Prof. Maria Barbuscia Semeiotica 17-10-2013 EMORRAGIE DIGESTIVE Cosa intendiamo per emorragie digestive? Sono tutte quelle evenienze che intervengono per una più o meno copiosa perdita ematica che si realizza a livello di tutto il tubo digerente, che può interessare sia il tubo digerente prettamente inteso, sia le ghiandole ad esso collegate, in particolare il pancreas e il fegato. Questa evenienza per l’emorragia digestiva proprio per la sua maniera di estrinsecarsi all’esterno in maniera plateale, quindi con l’emissione di questo sangue rosso vivo, è un’evenienza conosciuta sin dalla notte dei tempi, già Ippocrate ne parlava in un suo trattato. Questa evenienza che può essere più o meno drammatica per il paziente che la sta vivendo, ha stimolato più volte in vari autori la ricerca di una qualsiasi modalità che potesse portare a una diagnosi di causa o che, meglio ancora, potesse portare a delle innovazioni nel trattamento di un evento che può essere molto drammatico. Le emorragie digestive non sono un evento raro, rappresentano il 20% dei ricoveri fatti in urgenza in ambiente ospedaliero e purtroppo, proprio per questa modalità di manifestarsi e di realizzarsi, comportano una mortalità abbastanza importante. Mortalità che si esaspera quando la emorragia si realizza in un tipo di pazienti particolari che sono gli epatopatici in genere (quelli che soffrono di malattie del fegato) e soprattutto quelli che sono affetti da cirrosi epatica. 40% Mortalità nei portatori di Epatopatia Cronica 20% Urgenze Chirurgiche 10% Mortalità Globale Voi sapete che una delle espressioni, dei riconoscimenti, è proprio l’apertura degli shunts che esistono sia sulla parete addominale sia sulle mucose dell’esofago e della parte alta dello stomaco, proprio per ostacolare il più possibile l’ipertensione portale che la cirrosi epatica comporta. E in questi pazienti proprio la lesione di queste grosse vene soprattutto a livello esofageo, quelle che si chiamano varici esofagee, comporta delle manifestazione emorragiche particolarmente gravi che spesso portano il paziente alla morte. Quindi noi fondamentalmente distinguiamo alcuni tipi di emorragie: Le emorragie MANIFESTE che possono estrinsecarsi all’esterno con un episodio eclatante quale può essere l’ematemesi cioè l’emissione con il vomito di sangue più o meno rosso vivo, che va distinta come manifestazione da quella che è l’emottisi cioè l’emissione di sangue che viene dall’albero respiratorio. In linea di massima può essere abbastanza semplice distinguere le due manifestazioni cliniche proprio perché la provenienza da due distretti così diversi comporta che questo sangue si manifesti clinicamente in maniera diversa. Mentre l’ematemesi può essere manifesta e accompagnarsi o ai residui alimenti o prevalentemente a succo gastrico; nell’emottisi tutto questo non c’è ma c’è di più: nell’emottisi cioè nel sangue che proviene, ripeto, dall’albero respiratorio, l’aspetto del sangue è molto diverso, proprio la ricchezza di ossigeno fa sì che questo sangue si presenti come schiumoso, con delle bollicine d’aria. Ma oltre che l’estrinsecazione attraverso la via orale, la emorragia digestiva può progredire nell’intestino e manifestarsi in un secondo momento (e poi vedremo i tempi di transito intestinali quali possono essere) con l’emissione all’esterno attraverso una melena o enterorragia e via discorrendo… In entrambi i casi, quando l’emorragia è particolarmente imponente si accompagna tutto un corteo sintomatologico che può portare sino ai segni clinici dello shock ipovolemico. Ma naturalmente le emorragie non sono solo queste, esistono anche delle manifestazioni emorragiche OCCULTE e sono quelle che, in linea di massima, interessano le patologie neoplastiche, specialmente o prevalentemente del colon destro. Domanda: Il sangue di per sé nello stomaco è ermetico, nel senso che se ci sono raccolte di sangue il paziente tende a vomitare? Risposta: Il sangue in qualsiasi distretto dell’intestino è qualcosa che l’intestino non riconosce come una sostanza sua e quindi nello stomaco, se è in abbondante quantità, ha questa caratteristica. Nei distretti aldilà del Treitz comporta un accentuarsi dei movimenti peristaltici proprio perché l’intestino vuole liberarsi di questa sostanza che non riconosce come propria. Per questo parlavo dei tempi di transito, perché tanto più è la presenza di sangue nell’intestino, tanto maggiore sarà il movimento peristaltico e quindi nuove saranno le alterazioni che questo sangue subisce in questo percorso e quindi l’emissione può essere di vario tipo: andiamo dalle melene alle enterorragie e vediamo poi le caratteristiche dell’una e dell’altra. La maggior parte delle emorragie digestive interessa il distretto alto del tubo digerente Esofago, Stomaco, Duodeno 80% Colon 18% Digiuno-Ileo 2% e quindi il tratto che va dall’esofago fino al duodeno, a tutta la C duodenale, fino all’ansa del Treitz. Cos’è l’ansa del Treitz? Il passaggio tra la quarta porzione duodenale e la prima ansa digiunale. È il punto più fisso del tubo digerente, un punto da cui parte tutta la matassa intestinale vera e propria ma comunque quella che la caratterizza è questa fissità, che la rende anche pericolosa dal punto di vista chirurgico per la sua vicinanza ai grossi vasi in particolare all’arteria mesenterica superiore. Una discreta parte delle emorragie digestive è a carico del colon mentre l’ileo è la parte più tranquilla anche se questo tratto può essere interessato da manifestazioni neoplastiche che originano prevalentemente dallo strato muscolare dell’intestino e che sono caratterizzate da una mucosa normale di superficie ma che spesso può essere sede di ulcere acute molto sanguinolente; per cui le emorragie digestive che intervengono da questo distretto sono particolarmente violente. In virtù della loro insorgenza al di sopra e al di sotto dell’angolo del Treitz, parliamo di emorragie digestive superiori e inferiori. Vediamo la loro maniera di estrinsecarsi: Ematemesi: emissione di sangue con il vomito. Se la sua emissione avviene nell’immediatezza dell’evento emorragico avremo l’emissione di sangue rosso vivo ma se per qualche motivo questo sangue ristagna nella cavità gastrica subisce l’azione dell’acido cloridrico quindi subisce una mutazione di stato e un’alterazione di colorito e quindi possiamo avere l’emissione di un contenuto gastrico tipo chicco di caffè perché il sangue è stato parzialmente digerito dall’azione dell’HCl stesso. La variazione di colore è tanto più grande quando più lungo è il tempo di stazionamento del sangue nella cavità gastrica. Melena: emissione attraverso la cavità alvolare, quindi l’evacuazione di feci commista a sangue. Questi feci hanno caratteristiche abbastanza importanti che ci consentono di distinguere la melena dalla pseudomelena. E quindi in genere sono: poltacee (ovvero non formate, non c’è un cilindro fecale formato, ma sono delle feci semiliquide), di colorito nerastro, untuose e brillanti, con un odore caratteristico. Pseudomelena: emissione di feci che possono avere la caratteristica di essere formate, che hanno sempre un colore nerastro e che sono opache, quindi non hanno un aspetto traslucido come nel caso della melena. Da che cosa può essere determinata? Intanto dall’alimentazione del paziente, se è un soggetto che ha fatto un abbondante uso di olive nere, le feci saranno nere, ma non dobbiamo confonderlo con la melena. Se ha mangiato un’abbondante quantità di fegato o spinaci la stessa cosa, o se è un paziente è in trattamento con composti di ferro, se è un paziente anemico a cui viene data la pillola per compensare questa bassa sideremia, le feci saranno nere ma non ha un’emorragia digestiva in atto. Allora come facciamo a distinguerlo? Non mi dite che portiamo le feci in laboratorio perché è troppo banale, ricorriamo a una semplice manovra: prendiamo un campione di feci e lo poniamo in acqua, se questa si colora in rosso allora ha un’emorragia digestiva, se si colora di giallo o di verde no ma l’immissione nel tubo digerente di una grande quantità di bile può dare delle feci con un colorito particolare e quindi simulare un’emorragia. MANIFESTAZIONI CLINICHE Rettorragia: emissione di sangue rosso vivo dalle ultime sezioni del tubo digerente, questo si realizza in tante patologie, dalla semplice presenza di una ragade anale, alle emorroidi o a una malattia infiammatoria intestinale con la rettocolite ulcerosa o, peggio ancora, un cancro del retto. E noi in questi casi dalle caratteristiche dell’emorragia possiamo già avere un’idea di quello che è l‘evento clinico che ha determinato la fuoriuscita di questo sangue. Poniamo il caso di un paziente portatore di emorroidi. Cosa sono le emorroidi? Sono delle ectasie venose del plesso emorroidario. Perché si realizza la fuoriuscita di sangue? Perché queste vene dilatate in qualche maniera subiscono una lesione per cui c’è la fuoriuscita del sangue che sarà rosso vivo e che si può manifestare con delle caratteristiche abbastanza tipiche. Cosa succede? Succede che il cilindro fecale si sta formando, sta per impegnare il canale anale e allora spreme queste vene e si ha un primo spruzzo di sangue. Nel momento della defecazione vera e propria il cilindro fecale fa collabire le pareti della vena per cui la fuoriuscita di sangue è sempre pronta. Nel momento finale, con l’emissione del cilindro fecale, queste vene si liberano, si riempiono di nuovo di sangue e da queste lacerazioni continua a venir fuori il sangue che si manifesta con il classico gocciolamento se è abbondante, oppure con la presenza di sangue nel momento in cui il paziente si va a pulire. Altra patologia che può dare una rettorragia può essere: La ragade anale: ulcerazione che riguarda l’ano. Non è una vera e propria emorragia, piuttosto è una fuoriuscita più o meno abbondante del liquido sieroematico, quindi con delle caratteristiche nettamente diverse da quelle della presenza delle emorroidi. Quando ci troviamo in presenza della rettocolite ulcerosa avremo l’emissione, ripetuta magari nel corso della giornata, di feci semiliquide con presenza di sangue nell’intestino. Quando per ultimo ci troviamo in presenza di un cancro del retto avremo delle caratteristiche nettamente diverse. Torniamo al discorso della formazione del cilindro fecale. Nella bolla rettale le feci sono ancora piuttosto morbide, non hanno formato un vero e proprio cilindro fecale ma nel momento in cui impegnano il canale anale se in quella sede, quindi con il cilindro fecale già formato, è presente una formazione neoplastica cosa succede? Il trauma determinato dal passaggio del cilindro fecale non fa altro che lacerare in superficie il tumore, si lacereranno dei piccoli capillari da cui verrà fuori il sangue e quindi le feci saranno all‘esterno verniciate di sangue. Dunque all’interno le feci saranno del tutto normali ma avranno questa vernice all’esterno, quindi vedete come dalle caratteristiche dell’emissione delle feci noi possiamo avere delle idee di sospetto abbastanza fondate su quello che può essere la causa dell’emorragia interna. L’enterorragia viscerale è invece quella che interessa il tratto intermedio e che determina in linea di massima dell’emorragie abbastanza importanti che si manifestano del tutto improvvisamente e soprattutto in pazienti che non ci danno nella raccolta anamnestica notizie che ci possono orientare in una patologia preesistente che abbia potuto determinare questo evento. E naturalmente, vi dicevo prima, la manifestazione clinica varia in rapporto a quello che è il volume di sangue perduto dal paziente, dall’asintomaticità di una emorragia occulta o perlomeno di microemorragie reiterate nel tempo e che portano all’anemizzazione del paziente, a quelle che sono le grandi emorragie che comportano una sintomatologia abbastanza importante che è la sintomatologia tipica dello shock ipovolemico. E che si realizza allorquando la perdita di sangue raggiunge o, peggio ancora, supera il mezzo litro che è uscito dall’albero circolatorio e passato nel ***(26:47). Quindi in rapporto alla perdita di un certo volume di sangue noi avremo delle caratteristiche semeiologiche piuttosto varie. Per una perdita che sia superiore al 20% della volemia, noi possiamo osservare un potenziale arterioso, la pressione scende improvvisamente, del tutto improvvisamente e addirittura si può arrivare alla perdita di coscienza che può essere temporanea, se l’emorragia è massiva però può essere anche non del tutto transitoria (il paziente ci riferirà un certo stato di confusione mentale) e se è una emorragia del distretto superiore possiamo avere le caratteristiche che dicevamo prima (vomito con emissione di sangue) e nel caso in cui l’ipotensione sia abbastanza importante il paziente si presenterà sudato con un polso piccolo e frequente e avrà anche sete. Se invece il volume di sangue supera il 40% della volemia questi sintomi saranno esasperati, l’ipotensione sarà particolarmente grave e il paziente per compensare questa ipossigenazione periferica andrà in tachicardia e incrementerà gli atti respiratori per cercare di favorire al massimo l’ossigenazione del sangue e naturalmente ci saranno i segni di una vasocostrizione periferica