Laboratorio Innovazione Didattica e Documentazione Comune di Spilamberto In occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia RISORGIMENTO E COSTITUZIONE dispensa relativa ai quattro incontri tenutisi presso il Circolo cittadino di Spilamberto (Modena) dal prof. Graziano Galassi nei giorni 7 – 14 – 21 – 28 Marzo 2011 - ad uso didattico interno non commerciale - I QUADERNI DELLA FORMAZIONE/EDUCAZIONE PERMANENTE - N. 26 1 2 PRESENTAZIONE La pubblicazione del quaderno “Risorgimento e Costituzione” da parte dell‟Università Libera Età “Natalia Ginzburg” di Vignola vuole essere un contributo alla riflessione e al dibattito culturale che si è sviluppato intorno al tema delle celebrazioni per il 150° anniversario dell‟Unità d‟Italia. Questa pubblicazione raccoglie i materiali relativi al corso che è stato tenuto a Spilamberto dal Prof. Graziano Galassi e rientra nella produzione e raccolta di materiali curata dal L.I.D.D. (Laboratorio di Innovazione Didattica e Documentazione) e messa a disposizione delle scuole e della cittadinanza. Questa iniziativa si inserisce all‟interno di un complesso di attività realizzate dall‟Università in collaborazione con altre Associazioni del territorio e i Comuni di Vignola, Spilamberto e Castelvetro. Ricordiamo ad esempio l‟allestimento della mostra “C‟era una volta la scuola a Vignola e dintorni” e la pubblicazione del relativo libro in collaborazione con gli Amici dell‟Arte e il Gruppo di Documentazione Mezzaluna. La pubblicazione, attraverso un‟analisi della storia della scuola dal 1861 ai giorni nostri, consente di tracciare il ruolo fondamentale dell‟istruzione pubblica e obbligatoria per la formazione della coscienza nazionale. Va sottolineato, a tale proposito, che l‟eminente figura del primo ministro della Pubblica istruzione Francesco De Sanctis, ci permette di porre in evidenza la saldatura tra le radici culturali e linguistiche del nostro Paese e le lotte che hanno poi determinato l‟Unità d‟Italia. Ricordiamo inoltre la partecipazione dell‟Università all‟iniziativa “Per un risorgimento di memoria senza retorica” finalizzata alla presentazione e divulgazione dei libri più importanti che sono stati recentemente pubblicati sul tema dell‟Unità d‟Italia. E‟ stato infine realizzato, insieme al Gruppo di Documentazione Mezzaluna, un CD che, attraverso le immagini, evoca le trasformazioni di Vignola negli ultimi 150 anni. Il CD è stato gratuitamente distribuito alla cittadinanza il 17 marzo in occasione del Consiglio Comunale aperto e dedicato alle celebrazioni del 150°. Queste esperienze consolidano il ruolo che ha assunto la nostra Università sul territorio per promuovere non solo lo sviluppo culturale e la conoscenza, ma anche e soprattutto una coscienza critica quale indispensabile presupposto per la crescita civile e democratica della comunità. Dato il successo delle celebrazioni nel risveglio del senso dell‟Unità Nazionale, si auspica che, dopo il secondo Risorgimento rappresentato dalla Resistenza, si possa realizzare un terzo Risorgimento per riaffermare i valori fondanti della nostra Costituzione. Il Direttore tecnico-scientifico Dunnia Breviglieri Il Presidente Valter Cavedoni 3 4 INDICE Introduzione ............................................................................................................ pag. 2 Il processo di unificazione territoriale Dal Regno di Sardegna all‟Italia repubblicana ........................................................ pag. 4 Dalla monarchia assoluta alla monarchia costituzionale ......................................... pag. 5 La dichiarazione dei Diritti dell‟uomo e del cittadino ............................................... pag. 7 Dall‟Ancien Régime alla prima idea di democrazia moderna come potere del popolo .......................................................................................... pag. 9 Napoleone Bonaparte ............................................................................................. pag. 10 Fu vera gloria? ........................................................................................................ pag. 12 Il cinque maggio ...................................................................................................... pag. 13 La Santa Alleanza ................................................................................................... pag. 14 L‟Italia in mano all‟assolutismo dal 1815 al 1848 .................................................... pag. 15 La Carboneria e i moti............................................................................................. pag. 16 Ciro Menotti ............................................................................................................ pag. 18 Mazzini, Gioberti, Cattaneo, Balbo, D‟Azeglio ........................................................ pag. 20 Giuseppe Verdi (1813-1901)................................................................................... pag. 22 Il 1848: la “primavera dei popoli” ............................................................................. pag. 23 La prima guerra d‟indipendenza (1848-1849) ......................................................... pag. 26 Giuseppe Garibaldi (1807-1882)............................................................................. pag. 30 La fine della Repubblica di Venezia ........................................................................ pag. 31 Il ritorno a un nulla di fatto e lo Statuto Albertino .................................................... pag. 32 Tra la prima e la seconda guerra d‟indipendenza ................................................... pag. 35 Carlo Pisacane (1818-1857) ................................................................................... pag. 38 Cavour e la seconda guerra d‟indipendenza (1859) ............................................... pag. 40 La spedizione dei Mille............................................................................................ pag. 43 La proclamazione dell‟Unità d‟Italia ........................................................................ pag. 46 La questione romana e la terza guerra di indipendenza (1866) .............................. pag. 49 La Breccia di Porta Pia ........................................................................................... pag. 51 Il periodo liberale fino alla prima guerra mondiale .................................................. pag. 52 La prima guerra mondiale ....................................................................................... pag. 55 L‟Avvento del fascismo e della guerra .................................................................... pag. 59 La caduta del fascismo e la Resistenza .................................................................. pag. 64 Repubblica e Assemblea costituente ...................................................................... pag. 69 Una Costituzione che nasce dal popolo .................................................................. pag. 72 Il compromesso costituzionale ................................................................................ pag. 74 Gli anni della Repubblica italiana ............................................................................ pag. 75 1 Introduzione Il 17 marzo 2011 si festeggia la ricorrenza del 150° anniversario della proclamazione dell‟Unità d‟Italia. Si tratta di una data puramente simbolica che rappresenta il punto di arrivo di una lunga storia, ma anche il punto di partenza - solo il punto di partenza! - della nostra identità nazionale. Questo è il motivo per cui nel corso degli incontri saranno narrate le più importanti vicende del Risorgimento italiano ed il loro significato politico istituzionale dalla discesa di Napoleone in Italia fino alla annessione dell‟Alto Adige alla fine della prima guerra mondiale, considerata un tempo da alcuni come la quarta guerra di indipendenza, in un‟ottica di progressiva conquista, accanto all‟unità geografica del nostro paese, dei diritti costituzionali fondamentali. Ma, nonostante la drammatica esperienza del fascismo e della seconda guerra mondiale, si può affermare che il processo unitario di costruzione della nostra identità nazionale si sia adempiuto solo con la Resistenza e l‟entrata in vigore della Costituzione repubblicana. Cosa significa, infatti, ESSERE ITALIA? Essere cioè tutti riuniti in un‟unica nazione? E perché in questi ultimi tempi si sono così intensificate le polemiche sui festeggiamenti del 150° anniversario dell‟Unità d‟Italia al punto da spingere i ministri leghisti del governo Berlusconi a votare contro la proclamazione della festa del 17 marzo ed altri ancora ad affermare che quel giorno sarebbe stato meglio andare tutti a lavorare? In Europa i primi Stati nazionali si formarono a partire dal 1300 attorno ad un principio: non più un impero universale dominato dal papa e dall‟imperatore, ma tanti Stati nazionali ognuno dei quali rappresentava una lingua, una religione e un popolo guidato da un sovrano assoluto. Il suo potere tuttavia veniva ancora giustificato da una derivazione divina pur essendo esercitato anche in nome degli stessi sudditi. Così nacquero inizialmente il regno di Francia, il regno di Inghilterra e in seguito il regno di Spagna e di Portogallo, il regno di Prussia, la Russia imperiale, l‟impero Germanico, l‟impero Ausburgico, ecc. Ecco una cartina dell‟Europa del XVIII secolo: In tale sviluppo l‟Italia giunse molto tardi a definire il suo processo di nascita come nazione, processo che si concluse solo nel corso del 1900. Fino ad allora gli italiani 2 vissero sotto vari regni o dominati dagli stranieri. Macchiavelli e Guicciardini nelle loro opere cercarono di analizzare i motivi storici e politici dell‟incapacità della chiesa e dei vari re e principi italiani fra 1500 e 1700 di riunirsi e di sapere guardare al di là dei propri interessi localistici appoggiandosi invece ora all‟una ora all‟altra potenza europea mentre al popolo contadino veniva attribuito il triste detto “O Franza o Spagna, purché se magna!”. Essere patria, essere nazione, storicamente ha significato per gli Stati europei due cose: l‟identificazione di un popolo che parla una stessa lingua: - in un unico territorio - su valori e ordinamenti (sovrani, religiosi e giuridici) condivisi Il processo risorgimentale è stato proprio questo: non solo il mettere insieme gli italiani sotto un‟unica bandiera, ma dare ad essi valori istituzionali e ordinamenti condivisi. In poche parole, accanto alla bandiera, la patria oggi è fondamentalmente anche la nostra Costituzione. In questo senso si può affermare che l‟ultimo atto risorgimentale è stato rappresentato proprio dalla Resistenza e dall‟assemblea costituente del 2 giugno 1946. Le grandi polemiche sui festeggiamenti del 17 marzo 2011 da questo punto di vista sono gravissime perché rimettono per la prima volta in discussione un processo storico secolare. E non è un caso che provengano da quella stessa parte politica che sottopone a continui attacchi proprio il dettato costituzionale! Da un lato il segretario di un partito politico di governo, dopo avere affermato di volere utilizzare il tricolore per motivi igienici nella propria toilette, è a capo di uno schieramento il cui art. 1 del proprio Statuto recita: “Il Movimento politico denominato “Lega Nord per l’Indipendenza della Padania” (in seguito indicato come Movimento oppure Lega Nord o Lega Nord - Padania), costituito da Associazioni Politiche, ha per finalità il conseguimento dell’indipendenza della Padania attraverso metodi democratici e il suo riconoscimento internazionale quale Repubblica Federale indipendente e sovrana”. Dall‟altro lato ormai non passa giorno senza che il capo del governo in carica non scagli feroci attacchi sui principi fondanti la Costituzione italiana, sulla divisione dei poteri, sulla magistratura, sulla Corte costituzionale ed anche sul Presidente della Repubblica, ipotizzando tanto radicali quanto improbabili riforme dell‟assetto istituzionale italiano. Credo sia questo il motivo per cui oggi il concetto di patria in Italia sia diventato più caro ai partiti diversi da quelli del centro destra attualmente al potere. 3 Il processo di unificazione territoriale Dal Regno di Sardegna all’Italia repubblicana 1848: i Savoia 1859: la seconda guerra di indipendenza 1860: i plebisciti 1861: l’impresa dei Mille e il 17 marzo 1870: la breccia di Porta Pia 1866: la terza guerra di indipendenza 1918: la prima guerra mondiale 1945: la seconda guerra mondiale 4 Dalla monarchia assoluta alla monarchia costituzionale Una delle più grandi rivoluzioni dell‟epoca moderna è rappresentata dalla rivoluzione liberale che nel lasso di un paio di secoli, dal 1600 al 1700, cambiò radicalmente una concezione del potere politico che aveva le sue origini fin nei grandi imperi dell‟antichità. L‟idea che la fonte di legittimazione del potere politico fosse rappresentata dalla divinità e che solo da essa dovesse e potesse derivare il monopolio della forza, si afferma con il contestuale affermarsi delle prime grandi civiltà e delle forme organizzate del potere politico stesso. Gli imperatori e i re erano, talvolta, essi stessi considerati dei o semidei. Anche nella concezione dell‟assolutismo monarchico, almeno fino al 1600 il re era concepito, attraverso la trasmissione ereditaria del trono, come l‟unto dal Signore, in una sorta di discendenza divina che, sola, forniva la base religiosa e legale dell‟esercizio del potere sui sudditi, con l‟unica mediazione, spesso pesantemente condizionata, della classe nobile, dell‟aristocrazia e del clero. La Francia di re Luigi XIV (1638-1715), con la sua famosa dichiarazione: “L’Etat c’est moi”! (Io sono lo Stato!), è divenuta, anche per gli studiosi, l‟icona dello Stato assoluto assieme alla Reggia di Versailles che immortalava i fasti del re Sole. Questo stesso appellativo, ancora una volta, richiama alla memoria l‟assoluta centralità del re, visto come fonte di ogni forma di vita e origine di tutti i poteri. L‟immagine dei raggi di sole allude inoltre all‟univoca direzione del potere stesso: dall‟alto al basso, dal cielo, sede della divinità, alla terra dove si trovano i sudditi sottomessi. Le radicali trasformazioni che gli albori del capitalismo gradualmente indussero nelle società di quell‟epoca, con l‟affermarsi di nuovi e sempre più potenti soggetti economici, posero le basi della nascita del pensiero liberale e delle grandi rivoluzioni borghesi che culminarono con la Rivoluzione francese del 1789 e l‟abbattimento dell‟Ancien régime. 5 L‟aspirazione alla libertà, come nel famoso quadro di Eugène Delacroix riferito alla rivoluzione del 1830, guidò i popoli a cambiamenti delle istituzioni politiche talmente forti e radicali che, ancora oggi, quei principi rappresentano le basi ideali e giuridiche di tutti i paesi democratici o, come normalmente vengono denominati, a tradizione liberal democratica. Victor Hugo, nel suo celebre romanzo I miserabili, fa affermare a un suo personaggio che dai colpi più terribili della rivoluzione fiorì una grande carezza per il genere umano e che il risultato conclusivo fu, comunque, un mondo migliore. I re e i nobili vennero spesso brutalmente decapitati, ma le Rivoluzioni borghesi, a dispetto dei metodi utilizzati, si trasformarono nei decenni, con i loro principi di libertà, eguaglianza e fraternità, in una delle più grandi invenzioni della storia degli uomini contro l‟arbitrio e le prepotenze dei forti sui deboli. La nascita del costituzionalismo moderno, come strumento per delimitare, circoscrivere e controllare l‟esercizio del potere politico, fu uno dei frutti migliori del pensiero liberale. Da un lato i diritti civili delle persone, non più sudditi, ma, finalmente, cittadini, dall‟altro una nuova concezione del potere politico e della sovranità, che non solo inizia a trovare la sua fonte di legittimazione dal basso, ma che viene precisamente definita nella sua organizzazione generale in un sistema di divisione delle competenze (divisione dei poteri) e di reciproci controlli al fine di evitare arbítri e ritorni alla tirannide, vengono istituzionalizzati in documenti scritti posti al vertici di tutti i valori politici, ideali e del diritto: nascono le prime Costituzioni moderne. Il filosofo ginevrino Rousseau (1712-1778) fu uno dei massimi teorizzatori del concetto di democrazia ai suoi albori; egli affermava che il potere politico non doveva rappresentare più un‟entità che domina dall‟alto gli uomini, ma una forma di organizzazione che i cittadini creano con il loro consenso e nel loro interesse, in modo che l‟obbedienza a questa volontà generale che nasce dal basso sia in fondo obbedienza a se stessi. Dall‟altro lato il pensatore politico francese Montesquieu (1689-1755), con la sua teoria della divisone dei poteri, affermava che solo se il potere viene diviso e attribuito ad organi distinti sarà possibile evitare il ritorno alla tirannide. Dunque, al parlamento elettivo deve 6 essere affidata la funzione di produrre le leggi (funzione legislativa) che tutti devono rispettare, Stato (nel senso di governo) compreso. Il governo, invece, deve governare eseguendo il contenuto delle stesse leggi (funzione esecutiva). Ma se lo Stato e i governanti nell‟esercizio del potere politico, o se i cittadini violano la legge, allora il potere giudiziario, attribuito a giudici indipendenti ed imparziali, dovrà intervenire garantendo la legalità (funzione giurisdizionale) e lo Stato di diritto. Dunque, anche quando, dopo il congresso di Vienna del 1815 e la disfatta di Napoleone, con la Restaurazione molti re ritornarono sul trono, dovettero fare i conti con queste irrinunciabili teorie, costituendo forme di Stato denominate monarchie costituzionali. E così dovette fare anche il re del Regno di Sardegna Carlo Alberto promulgando nel 1848 lo Statuto Albertino, cioè quella che diventerà, con l‟Italia unita del 1861, la prima Costituzione del nostro paese. Ancora non era abbandonata completamente la derivazione deistica della sovranità, ma ormai erano stati acquisiti un patrimonio ideale irrinunciabile, una forma di organizzazione del potere imprescindibile e dei principi ormai parte di un patrimonio comune fondante l‟idea stessa di politica. In tutte le Costituzioni del 900, compresa la Costituzione italiana entrata in vigore nel 1948, tanto il principio democratico quanto il principio liberale della divisione dei poteri fondano l‟intera organizzazione del potere politico e dello Stato e divengono i tratti distintivi rispetto a tutti gli altri regimi dittatoriali e totalitari. La dichiarazione dei Diritti dell’uomo e del cittadino Nel 1789, nel corso della rivoluzione, venne varata in Francia la Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo e del Cittadino, la quale basandosi sulla Dichiarazione d'indipendenza americana (1776), doveva servire come base per il passaggio dalla monarchia assoluta alla monarchia costituzionale. 7 Questo documento ispirò tutto il costituzionalismo moderno fino a giungere alla Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo approvata nel 1948 e a tutte le Costituzioni, compresa quella italiana, attualmente in vigore nei paesi democratici. Preambolo I Rappresentanti del Popolo Francese, costituiti in Assemblea Nazionale, considerando che l’ignoranza, l’oblio o il disprezzo dei diritti dell’uomo sono le uniche cause delle sciagure pubbliche e della corruzione dei governi, hanno stabilito di esporre, in una solenne dichiarazione, i diritti naturali, inalienabili e sacri dell’uomo, affinché questa dichiarazione, costantemente presente a tutti i membri del corpo sociale, rammenti loro incessantemente i loro diritti e i loro doveri; affinché maggior rispetto ritraggano gli atti del potere legislativo e quelli del potere esecutivo dal poter essere in ogni istanza paragonati con il fine di ogni istituzione politica; affinché i reclami dei cittadini, fondati da ora innanzi su dei principi semplici ed incontestabili, abbiano sempre per risultato il mantenimento della Costituzione e la felicità di tutti. In conseguenza, l’Assemblea Nazionale riconosce e dichiara, in presenza e sotto gli auspici dell’Essere Supremo, i seguenti diritti dell’uomo e del cittadino: Art. 1. Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti. Le distinzioni sociali non possono essere fondate che sull‟utilità comune. Art. 2. Il fine di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali ed imprescrittibili dell‟uomo. Questi diritti sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e la Resistenza all‟oppressione. Art. 3. Il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente nella Nazione. Nessun corpo o individuo può esercitare un‟autorità che non emani direttamente da essa. Art. 4. La libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce ad altri; così, l‟esercizio dei diritti naturali di ciascun uomo ha come limiti solo quelli che assicurano agli altri membri della società il godimento di questi stessi diritti. Questi limiti possono essere determinati solo dalla legge. Art. 5. La legge ha il diritto di vietare solo le azioni nocive alla società. Tutto ciò che non è vietato dalla legge non può essere impedito, e nessuno può essere costretto a fare ciò che essa non ordina. 8 Art. 6. La legge è l‟espressione della volontà generale. Tutti i cittadini hanno diritto di concorrere, personalmente o mediante i loro rappresentanti, alla sua formazione. Essa deve essere uguale per tutti, sia che protegga, sia che punisca. Tutti i cittadini essendo uguali ai suoi occhi sono ugualmente ammissibili a tutte le dignità, posti ed impieghi pubblici secondo le loro capacità, e senza altra distinzione che quella della loro virtù e dei loro talenti. Art. 7. Nessun uomo può essere accusato, arrestato o detenuto se non nei casi determinati dalla legge, e secondo le forme da essa prescritte. Quelli che procurano, spediscono, eseguono o fanno eseguire degli ordini arbitrari, devono essere puniti; ma ogni cittadino citato o tratto in arresto, in virtù della legge, deve obbedire immediatamente; opponendo Resistenza si rende colpevole. Art. 8. La legge deve stabilire solo pene strettamente ed evidentemente necessarie e nessuno può essere punito se non in virtù di una legge stabilita e promulgata anteriormente al delitto, e legalmente applicata. Art. 9. Presumendosi innocente ogni uomo sino a quando non sia stato colpevole, se si ritiene indispensabile arrestarlo, ogni rigore non necessario per assicurarsi della sua persona deve essere severamente represso dalla legge. Art.10. Nessuno deve essere molestato per le sue opinioni, anche religiose, purché la manifestazione di esse non turbi l‟ordine pubblico stabilito dalla legge. Art.11. La libera comunicativa dei pensieri e delle opinioni è uno dei diritti più preziosi dell‟uomo; ogni cittadino può dunque parlare, scrivere, stampare liberamente, salvo a rispondere dell‟abuso di questa libertà nei casi determinati dalla legge. Art.12. La garanzia dei diritti dell‟uomo e del cittadino ha bisogno di una forza pubblica; questa forza è dunque istituita per il vantaggio di tutti e non per l‟utilità particolare di coloro ai quali essa è affidata. Art.13. Per il mantenimento della forza pubblica, e per le spese di amministrazione, è indispensabile un contributo comune: esso deve essere ugualmente ripartito fra tutti i cittadini, in ragione delle loro sostanze. Art.14. Tutti i cittadini hanno il diritto di constatare, da loro stessi o mediante i loro rappresentanti, la necessità del contributo pubblico, di approvarlo liberamente, di controllarne l‟impiego e di determinarne la quantità, la ripartizione e la durata. Art.15. La società ha il diritto di chieder conto ad ogni agente pubblico della sua amministrazione. Art.16. Ogni società in cui la garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei poteri determinata, non ha costituzione. Art.17. La proprietà essendo un diritto inviolabile e sacro, nessuno può esserne privato, salvo quando la necessità pubblica, legalmente constatata, lo esiga in maniera evidente, e previa una giusta indennità. Dall’Ancien Régime alla prima idea di democrazia moderna come potere del popolo Ribaltando l‟antica concezione dell‟Ancien régime che vedeva nella divinità e nella dinastia ereditaria la fonte del potere politico la Rivoluzione Francese individua nel popolo la fonte primaria di legittimazione della sovranità statale. Lo Stato non rappresentava più un‟entità che domina dall‟alto gli uomini, ma una forma di organizzazione che i cittadini creano con il loro consenso e nel loro interesse, in modo che l‟obbedienza a questa volontà generale che nasce dal basso, come affermava il pensatore politico ginevrino Jean-Jacques Rousseau, sia in fondo obbedienza a se stessi . 9 ANCIEN REGIME RIVOLUZIONI BORGHESI monarchie assolute monarchie costituzionale DIO DIO RE PRIVILEGI RE STATO STATO POPOLO POPOLO Napoleone Bonaparte Napoleone Bonaparte, grazie a una serie di brillanti campagne militari e alleanze, conquistò e governò gran parte dell‟Europa, esportando ovunque gli ideali rivoluzionari e di rinnovamento sociale suscitando grandi speranze ed illusioni. E nel 1809, in nome di quegli ideali, fece anche arrestare un papa. 10 “Non possiamo. Non dobbiamo. Non vogliamo”. E‟ con queste parole che Papa Pio VII accolse la richiesta dell‟ufficiale francese che gli intimava, a nome dell‟imperatore, di consegnare Roma e lo Stato pontificio alla Francia. Parole che servirono a poco. Napoleone decise di proclamare Roma città imperiale con l‟intento di farne la seconda metropoli francese dopo Parigi. Come reazione il papa decise di scomunicare tutti i responsabili del suo arresto, ma Napoleone dopo l‟arresto lo fece deportare dapprima in Francia poi in altre città italiane. Fu con le prime campagne napoleoniche in Italia e la fondazione nel 1797 della Repubblica Cispadana prima e Cisalpina poi che viene inoculata la scintilla della libertà nel nostro paese che darà l‟avvio al Risorgimento qualche anno dopo. Al congresso di Reggio Emilia del 7 gennaio del 1797 venne adottato, su imitazione del tricolore francese, il tricolore della Repubblica cispadana che divenne dal 1946 il tricolore della Repubblica italiana. 11 Nella cartina L’impero d’Austria all’epoca era alleato di Napoleone Napoleone fu anche il primo Presidente della Repubblica italiana dei tempi moderni dal 1802 al 1805 e re d‟Italia dal 1805 al 1814 ; risale a quel periodo anche il conio delle prime lire, l‟introduzione dei nuovi codici e la costruzione di importanti e nuove vie di comunicazione. Fu vera gloria? Ma Napoleone fu anche un dispotico dittatore sanguinario, dominatore e saccheggiatore che ben presto deluse le speranze di molti degli intellettuali suoi ammiratori e seguaci. Egli lasciò sui campi di battaglia di tutta Europa centinaia di migliaia di vittime francesi e straniere e molte opere d‟arte e tesori vennero trafugati dai paesi sottomessi in cambio degli ideali di libertà ed eguaglianza… Al seguito di Napoleone vi erano veri e propri esperti d‟arte che indicavano dove “colpire”. C‟era anche chi, in quel tempo, teorizzava il fatto che la Francia sola poteva essere l‟unica nazione degna di ospitare simili tesori facendone meglio risaltare la bellezza mortificata dai regimi assolutisti! In tutti i trattati che concludevano le campagne napoleoniche non mancavano mai clausole che prevedevano la cessione di opere d‟arte a compensazione dei costi di guerra sostenuti. 12 Dopo l‟allontanamento di Napoleone dall‟Europa tutti i paesi spogliati mandarono propri esperti a Parigi per richiedere la restituzione dei capolavori perduti. Per l‟Italia, su 506 dipinti solo 258 vennero restituiti; i rimanenti sono ancora in Francia al Louvre o in altri musei. Nell‟ottobre del 1815 fu organizzato un convoglio di 41 carri scortati fino a Milano da soldati tedeschi e, da lì, smistati nelle varie parti di provenienza della penisola italiana Particolarmente eclatante fu il trafugamento, nel corso della campagna di Russia, nei palazzi dei nobili e nelle cattedrali moscovite di ben 80 tonnellate di oro e gioielli contenuti in 200 carri mai più ritrovati. Il cinque maggio Il componimento Il cinque maggio venne ispirato da Alessandro Manzoni (1785 – 1873) dalla morte di Napoleone Bonaparte avvenuta il cinque maggio 1821 sull‟isola di sant‟Elena. Alessandro Manzoni 13 Ei fu. Siccome immobile, dato il mortal sospiro, stette la spoglia immemore orba di tanto spiro, così percossa, attonita la terra al nunzio sta, muta pensando all'ultima ora dell'uom fatale; né sa quando una simile orma di piè mortale la sua cruenta polvere a calpestar verrà. Lui folgorante in solio vide il mio genio e tacque; quando, con vece assidua, cadde, risorse e giacque, di mille voci al sònito mista la sua non ha: vergin di servo encomio e di codardo oltraggio, sorge or commosso al sùbito sparir di tanto raggio; e scioglie all'urna un cantico che forse non morrà. Dall'Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno, di quel securo il fulmine tenea dietro al baleno; scoppiò da Scilla al Tanai, dall'uno all'altro mar. Fu vera gloria? Ai posteri l'ardua sentenza: nui chiniam la fronte al Massimo Fattor, che volle in lui. del creator suo spirito più vasta orma stampar. La procellosa e trepida gioia d'un gran disegno, l'ansia d'un cor che indocile serve, pensando al regno; e il giunge, e tiene un premio ch'era follia sperar; tutto ei provò: la gloria maggior dopo il periglio, la fuga e la vittoria, la reggia e il tristo esiglio; due volte nella polvere, due volte sull'altar. Ei si nomò: due secoli, l'un contro l'altro armato, sommessi a lui si volsero, come aspettando il fato; ei fè silenzio, ed arbitro s'assise in mezzo a lor. E sparve, e i dì nell'ozio chiuse in sì breve sponda, segno d'immensa invidia e di pietà profonda, d'inestinguibil odio e d'indomato amor. Come sul capo al naufrago l'onda s'avvolve e pesa, l'onda su cui del misero, alta pur dianzi e tesa, scorrea la vista a scernere prode remote invan; tal su quell'alma il cumulo delle memorie scese. Oh quante volte ai posteri narrar se stesso imprese, e sull'eterne pagine cadde la stanca man! Oh quante volte, al tacito morir d'un giorno inerte, chinati i rai fulminei, le braccia al sen conserte, stette, e dei dì che furono l'assalse il sovvenir! E ripensò le mobili tende, e i percossi valli, e il lampo dè manipoli, e l'onda dei cavalli, e il concitato imperio e il celere ubbidir. Ahi! Forse a tanto strazio cadde lo spirto anelo, e disperò; ma valida venne una man dal cielo, e in più spirabil aere pietosa il trasportò; e l'avviò, pei floridi sentier della speranza, ai campi eterni, al premio che i desideri avanza, dov'è silenzio e tenebre la gloria che passò. Bella Immortal! Benefica Fede ai trionfi avvezza! Scrivi ancor questo, allegrati; ché più superba altezza al disonor del Gòlgota giammai non si chinò. Tu dalle stanche ceneri sperdi ogni ria parola: il Dio che atterra e suscita, che affanna e che consola, sulla deserta coltrice accanto a lui posò. Manzoni era un patriota che aspirava alla liberazione della Lombardia dagli austriaci e tale sentimento si rivela anche ne I promessi sposi, che, pur ambientato un paio di secoli prima, mostra un‟Italia divisa e sotto il giogo dello straniero; inoltre I promessi sposi rappresentarono il primo vero romanzo scritto in italiano: Manzoni impiegò 19 anni per scegliere le parole giuste, ma alla fine inventò una lingua, che aveva la sua matrice nel dialetto fiorentino, comprensibile a tutti. La Santa Alleanza Ancora prima dell’ultima disfatta di Napoleone a Waterloo, dall’ottobre del 1814 al giugno del 1815, con il Congresso di Vienna e la Restaurazione che ne seguì le potenze reazionarie anti napoleoniche e anti liberali europee ristabilirono i vecchi regni e gli antichi privilegi. Il principio era antico e semplice: i troni erano assegnati direttamente da Dio e, quindi, intangibili dagli uomini; il potere doveva essere trasmesso secondo la successione ereditaria e le monarchie preesistenti il periodo napoleonico dovevano essere restaurate: i popoli non avevano alcun diritto di decidere da chi e come essere governati. Si trattava dell’antico principio denominato di “legittimazione dinastica”. Uno dei principali protagonisti e ideatori del Congresso di Vienna e della Santa alleanza fu Klemens von Metternich, negoziatore per il governo austriaco e fortissimo sostenitore dell‟impero. Egli definì l‟Italia una semplice espressione geografica e riuscì sostanzialmente a porla sotto tutela degli austriaci a cui negli anni successivi i re locali spesso chiesero aiuto per combattere i rivoluzionari e ripristinare, con successo, l‟ordine. 14 I sovrani assoluti furono rimessi al loro posto e le detestate Costituzioni liberali abolite o modificate; fu ripristinato il principio dinastico e la difesa del trono e dell’altare vennero posti alla base dei nuovi valori; prende l‟avvio l‟oscuro periodo della Restaurazione. La Santa Alleanza per la prima volta introdusse il principio di intervento fra Stati (alla base di molti trattati internazionali dell‟epoca moderna): nel caso uno Stato avesse avuto dei problemi causati da disordini rivoluzionari che non fosse in grado di sedare e che potessero contagiare gli altri Stati, questi si ritenevano in obbligo d'intervenire per reprimere le rivolte. L‟assetto politico europeo stabilito nel Congresso di Vienna subì una prima scossa con la rivoluzione parigina del 1830 e poi crollò per effetto dei grandi cambiamenti del 1848. L’Italia in mano all’assolutismo dal 1815 al 1848 15 L‟Italia, dopo Waterloo e il Congresso di Vienna, è ormai principalmente nelle mani degli austriaci. L‟Austria controlla direttamente la Lombardia e il Triveneto; a Modena e Reggio l'erede degli Este si chiama Francesco IV ed è Asburgo per parte di padre. Anche a Parma la situazione è simile: comanda Maria Luigia, che è sì l'ex moglie di Napoleone, ma è pur sempre figlia dell'Imperatore viennese. Per di più dalla sua successione è stato escluso il figlio avuto dal Bonaparte: alla morte di Maria Luigia il ducato tornerà a Carlo Lodovico di Bordone-Parma che per ora controlla Lucca. Un Asburgo, precisamente un AsburgoLorena, è anche il granduca di Toscana: Ferdinando III. Il resto dell‟Italia è suddiviso fra i Savoia, che controllano tutto il nord ovest, lo Stato della Chiesa restituito ai papi che domina Bologna, la Romagna, le Marche, l‟Umbria e il Lazio, i Borbone che con re Ferdinando IV governano il sud del Regno delle Due Sicilie. Il poeta e patriota Ugo Foscolo (1778-827) ebbe a scrivere: “L‟Italia è cadavere, che non va tocco, né smosso per non provocare il più triste fetore”. Ancora prima del congresso di Vienna Foscolo aveva combattuto contro l‟esercito austro russo che travolse la repubblica Cisalpina e rioccupò il nord est e l‟emilia. Nel 1799 rimase ferito ad una coscia durante la presa di Cento; per curarsi fu ospite a Calcara presso un amico e quindi al monastero di Monteveglio, ma lì venne arrestato, portato nelle prigioni di Bazzano e poi trasferito nelle prigioni del castello di Vignola e quindi a Modena da dove venne liberato. La Carboneria e i moti La Carboneria era una organizzazione segreta e clandestina che in Italia esercitò i suoi compiti cospirativi dal 1815 alla fondazione della Giovine Italia nel 1832. Come la massoneria (dal francese maçon che significa muratore) aveva preso i suoi simboli dal mestiere dei muratori (compasso, cazzuola, ecc.) la carboneria mutuò i suoi simboli dal mestiere dei commercianti di carbone cercando di farsi credere innocua associazioni di lavoratori. Secondo gli inquirenti dell‟epoca i carbonari avevano una suddivisione territoriale nella quale ogni nucleo si chiamava “baracca” e ogni territorio - che comprendeva più nuclei “vendita”. Tra loro i cospiratori si chiamavano “buoni cugini”. L‟organizzazione era rigidamente gerarchica, i ruoli andavano dall‟apprendista, al maestro, al gran maestro e l‟adesione a queste società segrete comprendeva complessi rituali di iniziazione e la fedeltà assoluta, pena la morte. Il contenuto ideologico della carboneria era piuttosto variegato, così come le classi che vi parteciparono. Borghesia cittadina e borghesia rurale, militari e, progressivamente, strati sociali più vasti che avevano in comune l‟ideale patriottico di liberazione dell‟Italia dalla dominazione straniera, ma spesso anche ideali liberali e giacobini egalitari di riaffermazione dei diritti civili e politici nelle forme di nuove Costituzioni contrapposte duramente agli ideali del Congresso di Vienna. Insomma, il meglio della società italiana. Furono infinite le piccole e grandi società carbonare che si affermarono prima al sud e poi al centro e al nord della nostra penisola. 16 Telo con simbolo carbonaro massonico Un primo tentativo di cospirazione avvenne nel Regno delle Due Sicilie nel 1820 ad opera di militari: il generale Guglielmo Pepe marciò su Napoli costringendo il re Ferdinando I a concedere la Costituzione, ma qualche mese dopo, in ottemperanza agli accordi della Santa Alleanza, l‟esercito austriaco occupò il Regno delle Due Sicilie reprimendo i costituzionali mentre Ferdinando I revocava la Costituzione. Anche Palermo nel 1820 era insorta scacciando i Borboni e chiedendo una Costituzione, ma pure in questo caso lo stesso esercito napoletano riuscì a soffocare la rivolta. Un tentativo di insurrezione con la richiesta di una Costituzione liberale, prima concessa e poi revocata, ebbe luogo anche nel regno di Sardegna, ma le truppe regie appoggiate ancora una volta da quelle austriache ebbero la meglio. Nel Lombardo Veneto la polizia austriaca riuscì ad arrestare i capi carbonari tra i quali, Federico Confalonieri, Silvio Pellico e Pietro Maroncelli, questi ultimi due raffigurati nel seguente dipinto. Da Milano i due patrioti furono condotti alla prigione dei Piombi di Venezia, dove il 21 febbraio del 1821 venne letta la sentenza: morte, in seguito commutata in quindici anni di carcere duro, da scontarsi nella fortezza di Spielberg. La dura esperienza carceraria, che 17 si concluse con la grazia imperiale e il rimpatrio nel 1830, costituisce il soggetto dell'opera autobiografica Le mie prigioni, che ebbe grande popolarità ed esercitò notevole influenza sul movimento risorgimentale. Metternich ammise che il libro aveva danneggiato l'Austria più di una battaglia perduta. Altri moti esplosero nel ducato di Modena, nello Stato della Chiesa e in altre parti della penisola; l‟ultimo e più importante moto fu quello emiliano del 1831 che, muovendo dal ducato di Modena, organizzato da Ciro Menotti, si allargò a Bologna, alla Romagna e alle Marche. Nel febbraio del 1831 i rappresentanti di Emilia, Romagna e Marche si riunirono a Bologna e dichiararono decaduto il governo del papa proclamando lo Stato delle province Unite e costituirono un parlamento autonomo. L‟esercito austriaco accorse in aiuto del duca di Modena Francesco IV e del papa e schiacciò la ribellione delle milizie volontarie. Menotti fu giustiziato per impiccagione. Tutti i moti venero repressi, tramonta l‟esperienza della carboneria, ma l‟idea di Italia unita e libera era nata attirando a sé strati sempre più larghi della popolazione della penisola. Ciro Menotti Tratto da Wikipedia http://it.wikipedia.org/wiki/Ciro_Menotti “Modena era nel 1831 governata dal duca Francesco IV d'Asburgo-Este, arciduca d'Austria. Egli reputava il ducato di Modena troppo piccolo per le sue ambizioni: aveva continui rapporti diplomatici con i diversi stati europei e manteneva una corte sfarzosa come fosse un grande sovrano. Ciò spiega il suo interessamento per i movimenti rivoluzionari che agitavano l'Italia, da un lato temendoli e agendo duramente contro di loro, dall'altro lusingandoli nella speranza di potere sfruttare e volgere la loro azione a vantaggio dei propri interessi personali. 