1 GEOMETRIA EUCLIDEA GEE 1. L'assioma della parallela. Il sistema { A1, … , A7 } definisce la geometria metrica assoluta del piano Π. Introduciamo ancora un assioma. A8 Assioma della parallela Data una retta r e un punto P ∉ r, esiste una e una sola retta passante per P parallela a r. Il sistema { A1, … , A8 } definisce la geometria euclidea del piano Π. Da qui deriva, il nome di piano eucli deo che comunemente si dà all'insieme Π. Vediamo subito una prima importante conseguenza dell'A8. La relazione di parallelismo in è una relazione di equivalenza. Dobbiamo provare che, per ogni r, s, t ∈ : Dim. a r // r b r // s c ( r // s ∧ s // t ) (proprietà riflessiva) s // r (proprietà simmetrica) r // t (proprietà transitiva) − Le proprietà a e b sono contenute nella definizione stessa di parallelismo. − Per assurdo, se r e t fossero incidenti, per il loro punto d'intersezione P passerebbero due rette parallele a s. Questo, per l'A8, non può verificarsi. Quindi c. La relazione di parallelismo in determina allora una partizione di dice una direzione. Una retta qualsiasi r ∈ direzione di tutte le sue parallele. in classi di equivalenza. Ogni classe si individua così una direzione [r], che è la sua direzione, ed è la 2. Il rapporto di proiezione DEF Dato un insieme piano ℑ e una retta x, si chiama proiezione ortogonale di ℑ su x, l'applicazione prx: ℑ → x che ad ogni punto P ∈ ℑ fa corrispondere il punto P'∈ x a distanza minima da P. Il punto P' a distanza minima da P è il punto d'intersezione della perpendicolare alla retta x condotta per P (fig.1). Il punto P' = prx(P) si dice proiezione ortogonale di P su x. ℑ r P (fig.1) (fig.2) P x x P' P' In particolare, se l'insieme che si proietta è una retta r non perpendicolare a x, allora prx è un'applicazione bijettiva di r in x (fig.2); se invece r ⊥ x, allora prx è un'applicazione costante. Le seguenti definizioni ci saranno utili in seguito. Consideriamo un angolo colare in O al lato inclusa nel semipiano di origine Ô e sia y la semiretta perpendi che include n. Ora, se n = y, l'angolo Ô è, come sap piamo, retto (fig.3); se il lato n è interno all'angolo Ôy, l'angolo Ô si dice acuto (fig.4); infine, se il lato esterno all'angolo Ôy, l'angolo Ô si dice ottuso (fig.5). è 2 y y n =y n O n O Ô è retto (fig.3) O è acuto (fig.4) Ô Ô è ottuso (fig.5) Ciò premesso, vale la seguente importantissima proposizione che, per brevità, ci limitiamo ad enunciare. Sia Ô un angolo acuto. Per ogni P∈ n, se P' = pr (P) , allora esiste uno e un solo numero reale k ≥ 0 tale che: OP ′ = k ⋅ OP (1) Il numero reale k prende il nome di rapporto di proiezione di n su O punto di n che si proietta: = (fig.6). Tuttavia, se immaginiamo di variare il lato Di più, il teorema vale anche quando n ⊥ OQ′ OQ P n . La chiave di questo teorema è che k è costante, cioè non dipende dal OP′ OP Q P' Q' = ... = k . (fig.6) n tenendo fisso il vertice O, varierà anche k. o n = . Nel primo caso, ogni punto di n si proietta in O e la (1) va le per k = 0; nel secondo, ogni punto di n si proietta su se stesso e la (1) vale per k = 1. In tutti gli altri casi, essendo OP ′ < OP , risulta k < 1. Quindi k ∈ [ 0, 1 ]. Infine, si dimostra che il rapporto di proiezione di n su è uguale al rapporto di proiezione di su n . Sul rapporto di proiezione si basa una delle numerose dimostrazioni del famoso teorema di Pitagora. Prima di enunciarlo, ricordiamo che si chiama triangolo rettangolo ogni triangolo che ha un angolo retto. I lati adiacenti all'angolo retto si dicono cateti, il lato opposto si dice ipotenusa. Gli angoli adiacenti all'ipote nusa sono angoli acuti. In un triangolo rettangolo, il quadrato della lunghezza dell'ipotenusa è uguale alla somma dei quadrati delle lunghezze dei cateti. Dim. Il triangolo ABC abbia l'angolo retto in A e sia H la proiezione ortogonale di A sulla semiret ta BC (qui con la notazione BC indichiamo la semiretta di origine B passante per C). A A (fig.7) (fig.8) B H C B H C Sia k il rapporto di proiezione della semiretta BC sulla semiretta BA (fig.7). Se proiettiamo il punto C sulla semiretta BA, si ottiene: BA = k ⋅ BC . Se proiettiamo il punto A sulla semiretta BC, si ottiene: BH = k ⋅ BA (1) (2) e, sostituendo nella (2) il valore di BA dato dalla (1), si deduce: BH = k2 ⋅ BC . (3) 3 Sia k' il rapporto di proiezione della semiretta CB sulla semiretta CA (fig.8). Se proiettiamo il punto B sulla semiretta CA, si ottiene: (4) CA = k' ⋅ CB . Se proiettiamo il punto A sulla semiretta