di circostanze vedi schema a fine capitolo).
Le circostanze si distinguono in:
a) aggravanti ed attenuanti: le prime determinano una maggiore gravità del
reato e, quindi, comportano un aumento di pena; le seconde, una minore
gravità di esso ed una riduzione di pena;
b) comuni e speciali: le prime sono applicabili a tutti i reati (es. artt. 61 e 62
c.p.) o quantomeno ad ampie categorie (es. reati colposi, art. 62, n. 3, c.p.);
le seconde sono previste soltanto con riferimento ad un reato o ad alcuni
reati (es. art. 625 c.p. per il furto).
se
B)Circostanze aggravanti comuni (1)
C
op
yr
ig
ht
©
Es
L’art. 61 c.p. prevede tredici circostanze aggravanti comuni:
1) l’avere agito per motivi abietti o futili;
2) l’avere commesso il reato per eseguirne od occultarne un altro (cd. nesso
teleologico), ovvero per conseguire o assicurare a sé o ad altri il prodotto o il profitto o il prezzo ovvero la impunità di un altro reato;
3) l’avere, nei delitti colposi, agito nonostante la previsione dell’evento;
4) l’avere adoperato sevizie o l’aver agito con crudeltà verso le persone;
5) l’avere profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche
in riferimento all’età (il riferimento all’età della persona offesa nella
previsione dell’aggravante comune della minorata difesa è stato introdotto dalla L. 15-7-2009, n. 94 — cd. Pacchetto sicurezza), tali da ostacolare la pubblica o privata difesa;
6) l’avere il colpevole commesso il reato durante il tempo in cui si è sottratto volontariamente alla esecuzione di un mandato o di un ordine di
arresto o di cattura o di carcerazione, spedito per un precedente reato;
7) l’avere, nei delitti contro il patrimonio o che comunque offendono il
patrimonio ovvero nei delitti determinati da motivi di lucro, cagionato
alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di rilevante gravità;
8) l’avere aggravato o tentato di aggravare le conseguenze del delitto commesso;
9) l’avere commesso il fatto con abuso dei poteri o con la violazione dei
doveri inerenti ad una pubblica funzione o a un pubblico servizio ovvero alla qualità di ministro di un culto;
10) l’avere commesso il fatto contro un pubblico ufficiale o una persona
incaricata di un pubblico servizio o rivestita della qualità di ministro
del culto cattolico o di un culto ammesso nello Stato, ovvero contro un
agente diplomatico o consolare di uno Stato estero, nell’atto o a causa
dell’adempimento delle funzioni o del servizio;
11) l’aver commesso il fatto con abuso di autorità o di relazioni domestiche,
ovvero con abuso di relazioni d’ufficio, di prestazione d’opera, di coabitazione o di ospitalità;
(1) Per un breve commento delle circostanze aggravanti comuni si consiglia la consultazione dell’art. 61
del codice penale esplicato (E3).
Parte Prima: Parte generale
A
.
60
S.
p.
12) l’avere il colpevole commesso il fatto mentre si trova illegalmente sul
territorio nazionale;
13) l’aver commesso un delitto contro la persona ai danni di un soggetto
minore all’interno o nelle adiacenze di istituti d’istruzione o di formazione (disposizione introdotta dall’art. 3, c. 20, L. 94/2009).
C)Circostanze attenuanti comuni (2)
L’art. 62 c.p. prevede sei circostanze attenuanti comuni:
©
Es
se
li
br
i
1) l’avere agito per motivi di particolare valore morale o sociale;
2) l’avere reagito in stato d’ira, determinato da un fatto ingiusto altrui (c.d.
provocazione);
3) l’aver agito per suggestione di una folla in tumulto quando non si tratta
di riunioni o assembramenti vietati dalla legge o dalla Autorità, e il colpevole non è delinquente o contravventore abituale o professionale o
delinquente per tendenza;
4) l’avere, nei delitti contro il patrimonio o che comunque offendono il
patrimonio, cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di speciale tenuità, ovvero, nei delitti determinati da motivi di lucro,
l’avere agito per conseguire o l’avere comunque conseguito un lucro di
speciale tenuità, quando anche l’evento dannoso o pericoloso sia di speciale tenuità;
5) l’essere concorso a determinare l’evento, insieme con l’azione o l’omissione del colpevole, il fatto doloso della persona offesa;
6) l’avere, prima del giudizio, riparato interamente il danno mediante il risarcimento di esso e, quando sia possibile, mediante la restituzione, o
l’essersi, prima del giudizio e fuori dell’ipotesi preveduta nell’ultimo
capoverso dell’art. 56 c.p., adoperato spontaneamente ed efficacemente
per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato
(c.d. ravvedimento operoso).
ht
Il «ravvedimento operoso» (art. 61, n. 6, c.p.) si distingue dal recesso attivo (art. 56, c. 4,
c.p.) in quanto quest’ultimo interviene durante l’esecuzione del reato e prima della sua consumazione; il ravvedimento costituisce, invece, un comportamento tenuto post delictum, che
interviene dopo la cessazione della condotta punibile.
D)Segue: Attenuanti generiche
yr
ig
L’art. 62bis c.p. prevede, infine, la applicabilità di «altre circostanze», diverse da quelle previste dall’articolo 62 (es. l’incensuratezza) con le quali queste possono anche concorrere, qualora
siano ritenute tali da giustificare una diminuzione della pena.
Limitata è la possibilità di concessione di tali attenuanti per chi è gravato dalla recidiva reiterata.
Inoltre, a seguito dei correttivi effettuati sul disposto dell’art.62bis ad opera del D.L. 23-5-2008,
n. 92, convertito in L. 24-7-2008, n. 125 (noto come decreto sicurezza), l’assenza di precedenti
condanne per altri reati a carico del condannato non puo‘ essere, per cio’ solo, posta a fondamento della concessione delle circostanze attenuanti generiche.
op
E)Dissociazione e collaborazione nei reati di terrorismo e di mafia
Il primo comma dell’art. 4 del D.L. 15-12-1979, n. 625, convertito nella L. 6-2-1980, n. 15
stabilisce che:
C
«Per i delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico, salvo
quanto disposto nell’art. 289bis del codice penale, nei confronti del concorrente che, dissociandosi
(2) Per un breve commento delle circostanze attenuanti comuni, si consiglia la consultazione dell’art. 62
del codice penale esplicato (E3).
Capitolo Quinto: Le forme di manifestazione del reato
p.
dagli altri, si adopera per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, ovvero
aiuta concretamente l’autorità di polizia e l’autorità giudiziaria nella raccolta di prove decisive per
l’individuazione o la cattura dei concorrenti, la pena dell’ergastolo è sostituita da quella della reclusione da dodici a venti anni e le altre pene sono diminuite da un terzo alla metà».
A
.
61
S.
Da tale norma appare, con evidenza, che la dissociazione e l’attiva collaborazione con l’Autorità giudiziaria da parte del concorrente sono state configurate dal legislatore come vere e proprie
circostanze attenuanti.
Un’analoga circostanza attenuante è prevista per la dissociazione dalle organizzazioni di
tipo mafioso; nonché dall’art. 73 comma 7 e 74 comma 7 del D.P.R. 309/1990 per la dissociazione in tema di traffico di sostanze stupefacenti.
i
F)La valutazione delle circostanze e la rilevanza dell’errore a seguito
della L. 7-2-1990, n. 19
se
li
br
Prima della L. 7-2-1990 n. 19, la disciplina in materia di valutazione delle circostanze era ispirata ad
un rigoroso criterio oggettivo per il quale le circostanze, sia attenuanti che aggravanti, si applicavano per
il solo fatto di esistere. L’errore sulla loro esistenza od inesistenza non aveva alcuna rilevanza.
La L. n. 19/1990 ha modificato il testo dell’art. 59 c.p. e, ispirandosi al principio di colpevolezza o comunque di personalità della responsabilità penale, subordina l’applicabilità delle aggravanti alla conoscenza della loro esistenza da parte del soggetto agente o quantomeno all’ignoranza
dovuta a colpa. Quindi l’aggravio di pena è consentito solo se la circostanza, obiettivamente
sussistente, era stata ignorata dal soggetto agente per sua colpa o per errore determinato da colpa.
C’è, dunque, una piena equiparazione alla disciplina degli elementi costitutivi del reato.
Se, allora, non è possibile muovere al soggetto agente un rimprovero almeno di colpa, non gli
si può imputare una circostanza aggravante.
Es
La valutazione delle circostanze può perciò così distinguersi:
a) le circostanze attenuanti: sono valutate a favore dell’agente anche se da lui
non conosciute o per errore ritenute inesistenti;
b) le circostanze aggravanti sono valutate a carico dell’agente soltanto se da
lui conosciute ovvero ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore
determinato da colpa.
©
Esempio
ig
ht
Se il ladro porta via con sé un quadretto credendolo di minimo valore, mentre è un’opera di
un grandissimo pittore, arrecando così al derubato un ingente danno, non sarà a lui contestabile l’aggravante di cui all’art. 61 n. 7 in quanto questa, pur obiettivamente sussistente,
non era da lui conosciuta; né potrà essere mosso al ladro, non intenditore d’arte, alcun rimprovero di ignoranza per colpa.
Se invece il ladro ha portato via un quadro credendolo di ingente valore, mentre è una «crosta»,
di nessun o minimo valore, egli potrà beneficiare di una diminuzione di pena ai sensi dell’art.
62 n. 4 in quanto questa, essendo un’attenuante obiettivamente sussistente, viene valutata a
suo favore indipendentemente dalla consapevolezza o meno della sua insussistenza.
C
op
yr
G)Le circostanze nel tentativo
La regola generale in materia di rapporti tra delitto tentato e circostanze è
che sono compatibili col delitto tentato tutte le circostanze (aggravanti o attenuanti) ad esclusione soltanto di quelle concernenti un’attività che nemmeno
parzialmente sia stata posta in esecuzione e di quelle che presuppongono l’avvenuta consumazione del reato.
Molto discusso è il problema dell’applicabilità al tentativo di delitto contro il patrimonio
dell’aggravante ex art. 61 n. 7 c.p. (danno patrimoniale di rilevante gravità) e dell’attenuante
ex art. 62 n. 4 c.p. (danno patrimoniale di speciale tenuità).
Secondo una corrente che trova ancora largo seguito in giurisprudenza (Cass. 1556/89), entrambe le circostanze sono compatibili col tentativo, sempre che risulti accertato che, laddove
il tentativo fosse riuscito, il danno patrimoniale cagionato alla persona offesa sarebbe stato di
rilevante gravità o di speciale tenuità.
Parte Prima: Parte generale
A
.
62
Tipologie delle circostanze
p.
—comuni (che si applicano a tutti i reati)
o speciali (si applicano solo ad un determinato reato)
—aggravanti (art. 61 c.p.)
—attenuanti (art. 62 c.p.)
6
➤
—oggettive (che riguardano il fatto) o
soggettive (che riguardano il reo o l’intensità dell’elemento soggettivo) (art. 70
c.p.)
S.
➤ circostanze tipiche
—antecedenti, concomitanti o conseguenti
br
i
—ad efficacia comune (che comportano
un aumento o diminuzione della pena
fino ad un terzo)
➤ circostanze atipiche
se
—attenuanti generiche
(art. 62bis c.p.)
li
—ad effetto speciale (che comportano un
aumento o diminuzione superiore ad un
terzo o una pena di specie diversa)
ig
ht
Il concorso di circostanze può essere tra:
©
Es
➤ Circostanze omogenee: si fa luogo a tanti aumenti o diminuzioni
di pena quante sono le circostanze concorrenti.
La legge prevede dei limiti con riferimento sia all’aumento che alla
diminuzione in caso di più circostanze omogenee:
• se concorrono più circostanze aggravanti (art. 66) la pena
irrogabile in concreto non potrà essere superiore al triplo del
massimo stabilito dalla legge, né comunque superiore
1. agli anni 30 in caso di reclusione;
2. agli anni 5 in caso di arresto;
3. a 10.329 euro e 2065 euro in caso rispettivamente di multa
o di ammenda;
• se concorrono più circostanze attenuanti (art. 66) la pena da
infliggere in concreto non potrà essere inferiore:
1. a 10 anni, in caso di pena punita con l’ergastolo;
2. ad un quarto della pena, in caso di più attenuanti ad efficacia
comune;
• se una circostanza aggravante (o attenuante) contiene in sé
un’altra circostanza aggravante (o attenuante) si valuta a carico o a favore del colpevole esclusivamente la circostanza che
comporta il maggior aumento o la maggior diminuzione della
pena (art. 68).
C
op
yr
➤ Circostanze eterogenee: si fa luogo, ai sensi dell’art. 69, ad un
giudizio di prevalenza o equivalenza rimesso all’apprezzamento
del giudice (c.d. giudizio di comparazione):
• se si ritengono prevalenti le aggravanti si fa luogo solo agli au menti di pena;
• se si ritengono prevalenti le attenuanti si fa luogo solo alle
diminuzioni di pena;
• se si ritiene che vi sia equivalenza tra aggravanti e attenuanti
si applica la pena che sarebbe stata inflitta in mancanza di
circostanze.
La prevalenza delle attenuanti non può essere riconosciuta, se il
reo è gravato da recidiva reiterata (art. 99, c. 4, c.p.).
Capitolo Quinto: Le forme di manifestazione del reato
C
op
yr
ig
ht
©
Es
se
li
br
i
S.
p.
La L. 15-7-2009, n. 94 (cd. Pacchetto sicurezza) ha previsto una deroga alle
regole del giudizio di comparazione fra circostanze, attraverso l’introduzione
di un quarto comma nell’art. 628 c.p. in base al quale qualora vi sia un concorso di attenuanti (diverse da quella prevista dall’art. 98 c.p.) con le aggravanti di cui al terzo comma, numeri 3, 3bis, 3ter e 3quater (si tratta, rispettivamente, dell’aggravante di aver commesso il fatto essendo partecipe di associazione mafiosa, in un luogo di privata dimora e negli altri luoghi indicati
nell’art. 624bis c.p., su mezzi di pubblico trasporto e su persona che si trovi
nell’atto di fruire ovvero abbia appena fruito dei servizi di istituti di credito,
uffici postali o sportelli automatici adibiti al prelievo di denaro) le circostanze attenuanti non potranno, in tal caso, essere ritenute equivalenti o
prevalenti rispetto a tali aggravanti, e le diminuzioni di pena si opereranno
sulla quantità della stessa risultante dall’aumento conseguente alle predette
aggravanti.
A
.
63
Parte Prima: Parte generale
A
.
64
p.
Capitolo Sesto
S.
Il concorso di reati
­­ il concorso apparente di norme
ed
S
li
br
i
i ha concorso di reati allorché un soggetto violi più volte la legge penale e
perciò è chiamato a rispondere di più reati.
Non si ha concorso di reati nei casi in cui già la legge, nella previsione tipica
della singola norma incriminatrice, faccia rientrare più fatti che, singolarmente
considerati, costitui­scono reati diversi (così ad esempio la rapina comprende le
fattispecie del furto e della violenza privata).
Il concorso di reati assolve la funzione di limitare l’entità della pena da applicare
a chi deve essere giudicato per più reati.
se
Quanto alla disciplina sanzionatoria del concorso di reati, sono concepibili in astratto tre sistemi:
Es
a) l’assorbimento, in virtù del quale si applica solo la pena prevista per il reato più grave;
b) il cumulo materiale, per il quale si applicano tante pene quanti sono i reati commessi
(cfr. art. 73);
c) il cumulo giuridico, per il quale si applica la pena prevista per il reato più grave, aumentata proporzionalmente alla gravità delle pene previste per gli altri reati: la pena
complessiva risulta però inferiore al cumulo materiale (cfr. art. 81).
1. Concorso di reati
ig
ht
©
A)Concorso materiale
Quando con più azioni od omissioni un soggetto viola più volte la stessa o
differenti disposizioni di legge (es.: Tizio ruba più volte oppure ruba e poi
uccide la vittima).
Si fa luogo in tal caso al c.d. cumulo materiale delle pene (tot crimina tot
poenae): al responsabile vengono comminate tante pene per quante sono le
violazioni commesse, con alcuni temperamenti circa la pena massima da infliggere (artt. 72-80 c.p.).
La disciplina dettata dal codice penale per il concorso materiale di reati si
applica sia nel caso che una stessa persona sia giudicata per più fatti, sia nel
caso che contro di essa debbano eseguirsi più condanne (artt. 71 e 80 c.p.).
C
op
yr
I reati commessi da un unico agente ed aggravante di cui all’art. 61, n.
2, c.p.:
I reati commessi da un unico agente possono essere legati da particolari vincoli, che ne aumentano la gravità e determinano un aumento di pena. Tale ipotesi è disciplinata dall’art.
61, n. 2, c.p. che prevede come aggravante comune i seguenti legami:
•
ideologico (o teleologico): quando un reato è commesso allo scopo di eseguirne un altro (esempio: omicidio per derubare la vittima). I reati hanno un vincolo nella finalità cui tendono;
• conseguenziale: allorché un reato viene commesso per assicurarsi il prezzo, il prodotto,
il profitto o l’impunità di un altro reato (esempio: dopo aver ucciso un neonato, si occulta il cadavere). In tal caso un reato dipende dall’altro;
• occasionale: nei casi in cui la commissione di un reato offra l’occasione per commetterne
un altro (esempio: Tizio, entrato in casa per rubare, vede una giovane e la violenta). In
tal caso, il vincolo tra i reati risiede nella contestualità degli eventi.
Capitolo Sesto: Concorso di reati e concorso apparente di norme
p.
B)Concorso formale (o ideale)
Quando con un’unica azione od omissione si viola più volte la stessa o diverse leggi penali, commettendo più reati. Il concorso formale può essere:
•
S.
eterogeneo, quando con una sola azione od omissione si violano diverse disposizioni di legge (es.: con un colpo di pistola si uccide una persona e si danneggia una porta);
• omogeneo, quando con una sola azione od omissione si compiono più violazioni della medesima disposizione di legge (es.: una parola che ingiuria contemporaneamente più persone).
br
i
In tal caso il regime sanzionatorio è costituito dal cumulo giuridico, cioè si
applica la pena prevista per il reato più grave aumentata fino al triplo (art. 81
comma 1 c.p.).
Tipologie del concorso di reati
materiale
(artt. 71-80)
se
li
formale
(art. 81, c. 1)
pluralità
di azioni od omissioni
omogeneo
violazione
di più norme penali
più violazioni
della stessa legge
eterogeneo
violazione
di più norme penali
ht
©
più violazioni
della stessa legge
eterogeneo
unica azione
od omissione
Es
omogeneo
ig
conseguenze
sanzionatorie
cumulo materiale
temperato
conseguenze
sanzionatorie
cumulo giuridico
yr
2. Il reato continuato, complesso, abituale
op
Il reato continuato, previsto dal secondo comma dell’art. 81 c.p., appartiene alla categoria dei c.d. reati a struttura complessa, i quali sono composti
da una pluralità di fattispecie di per sé già costituenti reato.
Altri esempi di reati a struttura complessa sono il reato complesso ed il
reato abituale.
A)Reato continuato
Sussiste allorché, con più azioni od omissioni, esecutive di un medesimo
disegno criminoso, si commettono, anche in tempi diversi, più violazioni della
stessa o di diverse disposizioni di legge (art. 81 comma 2 c.p.).
C
A
.
65
Parte Prima: Parte generale
A
.
66
br
Perché si possa parlare di continuazione è necessaria la commissione di una pluralità di
condotte criminose autonome che sfocino in più episodi criminosi distinti, in modo da non
risultare più riconducibili ad una sola azione od omissione (altrimenti si cade nell’ipotesi del
comma 1 dell’art. 81 di concorso formale). Ad esempio rapina accompagnata da sequestro di
persona ed omicidio di una delle vittime.
Le distinte condotte criminose possono anche essere commesse a notevole distanza di tempo
tra loro ed anche se per uno dei reati, giudicato in separato processo, sia comunque intervenuta una sentenza definitiva: es. il caso del padre di una ragazza violentata il quale uccide i
tre violentatori con omicidi commessi in tempi diversi;
i
S.
p.
Esempio: chi ruba un’auto e porta un’arma per poi commettere un omicidio; i tre reati commessi sono uniti da un chiaro vincolo finalistico ed il soggetto risponderà di omicidio «continuato».
Requisiti del reato continuato sono:
a) pluralità di azioni od omissioni, anche se intervallate da un lungo lasso di tempo.
b) pluralità di violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge.
se
li
Si osservi che l’art. 81 comma 2, nella sua stesura originaria, era eccessivamente restrittivo
in quanto limitava la continuazione alle sole violazioni della «stessa» disposizione di legge
(es. più furto), sicché, successivamente si è ammessa la continuazione non solo tra violazioni
della stessa norma (reato continuato omogeneo) ma anche tra violazioni di diverse disposizioni (reato continuato eterogeneo, es. porto abusivo d’arma e omicidio), a condizione che
siano espressione di un medesimo disegno criminoso;
c) il medesimo disegno criminoso.
Es
Secondo la dottrina prevalente esso consiste nell’iniziale programmazione e deliberazione generica di una pluralità di reati, diretti al conseguimento di un unico fine (ANTOLISEI, MANTOVANI). Tale requisito, quindi, funge da coefficiente psicologico che unifica i vari reati e distingue il reato continuato dal concorso di reati.
Da tutto quanto detto segue che la continuazione non è configurabile rispetto ai reati colposi
(non potendo sussistere, in tal caso, il «disegno criminoso»).
ig
ht
©
Come visto nel capitolo precedente, il nesso teleologico (aver commesso un reato per eseguirne un altro: es. porto abusivo d’arma per effettuare una rapina) costituisce ai sensi dell’art.
61, n. 2, c.p. un’aggravante comune. Però, l’avere eseguito i reati in esecuzione di un medesimo
disegno criminoso, ai sensi dell’art. 81, c. 2, c.p. (reato continuato), consente di temperare la
pena attraverso il cumulo giuridico: ci si è chiesti allora se vi sia compatibilità tra l’aggravante del nesso teleologico e la disciplina del reato continuato, in quanto lo stesso fenomeno una
volta è visto con disfavore per il reo (aggravante), un’altra con favore (cumulo giuridico delle
pene). La dottrina e la giurisprudenza dominati sono favorevoli alla compatibilità, in quanto
l’aggravante riguarda il singolo reato teleologicamente connesso, mentre la continuazione si
riferisce al complesso dei reati riguardati unitariamente.
C
op
yr
La pena che si applica per il reato continuato è quella prevista per il concorso formale e, cioè, la pena prevista per il reato più grave, aumentabile
fino al triplo.
Se l’imputato è gravato dalla recidiva reiterata (art. 99, c. 4), l’aumento non
può essere inferiore ad un terzo (fermo restando il limite massima del triplo).
Si è posto il problema di come computare l’aumento (fino al triplo) per i reati satellite rispetto a quello più grave, quando detti reati minori sono puniti con pene eterogenee o di specie
diversa (es. il reato più grave con la reclusione ed il reato meno grave con la sola multa o con
l’ammenda).
Parte della dottrina ha sostenuto che in tali casi non può farsi luogo al cumulo giuridico delle
pene, in quanto si violerebbe il principio di legalità che investe non solo il reato, ma anche la
pena (nullum crimen, nulla poena sine lege): infatti si aumenterebbe la reclusione prevista per
il reato più grave, laddove per il reato satellite è prevista la sola pena pecuniaria.
Altra dottrina ha sostenuto che in tali ipotesi non si aumenta la pena più grave, ma ad essa si
aggiunge quella prevista per i reati meno gravi (es. alla reclusione, si aggiunge l’ammenda).
Capitolo Sesto: Concorso di reati e concorso apparente di norme
A
.
67
S.
p.
La giurisprudenza dominante, invece, ritiene sia ammissibile l’aumento della pena prevista per
il reato più grave, senza rischio di vulnerare il principio di legalità, in quanto lo stesso art. 81
(che prevede il sistema del cumulo giuridico) è una norma di legge che disciplina la pena.
Elementi strutturali della continuazione
➤ profilo oggettivo
temporalmente contestuali
—realizzazione di più azioni od omissioni esecutive di medesimo disegno
criminoso
i
br
—pluralità di violazioni
realizzate in tempi diversi
della medesima disposizione di legge
di diverse disposizioni di legge
li
➤ profilo soggettivo
—volizione del programma criminoso
se
—volizione delle singole azioni criminose
Es
conseguenze
sanzionatorie
➤ pena prevista per il reato più grave aumentata fino al triplo (cumulo giuridico),
applicata dal giudice:
—con sentenza conseguente al giudizio di cognizione
©
—in sede esecutiva (art. 671 c.p.p.)
ht
B)Reato complesso
L’art. 84 disciplina il reato complesso, che ricorre quando la legge considera come elementi costitutivi o circostanze aggravanti di un «solo» reato fatti
che costituirebbero per se stessi reato.
ig
Un esempio è dato dal delitto di rapina (art. 628) che comprende in sé il delitto di furto (art.
624) e la violenza privata (art. 610).
op
yr
In tal caso, non si applicano le norme sul concorso (art. 84 comma 1 c.p.),
poiché il reato complesso è considerato dalla legge (in applicazione del principio di specialità, art. 15 c.p.) come reato unico.
Per aversi reato complesso occorre che i reati siano legati tra loro, non da
un rapporto di mera occasionalità, ma da precise connessioni sostanziali; di
regola occorre un nesso teleologico di mezzo a fine.
Infine, per il principio di proporzione giuridica, il reato complesso non può assorbire quei
fatti criminosi già di per sé sanzionati in modo più grave dal reato in esame.
La disciplina applicabile, pertanto, è quella del reato unico.
C
C)Reato abituale
È abituale il reato che risulta dalla reiterazione nel tempo di più condotte
identiche od omogenee.
Parte Prima: Parte generale
A
.
68
S.
p.
Il reato abituale può consistere:
a) nella ripetizione di condotte che, prese isolatamente, non costituirebbero
reato (c.d. reato abituale proprio): ad esempio, lo sfruttamento della
prostituzione (non costituisce infatti reato il farsi consegnare una sola
volta del denaro da una prostituta);
b) nella ripetizione di condotte che già di per sé costituiscono reato (c.d. reato abituale improprio): ad esempio, la relazione incestuosa (il singolo
episodio incestuoso già costitui­sce, infatti, reato d’incesto).
Differenze
se
li
br
i
Il reato complesso in senso stretto va tenuto distinto da altri istituti giuridici apparentemente simili. In particolare:
a) dal reato abituale (es.: maltrattamenti in famiglia: art. 572) in cui non ricorrono più reati diversi, ma più azioni della stessa specie;
b) dai delitti aggravati dall’evento (es.: art. 368 u.c.) in cui l’ulteriore evento che li caratterizza non costituisce di per sé reato, difettando l’elemento soggettivo ed essendo attribuito a titolo di responsabilità oggettiva;
c) dal reato progressivo in cui non vi è pluralità di reati, ma l’agente passa, nell’esecuzione
della stessa azione, da una condotta iniziale costituente reato ad una successiva più grave
che assorbe in sé la precedente (ad es.: passaggio dalle lesioni all’omicidio).
3. Concorso apparente di norme coesistenti
©
Es
A)Il concorso apparente di norme
Ricorre quando una situazione sembra essere regolata da due disposizioni
penali: in tal caso necessita valutare se vi sia effettivamente un concorso formale di reati, oppure vi sia un apparente concorso di norme che regolano il
fatto e se ne debba fare applicazione di una soltanto.
La regola guida in tali casi è costituita dall’art. 15 c.p. che dispone: «Quando più leggi penali o più disposizioni della medesima legge penale regolano
la stessa materia, la legge o la disposizione di legge speciale deroga alla legge o
disposizione di legge generale …».
ig
ht
I casi che si possono verificare sono di specialità unilaterale, quando una sola delle norme
in conflitto presenti elementi specializzanti, sicché è semplice identificare la disposizione sola da
applicare: es. la rapina, rispetto a al furto presenta l’elemento specializzante della minaccia o
violenza e quindi si applicherà solo il 628 c.p.
Più complesso è il caso della specialità reciproca, in cui entrambe le norme hanno un elemento specializzante che le distingue: es. aggiotaggio comune, in cui c’è l’elemento specializzante del disturbo al “mercato interno” e l’aggiotaggio societario, ove il soggetto attivo può essere
solo l’amministratore. In tali casi si farà applicazione unica della norma che presenta più elementi specializzanti.
C
op
yr
Nozione di «stessa materia»
Non sussiste la «stessa materia» quando le norme sono tra loro assolutamente eterogenee
ovvero quando pur apparendo simili in un nucleo essenziale, differiscono in altri elementi (es.
violenza sessuale ed incesto, ove l’unico elemento comune è l’unione sessuale, ma non gli altri
elementi).
Pertanto tutte le volte che non sussiste eterogeneità od interferenza tra le norme, può ricorrere il concorso apparente.
B)Criteri di soluzione
A questo punto necessita individuare quale norma applicare tra quelle in
conflitto. In alcuni casi, è la stessa legge a risolvere il problema, escludendo
espressamente l’applicazione di una delle norme concorrenti, mediante c.d.
clausole di riserva (ad esempio, art. 250 c.p.).
Capitolo Sesto: Concorso di reati e concorso apparente di norme
br
i
S.
p.
Qualora però tali clausole non sussistano, ovvero siano indeterminate (cioè
non sia espressamente indicata la norma la cui applicazione è esclusa), si pone
il problema d’individuare la norma applicabile al fatto concreto.
La dottrina tradizionale ritiene di poter risolvere il problema applicando il
principio di specialità, previsto dall’art. 15 c.p.: «quando più leggi penali o
più disposizioni della medesima legge penale regolano la stessa materia, la legge
o la disposizione di legge speciale deroga alla legge o alla disposizione di legge
generale, salvo che sia altrimenti stabilito».
La dottrina attualmente prevalente ritiene che il principio di specialità non
sia, di per sé, sufficiente a risolvere i casi di concorso apparente di norme, e
lo integra con due ulteriori criteri:
a) il criterio di sussidiarietà, secondo il quale la norma principale esclude
l’applicazione della norma sussidiaria.
A
.
69
li
È norma sussidiaria quella che tutela un grado inferiore del medesimo interesse tutelato dalla
norma principale, la quale, pertanto, assorbe in sé l’oggetto giuridico della norma sussidiaria;
se
b) il criterio di consunzione, secondo il quale la norma consumante esclude
l’applicazione della norma consumata.
È norma consumante quella che comprende in sé l’intero fatto previsto da un’altra norma,
esaurendone il disvalore penale.
Es
Vi è infine chi ha proposto una terza soluzione, ricorrendo al principio del
«ne bis in idem sostanziale», il quale, nei casi di concorso di norme, vieta di
porre più volte lo stesso fatto a carico del medesimo autore.
Tale principio si desume da tutta una serie di norme del codice penale:
l’art. 15, che prevede il principio di specialità;
le clausole di riserva, che escludono il concorso nei casi di specialità reciproca;
l’art. 84, che prevede il reato complesso;
l’art. 68, che prevede l’ipotesi del concorso apparente di norme circostanzianti.
©
—
—
—
—
C
op
yr
ig
ht
C)Il reato progressivo
È la tipica espressione del fenomeno dell’assorbimento di cui si è detto
prima: ricorre quando per la consumazione di un reato è necessario talvolta
«transitare» per la commissione di altre condotte che costituirebbero reato,
ma non sono punibili per il loro assorbimento nella progressione criminosa verso il reato più grave.
L’esempio tipico è quello dell’omicidio, che può essere commesso partendo
da un’iniziale condotta di lesioni (accoltellamento) reiterate fino al punto di
cagionare la morte. In tal caso si parla di antefatto non punibile.
Parte Prima: Parte generale
A
.
70
S.
Il concorso di persone nel reato
p.
Capitolo Settimo
I
se
li
br
i
l reato, in quanto fatto umano, può essere commesso tanto da un solo soggetto quanto da una pluralità di soggetti: in quest’ultimo caso, ricorre l’ipotesi del «concorso di persone nel reato».
Il concorso può essere di due tipi:
1) concorso necessario: si verifica nei casi di reato c.d. plurisoggettivo, che, per
sua natura, ­non può essere commesso che da due o più persone e la cui disciplina è contenuta direttamente in una norma di parte speciale: es.: la
rissa, art. 588 c.p.; l’associazione per delinquere, art. 416 c.p.;
2) concorso eventuale: ricorre per i reati che possono indifferentemente essere
commessi da una o più persone (e la relativa disciplina si ottiene attraverso
la combinazione tra una norma incriminatrice di parte speciale, che prevede
una fattispecie di reato monosoggettiva, ed una norma di parte generale, art.
110 c.p.).
Il concorso esterno nel reato associativo
yr
ig
ht
©
Es
L’associazione per delinquere (art. 416 c.p.) e l’associazione mafiosa (art. 416bis c.p.) sono
reati a concorso necessario, in quanto per l’esistenza della societas sceleris è necessaria la
presenza di almeno tre persone. Coloro i quali fanno parte dell’associazione possono assumere la figura dei meri partecipanti, ovvero di organizzatori o promotori. È possibile però che si
venga a rispondere del reato associativo anche senza far parte dell’associazione, ma perché,
dall’esterno, ad essa venga dato un rilevante contributo (es. un politico che agevola la realizzazione delle finalità di un’associazione mafiosa). In tale ipotesi si parla di concorso eventuale
(art. 110) in un reato a concorso necessario (art. 416bis): il c.d. concorso esterno.