18 In quegli anni egli era particolarmente interessato alla questione della successione sabauda: era infatti marito di Maria Beatrice di Savoia, figlia primogenita di Vittorio Emanuele I Re di Sardegna. A Vittorio Emanuele I successe, tuttavia, il fratello Carlo Felice e venne nominato erede Carlo Alberto di Savoia del ramo cadetto dei Savoia-Carignano. Avvicinato da Menotti, inizialmente Francesco IV non reagì al progetto rivoluzionario: forse c'erano accordi precisi fra i due tramite anche un altro liberale, l'avvocato Enrico Misley, frequentatore abituale della corte ducale. Non si capisce altrimenti perché Francesco IV, che conosceva a fondo Menotti, non lo avesse fatto subito arrestare come aveva fatto nel 1820 con quarantasette carbonari, o presunti tali, processati e condannati, come il sacerdote Giuseppe Andreoli, condannato a morte. Nel gennaio del 1831 Menotti organizzò nei minimi dettagli la sollevazione, cercando il sostegno popolare e l'approvazione dei neonati circoli liberali che stavano proliferando in tutta la Penisola. Il 3 febbraio 1831, dopo aver raccolto le armi, Menotti radunò una quarantina di congiurati nella propria abitazione, poco distante dal Palazzo Ducale, per organizzare la rivolta. Francesco IV, tuttavia, con un brusco voltafaccia certamente impostogli dal governo austriaco, decise di ritirare il suo appoggio alla causa menottiana ed anzi chiese l'intervento restauratore della Santa Alleanza. Gli storici si sono sempre chiesti il motivo di questo doppio gioco del duca: certi pensano che il rampollo della famiglia Asburgo-Este capì che il progetto di un Regno dell'Alta Italia fosse solo un'utopia; alcuni invece sostengono che Francesco era geloso del carisma di Menotti, altri ancora credono che il duca ebbe paura di perdere, dopo la rivoluzione, molti dei suoi privilegi. Il duca fece circondare dalle sue guardie la casa; seguirono alcuni spari e i congiurati cercarono di fuggire, alcuni ci riuscirono, altri no e fra questi Ciro Menotti, che, saltato da una finestra nel giardino retrostante la casa, rimase ferito e fu catturato e imprigionato. Intanto però i disordini erano cominciati soprattutto nella vicina Bologna. Il duca scrisse subito un ordine al Governatore di Reggio: «Questa notte è scoppiata contro di me una terribile congiura. Mandatemi il boia», poi pensò bene di riparare a Mantova, allora facente parte dei domini austriaci in Italia, portando però con sé Menotti. Alcuni dicono anche che Francesco IV abbia dato a Menotti più volte l'assicurazione che gli avrebbe salvata la vita, ma questo non è provato. Fallita la rivolta, il duca, rassicurato, il 9 marzo rientrò a Modena, sempre portandosi dietro il Menotti prigioniero. Due mesi dopo fece celebrare il processo che si concluse con la condanna a morte mediante impiccagione. Altri cospiratori (Luigi Adami, Giuseppe Brevini e Antonio Giacomozzi) furono dapprima condannati a morte, pena successivamente commutata in dodici anni di carcere da Francesco IV. Il 28 febbraio 1831 un tentativo di far evadere Menotti fallì. Nonostante le numerose suppliche che gli pervennero da più parti perché concedesse una commutazione della pena, il duca fu irremovibile e la sentenza venne eseguita nella Cittadella, assieme a quella di Vincenzo Borelli, reo di aver redatto l'atto di decadenza di Francesco IV dopo la sua fuga dal ducato e per questo condannato a morte. Menotti passò la notte prima dell'esecuzione con un sacerdote al quale consegnò una nobilissima lettera per la moglie, lettera che le guardie confiscarono e che fu consegnata alla vedova dai liberatori, solo nel 1848, due anni dopo la morte del Duca e alla cacciata degli Asburgo-Este. La sentenza di morte venne pubblicata solo dopo l'esecuzione, allo scopo di evitare possibili disordini e rivolte”. La statua di Ciro Menotti, in piazza dell’Accademia a Modena, ha il viso rivolto verso la stanza dove il duca Francesco IV firmò la sua condanna a morte. 19 Mazzini, Gioberti, Cattaneo, Balbo, D’Azeglio Giuseppe Mazzini (1805-1872) partecipò ai moti del 1831 e per primo riuscì a comprendere le vere ragioni del loro fallimento. A Marsiglia, nel 1832, fondò la Giovine Italia, una società segreta che si batteva, per la prima volta, per un programma unitario di tutti i patrioti italiani basato non solo sull’idea della cacciata dello straniero, ma sul fatto che questo avrebbe dovuto avvenire in una prospettiva di un’Italia unita e repubblicana, sotto l’egida di una costituzione democratica. Solo queste potevano essere considerate le condizioni per dare forza al movimento patriottico e per costruire un paese ricco e prospero accanto alle altre nazioni europee. Egli auspicava la necessità della partecipazione del popolo, di tutto il popolo italiano, al movimento risorgimentale e, in particolare, delle giovani generazioni che avrebbero rappresentato il futuro della nuova Nazione. Alle idee mazziniane furono ispirate una serie di cospirazioni, congiure e tentativi di insurrezione in varie parti d‟Italia: nel Regno di Sardegna (a cui partecipò lo stesso Mazzini), contro i Borboni a Napoli, in Romagna contro il papa; ma fatalmente terminavano tutte con la repressione e la fucilazione dei responsabili. Tale fu anche l‟impresa dei fratelli Bandiera, nati a Venezia e ufficiali dell‟esercito austriaco e fondatori di una società segreta denominata Esperia, furono scoperti e costretti a rifugiarsi a Corfù; da lì, venuti a sapere di una insurrezione a Cosenza con alcuni compagni sbarcarono in Calabria con la speranza di fare insorgere i contadini contro i Borboni, ma, osteggiati dalla stessa popolazione, vennero catturati, processati e fucilati nel luglio del 1844. 20 Ai fallimenti mazziniani si contrapponevano altre correnti patriottiche più o meno moderate come quella neo guelfa che faceva capo a Vincenzo Gioberti (18011852) che aveva come programma l‟unificazione dell‟Italia in una confederazione di Stati, ciascuno governato dal proprio principe, sotto l‟alta guida del papa. Anche il patriota milanese Carlo Cattaneo (1801-1869), uno degli animatori delle cinque giornate, propugnava un‟ipotesi federalista, benché repubblicana, ritenendo troppo artificiosa o perlomeno prematura la soluzione unitaria. Cesare Balbo (1789-1853), da posizioni monarchiche, autore del libro Le speranze d’Italia, mirava a un progetto federativo che però, avrebbe dovuto fare capo al re di Sardegna. Massimo D‟Azzeglio (1798-1866), liberale e patriota torinese, consapevole delle grandi differenze tra i vari regni d'Italia e rispettoso dei sovrani legittimi, era contrario ad una unificazione a sola guida piemontese e auspicava la creazione di una confederazione di stati sul modello dell'Unità tedesca. L'11 luglio 1859 ebbe l'incarico di costituire un governo provvisorio a Bologna, dopo la cacciata delle truppe pontificie. E‟ sua la famosa frase: Abbiamo fatto l'Italia ora dobbiamo fare gli italiani, significativa del suo approccio politico Sposò Giulia, figlia di Alessandro Manzoni, ma l'unione non fu felice. Tra le sue opere più famose Ettore Fieramosca, o la disfida di Barletta. 21 Giuseppe Verdi (1813-1901) Giuseppe verdi raffigurò uno dei simboli del Risorgimento italiano. Una delle sue prime opere liriche rappresentata il 9 marzo 1842 al Teatro di Milano La Scala fu il Nabucco con la sua celebre aria Va pensiero cantata dal popolo ebraico alla ricerca di una patria perduta. Divenne inevitabile che quell‟aria si trasformasse in un doloroso inno contro l‟occupante austriaco, diffondendosi in tutta la Lombardia e nel resto della penisola. Quell‟aria venne inoltre utilizzata anche dagli esuli istriani, fiumani e dalmati come inno del loro esodo dalle terre perdute dopo il secondo conflitto mondiale. Va', pensiero, sull'ali dorate va', ti posa sui clivi, sui colli, ove olezzano, tepide e molli l'aure dolci del suolo natal! Del Giordano le rive saluta, di Sionne le torri atterrate... Oh, mia patria, sì bella e perduta! Oh, Membranza sì cara e fatal! Arpa d'or dei fatidici vati, perchè muta dal salice pendi? Le memorie nel petto raccendi, ci favella del tempo che fu! O simile di Solima ai fati traggi un suono di crudo lamento, o t‟ispiri il Signore un concento che ne infonda al patire virtù! Il melodramma svolse in Italia una funzione del tutto simile a quella del romanzo di Manzoni I promessi sposi, cioè divenne un importantissimo e potentissimo strumento per veicolare la nuova lingua comune in una nazione ricchissima di dialetti spesso molto diversi tra di loro; le celebri arie canticchiate anche dagli strati più larghi della popolazione 22 ebbero un vero e proprio ruolo educativo; le note di Verdi, ha scritto qualcuno, furono le pallottole del Risorgimento italiano: la lingua comune è il primo vero legame di un popolo. La Lega Nord continua ad utilizzare questa aria come "Inno della Padania" sostenendo che il librettista che ne scrisse le parole, Temistocle Solera, appartenesse alla corrente risorgimentale neoguelfa sostenitrice di una forma di federalismo (sotto l‟egida papale). Le contraddizioni di tale utilizzazione sono macroscopiche e, probabilmente, sconosciute al popolo leghista: primo: il coro degli ebrei è, appunto, stato uno dei simboli del Risorgimento italiano da cui è scaturita l‟unità del nostro paese che ora il movimento leghista vorrebbe mettere in discussione; secondo: non c‟è alcuna documentazione che provi l‟adesione di Solera ad un progetto federalista; terzo: Verdi era un fervente sostenitore dell'unità nazionale. In effetti Verdi fu un patriota convinto e sostenitore dei moti risorgimentali fino quando dal 1861 al 1864 divenne, a furor di popolo, anche membro del primo parlamento del Regno d‟Italia. Il 1848: la “primavera dei popoli” Le gravi condizioni economiche dell‟Europa di quegli anni rappresentarono il detonatore di rivolte che maturarono assieme alla richiesta di indipendenza nazionale dell‟Italia e dell‟Ungheria contro il sistema assolutistico della Santa Alleanza ripristinato con la restaurazione. La borghesia industriale in ascesa e le larghe masse popolari si riunirono in un impeto di rivolta nel fatidico 1848. Quel periodo venne definito come la primavera dei popoli. Ancora oggi l‟espressione fare un quarantotto sta a significare confusione e caos; Ed in effetti le rivolte di quel periodo portarono, sia pure non nell‟immediato, a una completa ridefinizione degli assetti politici dell‟Europa uscita dal Congresso di Vienna. In Sicilia, a seguito dell‟insurrezione del gennaio 1848 di Palermo, il re Ferdinando II è costretto a concedere una Costituzione che riconosce alcuni diritti civili fondamentali e un parlamento elettivo; alcuni mesi dopo quello stesso parlamento dichiarò decaduto il regno dei Borboni e proclamò l‟indipendenza della Sicilia in un‟ottica di successiva unione a un‟ipotetica federazione italiana. Nel mese di febbraio anche Leopoldo II di Toscana concesse una costituzione per il suo Granducato; anche il Piemonte è in rivolta: Carlo Alberto di Savoia è costretto a concedere la costituzione poi chiamata Statuto albertino, dopo che aveva dichiarato che non si sarebbe mai fatto ingannare come quello stupido di Ferdinando II di Borbone. Ma la rivoluzione europea vera e propria si avvierà in seguito alle sommosse per la richiesta del suffragio elettorale a Parigi: il re Luigi Filippo è costretto alla fuga ed è proclamata la repubblica. Ben presto il fuoco divamperà ovunque, con la sola esclusione dell‟Inghilterra, in cui negli anni precedenti furono riconosciuti alla borghesia alcuni importanti diritti, e alla Russia in cui mancava una vera e propria classe borghese. In marzo le rivolte scoppiarono nel cuore dell‟assolutismo europeo: a Vienna; l‟imperatore Ferdinando I d‟Austria e Metternich furono costretti a fuggire. E poi a Berlino, in Ungheria, 23 in Spagna e quasi ovunque nel resto d‟Europa il popolo si solleva per chiedere una Costituzione e diritti civili e politici. A seguito della fuga di Metternich Venezia insorge mettendo in fuga la guarnigione austriaca e liberando dalle prigioni i patrioti Daniele Manin e Nicolò Tommaseo. Venne insediata la repubblica democratica di Venezia, con proprie istituzioni rappresentative, che adottò come propria bandiera il tricolore di origini napoleoniche. Anche a Milano, a seguito delle notizie dall‟Austria e da Venezia, il popolo insorge e riesce in un primo tempo ad ottenere alcune concessioni dal vice governatore, ma l‟ottantaduenne generale Radetzky, governatore austriaco del Lombardo Veneto, rinnegando tali concessioni, fece sparare sulla folla dando avvio ad una imprevedibile quanto eccezionale reazione popolare e alle famose cinque giornate di Milano. Nel quadro di Baldassarre Verrazzi viene illustrato un episodio delle cinque giornate di Milano (18-22 marzo 1848) con il tricolore che sventola sulle bariicate. 24 Radetzsky, simbolo dell‟occupazione straniera, pensava di dare una lezione ai sudditi rivoltosi, ma ben presto Milano si riempi di 1700 barricate; fu costituito un consiglio di guerra e, a poco a poco, l‟esercito austriaco, forte di 13.000 uomini, fu spinto fuori dalla città. Tutto il popolo milanese combatté con grande valore e coraggio, tranne i nobili, i ricchi e i prelati, definiti allora gli eroi della sesta giornata. Il quinto giorno gli insorti, guidati, da Luciano Manara, assalirono e conquistarono l‟ultima postazione austriaca. Il vecchio generale austriaco fu costretto alla fuga da Milano nascondendosi all‟interno di un carro di fieno per rifugiarsi nel quadrilatero. Il quadrilatero rappresentò, tra il 1815 e il 1866, un importante sistema difensivo austriaco, organizzato fra la Lombardia e il Veneto, l‟Adige, il Po, il Mincio e il lago di Garda, i cui vertici erano rappresentati dalle fortezze di Peschiera del Garda, Mantova, Legnago e Verona. Dopo la seconda guerra d‟indipendenza del 1859 l‟esercito austriaco vi fece costruire una seconda cerchia di otto forti, distanti poco meno di quattro chilometri dalla cinta principale. L‟Italia ribolliva di spirito patriottico e rivoluzionario; ovunque apparve il tricolore, simbolo dell‟Italia e della libertà, accanto ai riconoscimenti delle prime Costituzioni. Il tricolore e le Costituzioni in Italia 25 La prima guerra d’indipendenza (1848-1849) Le insurrezioni di Venezia e Milano fecero esplodere in tutta Italia manifestazioni di tripudio a favore della guerra nazionale per la liberazione del paese dallo straniero. Carlo Alberto, fortemente sotto pressione ed anche nel timore che a Milano potesse instaurarsi una repubblica democratica come a Venezia, il 23 marzo del 1848 mosse le sue truppe dal Regno di Sardegna (cioè dal Piemonte) verso la Lombardia: scoppia la prima guerra di indipendenza che opporrà il regno di Sardegna all‟impero austriaco. Carlo Alberto di Savoia e il Regno di Sardegna nel 1848 Tuttavia, già l‟avvio della guerra non fu particolarmente brillante; a causa dei tentennamenti iniziali di Carlo Alberto l‟esercito austriaco ebbe tutto il tempo di mettersi al riparo nel quadrilatero tra Lombardia e Veneto; quando l‟esercito piemontese alla fine di marzo del 1848 varcò il Ticino (che allora segnava il confine tra Piemonte e Lombardia) era già venuto meno l‟elemento sorpresa. Il Granducato di Toscana, il papa e il re di Napoli in un primo tempo inviarono dei piccoli corpi di spedizione in aiuto ai Savoia, ma successivamente, il 29 aprile del 1848 papa Pio IX annunciò, con una famosa allocuzione, di non volere più partecipare alla guerra contro l‟Austria e, ponendo sullo stesso piano italiani oppressi e austriaci oppressori, dichiarava di “dovere abbracciare tutte le genti popoli e nazioni con pari studio di paternale amore”. Il papa, in effetti, si trovava nella contraddittoria posizione di combattere una grande potenza cattolica ed era impaurito da un possibile scisma dei cattolici austriaci. Tale vicenda in quei tempi mostrò tutti i limiti di una chiesa che si proclama universale, ma al contempo si poneva a capo di uno Stato e di un concretissimo potere temporale. 26 Incoraggiato da questo discorso Ferdinando II di Borbone re di Napoli e il papa stesso ritirarono le loro truppe dalla guerra, ma molti ufficiali e soldati non obbedirono e continuarono a combattere a fianco dei Savoia e degli insorti. Carlo Alberto, anziché porsi a capo dei numerosi volontari che giunsero da tutta Italia e, come Garibaldi, anche dall‟estero, organizzandoli nell‟esercito regolare e attaccare gli austriaci prima dell‟arrivo dei rinforzi dall‟Austria, ancora una volta esitò dando agli Austriaci stessi il vantaggio di riconquistare parte del Veneto e isolare Venezia. Nonostante alcune eroiche battaglie e vittorie degli italiani a Goito, Pastrengo, Curtatone e Montanara, gli austriaci riuscirono a battere rovinosamente l‟esercito piemontese a Custoza (tra il Veneto e la Lombardia) nel luglio 1848 e a marciare su Milano (agosto 1848) che Carlo Alberto cedette senza combattere. Quando il re tentò di parlare alla folla di Milano da un balcone prima di ritirarsi dalla città partirono alcuni colpi di fucile contro di lui. Qualche giorno dopo il generale Salasco firmò l‟armistizio che ridiede la Lombardia agli austriaci. Intanto in Emilia l‟esercito austriaco mandato a rioccupare Bologna, insorta contro lo Stato pontificio, dovette affrontare una dura battaglia contro il popolo nei pressi della Montagnola il 7 e 8 agosto 1848, ma venne ricacciato con gravi perdite; piazza VIII Agosto con il suo monumento, vicino al centro di Bologna, ricorda quell‟evento risorgimentale. Nello Stato della Chiesa, dopo la famosa allocuzione dell‟aprile del 1848, nonostante le richieste popolari patriottiche di intervenire a favore del Piemonte contro l‟Austria, il papa manteneva ferma la sua posizione. A seguito delle rivolte di Roma del mese di novembre del 1848 e timoroso di un attentato alla sua persona Pio IX fuggi travestito da prete su di una carrozza messa a disposizione da una nobile dama e riparò a Gaeta nel regno di Napoli sotto la protezione di Ferdinando II. Qualche mese dopo lo raggiunse anche un altro fuggiasco, Leopoldo II re del Granducato di Toscana. Nel resto d‟Europa non tardò a farsi sentire la reazione violenta delle classi aristocratiche e conservatrici che rapidamente revocarono le Costituzioni o ne imposero di fortemente autoritarie. A Roma, invece, il popolo esultante indisse elezioni popolari per eleggere un‟assemblea costituente; nonostante la minaccia papale di scomunicare tutti quelli che avessero esercitato il loro diritto di voto le elezioni ebbero luogo nel gennaio del 1849 e, fra gli altri, vennero eletti Garibaldi, che si era già distinto per il coraggio e il valore negli scontri con gli austriaci nel nord Italia, e Mazzini: si trattò della prima vera prova di democrazia in Italia. 