CB, si ottiene: (5) CH = k' ⋅ CA e, sostituendo nella (5) il valore di CA dato dalla (4), si deduce: CH = k'2 ⋅ CB . (6) Poiché H appartiene alla semiretta BC e anche alla semiretta CB, H sta fra B e C. Allora: (7) BC = BH + CH e, sostituendo nella (7) i valori di BH e di CH dati dalla (3) e dalla (6), si deduce: BC = k2 ⋅ BC + k'2 ⋅ BC . (8) Da questa, moltiplicando membro a membro per BC , si ricava: BC 2 = k2 ⋅ BC 2 + k'2 ⋅ BC 2 (9) e, tenendo conto della (1) e della (4), si ottiene: BC 2 = BA 2 + CA 2 che è la tesi del teorema di Pitagora. Notiamo che dalla (8), dividendo ambo i membri per BC , si ottiene l'interessante relazione che lega i due rap porti di proiezione: k2 + k'2 = 1. 3. Gli assi cartesiani Fissato nel piano Π un punto O, siano X e Y due rette qualsiasi incidenti in O e fra loro ortogonali. Ad ogni P ∈ Π possiamo far corrispondere i punti P' = prX(P) e P" = prY(P). Viceversa, data una coppia di punti, P' ∈ X e P"∈ Y, esiste uno ed un solo punto P tale che prX(P) = P' e prY(P) = P" (fig.9). Y (fig.9) P" • O P P' X Assegnato un verso su X e un verso su Y, per l'A5 risulta fissato, tanto su X quanto su Y, un sistema di coor dinate di origine O. Allora indicata con x la coordinata di P' su X e con y la coordinata di P" su Y, risulta an che definita un'applicazione bijettiva: Φ : P∈Π (x, y) ∈ IR2. I numeri reali x e y si dicono le coordinate di P. In particolare, x si dice ascissa e y ordinata. Per indicare che il punto P ha ascissa x e ordinata y, scriveremo P(x, y). L'applicazione Φ prende il nome di riferimento cartesiano ortogonale OXY. Il punto O è chiamato origine del riferimento; le rette X e Y si dicono assi cartesiani. In fig.9 possono essere facilmente individuati alcuni sottoinsiemi notevoli di Π. 4 P(x, y) appartiene al … se (x, y) appartiene a … primo quadrante IR+× IR+ secondo quadrante IR−× IR+ terzo quadrante IR−× IR− quarto quadrante IR+× IR− semipiano delle ordinate positive IR × IR+ semipiano delle ordinate non negative semipiano delle ordinate negative IR × IR 0+ IR × IR− asse delle ascisse IR × {0} asse delle ordinate {0} × IR Il punto O (origine degli assi) ha coordinate (0,0). 4. Distanza fra due punti Fissato nel piano Π un riferimento cartesiano ortogonale OXY, consideriamo i punti P(x1,y1) e Q(x2,y2). Y y1 = y2 O Y (fig.10) P x1 Q x2 y2 Q y2 y1 P y1 O X Y (fig.11) x1 = x2 X O (fig.12) Q P R x1 x2 X Se y1 = y2 (fig.10), P e Q si trovano su una retta parallela all'asse X; se invece x1 = x2 (fig.11), tali punti si trovano su una retta parallela all'asse Y. Nel primo caso è PQ = x2 − x1; nel secondo PQ = y2 − y1. Se y1 ≠ y2 e x1 ≠ x2 (fig.12), costruiamo il triangolo rettangolo RQP, con il cateto [PR] parallelo all'asse X e il cateto [RQ] parallelo all'asse Y. Per il teorema di Pitagora, si ha: 2 da cui, essendo: 2 si deduce: 2 PQ = PR + RQ PR = (x2 – x1) PQ = 2 2 2 , RQ = (y2 – y1)2 (x 2 − x1 )2 + ( y 2 − y1 )2 (1) La distanza dall'origine O di un punto P(x, y), ancora per il teorema di Pitagora, è data da: OP = x2 + y2 (2) Se P ha coordinate (x, 0), cioè se P ∈ X, dalla (2) segue subito: OP = x 2 = x. (3) Infine, se P ha coordinate (0, y), cioè se P ∈ Y, risulta OP = y. La (1), che esprime la distanza fra due punti mediante le coordinate, è di grande interesse. Essa permette intanto di descrivere in termini algebrici la circonferenza. 5 Y Assegnata una circonferenza T di centro C ( h, k ) e raggio r ( fig. 13 ), vogliamo determinare una equazione che risulti sod disfatta dalle coordinate di tutti e solo i punti di T . A tale scopo osserviamo che un punto P(x, y) appartiene a T se e solo se la distanza di C da P è uguale a r. Facendo interveni T 2 PC = (x – h) + (y – k) • P(x, y) re, per semplicità, il quadrato della distanza, per la (1) si ha: 2 C k h O 2 X (fig.13) 2 da cui, essendo PC = r 2 , si deduce: 2 2 (x – h) + (y – k) = r 2 (4) chiamata equazione cartesiana della circonferenza T. Come si vede, abbiamo operato una specie di traduzione da un linguaggio ad un altro: dal linguaggio della geometria al linguaggio dell'algebra. 