abbastanza importante. L’organismo reagisce in questa maniera cercando di recuperare tutto il sangue possibile dalla periferia per ossigenare i parenchimi nobili come il cervello, il cuore, i reni che devono ottemperare alle loro funzioni e la cute sarà di nuovo sudata, pallida, il paziente in qualche maniera subirà una contrazione della diuresi che può arrivare anche all’anuria totale, alla assoluta mancata secrezione di urina da parte dei reni e potrebbe anche accentuare quei sintomi neurologici fino ad arrivare ad un coma che però non raggiungerà gli stadi profondi del coma stesso. TEMPI DI TRANSITO Quali saranno? Saranno tanto più dilatati quanto minore sarà la quantità di sangue che è presente nel tubo digerente, per una quantità minima che può variare da 50 ai 100ml noi avremo un tempo di transito di 8 ore perché questo sangue raggiunga l’emissione all’esterno; per quantità più abbondanti i tempi di transito, per quell’iperperistaltismo che si è istaurato, possono raggiungere tempi veramente rapidi e sicuramente molto minori di 8 ore. Quindi se noi abbiamo un’emorragia digestiva e non abbiamo l’estrinsecazione con l’ematemesi ma abbiamo tutti quei segni clinici che abbiamo detto prima: l’ipotensione, la sudorazione diffusa, la cute pallida noi in un tempo più o meno dilatato fino alle otto ore dovremmo aspettarci l’emissione all’esterno con la classica melena. A questo qui vanno associati tutti quegli effetti sistemici che abbiamo detto prima che richiedono un controllo appurato. In presenza di un paziente di questo genere intanto la prima cosa da fare è quella di assicurarsi un accesso venoso, prima ancora di chiedergli come si chiama noi dobbiamo avere una vena pronta e disponibile a praticare tutto quello che potremmo dover fare se l’ammalato si shocka mentre noi stiamo a chiacchierare noi quella vena non la prendiamo più e rischiamo di perdere il paziente quindi in qualsiasi momento la prima cosa da fare è assicurarsi un accesso venoso anche solo per infondere soluzione fisiologica poi al resto porremo rimedio. La risposta cardiovascolare l’abbiamo vista prima quindi tachicardia, tachipnea, aumento della frequenza cardiaca e vasocostrizione periferica che determina quel pallore di cui dicevamo prima. Naturalmente tutto questo è sostenuto da quelle che sono le variazioni ormonali come ad esempio l’aumento dei glucocorticoidi, e la risposta immunologica con l’aumento (32:49-33.02) L’accesso venoso è importante ma anche il monitoraggio di tutte le funzioni vitali, noi dobbiamo monitorare l’elettrocardiogramma, la pressione arteriosa, dobbiamo stabilire da subito se ci conviene determinare immediatamente il gruppo sanguigno del paziente e infondere delle trasfusioni di sangue compatibile o anche ricorrere all’infusioni di liquidi che abbiano un alto peso molecolare, ma è importante anche infondere del plasma fresco congelato per dare al paziente una buona componente di quei fattori della coagulazione che in quel momento potrebbero essere alterati. E naturalmente è necessario anche l’aiuto dell’ossigenoterapia. Quando noi dobbiamo ricorrere alla trasfusione? Per sapere se dobbiamo trasfondere o meno un paziente bisogna valutare l’Hb nel sangue, appena prendiamo l’accesso venoso, facciamo un prelievo per studiare tutti gli indici ematochimici che ci possono servire, dall’emocromo noi abbiamo il tasso di Hb, se è maggiore del 10g% la trasfusione non è richiesta, se è minore del 7g% è richiesta, se è compresa tra 7g%<Hb<10g% si valutano le condizioni emodinamiche: co-morbilità (diabete, cardiopatie), corteo sintomatologico, ripresa ed entità del sanguinamento e in base alla rarità del gruppo sanguigno del paziente. Perché quest’ultimo può avere un peso così determinante? Perché le scorte di sangue per i gruppi rari sono poco disponibili, è sempre necessario infondere isogruppo, cioè lo stesso gruppo del paziente, dobbiamo ricorrere a gruppi compatibili quando la necessità clinica lo esige e quando non abbiamo la disponibilità dell’isogruppo ma se c’è non siamo obbligati a trasfonderlo. I gruppi classici sono AB0 e Rh ma c’è tutta una serie di sottogruppi che potrebbero determinare una reazione nel paziente se noi ricorriamo a gruppi compatibili e non a isogruppi. Quindi noi nel valutare questa necessità dobbiamo tenere conto delle condizioni del paziente, dell’eventuale presenza di malattie associate, dei sintomi e dell’entità del sanguinamento. La valutazione del paziente non può prescindere dalla raccolta anamnestica, nella quale si considera: -se ci sono stati precedenti episodi emorragici -se portatore di eventuali patologie che possono essere state determinanti per l’insorgenza dell’emorragia -se ha subito interventi chirurgici, soprattutto se recenti quindi l’emorragia può essere dovuta a una piccola ulcera da stress determinata proprio da questo momento particolarmente stressante, come può essere un intervento chirurgico -uso sconsiderato di farmaci steroidei che hanno azione gastrolesiva -uso sconsiderato della cardioaspirina, dell’acido acetil-salicilico che serve per rendere il sangue più fluido ma è gastrolesivo. Oltre ai valori dell’Hb per noi è importante la valutazione di tutta una serie di indagini che servono a stabilire la funzionalità dei parenchima nobili quindi renali e soprattutto epatici e studiare i fattori della coagulazione perché l’emorragia digestiva potrebbe essere sostenuta da un difetto della coagulazione; anche se noi ci troviamo di fronte a un paziente che non ha l’esigenza immediata del ricorso alla trasfusione di sangue è un’indagine che dobbiamo fare per tenerci sempre pronti a far fronte a un episodio emorragico la dobbiamo comunque avere pronta per qualsiasi evenienza. Le emorragie digestive sono particolarmente pericolose nei soggetti epatopatici, in questi pazienti noi dovremmo andare a valutare quale potrebbe essere, già dal punto di vista clinico, l’impegno di ipertensione portale e questo lo passiamo fare studiando tutti i segni clinici, in particolare quelli che troviamo sull’addome, la presenza di un reticolo venoso particolarmente importante, i segni soprattutto quelli ombelicali, la postura, l’apertura degli shunt che si realizza per cercare di far defluire il sangue che per lo stato di ipertensione portale non riesce a passare questo stop che è presente a livello epatico. Tra questi shunt non dobbiamo dimenticare le emorroidi; il plesso emorroidario lo distinguiamo in due parti: superiore che è tributario della vena porta e le vene emorroidali inferiori invece sono tributarie della vena cava, del circolo sistemico. In presenza di un