27 Il papa definì invece quelle elezioni: “un mostruoso atto di smascherata fellonia, abominevole per l’assurdità della sua origine e l’empietà del suo scopo… un enorme e sacrilego attentato , meritevole dei castighi comminati dalle leggi sia divine che umane”. Una delle prime decisioni dell‟assemblea fu l‟abolizione del potere temporale dei papi e l‟istituzione della Repubblica romana. Le parole d‟ordine dei mazziniani erano “Dio e popolo”, una diade in cui il potere del papa non trovava alcuno spazio. A capo della Repubblica romana fu posto un triunvirato composto per un certo periodo anche da Mazzini con Saffi ed Armellini. Il papa scomunicò a più riprese i patrioti romani ed invocò l‟aiuto di tutte le potenze cattoliche: l‟Austria, la Francia, la Spagna e lo stesso regno delle due Sicilie. In questa situazione di fermento nazionale e sotto la pressione dei patrioti Carlo Alberto il 20 marzo 1849 ruppe la tregua e attaccò di nuovo l‟Austria; ma qualche giorno dopo, nonostante la superiorità numerica, venne definitivamente sconfitto a Novara ed abdicò in favore del figlio Vittorio Emanuele II. Le condizioni della pace prevedevano di non toccare l‟integrità del regno di Sardegna, ma imposero il pagamento all‟Austria di pesanti danni di guerra a titolo di risarcimento. Nel frattempo Luigi Napoleone (nipote di Napoleone Bonaparte e presto imperatore Napoleone III), Presidente della Repubblica francese, accolse l‟invito del papa di intervenire contro la repubblica romana; vennero inviate navi da guerra cariche di soldati che diedero l‟assalto a Roma nell‟aprile del 1849. Infuriarono leggendarie battaglie in cui di nuovo Garibaldi mostrò tutto il suo valore. Grandi furono gli atti di eroismo in cui perse la vita anche il patriota ventiduenne Goffredo Mameli, che qualche tempo prima aveva scritto, su musiche di Michele Novaro, l‟Inno d‟Italia che divenne ufficialmente l‟inno della Repubblica italiana dal 1947. Tomba di Mameli al cimitero monumentale del Verano a Roma 28 L’Inno di Mameli o Canto degli italiani o, più semplicemente, Fratelli d’Italia Fratelli d'Italia, l'Italia s'è desta; dell'elmo di Scipio s'è cinta la testa. Dov'è la Vittoria? Le porga la chioma; ché schiava di Roma Iddio la creò. Stringiamci a coorte! Siam pronti alla morte; Italia chiamò. Noi siamo da secoli calpesti, derisi, perché non siam popolo, perché siam divisi. Raccolgaci un'unica bandiera, una speme: di fonderci insieme già l'ora suonò. Stringiamci a coorte! Stringiamci a coorte! Siam pronti alla morte; Italia chiamò. Uniamoci, amiamoci; l'unione e l'amore rivelano ai popoli le vie del Signore. Giuriamo far libero il suolo natio: uniti, per Dio, chi vincer ci può? Siam pronti alla morte; Italia chiamò. si chiaman Balilla; il suon d'ogni squilla i Vespri suonò. Stringiamci a coorte! Dall'Alpe a Sicilia, dovunque è Legnano; ogn'uom di Ferruccio ha il core e la mano; i bimbi d'Italia Siam pronti alla morte; Italia chiamò. Son giunchi che piegano le spade vendute; già l'aquila d'Austria le penne ha perdute. Il sangue d'Italia e il sangue Polacco bevé col Cosacco, ma il cor le bruciò. Stringiamci a coorte! Siam pronti alla morte; Italia chiamò Nella primavera del 1849, sistemato il conflitto con i Savoia, l‟Austria, a capo della quale si era insediato l‟imperatore Francesco Giuseppe, e Radesky ritenne di avere mano libera e decise di mandare delle sue truppe in Emilia, nelle Marche e in Toscana; anche in previsione dell‟affermazione in centro Italia delle truppe francesi gli austriaci avevano la necessità, oltre che di difendere un Lorena quale era Leopoldo II, di ribadire la loro influenza politica sul centro nord della penisola. Nonostante la difesa eroica di Bologna e di Ancona le due città dovettero cedere agli austriaci, sia pure a condizioni onorevoli. Anche in Toscana la discesa delle truppe austriache in breve tempo rimise sul trono il Granduca Leopoldo II; ed, infine, il 15 maggio 1849 anche la Sicilia torna in mano ai Borboni. Pure gli spagnoli non si sottrassero alle richieste di aiuto del papa e, verso la fine di maggio del 1849, arrivò a Gaeta un corpo di spedizione che venne inviato ad occupare l'Umbria, cosa che puntualmente accadde senza scontri particolari. I francesi a Roma, aiutati anche dall‟intervento dei Borboni e da una serie di errori strategici nella conduzione della guerra da parte dei patrioti, ebbero il sopravvento; il primo luglio del 1849 l‟Assemblea costituente dichiarò di cessare la difesa di Roma, pur tuttavia, per una affermazione di principio, proclamò la nuova Costituzione. 29 Giuseppe Garibaldi (1807-1882) Giuseppe Garibaldi rappresenta senza dubbio una vera e propria icona del nostro Risorgimento, ma anche dell‟idea di una solidarietà internazionale tra tutti i popoli che lottano per la libertà. La sua attività di patriota in Italia ebbe inizio nel 1834 quando, su ordine di Mazzini, avrebbe dovuto promuovere un ammutinamento della marina militare di Genova, ma la cospirazione fu scoperta e dovette fuggire prima in Francia e poi in Brasile dove si unì alla causa degli insorti per l‟indipendenza; in seguito passò in Uruguay e in Argentina per continuare a battersi per la causa della libertà con grande valore. Nel giugno del 1848 ritornò in Italia per combattere e offrire il suoi aiuto a Carlo Alberto che lo accolse con freddezza e ostilità. I legionari guidati da Garibaldi si batterono contro gli austriaci conseguendo una serie di vittorie. Dopo Custoza Garibaldi partì con i suoi uomini alla volta di Roma dove venne eletto nell‟assemblea costituente del gennaio 1849 e dove condusse e prese eroicamente parte alla difesa della città dall‟assalto delle truppe francesi. Garibaldi a Porta San Pancrazio con il tricolore 30 Il 3 luglio i francesi entrarono in città, ma il giorno prima si era riunito in piazza San Pietro quello che rimaneva dei volontari patrioti della difesa di Roma. Giuseppe Garibaldi dichiarò di volere continuare la guerra per l‟Italia fuori di Roma e disse: “Non offro né paga, né quartiere, né provvigioni: offro fame e sete, marce forzate, battaglie e morte”. Quindi chiese chi l‟avrebbe accompagnato. Tremila uomini lo seguirono e uscirono dalla città; Garibaldi, con a fianco la moglie Anita che aveva combattuto attivamente per la difesa di Roma, li condusse verso Venezia, unica terra italiana ancora libera in cui si continuava a combattere contro lo straniero. In breve però venne accerchiato dagli eserciti francese, austriaco, spagnolo e napoletano; entrò nel territorio neutrale della Repubblica di San Marino e disperse la colonna. Fu in questa fuga rocambolesca che perse la vita, nei pressi di Ravenna, l‟amata moglie Anita che, in cinta di cinque mesi, non resse i ritmi imposti da cavalcate e marce interminabili tra fiumi e montagne. Giuseppe Garibaldi continuò la sua fuga che lo portò di nuovo in America, ospite presso l‟italiano Antonio Meucci (l‟inventore del telefono). Ma, come vedremo in seguito, la sua lunga battaglia per l‟Italia ed il suo apporto agli eventi successivi furono determinante per la costruzione della nuova patria. Giuseppe Mazzini fu costretto a fuggire a Londra, ma il suo pensiero continuò a influenzare a lungo le azioni patriottiche degli anni successivi. Nel 1850 Pio IX fece ritorno a Roma ed abrogò la Costituzione che aveva concesso nel marzo di due anni prima e, naturalmente, quella varata dalla repubblica romana, viene ripristinata la tortura e l‟Inquisizione e oltre tremila romani vengono processati come collaboratori della Repubblica romana; ai processi seguirono centinaia di esecuzioni. La fine della Repubblica di Venezia Nel frattempo la Repubblica di San Marco, al procedere della vittorie e della repressione austriaca sulla terraferma, inutilmente chiese di unirsi al regno di Sardegna e resistette valorosamente all‟assedio del maresciallo Radetzky fino al 22 agosto 1849, quando, anche a causa di una pestilenza, dovette capitolare. "Addio a Venezia", è una poesia scritta nell‟agosto del 1849, alla notizia della resa della città, da Arnaldo Fusinato, poeta e patriota volontario nella difesa di Venezia. 31 È fosco l‟aere Il cielo è muto Ed io sul tacito Veron seduto In solitaria Malinconia Ti guardo e lagrimo, Venezia mia! Fra i rotti nugoli Dell‟occidente Il raggio pèrdersi Del sol morente, E mesto sibila Per l‟aria bruna L‟ultimo gemito Della laguna. Passa una gondola Della città. Ehi dalla gondola, Qual novità?Il morbo infuria, Il pan ci manca Sul ponte sventola Bandiera bianca!Il biennio 1848-1849 si concluse con un sostanziale nulla di fatto. La primavera dei popoli era trascorsa: parecchi conflitti, insurrezioni, battaglie e guerre avevano caratterizzato la penisola italiana; migliaia furono i patrioti fucilati o morti sui campi di battaglia; ma al termine di questa carneficina, ancora una volta, tutti i re e tutti i principi ritornarono al loro posto, spesso con gli antichi privilegi. Il ritorno a un nulla di fatto e lo Statuto Albertino Il regno di Sardegna non aveva mutato i propri confini, ma ormai era evidente il ruolo chiave che avrebbe giocato la dinastia sabauda nel processo di unificazione ed indipendenza dell‟Italia. 32 Terminata rovinosamente la prima guerra d‟indipendenza nel Regno di Sardegna rimaneva il lascito dello Statuto albertino concesso nel marzo del 1848 da Carlo Alberto per far fronte alle richieste sorte dai moti insurrezionali. Vale ora la pena soffermarsi brevemente sulle caratteristiche politico giuridiche di quella che di lì a una dozzina d‟anni divenne anche la prima Costituzione italiana. La prima considerazione riguarda il fatto che non si tratta di una Costituzione particolarmente avanzata, neppure quindi paragonabile ai contenuti di libertà e democrazia della Costituzione mazziniana della Repubblica romana; lo stesso nome Statuto venne preferito al termine di sapore troppo rivoluzionario “Costituzione”. Né il re Carlo Alberto avrebbe avuto il coraggio e la tempra per osare di più; tuttavia si tratta sempre di un documento estremamente importante perché per la prima volta trasforma la dinastia sabauda da monarchia assoluta a monarchia costituzionale; vale a 33 dire una monarchia che accetta la presenza di regole, limiti e un, pur limitato, riconoscimento di diritti civili e politici come mai prima era accaduto. Le altre caratteristiche dello Statuto albertino sono tradizionalmente così sintetizzabili; lo Statuto è una Costituzione: - concessa, nel senso che viene decisa dal re e quindi imposta ai suoi sudditi; vale a dire che non è il frutto diretto di una assemblea eletta dal popolo, ma frutto di una sorta di auto limitazione che la corona si impone a favore dei propri sudditi; ben altro contenuto avrebbe avuto se le sue origini fossero state quelle di una assemblea costituente elettiva; - breve, nel senso che si limita ad enunciare alcuni ben circoscritti diritti civili e politici tralasciando totalmente i diritti sociali, i diritti economici e le autonomie locali; - elastica, nel senso che, nonostante l‟incipit con il quale lo Statuto stesso si autodefinisce Legge Fondamentale, perpetua e irrevocabile della Monarchia, in realtà non sono previsti meccanismi di alcun tipo per garantirne la supremazia giuridica sulle leggi ordinarie; in ogni momento una nuova legge poteva, senza ostacoli, derogare o anche modificare e abrogare parti del suo contenuto. La struttura politica definita dallo Statuto, naturalmente, ruota tutta ancora attorno alla corona: 34 Rispetto al Parlamento il re ha il potere di convocare le Camere e di scioglierle, di sanzionare (oggi diremmo promulgare) le leggi e, soprattutto, di nominare i componenti del Senato. La Camera era invece elettiva, sia pure con un suffragio limitato per censo, cioè in base alla ricchezza posseduta e, naturalmente, con esclusione del voto alle donne. La giustizia è amministrata in nome del re; modeste sono le garanzie poste a tutela dell‟indipendenza dei magistrati i quali, attraverso il ministro della giustizia, potevano subire forti condizionamenti da parte del potere politico e della corona. Il re nomina il capo del governo e i ministri. Infine, per dare un ulteriore impronta conservatrice, l‟art. 1 dello statuto proclama la religione cattolica apostolica e romana come la sola religione dello Stato configurando così uno Stato di tipo confessionale, nonostante i durissimi contrasti che si determinarono nel 1870 dopo la breccia di Porta Pia di cui ci occuperemo tra non molto. Tuttavia, già fin da ora è necessario sottolineare la presenza di un embrione di democrazia che, nei decenni successivi e fino all‟avvento del fascismo, e sia pure tra contrasti e contrapposizioni, lentamente cominciò a svilupparsi. Il diritto di voto era riconosciuto ad una esigua minoranza del popolo, tuttavia la presenza di una camera elettiva introduceva una sorta di vulnus nel sistema conservatore ideato con lo statuto albertino; in effetti quella che veniva definita come prerogativa parlamentare, contrapposta alla prerogativa regia, riuscì, con il passare degli anni, ad affermarsi sempre più per un motivo semplicissimo: la base di legittimazione della camera elettiva era direttamente il popolo, mentre la base di legittimazione del re continuava a rimanere la dinastia e la divinità. Dunque, è pur vero che formalmente il potere di nomina del capo di governo e dei ministri spettava al re, ma il governo, per realizzare il suo programma e tradurlo in leggi, doveva contare sulla presenza di una maggioranza politica in parlamento, il quale solo in parte era di nomina regia. Iniziò in tal modo ad affermarsi la prassi del voto di fiducia al governo nel momento del suo insediamento che, di fatto, finì con l‟imporre al re di nominare primo ministro e ministri personaggi che avrebbero dovuto avere anche l‟appoggio della maggioranza della camera elettiva. Tale è la forma di governo parlamentare che anche la Costituzione repubblicana del 1948 riconfermò e che ancora oggi caratterizza l‟architettura politica del nostro paese. Tra la prima e la seconda guerra d’indipendenza Dopo l‟abdicazione di Carlo Alberto il figlio Vittorio Emanuele II divenne re del regno di Sardegna; agli occhi dei patrioti pareva l‟unico sovrano italiano in grado di condurre la battaglia per l‟unificazione del paese. 35 Vittorio Emanuele II di Savoia Per le strade del paese, sotto gli occhi ignari dell‟occupante straniero, cominciò ad apparire la scritta sui muri “Viva V.E.R.D.I.” che veniva letta dai patrioti come Viva Vittorio Emanuele Re d'Italia. Dal 1851 al 1853 nel lombardo veneto si formarono gruppi di patrioti di ispirazione mazziniana che però vennero sistematicamente scoperti e fucilati o impiccati dagli austriaci, come nel caso dei martiri di Belfiore. 36 Tra questi spicca la figura di Don Enrico Tazzoli, un sacerdote patriota e democratico, profondamente impegnato nell‟assistenza ai bisognosi e nell‟educazione popolare; egli riteneva l‟ottenimento dell‟indipendenza la premessa necessaria per migliorare le condizioni della sua gente. Fu arrestato dalla polizia come responsabile di un comitato insurrezionale anti austriaco e venne condannato a morte per impiccagione, ma, siccome si trattava di un prete, le cattoliche autorità austriache chiesero a Monsignor Giovanni Corti, vescovo di Mantova, di sconsacrarlo; egli si rifiutò e allora gli austriaci chiesero ed ottennero un ordine speciale di Pio IX che, sconfessando il vescovo, ordinò la sconsacrazione di Enrico Tazzoli. La sconsacrazione avvenne il 24 novembre 1852 ed il vescovo fu costretto a procedere alla lettura della formula di condanna, al ritiro dei paramenti sacri tolti di dosso e alla raschiatura con un coltello della pelle delle dita che avevano sorretto l'ostia dell'eucarestia. A quel punto nulla impedì più agli austriaci di eseguire la condanna a morte di don Tazzoli e altri nove patrioti per impiccagione in località Belfiore, poco fuori le mura della città di Mantova. Pio IX sollevò il disprezzo di tutti i patrioti italiani, tanto che Garibaldi finì per definirlo: "quel metro cubo di letame" descrivendolo come “la più nociva fra le creature, perché egli, più di nessun altro è un ostacolo al progresso umano, alla fratellanza fra gli uomini e popoli”. Monumento ai martiri di Belfiore a Canneto sull’Oglio e la targa apposta nel 2002 dal Sindaco di Mantova, dal Presidente della Repubblica Carlo Azzeglio Ciampi e dal vescovo di Mantova 37 Carlo Pisacane (1818-1857) Risale al 1857 il tentativo di insurrezione mazziniana di Carlo Pisacane, un ufficiale che partecipò alle varie sommosse italiane nel biennio 1848-1849. Esule a Londra dopo la caduta della repubblica romana maturò l‟idea della sua impresa. Ai suoi occhi il meridione d‟Italia gli appariva come una polveriera di cui era solo necessario accendere la miccia. Giunto di nuovo in Italia con alcuni compagni si imbarcò a Genova e salpo per l‟isola di Ponza dove liberò trecento tra militari in punizione sospetti di avere partecipato ad un attentato al re e delinquenti comuni. Essi lo seguirono fino a Sapri, in Calabria, dove sbarcò con l‟idea di aizzare la rivolta popolare. In realtà i contadini si unirono alle truppe borboniche aggredendo e massacrando i patrioti; Carlo Pisacane si uccise con un colpo di pistola. Dal testamento politico di Carlo Pisacane: “ogni mia ricompensa io la troverò nel fondo della mia coscienza e nell'animo di questi cari e generosi amici... che se il nostro sacrifico non apporta alcun bene all'Italia, sarà almeno una gloria per essa aver prodotto figli che vollero immolarsi al suo avvenire”. E‟ necessario ricordare Pisacane non solo per la sua lotta per l‟indipendenza nazionale, ma anche per le sue idee politiche mazziniane e socialiste che cominciarono a fare intravedere la soluzione del problema italiano non nel re di Sardegna, bensì nello stesso popolo. Per la dinastia sabauda e per Vittorio Emanuele II fu un segnale molto forte, uno stimolo ad affrettare i tempi dell'azione per realizzare la soluzione diplomatico militare dell'unità italiana. Il poeta Luigi Mercantini dedicò il famoso componimento “Le spigolatrici di Sapri” all‟impresa di Pisacane. 38 La Spigolatrice di Sapri Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti! Me ne andavo un mattino a spigolare quando ho visto una barca in mezzo al mare: era una barca che andava a vapore, e alzava una bandiera tricolore. All‟isola di Ponza si è fermata, è stata un poco e poi si è ritornata; s‟è ritornata ed è venuta a terra; sceser con l‟armi, e noi non fecer guerra. Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti! Sceser con l‟armi, e a noi non fecer guerra, ma s‟inchinaron per baciar la terra. Ad uno ad uno li guardai nel viso: tutti avevano una lacrima e un sorriso. Li disser ladri usciti dalle tane: ma non portaron via nemmeno un pane; e li sentii mandare un solo grido: Siam venuti a morir pel nostro lido. Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti! Con gli occhi azzurri e coi capelli d‟oro un giovin camminava innanzi a loro. Mi feci ardita, e, presol per la mano, gli chiesi: – dove vai, bel capitano? Guardommi e mi rispose: – O mia sorella, vado a morir per la mia patria bella. Io mi sentii tremare tutto il core, né potei dirgli: – V‟aiuti „l Signore! Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti! Quel giorno mi scordai di spigolare, e dietro a loro mi misi ad andare: due volte si scontraron con li gendarmi, e l‟una e l‟altra li spogliar dell‟armi. Ma quando fur della Certosa ai muri, s‟udiron a suonar trombe e tamburi, e tra „l fumo e gli spari e le scintille piombaron loro addosso più di mille. Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti! Eran trecento non voller fuggire, parean tremila e vollero morire; ma vollero morir col ferro in mano, e avanti a lor correa sangue il piano; fun che pugnar vid‟io per lor pregai, ma un tratto venni men, né più guardai; io non vedeva più fra mezzo a loro quegli occhi azzurri e quei capelli d‟oro. Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti! Statua della spigolatrice di Sapri Monumento a Carlo Pisacane a Sapri 39 Cavour e la seconda guerra d’indipendenza (1859) Camillo Benso, conte di Cavour (1810-1861) rappresenta senz‟altro un personaggio chiave del processo di unificazione del nostro paese anche se sicuramente lui stesso non avrebbe mai pensato di riuscire ad ottenere tanto; probabilmente, quando, come capo del governo sabaudo, decise di allearsi con Francia e Inghilterra contro l‟Austria, pensava di riuscire a strappare a quest‟ultima giusto la Lombardia e poco più. L‟occasione di allearsi con Francia e Inghilterra venne offerta dalla guerra che nel 1853 scoppiò tra Russia e Turchia; Francia e Inghilterra si unirono alla Turchia cercando anche un‟alleanza con l‟Austria. L‟Austria si rifiutò e fu in quell‟occasione che Cavour si fece avanti inviando, nonostante la forte opposizione del parlamento, 15.000 soldati a combattere in Crimea; i nostri soldati si batterono con gravi perdite, ma con altrettanto valore e il che diede l‟opportunità a Cavour di sedersi al tavolo della pace ed avanzare le sue pretese: Cavour fece impegnare Napoleone III ad intervenire in suo aiuto in Italia in una possibile guerra contro l‟Austria, ma a condizione che questa guerra fosse l‟Austria stessa a provocarla (Accordi di Plombières). All‟inizio del 1859 Vittorio Emanuele II pronunciò un famoso discorso: “Non siamo insensibili al grido di dolore che da tante parti d’Italia si leva verso di noi…”. Dall‟altra parte Cavour cominciò a tramare in modo da provocare l‟Austria ed avere il diritto di richiedere l‟intervento della Francia. Ingaggiò Garibaldi ad organizzare tutti i volontari che, dopo le parole del re, iniziarono con entusiasmo a confluire da tutta Italia ed a collocarsi nei pressi del confine con la Lombardia. L‟Austria inviò un ultimatum al governo italiano con il quale chiedeva l‟immediato scioglimento delle truppe di volontari; l‟ultimatum fu respinto e l‟esercito austriaco, per tutta risposta, il 29 aprile 1859, varcò il Ticino ed entrò in territorio piemontese. La trappola di Cavour aveva funzionato; la Francia intervenne al fianco dell‟esercito dei Savoia e di Garibaldi. Garibaldi, ma lo stesso re Vittorio Emanuele II e l‟esercito francese ottennero una serie di brillanti vittorie: San fermo, Palestro, Magenta, e le sanguinosissime battaglie di Solferino e San Martino in cui perirono 20.000 soldati tra francesi, piemontesi e austriaci, una cifra enorme per quel tempo. 