5. Simmetrie nel piano cartesiano Con l'espressione piano cartesiano intendiamo, da ora in poi, lo stesso piano euclideo sul quale sia stato fis sato un riferimento cartesiano ortogonale OXY. In questo paragrafo, vediamo come sia possibile "trasferire" al piano cartesiano alcune semplici isometrie. Fissiamo, dunque, in Π un riferimento cartesiano ortogonale OXY. Dato un punto P(x, y), vogliamo determinare le coordinate (x', y') del punto P' simmetrico di P rispetto all'asse Y. In primo luogo, è chiaro che l'ordinata non cambia, y' = y, perché P e P' si trovano sulla stessa perpendico lare all'asse Y (fig.14). Per determinare l'ascissa di P', proiettiamo P e P' sull'asse X ottenendo i punti di ascis sa x e x' rispettivamente. Trattandosi di un'isometria, deve essere x' =x, poiché detti punti hanno la stes sa distanza dall'origine O. Di più, essi si trovano su semirette opposte rispetto ad O; quindi le loro ascisse hanno segni opposti: x' = −x. Le uguaglianze x' = −x e y' = y si dicono le equazioni (cartesiane) di y. ∴ È y : x′ = − x y′ = y ovvero y x′ y′ : −1 0 = 0 1 x ⋅ y . (1) Dato un punto P(x, y), vogliamo determinare le coordinate (x', y') del punto P' simmetrico di P rispetto all'asse X. In questo caso (fig.15), le ascisse dei punti P e P' sono uguali, mentre le ordinate sono opposte. Allora, le equazioni di X sono x' = x e y' = −y. ∴ È X : x′ = x y′ = − y ovvero X : x′ y′ = 1 0 0 −1 ⋅ x y . (2) Y P' x' P O (fig.14) x P y X x' X y' P' (fig.15) P y P' O y' (fig.16) x X 6 Dato un punto P(x, y), vogliamo determinare le coordinate (x', y') del punto P' simmetrico di P rispetto all'origine degli assi. Si tratta di determinare le equazioni della simmetria centrale di centro O (fig.16). Sappiamo che O X. Y O: x′ y′ = Allora, come subito si riconosce, si ha: 1 0 ∴ È −1 0 ⋅ 0 −1 O 0 ⋅ 1 x y x′ = − x y′ = − y : = 1 0 0 −1 ovvero O −1 0 ⋅ ⋅ 1 1 x′ y′ : x y −1 0 x ⋅ 0 −1 y = −1 0 x ⋅ 0 −1 y = . . (3) Dato un punto P(x, y), vogliamo determinare le coordinate (x', y') del punto P' simmetrico di P rispetto a una retta r //Y. Una retta r parallela all'asse Y è il luogo di tutti e solo i punti che hanno la stessa ascissa h, ∀h ∈ IR: r= { P(x, y) / x = h, ∀h ∈ IR }. L'uguaglianza x = h si dice equazione (cartesiana) della retta r. Per indicare che la retta r ha equazione x = h, scriviamo, brevemente, r : x = h. Risulta y' = y, perché P e P' si trovano sulla stessa perpendicolare all'asse Y (fig.17). Siano P1 = prX(P), P'1 = prX(P') e sia H il punto di coordinate (h, 0) in cui la retta r taglia l'asse X. Si ha subito P1H = P1′H . Ma P1H =x − h, P1′H = x' − h. Ne segue che i numeri x − h e x' − h, avendo lo stesso valore assoluto, o sono uguali o sono opposti fra loro. Il primo caso si realizza solo se x' = x; ma allora P coincide rebbe con P' ed entrambi dovrebbero appartenere all'asse r. Nel secondo caso, quello che qui ci interessa, si ha x – h = −(x' − h), da cui si ricava x' = −x + 2h. ∴ Y r P' È r : x′ = − x + 2h y′ = y ovvero r x′ y′ : − 1 0 2h = 1 0 ⋅ y 0 0 1 1 Y P r (fig.17) s P' O X P1 P M P' P'1 (4) K s O . 1 Y P x 0 O X X H (fig.18) (fig.19) Dato un punto P(x, y), vogliamo determinare le coordinate (x', y') del punto P' simmetrico di P rispetto a una retta s //X. Una retta s parallela all'asse X è il luogo di tutti e solo i punti che hanno la stessa ordinata k, ∀k ∈ IR: s= { P(x, y) / y = k, ∀k ∈ IR }. L'uguaglianza y = k è, allora, l'equazione della retta s, indicata scrivendo s : y = k. Ora (fig.18), le ascisse dei punti P e P' sono uguali, x' = x. Quanto alle ordinate, con qualche passaggio si trova y' = −y + 2k. ∴ È s : x′ = x y′ = − y + 2k ovvero s : x′ y′ 1 1 = 0 0 x 0 − 1 2k ⋅ y 0 0 1 1 . (5) 7 Dato un punto P(x, y), vogliamo determinare le coordinate (x', y') del punto P' simmetrico di P rispetto a un punto M(h, k). Sappiamo che M è la composta di due simmetrie assiali, con assi ortogonali r e s, che s'incontrano nel cen tro M(h, k). Poiché la scelta delle rette r e s è arbitraria, possiamo prendere r : x = h e s : y = k (fig.19). Da M = s M : r, x′ y′ si ricavano le equazioni di 1 = 1 0 0 0 1 ∴ Dalle equazioni di − 1 0 2h 0 0 − 1 2k ⋅ M È M 0 1 M: x ⋅ y 1 1 = 0 0 1 0 : x′ = − x + 2h y′ = − y + 2k 0 − 1 0 2h 0 0 − 1 2k ⋅ 0 0 1 ovvero M : 0 0 1 0 x′ y′ = 1 0 1 −1 0 0 −1 x ⋅ y 1 0 = 0 0 0 2h 2h x − 1 2k ⋅ y 0 1 . 1 x − 1 2k ⋅ y 0 1 1 . (6) si può dedurre un risultato molto utile. Infatti, ricavando h dalla prima e k dalla secon da, con qualche passaggio, si ottiene: h = k = x + x′ 2 y + y′ 2 (7) che esprime le coordinate del centro di simmetria M in funzione delle coordinate di P e P'. La prima dice che l'ascissa di M è la media aritmetica delle ascisse di P e P'; la seconda dice la stessa cosa per le ordinate. Ma il centro di simmetria che scambia P con P' è il punto medio del segmento [PP']. Allora, le coordinate del punto medio di [PP'] sono le medie aritmetiche delle coordinate omonime di P e P'. 