Tale figura è stata ribadita dalla Cassazione in una pluralità di pronunce, fino alla più recente
(Cass. Sez. Un. 12-7-2005, n. 33748) c.d. sentenza Mannino, dal nome dell’imputato) in cui si
è specificato che «È configurabile il concorso esterno nel reato di associazione di tipo mafioso
nell’ipotesi di scambio elettorale politico-mafioso, in forza del quale il personaggio politico, a
fronte del richiesto appoggio dell’associazione nella competizione elettorale, s’impegna ad attivarsi una volta eletto a favore del sodalizio criminoso, pur senza essere organicamente inserito in
esso, a condizione che: a) gli impegni assunti dal politico abbiano il carattere della serietà e della
concretezza; b) all’esito della verifica probatoria “ex post” della loro efficacia causale risulti accertato che gli impegni assunti dal politico abbiano inciso effettivamente e significativamente, di per
sé e a prescindere da successive ed eventuali condotte esecutive dell’accordo, sulla conservazione
o sul rafforzamento delle capacità operative dell’intera organizzazione criminale o di sue articolazioni settoriali»
1.Nozione e tipi
C
op
Il concorso di persone, dunque, è disciplinato dall’articolo 110 c.p., che
dispone: «Quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse
soggiace alla pena per questo stabilita».
Tale articolo svolge una funzione estensiva della tipicità penale, infatti,
consente di punire, oltre ai concorrenti che pongono in essere una condotta
tipica (prevista dalla norma incriminatrice), anche quei concorrenti che compiono azioni atipiche (che cioè in base alla sola norma incriminatrice non
sarebbero punibili: ad es. il «palo» in una rapina non compie il fatto tipico,
ma è punibile a titolo di concorso).
Capitolo Settimo: Il concorso di persone nel reato
i
S.
p.
La norma in questione, nello stabilire l’applicazione di una pena identica
per tutti i concorrenti, quale che sia l’entità della loro partecipazione, parte
dal presupposto che il reato, anche se commesso da più persone, è comunque
da considerarsi unico ed indivisibile in quanto l’azione posta in essere da ciascuno dei concorrenti perde la propria individualità, confluendo nel risultato
finale complessivo rappresentato dal reato.
Nonostante l’affermazione di principio della uguale responsabilità di tutti
i concorrenti, il codice, per elementari esigenze di giustizia, ammette la possibilità di graduazione della pena in rapporto al reale contributo apportato in
concreto da ciascun concorrente, ciò soprattutto attraverso il riconoscimento
di specifiche circostanze aggravanti e attenuanti (artt. 112 e 114).
A
.
71
br
2. Elementi del concorso
li
La combinazione dell’art. 110 c.p. con la norma incriminatrice di parte
speciale dà luogo ad una nuova fattispecie autonoma di reato.
Suoi elementi costitutivi sono:
Es
se
A)Elemento oggettivo del concorso
Esso è formato da:
— una pluralità di agenti: occorre che il reato sia posto in essere da almeno
due soggetti; sussiste pluralità di agenti anche se alcuno dei concorrenti sia
non imputabile o non punibile;
— una realizzazione dell’elemento oggettivo del reato: è necessario che
almeno uno dei concorrenti abbia realizzato il fatto materiale previsto dalla norma incriminatrice.
È sufficiente che sia stato posto in essere anche il «minimum» per la configurabilità del solo
tentativo mentre, «salvo che la legge disponga altrimenti» (art. 115 comma 1 c.p.), non basta
il mero accordo (a meno che non si traduca in reato associativo) o la mera istigazione;
ht
©
— un contributo causale alla verificazione del fatto: ciascun concorrente
deve aver posto in essere un’azione od omissione, la cui mancanza avrebbe
fatto sì che diverso sarebbe stato il comportamento degli altri concorrenti.
«Forme» di concorso
yr
ig
Le forme di partecipazione di concorso nel reato possono essere morali o materiali: nel
primo caso il concorrente non pone in essere il fatto tipico; nel secondo pone in essere, in
tutto o in parte, la condotta criminosa tipica.
Ipotesi di concorso morale, sono quelle del determinatore (colui che fa sorgere in altri un
proposito criminoso prima non esistente); nonché dell’istigatore (colui che rafforza od eccita un proposito criminoso già esistente).
Ipotesi di concorso materiale, sono quelle dell’agevolatore (quando il concorrente si limita a fornire un ausilio materiale nella preparazione od esecuzione del reato: es. il “palo”,
colui che consapevolmente fornisce gli strumenti per la consumazione dell’illecito); nonché
dell’esecutore (colui che commette il fatto tipico: es. colui che spara; che rapina; ecc.).
C
op
Differenze
Circa la differenza tra il concorso di persone ed il reato associativo, la giurisprudenza è
giunta a consolidati indirizzi.
Il criterio distintivo sta nel fatto che, mentre nel concorso di persone le intese tra i concorrenti
sono dirette alla commissione di uno o più reati determinati con la consumazione del quale o dei
quali l’accordo si esaurisce, nei reati associativi, e nell’associazione per delinquere in particolare,
l’accordo è stabilmente indirizzato all’attuazione di un determinato e più vasto programma delittuoso,
precedente e comunque autonomo rispetto agli accordi particolari relativi ai singoli delitti, e destinato a sopravvivere ai medesimi per l’ulteriore realizzazione del programma stesso.
Parte Prima: Parte generale
A
.
72
S.
p.
B)Elemento soggettivo del concorso
Dottrina e giurisprudenza concordemente ritengono che nel concorso
debba esistere anche un nesso psicologico tra ciascun concorrente e l’intero
fatto realizzato, ossia occorre l’elemento soggettivo che poi si atteggia diversamente a seconda che si tratti di concorso doloso o colposo.
— Concorso doloso
Per la sussistenza del dolo di concorso non occorre il previo concerto tra
gli agenti, potendo sorgere l’accordo criminoso anche durante l’esecuzione
del reato.
br
i
Il dolo di concorso è coscienza e volontà del fatto prevista dalla fattispecie plurisoggettiva
del concorso e, quindi, implica:
1) coscienza e volontà di realizzare un fatto di reato;
2) consapevolezza delle condotte che altri hanno esplicato, esplicano o esplicheranno;
3) coscienza e volontà di contribuire con la propria condotta al verificarsi del fatto criminoso.
se
li
— Cooperazione colposa (v. amplius § 8)
Attualmente è superata la questione della configurabilità o meno del concorso nei reati colposi, visto che è esplicitamente disciplinata art. 113 c.p.
La cooperazione nel reato colposo esige:
Es
1) la non volontà di concorrere alla realizzazione del fatto criminoso (che lo differenzia dal
concorso doloso);
2) la volontà di concorrere alla realizzazione della condotta (colposa) contraria a regole cautelari;
3) la previsione o prevedibilità ed evitabilità dell’evento.
©
Profilo oggettivo
pluralità di agenti
➤
realizzazione di una fattispecie di reato
➤
contributo causale di ciascun concorrente che
si traduce:
ht
➤
ig
—nella realizzazione concreta del reato (concorso materiale)
yr
—nell’induzione psichica al reato (concorso
morale)
➤
➤


come coautore
come complice
come determinatore
come istigatore­
C
op
Profilo soggettivo
➤
in ciascun concorrente devono coesistere, nel caso di concorso doloso:
— coscienza e volontà del reato
— coscienza e volontà di realizzarlo in concorso con altri
Capitolo Settimo: Il concorso di persone nel reato
A
.
73
3. Segue: L’agente provocatore
p.
Nozione: è colui che spinge altre persone a commettere dei reati al fine di cogliere gli autori
in flagranza o di farli scoprire e punire. Spesso si tratta di appartenenti alle forze di polizia.
br
i
S.
Oggetto di particolare disquisizione dottrinaria è la questione della configurabilità o meno di «responsabilità» a carico di tali soggetti:
•Secondo la dottrina prevalente (MANTOVANI, FIANDACA-MUSCO), l’agente provocatore va esente da responsabilità per mancanza di dolo, ossia,
quando ha agito con la «precisa convinzione» che l’evento non si sarebbe
verificato.
• Posizione più rigoristica è quella della giurisprudenza che ritiene che l’opera dell’agente provocatore non vada esente da responsabilità se la sua azione è causalmente inserita nell’iter criminoso, salvo si tratti «d’intervento
marginale e indiretto» consistente nell’attività di controllo e contenimento
delle azioni illecite che devono essere esclusivamente opera altrui.
©
Es
se
li
Figure tipizzate di agente provocatore sono previste dall’art. 97 T.U. 309/1990 in materia di
stupefacenti che prevede la non punibilità degli ufficiali di P.G. che, per finalità investigativa, procedono all’acquisto simulato di droga, dall’art.14, L. 269/1998, in materia di delitti a
sfondo sessuale, il quale consente l’acquisto simulato di materiale pornografico a fini investigativi, nonché dall’art. 4, D.L. 374/2001, conv. in L. 438/2001, in vista della repressione di
delitti commessi con finalità di terrorismo, disposizione la cui applicabilità è stata, da ultimo, estesa ai procedimenti riguardanti i delitti contro la personalità individuale (artt. 600-604
c.p.), nonché taluni delitti concernenti la prostituzione, ex art. 10, L. 11-8-2003, n. 228
(Misure contro la tratta di persone). Si segnala, peraltro, che su tale articolato sistema normativo ha inciso, in modo sostanziale, la L.16 marzo 2006, n. 146, la quale, con l’intento di
“ridurre ad unità” le numerose previsioni disciplinanti le attività investigative sotto copertura, ha provveduto a dettare, all’art.9, una disciplina unitaria, provvedendo, conseguentemente, ad abrogare gran parte delle specifiche previsioni, differenziate, come appena visto, per
tipologia criminosa, quali ad esempio, l’art.12-quater del D.L.306/92, l’art.14, comma 4,
della L.269/98, l’art.4 del D.L.374/2001 e l’art.10 della L.228/2003.
ht
4.La responsabilità del concorrente per il reato diverso da quello voluto (art. 116 c.p.)
op
yr
ig
Può accadere che, nell’eseguire il piano criminoso, taluno dei concorrenti
commetta di propria iniziativa altro reato «al posto» di quello voluto, o altro
reato «oltre» quello voluto dagli altri cooperatori.
Sicché, mancando nel concorrente il dolo di concorrere nel reato diverso,
si pone il problema di stabilire se tale reato possa essere penalmente attribui­
togli ed a quale titolo.
Il codice penale, all’art. 116, ha accolto la soluzione più drastica, sancendo
che «quando il reato commesso sia diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti, anche questi ne risponde se l’evento è conseguenza della sua azione od
omissione». Tale rigidità è parzialmente attenuata al comma 2, laddove si
prevede che «se il reato diverso è più grave di quello voluto, la pena può essere
diminuita nei confronti di chi volle il reato meno grave».
C
Dubbi di legittimità costituzionale:
La norma in esame sembrerebbe configurare un’ipotesi di responsabilità oggettiva, fondando la responsabilità di tutti i concorrenti esclusivamente sulla base del contributo causale
dato. Ciò dunque in contrasto con i principi in tema di responsabilità penale sanciti dall’art.
27 Cost.
La Corte Costituzionale (sent. 42/1965), investita della questione di legittimità del suddetto
articolo, l’ha ritenuta infondata osservando che la responsabilità, ex art. 116, ha come base
Parte Prima: Parte generale
A
.
74
p.
la sussistenza non solo del rapporto di causalità materiale, ma anche psichica, essendo sufficiente che il reato diverso e più grave rispetto a quello concordato si rappresenti alla psiche
degli altri come uno sviluppo logicamente prevedibile di quello voluto.
Facciamo due esempi:
br
i
S.
1) Tre ladri si introducono in una villa per consumare un furto; una volta scoperti, per
vincere la reazione della vittima, esercitano violenza, trasformando il furto in rapina.
2) Tre ladri si introducono in una villa per consumare un furto. Scoperti dalla padrona di
casa, esercitano violenza sessuale sulla vittima.
Orbene se, in entrambi i casi, all’esterno dalla villa vi era un quarto complice con funzione
di “palo”, quest’ultimo, ai sensi dell’art. 116 c.p., risponde del reato diverso commesso
dai complici?
Secondo l’interpretazione costituzionalmente orientata della norma, fornita dalla Corte Costituzionale, nel primo caso il “palo” risponderà della rapina, in quanto un’evoluzione di un
furto in rapina, all’interno di una villa abitata, è un evento prevedibile. Nel secondo caso
non risponderà della violenza sessuale, in quanto tale condotta diversa era del tutto imprevedibile.
li
5. Il concorso nel reato proprio e il mutamento del titolo di reato (Art. 117 c.p.)
se
È indiscusso che nel reato proprio possano concorrere, oltre ai soggetti che
rivestono la qualifica voluta dalla legge (intraneus), anche i soggetti che non
hanno tale qualifica (extraneus): ad es. se Tizio istiga un sindaco a concedergli
una concessione edilizia illegittima, entrambi risponderanno di abuso di ufficio, pur rivestendo solo il sindaco la qualità di P.U.
©
Es
Discussa è poi la responsabilità dell’extraneus nel caso in cui ignori che l’intraneus rivesta la
qualità richiesta dal reato proprio.
Infatti, come osserva MANTOVANI, secondo i principi generali, egli non dovrebbe rispondere
di alcun reato se si tratti di reati propri ed esclusivi, mentre dovrebbe rispondere di reato comune se la qualifica soggettiva comporti solo un mutamento del titolo di reato, e di reato
proprio se, senza qualifica, il fatto costituisce un illecito extrapenale o offensivo di altrui interessi.
op
yr
ig
ht
Ciò detto, l’art. 117 c.p. disciplina una particolare ipotesi di concorso
dell’extraneus nel reato proprio.
Va premesso che taluni reati propri sono definiti «non esclusivi», in quanto il codice prevede una corrispondente figura di reato comune: ad es. se il
P.U. si appropria di danaro di cui ha la disponibilità per ragioni d’ufficio (es.
il vigile urbano delle somme incassate dalle contravvenzioni stradali), risponderà di peculato (art. 314 c.p.); se la stessa condotta la commette un privato
(es. amministratore di condominio in relazione alle somme riscosse dai condomini), risponderà di appropriazione indebita (art. 646 c.p.).
Ciò premesso, se il P.U. commette il peculato per istigazione di un privato,
quest’ultimo risponderà di appropriazione indebita o anch’egli di peculato? A
tale quesito dà risposta l’art. 117 c.p. che prevede che per l’estraneo muti il
«titolo» del reato; pertanto anche l’extraneus risponderà di peculato.
Va pertanto ribadito, come sostenuto dalla dottrina dominante, che detta
norma disciplina appunto la sola ipotesi di concorso dell’estraneo nei reati
propri non esclusivi.
C
6.Le circostanze nel concorso
Gli artt. 112 (modificato dalla L. 94/2009) e 114 c.p., prevedono aggravanti e attenuanti di pena (le prime obbligatorie, le seconde facoltative, cioè
applicabili a discrezione del giudice) per alcuni dei concorrenti che si trovino
in particolari situazioni.
Capitolo Settimo: Il concorso di persone nel reato
A
.
75
La pena è aumentata:
•
Viceversa la pena può essere diminuita:
per coloro che hanno avuto una parte minima nella preparazione ed esecuzione del reato;
per i minori degli anni 18 e gli infermi di mente;
per le persone determinate a commettere il reato da soggetti rispetto ai quali si trovano in
stato di soggezione.
Es
•
•
•
se
li
br
i
S.
p.
se il numero delle persone, che sono concorse nel reato, è di cinque o più, salvo che la
legge disponga altrimenti;
• per chi, anche fuori dei casi preveduti dalle due ipotesi seguenti, ha promosso od organizzato la cooperazione nel reato, ovvero diretto l’attività delle persone che sono concorse nel reato medesimo;
• per chi, nell’esercizio della sua autorità, direzione o vigilanza, ha determinato a commettere il reato persone ad esso soggette;
• per chi, fuori del caso preveduto dall’art. 111, ha determinato a commettere il reato un
minore degli anni 18 o una persona in stato di infermità o di deficienza psichica, ovvero
si è comunque avvalso degli stessi o con gli stessi ha partecipato nella commissione di
un delitto per il quale è previsto l’arresto in flagranza.
La norma prosegue (secondo comma) prevedendo un incremento sanzionatorio fino alla
metà della pena per chi si è avvalso di persona non imputabile o non punibile, a cagione di
una condizione o qualità personale, o con la stessa ha partecipato nella commissione di un
delitto per il quale è previsto l’arresto in flagranza. Nel caso in cui chi abbia determinato
altri a commettere il reato o si sia avvalso di altri o con questi abbia partecipato nella commissione del delitto ne sia il genitore esercente la potestà, nel caso previsto dalla quarta
ipotesi, la pena è aumentata fino alla metà e in quello previsto dal secondo comma la pena
è aumentata fino a due terzi.
La previsione si chiude affermando che gli aggravamenti di pena stabiliti nelle prime tre
ipotesi si applicano anche se taluno dei partecipi al fatto non è imputabile o non è punibile.
©
Quanto alla comunicabilità delle circostanze, che riguardano uno solo dei
concorrenti la disciplina è contenuta nell’art. 118, che è stato modificato dalla L.
7-2-1990, n. 19. Per effetto di tale modifica, le circostanze che aggravano o diminuiscono le pene concernenti i motivi a delinquere, l’intensità del dolo, il grado
della colpa e le circostanze inerenti alla persona del colpevole devono essere valutate soltanto riguardo alle persone cui si riferiscono (c.d. circostanze soggettive).
ig
ht
Per le circostanze oggettive, invece, vale la disciplina dettata dall’art.
59 e già esaminata (vedi cap. 4, § 4), e cioè:
• le circostanze oggettive attenuanti si applicano per il solo fatto di concorrere;
• le circostanze oggettive aggravanti si applicano solo se conosciute dal
correo ovvero ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa.
yr
Tale impostazione, come già accennato, deriva da una applicazione rigorosa dell’art. 27 Cost.
(«La responsabilità penale è personale»), tesa alla considerazione delle circostanze aggravanti
alla luce del principio di colpevolezza.
7.Desistenza volontaria e pentimento operoso di un concorrente
op
La desistenza volontaria (art. 56, c. 3), in quanto causa soggettiva di
estinzione del tentativo, non si estende agli altri compartecipi.
C
Per la sua sussistenza, in precedenza, si riteneva necessario impedire il compimento dell’evento, ma oggi, più realisticamente, si ritiene sufficiente l’eliminazione degli effetti della propria condotta, cioè, tanto il contributo causale diretto, quanto il maggior pericolo derivante dalla propria
partecipazione.
Parte Prima: Parte generale
A
.
76
p.
Il pentimento operoso, in quanto circostanza attenuante soggettiva (art.
56, c. 4), non si estende agli altri compartecipi.
8.La cooperazione nei reati colposi
S.
Per la sua sussistenza è richiesto che il recidente riesca ad impedire il verificarsi dell’evento
lesivo dell’azione collettiva già giunta ad esaurimento.
br
i
Detta l’art. 113 c.p.: «nel delitto colposo, quando l’evento è stato cagionato
dalla cooperazione di più persone, ciascuna di queste soggiace alle pene stabilite
per il delitto stesso. La pena è aumentata per chi ha determinato altri a cooperare nel delitto, quando concorrono le condizioni stabilite nell’art. 111 e nei numeri 3 e 4 dell’articolo 112».
li
Circa la nozione di cooperazione nel delitto colposo, essa ricorre quando più persone
pongono in essere una data autonoma condotta nella reciproca consapevolezza di contribuire
all’azione od omissione altrui che sfocia nella produzione dell’evento non voluto, determinato
da negligenza, imprudenza o imperizia (Cass. Sez. Un., sent. n. 5 del 11-3-1999): ad es. un
omicidio colposo determinato dalla imperizia dei due chirurghi operatori facenti parte
dell’equipe.
➤ Pluralità di agenti.
Es
se
Si tratta, come appare evidente, di un concorso improprio, in quanto
manca l’elemento della volontà di cooperare nel reato, necessario nel concorso
proprio (doloso).
➤Realizzazione dell’elemento oggettivo del reato.
Elementi
➤ Contributo causale alla realizzazione dell’evento.
della cooperazione ➤ Non volontà di concorrere alla realizzazione del fatto criminoso.
➤ Volontà di concorrere alla realizzazione della condotta contraria a
regole cautelari.
➤ Consapevolezza, da parte di ciascun partecipe, dell’esistenza
dell’azione altrui in concomitanza con l’azione propria.
©
yr
ig
ht
Quest’ultimo elemento (consapevolezza), deve necessariamente sussistere
affinché ricorra l’ipotesi di cooperazione nel reato colposo (l’esempio classico
è quello dell’incendio provocato da due persone, di cui una prepara la legna e
l’altra l’accende per riscaldarsi).
Qualora esso manchi non vi sarà più «cooperazione» (art. 113) ma concorso di fatti colposi indipendenti (art. 41): è il caso di due automobilisti che si
scontrano, provocando lesioni reciproche, per avere entrambi contravvenuto
alle norme del codice della strada.
C
op
In questo caso, a differenza che nella cooperazione, non si ha un reato colposo cagionato da
due o più soggetti, ma si hanno tanti reati colposi quanti sono gli agenti (nell’esempio fatto, ciascun autista risponderà di lesioni colpose in danno dell’altro).
Va ribadito, pertanto, che la cooperazione nel delitto colposo (art. 113 c.p.) va tenuta distinta dal concorso di cause indipendenti (art. 41 c.p.).
Nel primo caso due o più persone agiscono insieme, ognuno consapevole della condotta altrui
(es. un’equipe operatoria chirurgica) e per negligenza commettono un reato (nell’es. l’omicidio
colposo del paziente).
Nel secondo caso, i soggetti agiscono separatamente e ciascuno inconsapevole della condotta
altrui (ad esempio due automobilisti provocano un incidente mortale con separate negligenti
condotte di guida: uno non rispettando lo stop, l’altro impegnando l’incrocio a velocità elevata).
Capitolo Settimo: Il concorso di persone nel reato
C
op
yr
ig
ht
©
Es
se
li
br
i
S.
p.
Si noti che ricorre l’ipotesi della pluralità di reati anche quando uno dei
due soggetti sia in dolo e l’altro in colpa (Tizio, per esempio, istiga Caio a
spingere l’automobile a forte velocità affinché con essa sia travolto un suo
nemico che di solito in una determinata ora, transita in bicicletta per quella
stessa strada). Anche in tale caso, pur essendovi pluralità di reati, non v’è
concorso (nell’esempio fatto, Tizio risponderà di omicidio doloso e Caio di
omicidio colposo). Non è pertanto concepibile l’ipotesi di concorso doloso in
delitto colposo (e viceversa).
A
.
77
Parte Prima: Parte generale
A
.
78
S.
L’imputabilità e la pena
p.
Capitolo Ottavo
I
se
li
br
i
l reo, in qualità di autore di un fatto previsto dalla legge come reato, per poter
essere sottoposto a pena deve possedere, al momento della commissione del
fatto, la capacità di intendere e di volere.
Si tratta della c.d. imputabilità, che l’art. 85 c.p. pone quale presupposto
della punibilità del soggetto agente.
Il fondamento di tale norma va individuato nella comune concezione della responsabilità umana, per la quale intanto ha senso sottoporre a pena un individuo
in quanto costui sia in grado di comprendere il valore o il disvalore degli atti
posti in essere e, quindi, il significato della sanzione che deve subire.
La capacità di intendere è la capacità del soggetto di rendersi conto del valore sociale dell’atto che compie e del fatto che esso sia in contrasto con le esigenze della vita comune.
La capacità di volere consiste nella idoneità della persona a determinarsi in
modo autonomo, resistendo agli impulsi che gli derivano dal mondo esterno e
dai moti del suo animo.
©
Es
Per una parte della dottrina, mancando l’imputabilità, il soggetto non può essere assoggettato
a pena (causa soggettiva di esenzione da pena; ad es.: il bambino o il pazzo che uccidono una
persona, pur commettendo il delitto di omicidio, non sono punibili perché la legge li considera incapaci di rendersi conto delle proprie azioni).
Per la più recente dottrina, invece, l’imputabilità è un presupposto della colpevolezza (non
può essere «rimproverabile» chi non è capace di intendere e volere): ne consegue che il fatto
commesso dall’incapace non integra un’ipotesi di reato, difettando uno degli elementi strutturali dell’illecito (la colpevolezza, secondo la citata teoria tripartita); comporta però, ove ne
ricorrano i presupposti, l’applicazione di una misura di sicurezza.
C
op
yr
ig
ht
La legge prevede espressamente alcune cause che escludono o diminuiscono
l’imputabilità.
Per effetto delle prime, la capacità di intendere e di volere risulta del tutto
esclusa, mentre, allorché ricorrono le seconde, essa, senza essere esclusa, risulta
grandemente diminuita.
Si tratta di situazioni nelle quali l’agente non è punibile perché immaturo (i
processi formativi dell’intelletto non si sono sviluppati completamente) ovvero
perché affetto da alterazioni di natura patologica derivanti: da infermità di mente, da malattia congenita, oppure da abuso di sostanze tossiche.
L’incapace che commette un fatto tipico di reato, come detto, è esente da pena,
ma se viene riconosciuta la sua pericolosità sociale, dovranno essergli applicate
le misure di sicurezza (artt. 199 e seg.). È questo il c.d. sistema del doppio
binario: la pena per le persone capaci; la misura di sicurezza per gli incapaci.
Capitolo Ottavo: L’imputabilità e la pena
A
.
79
Sezione I
p.
L’imputabilità
1. Singole cause che escludono o diminuiscono grandemente l’imputabilità
br
i
S.
A)La minore età (artt. 97 e 98 c.p.).
Al riguardo, occorre distinguere due diverse fasce di età del minore:
— periodo che va fino ai 14 anni compiuti, in cui è categoricamente esclusa
ogni capacità di intendere e di volere da parte del minore che compie un
reato;
— periodo che va dai 14 ai 18 anni, in cui non vige alcuna presunzione di
incapacità, e l’imputabilità del minore deve essere accertata caso per caso
dal giudice (se l’imputabilità sussiste, il minore è assoggettato a pena, anche
se la stessa è diminuita in considerazione delle immaturità dell’autore).
Es
se
li
B)L’infermità di mente (artt. 88-89 c.p.)
Questa causa consiste in una malattia mentale da cui è affetto il soggetto
al momento in cui ha commesso il fatto.
A seconda del suo grado, l’infermità può essere:
— totale, se esclude la capacità (in tal caso il soggetto non è imputabile);
— parziale, se per effetto di essa la capacità è soltanto ridotta (in tal caso il
soggetto fruirà di una diminuzione di pena).
Gli stati emotivi e passionali non escludono l’imputabilità (art. 90 c.p.).
ht
©
Di recente la Cassazione (Sez.Un. 25-1-2005 n. 9163) ha stabilito che il vizio totale di mente
non è determinato solo da cause che escludono totalmente e stabilmente la capacità di intendere e volere ma che «anche i “disturbi della personalità”, come quelli da nevrosi e psicopatie, possono costituire causa idonea ad escludere o grandemente scemare, in via autonoma e specifica, la capacità di intendere e di volere del soggetto agente ai fini degli articoli 88 e 89 c.p., sempre che siano di consistenza, intensità, rilevanza e gravità tali da concretamente incidere sulla stessa; per converso, non assumono rilievo ai fini della imputabilità le altre “anomalie caratteriali” o gli “stati emotivi e passionali”, che non rivestano i suddetti connotati di incisività sulla capacità di autodeterminazione del soggetto agente; è inoltre
necessario che tra il disturbo mentale ed il fatto di reato sussista un nesso eziologico, che
consenta di ritenere il secondo casualmente determinato dal primo».
yr
ig
C)Il sordomutismo (art. 96 c.p.)
Ricorre tale causa quando, per effetto di tale anomalia, il soggetto non sia
capace di intendere e di volere.
Tuttavia, poiché la scienza medica ha compiuto notevoli progressi nella
cura di questa malattia, il legislatore non ha adottato una soluzione definitiva
e, escludendo una presunzione di incapacità, ha lasciato tale soluzione all’accertamento caso per caso dell’esistenza o meno della capacità di intendere e
di volere.
op
Pertanto:
C
•
quando si riconosce che la capacità di intendere e di volere è piena, il sordomuto viene
considerato imputabile;
• se, invece, si accerta che la capacità non sussiste, questi è parificato all’individuo affetto
da vizio totale di mente;
• se si stabilisce, infine, che essa è grandemente scemata, il soggetto è parificato all’individuo
affetto da vizio parziale di mente.
Parte Prima: Parte generale
A
.
80
S.
p.
D)L’ubriachezza (art. 91 c.p.)
Deriva dall’uso eccessivo di bevande alcoliche.
Essa, se è accidentale, e cioè non dipendente da colpa del soggetto, esclude la imputabilità (es.: colui che, lavorando in una distilleria, si ubriaca per
i fumi dell’acool che respira).
Se, invece, l’ubriachezza è volontaria (quando il soggetto si è ubriacato
volontariamente o per imprudenza) o preordinata (quando il soggetto si è
ubriacato proprio allo scopo di commettere il reato o per prepararsi una scusa), l’impu­­­­­­tabilità non è esclusa né diminuita.
li
br
i
E)Intossicazione cronica da alcool o da sostanze stupefacenti (artt. 94
e 95 c.p.)
Si verifica quando per effetto dell’abuso prolungato di droga o di sostanze
alcoliche, si produce una alterazione psichica del soggetto tipica del vizio di
mente.
Per la disciplina di tali ipotesi si applicano le norme degli artt. 88 e 89 c.p.
(vizio totale o parziale di mente).
se
2. Conclusioni (1)
Es
Se l’incapacità di intendere e di volere è totale, il soggetto va esente da
pena, ma nel caso che essa dipenda da infermità può essere sottoposto alla
misura di sicurezza del ricovero in manicomio giudiziario, se riconosciuto
pericoloso. La pericolosità, onde applicare la misura di sicurezza, deve sussistere al momento del ricovero.
Se l’incapacità è parziale, il soggetto andrà condannato ad una pena minore rispetto a quella prevista dal codice per il reato commesso.
©
3.Le actiones liberae in causa
yr
ig
ht
L’art. 87 c.p. prevede che «la disposizione della prima parte dell’art. 85 (non
punibilità per difetto di imputabilità) non si applica a chi si è messo (scientemente) in stato di incapacità di intendere o di volere al fine di commettere un
reato o di prepararsi una scusa».
È questa l’ipotesi che, tradizionalmente, va sotto il nome di «actiones liberae in causa»: si tratta, cioè, delle azioni compiute in uno stato di incapacità che il soggetto si è procurato (ad esempio, mediante droghe o alcolici) allo
scopo di commettere un reato che, in condizioni normali, non avrebbe avuto
il coraggio di compiere, ovvero allo scopo di far attribuire il reato, all’esito
delle indagini, al suo stato d’incapacità.
C
op
Dottrina
La punibilità delle actiones liberae in causa, secondo ANTOLISEI, non costituisce un’eccezione alla regola (posta dall’art. 85 c.p.) secondo la quale l’agente è punibile solo se capace
d’intendere e di volere al momento in cui ha commesso il fatto: colui che si ubriaca per
commettere un delitto, infatti, già nel momento in cui si procura l’ebbrezza comincia ad
eseguire il delitto stesso. La caratteristica dell’actio libera in causa consiste, quindi, nel fatto
che il soggetto comincia l’esecuzione del reato in stato di imputabilità e la continua in stato di
incapacità di intendere e di volere.
(1) Per un breve commento delle cause che diminuiscono o escludono l’imputabilità, si consiglia la consultazione delle relative norme del codice penale esplicato (E3).
Capitolo Ottavo: L’imputabilità e la pena
p.
La dottrina prevalente ritiene che l’autore del reato commesso in stato di preordinata incapacità di intendere e di volere risponda a titolo di dolo e, precisamente, di dolo diretto; infatti, il dolo
consiste nella coscienza e volontà tanto della condotta atta a determinare lo stato di incapacità,
quanto della condotta esecutiva del reato alla cui realizzazione l’incapacità è preordinata.
A
.
81
S.
4.La capacità a delinquere ed incidenza sulla pena
br
i
Dispone l’art. 133 c.p. che, nella determinazione della pena da infliggere all’autore di un reato, il giudice deve tener conto, oltre che della gravità del
reato commesso, della capacità a delinquere del reo.
La discrezionalità del giudice è però vincolata, per cui deve dar ragione dei
criteri legali che sono sintetizzabili nella retribuzione (gravità complessiva
di fatto: comma 1° art. 133) e nella prevenzione sociale (capacità a delinquere, intesa quale attitudine del reo a commettere crimini: comma 2° art. 133).
li
Per una corretta motivazione della sentenza in punto di pena, pertanto, il giudice del merito
deve tenere conto non soltanto della gravità del fatto, ma deve anche valutare gli elementi
soggettivi che concorrono alla valutazione della capacità a delinquere in riferimento alla esigenza di difesa della società (Cass. n. 12488/90).
se
Differenze
Es
Mentre l’imputabilità costituisce il presupposto necessario della colpevolezza, per cui è penalmente responsabile (e perciò punibile) solo il soggetto che al momento del fatto era capace
di intendere e di volere, la capacità a delinquere (capacità criminale), invece, serve a graduare
la responsabilità e, quindi, la pena da applicare per il reato commesso.