40 Lo svizzero commerciante di armi Henry Dunant presente sul campo di battaglia, impressionato e sconvolto dalle sofferenza e dall‟agonia di miglia di soldati vittime di quel durissimo scontro e prive di qualsiasi soccorso, scrisse un piccolo libro che sconvolse l‟Europa: Ricordo di Solferino. La chiesa e l’ossario di Solferino Dopo il suo ritorno in Svizzera con alcuni amici creò il Comitato ginevrino di soccorso dei militari feriti, predecessore di quella che oggi conosciamo tutti come il Comitato Internazionale della Croce Rossa. Il libro suscitò grande scalpore, tanto che, a distanza di pochi anni dalla sua prima pubblicazione, fu firmata la Convenzione di Ginevra sulle vittime di guerra. 41 Contemporaneamente, esaltate dalla guerra contro l‟Austria, le popolazioni dell‟Emilia, della Romagna e dell‟Italia centrale costrinsero alla fuga i vari re e rappresentanti locali del papa (il Granduca di Toscana, i duchi di Parma e Modena ed i legati pontifici) e dovunque si insediarono governi filo sabaudi. La guerra sanguinosa e la situazione politica determinatasi spaventò Napoleone III il cui unico scopo, in fondo, era quello di aumentare la sua influenza nella penisola; all‟insaputa del governo italiano firmò a Villafranca un armistizio con l‟Austria. Vittorio Emanuele II, nonostante l‟opposizione di Cavour (che si dimise da capo del governo), invece accettò l‟accordo che rappresentò la premessa per la firma degli accordi di pace di Zurigo del 10 novembre 1859; tali accordi prevedevano che l‟Austria cedesse alla Francia la Lombardia e che la Francia, a sua volta, cedesse la Lombardia al Piemonte, congelando le questioni relative all‟Emilia Romagna e al centro Italia. Solo nel corso del 1860, sulla base di un accordo tra Napoleone III e Cavour, ritornato al governo, si decise di indire una serie di plebisciti con i quali si richiedeva alle popolazioni di Parma, Modena, della Romagna e della Toscana (quest‟ultimo però contro la volontà dei francesi) l‟annessione al Regno di Sardegna e alle popolazioni di Nizza e della Savoia (particolarmente care a Vittorio Emanuele in quanto culla della dinastia) l‟annessione alla Francia. Le annessioni ebbero luogo e, con percentuali che oggi definiremmo “bulgare”, le regioni italiane optarono per il Regno di Sardegna mentre Nizza e la Savoia per la Francia. Sulla base degli accordi internazionali non avrebbe potuto che andare così. In effetti non ci fu nessuna garanzia della segretezza del voto e furono frequenti episodi tesi ad influenzare il voto stesso: solo 119 marinai nizzardi di stanza sulle navi sabaude nei vari porti votarono liberamente e così si espressero: 114 per l'Italia e 5 per la Francia. Ma cosa sarebbe successo se Nizza e la Savoia fossero rimaste all‟Italia? 42 Lo Stato della Chiesa reagì duramente: Pio IX comminò la scomunica maggiore al re, a Cavour e a tutti colore che “avevano perpetrato la nefanda ribellione”. La spedizione dei Mille Nel 1860 in Inghilterra era subentrato un governo liberale, ostile all‟Austria, al papa e alla stessa Francia, che manifestò subito le sue simpatie per l‟indipendenza italiana. Simpatie non certo disinteressate giacché l‟Inghilterra di quegli anni era a capo di un enorme impero coloniale ad oriente e doveva risolvere il problema degli scambi commerciali con quei territori così lontani; la Francia aveva avviato la costruzione del canale di Suez che avrebbe presto permesso la navigazione dall'Europa all'Asia, senza la necessità di circumnavigare l'Africa. L‟Italia avrebbe rappresentato lo scalo ideale per le merci coloniali inglesi sulle nuove rotte e il suo interesse ad intrattenere stretti ed amichevoli rapporti politici e commerciali con i futuri governanti italiani erano evidenti. E‟ un fatto che a partire dal 1875 la società per la gestione del canale di Suez e quindi la rotta delle Indie passa sotto il controllo inglese. Nel meridione d‟Italia a Ferdinando II succedette il figlio, ancora più conservatore e incapace, Francesco II: il popolo del sud viveva in pessime condizioni di miseria, la fame, le malattie e le condizioni dei contadini facevano delle campagne del mezzogiorno le zone più arretrate d‟Italia; un po‟ diversa era la condizione delle città dove, tuttavia, governava un‟aristocrazia gretta e bigotta. Garibaldi da qualche tempo aveva in animo una spedizione liberatrice, come già tentò qualche anno prima Pisacane, e tutti i patrioti del sud la auspicavamo rapidamente, ma gli ostacoli che si frapposero all‟impresa non furono pochi. Da un lato lo stesso Garibaldi era inizialmente dubbioso sull‟impresa; decisive furono le pressioni di Francesco Crispi, un patriota mazziniano e repubblicano di origini siciliane, che, di ritorno da alcuni viaggi al sud, gli garantì, falsamente, che la Sicilia era già in rivolta e che si era perfino formato un esercito di rivoltosi a capo dei quali vi era Rosolino Pilo e che, in particolare la città di Marsala in cui era previsto lo sbarco, era già stata conquistata dai rivoltosi. 43 Dall‟altro lato anche Cavour, temendo una reazione della Francia, avrebbe voluto impedire la partenza da Genova dei due vapori, il Piemonte e il Lombardo, ma fu Vittorio Emanuele II a fermarlo. Lo stesso re sembra che abbia intercesso per l‟acquisto dei due piroscafi a favore di Garibaldi da una compagnia marittima. Nonostante l‟esplicita richiesta di Garibaldi Cavour sconsigliò il re Vittorio Emanuele di avallare l‟impresa anche se accompagnata dalla promessa del Generale, ad impresa conclusa, di offrirgli la Sicilia. Ma, anche in questo caso, non pare che Cavour sia stato molto ascoltato. Poco prima della partenza delle due navi, a bordo delle quali erano presenti un migliaio di giovani volontari accorsi da tutta Italia, il governatore di Milano, Massimo d‟Azzeglio, non fece consegnare i fucili raccolti per la spedizione con una pubblica sottoscrizione. Il problema venne risolto con uno scalo a Talamone, dove Garibaldi, dichiarando di avere l‟autorizzazione del re, riuscì a farsi consegnare armi e munizioni dal comandante del vicino forte di Orbetello. La partenza dei Mille da Quarto alla periferia di Genova La spedizione dei Mille raggiunse finalmente le coste siciliane, anche grazie alla protezione della flotta inglese che impedì il loro affondamento prima dell‟attracco da parte delle navi borboniche. Allo sbarco a Marsala Garibaldi gridò: “Viva l’Italia, viva Vittorio Emanuele”. Il primo scontro con il regio esercito borbonico avvenne a Calatafimi, dove Garibaldi pronunciò la famosa fra “Qui si fa l’Italia o si muore”; ma la battaglia si risolse con una rapida vittoria dei garibaldini a cui ben presto si aggiunsero molti “picciotti”, cioè giovani siciliani; da quel punto in poi, vittoria dopo vittoria, in breve tempo venne liberata l‟intera Sicilia. Mentre Garibaldi si apprestava ad attraversare lo stretto di Messina ed a marciare su Napoli, a Torino si diffuse il panico temendo che Garibaldi stesso volesse costituire una repubblica del sud Italia. Cavour inviò una lettera a Garibaldi in cui gli intimava di non attraversare lo stretto, ma il re Vittorio Emanuele la fece accompagnare da una missiva personale nella quale smentiva la lettera ufficiale. Garibaldi, attraversato lo stretto di Messina, con rapidi combattimenti e vittorie e grazie alle insurrezioni popolari, seguito da volontari che accorrevano per congiungersi al suo esercito, giunse in breve a Napoli mettendo in fuga Francesco II che si asserragliò, protetto dal suo esercito, nella fortezza di Gaeta. A nulla servì la sommossa popolare filo piemontese e antigaribaldina, fallita miseramente, che Cavour fece organizzare a Napoli. 44 Conquistata trionfalmente Napoli Garibaldi cominciò seriamente a pensare di proseguire la sua avanzata verso Roma e i territori ancora in mano allo Stato della Chiesa; d‟altra parte Cavour, con l‟intento sia di impedire la trasformazione dell‟impresa garibaldina in un vero e propri movimento rivoluzionario che allo scopo di rimettere in gioco attivamente casa Savoia, chiese a Napoleone III di fare rispettare la “sede della chiesa” e di autorizzare le truppe sabaude a muovere verso Garibaldi per le province pontificie delle Marche e dell‟Umbria. Anche per la Francia sarebbe stato il male minore a fronte del pericolo di una invasione del Lazio da parte dei Garibaldini. L‟esercito piemontese entrò nello Stato pontificio, sconfisse le truppe papaline a Castelfidardo e marciò verso i confini del Regno napoletano. Cavour ebbe a scrivere che “Vittorio Emanuele II si era mosso per mettere giudizio a Garibaldi e gettare a mare quel nido di repubblicani e socialisti che si è formato intorno a lui”. Il primo ottobre del 1860, al sud, nella battaglia del Volturno, le truppe borboniche vennero definitivamente sconfitte da Garibaldi; la campagna per la liberazione dell‟Italia meridionale era terminata e il sopraggiungere delle truppe dell‟esercito regolare piemontese resero di fatto impossibile proseguire verso Roma. Garibaldi ordinò per il 21 ottobre 1860 i plebisciti per l‟annessione al Regno di Sardegna della Sicilia e del resto del meridione; ancora una volta “maggioranze bulgare” suggellarono il nuovo assetto politico e la mattina del 26 ottobre l‟esercito regio e quello garibaldino si incontrarono a Teano dove, praticamente, Garibaldi donò il regno del sud al re di Savoia Vittorio Emanuele II salutandolo come il re d‟Italia. Garibaldi ottenne, non senza impegnarsi, che i volontari garibaldini entrassero, sia pure dopo una umiliante selezione, nell'esercito regolare sardo, con il medesimo grado rivestito nella spedizione e quindi decise, almeno per il momento, di ritirarsi a Caprera. Anche in Umbria e nelle Marche il 4 e 5 novembre si votò con plebiscito l‟annessione al regno di Sardegna decidendo per l‟unione all‟Italia anche di queste due regioni. Grazie a Garibaldi l‟Italia è fatta; scrisse di lui Victor Hugo: “ Qual è la sua forza? Che cosa lo fa vincere? Cos’ha con sé? L’anima dei popoli! Dov’era un’espressione geografica ora v’è una nazione”. Ecco come risulta l‟Italia del 1861 con la rappresentazione dell‟impresa dei Mille: 45 La proclamazione dell’Unità d’Italia Dal 27 gennaio al 3 febbraio 1861 si tennero le elezioni per il primo parlamento italiano unitario; l‟esercizio di voto era riservato solo al 2% della popolazione, tuttavia, sul piano politico l‟evento fu di portata storica. Per inciso, alle elezioni non si presentarono candidati della destra clericale in quanto questi cattolici avevano aderito all‟invito del papa di non eleggere e di non farsi eleggere in uno Stato che aveva gravemente leso i diritti dello Stato della chiesa; tale invito venne formalizzato nel 1886 con il Non Expedit (formula vaticana per dare evasione negativa ad una pratica) con il quale si ordinava formalmente l‟astensione dei cattolici dalle urne. Il 18 febbraio venne inaugurata la nuova sessione del parlamento nella quale sedettero, oltre ai piemontesi, per la prima volta rappresentanti di quasi tutte le regioni italiane. Il 17 marzo del 1861 il Parlamento proclamò il Regno d'Italia e Vittorio Emanuele II primo re d‟Italia. 17 marzo 1861-17 marzo 2011 – Il logo del 150° anniversario dell’Unità d’Italia 46 Il re aveva voluto continuare a mantenere la numerazione dinastica del regno di Sardegna per sottolineare l‟elemento dell‟annessione di vari Stati e province a un preesistente regno più che l‟idea della costituzione di un nuovo stato che invece, coerentemente, avrebbe dovuto far ripartire la numerazione dall‟aggettivo “primo”. Da qui la contraddittoria espressione; Vittorio Emanuele II, primo re d‟Italia. La Statua a Vittorio Emanuele II a Roma al centro del Vittoriano, monumento costruito per ricordare il Padre della patria e divenuto in seguito l’altare della patria Il tricolore, con al centro lo stemma dei Savoia, divenne la nuova bandiera del Regno d‟Italia. In realtà l‟unificazione del paese non era ancora terminata: mancavano il Lazio e Roma e tutto il nord est. 47 Sul piano istituzionale, a differenza di quanto richiedevano le correnti risorgimentali più progressiste e democratiche, anziché indire le elezioni di una assemblea costituente che avrebbe dato all‟Italia la sua nuova Costituzione unitaria, la monarchia sabauda preferì, ancora una volta sottolineando il carattere di incorporazione e non di fusione fra gli Stati pre-unitari, imponendo il suo ordinamento a tutta l‟Italia. Il che significava che le leggi, e in primo luogo lo Statuto albertino, e i trattati internazionali del Regno di Sardegna divenivano le leggi della nuova Italia unita e che le norme giuridiche in vigore negli altri Stati vennero destinate alla decadenza. Si tratta del processo cosiddetto di “piemontesizzazione”, in base al quale il Regno di Sardegna si impose anche su tutte le legittime aspirazioni autonomiste, imponendo un modello di Stato piuttosto accentrato; l‟appena faticosamente raggiunta fragile unità era un valore troppo importante per metterlo in pericolo e d‟altra parte le correnti più conservatrici del regno sabaudo non vollero concedere di più. Lo Statuto albertino del 1848, concesso per il piccolo regno di Sardegna, diviene ora la prima Costituzione dell‟Italia unita. Il suo contenuto sostanzialmente conservatore, tuttavia, grazie alla natura flessibile che lo caratterizzava, gradualmente si stemperò: le scelte politiche degli anni successivi, soprattutto nel periodo giolittiano, furono in grado, prima del dramma del fascismo, di dare una iniziale risposta alle rivendicazioni dei nuovi soggetti politici, come i primi partiti di massa e i sindacati, che irruppero nella storia del nostro paese. Spesso si dimentica che tutto il processo risorgimentale rappresentò per l‟Italia non solo la graduale unificazione di diverse aree geografiche e la liberazione dalla dominazione di potenze straniere, ma fu anche la liberazione dall‟assolutismo dispotico, dalla servitù feudale e da strutture istituzionalizzate quali la tortura e l‟inquisizione: gradualmente, anche in Italia, iniziarono ad affermarsi i primi diritti civili e le prime libertà: il diritto di manifestare il proprio pensiero, la libertà di circolazione, la libertà di associazione (in partiti e sindacati), la libertà religiosa e, naturalmente, il diritto di voto e la democrazia rappresentativa. I grandi ideali della rivoluzione francese che Napoleone cinquant‟anni prima aveva portato in Italia e che la Restaurazione aveva spazzato via rinascevano ora con il Risorgimento. Particolarmente avanzate furono le riflessioni e le indicazioni che vennero elaborate all‟interno dell‟assemblea costituente eletta nella Repubblica romana nel 1849, anche fra i politici e i patrioti più moderati; in particolare, si radica sempre più la convinzione che le libertà non sono veramente tali se mancano i mezzi materiali e culturali per esercitarle! Il costituente bolognese Giuseppe Barilli, conosciuto anche con lo pseudonimo di Quirico Filopanti (a cui fu intitolato un tratto dei viali di circonvallazione attorno al centro di Bologna) propose un articolo per la nuova Costituzione che recitava “La Repubblica colle leggi e colle istituzioni promuove il miglioramento delle condizioni morali e materiali di tutti i cittadini”. Si tratta dell‟affermazione di quelli che verranno definiti come diritti sociali: la scuola e l‟istruzione, l‟assistenza sanitaria e sociale e la previdenza (comprese i sistemi pensionistici) e, più in generale, il diritto al lavoro. Si tratta di diritti oggi irrinunciabili e spesso ancora minacciati e non pienamente garantiti che trovarono riconoscimento pieno nel nostro paese solo cent‟anni dopo a partire dal fondamentale art. 3 della Costituzione repubblicana. Intanto, a solo dopo due mesi dalla proclamazione dell‟unità d‟Italia, muore Cavour a causa di una crisi malarica; ma il modo in cui morì ci racconta ancora quanta strada 48 doveva essere fatta per porre una soluzione ai difficilissimi rapporti tra lo Stato e la chiesa cattolica; ecco cosa accadde proprio all‟uomo, liberale e conservatore, che sosteneva le ragioni di una libera chiesa in un libero Stato; rendendosi conto della gravità della sua condizione di salute Cavour chiese di incontrare padre Giacomo da Poirino, un sacerdote francescano suo vecchio amico; nonostante su Cavour gravasse la scomunica papale, egli desiderava morire da buon cristiano e, dopo la confessione, il frate gli impartì l‟assoluzione e gli somministrò la comunione e l‟estrema unzione; ma per questa “colpa”, in seguito, padre Giacomo da Poirino fu sospeso a divinis dal papa Pio IX. La questione romana e la terza guerra di indipendenza (1866) Garibaldi non si dava per vinto; dai tempi della Repubblica romana si batteva per strappare Roma al papa e la sua guerra non si era certo conclusa a Teano; in tutta Italia organizzò dei circoli di tiro a segno, una sorta di fucina di esercito popolare, affinché i patrioti si incontrassero e si esercitasse per quando fosse stato il momento buono. Ma il governo sabaudo cercò in tutti i modi di intralciare i suoi piani puntando piuttosto su una riconciliazione pacifica con la chiesa di Roma. Per tutta reazione nel 1862 Garibaldi sbarcò nuovamente in Sicilia dove riuscì a raccogliere un piccolo esercito con l‟intento di marciare su Roma; fu in quell‟occasione che levò dalle piazze che inneggiavano al generale la frase “Roma o morte!”. Vittorio Emanuele, temendo colpi di mano, inviò l‟esercito regio a fermare Garibaldi; lo scontro avvenne in Aspromonte, nel sud della Calabria e, questa volta, Garibaldi ebbe la peggio riportando anche una ferita ad un piede. Dopo tante battaglie e tanti scontri Garibaldi fu ferito da una pallottola italiana! Con la convenzione di settembre del 1864 Napoleone si impegnava a ritirare le truppe da Roma a condizione che il governo italiano si impegnasse a non assalire Roma e a portare da Torino a Firenze la capitale del Regno. Ad allontanare l‟ipotesi di fare di Roma la capitale d‟Italia si aggiunse l‟enciclica di Pio IX Quanta cura a cui era allegato il Syllabus, in cui, fra l‟altro, viene scritto: “sia maledetto chi afferma che il romano pontefice può e deve riconciliarsi e venire a composizione con il progresso, con il liberalismo e con la moderna civiltà!”. Più repentina fu la soluzione dell‟annessione del nord est, secondo una dinamica politica non dissimile da quella della seconda guerra d‟indipendenza: nel 1866 scoppiò una guerra fra l‟Austria e la Prussia di Bismark e quest‟ultimo chiese l‟alleanza del‟Italia. Nel famoso Film di Luchino Visconti Senso vengono narrate vicende ambientate nella Venezia di quegli anni: la celebre scena iniziale mostra alla Fenice di Venezia una rappresentazione del Trovatore di Giuseppe Verdi che causa una manifestazione irredentista; tale scena illustra molto bene ciò che ha rappresentato il melodramma verdiano per l'Italia: le note di Verdi sono state le pallottole del nostro Risorgimento. 