6. Parallelogrammi Due segmenti si dicono consecutivi, se hanno un solo estremo in comune; si dicono adiacenti, se sono consecutivi e giacciono su una stessa retta. DEF L'unione di n ≥ 3 segmenti consecutivi e non adiacenti, si dice una poligonale. Poligonale chiusa o poligono Poligonale aperta Poligonale intrecciata (fig.20) (fig.21) (fig.22) I segmenti che formano una poligonale si dicono lati della poligonale, i loro estremi vertici. Il primo estremo del primo segmento e il secondo estremo dell'ultimo, si chiamano estremi della poligonale. Se gli estremi coincidono, la poligonale si dice chiusa (fig.20), altrimenti aperta (fig.21). Una poligonale chiusa si dice, anche, un poligono. Se due lati non consecutivi hanno un punto in comune, la poligonale si dice intrecciata (fig.22). Un poligono con quattro lati si chiama quadrilatero. Il segmento che congiunge due vertici qualsiasi non con secutivi di un quadrilatero non intrecciato si dice diagonale del quadrilatero. Il nostro interesse prevalente è rivolto agli insiemi piani che hanno un asse di simmetria ( cioè che sono tras formati in sé da una simmetria assiale ) oppure che hanno un centro di simmetria (cioè che sono trasformati in sé da una simmetria centrale ). 8 DEF Si chiama parallelogrammo ogni quadrilatero non intrecciato avente un centro di simmetria. Detto M il centro di simmetria, le proprietà di M consentono di affermare che in un parallelogrammo ABCD: i lati opposti sono paralleli e isometrici: AB // CD, AD // CB, [AB] > [CD] , [AD] > [CB]; gli angoli opposti sono isometrici: DAˆ B > BCˆ D , ABˆ C > CDˆ A ; le diagonali si tagliano a metà: MA = MC , MB = MD . Ciascuna delle precedenti proprietà è caratterizzante nel senso che un quadrilatero che gode di una qualsia si di tali proprietà è un parallelogrammo (fig.23). D C M A B Parallelogrammo Rettangolo Rombo Quadrato (fig.23) (fig.24) (fig.25) (fig.26) Quando l'asse di ciascun lato è anche asse del lato opposto (fig.24), il parallelogrammo è un rettangolo. Quando le diagonali sono assi di simmetria (fig.25), il parallelogrammo è un rombo. Quando gli assi dei lati e le diagonali sono assi di simmetria (fig.26), il parallelogrammo è un quadrato. A M B D C centro di simmetria (fig.27) Conviene considerare anche il caso in cui i punti A, B, C, D sono allineati, come in fig.27. È subito chiaro che le proprietà enunciate continuano a valere. Parleremo, in questo caso, di parallelogrammo degenere. Y Fissiamo ora in Π un riferimento cartesiano ortogonale OXY. C La (7) del paragrafo 3 può essere utilizzata per decidere se D un quadrilatero è un parallelogrammo, eventualmente degene re. Il quadrilatero ABCD è un parallelogrammo se e solo se il M punto medio della diagonale [AC] coincide con il punto medio A della diagonale [BD] (fig.28). Infatti, se M è contemporanea mente il punto medio delle due diagonali, M B scambia fra loro O A con C e B con D. (fig.28) X Sia A(xA, yA), B(xB, yB), C(xC, yC), D(xD, yD). Allora il punto medio di [AC] e il punto medio di [BD] hanno coordinate x A + xC 2 , y A + yC 2 e xB + xD 2 , yB + yD 2 , rispettivamente. Ne segue che: Il quadrilatero ABCD è un parallelogrammo, eventualmente degenere, se e solo se: xA yA + xC = xB + xD + yC = yB + yD . 9 7. Gruppo delle traslazioni Si chiama traslazione ogni isometria τ di Π in cui i punti o sono tutti fissi oppure si spostano tutti DEF in una stessa direzione, uno stesso verso e di un segmento di uguale lunghezza. Assegnato un punto P, sia τ una traslazione del piano diversa dall'identità e Q' P' sia P' = τ(P). Sia PP' la semiretta di origine P passante per P'. Se Q è un pun to qualsiasi diverso da P e risulta Q' = τ(Q), allora Q' deve appartenere alla semiretta di origine Q parallela ed equiversa alla semiretta PP'. Inoltre deve essere QQ ′ = PP ′ . Quindi i punti P, P', corrispondenti in τ, consentono di in Q P (fig.29) dividuare il trasformato di un qualsiasi altro punto Q. In altre parole: una trasla zione τ è completamente determinata da una coppia qualsiasi di punti corrispondenti in τ. Di più, la fig.29 suggerisce, con notevole efficacia intuitiva, che: Se una traslazione τ manda P in P' e Q in Q', il quadrilatero PQQ'P' è un parallelogrammo. Da questo risultato si deduce la seguente importante proposizione. Una traslazione trasforma una retta in una retta ad essa parallela. Dim. Siano P, Q due punti qualsiasi del piano e sia τ una traslazione. Se P' = τ(P) e Q' = τ(Q), allo ra PQQ'P' è un