grosso impegno a livello epatico, di una grossa ipertensione portale, anche quella diventa una via di fuga. Le emorroidi anche se sono sanguinanti dobbiamo cercare di rispettarle, a meno che la situazione clinica non sia disperata; se arriva un paziente portatore di emorroidi che si vuole operare, la prima cosa di cui ci dobbiamo preoccupare è la condizione del fegato; se noi operiamo un paziente che è cirrotico in fase di scompenso e chiudiamo questa via di fuga, non facciamo altro che complicare la situazione, in quel caso non vanno assolutamente trattate chirurgicamente, in tutti gli altri sì. Nel caso di emorragie digestive, soprattutto se si creano i presupposti del vomito e della nausea, può essere utile il sondino nasogastrico che serve a due scopi: 1)avere una spia per sapere se l’emorragia è ferma o se è continua, perché in quel caso avremmo la fuoriuscita costante di sangue attraverso il sondino; 2)iniettare dei protettori gastrici che ci servono a tamponare l’acidità e quindi a non reiterare l’episodio emorragico. Una volta si aspettava, di fronte ad un emorragico, prima di fare un’indagine endoscopica; oggi, quando il paziente si presenta alla nostra osservazione, possiamo fare anche immediatamente una gastroscopia per valutare la fonte del sanguinamento e quindi avere notizie immediate su quale è la causa che ha determinato l’insorgenza dell’emorragia. Ma possiamo fare anche altre cose: se osserviamo un’arteria che zampilla sul fondo di un’ulcera possiamo mettere delle clips per fermare l’emorragia, se abbiamo delle varici esofagee le possiamo embolizzare con dei farmaci embolizzanti, possiamo mettere una legatura elastica per chiudere la fonte di sanguinamento; quindi è un esame che va fatto sotto trasfusione per compensare le perdite ma che può darci degli effetti terapeutici pressoché illimitati. Questo se riguarda il distretto superiore: lo stomaco, le prime due porzioni del duodeno, ma se il fatto emorragico avviene più a valle chiaramente non ci serviamo più dell’esame endoscopico e allora se l’emorragia dovesse reiterarsi e dovesse richiedere trasfusioni, e non sortire alcun vantaggio da questa terapia che noi facciamo, può essere indicata un’angiografia selettiva che ci individua la fonte di sanguinamento e attraverso quella stessa via si può procedere eventualmente all’embolizzazione del vaso che causa l’emorragia. A questo scopo può essere utile anche l’eventuale scintigrafia con emazie marcate. Questo (immagine) è un endoscopio flessibile, è abbastanza sottile per tollerare un esame endoscopico, si possono apportare clips, oppure mettere della colla di fibrina che va a tamponare o chiudere il vaso e fermare l’emorragia quindi ridurre le unità di sangue da trasfondere al paziente, ridurre i tempi di degenza e qualche volta ci evita di portare al tavolo operativo il paziente. Se la causa dell’emorragia si reitera nel tempo e non si trova un rimedio alternativo, bisogna ricorrere all’intervento chirurgico. La maggior parte dell’emorragie digestive sono dovute alle ulcere, anche lo stress chirurgico del paziente può portare alla formazione di ulcerette molto piccole che sanguinano con una velocità incredibile, e poi tutta una serie di patologie, soprattutto quelle a carico del tubo digerente possono essere causa di emorragie. Ulcera peptica: causa del 35%-45% delle emorragie digestive che si reiterano nel tempo, causata dall’Helicobacter Pilory. L’ulcera è una malattia che si riacutizza in maniera stagionale, duranti i cambiamenti stagionali si altera la produzione di succo gastrico e di HCl per cui è facile, a causa di questi batteri e dell’uso di farmaci di cui dicevamo prima, che si possa andare incontro a un evento emorragico che, una volta che si è realizzato, si ripresenta con discreta frequenza. L’Helicobacter Pilory fa da padrone ma non nell’insorgenza dell’emorragia (49.18-49.30 periodo incomprensibile). Questa (immagine) sostanza bianca non è altro che fibrina che va a tappare il fondo dell’ulcera. TERAPIA MEDICA Noi instauriamo subito la terapia medica, che tiene conto di tutti quei farmaci che ultimamente l’industria farmaceutica ha messo a disposizione, soprattutto gli inibitori della pompa protonica che normalmente vanno fatte a pieno dosaggio e per un certo periodo di tempo e poi tutto quello che serve a compensare quelle alterazioni sistemiche di cui abbiamo già parlato. Il trattamento endoscopico è determinante oggi come oggi. A volte noi ci troviamo di fronte a dei sanguinamenti a nappo, sono dei sanguinamenti che non hanno un punto di insorgenza vero e proprio ma che sono diffusi su una superficie più o meno vasta. Quindi, in questo caso, se mettessimo delle clips andremmo alla cieca senza avere alcun risultato. È più utile porre colla di fibrina e se questa non riuscisse nello scopo desiderato si può fare una elettrocoagulazione della mucosa e cercare di bruciare le piccoli fonti di sanguinamento in maniera tale da interrompere l’emorragia. Se dovessimo essere, ma questo è sempre meno frequente, costretti alla terapia chirurgica cosa dobbiamo fare? Naturalmente non possiamo fare una legatura selettiva del vaso che è tributario di quella fonte emorragica, dobbiamo optare per interventi demoliti come la gastrectomia parziale o, nel caso di un sanguinamento eccessivo, una gastrectomia totale. Quindi rimuovere tutto lo stomaco e sostituirlo con un’ansa digiunale, che viene resecato e portato in alto fino a sostituire tutta la cavità gastrica. Questa (immagine) è la lesione di Dieulafoy, abbastanza rara, causata dalla presenza di un vaso anomalo nella sottomucosa della cavità gastrica, che è così dilatato che va a creare decubito sulla mucosa che lo accoglie riesce a comprimere questa mucosa. Questo cosa determina? Che la mucosa non viene più ossigenata bene per cui va in necrosi e cade. E allora questo vaso che è sottoposto all’azione diretta dell’HCl subisce a sua volta una lesione per cui l’evento emorragico si realizza. EMORRAGIE DIGESTIVE AI VARI LIVELLI DEL TUBO DIGERENTE Esofago: le esofagiti; l’ernia iatale è la risalita del fondo dello stomaco nel torace e in genere è secondaria ad una anomala formazione dell’ orifizio esofageo per cui la mucosa dell’ esofago, che non può contare più sulla continenza dello sfintere esofageo inferiore, è sottoposta all’ azione dell’HCl quindi va in flogosi e si determina un’ulcerazione fino ad arrivare a delle lesioni molto importanti e quindi al sanguinamento, che può anche comportare anemizzazione. In ultimo ricordiamo anche le neoplasie. Stomaco: carcinomi gastrici; le GIST che sono i tumori mesenchimali cioè