TEATRO DEL LEMMING
ODISSEO
Viaggio nel teatro
CONTATTI:
Diana Ferrantini
cell: 0039 3200441174
mail: [email protected]
web: www.teatrodellemming.com
www.youtube.com/teatrodellemming
www.myspace.com/teatrodellemming
Teatro del Lemming
ODISSEO
Viaggio nel teatro
con
Chiara Elisa Rossini, Diana Ferrantini, Fiorella Tommasini, Alessio Papa, Boris Ventura,
Marina Carluccio, Maria Grazia Bardascino, Cristina Barbiero, Katia Raguso
costumi
Genny
collaborazione drammaturgica
Roberto Domeneghetti
musica e regia
Massimo Munaro
Scheda Artistica
in fondo il migliore modo di viaggiare è sentire
Sentire tutto in tutti i modi
Dopo EDIPO, DIONISO e AMORE E PSICHE, il
lavoro su ODISSEO si propone come ultima
tappa di un progetto che si è configurato
propriamente come una tetralogia sul mito e
sullo spettatore.
In questo spettacolo la relazione diretta attori
e spettatori è portata, dopo che i lavori
precedenti presupponevano la partecipazione
di un numero molto ristretto di spettatori
(rispettivamente: uno, nove e due), ad una
partecipazione più vasta: 33 spettatori
rimandano contemporaneamente anche ad
una identità, quella di Odisseo, che, come
quella dello spettatore teatrale, non può che
darsi come molteplice e multiforme.
In questo senso la percezione complessiva
dell’evento, pur premiando la percezione di
ogni singolo partecipante, è finalizzata al corpo
totale degli spettatori: propriamente il corpo
di Odisseo.
Il suo corpo è stato, come il nostro, ferito. Ma
la sua ferita si è fatta cicatrice.
Il viaggio del nostro eroe è un viaggio circolare
che presuppone una partenza ed un ritorno:
da Itaca a Itaca. Questo viaggio possiede di
fatto, piuttosto che uno svolgimento lineare, un andamento sincronico: tutto accade sempre
contemporaneamente. Come in un sogno. Nel Mare come nel Teatro non esiste un centro. E il
Mare, come il Teatro, non lascia tracce. Ma il Teatro è forse l'unico luogo al mondo in cui - come
per Odisseo il Mare - ciascuno di noi può reincontrare i propri fantasmi e riconquistare così la sua
Itaca.
Metafora di un teatro che può essere non solo subito ma anche attraversato compiutamente e a
cui tornare diversi eppure uguali.
Lo spettacolo prevede l’ingresso di trentatre spettatori per volta
ed è replicabile tre volte al giorno.
Durata di ogni replica: 1 h
Scheda Tecnica
1) CARATTERISTICHE DELLO SPAZIO SCENICO
•
•
•
•
•
Spazio centrale ampio, misure ottimali 10 m. x 20 m. ca., con alcune stanze attigue di varia
metratura (es. camerini, bagni, ripostiglio, etc.) anch’esse utilizzabili come spazio scenico.
Se lo spazio è un teatro, anche la platea o la gradinata verrà utilizzata come spazio scenico
per attori e spettatori.
Oscurabilità totale dello spazio scenico (l’oscuramento è a carico dell’organizzazione)
E’ necessario un sopralluogo per definire l’adattabilità dello spazio
Se all’aperto lo spazio deve essere comunque lontano da luoghi illuminati e rumorosi
Se si tratta di uno spazio teatrale, possibilità di ancorare il fondale a due metri
dall’eventuale muro di fondo in modo da ricavare un’altra stanza come spazio scenico
(l’ideale sarebbe utilizzare un doppio fondale).
2) TEMPO DI MONTAGGIO E SMONTAGGIO:
• Disponibilità dello spazio scenico per l’allestimento e le prove dalla mattina del giorno di
spettacolo.
• Lo smontaggio è previsto al termine dell’ultima replica (tempo indicativo: 2 ore).
3) MATERIALE AUDIO
• Impianto audio con 4 casse da 500 watt ognuna
• 1 CD
4) PERSONALE RICHIESTO
PER IL MONTAGGIO E LO SMONTAGGIO:
• 1 tecnico fonico-elettricista solo per il montaggio dell’impianto
• 1 macchinista per l'eventuale montaggio di quinte
PER L'ENTRATA E L'USCITA DEGLI SPETTATORI
• 1 maschera
5) ALTRO
• E’ vietato fotografare o videoriprendere lo spettacolo.