parallelogrammo. Poiché τ, essendo un'isometria, trasforma rette in rette, es sa trasforma la retta PQ nella retta P'Q'. Ma queste due rette, su cui giacciono rispettivamen te i lati opposti [PQ] e [P'Q'] del parallelogrammo PQQ'P', sono parallele. Fissato ora in Π un riferimento cartesiano ortogonale OXY, sia τ la traslazione che manda l'origine O nel pun to O'(h, k) (fig.30). Dato un punto P(x, y), vogliamo determinare le coordinate (x', y') del punto P' = τ(P). Sappiano che il quadrilatero OO'P'P è un parallelogrammo (eventualmente degenere, cioè con i quattro punti allineati). Inoltre, la condizione che abbia mo ricavato alla fine del paragrafo precedente, assicura che risulta: Y P'(x', y') P(x, y) 0 + x′ = x + h . 0 + y′ = y + k O'(h, k) Le uguaglianze x' = x + h e y' = y + k sono le equazioni della traslazione τ. ∴ È τ: x′ = x + h y′ = y + k ovvero τ : x′ y′ 1 0 h = 1 O x 0 1 k ⋅ y 0 0 1 . X (fig.30) 1 Viceversa, si può dimostrare che ogni isometria di equazioni x' = x + h e y' = y + k è una traslazione. Posto: u= da ora in poi indicheremo la traslazione con h k , τ u , e parleremo di traslazione di vettore u . I numeri reali h e k si dicono le componenti della traslazione nel riferimento cartesiano adottato. In particolare, se h = k = 0, si ottiene la traslazione nulla: Indichiamo con T l'insieme delle traslazioni di Π. τ 0 . È, ovviamente, τ 0 = iΠ. 10 ( T, ) è un gruppo abeliano. Dim. Siano h τ u , τ v rispettivamente le traslazioni di vettori u = τu : x′ y′ 1 0 h x τv : = 0 1 k ⋅ y , 1 0 0 1 1 k e v= p q . 1 0 p x = 0 1 q ⋅ y . x′ y′ 1 0 0 1 1 È sufficiente verificare che (T, ) è un sottogruppo abeliano del gruppo ( , ). • T è una parte stabile di per l'operazione . Anzitutto, le traslazioni sono isometrie. Allora T ⊆ . Si ha poi: τ v τu : 1 0 p = 0 1 q ⋅ x′ y′ 1 0 0 1 0 h 1 0 h+p x = 0 1 k ⋅ y 0 0 1 1 1 0 0 ∴ τ v τ u = τ u+ v . • x . 0 1 k+q ⋅ y 1 1 (1 ) L'operazione su T è commutativa. Infatti, si riconosce subito che τ u τ v = τ v +u = τ u + v . ∴ τ v τu = τu τ v . • L'inversa di una traslazione è una traslazione. Risulta: τ −u τu : Allora x′ y′ = 1 1 0 −h 1 0 h 0 1 −k ⋅ 0 0 1 0 1 k ⋅ y 0 0 1 1 1 0 0 x = x 0 1 0 ⋅ y 0 0 1 1 . τ −u τu = τ 0 . ∴ τu−1 = τ −u . (2) Osserviamo le (1) e (2). La prima ci dice che la composta delle traslazioni di vettori u e v è la traslazione di vettore u + v ; la seconda, che l'inversa della traslazione di vettore u è la traslazione di vettore − u . 8. L'equazione cartesiana della retta Fissato nel piano un riferimento cartesiano ortogonale OXY, una retta qualsiasi può essere rappresentata da alcuni elementi che sono in relazione con il riferimento stesso. Consideriamo la retta t asse del segmento [QQ'] i cui estremi sono simmetrici rispetto all'origine O (fig.31). Y t Q(a, b) P(x, y) (fig.31) X O Q'(−a, −b) Se (a, b) sono le coordinate di Q, le coordinate di Q' saranno (−a, −b) (per la (7) del paragrafo 5). La retta t è il luogo dei punti equidistanti da Q e da Q'. Pertanto, se P(x, y) è un punto qualsiasi di t, risulta PQ = PQ ′ . Allora, facendo intervenire l'espressione cartesiana della distanza, si ha: ( x − a ) 2 + ( y − b) 2 = ( x + a) 2 + ( y + b ) 2 (1) 11 da cui, con qualche passaggio, si ottiene: ax + by = 0 (2) Tutti i punti della retta t hanno coordinate che sono soluzioni di questa equazione in x e y. Di più, osserviamo che tutti i passaggi algebrici eseguiti per andare dalla relazione iniziale (1) a quella finale (2) si possono inver tire. Allora la (2) esprime il fatto che il punto P(x, y) ha uguale distanza da Q(a, b) e da Q'(−a, −b). ∴ Ogni equazione lineare della forma (2), con a e b non entrambi nulli, rappresenta una retta passante per l'origine, asse del segmento [QQ'], con Q(a, b) e Q'(−a, −b). Consideriamo ora la traslazione di vettore u = h k , cioè la traslazione O'(h, k). Indicando con (x, y) le coordinate di un punto P ∈ t, con (x', y') τu che manda l'origine O nel punto Y le coordinate del punto P' = τu (P), la retta t viene trasformata nella O'(h, k) retta r che passa per i punti O' e P' ed è parallela a t (fig.32). Allora τu : x′ = x + h y′ = y + k , da cui τ u−1 : x = x′ − h y = y′ − k r P' e sostituendo nell'equazione (2), si ottiene a(x – h) + b(y – k) = 0, che si può scrive t P X O (fig.32) re ax' + by' – ah – bk = 0. Da questa, ponendo c = – ah – bk e soppri mendo gli apici, si ottiene: ax + by + c = 0 ∴ (3) Ogni retta del piano si può rappresentare con un'equazione lineare del tipo (3), con a e b non entram bi