L’imputabilità riguarda, pertanto, la sussistenza della responsabilità, la capacità a delinquere
il quantum di essa e, quindi, della pena.
ig
ht
©
Tale capacità, che implica un vero e proprio giudizio prognostico sulla
possibilità maggiore o minore che il soggetto compia nel futuro ulteriori
reati, va desunta:
• dal reato commesso;
• dai moventi dell’azione criminosa compiuta;
• dai precedenti del reo e, in genere, dalla sua vita trascorsa;
• dal comportamento del reo contemporaneo e successivo al reato;
• dal carattere del reo;
• dalle sue condizioni familiari, sociali ed individuali di vita (c.d. ambiente del reo).
yr
In base all’art. 133bis, il giudice, nella determinazione della pena pecuniaria, deve tener conto, poi, oltre che dei canoni indicati dall’art. 133, anche delle condizioni economiche del reo (2).
5.La pericolosità criminale
C
op
Un grado particolarmente intenso di capacità a delinquere è la pericolosità
criminale, cioè la notevole probabilità che il soggetto commetterà altri reati.
Dal punto di vista degli effetti, la pericolosità criminale:
— influisce (aumentandola) sulla misura della pena da infliggere al reo;
— preclude la concessione dei benefici della sospensione condizionale della
pena (art. 163 c.p.) e del perdono giudiziale (art. 169 c.p.);
— costituisce il presupposto per l’applicabilità di misure di sicurezza.
(2) Per un breve commento dei criteri idonei alla determinazione della pena, si consiglia la lettura degli
artt. 133 e 133bis del codice penale esplicato (E3).
Parte Prima: Parte generale
A
.
82
p.
Il codice penale prevede quattro forme specifiche di pericolosità criminale che delinea­no diverse figure di autori di reato:
Es
se
li
br
i
S.
A)La recidiva (art. 99 c.p.)
Come si evince dalla lettera dell’art.99 c.p. (totalmente riformulato dalla L.
5-12-2005, n. 251, nota come «legge ex Cirielli»), la recidiva è la condizione
personale di chi, dopo essere stato condannato per un delitto non colposo, ne
commette un altro. La norma, peraltro, conferma il previgente distinguo fra
tre tipologie di recidiva:
— semplice: è recidivo semplice chi, dopo essere stato condannato per un
delitto non colposo, ne commetta un altro. Questi può essere sottoposto ad
un aumento di un terzo della pena da infliggere per il nuovo delitto non
colposo;
— aggravata: comprende la recidiva specifica, se il nuovo delitto non colposo
sia della stessa indole, la recidiva infraquinquennale, se il nuovo delitto non
colposo sia stato commesso nei cinque anni dalla condanna precedente,
nonché la recidiva vera e finta, configurabile, rispettivamente, nel caso in
cui il nuovo delitto non colposo sia stato commesso durante o dopo l’esecuzione della pena, ovvero durante il tempo in cui il condannato si sottragga volontariamente all’esecuzione della pena. In tali ipotesi, la pena può
essere aumentata fino alla metà di quella da infliggere per il nuovo delitto
non colposo. Qualora concorrano più circostanze fra quelle appena descritte (c.d. recidiva pluriaggravata), l’aumento di pena è della metà;
— reiterata: è recidivo reiterato chi, già da recidivo, commetta un altro delitto non colposo. In tal caso l’aumento di pena è della metà di quella da
infliggere per il nuovo delitto non colposo, se chi lo commette è un recidivo semplice, mentre è di due terzi se chi lo commette è un recidivo aggravato.
ht
©
B)Abitualità criminosa (artt. 102 e 103 c.p.)
È la condizione personale di chi, con la sua persistente attività criminosa,
dimostra di aver acquisito una notevole attitudine a commettere reati.
L’abitualità criminosa può essere:
•
yr
ig
presunta (art. 102): se un delitto non colposo, della stessa indole, è commesso nei 10
anni da chi è stato condannato alla reclusione in misura superiore ai 5 anni per 3 delitti
non colposi della stessa indole, commessi non contestualmente in 10 anni;
• ritenuta dal giudice (art. 103): se una condanna per delitto non colposo è riportata da
chi abbia già subìto due condanne per delitti non colposi e il giudice, valutati gli elementi di cui all’art. 133, ritenga il reo dedito al delitto. In materia contravvenzionale l’abitualità non è mai presunta (art. 104 c.p.).
C
op
L’abitualità influisce sull’applicazione di misure di sicurezza, dell’amnistia
e dell’indulto. Esclude la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.
C)Professionalità nel reato (art. 105 c.p.)
Trattasi della condizione di chi riporti un’ulteriore condanna, ricorrendo
già i presupposti per la dichiarazione di abitualità e, avuto riguardo ad ogni
circostanza, si debba ritenere che il soggetto viva dei proventi del reato.
Capitolo Ottavo: L’imputabilità e la pena
Sezione II
Le pene e le misure di sicurezza
br
6.La pena
i
S.
p.
D)Tendenza a delinquere (art. 108 c.p.)
È la condizione di chi, avendo commesso un delitto doloso o preterintenzionale, lesivo della vita o dell’incolumità individuale, valutate le circostanze
di cui all’art. 133 c.p., manifesti una particolare inclinazione al delitto.
Gli effetti delle dichiarazioni di professionalità e tendenza a delinquere
sono disciplinati dall’art. 109 c.p. (3).
A
.
83
se
li
A)Nozione
La pena (c.d. pena criminale) è la sanzione giuridica irrogata dallo Stato (attraverso i giudici) a carico di colui che ha violato un precetto della
legge penale, mediante un particolare procedimento (processo penale).
Le pene si distinguono in:
— principali, che vengono inflitte dal giudice con la sentenza di condanna;
— accessorie, che conseguono automaticamente alla condanna anche senza
una espressa dichiarazione del giudice.
ig
ht
©
Es
B)Caratteri e funzioni della pena
L’irrogazione della sanzione penale risponde a diverse finalità. Per questo
la pena può assumere una funzione:
— retributiva, ossia costituire il corrispettivo (il castigo) per il reato commesso, mediante la sua carica di afflittività;
— rieducativa (o di emenda) in quanto tesa, in base a quanto previsto dall’art.
27, c. 3°, Cost., alla rieducazione ed al reinserimento sociale del condannato;
— di prevenzione generale, in quanto persegue il fine di distogliere gli altri
consociati dalla commissione di atti criminosi, tramite sia la minaccia di
inflizione della sanzione, sia l’irrogazione in concreto della sanzione stessa.
Quanto ai caratteri:
a) La pena è personalissima (c.d. personalità della pena): essa colpisce solo
l’autore del reato (art. 27 Cost.);
b) l’applicazione della pena è rigorosamente disciplinata dalla legge (c.d.
legalità della pena).
yr
Per cui:
C
op
— la pena è inflitta solo nei casi stabiliti dalla legge: non si possono irrogare se non le pene
previste e consentite dalla legge (nulla poena sine lege);
— l’applicazione della pena è devoluta al giudice, che infligge la pena con la garanzia del
procedimento penale;
— la pena inflitta può essere revocata solo nei casi stabiliti dalla legge, cioè in virtù di una
norma di legge o dell’esercizio di una prerogativa del Parlamento o del Presidente della
Repubblica (amnistia, indulto, grazia);
(3) Per un breve commento di quanto inerisce all’istituto della pericolosità criminale, si consiglia la lettura degli artt. 99 ss. del codice penale esplicato (E3).
Parte Prima: Parte generale
A
.
84
p.
c) la pena, una volta minacciata per un determinato fatto, è sempre applicata all’autore della violazione (c.d. inderogabilità).
Notevoli deroghe, però, derivano dagli istituti della liberazione condizionale e del perdono
giudiziale;
S.
d) la pena è proporzionata al reato (c.d. proporzionalità della pena).
C)Pene principali
Le pene principali sono:
per i delitti (4):
i
•
•
br
1) l’ergastolo, consistente nella privazione della libertà personale per l’intera durata
della vita del condannato. Con sentenza del 28-4-1994, n. 168, la Corte Cost. ha dichiarato inapplicabile la pena dell’ergastolo agli imputati minorenni;
2) la reclusione, pena detentiva che va da 15 gg. a 24 anni;
3) la multa, pena pecuniaria che va da euro 50 a euro 50.000;
per le contravvenzioni:
li
1) l’arresto, pena detentiva che va da 5 giorni a 3 anni;
2) l’ammenda, pena pecuniaria che va da euro 20 a euro 10.000.
Es
se
Si ricordi che il D.Lgs.28-8-2000, n. 274, attributivo di competenza penale al giudice di
pace, ha disposto, per le fattispecie rimesse alla competenza del giudice onorario, la sostituzione
del tradizionale impianto sanzionatorio penale (fondato su pena pecuniaria e detentiva) con uno
specifico sistema che, salvando la sola pena pecuniaria, sostituisce le pene privative della libertà
personale con sanzioni alternative, sulla base di criteri di ragguaglio che tengono conto della
sanzione originaria delle singole fattispecie. Tali misure sono:
©
1) l’obbligo di permanenza domiciliare, da eseguirsi nei giorni di sabato e domenica (salvo che,
per riconosciute legittime esigenze del condannato ne sia consentita l’esecuzione in giorni
diversi, o continuativamente, su richiesta dello stesso), per un periodo non inferiore a sei
giorni né superiore a quarantacinque;
2) la prestazione di lavoro di pubblica utilità, non retribuito, in favore della collettività, nella
provincia di residenza, con modalità e tempi non pregiudizievoli delle esigenze di lavoro,
studio, famiglia e salute del condannato, per un periodo non inferiore a dieci giorni, né superiore a sei mesi.
ht
Le pene principali vengono classificate in:
•
ig
detentive, quando consistono in una restrizione della libertà personale: tali sono l’ergastolo, la reclusione e l’arresto.
• pecuniarie, quando consistano nel pagamento di una somma di danaro: si tratta della
multa e dell’ammenda.
Differenze
C
op
yr
Il criterio distintivo tra delitti e contravvenzioni va ricercato nel tipo di sanzione irrogata.
Mentre i delitti sono puniti con l’ergastolo, la reclusione e/o la multa, le contravvenzioni sono
sanzionate con l’arresto e/o l’ammenda.
La distinzione è di notevole importanza in quanto la disciplina dei due tipi di reato è sensibilmente differente:
a) quanto all’elemento psicologico, le contravvenzioni sono punite indifferentemente sia a
titolo di dolo che di colpa (art. 42, c. 1), mentre i delitti sono puniti solo a titolo di dolo
(art. 42, c. 2), e la punibilità per colpa deve essere espressamente prevista dal codice;
b) il tentativo è ammissibile solo per i delitti;
c) alcune circostanze sono applicabili solo ai delitti (es. art. 61, nn. 3, 7, 8);
d) i reati commessi all’estero punibili nel territorio dello Stato sono solo i delitti.
(4) La pena di morte, oggi non è più ammissibile nel nostro ordinamento; questo divieto si estende anche
ai «casi previsti dalle leggi militari di guerra».
Capitolo Ottavo: L’imputabilità e la pena
A
.
85
la semidetenzione (art. 55 L. 689/1981);
la libertà controllata (art. 56 L. 689/1981);
la pena pecuniaria di specie corrispondente (art. 53 L. 689/81).
S.
•
•
•
p.
D)Pene sostitutive
Le pene sostitutive delle pene detentive brevi sono:
br
i
In particolare, ai sensi dell’art. 53, L. 689/81, come da ultimo riformulato dalla L.12-6-2003,
n. 134, il giudice, nel pronunciare la sentenza di condanna, quando ritiene di dovere determinare la durata della pena detentiva entro il limite di due anni, può sostituire tale pena con quella
della semidetenzione; quando ritiene di doverla determinare entro il limite di un anno, può
sostituirla anche con la libertà controllata; quando ritiene di doverla determinare entro il limite di sei mesi, può sostituirla altresì con la pena pecuniaria della specie corrispondente. Prima
della citata riforma, i limiti di pena entro cui era ammissibile la sostituzione erano, rispettivamente, un anno, sei mesi e tre mesi.
se
li
E)Misure alternative alla detenzione
Sono previste dalla legge 26 luglio 1975, n. 354, di riforma dell’ordinamento penitenziario, e possono incidere sulla sola fase esecutiva della pena
principale con provvedimento del Tribunale di sorveglianza.
La loro finalità ha diretto fondamento costituzionale, in quanto mirano a
realizzare in modo concreto la funzione rieducativa della pena.
Misure alternative sono:
©
l’affidamento in prova al servizio sociale (art. 47);
la semilibertà (art. 48);
la liberazione anticipata (art. 54);
la detenzione domiciliare (L. 663/ 1986).
ht
•
•
•
•
Es
La Corte costituzionale, nel dichiarare, con sentenza 16-3-2007, n. 78, la parziale illegittimità di talune previsioni della L.354/75 concernenti le misure dell’affidamento in prova al servizio sociale e della semilibertà, ha espressamente escluso che allo straniero extracomunitario, entrato illegalmente nel territorio dello Stato o privo del permesso di soggiorno, sia in
ogni caso precluso l’accesso alle misure alternative alla detenzione da esse previste.
Differenze
ig
Le pene sostitutive vanno tenute distinte dalle misure alternative alla detenzione in quanto,
pur perseguendo la medesima finalità (limitare il più possibile lo strumento della carcerazione) sono applicate in un momento antecedente. Difatti:
•
yr
le pene sostitutive sono irrogate dal giudice al momento della sentenza, laddove sussistano i requisiti richiesti dalla legge (entità della pena da infliggere in concreto e tipo di reato per il quale si viene condannati);
• le misure alternative sono invece una modalità di espiazione di una condanna già in atto,
e possono essere disposte solo dal magistrato di sorveglianza.
C
op
F)Pene accessorie
Le pene accessorie, previste dagli artt. 28 e seg. del codice penale, nonché
talune in leggi speciali, conseguono di diritto alla condanna, come effetto
penale della stessa.
Hanno la funzione di rafforzare la tutela penale, e la finalità di allontanare
il condannato dall’esercizio di alcune funzioni o poteri, per evitare il rischio
che sia indotto a delinquere nuovamente.
Parte Prima: Parte generale
A
.
86
p.
Le pene accessorie sono:
ig
ht
©
Es
se
li
br
i
S.
1. interdizione dai pubblici uffici (può essere perpetua o temporanea, da un minimo di un
anno ad un massimo di 5 anni);
2. interdizione da una professione o da un’arte, per un periodo variante da un mese a 5 anni;
3. interdizione legale, conseguente ad una condanna a pena detentiva non inferiore ai 5
anni o all’ergastolo;
4. interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese, conseguente ad una condanna alla reclusione non inferiore a 6 mesi, per delitti commessi con abuso
dei poteri o violazione dei doveri inerenti all’ufficio (art. 32bis). È temporanea, con durata uguale alla pena principale (art. 37);
5. incapacità a contrattare con la P.A. (artt. 32ter e 32quater), conseguente alla condanna
per i delitti elencati nell’art. 32quater, commessi a causa o in occasione dell’esercizio di
un’attività imprenditoriale. Essa non può avere una durata inferiore ad un anno, né superiore a tre anni. Il novero delle fattispecie cui si riconnette tale pena accessoria è stato
integrato dal D.L. 369/93, conv. in L. 461/93, dalla L. 108/96 in tema di usura e, da ultimo,
dalla L. 29-9-2000, n. 300, nota come legge anticorruzione internazionale;
6. estinzione del rapporto di impiego o di lavoro, (art. 32quinquies, introdotto dalla L.
27-3-2001, n. 97), a norma del quale, salvo quanto previsto dagli articoli 29 e 31 (disciplinanti le ipotesi in cui alla condanna consegue l’interdizione dai pubblici uffici), la condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a tre anni per i delitti di cui agli articoli 314,
primo comma, 317, 318, 319, 319ter e 320 importa altresì l’estinzione del rapporto di lavoro o di impiego nei confronti del dipendente di amministrazioni od enti pubblici ovvero
di enti a prevalente partecipazione pubblica;
7. decadenza dalla potestà dei genitori e sospensione dal suo esercizio (art. 34 come
modificato dalle leggi 689/81 e 19/90), conseguono, la prima, alla condanna per alcuni
delitti (es. art. 564), la seconda, della durata doppia della pena inflitta, alla condanna per
delitti connessi con la potestà dei genitori;
8. sospensione dall’esercizio di una professione o un’arte, per un periodo variante da 15
giorni a 2 anni, conseguente ad ogni condanna per contravvenzione commessa con abuso
della professione o arte per cui è prevista la pena dell’arresto non inferiore ad un anno;
9. sospensione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese (art. 35bis),
conseguente alla condanna per contravvenzioni commesse con abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti all’ufficio e va da 15 giorni a 2 anni;
10. pubblicazione della sentenza di condanna (art. 36), conseguente alla condanna all’ergastolo e agli altri casi tassativamente previsti dalla legge ed è effettuata a spese del condannato; fra le modalità di pubblicazione, vi è quella in uno o più giornali designati dal
giudice e nel sito internet del Ministero della giustizia; la durata della pubblicazione
nel sito è stabilita dal giudice in misura non superiore a trenta giorni, ovvero, in mancanza, è fissata in quindici giorni (art. 36 c.p., come modificato dall’art. 67 della L. 18-6-2009,
n. 69 di riforma del processo civile);
11. pene accessorie previste da leggi speciali: esempio: sospensione della patente di guida
(art. 85, D.P.R. 309/90).
yr
Le prime sette pene accessorie sono per i soli delitti.
L’ottava e la nona sono pene accessorie per le sole contravvenzioni.
La pubblicazione della sentenza è pena accessoria, comune sia ai delitti, sia alle contravvenzioni.
L’applicazione delle pene accessorie è in genere automatica, conseguendo di diritto alla condanna penale come suo ulteriore effetto; esse devono essere ordinate dal giudice solo nel caso in
cui la legge rimetta alla sua discrezionalità la loro applicazione o la loro durata.
C
op
G)Determinazione della pena (art. 133 c.p.)
Di regola, la pena per i singoli reati è indicata tra un massimo e un minimo
(c.d. pena edittale) e spetta al giudice, caso per caso, determinare in concreto
l’entità di quella da infliggere; egli, infatti, gode di un ampio potere discrezionale, sebbene sia tenuto ad indicare in motivazione le ragioni della sua concreta determinazione.
Tale discrezionalità, tuttavia, non è illimitata, dovendosi il giudice basare
sui criteri previsti dall’art. 133 c.p. (vedi ante, § 4).
Capitolo Ottavo: L’imputabilità e la pena
•
p.
In particolare, il giudice «deve tener conto della gravità del reato e della
capacità a delinquere del colpevole».
La gravità del reato va desunta:
S.
— dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall’oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra
modalità dell’azione;
— dalla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato;
— dalla intensità del dolo o dal grado della colpa.
•
La capacità a delinquere del colpevole, a sua volta, va desunta:
br
i
— dai motivi a delinquere e dal carattere del reo;
— dai precedenti penali e giudiziari, e, in genere, dalla condotta e dalla vita del reo, antecedenti al reato;
— dalla condotta contemporanea o susseguente al reato;
— dalle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo.
li
Caratteri
➤ personalità
➤ legalità
se
➤ inderogabilità
Es
➤ proporzionalità
Pene principali (art. 17)
inflitte dal giudice
con sentenza di condanna
➤ pene detentive
— per i delitti:
— ergastolo (art. 22)
— reclusione (art. 23)
©
— per le contravvenzioni:
— arresto (art. 25)
➤ pene pecuniarie
ht
— per i delitti:
— multa (art. 24)
ig
— per le contravvenzioni
— ammenda (art. 26)
Pene accessorie (art. 19)
➤ per i delitti:
➤ conseguono di diritto alla condanna come
effetti penali della stessa
op
yr
— interdizione da pubblici uffici (artt. 28 e 29)
— interdizione da una professione o arte (art. 30)
— interdizione legale
— interdizione temporanea dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese (art. 32bis)
— incapacità di contrattare con la P.A. (art. 32ter)
— estinzione del rapporto di impiego o di lavoro (art. 32quinquies)
— decadenza o sospensione dall’esercizio della potestà dei genitori (art. 34)
— pubblicazione della sentenza di condanna (art. 36)
C
➤
A
.
87
per le contravvenzioni:
— sospensione dall’esercizio di una professione o arte (art. 35)
— sospensione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese (art. 35bis)
— pubblicazione della sentenza di condanna (art. 36)
Parte Prima: Parte generale
A
.
88
7.La punibilità
i
S.
p.
A)Nozione
La punibilità può definirsi come la possibilità in concreto di irrogare la
sanzione prevista per la violazione del precetto penale.
Per il sorgere della punibilità occorrono tre elementi:
1) la commissione di un reato;
2) l’assenza di cause personali di esclusione della pena (immunità, non imputabilità);
3) la presenza di eventuali condizioni obiettive di punibilità.
li
br
B)Le condizioni obiettive di punibilità
L’art. 44 c.p. prevede che «quando, per la punibilità del reato, la legge richiede il verificarsi di una condizione, il colpevole risponde del reato, anche se
l’evento, da cui dipende il verificarsi della condizione, non è da lui voluto».
Il codice, quindi, non definisce le condizioni obiettive di punibilità, ma si
limita a fissarne due caratteri:
• devono consistere in un avvenimento del mondo esterno, che non deve ne-
se
cessariamente esser voluto dall’agente;
• devono essere estranee alla condotta illecita.
Es
Sono esempi condizioni obiettive di punibilità:
• l’annullamento di matrimonio nell’induzione al matrimonio mediante
inganno (art. 558 c.p.);
• la sorpresa in flagranza prevista negli artt. 260, 707, 708, 720, c.p.;
• la presenza del reo nel territorio dello Stato nei casi previsti dagli artt.
9 e 10 c.p.
ht
©
Secondo la migliore dottrina, le condizioni obiettive di punibilità costituiscono avvenimenti futuri ed incerti, estranei all’azione illecita, il cui verificarsi è necessario per la punibilità del reato, ma non per la sua esistenza.
Il fondamento della figura in esame, risiede in ragioni di opportunità che
inducono il legislatore a subordinare la punibilità di alcuni reati al verificarsi di certe circostanze.
ig
Ai sensi dell’art. 44 c.p., il fatto-condizione può in concreto essere oggetto della volontà del
reo, ma l’esistenza di tale nesso psichico non costituisce requisito indispensabile ai fini della
punibilità dello stesso.
C
op
yr
La dottrina distingue tra condizioni intrinseche ed estrinseche:
—le prime approfondiscono una lesione già implicita nella commissione del
fatto (ad esempio, il «pubblico scandalo» nell’incesto, art. 564 c.p.) e si
pongono a metà strada tra gli elementi costitutivi e le condizioni estrinseche.
—Le seconde nulla aggiungono alla lesione dell’interesse protetto dalla norma incriminatrice, ma si limitano a riflettere mere valutazioni di opportunità punitiva estranee alla sfera dell’offesa al bene protetto.
L’interesse pratico alla individuazione delle condizioni obiettive di punibilità è duplice:
• in primo luogo, mentre gli eventi che fanno parte del fatto in senso stretto
devono essere oggetto del dolo o della colpa, gli eventi-condizioni obiettive vengono imputati a titolo di responsabilità oggettiva (art. 44 c.p.);
Capitolo Ottavo: L’imputabilità e la pena
p.
• in secondo luogo, l’art. 158, comma 2, c.p. fa decorrere il termine di
prescrizione del reato dal momento in cui si verifica la condizione obiettiva di punibilità.
A
.
89
br
i
S.
Per individuare le condizioni obiettive di punibilità è necessario fare ricorso ad indici strutturali (collocazione dell’elemento all’interno della fattispecie astratta) e a criteri sostanziali
(relativi alla determinazione dell’interesse tutelato dalla norma).
In applicazione del primo criterio, non rientrano tra le condizioni di punibilità gli eventi legati da un rapporto di causalità necessaria con l’azione tipica, ovvero da un rapporto psicologico con l’agente.
In base al secondo criterio, devono escludersi dalle condizioni di punibilità gli eventi nei quali si concreta l’offesa all’interesse protetto (ad esempio, il «pubblico scandalo» nel delitto di
incesto, e il «pericolo per l’incolumità pubblica» di cui all’art. 423 c.p.).
se
li
C)Trasformazione della punibilità
Il passaggio in giudicato della sentenza di condanna comporta una trasformazione della punibilità.
Prima della sentenza, infatti, la pena applicabile è quella che la legge stabilisce in astratto per il reato.
Dopo la sentenza, la pena che va applicata è quella che il giudice ha irrogato all’autore del reato.
©
Es
Pertanto, si distingue tra:
— punibilità in astratto, che sorge quando sussistono tutti gli elementi richiesti dalla legge per l’inflizione della pena (commissione del reato,
assenza di cause personali di esenzione dalla pena, eventuali condizioni
obiettive di punibilità);
— punibilità in concreto, che sorge con il passaggio in giudicato della sentenza di condanna.
8. Segue: Cause di estinzione della punibilità
C
op
yr
ig
ht
La punibilità può estinguersi in virtù di cause speciali previste dalla legge,
che il codice distingue in:
• cause di estinzione del reato: estinguono la punibilità in astratto, cioè
l’applicabilità di una certa pena all’autore di una trasgressione, antecedentemente alla sentenza definitiva di condanna;
• cause di estinzione della pena: estinguono la punibilità in concreto, cioè
la pena da applicare nel caso concreto, per effetto di una sentenza definitiva di condanna.
Per la suddivisione delle cause di esclusione della punibilità si veda lo
schema a fine paragrafo.
Si analizzeranno qui in maniera congiunta le cause di estinzione del reato
e della pena. Esse sono:
a) morte del reo: per il principio della assoluta personalità della responsabilità penale e della pena, con la morte del reo si determina l’estinzione del reato
(se prima della condanna) o della pena principale e accessoria nonché degli
altri effetti penali della condanna (se dopo la condanna) (artt. 150 e 171 c.p.);
b) amnistia (art. 151 c.p.): atto di clemenza generale con cui lo Stato rinuncia
all’applicazione della pena. È concessa con legge deliberata a maggioranza
dei due terzi dei componenti di ciascuna camera. È rinunziabile dall’imputato.
Parte Prima: Parte generale
A
.
90
Essa può essere:
p.
• propria: opera per i reati per cui non sia ancora intervenuta la condanna, estingue il reato;
• impropria: interviene dopo la sentenza irrevocabile di condanna, estingue le pene principali e quelle accessorie, ma non gli altri effetti penali della condanna;
br
i
S.
c) indulto (art. 174 c.p.): atto di clemenza generale che opera non sul reato
ma sulla pena principale che è condonata in tutto o in parte; non estingue
le pene accessorie ed è concesso con la stessa procedura dell’amnistia;
d) grazia (art. 174 c.p.): atto di clemenza particolare (perché individuale) che
presuppone una sentenza irrevocabile di condanna ed è rimesso (art. 87
Cost.) al potere discrezionale del Presidente della Repubblica; opera solo
sulla pena principale, condonandola in tutto o in parte;
e) prescrizione (art. 157-162): consiste nella rinuncia dello Stato a far valere
la propria pretesa punitiva dopo il trascorrere di un certo periodo di tempo
dal verificarsi del reato o dalla condanna.
li
Al riguardo distinguiamo:
•
Es
se
prescrizione del reato: trascorso il tempo previsto dall’art. 157 dalla consumazione del
reato senza che sia intervenuta sentenza irrevocabile di condanna, il reato è definitivamente estinto. Gli artt. 159 e 160 c.p. prevedono cause di sospensione e di interruzione
della prescrizione;
• prescrizione della pena: trascorso il tempo previsto dagli artt. 172 e 173 c.p. senza che
la condanna, comminata con sentenza irrevocabile, sia stata eseguita, la pena principale è estinta;
La recente legge 5-12-2005, n. 251 (c.d. «ex Cirielli») ha introdotto rilevanti novità in tema
di prescrizione, che possono essere così sintetizzate:
ht
©
— il tempo di prescrizione è pari al massimo editale della pena, ma mai inferiore a sei anni
per i delitti e quattro anni per le contravvenzioni; per taluni reati più gravi i termini sono
raddoppiati;
— sul calcolo del tempo di prescrizione incidono le circostanze aggravanti ad effetto speciale e non rileva il giudizio di comparazione delle circostanze;
— in caso di interruzione della prescrizione (casi previsti dagli artt. 160 e 161 c.p.), il termine ordinario si prolunga di regola di 1/4, o di un periodo maggiore se si tratta di recidivi.
ig
f) oblazione: consiste nel pagamento, a domanda dell’interessato, di una
somma di denaro (così da degradare il reato in illecito amministrativo)
prima dell’apertura del dibattimento o del decreto di condanna.
Al riguardo distinguiamo:
•
oblazione nelle contravvenzioni punite con la sola ammenda (art. 162 c.p.).
È un diritto dell’imputato e consiste nel pagamento di una somma pari al terzo del massimo edittale;
• oblazione nelle contravvenzioni punite con pena alternativa (detentiva o pecuniaria art.
162bis c.p.). È facoltativa a discrezione del giudice e consiste nel pagamento di una
somma pari alla metà dell’ammenda;
yr
C
op
g) remissione di querela (artt. 152-156 c.p.), che estingue il reato e comporta l’onere del pagamento delle spese processuali a carico dell’imputato, salvo diverso accordo tra le parti (art. 340 c.p.p.);
h) perdono giudiziale (art. 169 c.p.): consiste nella rinuncia dello Stato a
condannare un minore di anni diciotto, mai condannato per delitto, che
abbia commesso un reato non grave (deve essere applicabile in concreto
una pena detentiva non maggiore di anni 2 di reclusione o una pecuniaria
Capitolo Ottavo: L’imputabilità e la pena
non superiore a e 1.549) per consentirne un più rapido recupero sociale.
Estingue il reato;
sospensione condizionale della pena (artt. 163 e ss. c.p.): consiste nel
sospendere l’esecuzione della pena inflitta a condizione che entro un certo
periodo di tempo il colpevole non commetta altri reati. Se ciò non si verifica egli sconterà la vecchia e la nuova pena.
Le condizioni cui è subordinata la concessione del beneficio e gli obblighi
del condannato sono disciplinati dagli artt. 164, 165, 168 c.p.
Il beneficio sospende l’esecuzione delle pene principali. Se la condizione si
verifica si estingue il reato, ma restano fermi gli altri effetti penali della
condanna;
l) libertà condizionale (artt. 176-177 c.p.): consiste nella concessione di un
premio ad un condannato che durante il periodo della detenzione abbia
dato prova di buona condotta.
Sospende l’esecuzione della pena inflitta ancora da scontare;
m) riabilitazione (artt. 178 e ss. c.p.): estingue le pene accessorie e gli altri
effetti penali della condanna dopo che sia trascorso il periodo di almeno
3 anni (o almeno 8 anni) dal giorno in cui la pena principale sia stata eseguita o si sia estinta, se il condannato ha dato prova effettiva di buona
condotta e ha eseguito le obbligazioni civili nascenti dal reato.
se
li
br
i
S.
p.
i)
Cause di estinzione del reato (artt. 150-170)
Es
➤ cause generali di estinzione del reato:
©
— morte del reo (art. 150)
— amnistia «propria» (art. 151)
— remissione della querela (art. 152)
— prescrizione del reato (art. 157)
— oblazione (artt. 162-162bis)
— sospensione condizionale della pena (art. 163)
— perdono giudiziale per i minori degli anni 18 (art. 169)
ht
➤ cause speciali di estinzione del reato:
— previste per singole figure criminose dalle relative norme incriminatrici
ig
Cause di estinzione della pena (artt. 171-181)
➤ cause generali di estinzione della pena:
op
yr
— amnistia «impropria» (art. 151)
— morte del reo dopo la condanna (art. 171)
— prescrizione della pena (artt. 172-173)
— indulto (art. 174)
— grazia (art. 174)
— liberazione condizionale (artt. 176-177)
— riabilitazione (artt. 178-181):
—estingue solo le pene accessorie o gli effetti penali della condanna
➤ cause speciali di estinzione della pena:
C
A
.
91
— previste per singole figure criminose dalle relative norme incriminatrici
Parte Prima: Parte generale
A
.
92
9.Le misure di sicurezza (5)
br
i
S.
p.
A)Definizione e caratteri
Le misure di sicurezza sono speciali provvedimenti di carattere educativo
o curativo ovvero anche cautelativo, applicabili dall’Autorità giudiziaria, in
sostituzione, oppure in aggiunta alla pena, nei confronti di un reo ritenuto
socialmente pericoloso.
I presupposti per la loro applicazione sono:
— la commissione di un fatto previsto dalla legge come reato o di un «quasireato» (cioè un fatto non punibile, né tipico, ma considerato come estrinsecazione di pericolosità: reato impossibile art. 49 c.p.; istigazione a commettere un reato non accolta o accordo criminoso non eseguito: art. 115
c.p.);
— la pericolosità criminale del reo, eventualmente accertata tramite una perizia.
li
Differenze
Le misure di sicurezza si differenziano dalla pena in ordine:
Es
se
a) alla funzione: la pena ha anche, e soprattutto, una funzione retributiva; la misura di sicurezza ha esclusivamente funzione di emenda del colpevole;
b) ai destinatari: la pena si applica solo ai soggetti imputabili; la misura di sicurezza si applica anche ai non imputabili;
c) alla durata: la pena è fissa, avendo una durata determinata, stabilita nella sentenza di
condanna; la misura di sicurezza ha una durata indeterminata, dovendo, per sua natura,
cessare solo col venir meno dello stato di pericolosità del soggetto (la durata è determinata solo nel minimo, non anche nel massimo).
ht
©
B)Tipologia
Le misure di sicurezza si distinguono in:
a) personali, che limitano la libertà personale del soggetto;
b) patrimoniali, che incidono soltanto sul patrimonio del soggetto.