• All’entrata agli spettatori verrà chiesto di togliersi le scarpe, giacche e orologi.
• Si usano candele su portacandela e lumini
Estratti Rassegna Stampa
Il Messaggero, 18 agosto 2000, (Gian Maria Tosatti)
“Odisseo del Teatro del Lemming è una lunga e folgorante
emozione che assale lo spettatore con la violenza di un’onda
solitaria che in una notte calma come il mare d’estate ti
scaraventa verso l’abisso tra correnti irresistibili e mostri delle
profondità, per poi lasciarti risalire lentamente verso la
superficie piatta incredulo e quasi disorientato […]. E’ un
teatro che azzera il distacco tra spettatori e spettacolo, che
annulla i ruoli per reinventarne altri, per dire al pubblico: “tu
sei Ulisse” e chiedergli di viaggiare, carico delle colpe
dell’eroe acheo e dei tormenti personali, attraverso cento
diverse odissee, quant’è il numero degli spettatori. E’ il teatro
da essere, non quello da vedere, in cui lo spettacolo deve
significare esperienza dialettica, dinamica, fisica, sensoriale.
Un teatro che parla alle emozioni, che chiede libere
associazioni al pubblico e al testo [...]. Una poetica
impegnativa, quella del Lemming, sostenuta da un lavoro
tecnico colossale sulle rigorose partiture per i bravissimi attori
[…] e sullo studio meticoloso dello spazio che qui si moltiplica
in tre diversi percorsi simultanei, che troveranno la loro unità
solo nella consultazione finale degli spettatori attorno a un
banchetto di frutta e vino”.
Il Gazzettino, 9 settembre 2000, (Gian Antonio Cibotto)
“Vale la pena di sottolineare il ruolo assegnato a chi assiste, coinvolto nell’azione che successivamente passa dal
palcoscenico alla platea ai palchi, perché, rispetto al passato, stavolta gli spettatori sono divenuti un centinaio, quasi a
sottolineare che il teatro è tornato, nella nuova proposta di Munaro, ancora luogo d’incontro, dove, però, il messaggio
diventa un’esperienza prima che cognitiva, essenziale ed organica. Fatta assistendo al racconto imbastito sulla
partenza ed il ritorno di Odisseo da Itaca a Itaca, proposto in termini sensoriali, con andamento sincronico. Non si
pensi per questo che un itinerario sensoriale imperniato sulla funzione del corpo, più che sulla scansione di frasi
evocanti la poesia epica, si riduca ad un gioco intellettualistico. Al contrario riesce ad offrire una molteplicità di
suggestioni che, con il fluire dei minuti, diventano sempre più suggestive, quasi un crescendo che non accusa
sbandamenti. Insomma il risultato è stato un coinvolgimento, emotivo, al quale hanno recato un contributo decisivo la
bravura degli attori, degni tutti di elogio, e la consumata esperienza dell’autore-regista Massimo Munaro, alla fine
vivamente applauditi dal pubblico”.
Il Gazzettino di Rovigo, 9 settembre 2000, (Paolo Biscaro)
[…]. Ci si trova immersi subito nelle aspre sonorità del mediterraneo riprodotte dalle voci degli attori, che investono il
pubblico nel buio del palcoscenico, mentre i movimenti veloci degli attori che si insinuano fra gli spettatori danno il
senso della tempesta, del mare che si gonfia fino a schiacciarti contro il cielo […]. Ulisse diventa ognuno degli
spettatori, con tutto il carico emotivo, sensoriale, fisico e mentale che ciò comporta. A questa potente fascinazione
contribuisce lo studio meticoloso delle partiture dei 21 attori in scena dello spazio che qui si verticalizza e delle
sonorità”.
Prima Fila, ottobre 2000, (Paolo Ruffini)
“Lo spazio di Odisseo questa volta è aperto, disorientante come il viaggio misterico che lo nomina, cento spettatori
confusi nel selciato, tra i ruderi, il mare e la terra del buio, sul palcoscenico-Itaca con gli attori-proci: loro sono la
parola che concupisce e ancora un corpo che trattiene, che oltrepassa il limite del separato ordine del teatro, un corpo
che sfiora e desidera sentirsi toccare, libera frasi a ripetizione casualmente destinate a questo o a quello spettatore,
mentre superate le resistenze (il buio, appunto, e la sorpresa stimolata dall’incessante cambio di direzione) questi
intuisce che lui è il soggetto dello spettacolo, protagonista parcellizzato dell’eterno ritorno a casa, l’Odisseo nei volti
degli altri novantanove. Divisi per gruppi gli spettatori attraversano un solo tracciato, una possibilità a caso tra le
possibilità del ritorno che si incrociano ma sostanzialmente rimangono indipendenti, precipitando nei luoghi,
incontrando alcuni dei personaggi, o meglio delle situazioni sceniche che danno il senso (suoni, odori e pulsioni) al
personaggio, per tornare infine nell’originario spazio del teatro romano (ma lo spettacolo è previsto anche nella sua
versione al chiuso), dove un banchetto invitante riconcilia gli animi di chi aveva sperato in una totale immersione nel
non conosciuto, forse in una violenta sterzata. […] ben condotto dalla mano del regista e in cui distinguiamo la prova
degli attori storici da quella delle giovani leve; certamente gli riconosciamo il particolare linguaggio scelto”.