nulli. Viceversa, ogni equazione del tipo (3), con a e b non entrambi nulli, rappresenta una retta. La (3) prende il nome di equazione cartesiana della retta. Per indicare che la retta r ha equazione ax + by + c = 0, scriveremo r : ax + by + c = 0. In particolare, se c = 0, la retta passa per l'origine. Se b = 0, dalla (3) si ricava x = − ac , che rappresenta la retta parallela all'asse Y che incontra l'asse X nel punto di ascissa − ac . Infine, se a = 0, dalla (3) si deduce y = − bc , che rappresenta la retta parallela all'asse X che incontra l'asse Y nel punto di ordinata − bc . Osserviamo che tutte le rette che si ottengono tenendo fissi a e b e dando valori diversi a c sono parallele fra loro, essendo tutte parallele a t. Inoltre è importante notare che, se si moltiplicano a, b, c per uno stesso nu mero reale diverso da zero, l'equazione ottenuta è equivalente alla (3) e perciò rappresenta la stessa retta r. Vediamo alcuni importanti teoremi. Se r : ax + by + c = 0 e s : a ′x + b ′y + c ′ = 0 , allora le rette r, s sono incidenti se e solo se: a b ∈ GL(2, IR). a′ b′ Dim. (4) Sia r ∩ s = {P0}. Per determinare le coordinate di P0 basta risolvere il sistema lineare in x, y: ax + by = − c . a′x + b′y = − c′ Questo ha soluzione unica se e solo se la matrice dei coefficienti è non singolare. 12 Dette (x0, y0) le coordinate del punto d'incidenza P0 delle rette r e s, dalla formula di Cramer si ha subito: x0 y0 = b′ − b −c 1 ⋅ . ab′ − a′b − a′ a − c′ (5) Inoltre, dal teorema precedente, si deduce la condizione di parallelismo di r e s: a b = 0, a′ b′ r // s ⇔ ∀ r, s ∈ . (6) Dati due punti distinti P(x1, y1) e Q(x2, y2), l'equazione cartesiana della retta PQ è: Dim. x1 y1 1 x2 y2 1 x y 1 = 0. (7) Lo sviluppo in cofattori relativo alla terza riga del determinante al primo membro fornisce: x⋅ y1 1 x 1 x1 − y⋅ 1 + y2 1 x2 1 x2 y1 = 0, y2 che è un'equazione lineare in x, y. Di più, le coordinate di P e Q verificano l'eq. (7) essendo x1 y1 1 x2 y2 1 = 0 e x1 y1 1 x1 y1 1 x2 y2 1 = 0. Quindi la retta di eq. (7) passa per i punti P e Q. x2 y2 1 Da questo teorema segue subito la condizione di allineamento di tre punti P(x1,y1), Q(x2,y2), R(x3,y3), data da: x1 y1 1 x2 x3 y2 y3 1 1 = 0. (8) 9. Forma esplicita e forma punto−pendenza Sia r : ax + by + c = 0. Se b ≠ 0, cioè se la retta r non è parallela all'asse Y, dall'equazione di r si ricava y = − ba x − bc da cui, ponendo − ba = m e − bc = q, si ottiene: y = mx + q (1) La (1) prende il nome di forma esplicita dell'equazione dalla retta. Il numero reale m si chiama pendenza o coefficiente angolare di r. Dalla (6) del paragrafo 8, segue subito che due rette r e s hanno la stessa pendenza se e se se sono parallele. Osserviamo che q è l'ordinata del punto in cui r incontra l'asse Y. Infatti, la coppia (0, q) soddisfa l'equazione (1). Ciò giustifica il nome di ordinata all'origine che comunemente si dà a q. Quando m = 0, l'equazione (1) si riduce a y = q e la retta è parallela all'asse X; quando q = 0, l'equazione di venta y = mx e la retta passa per l'origine degli assi. Vogliamo ribadire che le rette parallele all'asse Y non possono essere rappresentate nella forma (1), mentre la forma ax + by + c = 0 permette di rappresentare ogni retta. Per questo motivo quest'ultima viene detta for ma generale dell'equazione della retta. Ora, se P(x0, y0) è un punto qualsiasi della retta r di equazione (1), deve essere y0 = mx0 + q e, sottraendo questa dalla (1) membro a membro, con qualche passaggio si ricava: y − y0 = m(x − x0) (2) 13 Come subito si riconosce, tutti e solo i punti della retta r hanno coordinate che verificano questa equazione. La (2) viene detta forma punto–pendenza dell'equazione di r. È interessante notare che la (2) rappresenta l'insieme delle rette che passano per il punto P(x0, y0) al variare della pendenza, tranne la retta parallela all'asse Y. Infatti, la (2) è verificata dalle coordinate (x0, y0) del punto P qualunque sia il valore di m. 10. Rette perpendicolari fra loro Sappiamo che l'asse del segmento [QQ'] di estremi Q(a, b) e Q'(−a,−b) è la retta t : ax + by = 0. Di più, sap piamo che t è perpendicolare alla retta r passante per i punti Q e Q'. Ora, indicata con m la pendenza di t, m = − a b , è immediato verificare che il punto P(1, m) appartiene a t. Allo ra, per la simmetria centrale di centro O, anche il punto P'(−1, −m) appartiene a t (fig.33). r Y t r = QQ' Q(a, b) P'(−1, −m) t = PP' P(1, m) X O t⊥r Q'(−a, −b) (fig.33) Ciò premesso, determiniamo la pendenza di r, indicata con m'. Da t ⊥ r, segue r ⊥ t, perché la relazione di ortogonalità è simmetrica. Allora r è l'asse del segmento [PP'] e, di conseguenza, la sua equazione è 1x + my = 0. Ne segue: m′ = − ∴ 1 m (1) Due rette sono perpendicolari fra loro se e solo se le loro pendenze sono antireciproche. 