Le misure di sicurezza personali (artt. 215 ss. c.p.) possono essere, a loro
volta, detentive e non detentive.
Misure di sicurezza detentive sono:
yr
ig
1) la assegnazione ad una colonia agricola o casa di lavoro (per i delinquenti abituali, professionali o per tendenza);
2) la assegnazione ad una casa di cura e di custodia (per i condannati a pena diminuita per infermità psichica, intossicazione cronica da alcool o sostanze stupefacenti, e sordomutismo);
3) il ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario (per gli imputati prosciolti per le stesse
cause di cui sopra, ferma restando la facoltà del giudice di adottare, in luogo di tale misura, quella che ritenga più «idonea ad assicurare adeguate cure dell’infermo di mente e a
far fronte alla sua pericolosità sociale»);
4) il riformatorio giudiziario (per i minori non imputabili o condannati a pena diminuita).
C
op
Misure di sicurezza non detentive sono:
1) la libertà vigilata, consistente in una serie di limitazioni e di prescrizioni imposte per evitare nuove occasioni di reato (ad esempio, l’obbligo di una stabile attività lavorativa,
l’obbligo di non ritirarsi la sera dopo una certa ora, l’obbligo di non accompagnarsi a
pregiudicati, ecc.);
2) il divieto di soggiorno, consistente nell’obbligo di non soggiornare in uno o più comuni
ovvero in una o più province;
3) il divieto di frequentare osterie e pubblici spacci di bevande alcooliche;
4) la espulsione o l’allontanamento dello straniero dallo Stato.
(5) Per un breve commento delle misure di sicurezza, si consiglia la lettura degli artt. 199 ss. del codice
penale esplicato (E3).
Capitolo Ottavo: L’imputabilità e la pena
i
S.
p.
Misure di sicurezza patrimoniali (artt. 236 ss. c.p.) sono:
1) la cauzione di buona condotta, consistente nel deposito di una somma di
danaro presso la Cassa delle ammende, variabile da e 103 a e 2.065, per
la durata massima di 5 anni. Se il soggetto commette un nuovo reato punito con pena detentiva durante tale periodo, la somma viene incamerata;
altrimenti, decorso il termine, essa viene restituita;
2) la confisca (6), consistente nella espropriazione a favore dello Stato di cose
che servono a commettere il reato (es.: gli arnesi da scasso) o che ne sono
il prodotto o il profitto, ovvero di cose la cui fabbricazione, uso, detenzione
o alienazione costituisce reato (es.: armi, monete false).
A
.
93
br
Confisca per equivalente
Es
se
li
Di regola la confisca colpisce gli specifici beni che sono serviti a commettere il reato o ne costituiscono il profitto (arma utilizzata nella rapina; banconote consegnate allo spacciatore).
Per taluni reati, art. 322ter c.p. (delitti dei P.U. contro la P.A.) ed artt. 640bis e ter (ipotesi
aggravate di truffa), il codice consente la confisca per equivalente. Si tratta di un provvedimento di ablazione che colpisce i beni della persona condannata per detti reati, in misura
proporzionale al prezzo od al profitto dei reati stessi, ed in assenza di qualsiasi prova d’un
«rapporto di pertinenzialità» tra i beni appresi ed il fatto illecito cui si riferisce la sentenza
di condanna. Il presupposto logico e giuridico della confisca per equivalente, anzi, è costituito proprio dalla mancata individuazione od apprensione dei beni che, fisicamente, costituiscano il prezzo od il profitto del reato preso in considerazione (pertanto, ad es., al P.U.
corrotto può essere confiscata la retribuzione, nei limiti consentiti, fini alla concorrenza
dell’illecito profitto). All’istituto della confisca per equivalente il legislatore è, da ultimo, ricorso in occasione della predisposizione di un complesso di misure anti-riciclaggio, ad
opera del D.Lgs. 21-11-2007, n. 231, introducendo l’art. 648quater c.p., il quale affianca, ad
una ipotesi speciale di confisca obbligatoria connessa a condanne per reati di riciclaggio o
reimpiego, la confisca delle somme di denaro, dei beni o delle altre utilità delle quali il reo
ha la disponibilità, anche per interposta persona, per un valore equivalente al prodotto,
profitto o prezzo del reato, per il caso in cui la confisca ordinaria non sia possibile.
©
10.Le conseguenze civili del reato
ig
ht
A)Generalità
Oltre che illecito penale, un determinato fatto può anche costituire illecito di diversa natura (civile, amministrativo, disciplinare etc.) e, quindi, da
esso possono derivare conseguenze giuridiche diverse ed ulteriori rispetto a
quelle penali.
La maggior parte dei reati (ma sarebbe meglio precisare: dei delitti) costituisce, generalmente, anche una forma di illecito civile ai sensi dell’articolo
2043 c.c., per cui da essi deriva anche una sanzione civile.
•
yr
In alcuni casi è la stessa norma civile che prevede la sanzione (civile) per un illecito penale; così:
op
gli eccessi, le sevizie, le minacce o le ingiurie gravi possono essere causa di separazione
personale tra coniugi (art. 151 c.c.);
• la condanna per determinati delitti può essere causa di divorzio (cfr. art. 3 L. 1-12-1970,
n. 898);
• l’omicidio, il tentato omicidio o la falsa denuncia del de cuius importa indegnità a succedere (art. 463 c.c.) nonché la revocazione della donazione per ingratitudine (art. 801 c.c.).
C
Le più importanti conseguenze di natura civile sono previste nel titolo VII
del libro I del codice penale, e sono le restituzioni, il risarcimento, l’obbligo
(6) Numerose ipotesi di confisca sono previste dalle leggi speciali: es. art. 87 T.U. 309/1990 (confisca di
stupefacenti); art. 6 L. 152/1975 (confisca di armi).
Parte Prima: Parte generale
A
.
94
p.
del rimborso delle spese allo Stato per il mantenimento del condannato e l’obbligazione civile per l’ammenda.
Esaminiamole singolarmente nelle lettere che seguono.
B)L’obbligo alle restituzioni
i
S.
Per il primo comma dell’art. 185 c.p. «ogni reato obbliga alle restituzioni, a norma delle leggi
civili».
La restituzione di cui parla la legge si riferisce non soltanto al maltolto, ma anche al ripristino
della situazione di fatto preesistente al reato. L’obbligo della restituzione, naturalmente, sorge
solo nel caso in cui una restituzione, nel senso prima inteso, sia possibile naturalisticamente e
giuridicamente.
br
C)L’obbligo del risarcimento del danno
Per il secondo comma dell’art. 185 c.p. «ogni reato, che abbia cagionato
un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole
e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui».
li
Nozioni:
se
— Danno patrimoniale è l’offesa di un interesse patrimoniale, nei suoi due aspetti di danno emergente e di lucro cessante.
— Danno non patrimoniale è il perturbamento morale derivato dalla commissione del
reato, perturbamento morale consistente non in un valutabile detrimento fisico o patrimoniale, bensì nell’offesa, nell’angoscia, nel dolore, nel risentimento etc.
ht
©
Es
Tanto il danno patrimoniale quanto quello non patrimoniale, per essere
risarcibili, devono porsi in rapporto di immediatezza col reato, essere cioè
legati ad esso da uno stretto rapporto di causa ad effetto (art. 1223 c.c.).
Soggetto tenuto al risarcimento del danno è il colpevole. In caso di concorso di persone nel reato, tutti gli autori del fatto sono tenuti in solido al risarcimento (art. 187, comma 2 c.p.).
Oltre al colpevole, inoltre, è tenuto al risarcimento del danno, in solido con
lui, il responsabile civile ove vi sia.
Soggetto attivo (creditore) del rapporto obbligatorio di risarcimento del
danno è il c.d. danneggiato, che può esser persona diversa dal soggetto
passivo del reato.
D)L’obbligo al rimborso delle spese di mantenimento del condannato
yr
ig
Per il disposto dell’art. 188 c.p., il condannato è obbligato a rimborsare all’erario dello Stato
le spese per il suo mantenimento negli stabilimenti di pena, e risponde di tale obbligazione con
tutti i suoi beni mobili ed immobili, presenti e futuri, a norma delle leggi civili.
Tale obbligazione non si estende alla persona civilmente obbligata per l’ammenda (cfr. § seguente) né agli eredi del condannato.
Per il disposto dell’art. 2 della L. 26-7-1975, n. 354, in materia di ordinamento penitenziario,
il rimborso delle spese di mantenimento ha luogo per una quota non superiore ai due terzi del
costo reale del mantenimento stesso.
C
op
E)L’obbligazione civile per le multe e le ammende inflitte a persona dipendente (artt. 196 e 197)
L’art. 196 c.p., in caso di insolvibilità del condannato a pena pecuniaria, stabilisce l’obbligazione sussidiaria al pagamento di una somma pari all’ammontare della pena pecuniaria a carico
della persona rivestita dell’autorità o incaricata della direzione o vigilanza del soggetto condannato.
Affinché sorga questa obbligazione, occorre che si tratti di violazione di una norma che la
persona preposta doveva far osservare e, nello stesso tempo, occorre che la persona preposta non
ne debba rispondere penalmente.
Capitolo Ottavo: L’imputabilità e la pena
br
i
S.
p.
Del pari l’art. 197 c.p. stabilisce che «gli enti forniti di personalità giuridica, eccettuato lo
Stato, le regioni, le province ed i comuni, qualora sia pronunciata condanna per reato contro chi ne
abbia la rappresentanza o l’amministrazione, o sia con essi in rapporto di dipendenza, e si tratti di
reato che costituisca violazione degli obblighi inerenti alla qualità rivestita dal colpevole, ovvero sia
commesso nell’interesse della persona giuridica, sono obbligati al pagamento, in caso di insolvibilità del condannato, di una somma pari all’ammontare della multa o dell’ammenda inflitta».
Anche questa «obbligazione» nasce solo in caso di insolvibilità del condannato (e perciò ha
carattere sussidiario) ed è stata estesa ai delitti dalla L. 689/1981. Le due norme di cui sopra non
fanno eccezione al principio della personalità della pena in quanto non sanciscono una responsabilità penale a carico di persone estranee al reato, ma contemplano ipotesi di responsabilità puramente civile a garanzia dell’adempimento di un obbligo penale. L’individuo o l’ente obbligati
versano una somma pari all’ammontare della pena pecuniaria che il colpevole non è in condizioni
di pagare.
In entrambi i casi, se l’obbligazione non può essere adempiuta si applica l’art. 136 (conversione della pena pecuniaria).
A
.
95
F)Effetti dell’estinzione del reato o della pena sulle obbligazioni civili
G)Garanzie per le obbligazioni civili
se
li
L’art. 198 c.p. stabilisce che l’estinzione del reato o della pena non importa l’estinzione delle
obbligazioni derivanti dal reato, ad eccezione delle obbligazioni civili per le ammende ex artt. 196 e
197 c.p.
La ratio della norma è chiara: la causa di estinzione del reato o della pena colpisce il reato
come illecito penale, ma non può escludere quei caratteri di illiceità diversa da quella penale da
esso rivestiti.
Tali garanzie possono così sintetizzarsi:
Es
Gli artt. 189-195 c.p. contengono una serie di disposizioni tese a garantire l’adempimento
delle obbligazioni civili da parte dell’imputato.
C
op
yr
ig
ht
©
a) sequestro conservativo di beni del condannato, per garantire il pagamento delle pene pecuniarie, delle spese processuali e del risarcimento del danno;
b) cauzione prestata dall’imputato al fine di evitare il sequestro;
c) azione revocatoria penale, finalizzata a rendere inefficaci atti negoziali del condannato, che
possono depauperare il suo patrimonio e rendere difficile la riscossione dei crediti (sanzioni,
spese, risarcimento).
Parte Prima: Parte generale
A
.
96
S.
Il diritto penale amministrativo
p.
Capitolo Nono
I
Es
se
li
br
i
l diritto penale costituisce soltanto una parte, anche se la più importante, del
c.d. diritto punitivo. Nell’ambito di tale categoria, infatti, rientra non solo il
diritto penale o criminale in senso stretto, ma anche il diritto punitivo amministrativo, ossia quel complesso di norme che prevedono fatti illeciti per i quali
sono comminate sanzioni extrapenali a carattere punitivo (come, ad esempio, le
pene pecuniarie previste dalle leggi finanziarie o amministrative, la confisca e il
ritiro della patente di guida).
È bene precisare che il diritto penale amministrativo va distinto:
— dal diritto amministrativo della prevenzione, costituito dal complesso di
norme che prevedono le misure amministrative di prevenzione (diffida, rimpatrio con foglio di via obbligatorio, sorveglianza speciale di P.S., etc.), applicabili ai soggetti pericolosi per prevenire la commissione di reati;
— dal diritto amministrativo disciplinare, che, a differenza del diritto punitivo o
penale amministrativo, prevede e sanziona le trasgressioni non a doveri generali, bensì a doveri inerenti a rapporti di supremazia particolare (si pensi, ad
esempio, alle sanzioni disciplinari, come la censura, la riduzione dello stipendio, etc., previste nel rapporto di pubblico impiego).
1. Illecito penale e illecito amministrativo
yr
ig
ht
©
La dottrina prevalente ritiene che la distinzione tra l’illecito penale (cioè il
reato) e l’illecito amministrativo sia soltanto formale: pertanto, costituisce
rea­to qualsia­si fatto che la legge sanziona con una pena irrogata dall’Autorità
giudiziaria mediante il processo (c.d. pena criminale), mentre l’illecito amministrativo consiste in un fatto colpito con sanzioni di diversa natura.
Norma cardine nel sistema degli illeciti amministrativi è la L. 24-11-1981,
n. 689, la quale:
— ha notevolmente ampliato il campo dell’illecito amministrativo con la decriminalizzazione (comunemente ma atecnicamente detta depenalizzazione)
di gran parte dei reati di minima entità (1);
— ha sancito, anche per gli illeciti amministrativi, alcuni principi garantistici
di fondamentale importanza, come quello di legalità (art. 1) e di colpevolezza (art. 3) (v. amplius § 2).
Un criterio distintivo di carattere sostanziale, cui il legislatore dovrebbe ispirarsi, viene oggi
individuato nel principio costituzionale di offensività.
C
op
Almeno come direttiva generale di politica legislativa, infatti:
— l’ambito proprio del diritto penale dovrebbe essere quello dei fatti offensivi di interessi costituzionalmente significativi;
— l’ambito proprio dell’illecito amministrativo, invece, dovrebbe individuarsi in quello dei
fatti offensivi di interessi non specificamente tutelati dalla Costituzione (anche se non
incompatibili coi principi costituzionali), o anche dei fatti da perseguire per prevenire la
commissione di altri reati.
(1) Come ad esempio, l’esercizio abusivo di mestieri girovaghi, di cui all’art. 669 c.p., l’omessa custodia e
malgoverno di animali, prevista all’art. 672 c.p., etc.
Capitolo Nono: Il diritto penale amministrativo
p.
2. I principi generali in materia di illecito amministrativo (Artt. 1 ss. L. 24-11-1981, n. 689)
A
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97
S.
A)Generalità
La L. 689/1981, nel proseguire l’opera di depenalizzazione già iniziata dalle LL. 3-5-1967 n. 317 e 24-12-1975 n. 706, ha elaborato un sistema di principi, sostanziali e processuali, applicabili agli illeciti puniti con la «sanzione
amministrativa di una somma di denaro».
i
Tale disciplina è stata introdotta allo scopo di evitare che la depenalizzazione si traduca nel
venir meno delle garanzie sostanziali e processuali che caratterizzano il settore dell’illecito
penale.
li
br
B)Il principio di legalità
Secondo tale principio, «nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della
commissione della violazione».
Le leggi che prevedono sanzioni amministrative si applicano soltanto nei
casi e per i tempi in esse considerati (art. 1).
se
Trattasi, come è evidente, dello stesso principio affermato, per gli illeciti penali, dall’art. 25
Cost. e dagli artt. 1 e 2 c.p.; esso si articola nei sottostanti principi:
Es
— della riserva di legge, che in questo caso, però, si riferisce non solo alle leggi statali, ma
anche alle leggi regionali ed alle leggi delle province di Trento e Bolzano, trattandosi di disposizioni amministrative (a conferma di ciò cfr. gli artt. 9, comma 2, 17, comma 3 e 31,
comma 1);
— di irretroattività, in quanto le leggi che prevedono sanzioni amministrative si applicano
soltanto per i tempi in esse stabiliti;
— di tassatività-determinatezza, col conseguente divieto di analogia in malam partem.
ig
ht
©
C)Il principio di colpevolezza
Per aversi illecito amministrativo, è necessario che l’agente abbia agito con
dolo o colpa (v. art. 3).
È, dunque, richiesto lo stesso elemento soggettivo che l’art. 42 c.p. esige per
le contravvenzioni: cioè è indifferente che la condotta sia dolosa o colposa, ma
è necessaria almeno la presenza della colpa.
In materia di errore, è previsto (art. 3, comma 2) che l’errore sul fatto esclude la responsabilità dell’agente quando non sia colposo.
L’errore sul precetto, invece, è irrilevante.
yr
Va però segnalato che anche nella materia dell’illecito amministrativo disciplinato dalla
legge n. 689/1981 deve ritenersi applicabile l’art. 5 del cod. pen., quale risulta a seguito della
sentenza della Corte Costituzionale 24 marzo 1988 n. 364, secondo la quale viene a mancare
l’elemento soggettivo quando ricorra la inevitabile ignoranza del precetto da parte di chi
commetta l’illecito (Cass. sent. 5615/03).
C
op
D)Il principio di imputabilità
Perché sorga la responsabilità amministrativa, è necessario che, al momento del fatto, l’agente:
— abbia compiuto i 18 anni: la minore età, infatti, comporta una presunzione
assoluta di incapacità.
Pertanto, per i soggetti di età compresa tra i 14 e i 18 anni, la responsabilità penale è subordinata all’accertamento della loro capacità d’intendere e di volere (art. 98 c.p.), mentre la responsabilità amministrativa è esclusa;
Parte Prima: Parte generale
A
.
98
S.
p.
— non sia incapace d’intendere e di volere, in base ai criteri indicati nel codice
penale (vizio di mente, ubriachezza, azione di stupefacenti, sordomutismo).
È però responsabile chi abbia commesso il fatto in stato d’incapacità preordinata o dovuta a colpa.
Della violazione commessa dal non imputabile risponde chi era tenuto alla
sorveglianza del medesimo, salvo che provi di non avere potuto impedire il
fatto.
li
br
i
E)Il principio della responsabilità personale
L’obbligazione di pagare la somma dovuta quale sanzione per la violazione
amministrativa non si trasmette agli eredi (art. 7).
Derogando alla regola operante nel campo civilistico e amministrativistico,
la legge sancisce quindi, per le violazioni amministrative in esame, il principio
della responsabilità personale, proprio del diritto penale, confermando la omogeneità di natura, tra il diritto penale e il diritto amministrativo, delle sanzioni pecuniarie di tipo punitivo.
Es
se
F)Le cause di giustificazione
L’art. 4 della L. 24-11-1981 n. 689 dispone che «non risponde delle violazioni amministrative chi ha commesso il fatto nell’adempimento del dovere, o
nell’esercizio di una facoltà legittima, ovvero in stato di necessità o di legittima
difesa. Se la violazione è commessa per ordine dell’autorità, della stessa risponde il pubblico ufficiale che ha dato l’ordine».
Non sono, quindi, menzionati l’uso legittimo delle armi e il consenso dell’avente diritto. Si ritiene però che, «quale limite generale alla tutela dei beni disponibili», il consenso escluda la responsabilità anche in materia di illecito amministrativo.
Per quanto riguarda l’ordine illegittimo dell’autorità, è espressamente prevista solo la responsabilità amministrativa del pubblico ufficiale che ha dato l’ordine.
©
3. Il concorso di illeciti
ig
ht
A)Generalità
In materia di concorso di illeciti, l’art. 8 ripete la formula prevista dall’art.
81, comma 1, c.p. per il concorso formale di reati, disponendo che «salvo che
sia stabilito diversamente dalla legge, chi con un’azione o un’omissione viola
diverse disposizioni che prevedono sanzioni amministrative o commette più
violazioni della stessa disposizione, soggiace alla sanzione prevista per la violazione più grave, aumentata sino al triplo».
yr
Non essendo prevista alcuna norma specifica per il concorso materiale, deve dedursi che esso
sia soggetto al cumulo materiale.
C
op
Quanto all’illecito amministrativo continuato, la dottrina è divisa:
— alcuni (MANTOVANI) sostengono che esso debba sottostare, in mancanza di una previsione contraria, al cumulo materiale (salvo a tener conto della continuazione ai fini della
concreta commisurazione della pena);
— altri (NUVOLONE) ritengono, invece, che agli illeciti depenalizzati, che in origine costitui­
vano reato, possa estendersi il disposto dell’art. 81, comma 2, c.p. (e applicarsi, quindi, il
cumulo giuridico).
Il D.Lgs. 507/1999 ha introdotto l’art. 8bis che disciplina la reiterazione
delle violazioni.
Capitolo Nono: Il diritto penale amministrativo
li
br
i
S.
p.
B)Il principio di specialità
Nel caso di «concorso apparente di norme», che sorge quando ad uno stesso fatto appaiono «prima facie» applicabili sia una norma penale che una
norma amministrativa, oppure più norme amministrative, trova applicazione
l’art. 9 della L. n. 689 del 1981, che (analogamente a quanto previsto dall’art.
15 c.p.) afferma, come principio generale, che trova comunque applicazione la
norma speciale.
Il secondo comma dell’art. 9 aggiunge, però, che, nel caso di concorso apparente tra una norma penale e una norma amministrativa prevista da una
legge regionale (o da una legge delle province di Trento e Bolzano), prevale in
ogni caso la norma penale (2).
Infine il terzo comma, sostituito dal D.Lgs. 507/1999, stabilisce che ai fatti
puniti dagli artt. 5, 6 e 12 L. 283/1962 (in materia di alimenti) si applicano solo
le disposizioni penali anche quando i fatti sono puniti con sanzioni amministrative previste da disposizioni speciali.
A
.
99
4. Il concorso di persone
se
L’art. 5, con formula analoga a quella dell’art. 110 c.p., dispone che «quando più persone concorrono in una violazione amministrativa, ciascuna di esse
soggiace alla sanzione per questa disposta, salvo che sia diversamente stabilito dalla legge».
C
op
yr
ig
ht
©
Es
Potrà aversi sia concorso colposo che concorso doloso, trattandosi di illeciti puniti indifferentemente a titolo di colpa o di dolo (v. art. 3). Deve, invece, escludersi, in ogni caso, un concorso a
titolo di responsabilità oggettiva.
(2) Tale soluzione, si osserva (FIANDACA-MUSCO) deve ritenersi obbligata, in quanto la soluzione contraria sarebbe stata in contrasto col principio della riserva di legge posto dall’art. 25 Cost. che attribuisce allo
Stato il monopolio della competenza in materia penale.
C
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Es
se
li
br
i
S.
p.
A
.
Capitolo Primo: Introduzione
(1)
p.
Parte Seconda
A
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101
S.
Parte speciale
Capitolo Primo
br
i
Introduzione
M
Es
se
li
entre il libro I del codice penale è dedicato alla parte generale del diritto
penale, il libro II e III contengono la trattazione delle singole figure criminose. Precisamente nel libro II sono indicati i delitti e nel III le contravvenzioni.
I reati tipizzati nel codice non esauriscono tutte le ipotesi di illeciti penali presenti nel nostro ordinamento. Invero numerosi reati sono disciplinati in specifiche leggi: ad es. il d.P.R. 309/1990 in tema di stupefacenti (artt.73-86); la
legge 267/1942 in tema di reati fallimentari (artt. 216-241); la legge 895/1967
in materia di armi; il D.Lgs. 74/2000 in tema di reati tributari. Talune ipotesi
delittuose sono previste addirittura nel codice civile (artt. 2621-2641), in tema
di falso in bilancio ed altro.
1.Delitti
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Delitti
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contro la personalità dello Stato (artt. 241-313)
contro la Pubblica Amministrazione (artt. 314-360)
contro l’amministrazione della giustizia (artt. 361-393)
contro il sentimento religioso e contro la pietà dei defunti (artt. 402413)
contro l’ordine pubblico (artt. 414-421)
contro l’incolumità pubblica (artt. 422-452)
contro la fede pubblica (artt. 453-498)
contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio (artt. 499-518)
contro la moralità pubblica e il buon costume (artt. 519-544)
contro il sentimento per gli animali (artt. 544bis-544sexies)
contro l’integrità e la sanità della stirpe (artt. 545-555)
contro la famiglia (artt. 556-574)
contro la persona (artt. 575-623bis)
contro il patrimonio (artt. 624-649)
op
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©
Il libro II del codice penale è diviso in 14 titoli nei quali i vari delitti sono
raggruppati a seconda dell’oggetto giuridico, cioè del bene o interesse tutelato dalla norma incriminatrice e leso (o messo in pericolo) dai comportamenti vietati.
C
(1) Si consiglia la lettura parallela di questa parte con il libro II del Codice Penale Esplicato (E3), edito da
questa casa editrice.
Il Codice Penale Esplicato, per ciascun articolo, riporta la rassegna degli istituti processuali e sostanziali,
le principali definizioni relative ai termini specialistici, nonché l’oggetto giuridico, la consumazione e la possibilità di tentativo per ogni singola figura criminosa. Ogni articolo, infine, è corredato da breve commento per un
migliore orientamento nella conoscenza dei reati.
Parte Seconda: Parte speciale
A
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102
2. Contravvenzioni
i
➤ di polizia
➤ concernenti la attività sociale della pubblica amministrazione
➤ concernenti la tutela della riservatezza.
br
Contravvenzioni S.
p.
Il libro III del codice penale è suddiviso in 3 titoli, di cui il primo, di gran
lunga più ampio (artt. 650-730) dedicato all’esame delle «contravvenzioni di
polizia», il secondo, formato da quattro articoli (731-734) relativo alle «contravvenzioni concernenti l’attività sociale della Pubblica Amministrazione», il
terzo (rectius: secondo bis) costituito da un solo articolo (734bis), inerente alle
«contravvenzioni concernenti la tutela della riservatezza».
Interventi di depenalizzazione
li
La trasformazione, ad opera del legislatore, di reati in illeciti amministrativi (c.d. «depenalizzazione») costituisce un fenomeno che a più riprese ha interessato la normativa di parte
speciale del codice penale.
Alla base di tale scelta legislativa vi sono diverse esigenze e finalità, tra le quali:
•
se
l’esigenza di deflazionare il carico delle aule giudiziarie da illeciti «bagattellari» (2), riaffermando il principio del ricorso alla sanzione penale come extrema ratio;
• l’esigenza di estendere i princìpi di civiltà giuridica previsti nel sistema penale agli illeciti amministrativi;
• l’esigenza di adeguare il sistema sanzionatorio alla finalità rieducativa della pena, come
sancito dalla Costituzione (art. 27 Cost.).
•
•
C
op
yr
ig
•
©
•
la legge 24-12-1975, n. 706, la quale ha operato una vasta depenalizzazione concernente
buona parte dei reati previsti dalle varie leggi speciali;
la legge 24-11-1981, n. 689, che oltre ad ampliare il novero degli illeciti amministrativi,
operando nei settori non toccati dai precedenti interventi legislativi, ha esteso a tali illeciti alcuni principi garantistici propri dei reati, come quello di legalità e di colpevolezza;
nonché buona parte della disciplina prevista dalle norme di parte generale del codice
penale;
la legge 28-12-1993, n. 561, che ha trasformato numerosi reati minori in illeciti amministrativi;
il D.Lgs 13-7-1994, n. 480, che ha riformato la disciplina sanzionatoria contenuta nel
Testo Unico delle Leggi di pubblica sicurezza (T.U.L.P.S.);
il D.Lgs. 30-12-1999, n. 507, che ha dato attuazione alla legge delega 25-6-1999, n. 205,
la cui disciplina ha operato una profonda «decriminalizzazione» codicistica, disponendo
l’abrogazione di talune fattispecie obsolete (ad es. la sfida a duello di cui all’art. 394 c.p.)
ovvero non più conformi ad una moderna concezione del bene giuridico, costituzionalmente orientata (ad es. l’oltraggio a pubblico ufficiale di cui all’art. 341 c.p.).
ht
•
Es
Tra i vari provvedimenti legislativi in tema ricordiamo:
(2) Sono così definiti quei reati caratterizzati da un minimo potenziale di offensività, tale da ledere solo
marginalmente il bene giuridico che la norma violata intende proteggere.
Capitolo Secondo: I delitti contro la personalità dello Stato
A
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103
S.
I delitti contro la personalità dello Stato
p.
Capitolo Secondo
1.Generalità
br
i
I delitti contro la personalità dello Stato (titolo I) comprendono tutti quei
fatti offensivi degli interessi politici dello Stato, cioè gli interessi che concernono la vita dello Stato nella sua essenza unitaria, sia che abbiano attinenza alle relazioni dello Stato con altre nazioni (delitti contro la personalità
esterna dello Stato), sia che si riferiscano alla vita interna dello stesso (delitti
contro la personalità interna dello Stato).
se
li
La normativa è stata in parte riformata dalla legge 24/2/06, n. 85 (di modifica in materia dei reati di opinione). L’attuale disciplina, ha disposto l’abrogazione di previgenti fattispecie delittuose contro la personalità dello Stato, ritenute non più compatibili con principi
costituzionali e con reali esigenze di tutela (gli artt. 269, 279, 279, 292bis e 293 cod. pen.).
Altri delitti sono stati riformulati in modo da presentare caratteri di maggiore tassatività ed
offensività: in particolare si è passati dalla precedente dizione che puniva i meri «fatti diretti
…..», all’attuale formulazione che punisce gli «atti violenti diretti ed idonei ……» (v. nuovo
testo degli artt. 241, 283, 289 cod. pen.).
Es
2. Principali figure delittuose
ig
ht
©
A)Attentati contro l’integrità, l’indipendenza e l’unità dello Stato (art.
241)
L’art. 241 punisce chiunque commetta atti violenti diretti e idonei a sottoporre il territorio dello Stato o una parte di esso alla sovranità di uno Stato
straniero, ovvero a menomare l’indipendenza dello Stato o a discioglierne l’unità.
Il bene-interesse tutelato dalla norma è comunemente ravvisato nella sovranità dello Stato, di cui si vuole garantire l’integrità, l’indipendenza e l’unità del
territorio, modificabili esclusivamente seguendo le regole democratiche indicate dalla Costituzione.
Soggetto passivo, così come in tutti i reati previsti dal titolo I del libro II, è
lo Stato.
Trattandosi di delitto a consumazione anticipata, il tentativo non è configurabile, poiché atti idonei e diretti a realizzare l’evento descritto dalla norma
sono già sufficienti ad integrare la fattispecie consumata.
yr
Con sentenza del ’70 la Corte di Cassazione ha affermato che il delitto in questione vada
qualificato come reato di pericolo. Il dolo richiesto è generico.
Pena: la reclusione non inferiore a 12 anni.
C
op
B)Spionaggio (artt. 257-258)
L’art. 257 punisce il procacciamento a scopo di spionaggio politico-militare di notizie che costituiscono segreti di Stato; l’art. 258 punisce il procacciamento, sempre a fine di spionaggio politico-militare, di notizie di cui l’autorità competente ha vietato la divulgazione (notizie riservate). Mentre per le
notizie del primo articolo il vincolo deriva, in modo diretto, dalla natura dei
fatti o della cosa a cui si riferisce, per le notizie riservate non si può prescindere dall’espresso divieto dell’Autorità.
Parte Seconda: Parte speciale
A
.
104
p.
Tali reati sono aggravati in presenza di talune circostanze indicate dagli articoli suddetti.
Quanto all’elemento soggettivo, è richiesto il dolo specifico.
S.
Pena: (art. 257) reclusione non inferiore a 15 anni; ergastolo per le ipotesi previste ai numeri
1 e 2 del comma 2.
(Art. 258): reclusione non inferiore a 10 anni; ergastolo per le ipotesi previste ai commi 2 e 3.
li
br
i
C)Rivelazione di segreti di Stato (art. 261) e rivelazione di notizie di cui
sia vietata la divulgazione (art. 262)
Gli artt. 261 e 262 puniscono la rivelazione di notizie costituenti segreto
di Stato, ovvero quelle di cui l’autorità competente ha vietato la divulgazione
(c.d. notizie riservate).
La persona che ottiene la notizia è punita al pari di chi la rivela. Ottenere
non significa ricevere: l’espressione presuppone un’attività del terzo diretta ad
uno scopo.
Sono previste due aggravanti speciali ed inoltre, sotto il profilo soggettivo,
accanto all’ipotesi dolosa (dolo generico) è prevista anche l’ipotesi colposa.
se
La segretezza o la riservatezza cessano o quando l’autorità esplicitamente lo abbia dichiarato
o quando l’interesse a mantenere l’uno o l’altra sia venuto meno per le mutate condizioni.
Pena: (art. 261) reclusione non inferiore a 5 anni (da 6 mesi a due anni se il fatto è commesso
per colpa); reclusione non inferiore a 10 anni (da 3 a 15 anni se il fatto è commesso per colpa);
nel caso previsto dal comma 2; ergastolo nei casi previsti dal comma 3. Stesse pene previste
per l’art. 262.