quelli che originano dagli strati muscolare della parete dello stomaco; le angiodisplasie che sono delle abnormi dilatazioni del reticolo venoso, delle vene della parete dello stomaco che possono determinare questi sanguinamenti; le angiodisplasie però non sono limitate solo allo stomaco ma che possono interessare tutti i tratti del tubo digerente. Duodeno: diverticoli che possiamo ritrovare a livello duodenale ma che sono più tipici del colon e in particolare del tratto sigmoideo, sono delle piccole estroflessioni della mucosa dell’intestino e dove si realizzano? Nel posto in cui i vasi entrano nella parete intestinale, lì c’è un minimo sfiancamento degli strati muscolari che determinano l’estroflessione dello strato mucose che può gonfiarsi come un palloncino. E questo si realizza in particolare a livello del colon sigmoideo in individui con un notevole meteorismo, con una stipsi ostinata perché un ristagno dell’aria nel tubo digerente fa sì che questa spinga sulla mucosa e la faccia protrudere all’estero. Altra causa di emorragie a carico del duodeno sono tumori riguardanti la papilla di Vater; il morbo di Crohn che è un’altra classica malattia infiammatoria del tubo digerente che può, a differenza della colite ulcerosa limitata solo al colon e al retto, interessare il tubo digerente nella sua interezza, dal cavo orale sino al retto. Infine le angiodisplasie e eventualmente le fistole vasculo-enteriche. L’emobilia è la fuoriuscita di sangue attraverso la via biliare che si realizza soprattutto nei traumi del fegato quando è interessato un grosso canalicolo biliare. Nel caso delle ulcere peptiche le condizioni della mucosa dello stomaco erano abbastanza rosacea, ben ossigenata qui invece ci troviamo in presenza di questi grossi mammellomi, uno dei quali ha dato esito a questo zampillio di sangue. Queste sono delle varici esofagee che si realizzano, appunto, nei cirrotici. Questo (immagine) è l’endoscopio con cui si sta facendo la gastroscopia e qui, all’imbocco dello stomaco, il tubicino nero è in retrovisione, ripiegato su stesso per poter evidenziare bene queste varici che sono proprio in prossimità del cardias. E qui invece il fondo dello stomaco che presenta anch’esso della grosse formazione varicose. Le varici si distinguono in: -Gastroesofagee quando sono estese lungo i 2/3 inferiori dell’esofago. -Gastriche che possono interessare il fondo dello stomaco Le varici peggiori, quelle che in termine tecnico gli endoscopisti definiscono varici blu, sono quelle che nei pazienti cirrotici scompensati danno episodi emorragici più disastrosi. La percentuale di incidenza di queste varici in quelli scompensati è molto elevata. Dalla valutazione di queste varici esofagee possiamo avere anche un indice diagnostico su quelle che sono qualità e soprattutto quantità *** (1.02.28) e vedete come in un soggetto senza varici ma già cirrotico accertato, i tempi di sopravvivenza sono molto lunghi ma con la comparsa delle varici e delle complicanze legate alle varici l’indice di sopravvivenza diminuisce. In caso di varici esofagee sanguinanti, quindi con emorragie piuttosto importanti cosa dobbiamo fare? Intanto l’intervento terapeutico immediato per tamponare questo evento emorragico può essere l’impiego di una di queste sonde, che al posto del sondino naso-gastrico, vengono posizionate all’altezza delle varici esofagee. Gonfiamo un palloncino che porta a parete le vene e quindi interrompiamo l’emorragia ma è un fatto temporaneo che poi dobbiamo risolverlo in maniera più terapeutica. Comunque in un ospedale piuttosto periferico in cui non c’è possibilità di un endoscopista, in cui non c’è possibilità di un altro tipo di trattamento, può essere utile l’utilizzo di queste sonde che possono darci il tempo per trasferire il paziente in un centro più attrezzato. Per le varici esofagee sono state ipotizzate le derivazioni più strane, proprio per cercare di creare delle vie di cura tra circolo portale e circolo sistemico e quando in una stessa patologie si propongono diverse opzioni terapeutiche vuol dire che ancora non si è trovata quella ideale. Per ora ci siamo occupati soltanto delle emorragie superiori che sono quelle più frequenti e più grandi ma ne esistono anche di inferiori che possono anche essere l’estrinsecazione di qualcosa che è successo molto più a monte. In gene le emorragie del distretto inferiore non sono particolarmente gravi, sono piuttosto recidivanti, ma ci danno il tempo di avere le idee più chiare sulla loro insorgenza e sul tipo di trattamento che noi dobbiamo mettere in opera e che in genere non richiedono quasi mai il ricorso alla terapia sostitutiva oppure all’impiego di emotrasfusioni quindi sono molto gestibili. Tra queste emorragie noi dobbiamo distinguere quelle vascolari da quelle non vascolari; tra le prime vi sono soprattutto angiodisplasie, il reticolo di venule che viene dilatato nella sottomucosa che poi per caduta della mucosa necrotica può causare queste notevoli emorragie. Altre cause vascolari, tutte quelle patologie che dicevamo prima: le emorroidi, le varici isolate del colon, gli angiomi e le vasculiti che sono sempre a carico della sottomucosa; ma quelle che sono più importanti sono le cause non vascolari e quindi i diverticoli. E quando parliamo di emorragie da diverticoli del colon, soprattutto del tratto sigmoideo, parliamo di emorragie che difficilmente sono rilevabili all’esame endoscopico. Nel colon quando c’è un diverticolo non parliamo mai di diverticolo isolato. In questa radiografia vediamo come il colon sia costellato da una miriade di puntini bianchi, quello è il mezzo di contrasto che è entrato in ogni singolo diverticolo quindi è difficile, con una emorragia in atto, individuare quali di questi diverticoli ha sanguinato; quindi se la emorragia dovesse essere davvero non controllabile quello che noi dovremmo andare a effettuare è sondare tutta quella parte di colon e portare via quel tratto interessato dalla diverticolosi. Riuscire a individuare il diverticolo che sanguina è proprio un evento raro come nel caso fortuito in cui salti all’occhio dell’osservatore nel momento in cui sta venendo fuori da quel particolare diverticolo. Nel caso in cui si riesca a individuare la fonte del sanguinamento, in cui il sangue è rosso vivo ed è appena uscita dal vaso e naturalmente lo andremo a trattare con la coagulazione del vaso e a creare una cicatrice sulla mucosa. Per quanto riguarda le neoplasie, vi sono quelle benigne come i polipi che riscontriamo nel colon, stomaco, che possono essere isolati o compositi e possono sanguinare e manifestarsi come