11. La parabola DEF Si chiama parabola il luogo dei punti del piano equidistanti da una retta fissa d, detta direttrice, e da un punto fisso F∉ d, detto fuoco. Y Indicata con D la proiezione ortogonale di F su d, assumiamo come asse Y la retta orientata DF in cui D precede F; come P(x, y) asse X la parallela alla direttrice nel punto medio O del segmen to [DF]. Se ora poniamo d(O,F) = p, chiamata distanza focale, le coordinate di F sono ( 0, p ) e la direttrice avrà equazione F y = −p. Ciò premesso, per ogni punto P(x, y) appartenente alla O parabola, detta H la proiezione ortogonale di P su d (fig.34), si D ha, per definizione, PH = PF . E' allora: y+p = x 2 + (y − p )2 X H (fig.34) da cui, quadrando e riducendo i termini simili, si deduce: y = chiamata equazione canonica della parabola. 1 4p ⋅ x2 (1) d 14 Osserviamo che un'isometria f trasforma una parabola in una parabola ': infatti la definizione di para bola si basa sull'uguaglianza di due distanze e le isometrie conservano le distanze. Allora un punto P che sulla parabola è equidistante dal fuoco F e dalla direttrice d, viene trasformato, da f, in un punto P' equidistante dal punto F' = f(F) e dalla retta d' = f(d). Quindi P' ∈ Di più, dall'equazione (1) si riconosce subito che rabola , anche il punto P'(−x, y) appartiene a y( ' = f( ). ). Infatti, se un punto P(x, y) appartiene alla pa . Questo perché il fattore x è al quadrato e quindi non cambia al cambiare del segno di x. L'asse Y è allora asse di simmetria di . Il punto d'intersezione della parabola con il suo asse, cioè l'origine O, si dice vertice della parabola. Vediamo come cambia l'equ. (1) di una parabola X : x′ = x y′ = − y , da cui X −1 : x′ y = − y′ x = per effetto della simmetria assiale di asse X. Si ha: Y e sostituendo nella equazione (1), si ottiene − y ′ = 41p ⋅ x ′ 2 da cui, moltiplicando d' O ambo i membri per −1 e sopprimendo gli apici, segue: y = − 41p ⋅ x 2 X F' (2) Dalle equazioni (1) e (2) si desume che l'equazione canonica (fig.35) della parabola è del tipo: y = ax2 (3) Il coefficiente a si chiama apertura della parabola. Quando a = 41p , è a > 0; quando a = − 41p , è a < 0. Nel primo caso, diciamo che la parabola volge la concavità verso l'alto (cioè verso il semiasse positivo del le ordinate, come in fig.34); nel secondo, diciamo che la parabola volge la concavità verso il basso (fig.35). Vediamo come cambia l'equ. (3) di una parabola per effetto della traslazione nel punto O'(h, k) (fig.36). Si ha: τu : x′ = x + h , y′ = y + k da cui τ −1 : u τu che manda il vertice O Y x = x′ − h y = y′ − k e sostituendo nel la equazione (2), si ottiene y' − k = a ⋅ (x' − h)2 ovvero: y' = ax2 − 2ahx' + ah2 + k. O' Questa, ponendo b = − 2ah, c = ah2 + k e sopprimendo gli apici, O (fig.36) diventa: y = ax2 + bx + c X (4) chiamata equazione generale della parabola (con l'asse parallelo all'asse Y). 2 Osserviamo infine che, per le posizioni fatte, è h = − b e k = 4ac4−a b = − 4∆a , dove ∆ = b2 – 4ac. 2a Quindi la parabola ': y = ax2 + bx + c si ottiene dalla parabola : y = ax2 mediante la traslazione di vet tore u = ( − L'asse di b 2a , − 4∆a ). Il vertice di ' è allora il punto O'( − 2ba , − 4∆a ) e il fuoco F'( − 2ba , 14−a∆ ). ' ha equazione x = − 2ba e la direttrice y = − 1+ ∆ . 4a 15 12. L'ellisse DEF Si chiama ellisse il luogo dei punti del piano per i quali è costante la somma delle distanze da due punti fissi F1 e F2 detti fuochi. Y Assumiamo come asse X la retta F1F2, orientata da F1 a F2, e P Come asse Y la perpendicolare a X nel punto medio O del segmento [F1 F2]. Se ora poniamo d (F1, F2) = 2c, chiamata distanza focale, le coordinate di F1 e F2 sono rispettivamente F1 O F2 X (−c,0) e (c,0). Così, per ogni punto P(x, y) appartenente all'ellis se, poniamo: con a > c (fig.37). F1P + PF2 = 2a (1) (fig.37) La (1), tenendo presente la formula della distanza di due punti, diventa: ( x + c ) 2 + y 2 + ( x − c ) 2 + y 2 = 2a (2) Questa equazione, soddisfatta da tutti e solo i punti dell'ellisse, può essere scritta in una forma più semplice portando al secondo membro la seconda radice, elevando poi ambo i membri al quadrato e riducendo i termi ni simili. Si