Golem, 16 febbraio 2001, (Antonio Calbi)
“ […]. La ‘drammaturgia dei sensi’ esplorata dal Teatro del Lemming di Rovigo in una tetralogia della quale
protagonista è questa volta il corpo dello spettatore: in Edipo un solo spettatore per volta, privato della vista
attraverso una benda, è sollecitato attraverso gli altri sensi in un vero e proprio percorso di esperienza che lo vede
protagonista, accompagnato, o meglio manipolato, da dieci attori che si muovono in sua funzione. Questa funzione
rituale del teatro torna in Dioniso, nel quale da uno spettatore si passa un piccolo gruppo di partecipanti in un sabba
quasi orgiastico; mentre in Amore e Psiche è una coppia, uomo-donna, la protagonista di un’esperienza, ancora una
volta emotivamente spiazzante, per finire con Odisseo dove il rito si estende ad una piccola comunità”.
La Nuova Venezia, 20 febbraio 2001, (Roberto Lamantea)
“Nessuno come Massimo Munaro e il Teatro del Lemming riesce
a elidere il confine tra corpo e immaginario, tra carne e nebbia, a
trasformare lo spettatore in attore di un evento che egli vive ma
da cui esce come avesse sognato. L’ultimo titolo della tetralogia
sul mito del gruppo di Rovigo, Odisseo, è stato nei giorni scorsi al
Teatro del Parco di Mestre per ‘Fuori contesto’ […]. Il nuovo
viaggio di Ulisse è onirico, più rarefatto, più raffinato. E’ tutto in
quello spazio buio-il teatro-mare, il teatro dell’inconscio di ogni
spettatore, dell’io e della memoria […]. Un’ipnosi, forse:
Penelope, Nausicaa, Atena, Achille, Eolo, le Sirene: sono quelle
figure, quegli uomini nudi, quelle ragazze velate dalla tunica
leggera? E’ un contagio mimetico: anche gli spettatori hanno
gesti lenti, come una danza. Fino a quando, di nuovo con le
lanterne dalle nostre dita, siamo indecisi se seguire là in alto
quelle figure: le scopriamo dormienti, o forse tornate alla loro
dimensione di icone […]. All’uscita, il buio della città è popolato
di rumori, le luci sono affilate. Senti ancora il profumo di tutti gli
spettacoli del Lemming: spezie, come l’aroma di un amore […].
Gruppo tra i più intelligenti del teatro italiano (avanguardia?) il
Lemming esplora i luoghi dove il Living di Julian Beck si era
fermato: va oltre il contatto tra attori e spettatori, non gioca su
un banale scambio di ruoli, non fa psicodramma. Siamo nel grande ventre del teatro, nella conca di ogni possibile,
siamo noi coro e sguardo, spettatori anche con gli antichi sensi perduti del profumo, del tatto, dei sapori. Il teatro è
corpo vivo”.