49 L‟Italia sottoscrisse l‟alleanza a patto che a guerra conclusa le fosse concesso il Veneto. Bismark ebbe rapidamente la meglio sull‟Austria, ma sul fronte italiano fu una vera disfatta per l‟incapacità e la rivalità dei suoi generali, sconfitti ancora una volta a Custoza, e, in mare, a Lissa. L‟unico successo militare fu ottenuto a Bezzecca dai soldati guidati da Garibaldi, che, nel frattempo, si era unito alle operazioni militari e che avrebbe continuato la guerra se non fosse stato per l‟ordine impartito dal re Vittorio Emanuele dopo la firma dell‟armistizio a cui rispose “Obbedisco!”. Con le trattative di pace l‟Austria fu costretta a trasferire il Veneto alla Prussia che, in base all‟alleanza con i Savoia, lo ritrasferì all‟Italia. Ecco come appare dunque il regno d‟Italia dopo la terza guerra d‟indipendenza; Tuttavia Trento e Trieste rimasero agli Asburgo e da qui nacque la questione di quelle italianissime terre irredente che ebbe soluzione solo con la fine della seconda guerra mondiale e il trattato di Osimo del 1975. 50 La Breccia di Porta Pia La capitale si era trasferita da Torino a Firenze e la questione romana era ancora in attesa di una soluzione definitiva. Garibaldi nel 1867 tentò l‟ennesimo colpo di mano occupando Roma nonostante la contrarietà del re, ma a causa della inaspettata mancata sollevazione popolare subì una cocente sconfitta da parte delle truppe del papa, rinforzate da quelle francesi, a Mentana. Nel 1870 il conflitto esploso tra Prussia e Francia obbligò Napoleone III a richiamare le sue truppe da Roma e abbandonare il papa creando le condizioni migliori per invadere lo Stato pontificio da parte dell‟esercito italiano. Tuttavia il cattolico re Vittorio Emanuele II ed i suoi cattolicissimi generali mostrarono un grande timore nel mettersi contro la chiesa; l‟esercito italiano, dopo essere entrato nei territori del papa, si accampò per tre giorni alle porte di Roma fino a quando, finalmente, il generale Raffaele Cadorna ordinò, il 20 settembre del 1870, di bombardare Porta Pia e ai suoi bersaglieri di entrare in città. In breve si concluse l‟occupazione e, da lì a poco, Roma sarebbe divenuta la nuova capitale d‟Italia. Ecco come appariva l‟Italia dopo la presa di Roma: Il problema dei rapporti tra Stato italiano e chiesa cattolica, tuttavia, rimaneva ancora aperto; anzi, il Risorgimento, da una parte e dall‟altra, aveva creato un solco incolmabile. 51 Più volte, nel corso di questa esposizione, si è sottolineato l‟atteggiamento conservatore, reazionario e anti risorgimentale di Pio IX: dall‟allocuzione del 1884 in cui si ponevano sullo stesso piano austriaci oppressori e italiani oppressi, alle ripetute scomuniche ai patrioti italiani, Cavour compreso, e alla sconsacrazione di sacerdoti cattolici come Don Enrico Tazzoli, fino ad atti di durissima repressione seguiti al rientro del papa a Roma dopo la fine della repubblica romana, ed, infine, alla maledizione del sillabo e al non expedit. Riesce comprensibile l‟assalto di una folla inferocita di romani al funerale del papa nel 1878 che cercò di buttarne la bara nel Tevere. Certo tutto questo non rappresentò un buon viatico per i futuri rapporti tra Stato e chiesa, ma, d‟altra parte, il Risorgimento aveva cancellato per sempre (o quasi) il potere temporale dei papi. Nel 2000 Giovanni Paolo II fece santo Pio IX; è pur vero che papa Wojtyla santificò e beatificò 990 persone (trentatre pontefici succedutisi negli ultimi tre secoli ne hanno beatificato complessivamente 808), ma dal mondo politico italiano si levò solo una protesta, quella del cattolicissimo ex Presidente della Repubblica Francesco Cossiga che dichiarò pubblicamente il torto che il papa stava facendo all‟Italia e alla sua storia. Il periodo liberale fino alla prima guerra mondiale Unificata l‟Italia si crearono le condizioni per lo sviluppo economico e industriale del nostro paese e la nascita dei primi grandi movimenti operai e popolari; in questa prima fase l‟atteggiamento delle forze governative fu spesso duramente repressivo e non all‟altezza delle grandi riforme che il paese si aspettava, tanto che qualcuno parlò proprio di Risorgimento tradito. E‟ significativo come lo spirito monarchico e conservatore della classe dirigente spinse nel 1882 l‟Italia ad allearsi proprio con la Germania di Bismark e l‟Austria, quest‟ultima nemica giurata del Risorgimento italiano; il timore dell‟isolamento internazionale e che la Francia, aizzata dal nuovo papa Leone XIII, potesse mettersi di nuovo contro l‟Italia, indusse il governo italiano ad aderire ad un patto militare difensivo denominato Triplice alleanza e ad allearsi con il regno austro-ungarico che continuava a detenere ancora le regioni del trentino e della Venezia Giulia con Trieste. In quelle terre italiane si avviarono i primi movimenti irredentisti che, ispirati dagli ideali risorgimentali e mazziniani, si battevano per la cacciata degli austriaci e la riunione all‟Italia; ma, proprio a causa dell‟alleanza del regno d‟Italia con l‟Austria, non trovarono, almeno fino al primo decennio del ventesimo secolo, alcuna adesione nel governo italiano. Il triestino irredentista Guglielmo Oberdan attentò alla vita dell‟imperatore d‟Austria Francesco Giuseppe in visita a Trieste, ma venne scoperto prima dell‟attentato e impiccato per cospirazione. 52 La serpeggiante delusione popolare venne, almeno parzialmente, smorzata con l‟affermazione del Risorgimento in quanto mito nazionale sostenuto da una vera e propria letteratura popolare pedagogica ad opera di poeti e scrittori come Giosuè Carducci ed Edmondo de Amicis. Il Libro Cuore di Edmondo De Amicis, ispirato dall‟esperienza scolastica dei figli, è intriso di spunti morali attorno agli eventi e alle idee del Risorgimento; del tutto assente qualsiasi riferimento alla religione cattolica a causa delle dure controversie tra patrioti e Pio IX. Alcuni cattolici lo criticarono duramente con frasi del tipo: “i bambini di Cuore non festeggiano nemmeno il Natale…”. In seguito De Amicis si avvicinò alle idee socialiste allontanandosi dall‟approccio fortemente nazionalistico che aveva animato il suo romanzo più famoso. Intanto i grandi movimenti popolari e socialisti si andavano sempre più diffondendo; Il marxismo si stava rapidamente propagando anche nel nostro paese in risposta alle dure condizioni delle classi contadine e operaie. Il papa Leone XIII, nel tentativo di non alienarsi le masse cattoliche attratte sempre più dalle nuove idee, nel 1891 promulgò l‟enciclica Rerum Novarum in cui per la prima volta la chiesa cattolica prese posizione rispetto alle questioni sociali cercando una difficile mediazione tra chi sosteneva la necessità di lasciare completa mano libera al capitale e all‟impresa e chi chiedeva invece una forte tutela del mondo del lavoro. Dall‟intesa, invece, tra le correnti operaiste e le correnti intellettuali socialiste che abbandonarono le posizioni anarchiche nel 1892 nacque a Genova il Partito socialista italiano Gli elementi del simbolo del Partito socialista italiano: - il libro: gli intellettuali delle città la falce: i contadini delle campagne il martello gli operai delle fabbriche il “sol dell’avvenire”: Garibaldi, sfidando l‟ostilità della borghesia europea, così definì l‟Internazionale socialista L‟atteggiamento dei governi che si susseguirono in quegli anni nei confronti dei movimenti operai e contadini, dei primi sindacati e delle Camere del lavoro, delle leghe dei braccianti dei primi grandi scioperi e di tutte le forme di protesta contro le misere condizioni di vita e di lavoro fu duramente repressivo. In nome del ritorno all‟ordine si tentò non solo di mettere fuori legge i “sovversivi”, ma anche di limitare fortemente le libertà basilari riconosciute dallo statuto albertino, come la libertà di associazione, di riunione e di stampa. Ma nonostante questo il successo e la diffusione delle nuove idee erano inarrestabili. Particolarmente sanguinoso fu l‟episodio di dura repressione messo in atto dal generale Bava Beccaris che nel maggio del 1898 a Milano prese a cannonate la folla che protestava per le condizioni di fame e miseria in cui viveva; vi furono 80 morti e 450 feriti. 53 In segno di riconoscimento per quella che il re giudicò una brillante azione di polizia, il generale Bava-Beccaris ricevette da Umberto I la Gran Croce dell'Ordine Militare di Savoia e un seggio al Senato. Il 29 luglio del 1900 l‟anarchico Gaetano Bresci, sotto gli occhi della popolazione festante di Monza che salutava il passaggio della carrozza reale, con alcuni colpi di pistola uccise Umberto I (nell‟immagine a destra). Per sua esplicita ammissione egli era ritornato appositamente dall‟America per vendicare i morti di Milano del 1898. Umberto I, che era succeduto al padre Vittorio Emanuele II nel 1878, a differenza del padre adottò il numerale primo anziché quarto come avrebbe dovuto fare per mantenere la numerazione sabauda, per sottolineare la nascita di un nuovo regno. Ma il figlio che gli successe, Vittorio Emanuele III (nell‟immagine a sinistra), riprese la numerazione del nonno. Nonostante le dure reazioni che seguirono al regicidio la borghesia italiana si convinse che fosse indispensabile cambiare politica per affrontare i crescenti scioperi e proteste. Simbolo del nuovo periodo liberale divenne Giovanni Giolitti, ripetutamente capo del governo fino all‟avvento del fascismo. Egli si fece promotore della prima legislazione sociale a favore dei lavoratori e dell‟estensione della base democratica dell‟Italia unita oltre che della modernizzazione economica e industriale del paese. Il lento processo di democratizzazione avvenne principalmente attraverso la progressiva estensione del diritto di voto che allargò il suffragio elettorale dal 2% del 1861 al 30% del 1919 ricomprendendovi tutti i cittadini maschi con più di 21 anni. Dall‟altro lato nel 1919 venne anche abbandonato il sistema elettorale maggioritario e adottato un sistema di tipo proporzionale, apparentemente più democratico, ma che di fatto servì ai liberali per evitare di essere totalmente schiacciati se non dai socialisti dai cattolici ora organizzati del Partito popolare fondato da Don Luigi Sturzo. Già dalle elezioni del 1913 lo stesso Giolitti concluse con i rappresentanti del mondo cattolico un accordo, il patto Gentiloni, in base al quale i cattolici sarebbero stati invitati a votare quei candidati liberali che si fossero impegnati a non approvare leggi di tipo anticlericale. Per il nuovo papa Pio X si ritenne che ormai poteva essere superato il Non expedit di Pio IX e che fosse necessario iniziare a collaborare con lo Stato italiano, soprattutto per evitare il successo dei socialisti; ecco alcuni punti sui cui si impegnarono questi candidati: - difesa delle congregazioni religiose, - difesa della scuola privata, - difesa dell‟istruzione religiosa nelle scuole pubbliche, - difesa dell‟unità della famiglia, 54 Ma, trascorsi alcuni anni, ora il mondo cattolico era pronto a scendere in campo con un proprio schieramento politico ispirato dalla dottrina sociale della chiesa: don Luigi Sturzo all‟inizio del 1919 fondò il Partito popolare che si presentò alle elezioni dello stesso anno ed ottenne oltre il 20% dei voti dimostrando di essere una forza indispensabile per la formazione del nuovo governo. Nell‟immagine a lato Don Luigi Sturzo Il nuovo sistema elettorale di tipo proporzionale determinò anche un‟altra conseguenza: l‟entrata nel nuovo parlamento, in seguito alle successive elezioni del 1921, di 35 deputati di un nuovo schieramento denominato Partito nazionale fascista; con un sistema elettorale di tipo maggioritario non sarebbero stati più di 4 o 5. Ma prima di proseguire occorre soffermarci rapidamente sul ruolo dell‟Italia nella prima guerra mondiale. La prima guerra mondiale Alla Triplice alleanza si contrappose ben presto un riavvicinamento della Francia con la Russia e con l‟Inghilterra che sfociò in un analogo patto militare denominato Triplice intesa: si iniziavano a porre le basi della prima guerra mondiale. Nel 1914, allo scoppio della guerra tra Francia e Russia da un lato e Germania e AustriaUngheria dall‟altro, l‟Italia dichiarò la sua neutralità. Gli irredentisti italiani del Trentino e della Venezia Giulia si posero alla testa della campagna interventista alimentata anche dai forti interessi economici che l‟esplosione della guerra avrebbe garantito. 55 La causa irredentista è il motivo per cui a quei tempi l‟intervento nella prima guerra mondiale venne definito come quarta guerra d’indipendenza: ancora una volta gli italiani affrontavano l‟esercito austriaco con lo scopo di concludere la riunificazione di tutto il paese nei suoi confini “naturali” al di qua delle alpi. Grazie a un lento avvicinamento dell‟Italia alla Francia, il re Vittorio Emanuele III, il primo ministro Antonio Salandra e il suo ministro degli esteri Sidney Sonnino, conclusero, all‟insaputa della maggioranza del parlamento italiano fermo su posizioni neutraliste, il Patto di Londra. Si trattava di un accordo segreto proposto dalle potenze dell‟Intesa che, in cambio dell‟entrata in guerra dell‟Italia contro l‟Austria, prevedeva, a guerra conclusa, una serie di ampliamenti territoriali per l‟Italia a scapito della stessa Austria; tra l‟altro: il Trentino e l‟Alto Adige, la Venezia Giulia, l‟intera penisola istriana e una parte della Dalmazia. Il Patto di Londra, in fondo, rappresentava una riedizione riveduta e corretta degli accordi di Plombières che posero i presupposti dello scoppio della seconda guerra di indipendenza e che costò all‟Italia l‟accusa di tradimento da parte dell‟Austria. Il 24 maggio del 1915 l‟Italia iniziò le ostilità, ma, dopo una inutile serie di attacchi frontali agli austriaci, il massacro di moltissimi soldati italiani e alla sostanziale incapacità del comandante in capo Luigi Cadorna, il conflitto si stabilizzò in una logorante guerra di trincea fino a quando, l‟uscita dalla Russia dal conflitto a causa della rivoluzione socialista nel 1917, non causò il sopraggiungere di nuove truppe sul fronte meridionale e una potente controffensiva austriaca: la disfatta di Caporetto che condusse l‟esercito Austriaco fino al Piave. Tale disfatta porterà finalmente alla sostituzione del generale Cadorna, che imputava le cause della sconfitta alla incapacità e alla viltà dei propri soldati, con il generale Armando Diaz che in breve tempo, anche a causa dei problemi interni e sugli altri fronti dell‟Austria, riuscì a rianimare l‟esercito italiano ed in pochi mesi condurlo alla vittoria. 56 In realtà l‟esercito italiano si batté valorosamente e spesso in condizioni tremende, peggiori di qualsiasi altro esercito presente nei fronti di guerra. Le punizioni ripetute ai reparti ritenuti incapaci o vili, fino a giungere alle terribili decimazioni, le condizioni disumane di vita nelle trincee per una guerra dichiarata all‟insaputa di un parlamento democraticamente eletto e condotta da ufficiali incapaci e senza alcun riguardo alla vita dei propri soldati trasformati in vera e propria carne da macello screditò le istituzioni e sicuramente tutto questo va enumerato tra le numerose concause dell‟avvento del fascismo. E‟ inoltre doveroso ricordare le migliaia di italiani che vivevano nelle terre irredente e che, spesso disertarono o passarono il confine per evitare l‟arruolamento nell‟esercito austriaco e si unirono ai soldati italiani. Le figure di combattenti irredentisti forse più illustri, assieme a Guglielmo Oberdan, furono quelle di Cesare Battisti e Nazario Sauro. Cesare Battisti, deputato di idee socialiste di origini trentine e quindi eletto nel parlamento austriaco, allo scoppio della guerra fuggì in Italia per arruolarsi come volontario nell‟esercito sabaudo. Nel corso di una sfortunata azione militare venne catturato dagli austriaci, condannato a morte e impiccato tenendo sempre un contegno fiero ed eroico. Il giorno prima dell‟impiccagione venne trasportato su un carretto in catene per le strade di Trento e sottoposto agli insulti e agli sputi della popolazione aizzata dai soldati austriaci. Pare che nel corso dell‟esecuzione il cappio si spezzò, ma invece che concedergli la grazia com'era usanza, il carnefice ripeté la sentenza con una nuova corda; prima di morire gridò Viva Trento italiana! Viva l’Italia! Nazario Sauro, patriota di Capodistria, come Battisti, disertò dalla marina austriaca in cui rivestiva il ruolo di ufficiale, per servire molto valorosamente l‟Italia. Nel corso di una operazione militare fallita venne catturato dagli austriaci; nonostante ebbe dato false generalità nel corso del processo a nulla valse il drammatico confronto con la madre che, pur di salvarlo dall‟impiccagione, negò di conoscerlo, mentre decisivo fu il riconoscimento ad opera del cognato, Maresciallo della Guardia di Finanza austriaca. Venne condannato per alto tradimento e ucciso per impiccagione anch‟egli ripetutamente gridando Viva l’Italia!. Prima dell‟esecuzione scrisse una commovente lettera testamento al proprio figlio maggiore: “Caro Nino, Tu forse comprendi od altrimenti comprenderai fra qualche anno quale era il mio dovere d'italiano. Diedi a te, a Libero ad Anita a Italo ad Albania nomi di libertà, ma non solo sulla carta; questi nomi avevano bisogno del suggello ed il mio giuramento l'ho mantenuto. Io muoio col solo dispiacere di privare i miei carissimi e buonissimi figli del loro amato padre, ma vi viene in aiuto la Patria che è il plurale di padre, e su questa patria, giura o Nino, e farai giurare ai tuoi fratelli quando avranno l'età per ben comprendere, che sarete sempre, ovunque e prima di tutto italiani! I miei baci e la mia benedizione. Papà Dà un bacio a mia mamma che è quella che più di tutti soffrirà per me, amate vostra madre! e porta il mio saluto a mio padre”. 