ottiene: a 2 − cx = a ⋅ ( x − c ) 2 + y 2 . Quadrando nuovamente, si deduce: (a 2 − c 2 ) ⋅ x 2 + a 2 y 2 = a 2 ⋅ (a 2 − c 2 ) . Successivamente, ponendo a2 − c2 = b2 ( si può fare, perché a > c ), l'equazione diventa b2x2 + a2y2 = a2b2 da cui, dividendo tutto per a2b2, si ricava: 2 x2 + y = 1 a2 b2 (3) chiamata equazione canonica dell'ellisse. Nell'equazione (3) le variabili x e y figurano soltanto al quadrato. Quindi l'ellisse è una curva unita per cia scuna delle simmetrie: X : x′ = x y′ = − y , Y : x′ = − x y′ = y , O : x′ = − x . y′ = − y Per questo, gli assi di simmetria X, Y si dicono assi dell'ellisse; l'origine O si chiama centro dell'ellisse. Per y = 0, è x = ±a; per x = 0, è y = ±b. Quindi l'ellisse incontra gli assi nei punti A1(−a, 0 ), A2( a, 0 ), B1(0,−b), B2(0,b), detti vertici. Il segmento [A1A2] si chiama asse focale o asse maggiore dell'ellisse; il segmento [B1B2] costituisce l'asse minore, perché è sempre a > b. I segmenti [OA2], [OB2] si chiama no rispettivamente semiasse focale (o semiasse maggiore) e semiasse minore. Per a = b, posto r = a, l'equazione (3) diventa: x2 + y2 = r 2 (4) che è l'equazione della circonferenza di centro O e raggio r. Essendo ora c2 = a2 − b2 = 0, i fuochi dell'ellisse coincidono ora con il centro O della circonferenza. 16 Vediamo come cambia l'equ. (4) di una circonferenza per effetto della traslazione τ u che manda il cen tro O nel punto T(h, k) (fig.38). Si ha: τu : x′ = x + h , da cui τ −1 : u y′ = y + k (4), si ottiene: Y x = x′ − h y = y′ − k (x ′ − h)2 + (y ′ − k )2 e sostituendo nella T k = r2 . da cui, sviluppando e sopprimendo gli apici, si ricava: O x 2 + y 2 − 2hx − 2ky + h 2 + k 2 − r 2 = 0 . 2 2 h X (fig.38) 2 Questa, ponendo α = −2h, β = −2k, γ = h + k − r , diventa: x2 + y2 + αx + βy + γ = 0 (5) chiamata equazione normale della circonferenza di centro T e raggio r. Un'altra relazione interessante fra a e c si chiama eccentricità dell'ellisse ed è definita da: ε = ac def Il nome stesso suggerisce che ε può assumersi come una misura di quanto l'ellisse, per la sua forma più o meno allungata, differisce dalla circonferenza. Quando F1 = F2, è c = 0, l'ellisse è una circonferenza e ri sulta ε = 0. Quando d (F1, F2) = 2a, è c = a e quindi i fuochi coincidono con i vertici. In questo caso, l'ellis se degenera in un segmento e risulta ε = 1. In tutti i casi intermedi, ε è compresa fra 0 e 1, perché c < a. 13. L'iperbole DEF Si chiama iperbole il luogo dei punti del piano per i quali è costante, in valore assoluto, la diffe renza delle distanze da due punti fissi F1 e F2 detti fuochi. Y Posto d (F1,F2) = 2c, per ogni punto P appartenente all'iperbole, po niamo: F1P − PF 2 = 2a oppure F2P − PF1 = 2a (1) P con 0 < a < c. Ciascuna di queste due relazioni è verificata da infiniti punti, ma nessuno dei punti che verificano la prima relazione verifi ca anche la seconda, e inversamente. Quindi l'iperbole è l'unione di due parti disgiunte, chiamate rami dell'iperbole (fig.39). Fissato il sistema di riferimento come si è fatto per l'ellisse e con passaggi analoghi a quelli svolti allora, si ricava: F1 F2 X (fig.39) 2 x2 − y = 1 a2 b2 (2) dove b2 = c2 − a2, chiamata equazione canonica dell'iperbole. Nell'equazione canonica dell'iperbole le variabili x e y figurano soltanto al quadrato. Quindi l'iperbole, co me l'ellisse, è una curva unita per ciascuna delle simmetrie X, Y, O. Per questo, gli assi di simmetria X e Y si dicono assi dell'iperbole. In particolare, X si dice asse focale e Y asse ideale. L'origine O si chia ma centro dell'iperbole. 17 Per y = 0, è x = ±a. Quindi l'iperbole incontra l'asse focale nei punti A1(−a,0), A2(a,0), detti vertici. Per x = 0, y ∉ IR. Quindi l'iperbole non incontra l'asse ideale. Le rette per l'origine O in fig.39 hanno equazioni y = ba x , y = − ba x e si chiamano asintoti dell'iperbole. La loro caratteristica è che si avvicinano sempre più all'iperbole, senza mai toccarla, quando ci si allonta na verso l'infinito (*). Per a = b, l'equazione (2) diventa: x2−y2 = a2 (3) e l'iperbole si dice equilatera. Osserviamo che gli asintoti di un'iperbole equilatera, cioè le rette di equa zioni y = x e y = −x, coincidono con le bisettrici degli assi e quindi sono fra loro perpendicolari. (*) La parola asintoto significa senza contatto. Intuitivamente, l'asintoto a una curva si comporta come se fosse tangente alla curva in un punto posto all'infinito. Rette di questo tipo saranno studiate dettagliata mente in seguito.