C
op
yr
ig
ht
©
Es
D)Associazione sovversiva (art. 270)
L’art. 270 c.p. punisce chiunque nel territorio dello Stato promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni dirette e idonee a sovvertire violentemente gli ordinamenti economici o sociali costituiti nello Stato ovvero a sopprimere
violentemente l’ordinamento politico e giuridico dello Stato.
Il secondo comma punisce anche la mera partecipazione.
Trattasi di reato di pericolo ed a concorso necessario. Invero l’incriminazione mira a tutelare in maniera anticipata l’oggetto giuridico della norma, a
prescindere dalla realizzazione del programma violento.
La condotta deve essere diretta agli scopi previsti dalla norma: finalità che
sono caratterizzate dalla predisposizione di un programma di violenza strumentale alla loro attuazione, consistente in qualsiasi illegittima estrinsecazione di energie psichiche o fisiche contro persone (attentati, aggressioni, minacce, intimidazioni etc.) o cose (sabotaggi, danneggiamenti etc.), non necessariamente attraverso l’uso di armi.
Per la configurabilità del delitto occorre l’idoneità dell’azione a mettere in
pericolo il bene giuridico tutelato. Il delitto, di natura permanente.
Trattandosi di reato a consumazione anticipata, il tentativo non è configurabile.
Il dolo è specifico.
Integra una partecipazione punibile ai sensi dell’art. 270 c.p. il fatto di offrire un appartamento (c.d. covo), per riunioni di carattere sovversivo, anche senza prendervi direttamente
parte. Nel caso in cui a dette riunioni si prenda parte, conservando all’interno dell’appartamento armi, schede di magistrati, militari e uomini del mondo economico e politico, con
informazioni sui loro movimenti, planimetrie e disegni di caserme e di carceri, tale condotta configura in capo al titolare del covo un ruolo organizzativo e non di mero partecipe (Cass.
I, 1-7-81).
Capitolo Secondo: I delitti contro la personalità dello Stato
p.
Pena: reclusione da 5 a 10 anni per le ipotesi previste dai comma 1°; reclusione da 1 a 3 anni
per la mera partecipazione.
A
.
105
S.
E)Associazione con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico (art. 270bis)
br
i
A norma dell’art. 270bis, introdotto dal D.L. 625/79, conv. in L. 15/80 e successivamente sostituito dal D.L. 18-10-2001, n. 374, conv. in L. 15-12-2001, n. 438, è
punito chiunque promuove, costituisce, organizza, dirige o finanzia associazioni
che si propongono il compimento di atti di violenza con finalità di terrorismo o
di eversione dell’ordine democratico, ovvero partecipa a tali associazioni.
È un reato di pericolo.
Il dolo richiesto è quello specifico ed, in alcuni casi, è configurabile l’ipotesi del tentativo.
Definizione di terrorismo internazionale
Es
se
li
La legge 31 luglio 2005, n. 155, con l’intento di ovviare alle oscillazioni giurisprudenziali
con riguardo alla definizione di terrorismo, dispone ora che sono considerate con finalità di
terrorismo le condotte che, per la loro natura o contesto, possono arrecare grave danno ad
un Paese o ad un’organizzazione internazionale e sono compiute allo scopo di intimidire la
popolazione o costringere i poteri pubblici o un’organizzazione internazionale a compiere o
astenersi dal compiere un qualsiasi atto o destabilizzare o distruggere le strutture politiche
fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di un Paese o di un’organizzazione internazionale, nonché le altre condotte definite terroristiche o commesse con finalità di terrorismo
da convenzioni o altre norme di diritto internazionale vincolanti per l’Italia.
Prime applicazioni giurisprudenziali
yr
ig
ht
©
La Corte di Cassazione, con due sentenze depositate il 19-7-06, n. 24994/06 e n. 24995/06, ha
statuito che per l’integrazione della condotta di partecipazione ad un’associazione con
finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico, di cui
all’art. 270bis c.p., è sufficiente, in presenza di una struttura organizzata sia pure in modo
rudimentale, che l’adesione ideologica si sostanzi in seri propositi criminali diretti alla realizzazione delle finalità associative, senza che sia necessario, data la natura di reato di pericolo presunto, che si abbia l’inizio di materiale esecuzione del programma criminale.
Inoltre, con sentenza depositata l’11-10-06 ha statuito che:
— la finalità di terrorismo sussiste anche in caso di atti di violenza diretti contro obiettivi militari che – per la loro natura, per il contesto e per le specifiche condizioni in cui
sono compiuti – siano idonei a provocare gravi danni alla popolazione civile e ad
ingenerare un diffuso stato di intimidazione;
— le attività compiute in Italia a sostegno di un’associazione terroristica operante all’estero sono punibili a titolo di partecipazione al delitto associativo ex art. 270bis c.p. ovvero
di concorso esterno;
— la collocazione di un’associazione negli elenchi delle organizzazioni terroristiche,
formati dall’O.N.U. e dall’Unione Europea può costituire prova della finalità di terrorismo solo se il giudice verifichi l’esistenza di questa secondo le regole di utilizzabilità e
di valutazione probatoria prescritte dalla legge processuale.
op
Pena: reclusione da 7 a 15 anni; reclusione da 5 a 10 anni per la mera partecipazione; confisca
obbligatoria per i beni che servirono a commettere il reato, nonché per i beni che ne sono il
prezzo, il profitto il prodotto o l’impiego.
F)Assistenza agli associati (art. 270ter)
C
Fra le novità disciplinari introdotte dal D.L. 18-10-2001, n. 374, convertito
in L. 15-12-2001, n. 438 (noto come decreto antiterrorismo internazionale)
rilevante è l’introduzione dell’art. 270ter sanzionante chiunque, fuori dei casi
Parte Seconda: Parte speciale
A
.
106
p.
di concorso nel reato o di favoreggiamento, dà rifugio o fornisce vitto, ospitalità, mezzi di trasporto, strumenti di comunicazione a taluna delle persone che
partecipano alle associazioni indicate negli articoli 270 e 270bis.
S.
Pena: reclusione fino a 4 anni; pena aumentata se l’assistenza è prestata continuativamente;
causa di esclusione della punibilità speciale se il fatto è commesso in favore di un prossimo
congiunto.
li
br
i
G) Arruolamento con finalità di terrorismo anche internazionale (art.
270quater)
Tale delitto è stato introdotto dalla legge 155/2005 e punisce chiunque
arruola una o più persone per il compimento di atti di violenza ovvero di sabotaggio di servizi pubblici essenziali, con finalità di terrorismo, anche se rivolti
contro uno Stato estero, un’istituzione o un organismo internazionale. La fattispecie delittuosa è integrata indipendentemente dal luogo in cui gli atti di
violenza o di sabotaggio debbano essere commessi e a prescindere dal fatto
che vengano poi effettivamente consumati. Le finalità di arruolamento rimangono allora esterne alla condotta tipica, caratterizzando il dolo come specifico.
se
Pena: reclusione da 7 a 15 anni.
ht
©
Es
H) Addestramento ad attività con finalità di terrorismo anche internazionale (art. 270quinquies)
Anche tale delitto è stato introdotto dalla legge 155/2005, sanzionando la
condotta di chi addestra o comunque fornisce istruzioni sulla preparazione o
sull’uso di materiali esplosivi, di armi da fuoco o di altre armi, di sostanze chimiche o batteriologiche nocive o pericolose, nonché di ogni altra tecnica o metodo per il compimento di atti di violenza ovvero di sabotaggio di servizi pubblici
essenziali con finalità di terrorismo. La ratio delle nuove incriminazioni (anche
dell’art. 270quater) è di supplire agli eventuali deficit probatori che l’accusa
spesso incontra per la fattispecie associativa punendo in maniera autonoma,
ancorché residuale, comportamenti sintomatici dell’esistenza di organizzazioni terroristiche senza necessità di doverne fornire la dimostrazione. Si registra,
pertanto, una elevata anticipazione della soglia della punibilità.
Pena: reclusione da 5 a 10 anni.
ig
I) Attentato contro il Presidente della Repubblica (art. 276)
È il fatto di chi attenta alla vita, all’incolumità o alla libertà personale del
Presidente della Repubblica.
C
op
yr
È reato di pericolo a dolo generico. Il delitto si consuma con il compimento di atti diretti
contro la vita etc. del Presidente della Repubblica. Il tentativo è inammissibile, trattandosi di
delitto di attentato. Va detto che tale norma, peraltro mai applicata, suscita perplessità in dottrina, poiché punisce con la stessa pena (ergastolo) condotte lesive di beni giuridici di diverso rilievo.
Pena: ergastolo.
L)Attentato per finalità terroristiche o di eversione (art. 280)
Tale figura di reato, introdotta anch’essa dal D.L. 625/79 (art. 2) e da ultimo
modificata dalla L. 14-2-2003, n. 34, sanziona penalmente chiunque, per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico, attenta alla vita od alla
incolumità di una persona.
Capitolo Secondo: I delitti contro la personalità dello Stato
p.
Poiché il fatto deve essere commesso per finalità di terrorismo o di eversione, occorre in ogni caso che l’agente realizzi una violenza, agisca, cioè, con
l’impiego di una coazione fisica o morale su persona o su cose.
A
.
107
S.
Pena: attentato alla vita: reclusione non inferiore a 20 anni; ergastolo se dall’attentato deriva
la morte della persona.
Attentato all’incolumità: reclusione non inferiore a 6 anni che diventa:
• non inferiore a 18 anni se deriva una lesione gravissima;
• non inferiore a 12 anni se deriva una lesione grave;
• di 30 anni se deriva la morte della persona.
br
i
M)Atto di terrorismo con ordigni micidiali o esplosivi (art. 280bis)
La L.14-2-2003, n. 34 ha introdotto tale nuova figura di attentato terroristico, sanzionando penalmente chiunque, per finalità di terrorismo, compia
qualsiasi atto diretto a danneggiare cose mobili o immobili altrui, mediante l’uso
di dispositivi esplosivi o comunque micidiali.
se
li
L’elevato rango dei beni giuridici esposti a pericolo dagli atti di terrorismo giustifica il ricorso del legislatore (in conformità ad un costume ormai consolidato, tipico di ogni legislazione «emergenziale») al meccanismo della tutela anticipata, tradottosi nella creazione di una
fattispecie di attentato, in cui la soglia penalmente rilevante arretra al compimento di qualunque
atto diretto (cioè univocamente finalizzato ed oggettivamente idoneo) a danneggiare cose mobili
o immobili altrui (in tal modo assumendo un ruolo complementare rispetto alla fattispecie di cui
all’art. 280 c.p. sanzionante l’attentato a persone) a prescindere dall’effettivo conseguimento dello
scopo lesivo.
Es
Ai sensi del secondo comma dell’art. 280bis, per dispositivi esplosivi o comunque micidiali si intendono le armi e le materie ad esse assimilate indicate nell’articolo 585 del codice
penale e idonee a causare importanti danni materiali.
©
Pena: reclusione da 2 a 5 anni; aumentata della metà se il fatto è diretto contro la sede della
Presidenza della Repubblica, delle assemblee legislative, della Corte costituzionale o di organi
di Governo; reclusione da 5 a 10 anni se dal fatto deriva pericolo per l’incolumità pubblica
ovvero un grave danno per l’economia nazionale.
ht
N)Insurrezione armata contro i poteri dello Stato (art. 284)
L’art. 284 punisce chi promuove o partecipa ad una insurrezione armata
contro i poteri dello Stato.
ig
Insurrezione è qualsiasi sollevazione di moltitudine e, cioè, un moto collettivo di carattere
violento. L’insurrezione è armata anche se le armi sono soltanto tenute in deposito.
yr
Si tratta di un reato di pericolo concreto, che si consuma con la promozione o la partecipazione all’insurrezione. Il dolo è generico, il tentativo è inammissibile (siamo nell’ambito dei delitti di
attentato).
op
Pena: ergastolo per:
• i promotori;
• coloro che dirigono l’insurrezione;
• se l’insurrezione avviene.
Reclusione da 3 a 15 anni per i partecipanti.
C
O)Devastazione, saccheggio e strage (art. 285)
L’articolo in esame punisce chi, allo scopo di attentare alla sicurezza dello
Stato, commette un fatto diretto a portare la devastazione, il saccheggio o la
strage nel territorio dello Stato o in una parte di esso.
Parte Seconda: Parte speciale
A
.
108
•
S.
p.
devastazione è il danneggiamento di un elevato numero di cose, compiuto su una vasta
zona, con pregiudizio eccedente gli interessi patrimoniali individuali, tale da minacciare
l’ordine pubblico;
• saccheggio è il furto, spesso accompagnato da violenza, commesso da una pluralità di
persone mediante scorrerie, tale da turbare la tranquillità e la sicurezza di una comunità;
• strage è l’uccisione indiscriminata di un notevole numero di persone.
Il dolo deve essere specifico, altrimenti si applicano le norme di cui agli artt. 419 (devastazione e saccheggio) e 422 (strage) che prevedono la medesima fattispecie criminosa privata del
fine di attentato.
i
Pena: ergastolo.
br
P) Sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione (art. 289bis)
È il fatto di chi sequestra una persona per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico.
li
Il fatto:
•
se
è commesso a fine di terrorismo quando l’agente o gli agenti hanno inteso attuare il loro
metodo di lotta politica fondato sul sistematico ricorso alla violenza.
• invece, è commesso a fine di eversione dell’ordine democratico quando l’agente o gli
agenti, mediante la privazione della libertà, si prefiggono di attuare un piano che mira a
sovvertire l’ordinamento democratico dello Stato.
Es
Il delitto è aggravato nelle stesse ipotesi previste per il sequestro a scopo di
estorsione (art. 630).
Pena: reclusione da 25 a 30 anni; morte del sequestrato quale conseguenza non voluta: reclusione di 30 anni; morte del sequestrato quale conseguenza voluta: ergastolo.
Reclusione da 2 a 8 anni per il concorrente che, dissociandosi dagli altri, si adoperi in modo che
il soggetto passivo riacquisti la libertà (da 8 a 18 anni se il sequestrato muore dopo la liberazione).
Altre ipotesi delittuose (1)
©
yr
•
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•
•
•
•
•
•
•
ht
•
cittadino che porta le armi contro lo Stato italiano (art. 242);
intelligenze con lo straniero a scopo di guerra contro lo Stato italiano (art. 243);
atti ostili verso uno Stato estero, che espongono lo Stato italiano al pericolo di
guerra (art. 244);
intelligenze con lo straniero per impegnare lo Stato italiano alla neutralità o alla
guerra (art. 245);
corruzione del cittadino da parte dello straniero (art. 246);
favoreggiamento del nemico (artt. 247-250);
inadempienze e frodi nelle forniture in tempo di guerra (artt. 251-252);
manomissione di cose concernenti la sicurezza dello Stato (artt. 253-255);
utilizzazione dei segreti di Stato (art. 263);
infedeltà in affari di Stato (art. 264);
disfattismo (artt. 265-267);
istigazione dei militari a disobbedire le leggi (art. 266);
associazioni antinazionali e costituzione illecita di associazioni internazionali (artt.
270-272);
altri delitti contro il Presidente della Repubblica; la Costituzione; gli organi costituzionali; i poteri dello Stato (artt. 276-292);
attentati contro i delitti politici dei cittadini (art. 294);
reati contro gli Stati Esteri (artt. 295-299);
cospirazione politica mediante accordo (art. 304) o associazione (art. 305);
banda armata (artt. 306-307).
ig
•
•
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C
op
•
•
•
•
•
(1) Per un esame di tali fattispecie, si consiglia la lettura del volume di questa casa editrice Diritto penale, parte speciale (vol. 3/1).
Capitolo Terzo: I delitti contro la Pubblica Amministrazione
A
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109
p.
Capitolo Terzo
S.
I delitti contro la Pubblica Amministrazione
I
br
i
l titolo II del libro II del codice penale disciplina i delitti contro la Pubblica
Amministrazione, intesa quale insieme degli organi e delle attività preordinati al perseguimento degli scopi di pubblico interesse.
In tale titolo sono compresi tutti quei fatti che impediscono, ostacolano o turbano il regolare svolgimento dell’attività amministrativa, legislativa e giudiziaria
dello Stato, nonché dell’attività amministrativa degli enti pubblici.
Oggetto giuridico della tutela penale in tali delitti è, pertanto, il regolare funzionamento, l’imparzialità ed il prestigio degli enti pubblici nonché dei soggetti che
li rappresentano.
Delitti dei pubblici ufficiali contro la P.A. (artt. 314-335bis);
Delitti dei privati contro la P.A. (artt. 336-356);
Disposizioni comuni ai capi precedenti (artt. 357-360).
se
I -
II -
III -
li
Il titolo in esame si divide in tre capi:
Il legislatore, quindi, ha distinto i delitti in questione in due grandi categorie:
Es
— quelli commessi dai pubblici ufficiali, in cui l’offesa agli interessi pubblici proviene dall’interno della stessa P.A.;
— quelli commessi dai privati, in cui l’offesa proviene dall’esterno.
1.Generalità
ig
ht
©
Mentre i delitti previsti dal capo II appartengono alla categoria dei reati
comuni (nel senso che possono essere commessi da qualunque soggetto),
quelli del capo I fondano ipotesi di reati propri, essendo richiesta, ai fini
della configurazione del reato il possesso di una determinata qualità ovvero
la sussistenza di una determinata posizione giuridica o di fatto del soggetto
attivo.
Per effetto della L. 86/1990, i reati in esame sono stati per la gran parte,
ridisegnati ed adeguati alla realtà dei nostri giorni.
Più in particolare, la riforma:
yr
— ha potenziato la risposta punitiva dello Stato di fronte alle condotte illecite compiute
dai pubblici ufficiali (e dagli incaricati di un pubblico servizio) nell’esercizio delle loro
funzioni;
— ha eliminato il rischio di un arbitrario sindacato da parte del giudice penale sul merito delle scelte amministrative.
op
2.Le qualificazioni soggettive
C
Il codice, agli artt. 357, 358 e 359 (così sostituiti dalla L. 86/1990), distingue
tre figure giuridiche corrispondenti a tre diverse qualificazioni soggettive;
il pubblico ufficiale, l’incaricato di un pubblico servizio e l’esercente un servizio
di pubblica necessità.
a) Il pubblico ufficiale
Detta l’art. 357 c.p.: «Agli effetti della legge penale, sono pubblici ufficiali coloro i quali esercitano una pubblica funzione legislativa, giurisdizionale o amministrativa.
Parte Seconda: Parte speciale
A
.
110
p.
Agli stessi effetti è pubblica la funzione amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico
e da atti autoritativi, caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della
pubblica amministrazione e dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi».
Alla stregua di tale definizione, quindi, può affermarsi che l’elemento che caratterizza la figura in questione, differenziandola dalle altre due, è l’esercizio di una pubblica funzione.
S.
b) L’incaricato di un pubblico servizio
Per l’art. 358 c.p.: «Agli effetti della legge penale, sono incaricati di un pubblico servizio coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio.
Per pubblico servizio deve intendersi un’attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di quest’ultima, e con esclusione dello
svolgimento di semplici mansioni di ordine e della prestazione di opera meramente materiale».
i
c) L’esercente un servizio di pubblica necessità
Ai sensi dell’art. 359 c.p., sono persone esercenti un servizio di pubblica necessità:
li
br
1) i privati che esercitano professioni forensi o sanitarie, o altre professioni il cui esercizio
sia per legge vietato in assenza di una speciale abilitazione dello Stato, quando dell’opera
di essi il pubblico sia per legge obbligato a valersi;
2) i privati che, non esercitando una pubblica funzione né prestando un pubblico servizio,
adempiono un servizio dichiarato di pubblica necessità mediante un atto della Pubblica
Amministrazione.
La legge 29-9-2000, n. 300
Es
se
In sede di ratifica di taluni atti internazionali, fra cui la Convenzione di Bruxelles del 26
maggio 1997, relativa alla lotta alla corruzione in cui sono coinvolti funzionari delle Comunità europee, e quella di Parigi del 17 dicembre 1997, sulla lotta alla corruzione di pubblici
ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali, si sono resi necessari taluni
adeguamenti al sistema penale codicistico e di fonte legislativa, disposti dalla L. 29-9-2000,
n. 300, di cui si tratterà di seguito e la cui disciplina, già in vigore, diverrà operativa sul
piano internazionale quando tutti gli Stati che hanno aderito alle Convenzioni avranno
provveduto alla ratifica dei singoli atti. Fra le innovazioni disciplinari vi è anche l’assimilazione (operata dall’art. 322bis, introdotto dall’art. 3 della citata legge) ai pubblici ufficiali,
qualora esercitino funzioni corrispondenti, e agli incaricati di un pubblico servizio negli altri
casi (ed ai fini delle fattispecie citate dalla medesima norma) dei seguenti soggetti:
•
•
©
•
ht
•
i membri della Commissione delle Comunità europee, del Parlamento europeo, della
Corte di Giustizia e della Corte dei conti delle Comunità europee;
i funzionari e gli agenti assunti per contratto a norma dello statuto dei funzionari delle
Comunità europee o del regime applicabile agli agenti delle Comunità europee;
le persone comandate dagli Stati membri o da qualsiasi ente pubblico o privato presso
le Comunità europee, che esercitino funzioni corrispondenti a quelle dei funzionari o
agenti delle Comunità europee;
i membri e gli addetti a enti costituiti sulla base dei Trattati che istituiscono le Comunità europee;
coloro che, nell’ambito di altri Stati membri dell’Unione europea svolgono funzioni o
attività corrispondenti a quelle dei pubblici ufficiali e degli incaricati di un pubblico
servizio.
ig
•
yr
3. Rapporto tra qualifica dell’agente e fatto criminoso
C
op
La qualifica di pubblico ufficiale, di incaricato di un pubblico servizio o di
esercente un servizio di pubblica necessità è un elemento indispensabile per la
esistenza dei reati in questione, ma non è sufficiente. La legge, infatti, esige che
tra tale qualifica ed il fatto criminoso posto in essere da colui che ne è investito ovvero da un terzo nei confronti di colui che è investito esista un particolare rapporto, di tipo diverso a seconda dei casi.
Il rapporto tra la qualità ed il fatto criminoso può essere di:
a) contestualità: il fatto criminoso deve essere compiuto durante l’esercizio
della pubblica funzione o del servizio (es.: il reato di omissione o rifiuto di
atti d’ufficio, art. 328 c.p.);
Capitolo Terzo: I delitti contro la Pubblica Amministrazione
S.
p.
b) causalità: il fatto criminoso deve essere posto in essere a causa della funzione o del servizio (es.: il delitto di violenza o minaccia a P.U., art. 336 c.p.);
c) conseguenzialità teleologica: il fatto criminoso deve essere realizzato per
un fine strettamente connesso all’esercizio della funzione o del servizio (es.:
il delitto di corruzione, artt. 318, 319 c.p.).
A
.
111
4.La riforma della L. 26-4-1990, n. 86
i
La necessità di regolare meglio i rapporti tra la discrezionalità amministrativa ed il sindacato del giudice penale ha indotto il legislatore ad intervenire
con la L. 26-4-1990, n. 86, la quale ha risistemato tutta la materia.
se
li
br
Sono così scomparsi reati che avevano dato origine a vivaci contrasti sia in dottrina che in giurisprudenza (si pensi, ad esempio, all’abuso innominato di ufficio — art. 323 — o ancor più all’ipotesi di peculato per distrazione — art. 314).
Parimenti è stata soppressa la dicotomia peculato-malversazione, che traeva origine dalla diversa titolarità del bene mobile (appartenente alla P.A., nel peculato; al privato nella malversazione). La concussione inoltre (inizialmente reato proprio del pubblico ufficiale) costituisce
reato anche per l’incaricato di un pubblico servizio.
Sono state riformulate, infine, le norme incriminatrici dell’abuso in atti di ufficio e dell’omissione o ritardo, dettando per tale ultima ipotesi un’articolata disciplina relativa al ritardo.
A)Peculato (art. 314 c.p.)
Es
5. Principali figure di delitti dei pubblici ufficiali contro
la P.A.
Commette tale reato il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la
disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria
©
Esempi: il vigile urbano che si appropria delle somme di danaro riscosse in pagamento di
contravvenzioni al Codice della Strada; l’esattore delle imposte che si appropria delle somme
consegnategli dai contribuenti per il pagamento dei tributi.
C
op
yr
ig
ht
Soggetto attivo di tale reato può essere solo il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio (è quindi reato proprio).
Presupposto del reato è il possesso o, comunque, la disponibilità della cosa da
parte del pubblico funzionario, cioè la possibilità dello stesso di disporre della cosa,
al di fuori della sfera altrui di vigilanza, sia in virtù di una situazione di fatto sia
in conseguenza della funzione esplicata nell’ambito dell’Amministrazione.
Oggetto materiale del reato è il danaro o altra cosa mobile. La nuova
formulazione dell’art. 314 c.p. non prescrive più che il denaro o la cosa mobile, oggetto del delitto, debba appartenere alla P.A., ma esige solo che essa si
trovi nel possesso o nella disponibilità del soggetto attivo. Conseguenza diretta di tale impostazione è l’abrogazione del delitto di malversazione a danno dei
privati, già previsto nell’art. 315 c.p. (art. 20 L. 26-4-1990 n. 86).
Il fatto materiale consiste nella appropriazione del danaro o della cosa
mobile posseduti per ragione dell’ufficio o del servizio da parte del pubblico
funzionario.
La nuova formulazione dell’art. 314 c.p., inoltre, ha fatto venir meno l’ipotesi di peculato c.d. per distrazione, che si concretizzava nell’indirizzare la cosa
o il danaro a profitto proprio o di altri.
Parte Seconda: Parte speciale
A
.
112
S.
p.
L’art. 1 della riforma, poi, contempla l’ipotesi del peculato d’uso (art. 314 comma 2),
che si realizza quando il soggetto utilizza temporaneamente per finalità private cose fungibili con il proposito di restituirle, proposito che poi effettivamente realizza; nonché
l’ipotesi di peculato c.d. di vuoto cassa che si realizza quando il soggetto si appropria di
una quantità di denaro o cose fungibili con l’intenzione di restituirle entro il termine del
rendiconto.
Il reato si consuma nel tempo e nel luogo in cui si verifica l’interversio possessionis.
➤Nozione: appropriarsi, ossia comportarsi nei confronti della cosa uti dominus,
da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, del danaro
o della cosa mobile posseduta per ragione dell’ufficio o servizio.
br
i
➤Natura giuridica: reato proprio, di danno, di mera condotta, a forma libera.
➤ Elemento soggettivo: dolo generico.
➤Tentativo: configurabile.
➤Oggetto giuridico: regolare funzionamento e prestigio degli enti pubblici;
impedire danni patrimoniali alla P.A.
➤ Consumazione: momento e luogo in cui l’agente si appropria del danaro o
della cosa mobile.
se
li
Peculato
Pena: reclusione da 3 a 10 anni; reclusione da 6 mesi a 3 anni per il c.d. peculato d’uso.
©
Es
B)Peculato mediante profitto dell’errore altrui (art. 316 c.p.)
Commette tale reato il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio il quale, nell’esercizio delle funzioni o del servizio, giovandosi dell’errore
altrui, riceve o ritiene indebitamente, per sé o per un terzo, denaro od altra utilità.
L’errore del privato deve essere spontaneo ed il funzionario deve essere in
buona fede all’atto del ricevimento della cosa; se l’errore è provocato dolosamente da quest’ultimo, infatti, ricorrerà la concussione di cui all’art. 317 c.p.
ht
Pena: reclusione da 6 mesi a 3 anni.
C
op
yr
ig
C)Malversazione a danno dello stato (art. 316bis c.p.)
Commette tale reato (introdotto dalla L. 86/1990) chiunque, estraneo alla
P.A., distragga dalle finalità cui erano destinate somme di denaro ricevute dallo
Stato, da altro ente pubblico o dalle Comunità Europee destinate a favorire iniziative per la realizzazione di opere o per lo svolgimento di attività di pubblico
interesse.
Si tratta di un reato comune in cui la condotta è costituita dalla distrazione, cioè, dalla destinazione di un bene a fini diversi da quelli cui era finalizzato. L’ampia previsione della norma, che comprende i contributi, le sovvenzioni o i finanziamenti, appare idonea a tutelare tutte le forme di intervento della P.A., e cioè sia quelle a titolo gratuito, sia quelle a titolo oneroso
ma agevolato (es.: incentivazioni per insediamenti industriali nel sud del
Paese).
La ratio dell’introduzione di tale articolo va ravvisata nella necessità di colmare la lacuna
insita nel fatto che nell’ambito della truffa possono ricondursi solo le ipotesi in cui il finanziamento pubblico è ottenuto con induzione in errore, mentre il non destinare i fondi per il
conseguimento dello scopo correlato alla loro erogazione risultava penalmente irrilevante.
Capitolo Terzo: I delitti contro la Pubblica Amministrazione
A
.
113
p.
La L. 26-4-1990, n. 86 ha abrogato espressamente l’art. 315 c.p., che prevedeva la malversazione a danno dei privati.
Tale abrogazione, tuttavia, non ha comportato anche il venir meno della rilevanza penale del
fatto, infatti:
S.
a) la maggioranza delle ipotesi prima previste dall’art. 315, e cioè quelle di malversazione per
appropriazione, sono trasmigrate sotto la più ampia previsione dell’art. 314;
b) le ipotesi di malversazione per distrazione, invece, rientrano, in gran parte, nella nuova figura di «abuso di ufficio» disciplinato dal (nuovo) articolo 323.
i
Pena: reclusione da 6 mesi a 4 anni.
se
li
br
D)Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato (art. 316ter c.p.)
L’art. 316ter, introdotto dall’art. 4 della legge 29-9-2000, n. 300, punisce,
salvo che il fatto costituisca il reato previsto dall’articolo 640bis, chiunque
mediante l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o
attestanti cose non vere, ovvero mediante l’omissione di informazioni dovute,
consegue indebitamente, per sè o per altri, contributi, finanziamenti, mutui
agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o
erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità europee.
Es
Il dolo richiesto è specifico, dovendo il fatto essere commesso al fine di conseguire l’erogazione.
Il delitto si consuma col conseguimento indebito del beneficio (contributo, finanziamento,
mutuo agevolato o altra erogazione) semprechè lo stesso superi e 3.999,96.
Il tentativo è senz’altro configurabile.
Se la somma indebitamente percepita è pari o inferiore a e 3.999,96 il fatto costituisce soltanto un illecito amministrativo.
Ai sensi dell’art. 323bis, anch’esso modificato dalla legge n. 300 del 2000, la pena è diminuita fino ad un terzo se il fatto è di particolare tenuità.
©
Pena: reclusione da 6 mesi a 3 anni; sanzione amministrativa da e 5164 a 25822 se la somma indebitamente percepita è inferiore o pari ad e 3999,96
ht
Differenza tra art. 316ter ed art. 640bis c.p.
yr
ig
La Corte Cost., con l’ordinanza n. 95/2004, ha delineato i caratteri distintivi tra le due norme.
In particolare, nel dichiarare manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 316ter c.p. (in quanto avrebbe prodotto il risultato che condotte in precedenza
pacificamente integrative dell’ipotesi criminosa di cui all’art. 640bis c.p. beneficerebbero oggi
del più mite trattamento sanzionatorio prefigurato dalla norma impugnata), ha precisato che
contrariamente a detta preoccupazione, appare inequivoco – anche alla luce della clausola di
salvezza con cui esordisce – il carattere sussidiario e «residuale» della norma di cui all’art.
316ter rispetto all’art. 640bis c.p., a fronte del quale la prima norma è destinata a colpire unicamente fatti che non rientrino nel campo di operatività della seconda.
C
op
E)Concussione (art. 317 c.p.)
Commette tale reato il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe o induce taluno
a dare o a promettere indebitamente, a lui od a un terzo, danaro o altra utilità.
Esempio: il vigile urbano che, avendo accertato una infrazione al codice della strada a carico
di un soggetto, gli estorce una somma di danaro con la minaccia di denunciarlo; il Sindaco
che si fa consegnare una somma di danaro dal proprietario di un immobile, prospettandogli
il pericolo di una requisizione; il funzionario che si fa dare una somma di danaro dal privato
per il rilascio di un certificato dichiarando, falsamente che il pagamento è dovuto.
Parte Seconda: Parte speciale
A
.
114
Pena: reclusione da 4 a 12 anni.
La concussione ambientale
se
li
br
i
S.
p.
Soggetto attivo può essere sia il pubblico ufficiale che l’incaricato di un
pubblico servizio, mentre soggetti passivi del reato sono contemporaneamente la P.A. e la persona che subisce il danno derivante dall’abuso (pertanto il
reato è plurioffensivo).
L’elemento oggettivo del reato esige:
a) abuso della qualità o dei poteri da parte del pubblico ufficiale (è, quindi, un
reato proprio);
b) il costringimento o l’induzione della vittima per effetto dell’abuso della qualità o dei poteri del pubblico ufficiale;
c) la indebita consegna ovvero la indebita promessa da parte della vittima, di
consegnare al pubblico ufficiale danaro o altra utilità, come effetto del contringimento o della induzione.
Il delitto si consuma nel momento e nel luogo in cui avviene la dazione o
la promessa. Questa, in realtà, è da sola sufficiente a perfezionare il reato, di
conseguenza, la successiva dazione non sarà possibile, costituendo un mero
post factum. È, inoltre, ammissibile il tentativo.