57 Ma la Grande Guerra, soprattutto dopo Caporetto, rappresentò anche la prima vera prova di una guerra collettiva combattuta da italiani provenienti da ogni parte della penisola e accomunati dal medesimo sentimento nazionale: sul Monte Grappa e sul Piave, ancora prima dell‟arrivo degli alleati francesi e inglesi, in condizioni peggiori rispetto a qualsiasi altro esercito, l‟esercito italiano e i “Ragazzi del “99”, la leva militare più giovane impegnata in quella immensa carneficina, dimostrarono di fronte a tutto il mondo, ancora prima della Resistenza, il valore di una Italia vera e patriottica, non più semplice “espressione geografica”. La grande sofferenza dei soldati al fronte fu esemplarmente narrata nelle poesie di Giuseppe Ungaretti, volontario nell‟esercito italiano che sicuramente non amava la guerra, ma che riteneva egualmente che dovesse essere valorosamente combattuta per il paese. San Martino del Carso Soldati Di queste case non è rimasto che qualche brandello di muro Si sta Come d‟autunno Sugli alberi Le foglie Di tanti che mi corrispondevano non è rimasto neppure tanto Ma nel cuore nessuna croce manca É il mio cuore il paese più straziato. Siamo ben lontani dalle sbruffonate di Gabriele D‟Annunzio che, con la guerra, raggiunse il culmine della sua notorietà; egli dedicava versi retorici a Cadorna, adulava i potenti, imbrogliava ed esaltava la sua stucchevole vanità; pretese anche di comandare altri uomini in azioni militari tanto stupide sul piano militare quanto utili a promuovere la sua immagine di presunto eroe. Terminata la guerra con i successivi trattati di pace non furono pienamente rispettati gli accordi stabiliti con il patto di Londra e all‟Italia vennero assegnati i territori del TrentinoAlto Adige, Trieste, Gorizia, l'Istria, Zara e le isole del Carnaro; non venne invece attribuita Fiume, a maggioranza etnica italiana, la Dalmazia ed altri territori promessi. D‟Annunziò coniò il termine di Vittoria mutilata cavalcando lo scontento dei militari e dei nazionalisti di cui ben presto si impossesserà anche Benito Mussolini. Ecco, dopo tali trattati, come si presentava l‟Italia nel 1919: 58 L’Avvento del fascismo e della guerra Nel primo dopoguerra la vittoria, le acquisizioni territoriali e la pace non determinarono un reale miglioramento delle condizioni di vita delle masse operaie e contadine. Prima della fine della guerra ai braccianti il governo aveva promesso la divisione delle terre e ai lavoratori un miglioramento delle condizione economiche, ma nulla di tutto ciò venne mai concretizzato; il ritorno dei soldati dal fronte e la difficoltà di riconversione dell‟industria bellica in industria civile causò una crescita della disoccupazione; aumentò enormemente il prezzo dei beni e, il costo della guerra determinò anche un notevole inasprimento delle imposte. Disordini, grandi agitazioni, scioperi e proteste erano ormai all‟ordine del giorno; nel biennio rosso (1919-1920) si moltiplicarono i tumulti e le manifestazioni di protesta, ma anche le occupazioni di terre e fabbriche dettate dalle pessime condizioni di vita dei lavoratori a fronte degli enormi arricchimenti che la guerra aveva portato alla borghesia industriale. I sindacati e i primi partiti di massa andavano sempre più rafforzandosi e alle elezioni del 1919 questi ultimi riuscirono ad ottenere un buon risultato elettorale. Nel 1921, dal congresso del Partito socialista di Livorno, nacque il partito comunista italiano il quale si poneva come obiettivo l‟abbattimento dello Stato borghese e l‟edificazione di uno Stato socialista sull‟esempio della Russia di Lenin del 1917. Cominciò ad insinuarsi tra le classi dei proprietari terrieri e della borghesia industriale la grande paura di un possibile cambiamento rivoluzionario; bisognava intervenire: ma al dialogo e alle concessioni economiche e politiche quelle classi preferirono il manganello. Benito Mussolini seppe sfruttare il risentimento delle organizzazioni dei reduci provenienti dal fronte che aggiungevano al malcontento generalizzato la delusione di non avere ricevuto un adeguato riconoscimento per gli enormi sacrifici della partecipazione alla guerra. D‟altra parte il partito nazionale fascista, presentandosi come il partito dell’ordine 59 che avrebbe ben presto rimesso in riga gli agitatori rossi si guadagnò rapidamente la fiducia e il forte sostegno economico delle classi benestanti. Gli incendi alle case del popolo in cui si riunivano i lavoratori, le prime missioni punitive e i primi pestaggi, il manganello, il pugnale e l‟olio di ricino delle camice nere, tollerati se non addirittura protetti dalle forze dell‟ordine, suggellarono la nascita del nuovo movimento. Benito Mussolini Il momento della rivoluzione fascista sembrava giunto quando nell‟ottobre del 1922 un numeroso contingente di squadristi fu radunato nell‟alto Lazio in attesa dell‟ordine di marciare su Roma. L‟esercito si predispose ad affrontare la protesta ed a proteggere la capitale; in realtà Vittorio Emanuele III non aspettava altra occasione migliore e, anziché firmare il decreto di stato d‟emergenza, permise alle camice nere di marciare su Roma il 28 ottobre del 1922 senza che vi si opponesse alcuna resistenza, costrinse alle dimissioni il presidente del consiglio Luigi Facta e diede l‟incarico di formare il nuovo governo allo stesso Benito Mussolini. Benito Mussolini alla marcia su Roma Furono sufficienti alcuni anni di fascismo per bloccare quel graduale processo di democratizzazione avviato nel periodo giolittiano, stravolgere con una certa facilità i contenuti liberali dello Statuto albertino a causa della sua natura flessibile e avviare rapidamente l‟Italia a una pesante dittatura. Nel 1923 una legge legalizzò le squadre fasciste in Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, un corpo militare e di polizia parallelo, alle strette dipendenze del Partito 60 Nazionale fascista; con le leggi fascistissime emanate a partire dal 1925 vengono dichiarati decaduti tutti i deputati dell‟opposizione, abolita la libertà di stampa, soppressi i giornali di opposizione, sciolti i partiti, istituito il Tribunale speciale e ripristinata la pena di morte, vietato il diritto di organizzarsi in sindacati, trasformato lo sciopero in reato. Il destino degli oppositori politici era il confino, il carcere, la tortura o la morte. La lista delle vittime antifasciste è fatta di uomini coraggiosi ed illustri; tra gli altri possiamo ricordare: un parroco che difendeva il diritto degli scout di scendere nella piazza di Argenta ucciso a bastonate, Don Giovanni Minzoni; un deputato che coraggiosamente denunciò i brogli elettorali del fascismo, rapito e ucciso, Giacomo Matteotti; un liberale ex ministro del governo regio selvaggiamente picchiato e morto in seguito a queste percosse, Giovanni Amedola; un giovane giornalista e scrittore anch‟egli morto in seguito alle ripetute percosse, Piero Gobetti; due fratelli antifascisti promotori della guerra in Spagna assassinati in Francia da sicari fascisti, i fratelli Rosselli; un deputato del parlamento italiano, fondatore di un partito, filosofo e critico letterario, duramente condannato e fatto marcire in carcere, Antonio Gramsci. Le sole elezioni “plebiscitarie” che si svolsero nel 1929 furono effettuate su un unico listone fascista in cui era possibile votare solamente con un sì; ma in una scheda trasparente non votare sì significava come minimo essere pestati fuori dal seggio; chi voleva lavorare negli uffici pubblici, nella scuola e nelle università doveva avere la tessera del PNF e prestare giuramento di fedeltà al regime. “Approvate voi la lista dei deputati designati dal Gran consiglio Nazionale del Fascismo?” SI 61 L‟11 febbraio del 1929 vennero firmati tra Stato italiano e Chiesa cattolica i Patti lateranensi; Mussolini venne esaltato dalla propaganda fascista come l‟uomo che aveva finalmente posto fine al conflitto di origine risorgimentale tra Stato e Chiesa traendone grande consenso tra le masse popolari cattolica; d‟altra parte la stessa chiesa salutò il duce come l’uomo della Provvidenza. All‟art. 1 del Concordato si afferma che “La religione cattolica apostolica e romana è la sola religione dello Stato”. Il carattere confessionale che si volle imprimere allo Stato fascista comportò una serie notevole di privilegi e diritti riconosciuti alla chiesa; tra l‟altro: viene ricostituito un minuscolo Stato della chiesa denominato Città del Vaticano; vengono garantiti una serie di diritti alla chiesa cattolica di carattere fiscale; si stabilisce che il matrimonio cattolico avrà automatici effetti civili; viene reso obbligatorio l‟insegnamento religioso nelle scuole pubbliche a carico dello stato, ma con insegnanti scelti dalla curia; viene previsto un cospicuo risarcimento dei danni subiti dalla Santa Sede con la presa di Roma del 1870. Il che, in particolare, rappresentò un implicito riconoscimento del fascismo dell‟illegittimità di quell‟atto che aveva invece coronato il Risorgimento italiano. La mappa di Città del Vaticano Da un punto di vista istituzionale tutto il potere fa capo a Mussolini e al suo governo; è abolito il voto di fiducia del parlamento e formalmente il duce risponde del suo operato al re, ma, di fatto, la monarchia sabauda nulla fece nel ventennio fascista per opporsi alla dittatura; e nulla fece, in particolare, quando Mussolini si alleò con Hitler, quando Mussolini fece approvare anche in Italia le vergognose leggi razziali e quando Mussolini, nel 1940, fece entrare in guerra l‟Italia al fianco del nazismo. Hitler con Mussolini nel corso della sua visita a Roma del 1938 62 Manifesti fascisti dopo l’emanazione delle leggi razziali Spesso la nostra memoria, anche se sicuramente in misura minore di quanto accade fra i tedeschi, tende a rimuovere il fatto che principalmente l‟Italia fascista, assieme alla Germania nazista e al Giappone imperiale, causarono la più devastante e crudele guerra che la storia dell‟umanità abbia mai conosciuto. La seconda guerra mondiale costò un tributo elevatissimo: sessanta milioni di vittime, in gran parte civili inermi, l‟inferno dell‟olocausto nei campi di concentramento, la distruzione di migliaia di città, e la sua conclusione con la catastrofe delle prime bombe atomiche sganciate su degli esseri umani Prigionieri in un campo di concentramento Città distrutta dai bombardamenti 63 La bomba atomica sul Giappone La caduta del fascismo e la Resistenza L‟illusione di Mussolini di una facile e veloce vittoria che avrebbe potuto consentirgli di sedersi al tavolo della pace ed ottenere importanti concessioni territoriali svanì dopo i primi mesi di guerra; la disfatta militare incombente, dopo lo sbarco degli alleati in Sicilia agli inizi di luglio del 1943, fu la causa determinante dell‟ordine del giorno votato dal Gran Consiglio del fascismo nella notte tra il 24 e il 25 luglio 1943. L'ordine del giorno proposto da Dino Grandi Il Gran Consiglio del Fascismo riunendosi in queste ore di supremo cimento, volge innanzi tutto il suo pensiero agli eroici combattenti di ogni arma che, fianco a fianco con la gente di Sicilia in cui più risplende l'univoca fede del popolo italiano, rinnovando le nobili tradizioni di strenuo valore e d'indomito spirito di sacrificio delle nostre gloriose Forze Armate, esaminata la situazione interna e internazionale e la condotta politica e militare della guerra proclama il dovere sacro per tutti gli italiani di difendere ad ogni costo l'unità, l'indipendenza, la libertà della Patria, i frutti dei sacrifici e degli sforzi di quattro generazioni dal Risorgimento ad oggi, la vita e l'avvenire del popolo italiano; afferma la necessità dell'unione morale e materiale di tutti gli italiani in questa ora grave e decisiva per i destini della Nazione; dichiara che a tale scopo è necessario l'immediato ripristino di tutte le funzioni statali, attribuendo alla Corona, al Gran Consiglio, al Governo, al Parlamento, alle Corporazioni i compiti e le responsabilità stabilite dalle nostre leggi statutarie e costituzionali; invita il Governo a pregare la Maestà del Re, verso il quale si rivolge fedele e fiducioso il cuore di tutta la Nazione, affinché Egli voglia per l'onore e la salvezza della Patria assumere con l'effettivo comando delle Forze Armate di terra, di mare, dell'aria, secondo l'articolo 5 dello Statuto del Regno, quella suprema iniziativa di decisione che le nostre istituzioni a Lui attribuiscono e che sono sempre state in tutta la nostra storia nazionale il retaggio glorioso della nostra Augusta Dinastia di Savoia. Con tale atto i gerarchi fascisti sostanzialmente chiedevano al re Vittorio Emanuele III, esercitando i poteri riconosciutigli dallo Statuto albertino, di destituire Mussolini e formare un nuovo governo. L‟indomani, con uno stratagemma, il re fece arrestare Mussolini e diede l‟incarico di formare il nuovo governo al generale Badoglio il quale, rapidamente, mise fuori legge il partito fascista e si impegnò a convocare le elezioni delle camere a guerra finita. L‟intenzione del re era quella di far tornare in vita lo Statuto albertino e il regime liberal monarchico precedente il fascismo quasi come se nei vent‟anni precedenti non fosse accaduto nulla. Ma gli eventi si svilupparono in ben altra direzione. 64 Il generale Badoglio, l‟8 settembre del 1943, firmò l‟armistizio con gli anglo americani senza organizzare la pur minima difesa contro la prevedibile e feroce reazione dei tedeschi che rapidamente occuparono l‟Italia con lo scopo di frenare l‟avanzata degli anglo americani. Da alleati i tedeschi diventarono nemici occupanti che noi, ai loro occhi, avevamo vigliaccamente tradito. Il re e Badoglio abbandonarono frettolosamente Roma per rifugiarsi al sud sotto la protezione dei nuovi alleati; il legittimo governo italiano evitò di dare tempestive e chiare disposizioni lasciando nel più completo sbando le sue forze armate sparse in tutta Europa; solo nell‟ottobre del 1943 dichiarò guerra alla Germania determinando una condizione di coobelligeranza delle nostre forze armate. In parecchi, a torto, ritennero che la guerra fosse quasi finita, in realtà per il centro e per il nord Italia occupato iniziava il periodo più tragico. Mussolini venne liberato da un commando tedesco e portato al nord, occupato dagli stessi tedeschi, dove fu messo a capo della Repubblica Sociale italiana (o Repubblica di Salò), uno Stato fantoccio sotto il controllo di Hitler che perpetrò i crimini più orribili a danno del popolo italiano. Per liberare l‟Italia occupata dai tedeschi e dai fascisti loro alleati i partiti antifascisti organizzarono clandestinamente le prime formazioni partigiane dando gradualmente vita a 65 un grande movimento di liberazione nazionale formato da aderenti che si autodefinirono patrioti e che riscatterà ben presto agli occhi del mondo l‟Italia dalla vergogna del fascismo. In gran parte vi parteciparono ragazzi giovani, sfuggiti dalla cattura dei tedeschi e ritornati dal fronte o che rifiutarono, come nel lombardo veneto o nelle terre irredente dell‟epopea risorgimentale, l‟arruolamento coatto nella Repubblica di Salò. Gli anni della Resistenza faranno rivivere, in certa misura, il mito del Risorgimento e della lotta di liberazione dallo straniero; anche le numerosissime vittime della dura e sanguinosa repressione fascista e nazista diventaranno martiri sacrificati in nome di una patria da riconquistare. E‟ con questo grande e decisivo movimento nazionale di popolo e con la riconquista definitiva della libertà e della democrazia che troverà pieno compimento il processo risorgimentale. I capi della Resistenza furono consapevoli del fatto che solo con la ribellione partigiana il popolo italiano avrebbe potuto dimostrare al mondo, dopo il ventennio fascista, quanto profondo fosse il sentimento per i valori antifascisti acquisendo il diritto al rispetto internazionale. Partigiani In occasione del 66° anniversario dell‟8 settembre 1943 il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha dichiarato: “Tanti uomini hanno combattuto e hanno perso la vita per ridare dignità, indipendenza e libertà all’Italia… c’è continuità tra le battaglie del Risorgimento e quelle battaglie che hanno garantito lo sviluppo dello stato nazionale, unitario e democratico”. I partiti antifascisti riuscirono, riemergendo dalla clandestinità, a darsi una stabile organizzazione politica nel Comitato di liberazione nazionale (CLN) con il quale la monarchia e il governo legittimo di Badoglio dovettero confrontarsi. Con il Patto di Salerno della primavera del 1944, nonostante prevalesse tra i partiti una posizione ostile alla monarchia, si decise una vera e propria tregua istituzionale, vale a dire di riunire tutte le forze in campo per scacciare i nazisti e i fascisti loro alleati rinviando la scelta fra monarchia e repubblica a dopo la guerra. Il re Vittorio Emanuele III si impegnò a ritirarsi a vita privata e, in attesa della scelta istituzionale, la funzione di capo dello Stato veniva assunta provvisoriamente dal figlio Umberto con il titolo di Luogotenente generale del regno. 66 Il figlio del re Vittorio Emanuele III, Umberto, Luogotenente generale del regno Dopo la liberazione di Roma del giugno 1944 il governo Badoglio venne sostituito da un governo presieduto dallo stesso presidente del CLN Ivanoe Bonomi a cui parteciparono tutti i partiti antifascisti che, intanto, continuavano a dirigere la guerra partigiana nel centro nord e nel nord Italia. Intanto il Comando Supremo Alleato, nonostante le perplessità iniziali, riconosceva il CLN dell‟alta Italia autorizzando le sue azioni di guerra dei territori occupati dai tedeschi e fornendo armi ed aiuti mentre gradualmente le forze militari sul campo risalivano lentamente verso il nord. La Resistenza si protrarrà fino alla primavera del 1945 quando, l‟arrivo delle truppe anglo americane nella pianura padana, spesso anticipato dalle truppe partigiane, costringerà l‟esercito tedesco a ritirarsi verso il nord lasciandosi dietro una striscia di morte e distruzione. Tra civili uccisi, partigiani caduti o giustiziati, militari fucilati o vittime nei lager i morti furono all‟incirca centomila: fu una terribile guerra civile fra i militari e i civili fedeli al re e al governo legittimo del paese da una parte e i fedeli al duce e al nazismo dall‟altra. Ma molti italiani capirono benissimo da che parte stare! Lapide commemorativa dei militari italiani caduti a Cefalonia dopo l’8 settembre 1843 per non essersi arresi ai tedeschi: inizia la Resistenza 67 I rastrellamenti e le esecuzioni di massa ad opera dei nazisti e dei fascisti furono tantissimi; spessissimo le catture dei banditi, anche così venivano definiti i partigiani, terminavano con la tortura e l‟impiccagione seguita dall‟esibizione dei cadaveri per giorni di fronte ai genitori e ai compaesani. Partigiani impiccati Prima di essere catturato dai partigiani Mussolini tentò un‟indegna fuga, come altre di questa narrazione, in una camionetta travestito da soldato tedesco; fu ucciso e poi portato a Milano e impiccato a testa in giù a piazzale Loreto con la sua amante e altri gerarchi fascisti nello stesso luogo in cui circa un anno prima per giorni rimasero esposti i cadaveri di quindici partigiani e antifascisti uccisi da un plotone di esecuzione della Repubblica sociale italiana. Questo forse non giustifica le violenze, ma aiuta a capire gli sputi, i calci e la reazione della popolazione di Milano sul corpo inerte del duce. 1944 1945 Al termine del conflitto gli Alleati riconobbero l‟enorme contributo alla vittoria del movimento partigiano ammettendone le dimensioni che superarono anche le più ottimistiche previsioni. 