La Gazzetta di Parma, 27 febbraio 2001, (Valeria Ottolenghi)
“In Odisseo, ultimo evento della tetralogia ‘dei sensi’ del Lemming, il pubblico vive in simultanea, quale unità/eroe, le
avventure di Ulisse, esperienza rinnovata sulla scena del sogno, in Itaca ritrovata, come smarrendosi in più incontri,
rievocazioni della memoria, la morte di Ettore e il gioco di Nausicaa, avvertendo la presenza di Telemaco, Eolo,
Circe…[…]. L’ingresso, per rivivere come esperienza frantumata la peregrinazione di Ulisse, avviene nella penombra, le
ombre della memoria/attori del Lemming e alcuni degli spettatori/Odisseo con alcune fioche lanterne in mano. Ci si
trova smarriti sul palcoscenico approdando in porti/incontri sempre nuovi, trascinati lontano, catturati con forza,
attratti con delicatezza, da diverse figure che appaiono e scompaiono nell’oscurità del ricordo. Non c’è distinzione tra
realtà e finzione: tutto diviene esperienza. E quindi anche scelta: si entra nel simbolico mare/palcoscenico mentre si
cerca la via per tornare a casa […]. Odisseo non può dimenticare che, al di là dell’Ade o dei Feaci, ovunque, sempre, si
combatte: ecco, anche nella propria isola, contro i Proci…Si può dunque finalmente restare, raggiunta con gioia la
propria casa, ripreso il potere? Gli ospiti di quel viaggio possono scegliere, come Ulisse in quel momento, e come
sempre ogni persona nella vita, tra il piacere della serenità, della quiete familiare e il bisogno di scoprire, andare o
restare, la casa o l’avventura…
L’Alto Adige, 27 luglio 2001, (Emilio Guariglia)
“[…] l’affascinante Odisseo del Teatro del Lemming, vissuto da trenta spettatori per volta è la tappa conclusiva di una
tetralogia del mito con la quale il Lemming ha inventato un nuovo rapporto di fruizione dell’evento teatrale, in cui lo
spettatore è chiamato a mettere in gioco anche il suo corpo e con esso gli angoli meno frequentati della sua psiche
[…]. Gli spettatori indossano il corpo di Odisseo, e con esso affrontano i fantasmi senza pace delle vittime di Troia, ma
anche Circe, Nausicaa, Poliremo, i Lotofagi…Resi quasi inermi dal buio magnifico e spettrale che regna nell’antica
fortezza, i trenta Odissei vengono presi, carezzati, colpiti, tirati, scrutati dagli interlocutori, in un continuo gioco di
seduzione e abbandono, al quale si può reagire con paura, diffidenza, o con un irresistibile desiderio di lasciarsi
andare. Sempre in bilico, proprio come Odisseo, tra la voglia di fermarsi e conoscere fino in fondo, fino all’estrema
soglia del pericolo, e il pensiero costante della propria diversità, della propria nostalgia di casa. E quando alla fine […]
si riacquisisce il proprio corpo e il proprio ruolo, la gioia dell’approdo resta offuscata da un velo di nostalgia. Il cerchio
si chiude. Uguali a prima di essere entrati, eppure diversi. Come al ritorno da un lunghissimo viaggio, quando ci si
chiede “oddio, resto o riparto?”.
TerzoOcchio (2001) (Giorgio Sebastiano Brizio)
“[…]Nell’Odisseo per cento spettatori il regista Munaro immagina un Ulisse Joycianamente proteso a rincorrere Najadi
e Sirene in un vortice allusivo delle distrazioni che la carne tentatrice ti porta a compiere in uno stordimento di pungoli
che, sebbene reichianamente stimolanti, tendono quasi a sovrastare, obnubilare, l’entità prima, il raggiungere gli
affetti a Itaca, di un Ulisse forse stufo di resistere, di combattere una guerra non sua, di riportare a casa una fedifraga,
causa futile di una belligeranza di conquista”.
La Stampa, 30 marzo 2002 (Osvaldo Guerrieri)
Teatro dei sensi è quello che il Lemming sviluppa e propone con ammirevole coerenza. Un teatro nel quale udito,
tatto, odorato, gusto hanno un assoluto valore espressivo ed evocativo. Gli spettatori (trenta a rappresentazione)
diventano i protagonisti di una vicenda che rievoca l’inesausto viaggio di Odisseo verso Itaca, ma è anche il lampo
dell’inatteso, l’incontro con l’eros e con la mostruosità, la memoria, la nostalgia, la violenza, la morte. […] Nel nostro
smarrimento non possiamo non essere fiduciosi. Odisseo siamo noi e, come l’eroe raccontato da Omero, dipendiamo
da tutto ciò che ci accade intorno, non possiamo fare a meno di chi ci stringe la mano o si stringe a noi per dirci
qualcosa, per giocare, per rivelarci un segreto, per trascinarci nelle morbidezze della sensualità. In questo modo,
attore e spettatore diventano tutt’uno. Necessari l’uno all’altro, creano una figura sintetica che ha nell’amalgama la
propria giustificazione. […] Il Lemming ci mostra ancora una volta la riva estrema del teatro. Ce la mostra con grazia,
con poesia e con un rigore così privo di narcisismi da rifiutare persino gli applausi finali. Infatti, così come erano
apparsi, i dieci attori diretti da Massimo Munaro alla fine scompaiono, inghiottiti dal buio. Magnifico.