Il dolo è generico ed è escluso qualora vi sia un errore che ricada sul carattere indebito della dazione o promessa.
ht
©
Es
La Cassazione, nel distinguere le ipotesi di concussione (in cui il privato è soggiogato dal
P.U.), da quelle di corruzione (in cui P.U. e privato si trovano e trattano su un piano di parità),
ha riconosciuto l’esistenza di ipotesi di c.d. concussione ambientale, situazione caratterizzata da una convenzione, tacitamente riconosciuta da entrambe le parti, che il pubblico
ufficiale fa valere e che il privato subisce attraverso una comunicazione, più semplice nella
sostanza e più sfumata nella forma per il fatto di richiamarsi a condotte già «codificate» in
determinati ambienti; in tale ipotesi la pretesa del P.U. è implicita o indiretta, benché sia lo
stesso privato a prendere l’iniziativa della corresponsione di danaro od altra utilità al soggetto pubblico, pur sempre si tratta di concussione e non corruzione, in quanto di fatto il P.U.
esercita una pressione sul privato tale da determinarlo in uno stato di soggezione rispetto ad
una volontà percepita come dominante: ad es. un imprenditore paga una «tangente», in
quanto nota che determinate spettanze, per lavori fatti, non gli vengono liquidate dagli uffici competenti, che frappongono pretestuosi ostacoli.
C
op
yr
ig
F)Corruzione (artt. 318-322 c.p.)
In linea generale, ricorre il reato di corruzione in tutti i casi in cui, per
effetto di un accordo intervenuto fra un pubblico funzionario ed un privato,
il primo accetta dal secondo, per un atto relativo all’esercizio delle sue attribuzioni, un compenso che non gli è dovuto.
Oggetto della tutela penale delle norme incriminatrici in questione è l’interesse della P.A. alla imparzialità, onestà e correttezza dei propri funzionari.
Il codice distingue due forme fondamentali di corruzione:
•
corruzione impropria: che ricorre quando il compenso si riferisce ad un normale atto
di ufficio (un atto, cioè, legittimo, di competenza dell’ufficio cui appartiene il funzionario,
es. art. 318);
• corruzione propria: che si ha quando il compenso si riferisce ad un atto contrario ai
doveri d’ufficio (un atto, cioè, illegittimo perché in contrasto con norme giuridiche o con
istruzioni di servizio, es. art. 319).
Capitolo Terzo: I delitti contro la Pubblica Amministrazione
A
.
115
Nell’ambito di ciascuna ipotesi, il codice distingue, inoltre, tra:
p.
a) corruzione antecedente, quando l’atto oggetto di corruzione sia ancora da compiersi;
b) corruzione susseguente, quando si riferisce ad un atto già compiuto dal funzionario.
br
i
S.
Esaminiamo distintamente le quattro ipotesi criminose:
1) corruzione impropria antecedente (art. 318, c. 1, c.p.)
Risponde di tale reato il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che rivesta la qualità di pubblico impiegato che, per compiere un atto
del suo ufficio riceve, per sé o per un terzo, in danaro o altra utilità, una
retribuzione che non gli è dovuta o ne accetta la promessa, nonché colui
che dà o promette la retribuzione.
Il dolo è specifico
li
Esempio: il medico della mutua che accetta danaro per visitare un mutuato; il funzionario
che accetta la somma che gli viene spontaneamente consegnata quale compenso per il rilascio
di un certificato che egli è tenuto a rilasciare gratuitamente nell’esercizio delle sue funzioni.
se
Nel caso di corruzione impropria antecedente di un p.u., la pena è, sia per questi che per il
corruttore, della reclusione da 6 mesi a 3 anni.
Si procede d’ufficio e la competenza è del Tribunale collegiale. Non sono consentiti arresto e
fermo.
Es
2) corruzione impropria susseguente (art. 318, c. 2, c.p.)
Si ha quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio riceve la retribuzione indebita per un atto d’ufficio da lui già compiuto (es.: il
medico della mutua che riceve un compenso non dovutogli dopo aver visitato un mutuato).
Di tale reato è responsabile solo il pubblico ufficiale o l’incaricato di un
pubblico servizio e non anche il corruttore.
La pena è della reclusione fino a 1 anno. Si procede d’ufficio e la competenza è del Tribunale
collegiale. Arresto in flagranza e fermo non sono consentiti;
ht
Il dolo è generico
©
ig
3) corruzione propria antecedente (art. 319 c.p.)
Risponde di tale reato il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio il quale, per omettere o ritardare un atto del suo ufficio o per fare un
atto contrario ai doveri di ufficio, riceve, per sé o per un terzo, denaro od
altra utilità ovvero ne accetta la promessa, nonché colui che dà o promette
il denaro o altra utilità
yr
Il dolo è specifico
op
Esempio: l’agente di P.S. che, dopo aver sorpreso un ladro in flagranza di reato, accetta
l’offerta di questi di consegnargli una determinata somma di danaro per non farsi arrestare;
il funzionario che ritarda l’istruttoria di una pratica del suo ufficio a seguito di un compenso
offertogli dal privato che verrebbe ad esserne danneggiato).
La pena è della reclusione da 2 a 5 anni; per l’ipotesi commessa dal privato e dall’incaricato
di un pubblico servizio è ridotta in misura non superiore a un terzo.
In ogni caso si procede d’ufficio e la competenza è del Tribunale collegiale.
Le misure cautelari personali sono applicabili. L’arresto è facoltativo. Il fermo non è consentito;
C
Parte Seconda: Parte speciale
A
.
116
i
S.
p.
4) corruzione propria susseguente (art. 319 c.p.)
Commette tale reato il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che riceve il denaro o l’utilità per aver agito contro i doveri del suo ufficio o per aver omesso o ritardato un atto di ufficio, nonché colui che ha
dato il denaro o l’utilità (es.: il funzionario che riceve un compenso per aver
ritardato l’istruttoria di una pratica).
La pena, se il fatto è commesso da un p.u., è per il corrotto ed il corruttore
della reclusione da 2 a 5 anni; se il fatto è commesso da un incaricato di
un pubblico servizio, è, per il corrotto e il corruttore, ridotta in misura non
superiore ad un terzo.
Il dolo è generico
br
Differenze
Es
se
li
La corruzione pur avendo in comune con la concussione l’abuso delle funzioni e l’illiceità del
profitto se ne differenzia per la posizione in cui si trovano le parti e per l’elemento psicologico.
Nella corruzione le parti si trovano in condizioni di parità, ed il privato è libero di porre in
essere, d’accordo con il pubblico ufficiale, un illecito rapporto.
Nella concussione,­invece, è caratteristica la posizione di preminenza del pubblico ufficiale,
di conseguenza, la determinazione all’illecito è l’effetto della coartazione della volontà del
privato soggiogata dall’impossibilità di conseguire in altro modo l’utile sperato.
Pertanto se la volontà del privato risulta viziata da vis compulsiva per prevaricazione del P.U.,
si ha concussione, a nulla rilevando l’eventuale vantaggio che il privato può indirettamente
trarre. L’elemento determinante è così il rapporto tra le volontà dei soggetti, che nella corruzione è paritario, mentre nella concussione il pubblico agente esprime una volontà che condiziona il libero esplicarsi di quella del privato, il quale, per evitare maggiori pregiudizi, deve
sottostare alle ingiuste pretese del primo.
©
La condotta di corruzione è a forma libera purché realizzata con un comportamento attivo. Qualora il pubblico ufficiale simuli la propria accettazione allo scopo di far scoprire e punire il privato, non ci sarà corruzione
(mancando l’accettazione), il privato, allora, risponderà di istigazione alla
corruzione.
ig
ht
Pena:
1. corruzione impropria antecedente(art. 318 comma 1): reclusione da 6 mesi a 3 anni;
2. corruzione impropria susseguente (art. 318 comma 2): reclusione fino ad 1 anno;
3. corruzione propria (antecedente e susseguente (art. 319): reclusione da 2 a 5 anni.
Circostanze aggravanti (art. 319bis) se il reato ex art. 319 ha per oggetto il conferimento di
pubblici impieghi o stipendi o pensioni o la stipulazione di contratti nei quali sia interessata
l’amministrazione alla quale il pubblico ufficiale appartiene.
C
op
yr
G)Corruzione in atti giudiziari (art. 319ter L. 86/1990)
Si tratta di una figura criminosa, introdotta dall’art. 9 della L. 26-4-1990 n.
86. Inizialmente, le ipotesi considerate costituivano circostanza aggravante
della corruzione propria, disciplinata dall’art. 319.
Oggi, viceversa, con la previsione di un autonomo titolo di reato che non
distingue tra corruzione propria ed impropria, restano sanzionati tutti i comportamenti corrotti.
La previsione principale concerne l’ipotesi che i fatti di corruzione siano
stati commessi per favorire o danneggiare una parte di un processo civile, penale o amministrativo.
Il delitto può essere commesso da qualsiasi persona che rivesta la qualità
di pubblico ufficiale.
Capitolo Terzo: I delitti contro la Pubblica Amministrazione
p.
Pena: reclusione da 3 a 8 anni. Circostanze aggravanti speciali:
1. reclusione da 4 a 12 anni se dal fatto deriva l’ingiusta condanna di taluno alla reclusione
non superiore a 5 anni;
2. reclusione da 6 a 20 anni se dal fatto deriva l’ingiusta condanna di taluno alla reclusione
superiore a 5 anni, o all’ergastolo.
A
.
117
se
li
br
i
S.
H)Segue: Istigazione alla corruzione (art. 322 c.p.)
Commette tale reato chiunque offra o prometta denaro al pubblico funzionario o ad un incaricato di un pubblico servizio per:
— indurlo a compiere un atto del proprio ufficio o servizio (istigazione alla
corruzione impropria);
— indurlo ad omettere o ritardare un atto dell’ufficio o servizio, o a fare un
atto contrario ai doveri d’ufficio (istigazione alla corruzione propria).
In entrambi i casi le offerte o le promesse non devono essere state accettate.
È pertanto un reato monosoggettivo perché è essenziale la mancata accettazione da parte del funzionario. Si tratta, quindi, di un tentativo di corruzione previsto come reato autonomo per reagire ad un fatto che costituisce grave
insidia alla rettitudine e al disinteresse che devono accompagnare il funzionario. Il tentativo pertanto non è configurabile.
Es
I) Peculato, concussione, corruzione e istigazione alla corruzione di
membri degli organi delle Comunità europee e di funzionari delle
Comunità europee e di Stati esteri (art. 322bis)
ig
ht
©
Come si è avuto modo di precisare in precedenza, alcune opportune modifiche disciplinari sono state apportate in sede di ratifica di taluni atti internazionali, dalla L. 29-9-2000, n.
300, fra cui rileva l’introduzione dell’art. 322bis, il quale ha esteso le disposizioni degli articoli 314, 316, 317, 317bis, 318, 319, 319bis, 319ter, 320 e 322, terzo e quarto comma ai fatti
commessi dai soggetti indicati dalla norma medesima (per la relativa elencazione, si rinvia
al citato paragrafo, come anche per l’operatività, sul piano internazionale di tale riforma).
Ha, inoltre, previsto che le disposizioni degli articoli 321 e 322, primo e secondo comma, si
applicano anche se il denaro o altra utilità è dato, offerto o promesso, oltre che alle persone sopra
ricordate, alle persone che esercitano funzioni o attività corrispondenti a quelle dei pubblici ufficiali e degli incaricati di un pubblico servizio nell’ambito di altri Stati esteri o organizzazioni pubbliche internazionali, qualora il fatto sia commesso per procurare a sè o ad altri un indebito vantaggio in operazioni economiche internazionali, ovvero al fine di ottenere o di mantenere
un’attività economica o finanziaria.
Tale ultima finalità è stata introdotta dall’art. 3 della L. 3-8-2009, n. 116, di ratifica ed esecuzione della Convenzione ONU contro la corruzione, che ha modificato l’art. 322bis c.p.
L)La confisca dei beni che costituiscono il profitto o il prezzo dei reati
previsti dagli artt. 314-320 (art. 322ter c.p.)
C
op
yr
Dispone l’art. 322ter, introdotto dall’art. 3 della legge 29-9-2000, n. 300 che, nel caso di condanna, o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice
di procedura penale, per uno dei delitti previsti dagli articoli da 314 a 320, anche se commessi
dai soggetti indicati nell’articolo 322bis, primo comma, è sempre ordinata la confisca dei beni
che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato,
ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un
valore corrispondente a tale prezzo.
Nel caso di condanna, o di applicazione della pena a norma dell’articolo 444 del codice di
procedura penale, per il delitto previsto dall’articolo 321, anche se commesso ai sensi dell’articolo 322bis, secondo comma, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto
salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a quello di detto profitto
(cd. confisca per equivalente) e, comunque, non inferiore a quello del denaro o delle altre utilità date o promesse al pubblico ufficiale o all’incaricato di pubblico servizio o agli altri soggetti
indicati nell’articolo 322bis, secondo comma.
Parte Seconda: Parte speciale
A
.
118
p.
Il giudice, con la sentenza di condanna, determina le somme di denaro o individua i beni
assoggettati a confisca in quanto costituenti il profitto o il prezzo del reato ovvero in quanto di
valore corrispondente al profitto o al prezzo del reato (1).
i
S.
M)Abuso di ufficio (art. 323 c.p.)
Risponde di tale delitto il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico
servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di
norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di
un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto (ad es. il sindaco che rilascia una concessione edilizia illegittima ad un congiunto, per favorirlo).
se
li
br
Tale norma, dopo aver subito una prima radicale trasformazione ad opera della L. 86/1990, è
stata ulteriormente modificata dalla L. 16-7-1997, n. 234. La nuova normativa mira essenzialmente a circoscrivere l’ambito di applicabilità dell’art. 323, precisando la condotta illecita,
dal momento che la formulazione precedente della norma, essendo astratta e generica, consentiva interventi da parte dei pubblici ministeri privi di controllo. Infatti, la condotta sanzionata è legata alla verificazione di un evento di danno, cioè, di un risultato concreto che consiste nell’aver procurato «a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale, ovvero nell’aver
arrecato ad altri un danno ingiusto».
C
op
yr
ig
ht
©
Es
Inoltre, la condotta deve consistere nella violazione di norme di legge o di
regolamento realizzata dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di pubblico servizio nello svolgimento delle funzioni o del servizio, norme che possono imporre un obbligo tanto di facere quanto di non facere.
Non basta, pertanto, ad integrare il delitto un mero eccesso di potere,
non ancorato alla violazione di specifiche norme. Ciò ha ridotto di molto la
possibilità dell’Autorità Giudiziaria di sindacare penalmente l’azione della P.A.
Per quanto riguarda la violazione dell’obbligo di astensione che ricorre,
oltre che nelle ipotesi in cui sussista un interesse proprio o di un prossimo
congiunto, anche in altri casi non meglio definiti, si è posto un problema di
ammissibilità per contrasto con i principi di tassatività e di riserva di legge.
Al contrario le violazioni degli obblighi di astensione imposte dalle norme di
legge o di regolamento integrano la fattispecie contenuta nella prima parte
dell’articolo riguardante appunto la violazione di legge o di regolamento.
La norma prevede anche un’aggravante speciale oggettiva che fa riferimento alla gravità del danno o del vantaggio. La legge, pertanto, non parla di
generica gravità del fatto ma collega l’aumento della pena al verificarsi di un
danno o di un vantaggio di rilevante gravità, vincolando il giudice alla valutazione di un oggetto ben determinato.
Il nuovo abuso di ufficio è reato di danno, in quanto è necessaria l’effettiva
realizzazione di un evento di vantaggio patrimoniale o di danno altrui. La
formulazione precedente del reato faceva riferimento al dolo specifico, la cui
prova è spesso estremamente ardua, trattandosi di un elemento interno al
volere del soggetto agente.
Al contrario la legge 234/97 richiede il dolo generico, ma intenzionale
(con esclusione quindi del dolo eventuale), circoscritto all’intenzionalità
dell’ingiusto vantaggio patrimoniale o del danno ingiusto. Pertanto, la rilevanza penale dell’abuso non patrimoniale resta ferma solo se intenzionalmente
viene arrecato un danno ad altri.
(1) Si noti, altresì, che l’art. 640quater c.p., introdotto dal medesimo provvedimento di cui si tratta, ha
esteso l’applicabilità delle disposizioni dell’art. 322ter ai reati di truffa di cui agli artt. 640, secondo comma,
n.1, 640bis e 640ter, secondo comma, con esclusione dell’ipotesi in cui il fatto è commesso con abuso della
qualità di operatore del sistema.
Capitolo Terzo: I delitti contro la Pubblica Amministrazione
p.
La pena è della reclusione da sei mesi a tre anni. Si procede d’ufficio e la
competenza è del Tribunale collegiale.
A
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119
S.
Pena: reclusione da 6 mesi a 3 anni; pena aumentata se il vantaggio o il danno sono di rilevante gravità.
N)L’abrogazione del reato interesse privato in atti di ufficio (art. 324 c.p.)
br
i
L’art. 324 c.p. puniva il pubblico ufficiale che, direttamente o per interposta persona o con
atti simulati, «prendeva» (cioé si attivava a realizzare concretamente) un interesse privato in
qualsiasi atto della P.A. presso la quale esercitava il suo ufficio.
L’art. 20 della L. 26-4-1990 n. 86, ha abrogato l’art. 324 c.p., cancellando così dal nostro ordinamento il reato di interesse privato in atti di ufficio che aveva dato spesso luogo a polemiche tra
magistratura ed esponenti politici per le contrastanti interpretazioni circa il significato dei termini «interesse» e «privato».
Es
se
li
O)Rifiuto di atti d’ufficio - omissione (art. 328 c.p.)
Con la nuova formulazione, l’attuale art. 328 comma 1 c.p. punisce una
condotta di rifiuto dell’atto d’ufficio. Non è più richiesta, quindi, la semplice
omissione ma un’omissione qualificata da una manifestazione di volontà
contraria al compimento dell’atto, che potrà essere espressa (quando il soggetto tenuto ha dichiarato di non voler agire) o tacita (quando egli sia rimasto
inerte alle sollecitazioni rivoltegli). È inoltre necessario che l’atto, «per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica o di ordine pubblico o di igiene e sanità,
deve essere compiuto senza ritardo». Ciò perché al di fuori di tali ipotesi il
reato potrà realizzarsi solo sul presupposto che l’interessato abbia presentato
in forma scritta un’esplicita richiesta.
La fattispecie è a dolo generico, non assumendo alcuna rilevanza i motivi
che hanno spinto il soggetto agente a tenere quel dato comportamento (2).
©
Pena: reclusione da 6 mesi a 2 anni; reclusione fino a 1 anno o multa fino a e 1.032 nel caso
previsto dal comma 2.
6. Principali figure di Delitti dei privati contro la p.A.
ht
In tale categoria rientrano tutti quei reati commessi in danno della P.A. da
soggetti estranei al suo apparato organizzativo.
Di essi i principali sono:
yr
ig
A)Violenza o minaccia a un pubblico ufficiale (art. 336 c.p.)
La norma punisce chiunque usa violenza o minaccia a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio per costringerlo:
a) a fare un atto contrario ai propri doveri o ad omettere un atto dell’ufficio o
del servizio;
b) a compiere un atto del proprio ufficio o servizio o ad influire, comunque, su
di essa.
op
In entrambe le ipotesi il dolo è specifico.
C
Pena: reclusione da 6 mesi a 5 anni; reclusione fino a 3 anni nel caso previsto dal comma 2.
(2) L’art. 328, per come è formulato, dà adito a numerose perplessità per le quali si rinvia al commento che
della norma viene offerto dal codice penale esplicato (E3).
Parte Seconda: Parte speciale
A
.
120
S.
p.
B)Resistenza ad un pubblico ufficiale (art. 337 c.p.)
Commette tale reato chiunque usa violenza o minaccia per opporsi a un
pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio, mentre compie
un atto di ufficio o di servizio, o a coloro che, richiesti, gli prestano assistenza
(es.: un soggetto colpisce con un pugno l’agente di P.S. che lo ha invitato in
Questura per accertamenti).
Differenze
i
Sebbene le ipotesi delittuose di cui agli artt. 336 e 337 c.p. prevedano, per il configurarsi del
reato, la medesima condotta criminosa (in entrambi i casi sono richiesti la violenza o la minaccia), tuttavia si distinguono per il momento in cui l’attività, che si vuole impedire, dovrà
compiersi:
br
— nell’ipotesi ex art. 336 c.p. si vuole evitare un’attività futura del p.u. o dell’incaricato di
un pubblico servizio;
— nell’ipotesi ex art. 337 c.p. l’attività del p.u. o dell’incaricato di un pubblico servizio è
contestuale alla violenza o minaccia.
Pena: reclusione da 6 mesi a 5 anni.
se
li
Il dolo è specifico e, secondo la giurisprudenza, il delitto può concorrere
con l’ingiuria, con il reato di lesioni personali e con la rapina impropria.
C
op
yr
ig
ht
©
Es
C)Occultamento, custodia o alterazione di mezzi di trasporto (art. 337bis
c.p.)
A norma dell’art. 337bis, introdotto dall’art. 4 della L. 19-3-2001, n. 92, è punito chiunque occulti o custodisca mezzi di trasporto di qualsiasi tipo che, rispetto alle caratteristiche omologate, presentano alterazioni o modifiche o predisposizioni tecniche tali da costituire pericolo per l’incolumità fisica degli operatori di polizia, nonché chiunque altera mezzi di trasporto operando modifiche o
predisposizioni tecniche tali da costituire pericolo per l’incolumità fisica degli
operatori di polizia.
La fattispecie costituisce una delle innovazioni normative previste dalla L.
92/2001, tutte finalizzate ad operare un deciso «giro di vite» in senso repressivo nella lotta al contrabbando di tabacchi lavorati.
Quanto all’interesse tutelato, la norma tende a tutelare (pur se in via anticipata) l’incolumità fisica degli operatori di polizia (3).
Riguardo alla condotta, la norma prevede due distinte fattispecie. In particolare è punita l’alterazione di mezzi di trasporto operata mediante modifiche
o predisposizioni tecniche, comunque realizzate, purché idonee a costituire
pericolo per l’incolumità fisica degli operatori di polizia (4) (art. 337bis, comma 2). Un’anticipazione ancora più intensa della tutela dell’interesse di cui
sopra è realizzata dalla fattispecie di cui al primo comma, la quale punisce
l’occultamento o la custodia dei mezzi di trasporto alterati o modificati nel
senso anzidetto.
Circa l’elemento soggettivo, il reato, in entrambe le sue configurazioni, è
punito a titolo di dolo generico.
A norma del comma 3 se il colpevole è titolare di concessione o autorizzazione o licenza o di altro titolo abilitante l’attività di cui alla norma in esame,
alla condanna consegue la pena accessoria della revoca del titolo che legittima
(3) È, infatti, tristemente noto l’utilizzo, da parte dei contrabbandieri, di mezzi di trasporto appositamente modificati, allo scopo di superare i posti di blocco ed eludere i controlli operati dalle forze di polizia, con
conseguente creazione di gravi rischi per l’incolumità fisica delle stesse.
(4) Si pensi alla installazione di robuste carenature, accompagnate da particolari incrementi di potenza
dei motori, idonei a vincere la resistenza opposta dai mezzi di polizia.
Capitolo Terzo: I delitti contro la Pubblica Amministrazione
p.
la medesima attività, costituendo un’evidente illecita degenerazione rispetto
alle attività lecitamente autorizzate.
A
.
121
S.
Pena: reclusione da 2 a 5 anni e multa da e 2582 a 10329 (anche per l’ipotesi di cui al comma
2).
Es
se
li
br
i
D)Oltraggio a pubblico ufficiale (art. 341bis c.p.)
Con la L. 15-7-2009, n. 94 (cd. Pacchetto sicurezza) è stato reintrodotto il
reato di oltraggio a pubblico ufficiale, reato originariamente previsto dall’art.
341 c.p. ma successivamente abrogato dalla L. 205/1999.
Commette tale reato chiunque in luogo pubblico o aperto al pubblico e in
presenza di più persone offende l’onore ed il prestigio di un pubblico ufficiale
mentre compie un atto d’ufficio ed a causa o nell’esercizio delle sue funzioni.
Trattasi di un reato comune, in quanto realizzabile da chiunque, la cui
condotta è a forma libera.
È un reato di danno nonché istantaneo, esaurendosi l’offesa nella stessa
realizzazione del fatto tipico.
L’elemento psicologico consiste nel dolo generico.
A differenza della vecchia formulazione di cui all’art. 341 c.p., l’attuale richiede che il fatto venga commesso in presenza di più persone (in precedenza tale situazione determinava invece un aggravio sanzionatorio), oltre che
in luogo pubblico o aperto al pubblico.
Un’ulteriore novità rispetto alla previgente formulazione è la possibilità,
prevista dal terzo ed ultimo comma dell’art. 341bis, di sottrarsi dalla pena per
l’estinzione del reato attraverso condotte riparatorie-risarcitorie sia nei confronti della persona offesa che nei confronti dell’ente di appartenenza.
©
Pena: reclusione fino a tre anni; il comma 2 prevede una circostanza aggravante speciale: la
pena è aumentata se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato; è prevista poi
una causa di esclusione della punibilità: qualora venga provata la verità del fatto o l’ufficiale a
cui il fatto è attribuito venga condannato dopo l’attribuzione del fatto medesimo l’autore
dell’offesa non è punibile.
yr
ig
ht
E)Millantato credito (art. 346 c.p.)
Commette tale reato chiunque, millantando un credito presso un pubblico
ufficiale o presso un pubblico impiegato che presti un pubblico servizio, riceve o fa dare o fa promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità, come prezzo
della propria mediazione o col pretesto di dover comprare il favore di un pubblico ufficiale o impiegato o di doverlo remunerare (es.: colui che si fa consegnare del danaro allo scopo di intercedere presso un pubblico ufficiale suo
amico).
Il delitto si consuma nel momento e nel luogo in cui l’agente ottiene la
dazione o la promessa.
Il dolo è generico
op
Parte della dottrina e la giurisprudenza ritengono che tale reato possa concorrere con la truffa, diverso essendo, nelle due figure, l’oggetto giuridico e l’oggetto materiale; altra parte della
dottrina, invece, nega tale assunto, ritenendo il millantato credito una figura speciale di truffa.
C
Pena: reclusione da 1 a 5 anni e multa da e 309 a 2065; reclusione da 2 a 6 anni e multa da
e 516 a 3098 nell’ipotesi prevista dal comma 2.
Parte Seconda: Parte speciale
A
.
122
S.
p.
F)Abusivo esercizio di una professione (art. 348 c.p.)
Commette tale reato chiunque eserciti (anche una sola volta e anche senza
scopo di lucro) una professione per l’esercizio della quale è richiesta dallo
Stato una speciale abilitazione.
Il dolo è generico.
Pena: reclusione fino a 6 mesi o multa da e 103 a 516.
Altre ipotesi delittuose
Sono:
•
•
C
op
i
br
yr
ig
ht
©
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
li
•
se
•
•
utilizzazioni di invenzioni e scoperte conosciute per ragioni di ufficio (art. 325 c.p.);
rivelazione di segreti di ufficio (art. 326 c.p.);
rifiuto o ritardo di obbedienza commesso da un militare o da un agente della forza
pubblica (art. 329 c.p.);
interruzione di un servizio pubblico o di pubblica necessità (art. 331 c.p.);
sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di
un procedimento penale o dall’Autorità amministrativa (art. 334 c.p.);
violazione colposa dei doveri inerenti alla custodia di cose sottoposte a sequestro
disposto nel corso di un procedimento penale o dall’Autorità amministrativa (art.
335 c.p.);
violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario (art. 338 c.p.);
interruzione di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità
(art. 340 c.p.);
oltraggio a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario (art. 342 c.p.);
oltraggio a magistrato in udienza (art. 343 c.p.);
offesa all’Autorità mediante danneggiamento di affissioni (art. 345 c.p.);
usurpazioni di funzioni pubbliche (art. 347 c.p.);
violazione di sigilli (artt. 349 e 350 c.p.);
violazione della pubblica custodia di cose (art. 351 c.p.);
vendita di stampati dei quali è stato ordinato il sequestro (art. 352 c.p.);
turbata libertà degli incanti (art. 353 c.p.);
astensione dagli incanti (art. 354 c.p.);
inadempimento di contratti (art. 355 c.p.) e frode (art. 356 c.p.) nelle pubbliche
forniture.
Es
•
•
•
Capitolo Quarto: I delitti contro l’amministrazione della giustizia
A
.
123
p.
Capitolo Quarto
S.
I delitti contro l’amministrazione
della giustizia
I
1. Principali figure delittuose
li
br
i
l titolo III del libro II del codice penale comprende tutti quei fatti che turbano od ostacolano il normale ed efficace svolgimento dell’attività giudiziaria.
Esso tutela, altresì, l’autorità delle decisioni giudiziarie e l’interesse dello Stato
a che l’attività giudiziaria sia svolta esclusivamente dagli organi a ciò preposti.
I delitti di questo titolo sono suddivisi in tre capi:
I - Delitti contro l’attività giudiziaria (artt. 361-384);
II - Delitti contro l’autorità delle decisioni giudiziarie (artt. 385-391);
III- Tutela arbitraria delle private ragioni (art. 392-393).
Es
se
A)Omessa denuncia di reato (artt. 361-362-363-364)
È il fatto del pubblico ufficiale (art. 361) (1), dell’incaricato di un pubblico
servizio (art. 362) (2) o del cittadino (art. 364) che omette o ritarda di denunciare all’Autorità Giudiziaria o ad altra Autorità che a questa abbia l’obbligo
giuridico di riferirne, un reato di cui abbia avuto notizia nell’esercizio o a
causa delle sue funzioni (o servizio), ovvero (trattandosi del cittadino) di un
reato contro la personalità dello Stato punito con la pena dell’ergastolo.
ht
©
La pena, nell’ipotesi di cui all’art. 361, è aggravata se il colpevole è un ufficiale o agente di polizia giudiziaria che ha avuto notizia di un reato del quale doveva fare rapporto; è altresì aggravata
(nei casi di cui agli artt. 361 e 362) se l’omessa o ritardata denuncia riguarda un delitto contro la
personalità dello Stato e, in tale ultima ipotesi, la pena è ulteriormente aggravata se il fatto è
commesso da un pubblico ufficiale o agente di p.g. (art. 363).
Il reato si consuma nel tempo e nel luogo in cui doveva farsi il rapporto e, essendo un reato
omissivo; il tentativo non è configurabile.
Il dolo è generico
yr
ig
Pena:
1) omessa denuncia di un pubblico ufficiale (art. 361): multa da e 30 a 516; reclusione fino a
1 anno se il p.u. è un ufficiale o agente di polizia giudiziaria;
2) omessa denuncia di un incaricato di pubblico servizio (art. 362): multa fino a e 103;
3) ipotesi aggravate (art. 363): reclusione da 6 mesi a tre anni per omessa denuncia di un
delitto contro la personalità dello Stato (reclusione da 1 a 5 anni se il colpevole è un ufficiale o un agente di polizia giudiziaria);
4) omessa denuncia di un cittadino (art. 364): multa da e 103 a 1032.
C
op
B)Omissione di referto (art. 365)
La norma in esame punisce chiunque, avendo nell’esercizio di una professione sanitaria prestato la propria assistenza od opera in casi che possano presentare i caratteri di un delitto per il quale si debba procedere di ufficio, omette
o ritarda di riferirne all’Autorità Giudiziaria o ad altra Autorità che a quella abbia
l’obbligo di riferirne un esempio, un medico che omette di reputare le cure pre(1) Cfr. D.Lgs. 24-2-1998, n. 58 (T.U. delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria).
(2) Vedi nota precedente.
Parte Seconda: Parte speciale
A
.
124
p.
state ad una persona ferita in un conflitto a fuoco. L’obbligo di referto, tuttavia,
viene meno se il referto possa esporre la persona assistita a procedimento penale
(ad es. se la persona curata è colui che ha sparato nel corso di un agguato).
S.
Anche se la legge usa l’espressione «chiunque», si tratta di un reato proprio, in quanto soggetto attivo può essere solo un esercente la professione sanitaria (medico-chirurgo, veterinario, farmacista ecc.).
Il dolo è generico, ed è escluso se manchi la consapevolezza che il fatto presenti i caratteri di
un delitto procedibile d’ufficio.
Il tentativo non è configurabile in quanto si tratta di un reato di pericolo.
i
Pena: multa fino a e 516.
se
li
br
C)Simulazione di reato (artt. 367-370)
È ­il fatto di chi con denunzia, querela, richiesta e istanza, anche se anonima o
sotto falso nome, diretta all’Autorità Giudiziaria o ad altra Autorità che a questa
abbia l’obbligo di riferirne, afferma falsamente essere avvenuto un reato (simulazione formale o diretta), ovvero simula le tracce di un reato (simulazione reale
o indiretta), in modo che si possa iniziare un procedimento penale per accertarlo.
È necessario che il reato simulato non sia avvenuto, oppure sia essenzialmente diverso da quello commesso, ed inoltre, l’attribuzione del fatto deve
essere imputata ad ignoti o persona immaginaria, altrimenti ricorrerà il diverso reato di calunnia. La simulazione deve essere, in ogni caso, potenzialmente idonea a determinare l’inizio di un procedimento penale.
Il dolo è generico
Es
In entrambe le ipotesi si tratta di un reato di pericolo ed il momento consumativo della fat­ti­
specie si ha quando la falsa denuncia è presentata o le autorità scoprano le tracce simulate: sono
infatti reati istantanei.