rettorragia . Ed ancora tutti quegli episodi di flogosi del colon legati ad esempio a determinate terapie come quelle neoplastiche, le radiazioni in soggetti che devono andare incontro a cicli chemioterapici. Come ultimo evento dobbiamo ricordare le emorragie da causa iatrogena: talvolta noi possiamo attuare un atto terapeutico, come quello che vedete in questa diapositiva, ovvero l’asportazione di un polipo dal colon ma evidentemente la cauterizzazione della base di impianto del polipo non è avvenuta in maniera completa per cui *** (1.11.36) si è formata, è caduta e quindi il vaso che irrorava questo polipo è diventato beante (aperto, spalancato) di nuovo. Emoperitoneo: È una raccolta di sangue all’interno della cavità addominale, le cause possono essere molteplici anche se nella maggioranza dei casi è legato ai traumi toracoaddominali. È un evento grave in quanto richiede un intervento chirurgico quindi un paziente con emoperitoneo è un paziente molto serio, da valutare bene e in tempi molto rapidi e ove necessario deve essere portato al tavolo operatorio in tempi contenuti. I traumi possono essere di varia natura: sia aperti, quelli più gravi sono i traumi penetranti, soprattutto i traumi post incidenti stradali e, in linea di massina, quelli che comportano lesioni di organi parenchimatosi quindi parliamo di milza e fegato. Oppure cause vascolari come la lesione di un grosso tronco venoso. Oppure ancora possono essere cause spontanee come quella di una lesione neoplastica di tipo angiomatoso, soprattutto del parenchima epatico oppure la rottura di milza spontanea, in conseguenza di alcune patologie infettive, ad esempio il citomegalovirus che determina una alterazione del parenchima della milza che può portare alla rottura spontanea. Tra le cause di rottura spontanea dobbiamo riconoscere anche quello che è un evento che coinvolge il retroperitoneo e che può invadere la cavità peritoneale come, ad esempio, quello che è rappresentato da una pancreatite necrotica emorragica quindi un evento infiammatorio più grave che può riguardare il parenchima pancreatico. In ultimo vanno considerate quelle che hanno origine dalla sfera ginecologica quindi parliamo della rottura del corpo luteo, che è una emorragie abbastanza importante, oppure una gravidanza extrauterina o tubarica che comporta una lesione dei grossi vasi. Per evento traumatico parliamo di una trauma limitato all’ambito addominale vero e proprio ma più frequentemente in conseguenza di lesioni chirurgiche, di infortuni sul posto di lavoro, noi possiamo parlare di politraumatizzati, cioè di traumi che interessano più distretti e che possono coinvolgere più competenze nell’ambito ospedaliero. Gran parte di questi traumi necessitano di interventi chirurgici e ricovero immediato. Quindi, in presenza di un paziente di questo genere, cosa dobbiamo prendere in considerazione? Il fatto di arrivare a una diagnosi più precisa possibile e in tempi più o meno brevi, naturalmente tutto questo va fatto in contemporanea con la correzione dei parametri del paziente. Se ha un emoperitoneo e lo spandimento esterno di grossi quantitativi di sangue nella cavità addominale, ci arriva in condizione di shock periferico abbastanza grave ed è quindi un paziente che va monitorato immediatamente e che nel caso di shock periferico particolarmente grave non ci dà neanche il tempo di potere effettuare quel minimo di indagine strumentale che ci serve per fare diagnosi. Allora dobbiamo direttamente trasferirlo dal pronto soccorso in sala operatoria per essere laparotomizzato d’urgenza perché o riusciamo a tamponare subito la fonte di sanguinamento oppure il malato viene considerato pressoché perduto. E allora monitoraggio intensivo, trasferimento in un ambiente ospedaliero e un intervento tempestivo che, spesso e volentieri, può richiedere anche delle, soprattutto per quanto riguarda i traumi della milza, asportazioni di questa. La milza è un organo piuttosto fragile e anche per rotture non particolarmente importanti, e per particolarmente importanti intendo dire quelle lesioni che possono coinvolgere l’ilo e quindi non consentono una ricostruzione dei vasi per una vascolarizzazione ottimale dell’organo, comportano necessariamente il ricorso alla splenectomia, quindi la rimozione dell’organo. Tutto questo avviene mentre noi cerchiamo di valutare, monitorare e correggere gli squilibri biochimici che ci sono. La definizione diagnostica come la possiamo fare? Cercando di definire la fonte e l’entità del sanguinamento evitando di perdersi in indagini inutili, anche perché noi in presenza di questi pazienti dobbiamo tenere conto quelle che sono le capacità tamponanti di un eventuale ematoma. Se noi abbiamo una lesione della milza in un paziente che non ha alterazioni della coagulazione riesce, questa ematoma, a formarsi in una posizione tale da obliterare la fonte di sanguinamento e far da tampone noi, in linea di massima, possiamo mantenere su una condizione di attesa e sperare di non dover portare via la milza. Questo sempre monitorando il sanguinamento e se questo diventa massivo e si diffonde a tutto l’addome chiaramente noi tutto questo dobbiamo porlo nel dimenticatoio e portare al tavolo operatorio il paziente. Di fronte al trauma addominale noi dobbiamo tenere conto di quelle che sono le possibilità che questo evento possa avere determinato traumi addominali e vedete come per questi il tasso di mortalità diventa particolarmente significativo se noi teniamo conto del fatto che è il sanguinamento immediato può avere anche una interruzione e una ripresa a distanza di tempo. Per cui noi possiamo avere una mortalità importante che è data dai primissimi momenti successivi al trauma stesso perché evidentemente la lesione è così massiva da aver determinato un’inondazione di tutto il campo addominale con tutti i segni sistemici della perdita di sangue che dicevamo a proposito delle emorragie digestive. Questi sono i classici casi in cui una valutazione emodinamica del paziente ci consente di stabilire una tempestiva calata dell’emocromo e dell’emoglobina con uno shock sistemico e ipovolemico che non si risolve con tutte le terapie che noi possiamo attuare, in questo caso o portiamo direttamente sul tavolo operatorio il paziente oppure l’abbiamo perso. Quest’ emorragie si può tamponare pure a distanza di tempo e quindi la valutazione deve essere costante, noi non possiamo fermarci a una osservazione anche dal punto di vista ematochimico fatta ad ogni ora e poi rimandata a sei ore, noi dobbiamo farla a distanza di mezzora, a distanza di un’ora per valutare se c’è una ripresa