Pena: (Art. 367) reclusione da 1 a 3 anni.
ht
©
D)Calunnia e autocalunnia (artt. 368-369-370)
La calunnia (art. 368) consiste nel fatto di chi, con denuncia, querela, richiesta o istanza, anche se anonima o sotto falso nome, diretta all’Autorità
Giudiziaria o ad un’altra Autorità che a quella abbia obbligo di riferirne, incolpa di un reato taluno che egli sa innocente, o simula a carico di lui le tracce
di un reato.
yr
ig
La calunnia, per essere punibile, deve essere idonea a determinare la possibilità di inizio di
un procedimento penale.
È necessario che la persona accusata sia innocente e che il colpevole sia consapevole di tale
innocenza.
C
op
Il delitto si consuma nel momento in cui l’autorità viene a conoscenza della falsa notizia di
reato. Il tentativo è inammissibile in quanto, trattandosi di reato di pericolo, si avrebbe un’intollerabile anticipazione della soglia della punibilità.
Il dolo è generico, ed è escluso in tutti i casi in cui l’agente sia convinto (sia pure per errore)
della colpevolezza dell’incolpato.
Una particolare forma di calunnia, prevista dalla seconda parte del primo comma dell’art. 368
c.p., è la calunnia c.d. reale o indiretta, consistente nella simulazione a carico di un soggetto
non specificamente indicato ma identificabile, delle tracce di un determinato reato, quando cioè
la falsa incolpazione contenga in sè gli elementi necessari e sufficienti all’inizio dell’azione
penale nei confronti di un soggetto univocamente e agevolmente identificabile: ad es. una
delle ipotesi più frequenti è la falsa denuncia di smarrimento di un assegno bancario, in cui
indirettamente si accusa il portatore del titolo di furto od appropriazione indebita.
Capitolo Quarto: I delitti contro l’amministrazione della giustizia
p.
L’autocalunnia (art. 369) consiste, invece, nel fatto di chiunque, mediante
dichiarazione ad alcuna delle Autorità indicate nell’art. 368, anche se fatta con
scritto anonimo o sotto falso nome, ovvero mediante confessione dinanzi all’A.G.,
incolpa se stesso di un reato commesso da altri.
A
.
125
S.
Anche qui il dolo è generico, ed il reato si consuma nel momento in cui è resa la dichiarazione di falsa autoincolpazione all’Autorità.
i
Pena:
1) calunnia (art. 368): reclusione da 2 a 6 anni (da 4 a 12 anni se dal fatto deriva la condanna
alla reclusione superiore a 5 anni; da 6 a 20 anni se dal fatto deriva una condanna all’ergastolo).
2) autocalunnia (art. 369): reclusione da 1 a 3 anni.
li
br
E)Falsa testimonianza (artt. 372-375-376)
È il fatto di chi, deponendo come teste dinanzi all’Autorità Giudiziaria,
afferma il falso o nega il vero, ovvero tace, in tutto o in parte, ciò che sa intorno
ai fatti sui quali è interrogato.
se
La norma non si applica alle sommarie informazioni rese innanzi alla polizia o al P.M.
nelle indagini preliminari (art. 371bis c.p.), in quanto testimone è solo chi depone innanzi al
giudice.
Es
A norma dell’art. 376, il colpevole non è punibile se prima della chiusura del
dibattimento ritratta il falso e manifesta il vero (c.d. ritrattazione); nelle cause civili la ritrattazione deve avvenire prima della sentenza definitiva anche se
non irrevocabile.
Presupposto del reato è che il soggetto agente rivesta la qualità di teste e
deponga innanzi all’autorità giudiziaria italiana (reato proprio).
Il delitto si consuma non appena il teste abbia concluso la sua deposizione;
trattandosi di reato di pericolo ed istantaneo non è concepibile il tentativo.
©
Il dolo è generico e viene escluso dall’errore e dalla dimenticanza.
Il reato, inoltre, non ricorre nei casi di testimonianze rese ai tribunali ecclesiastici o all’autorità giudiziaria qualora questa non eserciti la funzione giurisdizionale.
ht
Pena: reclusione da 2 a 6 anni.
yr
ig
F)Falso giuramento della parte (art. 371)
L’art. 371 punisce chiunque, come parte in un giudizio civile, giura il falso.
Il giuramento è la solenne affermazione della verità di un fatto o di un rapporto giuridico.
Esso può essere decisorio (se da esso dipende la decisione parziale o totale della causa) o suppletorio (se integri la prova oppure serva a stabilire il
valore dell’oggetto della domanda, c.d. giuramento estimatorio).
op
La ritrattazione, quale causa di estinzione della punibilità, è ammissibile solo per il giuramento suppletorio (deferito d’ufficio) in quanto quello decisorio equivalendo ad un atto unilaterale di disposizione, vincola senz’altro le parti ed il giudice.
Autore del reato può essere solo il soggetto che riveste la qualità di parte in
un giudizio civile, sicché la norma in esame fonda un’ipotesi di reato proprio.
C
Il dolo è generico.
Pena: reclusione da 6 mesi a 3 anni.
Parte Seconda: Parte speciale
A
.
126
p.
G)Fattispecie contro l’amministrazione della giustizia interessate dalla
disciplina delle indagini difensive (L. 7-12-2000, n. 397) e del «giusto
processo» (L. 1-3-2001, n. 63)
a)Le indagini difensive
br
i
S.
L’esigenza di dare attuazione al principio di parità tra accusa e difesa nella vicenda processuale, ha portato il legislatore a contrapporre, ex L. 7-12-2000, n. 397, ai tradizionali strumenti
investigativi a disposizione del magistrato inquirente, finalizzati all’accertamento della responsabilità penale, la facoltà del difensore di svolgere indagini nell’interesse del proprio assistito,
anche avvalendosi di investigatori privati e consulenti tecnici. La relativa disciplina, contenuta
in prevalenza nel Titolo sesto-bis del Libro quinto del codice di procedura penale, introdotto dal
citato provvedimento legislativo, nell’ambito delle facoltà riconosciute a fini investigativi (es.
l’accesso a luoghi pubblici o privati per il compimento di accertamenti e rilievi, la richiesta di
documentazione in possesso della P.A.) consente al difensore ed ai soggetti suindicati di conferire con le persone in grado di riferire circostanze utili ai fini dell’attività investigativa. Strumentale
alla riforma processuale è la previsione di nuove fattispecie di reato, nonché di talune modifiche
a fattispecie preesistenti, di cui si darà conto di seguito.
ht
©
Es
se
li
• False informazioni al pubblico ministero (art. 371bis)
Risponde di tale delitto chiunque, nel corso di un procedimento penale,
richiesto dal Pubblico Ministero di fornire informazioni ai fini delle indagini,
rende dichiarazioni false ovvero tace, in tutto o in parte, ciò che sa intorno ai
fatti sui quali viene sentito.
Trattasi di reato proprio, potendo essere realizzato solo dai soggetti sentiti
dal P.M. in un procedimento penale.
Si concorda in dottrina e in giurisprudenza nell’escludere la configurabilità del reato in esame quando le false dichiarazioni, in luogo che al Pubblico
Ministero, siano rese alla polizia giudiziaria, in quanto, in caso contrario, si
realizzerebbe un’inammissibile estensione analogica di norma penale.
Quanto alla condotta, può consistere:
a) nell’affermare il falso, cioè nel dire cosa positivamente difforme dal vero,
come supporre esistente un fatto inesistente o alterare la verità e la percezione che se ne è avuta, etc.;
b) nel negare il vero, cioè nel negare la verità di un fatto realmente avvenuto o percepito;
c) nel tacere in tutto o in parte ciò che si sa intorno ai fatti su cui si è sentiti
(c.d. reticenza, cioè serbare il silenzio su un qualcosa che si sa e viene chiesta).
C
op
yr
ig
Il secondo comma dell’art. 371bis (introdotto con L. 332/1995), impone la sospensione del
procedimento penale relativo al reato di false informazioni al P.M. fino alla definizione del procedimento nel corso del quale sono state assunte tali informazioni.
Il delitto si consuma appena l’informatore ha reso la sua dichiarazione essendo anche questo,
come quello precedente, un reato di pericolo. Proprio perché delitto istantaneo e di pericolo non
è concepibile il tentativo.
Come per la fattispecie di cui all’art. 371ter, trova applicazione l’aggravante dell’art. 375, la
disciplina della ritrattazione e la causa di non punibilità dell’art. 384 c.p.
Il dolo è generico.
Pena: reclusione fino a 4 anni.
La fattispecie criminosa di cui all’art. 371bis c.p. costituisce una ipotesi delittuosa specifica e differente rispetto al reato di favoreggiamento personale (art. 378 c.p.): infatti,
mentre la prima disposizione prevede qualsiasi condotta idonea a frustrare le investigazioni
o le ricerche dell’autorità, l’art. 378 c.p. contempla la specifica condotta finalizzata, attraverso evasive o false dichiarazioni, a favorire l’impunità di terzi.
Capitolo Quarto: I delitti contro l’amministrazione della giustizia
li
br
i
S.
p.
• False dichiarazioni al difensore (art. 371ter)
Introdotto dall’art. 20 nella L. 397/2000, punisce chiunque, richiesto dal
difensore, o dai soggetti legittimati, di riferire circostanze utili ai fini delle
indagini, non essendosi avvalso della facoltà di non rispondere, renda dichiarazioni false.
La norma tutela l’interesse pubblico al corretto svolgimento della funzione
giudiziaria, nella ricerca della verità processuale, (attività nella quale, dopo la
riforma in esame, la magistratura inquirente è affiancata dalla «classe forense», pur se con un ruolo di parte), ricerca potenzialmente frustrata dal rilascio
di dichiarazioni false al difensore.
Quanto alla condotta, si traduce nel rendere dichiarazioni false, il che può
realizzarsi sia affermando come veri accadimenti, situazioni o circostanze non
realmente verificatesi, sia negando la verità di fatti realmente accaduti.
A norma del comma 2, l’eventuale procedimento penale conseguente al
reato resta sospeso fino a quando nel procedimento nel corso del quale sono
state assunte le dichiarazioni sia stata pronunciata sentenza di primo grado
ovvero il procedimento sia stato anteriormente definito con archiviazione o
con sentenza di non luogo a procedere.
A
.
127
Pena: reclusione fino a 4 anni
Es
se
Il reato è punibile a titolo di dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di rendere
la falsa dichiarazione, a prescindere dalla finalità perseguita.
Se dal fatto derivi una condanna, l’art. 375 prevede un aggravamento sanzionatorio funzionale all’entità della stessa. È altresì applicabile, a tale reato, la disciplina della ritrattazione ex art.
376 c.p. nonché dell’art. 384 (v. supra § 1).
C
op
yr
ig
ht
©
• Intralcio alla giustizia (ex Subornazione) (art. 377)
Ai sensi dell’art. 377, come modificato dal D.L. 306/92, convertito in L.
356/92, successivamente dalla L. 7-12-2000, n. 397 (3), e, da ultimo, dalla L.
16-3-2006, n. 146, commette subornazione chiunque offre o promette denaro o
altra utilità alla persona chiamata a rendere dichiarazioni davanti all’autorità
giudiziaria ovvero alla persona richiesta di rilasciare dichiarazioni dal difensore
nel corso dell’attività investigativa, o alla persona chiamata a svolgere attività di
perito, consulente tecnico o interprete, per indurla a commettere i reati previsti
dagli articoli 371bis, 371ter, 372 e 373, qualora l’offerta o la promessa non sia
accettata. La stessa disposizione si applica qualora l’offerta o la promessa sia
accettata, ma la falsità non sia commessa.
Trattasi, come appare evidente, di una istigazione non accolta, e, quindi,
di una deroga al disposto dell’art. 115 c.p.
Come anticipato, la fattispecie è stata oggetto di correttivi, da ultimo, ad
opera della L.146/2006, consistiti nella sostituzione dell’originaria rubrica (con
cui il delitto in commento veniva definito “Subornazione”) con una nuova
attraverso la quale il delitto viene rinominato “Intralcio alla giustizia”, e nell’inserimento di due commi, il primo dei quali sanziona penalmente chiunque
usa violenza o minaccia per il perseguimento delle finalità in precedenza esposte,
nel caso in cui le medesime non vengano conseguite, mentre il secondo dispone
un aggravio sanzionatorio configurabile nel caso in cui i fatti delineati dalla
fattispecie vengano commessi in presenza delle “condizioni di cui all’articolo
339” del codice penale. La condotta penalmente rilevante consiste, dunque,
nel perseguire le finalità di cui al primo comma (l’induzione a commettere i
­(3) La normativa sulle indagini difensive ha incluso, fra i possibili destinatari dell’offerta finalizzata alla
subornazione, la persona richiesta di rilasciare dichiarazioni dal difensore nel corso dell’attività investigativa.
Parte Seconda: Parte speciale
A
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128
S.
p.
reati previsti dagli articoli 371bis, 371ter, 372 e 373) non già mediante offerta
o promessa di denaro o altra utilità, bensì mediante l’impiego di violenza o
minaccia, sempre che (anche in tale ipotesi) il fine non sia conseguito (configurandosi, in caso contrario, un concorso nel reato-fine).
Trattandosi di un reato a consumazione anticipata, il tentativo non è ammissibile.
Il dolo previsto è specifico, in quanto l’agente deve dare o promettere al fine
di indurre alla falsità.
br
i
Pena: pene previste dagli articoli richiamati, ridotte dalla metà ai due terzi (in misura non
eccedente un terzo nell’ipotesi di condotta violenta o minacciosa), ed aumentate in presenza
delle condizioni di cui all’art. 339 (ad es. condotta commessa con armi o da persona travisata
o da più persone riunite).
ig
ht
©
Es
se
li
• Rivelazione di segreti inerenti a un procedimento penale (art. 379bis)
L’art. 379bis punisce, salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque
rivela indebitamente notizie segrete concernenti un procedimento penale, da lui
apprese per avere partecipato o assistito ad un atto del procedimento stesso,
nonché colui che, dopo avere rilasciato dichiarazioni nel corso delle indagini
preliminari, non osserva il divieto imposto dal pubblico ministero ai sensi dell’articolo 391quinquies del codice di procedura penale.
L’interesse tutelato dalla norma è da individuarsi nel corretto svolgimento
dell’attività giudiziaria, intento di tutela realizzato attraverso la repressione
penale di condotte, quali quelle previste dalla norma, idonee a frustrare la
ricostruzione processuale della verità dei fatti.
Quanto alla condotta, la norma prevede due distinte fattispecie:
— la prima, realizzabile da chiunque, consiste nella rivelazione indebita di
notizie segrete riguardanti un procedimento penale, conosciute per aver
preso parte o assistito al procedimento medesimo;
— la seconda, realizzabile solo da chi sia stato sentito in qualità di persona in
grado di fornire notizie utili ai fini delle indagini, consiste nella violazione
del divieto imposto dal P.M. a norma dell’art. 391quinquies c.p.p. di comunicare i fatti e le circostanze oggetto dell’indagine di cui abbia conoscenza
ove sussistano specifiche esigenze attinenti all’attività di indagine, per un
periodo non superiore a due mesi.
Entrambe le figure sono punibili a titolo di dolo generico, consistente
nella coscienza e volontà della condotta rivelatrice, irrilevante essendo il fine
perseguito dall’agente.
Pena: reclusione fino a 1 anno.
C
op
yr
b)Il giusto processo
In attuazione dei dettami del riformulato art. 111 della Costituzione, è
stata emanata la L. 1-3-2001, n. 63 recante importanti novità nel processo
penale (4). Tale legge ha inoltre introdotto una fattispecie di reato, di cui si
rende conto di seguito.
(4) Si pensi alla disciplina delle contestazioni nell’esame testimoniale che riconnette alle indebite pressioni sui testi un particolare regime di utilizzabilità delle dichiarazioni rese nella fase delle indagini, dunque
contenute nel fascicolo del pubblico ministero, nonché al nuovo regime dell’esame dibattimentale di persona imputata in un procedimento connesso, ed ai limiti posti alla sua facoltà di non rispondere, a determinate condizioni.
Capitolo Quarto: I delitti contro l’amministrazione della giustizia
S.
p.
• Induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria (art. 377bis)
Risponde di tale reato chiunque, con violenza o minaccia, o con offerta o
promessa di denaro o di altra utilità, induce a non rendere dichiarazioni o a
rendere dichiarazioni mendaci la persona chiamata a rendere davanti alla autorità giudiziaria dichiarazioni utilizzabili in un procedimento penale, quando
questa ha la facoltà di non rispondere, salvo che il fatto costituisca più grave
reato.
A
.
129
br
i
Fondamento della fattispecie in esame è quello di evitare che coloro i quali sono chiamati a
rendere dichiarazioni utilizzabili in un procedimento possano ricevere indebite pressioni
(offerte o promesse di denaro o altra utilità) o illecite coercizioni (violenze o minacce) allo
scopo di non rendere le dichiarazioni cui sono chiamati innanzi all’Autorità giudiziaria, ovvero di rendere dichiarazioni mendaci, ad opera di chi, coinvolto direttamente (ad es. come
sottoposto a procedimento penale) o indirettamente (es. per legami di amicizia, parentela o
appartenenza a comuni organizzazioni criminali) nel procedimento ritenga le dichiarazioni
di cui sopra potenzialmente lesive, nel complesso iter della vicenda giudiziaria.
Pena: reclusione da 2 a 6 anni
Es
se
li
Scopo della norma è dunque tutelare l’interesse pubblico al corretto svolgimento dell’attività giudiziaria, evitando interferenze volte a turbare la ricerca
della verità processuale.
Soggetto attivo può essere chiunque, trattasi pertanto di reato comune.
La condotta consiste nell’uso della violenza o della minaccia, o nella offerta
o promessa di danaro o altra utilità per le finalità indicate dalla norma (trattasi di fattispecie a dolo specifico).
yr
ig
ht
©
H)Favoreggiamento personale (art. 378) e reale (art. 379)
Si configura il reato di favoreggiamento in capo a chi, dopo che è stato
commesso un delitto per il quale la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o
della reclusione, e fuori dei casi di concorso nel medesimo, aiuta taluno ad
eludere le investigazioni dell’Autorità o a sottrarsi alle ricerche di questa (art.
378), ovvero chi, fuori dei casi di concorso nel reato e dei casi previsti dagli
artt. 648, 648bis e 648ter, aiuta taluno ad assicurare il prodotto, il profitto o il
prezzo di un reato (art. 379).
Oggetto della tutela penale è l’interesse dell’Amministrazione della Giustizia al regolare svolgimento del processo penale che viene turbato dai fatti che
mirano a fuorviare od ostacolare l’attività diretta all’accertamento e alla repressione dei reati.
In entrambe le figure il dolo è generico ed il tentativo configurabile.
Il Pacchetto sicurezza (L. 94/2009) ha ricompreso il reato di favoreggiamento personale nel catalogo delle fattispecie in relazione alle quali è prevista la
ritrattazione (istituto previsto all’art. 376 del codice penale).
op
Pena: favoreggiamento personale: reclusione fino a 4 anni se è stato commesso un delitto
punito con l’ergastolo o la reclusione (non inferiore a 2 anni se il delitto commesso è quello
previsto dall’art. 416bis); multa fino a e 516 se si tratta di delitti puniti con pena diversa o
contravvenzioni.
favoreggiamento reale (art. 379): reclusione fino a 5 anni (in caso di delitto); multa da e 51 a
1032 (in caso di contravvenzione).
C
I) Evasione (art. 385)
È il fatto di chi, essendo legalmente arrestato o detenuto per un reato,
evade, cioè si sottrae alla custodia carceraria.
Parte Seconda: Parte speciale
A
.
130
i
S.
p.
All’arresto è equiparato il fermo degli indiziati di reato ex art. 384 c.p.p.
L’arresto o il fermo debbono essere eseguiti legalmente e possono dirsi realizzati solo quando la persona che li esegue sia riuscita a stabilire il proprio
potere sull’arrestato.
Circostanze aggravanti sono: 1) l’aver commesso il fatto con violenza o
minaccia verso le persone o mediante effrazione (art. 385 comma 2); 2) l’aver
usato violenza o minaccia con armi o da più persone riunite (385 comma 2).
Circostanza attenuante speciale è la costituzione in carcere dell’evaso prima
della condanna.
Il dolo è generico ed il tentativo configurabile.
br
Pena: reclusione da 6 mesi a 1 anno; reclusione da 1 a 3 anni se il colpevole commette il fatto
usando violenza o minaccia verso le persone, ovvero mediante effrazione; reclusione da 3 a 5
anni se la violenza o minaccia è commessa con armi o da più persone riunite. Pena diminuita
se l’evaso si costituisce in carcere prima della condanna.
C
op
yr
ig
ht
©
Es
se
li
L)Mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice (art.
388 c.p.)
Il reato di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice,
contemplato all’art. 388 c.p., prevede diverse ipotesi di reato.
Si tratta di reati propri, in quanto realizzabili solo da chi rivesta una specifica qualifica soggettiva o si trovi in determinate situazioni giuridico-sociali.
La prima ipotesi (comma 1) consiste nella realizzazione, su beni propri o
altrui, di atti simulati o fraudolenti, ossia finalizzati alla mancata osservanza
dell’obbligo imposto con provvedimento dell’autorità giudiziaria.
La L. 15-7-2009, n. 94 (cd. Pacchetto sicurezza) ha ampliato l’ambito di
applicazione dell’art. 388 c.p. prevedendo che gli obblighi il cui mancato
adempimento costituisce reato non sono solo quelli nascenti da una sentenza di condanna, ma più genericamente qualsiasi obbligo nascente da
un provvedimento dell’autorità giudiziaria.
L’elemento soggettivo della fattispecie in esame è il dolo specifico, richiedendosi la volontà di realizzare atti fraudolenti sui beni propri o altrui con la
consapevolezza dell’esistenza di un obbligo a proprio carico, allo scopo di
sottrarsi a quest’ultimo, con l’intenzione di non ottemperarvi.
La seconda ipotesi (comma 2) consisteva, prima della riforma operata
dalla L. 94/2009, nella condotta di elusione di un provvedimento del giudice
civile concernente l’affidamento di minori o di altre persone incapaci, ovvero
con il quale venivano prescritte misure cautelari a difesa della proprietà, del
possesso o del credito.
Il pacchetto sicurezza ha ampliato anche in relazione a tale ipotesi l’ambito di applicazione, prevedendo la sanzione penale a carico di chi ha eluso un
provvedimento non soltanto del giudice civile, ma anche del giudice amministrativo o contabile.
L’elemento soggettivo della fattispecie in esame è quello del dolo generico,
consistente nella coscienza e volontà di eludere l’esecuzione di un provvedimento di cui il soggetto agente è il destinatario passivo.
La terza ipotesi (comma 3) consiste nella condotta di chi sottrae, sopprime, distrugge, disperde o deteriora una cosa di sua proprietà sottoposta a
pignoramento o a sequestro giudiziario o conservativo.
Ë previsto un aumento di pena (comma 4) per chi commette il fatto in
qualità di proprietario su cosa affidata alla sua custodia e una pena ancora
più grave se il fatto è commesso dal custode al solo scopo di favorire il proprietario.
Capitolo Quarto: I delitti contro l’amministrazione della giustizia
S.
p.
La quarta ipotesi (comma 5) prevede una configurazione speciale di omissione o rifiuto di atti d’ufficio realizzabile dal custode di cosa sottoposta a
pignoramento ovvero a sequestro giudiziario o conservativo che indebitamente rifiuti, ometta o ritardi un atto del suo ufficio.
Il comma 6 punisce con la stessa pena del comma precedente il debitore,
l’amministratore, il direttore generale o il liquidatore della società debitrice
che, essendo stato invitato dall’ufficiale giudiziario ad indicare le cose o i crediti pignorabili, ometta di rispondere nel termine di quindici giorni ovvero
effettui una falsa dichiarazione.
A
.
131
br
i
Pena: reclusione fino a tre anni o multa da euro 103 a euro 1.032 (comma 1 e 2); reclusione
fino a un anno e multa fino a euro 309 (comma 3); reclusione da due mesi a due anni e multa
da euro 30 a euro 309 (comma 4, prima ipotesi); reclusione da quattro mesi a tre anni e multa
da euro 51 a euro 516 (comma 4, seconda ipotesi); reclusione fino ad un anno o multa fino a
euro 516 (comma 5 e 6).
li
M)Esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose (art.
392) o sulle persone (art. 393)
Es
se
È il fatto di chi al fine di esercitare un preteso diritto, potendo ricorrere al
giudice, si fa arbitrariamente ragione da sé medesimo mediante violenza sulle
cose (art. 392: es. il proprietario che, finita la locazione, invece di attivare la procedura di sfratto, cambia la serratura dell’appartamento, inibendo all’inquilino
di entrare in casa), ovvero usando violenza o minaccia alle persone (art. 393).
In entrambe le figure, il dolo è specifico ed il tentativo configurabile.
La violenza sulle cose può essere esercitata anche alterando, cancellando, mutando o turbando un sistema informatico o telematico.
©
Gli artt. 392 e 393 c.p. si differenziano, rispettivamente, dal delitto di danneggiamento (art.
635 c.p.) e da quello di violenza privata (art. 610 c.p.), perché nei delitti di esercizio arbitrario
delle proprie ragioni la condotta è determinata da una pretesa giuridica che l’agente mira a
realizzare coattivamente, mentre nelle altre ipotesi la condotta è rivolta meramente a produrre una lesione all’avversario.
ig
Altri delitti
ht
Pena: (Art. 392) multa fino a e 516.
(Art. 393) reclusione fino a 1 anno; reclusione più multa fino a e 206 se vi è anche violenza
sulle cose. Pena aumentata se la violenza o minaccia è commessa con armi.
Sono fra gli altri:
•
•
•
•
•
•
•
•
•
C
op
yr
rifiuto di uffici legalmente dovuti (art. 366);
frode processuale (art. 374);
false dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all’autorità giudiziaria (art. 374bis);
patrocinio o consulenza infedele (art. 380);
altre infedeltà del patrocinatore o del consulente (art. 381);
millantato credito del patrocinatore (art. 382);
procurata evasione (art. 386);
colpa del custode (art. 387);
violazione colposa dei doveri inerenti alla custodia di cose sottoposte a pignoramento ovvero a sequestro giudiziario o conservativo (art. 388bis);
• inosservanza di pene accessorie (art. 389);
• procurata inosservanza di pena (art. 390);
• procurata inosservanza di misure di sicurezza detentive (art. 391).
Parte Seconda: Parte speciale
A
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132
2. Ipotesi di non punibilità
br
i
S.
p.
Per alcuni delitti del capo I (5) l’art. 384 esclude la punibilità per chi ha
commesso il fatto, per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé
medesimo o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell’onore (es. la madre che, deponendo innanzi al P.M.,
fornisce un falso alibi al figlio indagato per rapina).
Inoltre, precisa il secondo comma del medesimo articolo che, nei casi previsti dagli articoli 371bis, 371ter, 372 e 373, la punibilità è esclusa se il fatto è
commesso da chi per legge non avrebbe dovuto essere richiesto di fornire
informazioni ai fini delle indagini o assunto come testimonio, perito, consulente tecnico o interprete ovvero non avrebbe potuto essere obbligato a deporre o comunque a rispondere o avrebbe dovuto essere avvertito della facoltà di
astenersi dal rendere informazioni, testimonianza, perizia, consulenza o interpretazione.
se
li
La causa di non punibilità prevista dall’art. 384 c.p. trova la sua giustificazione nell’istinto
alla conservazione della propria libertà e del proprio onore (nemo tenetur se detegere) e nell’esigenza di tener conto agli stessi fini dei vincoli di solidarietà familiare; si distingue dalla
scriminante dello stato di necessità di cui all’art. 54 c.p., poiché non richiede che il pericolo
non sia stato causato dall’agente. Pertanto l’art. 384 c.p., secondo la giurisprudenza, opera in
tema di falsa testimonianza, anche se la falsità sia resa da un congiunto che sia stato preventivamente avvertito della facoltà di astenersi dal deporre.
©
Es
L’art. 376 disciplina, invece, l’istituto della ritrattazione, in virtù del quale, nei casi previsti dagli articoli 371bis, 371ter, 372 e 373, nonché 378 (tale
ipotesi è stata introdotta dalla L. 94/2009 — cd. Pacchetto sicurezza), il colpevole non è punibile se, nel procedimento penale in cui ha prestato il suo ufficio
o reso le sue dichiarazioni, ritratta il falso e manifesta il vero non oltre la
chiusura del dibattimento. Qualora la falsità sia intervenuta in una causa civile, il colpevole non è punibile se ritratta il falso e manifesta il vero prima che
sulla domanda giudiziale sia pronunciata sentenza definitiva, anche se non
irrevocabile.
ig
ht
Si noti che la Corte costituzionale, nel dichiarare, con sentenza 30-3-1999, n. 101, l’illegittimità costituzionale dell’art. 376 primo comma, nella parte in cui non prevede la ritrattazione
come causa di non punibilità per chi, richiesto dalla polizia giudiziaria, delegata dal pubblico
ministero a norma dell’art. 370 del codice di procedura penale, di fornire informazioni ai fini
delle indagini, abbia reso dichiarazioni false ovvero in tutto o in parte reticenti, ha esteso la
disciplina della ritrattazione alle false informazioni alla polizia giudiziaria, configurabile come ipotesi di favoreggiamento personale.
C
op
yr
Nel novero delle novità disciplinari operate dalla L. 5-10-2001, n. 367
(nota come legge sulle rogatorie internazionali), si segnala l’introduzione
dell’art. 384bis c.p., attraverso il quale si è disposto che i delitti di cui agli
articoli 366, 367, 368, 369, 371bis, 372 e 373, commessi in occasione di un
collegamento audiovisivo nel corso di una rogatoria (6) all’estero si considerano commessi nel territorio dello Stato e sono puniti secondo la legge italiana.
(5) Quelli preveduti dagli artt. 361, 362, 363, 364, 365, 366, 369, 371bis, 371ter, 372, 373, 374 e 378.
(6) Per rogatoria si intende la richiesta di assistenza giudiziaria funzionale allo svolgimento di attività,
quali comunicazioni, notificazioni di atti, ed attività di acquisizione probatoria. Come l’estradizione, si distingue in attiva o passiva per il nostro Stato, a seconda che l’Italia sia lo Stato richiedente ovvero quello richiesto.
Capitolo Quarto: I delitti contro l’amministrazione della giustizia
C
op
yr
ig
ht
©
Es
se
li
br
i
S.
p.
Da ultimo, la L. 15-7-2009, n. 94 (cd. Pacchetto sicurezza) ha previsto all’art.
393bis c.p. una causa di non punibilità relativa ai reati di:
— violenza o minaccia a pubblico ufficiale (art. 336 c.p.);
— resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.);
— violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario (art.
338 c.p.),
— oltraggio a pubblico ufficiale (art. 341bis c.p.);
— oltraggio ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario (art. 342 c.p.);
— oltraggio a magistrato in udienza (art. 343 c.p.)
L’esimente opera nel caso in cui il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio o il pubblico impiegato abbia dato causa al fatto, eccedendo
con atti arbitrari i limiti delle proprie attribuzioni.
A
.
133
Parte Seconda: Parte speciale
A
.
134
p.
Capitolo Quinto
S.
I delitti contro il sentimento religioso
e la pietà dei defunti
I
i
l titolo IV del libro II del codice penale prevede i delitti che offendono il
sentimento religioso (e cioè la religione e le sue manifestazioni esteriori) e la
pietà nei confronti dei defunti (intesa come rispetto per le entità che trascendono la vita dei singoli).
li
br
Il titolo in parola è suddiviso in due capi:
I - Delitti contro le confessioni religiose (artt. 402-405);
II - Delitti contro la pietà dei defunti (artt. 407-413).
1.Generalità
se
Il punto 1 del «Protocollo Addizionale» all’«Accordo» tra la Santa Sede e la Repubblica
Italiana, firmato a Roma il 18 febbraio 1984 e ratificato con la L. 25-3-1985, n. 121, ha espressamente abrogato il principio della religione cattolica come sola religione dello Stato italiano:
Es
— secondo una parte della dottrina e della giurisprudenza, conseguenza immediata di tale modifica è stata l’abrogazione tacita di tutte quelle fattispecie che tutelavano la religione cattolica come religione di Stato, e la permanenza in vigore della sola ipotesi di cui all’art. 406 cui
vanno ricondotte tutte le offese a qualsiasi religione o culto ammesso dallo Stato, compresa
la religione cattolica;
— per altra parte della dottrina e della giurisprudenza, invece, tale tacita abrogazione va
esclusa in quanto la religione cattolica resta comunque il culto maggiormente praticato
in Italia.
C
op
yr
ig
ht
©
Il complesso di reati contenuto nel capo I risentiva fortemente della concezione politico-ideologica dello Stato ad inizio secolo, in particolare delle
scelte adottate attraverso il c.d. Concordato Lateranense, e cristallizzate nel
Trattato del 1929 tra l’Italia e la Santa Sede, a norma del quale la religione
cattolica era la sola religione dello Stato.
A riequilibrare la situazione è intervenuta la legge 24-2-06, n. 85 (di modifica in materia dei reati di opinione). L’attuale disciplina ha tenuto conto
degli indirizzi tracciati dalla Corte Costituzionale che, ripetutamente chiamata a pronunciarsi sulla tutela penale del sentimento religioso, ha censurato la disparità di trattamento tra la religione cattolica e le altre religioni,
ribadendo le esigenze di eguale protezione del sentimento religioso, implicante l’equidistanza e imparzialità verso tutte le religioni, secondo quanto disposto dall’art. 8 Cost.