dell’emorragia e portarla a tavolo operatorio. Tutto questo si può realizzare anche a distanza di tempo e in linea di massima se non c’è una correzione ben fatta dei parametri può portare anche all’insufficienza multiorgano del paziente, una condizione particolarmente grave che porta allo scompenso e alla morte. VALUTAZIONE DEL PAZIENTE In fase iniziale noi eseguiamo una brevissima anamnesi, in questi casi a noi non interessano i genitori, i parenti e tutto quello che abbiamo detto a proposito della cartella clinica, ci interessa sapere cosa è successo nell’immediatezza per valutare se c’è una ferita superficiale o se quel trauma possa aver determinato un danneggiamento degli organi intra-addominali. Naturalmente il prelievo deve essere immediato, la valutazione e il monitoraggio della pressione e dell’attività cardiaca e in questi casi può essere utile valutare cosa è e quant’è il contenuto gastrico, anche perché se è un paziente che si è alimentato da poco il sondino naso-gastrico ci serve a ripulire lo stomaco, il paziente deve essere addormentato e portato in sala operatoria; nell’induzione alla narcosi, la prima fase, il paziente che non ha lo stomaco completamente libero potrebbe avere un rigurgito e questo potrebbe invadere l’albero respiratorio e nei casi più sfavorevoli potrebbe ostruire le vie aeree e quindi portare a morte o determinare una polmonite ab ingestis. Lo shock ipovolemico può portare anche ad anuria e quindi mettere subito il catetere in modo da monitorare se c’è la costante fuoriuscita di urina, la quantità e che tipo perché dobbiamo considerare, quando parliamo di politraumi, la possibilità di lesioni a carico della milza e dei reni quindi vedere l’eventuale presenza di sangue nelle urine cioè ematuria ci da conferma di quest’evento. Vi dicevo, protocolli diagnostici a parte che prevedono la radiografia diretta, l’ecografia, la TAC, che è tutto correlato al momento in cui ci arriva il paziente e in che condizioni perché può essere anche determinante non perdere quei pochi minuti che possono essere utili per salvargli la vita. Non dobbiamo escludere, una volta addormentato il paziente, di ricorrere ad una laparoscopia diagnostica che ci consente di vedere bene la situazione intra-addominale. Parliamo invece di quali possono essere le valutazioni delle condizioni oggettive del paziente. Quindi tutti i segni dell’eventuale shock ipovolemico oppure l’esame clinico dell’addome che ci può documentare la presenza di aria libera all’interno del cavo peritoneale che ci darebbe segno di una perforazione per esempio di un’ansa intestinale questo con la scomparsa di *** epatico (1.39.25), la stessa evenienza che si realizza per esempio se c’è un’ulcera perforata e noi vediamo che all’esame clinico invece di trovare una forma ottusa all’interno della zona in cui si proietta il fegato noi troviamo una zona di *** (1.39.41) quindi sappiamo che in quella zona si è raccolta dell’aria e questa è leggera e per risalire l’essudato la cupola diaframmatica la blocca. LESIONI D’ORGANO Possono richiedere più competenze, possono richiedere l’intervento del chirurgo generale, del chirurgo toracico. Nei traumi più importanti che portano all’emoperitoneo vi sono le lesioni degli organi parenchimatosi e nei traumi chiusi sicuramente l’organo che prevalentemente va incontro a lesioni è la milza e, proprio per la vastità delle sue dimensioni, il fegato. Questa è una classificazione che tiene conto anche della quantità del sanguinamento che noi possiamo obiettivare ricorrendo all’indagine quindi il primo grado sono le lesioni superficiale che non comportano la presenza di ematoma in ambito peritoneale mentre, man mano che si progredisce nella gradazione, noi andiamo incontro a lesioni sempre più significative sino a quelle del quinto tipo che interessano l’ilo cioè i vasi che sono tributari di quell’organo, la cui lesione può determinare la necrosi. Le lesioni della milza si distinguono in due gruppi: quelle della capsula che comportano inevitabilmente l’insorgenza dell’emoperitoneo e quelle parenchimali, più o meno profonde nell’ambito del parenchima stesso che, tuttavia, comportano la formazione di un ematoma sottocapsulare però, a seconda dell’entità dell’ematoma, può andare incontro alla successiva lacerazione quindi all’inondazione del cavo peritoneale. La mortalità è immediata proprio perché quest’ematoma si va a realizzare in un tempo brevissimo. Noi dobbiamo cercare di essere il più oculati possibile perché il nostro obiettivo non deve essere il ricorso alla rimozione dell’organo, che spesso è l’unico atto terapeutico che noi possiamo fare, ma dobbiamo cercare di mantenere un atteggiamento di tipo preservativo e questo perché la milza ha delle funzioni che sono importantissime: sia la funzione emocateretica cioè la distruzione dell’emazie, è un po’ lo “spazzino” del nostro sangue, tutto quello che non riconosce come ottimale lo fa suo e poi lo distrugge. Fermo restando che quasi sempre recupera il ferro e tutte quelle sostanze che possono servire all’organismo; ha anche un ruolo importantissimo nel sistema immunitario: l’attivazione del complemento, l’azione emopoietica. Quindi è un organo che, dove è possibile, deve essere conservato per garantire un quadro immunologico ottimale; oltre al fatto che un paziente sottoposto a splenectomia va incontro a determinate conseguenze come alterazioni della funzione emopoietica, deficit nella produzione di opsonine e depressione della produzione linfocitaria. Quindi è un paziente che più frequentemente è esposto alle infezioni, non è protetto dall’insulto batterico. Un soggetto splenectomizzato può andare incontro a modificazioni emodinamiche come lo formazioni di trombi. Quando siamo in presenza di un paziente in queste condizioni noi dobbiamo andare avanti nel protocollo diagnostico, fare un’ecografia con la quale riusciamo a visualizzare l’organo e l’eventuale lesione che si è realizzata nell’organo ma può anche darci notizie dell’eventuale espansione emorragica quindi lesione capsulare in un primo tempo e invasione del peritoneo da parte del sangue in un secondo momento. A cos’altro può servirci l’ecografia? A posizione un sondino nel caso noi ci troviamo di fronte ad un ematoma del tutto localizzabile nel distretto, in prossimità della milza, invece di ricorrere all’intervento chirurgico quindi demolito vero e proprio, noi possiamo tentare di creare all’esterno questo versamento. E, a seconda dell’entità della lesione, noi possiamo programmare se attendere un certo numero di ore o di giorni per vedere e monitorare le eventuali condizioni