La legge 85/06 ha equiparato le pene sia per le lesioni al sentimento religioso della Chiesa cattolica, che quelle agli altri culti ammessi dallo Stato. Ne
è conseguita l’abrogazione dell’art. 406 c.p. che codificava la disparità sanzionatoria.
Riguardo al capo II va detto che, oltre a tutelare il comune sentimento di
rispetto verso i morti, le norme in esso contenute rispondono anche ad esigenze di pubblica igiene.
Capitolo Quinto: I delitti contro il sentimento religioso
A
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135
2.Figure delittuose
S.
p.
A)Delitti contro le confessioni religiose
L’art. 403 c.p. punisce le offese a una confessione religiosa mediante
vilipendio di persone. Commette il reato chiunque pubblicamente offende
una confessione religiosa, mediante vilipendio di chi la professa, ovvero chi offende una confessione religiosa, mediante vilipendio di un ministro del culto.
Pena: la multa da e 1.000 a e 5.000. nel primo caso; multa da e 2.000 a e 6.000 nel secondo caso.
se
li
br
i
L’art. 404 c.p. punisce l’offese a una confessione religiosa mediante
vilipendio o danneggiamento di cose. Commette tale delitto chiunque, in
luogo destinato al culto, o in luogo pubblico o aperto al pubblico, offendendo
una confessione religiosa, vilipende con espressioni ingiuriose cose che formino oggetto di culto, o siano consacrate al culto, o siano destinate necessariamente all’esercizio del culto, ovvero commette il fatto in occasione di funzioni
religiose, compiute in luogo privato da un ministro del culto.
Inoltre, chiunque pubblicamente e intenzionalmente distrugge, disperde,
deteriora, rende inservibili o imbratta cose che formino oggetto di culto o siano
consacrate al culto o siano destinate necessariamente all’esercizio del culto.
Pena: per il primo comma, la multa da e 1.000 ad e 5.000; per il secondo comma, la reclusione fino a due anni.
©
Es
L’art. 405 c.p. punisce il turbamento di funzioni religiose del culto di
una confessione religiosa. Commette il reato chiunque impedisce o turba
l’esercizio di funzioni, cerimonie o pratiche religiose del culto di una confessione religiosa, le quali si compiano con l’assistenza di un ministro del culto
medesimo o in un luogo destinato al culto, o in un luogo pubblico o aperto al
pubblico
ht
Pena: la reclusione fino a due anni; se concorrono fatti di violenza alle persone o di minaccia,
si applica la reclusione da uno a tre anni.
yr
ig
B)Delitti contro la pietà dei defunti
Commette il delitto di cui all’art. 407 c.p., violazione di sepolcro, chiunque viola una tomba, un sepolcro o un’urna.
Per la configurabilità del delitto è necessario che il fatto sia illegittimo, cioè
non compiuto per diritto (es.: apertura della tomba da parte del giudice per
indagini), per necessità (es. riesumazione disposta dall’ufficiale sanitario per
visitare il cadavere non visitato prima del seppellimento).
Altre ipotesi delittuose
Sono:
vilipendio di tomba (art. 408) o di cadavere (art. 410);
turbamento di un funerale o di un servizio funebre (art. 409);
distruzione, soppressione o sottrazione di cadavere (art. 411);
occultamento di cadavere (art. 412);
uso illegittimo di cadavere (art. 413).
C
op
•
•
•
•
•
Parte Seconda: Parte speciale
A
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136
S.
I delitti contro l’ordine pubblico
p.
Capitolo Sesto
I
1. Principali figure delittuose
br
i
l titolo V del libro II del codice penale prevede tutti quei fatti che possono
ledere o mettere in pericolo la pacifica convivenza dei cittadini, turbando il
regolare andamento ed il buon assetto della vita sociale. In dottrina, tradizionalmente, si sostiene che i delitti in esame turbino la c.d. pace sociale.
li
A)Istigazione a delinquere (art. 414 commi 1-2)
È il fatto di chi pubblicamente istiga a commettere uno o più reati.
Il reato in esame deve essere commesso pubblicamente, cioè:
se
• col mezzo della stampa o con altro mezzo di propaganda;
• in luogo pubblico o aperto al pubblico in presenza di più persone;
• in una riunione che, per il luogo in cui è tenuta, o per il numero degli in-
©
Es
tervenuti, o per lo scopo od oggetto di essa, abbia carattere di riunione non
privata.
L’elemento materiale del delitto in esame è dato dall’istigazione. Istigare
significa incitare a compiere determinati atti.
Si risponde per il solo fatto dell’istigazione, non rilevando se essa sia stata
o meno accolta. È questa una deroga al principio sancito dall’art. 115 c.p.,
secondo cui l’istigazione se non accolta non è punibile.
Vari possono essere i mezzi con i quali è posta in essere l’istigazione: parole, scritti, rappresentazioni teatrali e cinematografiche.
Il reato si consuma per il solo fatto di istigare ed è unico anche se con lo
stesso comportamento si istiga a commettere più reati.
ht
Pena: reclusione da 1 a 5 anni (per l’istigazione a commettere uno o più delitti, ovvero più
contravvenzioni, ovvero per l’apologia di uno o più delitti); reclusione fino a 1 anno ovvero
multa fino a e 206 (per l’istigazione a commettere contravvenzioni)
C
op
yr
ig
B)Associazione per delinquere (artt. 416-417)
Costituisce reato il fatto di tre o più persone che si associano allo scopo di
commettere più delitti. Il reato sussiste per il solo fatto di partecipare all’associazione.
Per la sussistenza del delitto non è necessaria una vera e propria organizzazione con distribuzione specifica dei compiti e delle singole mansioni criminose, essendo sufficiente un minimo di organizzazione, anche solo rudimentale, idonea ad attuare il programma criminoso avuto di mira. È, infatti,
l’esistenza di un’organizzazione di carattere stabile che caratterizza l’ipotesi
rispetto a quelle contemplate negli artt. 304 e 305 c.p.
Il dolo richiesto è specifico (volontà di entrare a far parte di una associazione di almeno 3
persone, al fine di commettere più delitti). Il delitto si consuma al momento della costituzione
dell’associazione ed è permanente in quanto la sua consumazione si protrae fino allo scioglimento della stessa.
Non è richiesto l’inizio dell’attività criminosa programmata.
Capitolo Sesto: I delitti contro l’ordine pubblico
br
i
S.
p.
Si segnala che la L.11-8-2003, n. 228, recante misure contro la tratta di
persone, in vista del perseguimento degli obiettivi politico-criminali insiti
nella riforma delle fattispecie di cui agli artt. 600, 601 e 602 c.p. (le cui nuove
rubriche recitano rispettivamente «riduzione o mantenimento in schiavitù
o in servitù», «tratta di persone» e «acquisto e alienazione di schiavi») ha
qualificato come ipotesi aggravata di associazione per delinquere quella finalizzata a commettere taluno dei delitti appena indicati. Successivamente, fra
i reati-scopo rilevanti ai fini dell’aggravante in esame, è stato aggiunto quello
disciplinato dall’articolo 12, comma 3-bis, del testo unico delle disposizioni
concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello
straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (trattasi di norma
contenente numerose ed eterogenee disposizioni contro le immigrazioni clandestine, il rinvio alla quale è stato introdotto dalla L.15-7-2009, n. 94, c.d.
Pacchetto sicurezza).
A
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137
se
li
Pena: reclusione da 3 a 7 anni per chi promuove, costituisce o organizza l’associazione (da 5
a 15 se l’associazione è finalizzata a commettere uno dei delitti anzidetti); reclusione da 1 a 5
anni per chi partecipa (da 4 a 9 se l’associazione è finalizzata a commettere uno dei delitti di
cui sopra); reclusione da 5 a 15 anni se gli associati scorrono in armi le campagne o le pubbliche vie. Pene aumentate se gli associati sono dieci o più.
Differenze
Es
L’associazione per delinquere differisce dal concorso di persone nel reato in quanto l’accordo che dà vita alla costituzione dell’associazione è a carattere permanente e programmatico
(volto, cioè, alla realizzazione di una serie indeterminata di delitti, con pericolo permanente
per l’ordine pubblico); invece quello che determina il concorso di più persone nel reato è a
carattere precario e contingente, esaurendosi appena il reato è stato commesso, ed è circoscritto alla realizzazione di uno o più reati nettamente individuati.
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C)Associazioni di tipo mafioso anche straniere (art. 416bis)
Questa figura criminosa è stata introdotta dalla L. 13-9-1982, n. 646 (c.d.
«legge La Torre») e punisce chiunque faccia parte di un’associazione di tipo
mafioso formata da tre o più persone (art. 416bis comma 1).
ht
Nozione
ig
L’associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di
intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che
ne deriva, per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi
pubblici per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri, ovvero al fine di impedire
od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di
consultazioni elettorali (art. 416bis comma 3).
C
op
yr
Questo articolo si applica anche alla camorra e alle altre associazioni, comunque localmente denominate, che, valendosi della forza intimidatrice del
vincolo associativo, perseguono scopi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso (art. 416bis comma 8). Si segnala che il legislatore, attraverso il c.d. decreto sicurezza (D.L. 23-5-2008, n. 92, convertito in L. 24-7-2008,
n. 125), ha affiancato all’ennesimo inasprimento sanzionatorio per tale fattispecie, una espressa estensione del novero delle associazioni criminose assimilabili a quella mafiosa, comprendendovi le associazioni straniere che agiscano con metodo mafioso. Si coordina con tale correttivo, la sostituzione
dell’originaria rubrica dell’articolo in commento, sostituzione attraverso la
quale si esplicita il riferimento alle associazioni per delinquere straniere.
Parte Seconda: Parte speciale
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138
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S.
p.
Il delitto in esame altro non è che una forma speciale dell’associazione per
delinquere caratterizzata dalla forza intimidatrice del tipo mafioso.
Caratteri per qualificare «mafiosa» una associazione criminale sono, tra
l’altro, i requisiti dell’assoggettamento e della omertà. Questi devono riferirsi non ai componenti interni — essendo siffatti caratteri presenti in ogni consorteria — ma ai soggetti nei cui confronti si dirige l’azione delittuosa, essendo
i terzi a trovarsi, per effetto della diffusa convinzione della loro esposizione
ad un concreto ed ineludibile pericolo, di fronte alla forza dei prevaricanti, in
uno stato di soggezione.
Le finalità dell’associazione possono essere le più varie: commettere delitti; acquisire posizioni di controllo e gestione in settori economici, pubblici o
privati; condizionare l’esercizio del diritto di voto. In ogni caso la giurisprudenza ha precisato che le finalità sono quelle indicate, alternativamente e
tassativamente, nel terzo comma dell’art. 416bis c.p.
Il dolo in esame è quello specifico; il delitto si consuma appena si costitui­sce
il vincolo associativo tra le tre o più persone. Si tratta di un reato permanente.
Effetti particolari sono previsti con l’applicazione della condanna quali: la
confisca, l’esclusione da albi etc.
se
Il concorso esterno in associazione mafiosa
C
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Es
L’associazione mafiosa (art. 416bis c.p.) è un reato a concorso necessario, in quanto per l’esistenza della societas sceleris è necessaria la presenza di almeno tre persone. Coloro i quali
fanno parte dell’associazione possono assumere la figura dei meri partecipanti, ovvero di organizzatori o promotori. È possibile però che si venga a rispondere del reato associativo anche
senza far parte dell’associazione, ma perché, dall’esterno, ad essa venga dato un rilevante
contributo (es. un politico che agevola la realizzazione delle finalità di un’associazione mafiosa). In tale ipotesi si parla di concorso eventuale (art.110) in un reato a concorso necessario
(art. 416bis): il c.d. concorso esterno.
Tale figura è stata avallata dalla Cassazione in una pluralità di pronunce, talune a sezioni
unite, come Cass. Sez. Un. 12-07-2005, n. 33748 c.d. sentenza Mannino, dal nome dell’imputato, in cui si è specificato che «È configurabile il concorso esterno nel reato di associazione di tipo mafioso nell’ipotesi di scambio elettorale politico-mafioso, in forza del quale il
personaggio politico, a fronte del richiesto appoggio dell’associazione nella competizione
elettorale, s’impegna ad attivarsi una volta eletto a favore del sodalizio criminoso, pur senza
essere organicamente inserito in esso, a condizione che: a) gli impegni assunti dal politico
abbiano il carattere della serietà e della concretezza; b) all’esito della verifica probatoria “ex
post” della loro efficacia causale risulti accertato che gli impegni assunti dal politico abbiano
inciso effettivamente e significativamente, di per sé e a prescindere da successive ed eventuali condotte esecutive dell’accordo, sulla conservazione o sul rafforzamento delle capacità
operative dell’intera organizzazione criminale o di sue articolazioni settoriali». In uno dei più
recenti asserti giurisprudenziali favorevoli a tale opzione teorica (in particolare, Cass. 8-12008, n. 542) si è precisato che nella fattispecie di concorso esterno nell’associazione di tipo
mafioso l’evento del reato è integrato dalla conservazione, agevolazione o rafforzamento di un
organismo criminoso già operante e lo stesso deve essere posto in diretta relazione eziologica
con la condotta attuata dal concorrente, la cui verifica è praticabile soltanto in virtù di un accertamento postumo di ogni inferenza o incidenza di tale condotta nella vita e nell’operatività
del sodalizio criminoso.
Pena: reclusione da 7 a 12 anni per chi fa parte dell’associazione (da 9 a 15 se l’associazione è
armata); reclusione da 9 a 14 anni per coloro che promuovono, dirigono o organizzano l’associazione (da 12 a 24 se l’associazione è armata). Pene aumentate da un terzo alla metà se le
attività economiche di cui gli associati intendono assumere o mantenere il controllo sono finanziate, in tutto o in parte, con il prodotto il profitto o il prezzo di delitti. Confisca obbligatoria delle cose destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prodotto, il profitto, il
prezzo o l’impiego; misura di sicurezza sempre ordinata in caso di condanna
Capitolo Sesto: I delitti contro l’ordine pubblico
p.
D)Scambio elettorale politico-mafioso (art. 416ter)
Commette tale delitto chi ottiene la promessa di voti con le modalità previste dall’art. 416bis in cambio della erogazione di denaro. Tale figura è stata
introdotta dal D.L. 306/1992 convertito in L. 356/92.
A
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Pena: reclusione da 3 a 6 anni.
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E)Associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o
psicotrope ex art. 74 D.P.R. 9-10-1990 n. 309
Una figura particolare di associazione per delinquere avente come fine la
commissione di reati in materia di stupefacenti è prevista dall’art. 74 T.U.
9-10-1990 n. 309.
li
Poche sono le differenze rispetto al precedente dettato legislativo, limitate ad un sensibile inasprimento delle pene, nonché alla creazione di una nuova figura di reato associativo, finalizzato al
traffico di «lieve entità» (art. 74 comma 6) e punito con pene sensibilmente più basse.
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Es
se
Si tratta di un reato di pericolo, a carattere permanente, nonché di un reato
plurioffensivo, in quanto mirante a tutelare sia l’ordine pubblico che la salute
pubblica.
Circa gli elementi costitutivi dell’associazione, essi sono in primo luogo
l’esistenza di un «pactum sceleris» (vincolo associativo) a carattere permanente fra tre o più persone; inoltre, l’esistenza di un minimo di organizzazione a carattere stabile, senza che sia necessaria alcuna distinzione gerarchica di funzioni; infine, l’esistenza di un programma criminoso finalizzato al compimento di una serie indeterminata di delitti, tra quelli previsti
dall’art. 73.
Per quanto attiene all’elemento psicologico, non è necessario che tutti gli
associati abbiano in programma gli identici fatti criminosi, né che ciascuno
di essi conosca e tanto meno sia in rapporti con tutti gli altri componenti il
sodalizio, essendo sufficiente la consapevolezza della cooperazione con altri
soggetti in maniera stabile e non occasionale.
C
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Il dolo è specifico, in quanto occorre la finalizzazione della condotta alla commissione degli
specifici delitti di cui all’art. 73.
Le figure delittuose di cui al comma 1 (relativa ai promotori, costituenti, direttori ed organizzatori dell’associazione) e comma 2 (meri partecipi), sono da considerarsi autonome figure di
reato e non la seconda ipotesi circostanza attenuante della prima.
Per distinguere il delitto associativo dall’ipotesi del concorso di persone nel reato fine (art.
73), è necessario porre attenzione al carattere dell’accordo criminoso: meramente occasionale
nell’ipotesi del concorso e che si esaurisce con la consumazione di uno o più reati; stabile e diretto all’attuazione di un più ampio disegno criminoso per l’esecuzione di una serie indeterminata di delitti, nel caso di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti.
Per la consumazione del delitto, con riferimento all’ipotesi di «non lieve entità», è necessario
che la condotta criminosa sia finalizzata alla commissione dei delitti previsti dall’art. 73, con
esclusione dell’ipotesi di cui al quinto comma: in tal caso, infatti, il reato associativo è meno
grave e disciplinato dall’art. 74 comma 6.
Pena: reclusione non inferiore a 20 anni per chi promuove, costituisce, dirige, organizza o finanzia l’associazione (non inferiore a 24 anni se l’associazione è armata); reclusione non inferiore a 10 anni per il mero partecipante (non inferiore a 12 anni se l’associazione è armata).
Pena aumentata se il numero dei partecipanti è uguale o superiore a dieci o se essi sono dediti all’uso di stupefacenti. Pene diminuite dalla metà a due terzi per chi si sia efficacemente
adoperato per assicurare le prove del reato o per sottrarre all’associazione risorse decisive per
la commissione di delitti.
Parte Seconda: Parte speciale
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S.
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F)Associazione finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri ex
L. 92/2001
Ulteriore figura speciale di associazione per delinquere è quella prevista
dall’art. 291quater del D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, introdotto dall’art. 1
della L. 19-3-2001, n. 92, configurabile quando tre o più persone si associano allo scopo di commettere più delitti tra quelli previsti dall’articolo 291bis
del medesimo provvedimento (il quale sanziona chiunque introduce, vende,
trasporta, acquista o detiene nel territorio dello Stato un quantitativo di tabacco lavorato estero di contrabbando superiore a dieci chilogrammi convenzionali).
La norma prevede un diverso trattamento sanzionatorio per coloro che
promuovono, costituiscono, dirigono, organizzano o finanziano l’associazione
(reclusione da tre a otto anni) e per chi si limita a partecipare all’associazione
(reclusione da un anno a sei anni).
Costituiscono aggravanti il numero di associati pari o superiore a dieci ed il
fatto che l’associazione sia armata (per tale intendendosi quella in cui i partecipanti hanno la disponibilità, per il conseguimento delle finalità dell’associazione,
di armi o materie esplodenti, anche se occultate o tenute in luogo di deposito). Il
reato è, altresì, aggravato quando nel commetterlo, l’autore ha utilizzato mezzi di
trasporto, che, rispetto alle caratteristiche omologate, presentano alterazioni o
modifiche idonee ad ostacolare l’intervento degli organi di polizia ovvero a provocare pericolo per la pubblica incolumità (v. art. 337bis). È, invece, prevista una
circostanza attenuante per chi, dissociandosi dagli altri, si adopera per evitare che
l’attività delittuosa sia portata ad ulteriori conseguenze anche aiutando concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella raccolta di elementi
decisivi per la ricostruzione dei fatti e per l’individuazione o la cattura degli autori del reato o per la individuazione di risorse rilevanti per la commissione dei
delitti.
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Pena: reclusione da 3 a 8 anni per chi promuove, costituisce, dirige, organizza o finanzia l’associazione (da 5 a 15 anni se l’associazione è armata); reclusione da 1 a 6 anni per il mero
partecipante (da 4 a 10 anni se l’associazione è armata). Pena aumentata se il numero dei
partecipanti è uguale o superiore a dieci. Pene diminuite da un terzo alla metà nei confronti
dell’imputato che, dissociandosi dagli altri, si adopera per evitare che l’attività delittuosa sia
portata ad ulteriori consguenze.
C
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G)Devastazione e saccheggio (art. 419)
Commette tale delitto chiunque, fuori dai casi preveduti dall’art. 285, commette fatti di devastazione e saccheggio.
È evidente che per la sussistenza del reato non basta un singolo fatto di
devastazione o di saccheggio (che da solo integra l’ipotesi del furto o della
rapina), ma occorrono una pluralità di fatti di devastazione o saccheggio, tali
da determinare nell’ambiente un particolare allarme sociale.
Per saccheggio si intende il fatto commesso da una pluralità di persone che si impossessa indiscriminatamente di una rilevante quantità di oggetti con azione sorretta da spirito di assoluta prepotenza e noncuranza per l’ordine costituito (Cass. 13466/80); per devastazione la
condotta di danneggiamento complessivo, indiscriminato, vasto e profondo di una notevole quantità di cose mobili o immobili (Cass. 4135/73).
La norma ha carattere sussidiario in quanto è applicabile se non ricorrono gli estremi ex art.
285 c.p. Inoltre, non essendo concepibile un saccheggio senza danneggiamento, è logico che i
danneggiamenti ed i furti sono assorbiti nella figura in esame che invece potrà concorrere con
altri delitti quali l’incendio, le lesioni personali, stupri e rapina.
Capitolo Sesto: I delitti contro l’ordine pubblico
A
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141
p.
Il dolo è generico.
Pena: reclusione da 8 a 15 anni; pena aumentata se il fatto è commesso su armi, munizioni o
viveri esistenti in luogo di vendita o di deposito.
S.
Altre ipotesi delittuose
Sono:
br
i
apologia di delitti (art. 414 comma 3);
istigazione a disobbedire alle leggi (art. 415);
istigazione all’odio tra le classi sociali (art. 415);
assistenza agli associati (art. 418);
attentato ad impianti di pubblica utilità (art. 420);
pubblica intimidazione (art. 421).
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Obbligatorietà della legge penale artt. 28 delle preleggi, 2 c.p.
S.
Il nostro diritto positivo dispone che la legge penale italiana obbliga tutti coloro che,
cittadini o stranieri, si trovano nel territorio dello Stato, salve le eccezioni stabilite dal
diritto pubblico interno o dal diritto internazionale.
Obbligazioni civili nascenti dal reato artt. 186-188 c.p.
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Dal reato derivano, oltre alla pena ed alle misure di sicurezza [vedi →], anche conseguenze di ordine civile: alcune di esse sono previste dal codice civile (es.: indegnità a
succedere), altre dal codice penale.
Le (—) disciplinate dal codice penale si distinguono in due gruppi: obbligazioni verso
lo Stato, nei cui confronti il condannato è obbligato al rimborso delle spese per il suo
mantenimento in carcere, e risponde di tale obbligazione con tutti i suoi beni, a norma
delle leggi civili; obbligazioni verso la vittima del reato, che consistono nelle restituzioni
e nel risarcimento del danno.
Secondo il primo comma dell’art. 185 c.p. ogni reato obbliga alle restituzioni, a norma
delle leggi civili.
Per restituzione si intende il ripristino della situazione di fatto preesistente al reato.
L’obbligo della restituzione sorge soltanto nel caso in cui una restituzione sia possibile
naturalisticamente e giuridicamente.
In base all’art. 187 c.p., l’obbligo della restituzione è indivisibile.
Per il secondo comma dell’art. 185 c.p. ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma
delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui.
Danno patrimoniale è l’offesa di un interesse patrimoniale, nei suoi due aspetti di
danno emergente (diminuzione del patrimonio) e lucro cessante (mancato guadagno
determinato dal fatto dannoso).
Danno non patrimoniale è la sofferenza fisica e psichica derivata dalla commissione del
reato, consistente nell’offesa, nell’angoscia, nel dolore, nel risentimento etc.
Tanto il danno patrimoniale che quello non patrimoniale, per essere risarcibili, devono
porsi in rapporto di immediatezza col reato, essere cioè legati ad esso da uno stretto
rapporto di causa ad effetto (art. 1223 c.c.).
Soggetto tenuto al risarcimento è il colpevole.
In caso di concorso di persone nel reato i concorrenti sono tenuti in solido (art. 1872 c.p.).
Creditore del rapporto obbligatorio di risarcimento del danno è il cd. danneggiato, che
può essere, anche, persona diversa dal soggetto passivo del reato.
V. anche pag. 93.
Oblazione artt. 162, 162bis c.p.
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Causa di estinzione del reato [vedi → Estinzione del reato e della pena (Cause di)] relativa
alle sole contravvenzioni che consiste nel pagamento di una somma di denaro (che ha
effetto di degradare il reato ad illecito amministrativo e, quindi, di estinguerlo), prima
dell’apertura del dibattimento o del decreto di condanna.
Nelle contravvenzioni punite con la sola ammenda (art. 162 c.p.), l’(—) ha luogo a
richiesta dell’interessato (il quale ha un vero e proprio diritto ad esservi ammesso),
e consiste nel pagamento di una somma di denaro corrispondente alla terza parte del
massimo della pena edittale.
Nelle contravvenzioni punite con pene alternative (arresto o ammenda) (art. 162bis c.p.),
è invece facoltà del giudice ammettervi o meno l’imputato che ne abbia fatto domanda:
il giudice, infatti, può sempre respingere con ordinanza la domanda quando ritenga il
fatto grave. Non è invece, ammessa l’(—) nel caso in cui la contravvenzione sia punita
con la pena congiunta dell’arresto e dell’ammenda.
Inoltre, l’(—) è per legge esclusa in caso di recidiva reiterata; se l’imputato è stato
dichiarato contravventore abituale oppure delinquente o contravventore professionale;
quando permangono conseguenze dannose o pericolose del reato eliminabili da parte
del contravventore.
L’(—), se l’imputato vi è ammesso, ha luogo mediante il pagamento di una somma di
denaro corrispondente alla metà del massimo dell’ammenda stabilita dalla legge per
la contravvenzione commessa, oltre le spese del procedimento. La metà del massimo
dell’ammenda deve essere depositata insieme alla domanda di (—).
O
Occultamento, custodia o alterazione di merci di trasporto
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p.
A
L’interessato può riproporla fino all’inizio della discussione finale del dibattimento di
primo grado.
Con sent. 29-12-1995, n. 530 la Corte Costituzionale ha dichiarato esperibile l’(—) anche
in fase dibattimentale, sancendosi, con ciò, l’illegittimità costituzionale:
— dell’art. 517 c.p.p., nella parte in cui non prevede la facoltà dell’imputato di proporre domanda di (—), ai sensi degli artt. 162-162bis c.p., relativamente al reato
concorrente contestato in dibattimento;
— dell’art. 516 c.p.p., nella parte in cui non si prevede la facoltà dell’imputato di proporre domanda di (—) relativamente al fatto diverso contestato in dibattimento.
Occultamento, custodia o alterazione di merci di trasporto art. 337bis c.p.
[vedi → pag. 120].
Occultamento di cadavere art. 412 c.p.
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Commette tale delitto chiunque occulta un cadavere o parte di esso, ovvero ne nasconde
le ceneri.
Discusso è se nella nozione di cadavere rientri anche il feto nato senza vita e lo scheletro.
Ceneri sono quelle risultate dalla combustione del corpo umano.
Il dolo è generico.
Relativamente ai rapporti tra il reato di occultamento di cadavere e quello di distruzione,
soppressione o sottrazione di cadavere (art. 411 c.p.), la giurisprudenza ha chiarito che
il reato in esame si caratterizza per il nascondimento temporaneo, mentre nell’ipotesi
di cui all’art. 411 c.p. il celamento è potenzialmente permanente.
Pena: Reclusione fino a 3 anni.
se
Occultamento di stato di un fanciullo legittimo o naturale riconosciuto
art. 568 c.p.
[vedi → pag. 162].
Offendicula art. 51 c.p.
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Es
Si sostanziano nei mezzi atti ad offendere predisposti dal proprietario per difendere
i propri beni personali o patrimoniali, dotati di potenzialità offensiva indiscriminata
(es.: cancelli con punte acuminate, frammenti di vetro sul bordo del muro di cinta,
cani da guardia).
La predisposizione degli (—) è lecita ove il mezzo sia proporzionato al bene da difendere, consenta di salvaguardare in modo adeguato l’incolumità dei terzi non aggressori,
non sia particolarmente lesivo dell’integrità fisica e ne sia adeguatamente segnalata
l’automatica operatività.
La non punibilità delle offese cagionate dagli (—) è spiegata attraverso il riferimento
alla causa di giustificazione dell’esercizio del diritto [vedi →], nel caso in cui siano lesi
terzi non aggressori, nonché alla causa della legittima difesa [vedi →], nel caso in cui
ad essere lesi siano gli aggressori.
Offensività [principio di] arg. artt. 25, 27 Cost.; art. 49 c.p.
C
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In base al principio di (—) il reato deve caratterizzarsi nell’offesa ad un bene giuridico
[vedi →]; non si può infatti concepire un reato senza offesa: nullum crimen sine iniuria.
Tale principio, che presuppone ed integra il principio di materialità [vedi →], esclude la
punibilità di fatti che, pur presentandosi conformi alla fattispecie legale, sono concretamente inoffensivi del bene protetto (es.: casi di tipicità apparente, quali il furto di un
acino d’uva o di un chiodo, i falsi grossolani o innocui). Mentre il principio di materialità
si desume dall’art. 25 Cost., il quale parla di punibilità per il fatto commesso, il principio
di (—) si evince dall’art. 492, che esclude la punibilità del cd. reato impossibile [vedi →
Impossibile (Reato)] e dagli artt. 25 e 27 Cost., che assegnano alla misura di sicurezza
(e non alla pena) il compito di punire i fatti di mera pericolosità sociale. In base a tali
norme si è perciò affermato che la nozione di reato come illecito tipico ricomprende,
assieme agli altri requisiti strutturali (condotta, evento naturale, rapporto di causalità)
il requisito, anch’esso essenziale, dell’offesa al bene tutelato.
V. anche pag. 11.
Oltraggio a un magistrato in udienza art. 343 c.p.
Risponde di tale reato chiunque offende l’onore o il prestigio di un magistrato in udienza.
Il reato appartiene alla categoria dei delitti contro la P.A.
Scopo della norma è tutelare l’onore e il prestigio di un magistrato in udienza, considerando la particolare importanza della funzione da lui esercitata.
253
p.
Col termine magistrato si intende ogni pubblico ufficiale che esercita, singolarmente o
collegialmente, una funzione giudiziaria, sia essa giurisdizionale in senso proprio che
requirente, ordinaria o speciale, in corpi omogenei o misti.
Udienza è quella fase del processo, normalmente pubblica, che si svolge nel contraddittorio delle parti, anche virtuale (es. procedimento in contumacia, udienza e istruttoria).
Il dolo consiste nella coscienza e volontà dell’offesa, accompagnata dalla consapevolezza
della qualifica del soggetto offeso.
S.
Pena: Reclusione fino a tre anni.
Omessa denuncia di reato artt. 361-364 c.p.
[vedi → pag. 123].
Omicidio artt. 575, 584, 589 c.p.
[vedi → pag. 165].
i
Omicidio del consenziente art. 579 c.p.
Es
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Tale reato consiste nel cagionare la morte di un uomo con il suo consenso.
Scopo della norma è tutelare il bene della vita anche là dove sia la stessa vittima a
consentire a che altri lo uccida. Tale norma evidenzia quindi il carattere indisponibile
del bene della vita.
Elemento costitutivo del delitto in esame è poi il consenso della vittima alla propria
uccisione; esso dev’essere serio, esplicito, non equivoco, incondizionato e senza riserve,
nonché perdurare fino al momento in cui l’agente commette il fatto: fino a tale momento
il consenso può sempre essere revocato.
Non è richiesta alcuna forma particolare nella prestazione del consenso (è sufficiente
il semplice permesso verbale).
La fattispecie è ugualmente configurabile nel caso in cui l’agente abbia ritenuto per
errore esistente il consenso, ovvero valido un consenso invalido, ovvero ancora in caso
di ignoranza della sussistenza del consenso della vittima.
Il consenso è inefficace se è prestato da un minore degli anni 18; da persona inferma di
mente o comunque incapace di intendere e di volere; se è estorto con violenza, minaccia
o inganno. In questi tre casi il cagionare volontariamente la morte integrerà gli estremi
dell’omicidio doloso.
Il dolo consiste nella coscienza e volontà di cagionare la morte, nella consapevolezza
di agire con il consenso della vittima [vedi → Eutanasia].
[vedi → pag. 28].
©
Pena: Reclusione da 6 a 15 anni.
Omissione artt. 40-43 c.p.
ht
Omissione e rifiuto di atti d’ufficio art. 328 c.p.
[vedi → pag. 119].
Omissione di referto art. 365 c.p.
ig
[vedi → pag. 123].
Omissione di soccorso art. 593 c.p.
[vedi → pag. 170].
Onore [causa e delitti di] artt. 551, 578, 587, 592 c.p. (abrogati)
op
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La causa d’(—) era presa in considerazione da talune norme del codice penale che
punivano con minor rigore determinati comportamenti delittuosi allorché il soggetto
avesse agito in presenza della causa suddetta.
Alla luce del mutato sistema di valori etico-sociali la causa d’(—) ha perso rilievo ai
fini penali e, di conseguenza, il legislatore ha finito con l’abrogare le relative fattispecie
criminose con due successive leggi (194/78 e 442/81).
I delitti di (—) non vanno confusi con i delitti contro l’(—) [vedi → Ingiuria; Diffamazione], che sono tuttora perseguiti dal codice penale.
Ordine illegittimo vincolante
C
[vedi → pag. 50].
A
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Ordine illegittimo vincolante
O