di questa lesione piuttosto che portare immediatamente in sala operatoria; ma sicuramente nelle grosse lesioni con la presenza di grossi ematomi che più che localizzati nella loggia splenica si sono già diffusi in ambito addominale o, peggio ancora, hanno già guadagnato lo scavo pelvico in questi casi dobbiamo ricorrere subito al trattamento chirurgico che è rappresentato dalla splenectomia. Ma noi con l’ecografia possiamo constatare al meglio quale è stata l’entità dello spargimento emorragico anche per valutare la possibilità o meno di trasfondere il nostro paziente e quindi possiamo valutare se è un versamento di piccola entità limitato alla loggia splenica che in genere comporta una perdita inferiore a 250 cc di sangue o essere uno spargimento più importante che magari dalla loggia splenica ha cominciato a invadere la loggia parietocolica di sinistra oppure se è un evento massivo che ha guadagnato, percorrendo tutta la loggia parietocolica, lo scavo pelvico e quindi il cavo del Douglas può, attraverso la tasca del Morrison, guadagnare tutto il mesocolon, la loggia parietocolica di destra ed espandersi anche in quella sede. Inoltre l’ecografia ci permette di valutare la sede esatta in cui si è realizzata questa lesione e l’entità della lesione, vedere è stato compromesso l’ilo perché se così fosse è necessario l’intervento chirurgico. E ci può consentire anche, con un’indagine eseguita a breve termine, di valutare se il sanguinamento si è fermato o si è tamponato da oppure se è un sanguinamento attivo che si autosostiene e che quindi richiede il trattamento. Nel caso ci siano delle difficoltà, si può ricorrere alla scintigrafia sempre con le emazie marcate che ci può dare notizie sullo stato di stabilità emodinamica. Con la laparoscopia si può tentare di avere una diagnosi del tutto appurata ma anche qualche atto terapeutico ci può consentire di fare lavaggi peritoneali, di veicolare all’esterno dei piccoli ematomi e questa va fatto soprattutto quando il paziente ha raggiunto una sua stabilità quando non è più in condizioni critiche ma soprattutto quando non ci sono i tempi per altre lesioni associate. Nella condizione di politrauma il ricorso a più competenze diventa quasi un atto obbligatorio per la laparoscopia chirurgica. In linea di massima come ci dobbiamo comportare? In considerazione di quella che è l’entità dell’emoperitoneo dobbiamo valutarlo con l’indagine pratica; se noi siamo in presenza di un versamento modesto, limitato alla loggia splenica, in cui i parametri sono pressoché stabilizzati e non c’ è una importante lesione dell’organo noi possiamo mantenere un atteggiamento di osservazione nei confronti del paziente e vedere l’evoluzione che ha; se però dovessimo accorgerci di un minimo peggioramento del quadro clinico o abbiamo compreso in qualche maniera che c’è una ripresa del sanguinamento allora possiamo tentare un trattamento conservativo seppur chirurgico. Pensiamo ad esempio ad una lesione periferica in un polo della milza, possiamo tentare di fare una sutura un po’ particolare a tutto spessore per cercare di accollare i margini di questa lacerazione e vedere se possiamo in qualche maniera risparmiare l’organo. Se le condizioni non ci consentono ciò, anche se assistiamo ad una lacerazione in più punti o la presenza di ematomi sottocapsulari che sono già in forte stato di tensione che predispongono alla rottura della milza e all’inondazione del cavo peritoneale dobbiamo necessariamente ricorrere alla terapia tradizionale. Per quanto riguarda il fegato soprattutto i traumi da arma bianca (ferite da taglio) sono quelli maggiormente frequenti; ma anche tutta una serie di altre cause, come la lesione per esempio di una o più coste possono determinare una lacerazione del fegato cosa che diventa importante anche per la milza; o ancora traumi addominali che portano alla perforazione dell’organo e anche tutti gli atti di violenza o atti iatrogeni legati a delle manovre non perfettamente corrette nel corso di un intervento chirurgico o peggio ancora nel corso del trattamento laparoscopico. Quest’ultimo ha sicuramente una sua validità se in posizione ottimale ma nel momento in cui ci sono anche minime difficoltà nella visione è bene non ostinarsi perché si rischia di provocare dei danni. Per la sede e per la vastità di questo organo i traumi del fegato riguardano quasi esclusivamente o con grande prevalenza la massa epatica dell’ala di destra quindi i segmenti dal quarto all’ottavo. Anche in questo caso il monitoraggio costante del paziente, anche in questo caso l’ecografia ha le caratteristiche ideali per rappresentare l’indagine di prima istanza sul paziente traumatizzato, fermo restando che è anche indicata nei casi di grande meteorismo intestinale soprattutto allorquando può essere concomitante una perforazione di un’ansa intestinale e quindi aria libera in cavità peritoneale. Naturalmente anche il dolore in un’indagine ecografica ha il suo peso, dolore che può sentire il paziente se esistono delle fratture costali che già di per sé comportano forte dolore che si acutizza al passare della sonda ecografica in quella sede. L’indagine ecografica in questo tipo di patologia rappresenta il massimo dell’espressione diagnostica ci da notizie sia del tipo di lesione organica e soprattutto sulla sua vastità. La laparoscopia può aiutarci a rilevare la presenza di ematomi e si può tentare di drenare all’esterno questo sangue e se portando all’esterno questo sangue ci si accorge che l’organo in qualche maniera ha provveduto a tamponare la fuoriuscite del sangue ci si può astenere da altro atto terapeutico ma se l’ematoma si ricostituisce in continuazione siamo costretti a intervenire. Se il paziente presenta altri eventi traumatici deve essere trattato subito e il trattamento chirurgico è finalizzato a portare l’emostasi in qualsiasi modo possibile: o con la legatura di eventuali vasi che zampillano o con una sutura a tutto spessore che serve a fare emostasi per compressione oppure con una resezione parziale di un tratto del parenchima epatico sempre tenendo conto del fatto che noi dobbiamo cercare di lasciare parenchima epatico sufficiente per la funzionalità dell’organo. Quando parliamo di traumi del fegato dobbiamo tenere conto anche di un’altra cosa: le lesioni dell’albero biliare, noi non possiamo lasciare beanti vasi biliari che altrimenti determinerebbero un coleperitoneo o colasco ovvero una fuoriuscita di bile all’interno del cavo addominale. Si interviene con semplice emostasi, effettuando una terapia con fibrina, con la coagulazione diretta o la sutura a tutto spessore.