25 aprile 1945: la liberazione 68 L‟Italia partigiana e antifascista vinse la guerra, ma l‟Italia fascista di Mussolini ne uscì sconfitta e fece perdere, con i trattati di pace che seguirono, parte dei territori acquisiti con l‟enorme sacrificio della prima guerra mondiale. Solo parecchi anni dopo la fine della guerra trovò definitiva soluzione la questione di Trieste che, inizialmente, non venne direttamente attribuita al nostro paese. Repubblica e Assemblea costituente Con il Patto di Salerno si decise anche che, a guerra terminata, gli italiani avrebbero dovuto eleggere un‟Assemblea Costituente con il compito di redigere una nuova Costituzione. Lo Statuto Albertino non rappresentava più, semmai lo aveva fatto, la reale volontà degli italiani. La Costituzione del Regno d‟Italia dal 1848 era ancora formalmente in vigore poiché le leggi fasciste che lo avevano travolto erano state in certa misura già abrogate a partire dal 25 luglio 1943, dopo la destituzione di Mussolini. Ora la guerra era terminata e la parola dalle armi doveva passare alle urne, ma, sia per difficoltà tecniche relative all‟apprestamento delle nuove liste degli elettori, sia a causa di pressioni politiche delle forze più moderate che temevano nell‟immediato dopoguerra una reazione popolare troppo favorevole alle forze più innovative, dovettero trascorrere ancora tredici mesi perché si giungesse alle prime elezioni libere attraverso le quali gli italiani avrebbero dovuto porre le fondamenta delle nuove istituzioni del Paese. Dal 1928 il popolo italiano non era più stato chiamato alle urne e, finalmente, il 2 giugno 1946 si celebrarono le elezioni. Ad ogni italiano, uomo o donna di almeno 21 anni di età, vennero consegnate due schede: una per la scelta fra Monarchia e Repubblica, il cosiddetto referendum istituzionale, l‟altra per l‟elezione dei 556 deputati dell‟Assemblea Costituente sulla base di un sistema elettorale proporzionale a liste concorrenti e collegi elettorali plurinominali. Esse rappresentarono, nella storia del Paese, le prime elezioni che si svolsero a suffragio universale, maschile e femminile; per la prima volta il diritto di voto venne esteso anche alle donne. Erano ormai lontani i tempi dell‟Unità d‟Italia in cui le percentuali degli aventi diritto al voto per la Camera dei Deputati si aggiravano attorno al 2% della popolazione; 69 nel 1946 gli aventi diritto al voto rappresentavano il 61,4% degli italiani; bisognava però ancora attendere l‟estensione del diritto di voto anche ai diciottenni nel 1975 perché la soglia degli aventi diritto superasse il 70% dell‟intera popolazione. Il 9 maggio 1946 l‟abdicazione del Re Vittorio Emanuele III a favore del figlio Umberto II fu l‟estremo tentativo di presentare al popolo la dinastia dei Savoia con un nuovo volto meno compromesso con il regime fascista; tuttavia gli esiti del referendum istituzionale furono favorevoli alla Repubblica. Circa 12 milioni e settecentomila italiani, contro 10 milioni e settecentomila, decisero che l‟Italia doveva trasformarsi da Regno in Repubblica, con un Capo dello Stato elettivo. Umberto II, l‟ultimo Sovrano d‟Italia, passò alla storia con l‟appellativo di “Re di maggio”. Dopo qualche temporeggiamento e la comunicazione dei dati definitivi, il 13 giugno 1946 egli decise di lasciare il Paese con la sua famiglia e andarsene in esilio, riconoscendo la sconfitta e la fine della Monarchia. Il 2 giugno 1946 è ancora oggi ricordato come l‟anniversario della Repubblica e dal 2001 è stata ripristinata la festività civile precedentemente soppressa. C‟è per di più chi oggi richiede che questa diventi anche la festa della Costituzione. Fu evidente ed imperdonabile per la maggior parte del popolo italiano la responsabilità politica e morale del re nell‟ascesa della dittatura e nella guerra. È significativa la prima affermazione contenuta nel primo articolo della futura Costituzione repubblicana: “L‟Italia è una Repubblica...”, a cui corrisponde l‟ultima norma, l‟art. 139, che chiude l‟articolato con 70 la prescrizione: “La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale”, a sottolineare il valore perenne e irrevocabile di quella scelta popolare. Il primo Presidente della Repubblica italiana fu Luigi Einaudi, eletto dal Parlamento secondo le regole contenute nella nuova Costituzione (tit. II della seconda parte) il 12 maggio 1948, dopo le prime elezioni politiche vere e proprie del 18 aprile dello stesso anno. Fino ad allora assunse le funzioni di Capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola che venne eletto dall‟Assemblea Costituente appena insediatasi. Gli esiti dell‟elezione dei 556 componenti dell‟Assemblea Costituente che, in rappresentanza del popolo, avrebbero elaborato la nuova Costituzione, furono per lo più favorevoli a quei partiti politici che avevano combattuto la dittatura e, in particolare nel corso della Resistenza, si erano riorganizzati assumendo un ruolo guida nella lotta armata contro il nazifascismo e nella transizione dallo Stato fascista al nuovo Stato. L’assemblea costituente Si trattava principalmente dei tre grandi partiti di massa che avrebbero caratterizzato anche la vita politica italiana nei decenni successivi all‟entrata in vigore della Costituzione: la Democrazia Cristiana, che ebbe il 35,2% dei voti; il Partito Socialista di Unità Proletaria, con il 20,8%; il Partito Comunista italiano, con il 19%. I più alti e valorosi nomi della Resistenza italiana, accanto al fior fiore dei giuristi democratici dell‟epoca e di una nuova classe politica che si stava formando, comparivano tra i Costituenti scelti dagli italiani. per la Democrazia Cristiana: Alcide De Gasperi, Giuseppe Dossetti, Amintore Fanfani, Giovanni Gronchi, Giorgio La Pira, Giovanni Leone, Aldo Moro, Costantino Mortati, Mariano Rumor, Oscar Luigi Scalfaro, Benigno Zaccagnini; per il Partito Socialista: Lelio Basso, Pietro Nenni, Sandro Pertini, Luigi Preti, Giuseppe Saragat, Ignazio Silone; per il Partito Comunista: Giorgio Amendola, Arrigo Boldrini, Giuseppe Di Vittorio, Nilde Iotti, Luigi Longo, Giancarlo Pajetta, Emilio Sereni, Umberto Terracini, Palmiro Togliatti; per il Partito Repubblicano: Ugo la Malfa e Ferruccio Parri; per i liberali: Benedetto Croce e Luigi Einaudi; per il Partito d‟Azione: Piero Calamandrei, Riccardo Lombardi, Leo Valiani; per il Partito Sardo d‟Azione: Emilio Lussu. Una commissione composta da 75 membri rappresentativi di tutta l‟Assemblea ricevette l‟incarico di redigere un progetto che avrebbe dovuto servire da base per la successiva discussione. Dopo circa sei mesi di attività, la “Commissione dei 75” presentò il suo lavoro all‟Assemblea che nel corso di quasi tutto il 1947 discusse, integrò, modificò, articolo per 71 articolo, quella prima proposta e, finalmente, il 22 dicembre dello stesso anno approvò a larghissima maggioranza il testo definitivo della Costituzione che successivamente venne promulgato dal Capo provvisorio dello Stato ed entrò in vigore il primo gennaio 1948. Una Costituzione che nasce dal popolo Per la prima volta gli italiani avevano una Costituzione, elaborata direttamente dai loro rappresentanti liberamente e democraticamente eletti, come richiedevano le correnti più avanzate del Risorgimento cent‟anni prima. Lo Statuto Albertino del 1848, che dopo un secolo di vita era giunto al suo definitivo tramonto, era una Costituzione concessa dall‟alto, dal Sovrano ai suoi sudditi e, pur rappresentando la risposta del Re Carlo Alberto ai moti insurrezionali che si stavano diffondendo in tutta Europa, nacque senza alcuna consultazione democratica. Ben altro contenuto innovativo avrebbe avuto se fosse stata il frutto di un‟Assemblea eletta dal popolo. Anche successivamente a nulla valsero le richieste di un‟Assemblea Costituente provenienti dalle correnti democratiche del nostro Risorgimento, e in particolare da quelle mazziniane. Dopo l‟unificazione d‟Italia, lo Statuto Albertino, emanato per il piccolo Regno di Sardegna, divenne la legge fondamentale del Regno d‟Italia, riconfermando il predominio delle correnti liberali più moderate. La nuova Costituzione repubblicana nacque invece una grande lotta di popolo; furono i capi della Resistenza e dei partiti antifascisti che avevano imbracciato le armi e patito la persecuzione politica, il confino e il carcere fascista, i nuovi leader della classe politica emergente, scelti dallo stesso popolo, ad elaborare la nuova Costituzione. Essa rappresenta, come la definì un grande giurista antifascista e membro dell‟Assemblea Costituente, Piero Calamandrei, “il programma politico della Resistenza”. Egli scrisse: “...Dietro ad ogni articolo di questa Costituzione, o giovani, voi dovete vedere giovani come voi: caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento... morti per le strade di Milano, per le strade di Firenze, che hanno dato la vita perché la libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa carta...”. E ancora: 72 “...Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione”. Era la prima volta nella storia d‟Italia che le grandi masse popolari partecipavano direttamente e consapevolmente al loro destino, in risposta alla dittatura e alla guerra. La Costituzione si affermò come patto fondamentale tra forze politiche diverse, ma accomunate dall‟antifascismo e da una forte aspirazione ideale nata nella guerra di Liberazione. Ad essa i Costituenti decisero di imprimere il carattere della rigidità, collocandola al vertice di tutto l‟ordinamento giuridico. Si tratta di una caratteristica propria di quasi tutte le Costituzioni democratiche del novecento legata, appunto, al valore di patto fondamentale tra le diverse forze politiche che esse assumono. All‟opposto, lo Statuto Albertino, come in genere le Costituzioni liberali dell‟ottocento, era una Costituzione flessibile, modificabile cioè dal Parlamento con il normale procedimento di approvazione delle leggi ordinarie; ma si trattava di un Parlamento in parte di nomina regia e in parte eletto a suffragio ristretto, che rappresentava gli interessi della Corona e dell‟alta borghesia e che mai avrebbe potuto minacciare modifiche radicali a una Costituzione decisamente moderata. Fu anche per questo abbastanza agevole, sul piano giuridico, per il regime fascista introdurre una serie di leggi liberticide le quali, instaurando in Italia la dittatura, ben presto travolsero i contenuti più liberali dello Statuto Albertino, che pure formalmente continuò a rimanere in vigore. I Costituenti decisero dunque di mettere al riparo gli articoli della Costituzione repubblicana da eventuali futuri colpi di mano di momentanee maggioranze politiche, parlamentari e di Governo, imprimendo ad essa il carattere della rigidità. Le regole del gioco e i principi su cui si sarebbe edificato il nuovo ordinamento non potevano essere toccati se non con un apposito procedimento di revisione costituzionale, molto più lungo e gravoso del normale procedimento legislativo e comunque solo con la partecipazione di larghissimi schieramenti politici. L‟art. 138 della Costituzione, infatti, prevede per la modifica di una parte della stessa Costituzione una doppia votazione ad opera delle due Camere, ad intervallo non inferiore a tre mesi, una maggioranza qualificata per l‟approvazione e l‟eventualità di un referendum popolare qualora ne facciano richiesta un quinto dei membri di una Camera, cinquecentomila elettori o cinque consigli regionali, ma solo nel caso in cui l‟approvazione sia avvenuta a maggioranza inferiore ai due terzi e, comunque, superiore alla maggioranza assoluta. Un altro importantissimo meccanismo giuridico, a tutela della rigidità della Costituzione, è poi previsto da altre norme della stessa Costituzione collocate immediatamente prima dello stesso articolo 138, nel medesimo tit. VI della seconda parte, non a caso intitolato “Garanzie costituzionali”. Si tratta della Corte Costituzionale, inesistente nel vecchio Statuto Albertino, che ha, tra i suoi compiti principali, quello di giudicare le controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge dello Stato e delle Regioni (art. 134 Cost.). Questo organo costituzionale può abrogare tutte le norme di legge che contrastino con la Costituzione, che in tal modo è effettivamente, e non solo formalmente, saldamente collocata al vertice di tutto il diritto italiano come una sorta di “legge delle leggi”, a 73 massima garanzia e tutela del patrimonio ideale della lotta antifascista da cui essa nacque e degli altissimi valori che essa espresse, contenuti nelle diverse disposizioni costituzionali. Il compromesso costituzionale La Costituzione repubblicana è composta da 139 articoli dei quali i primi dodici riguardano i Principi fondamentali. I successivi quarantadue articoli costituiscono la prima parte dedicata ai Diritti e doveri dei cittadini, a sua volta suddivisa in quattro titoli: rapporti civili; rapporti etico-sociali; rapporti economici; rapporti politici. I rimanenti ottantacinque articoli rappresentano la seconda parte che disciplina l‟Ordinamento della Repubblica, nelle sue diverse articolazioni, a cui corrispondono altri sei distinti titoli: il Parlamento; il Presidente della Repubblica; il Governo; la Magistratura; le Regioni, le Province, i Comuni; Garanzie costituzionali. Infine, la Costituzione si chiude con le Disposizioni transitorie e finali contenute in diciotto articoli. La maggior parte di questi articoli fu approvata con larghissime maggioranze, ma il loro contenuto è il frutto dell‟incontro di idee e valori dei partiti presenti all‟interno dell‟Assemblea Costituente, spesso diversi, tuttavia uniti dal comune sentire della lotta antifascista e dalla ferma volontà di dare all‟Italia una Costituzione che traducesse in precise disposizioni le speranze e le attese per un profondo mutamento dello Stato e della società. La Costituzione italiana nasce dalla confluenza di diversi principi ispiratori: all‟idea democratica e antifascista di base, si uniscono i valori dell‟antica tradizione liberale italiana, quelli propri del socialismo dei partiti della sinistra e infine quelli della dottrina sociale della Chiesa a cui si ispirava la Democrazia Cristiana. Oltre al grande ideale democratico e antifascista che si esprime attraverso gli strumenti classici della democrazia diretta e rappresentativa (diritti politici) nella Costituzione italiana si ritrovano le idealità manifestate dalla matrice liberale attraverso le libertà e i diritti civili (la libertà di pensiero, di riunione, di associazione, di circolazione, di iniziativa economica privata, ecc.). Il pensiero socialista e comunista si manifestò invece soprattutto nelle norme relative alla tutela del lavoro e ai diritti sociali (il diritto al lavoro e alle libertà sindacali, l‟istruzione, l‟assistenza sanitaria, la previdenza); i diritti sociali vennero sostenuti anche dal cattolicesimo sociale rappresentato dalla democrazia cristiana che però volle proteggere in particolare anche la famiglia e tutte quelle altre formazioni sociali, in primo luogo la chiesa, ove si esprime la persona e in cui possa realizzarsi l‟obiettivo della solidarietà sociale. Il risultato che ne conseguì venne definito da molti un compromesso costituzionale, il che non deve però erroneamente richiamare una soluzione deleteria o di basso profilo. Al contrario, esso rappresentò il desiderio di edificare un impianto costituzionale in cui ogni Costituente cercò di dare il meglio della sua concezione e in cui la maggior parte degli italiani potesse identificarsi. La Costituzione repubblicana non nacque quindi dalla preponderanza di una parte politica sulle altre, ma da un aperto e fecondo incontro ideale, da un‟intesa che doveva servire come guida alle variabili maggioranze parlamentari e di Governo che, domani, diversamente interpretandola, avrebbero dovuto poi tradurla in provvedimenti concreti. 74 D‟altra parte è nella natura di tutte le Costituzioni democratiche di questo secolo, che scaturiscono da Assemblee Costituenti elette a suffragio universale e rappresentative di diverse aspirazioni e interessi, il loro affermarsi come patto sociale, punto di convergenza tra diverse forze politiche che affidano a questa legge fondamentale il compito di fissare quei principi in cui tutta una Nazione si possa riconoscere, a garanzia della loro legittimità e del loro rispetto effettivo. A maggior ragione è comprensibile, e, se possibile, assume anche maggior valore, l‟intesa che fu alla base della Costituzione italiana da parte di quelle forze politiche che, dopo la tragedia della dittatura e della guerra, volevano tradurre in norme i valori ideali della Resistenza e della lotta contro il nazifascismo che le avevano accomunate, nonostante le diverse matrici ideali che le animavano fossero il riflesso di una società non omogenea, spesso agitata da conflitti sociali, in cui sussistevano differenze profonde, fra le diverse classi e fra appartenenti alle stesse classi nel Nord e nel Sud. Gli anni della Repubblica italiana Così come a suo tempo alcuni intellettuali utilizzarono l‟espressione Risorgimento tradito per indicare il sogno patriottico spezzato in un ordinamento monarchico liberale conservatore, retrivo e talvolta anche corrotto, con riferimento agli anni del secondo dopoguerra c‟è chi ha parlato di Resistenza e Costituzione tradite: è difficile valutare il grado di realizzazione concreta degli ideali della Resistenza espressi dal dettato costituzionale. All‟Italia, nel bene e nel male, anche se talvolta con evidenti limiti, sono stati garantiti oltre sessant‟anni di libertà, democrazia e crescente benessere. Ma spesso si è trattato di una battaglia dura, fatta di difficili lotte e conquiste niente affatto scontate in cui talvolta sembrava che tutto dovesse essere rimesso in discussione. Terminata la guerra il nostro paese si inserì nell‟alveo delle potenze occidentali alleate agli Stati Uniti che godettero dei consistenti aiuti del Piano Marshall; ben presto la guerra fredda causò una netta divisione fra le diverse forze politiche avviando un drammatico periodo di vero e proprio congelamento della Costituzione italiana. La contrapposizione politica per molti anni conobbe momenti di durissimo conflitto ben lontani dal clima unitario che aveva generato la Resistenza e la Costituzione. Alcide De Gasperi, segretario della Democrazia Cristiana, e Palmiro Togliatti, segretario del Partito Comunista Italiano 75 La Democrazia Cristiana divenne la forza politica dominante, appoggiata dagli Stati Uniti, ma anche dalle gerarchie ecclesiastiche che, per questo, non trascurarono nessun strumento di pressione nel timore che il Partito Comunista potesse prendere il sopravvento. A lato i documenti relativi alla scomunica ai comunisti del primo luglio 1949; lo stesso strumento utilizzato contro gli eroi del Risorgimento. Negli anni cinquanta e sessanta non mancarono episodi di dura repressione delle forze dell‟ordine dirette da un governo sordo alle richieste della piazza per il lavoro e per migliori condizioni di vita. A lato foto relativa all‟eccidio delle Fonderie Riunite di Modena: il 9 gennaio del 1950 furono uccisi dalla polizia sei operai durante la manifestazione per la riapertura della fabbrica. Reggio Emilia, 7 luglio 1960: la polizia spara raffiche di mitra sui manifestanti; rimangono a terra cinque morti Il sistema politico che per decenni si delineò in Italia venne definito a bipartitismo imperfetto: sono presenti sulla scena due grandi partiti politici la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista, ma mentre il primo rappresentò il protagonista fondamentale dei governi italiani per più di quarant‟anni, il secondo, sia per motivi interni che per motivi internazionali, fu sempre escluso dalla compagine governativa, senza una reale alternanza al potere come invece avrebbe dovuto accadere in un sistema realmente democratico. La, vera o presunta, vicinanza di tale partito all‟Unione Sovietica ne impediva l‟accesso al governo e agli accordi segreti che vincolavano l‟Italia agli USA. Anche in seguito alle grandi battaglie politiche degli anni sessanta e settanta, nonostante le aperture del governo al Partito socialista e all‟approvazione di importanti riforme che ridiedero vita alle promesse della Costituzione, forze oscure e poteri occulti, con sullo sfondo gli stessi servizi segreti italiani, attraverso la strategia della tensione, le stragi ed anche il coinvolgimento in numerosi fenomeni di terrorismo, cercarono di impedire un reale cambiamento e frenare le stesse riforme. 76 Roma, 1968: le lotte e le proteste degli studenti Le lotte operaie dell‟autunno caldo del 1969 Il 12 dicembre 1969 viene compiuto un attentato terroristico a Milano in piazza fontana costato 17 vite umane; prende avvio la drammatica stagione della strategia della tensione Brescia, 28 maggio 1974, ore 10 e 12 minuti. In Piazza della Loggia, sotto la pioggia, c‟è una manifestazione antifascista con capi sindacali e politici per protestare contro gli attentati avvenuti in città da parte di gruppi dell‟estrema destra. La piazza è gremita di gente. All‟improvviso, il boato. Una bomba collocata in un cestino portarifiuti esplode. L‟attentato provoca otto morti e 103 feriti 77 1977. il terrorismo Per fronteggiare la grave situazione economica e le emergenze dello stragismo e del terrorismo Enrico Berlinguer, segretario del Partito comunista, e Aldo Moro, presidente della Democrazia cristiana, nel 19761979 diedero vita ai governi di unità nazionale: il PCI non entrava formalmente al governo, ma lo appoggiava dall‟esterno. In un certo senso venne ricostituita quell‟unità che fu alla base della Costituzione per proteggere e difendere le istituzioni democratiche. Ma nell‟Aprilemaggio 1978: il rapimento e l‟uccisione proprio di Aldo Moro, Presidente della Democrazia cristiana, rappresentarono uno shock fortissimo per il paese. Solo grazie alla ferma reazione delle grandi masse popolari, dei sindacati e dei partiti politici, ma anche a un ex partigiano socialista eletto Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, l‟Italia riuscì a superare la prova drammatica di quegli anni 78 Uno degli ultimi più feroci atti di stragismo fu rappresentato dalla strage del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna con 80 morti e centinaia di feriti. 1981: vengono scoperte le liste degli iscritti e il programma della loggia segreta P2 di Licio Gelli. Essa aveva come scopo il condizionamento delle istituzioni italiane; le indagini della magistratura hanno evidenziato come la P2 fosse coinvolta in chiave anti comunista nelle pagine più fosche della strategia della tensione Nella seconda metà degli anni “80 viene alla luce una struttura paramilitare segreta denominata Gladio. Nel secondo dopo guerra tutti i paesi occidentali si dotarono di strutture clandestine, che disponevano di armi, esplosivi e molto denaro, dirette dalla NATO (organizzazione militare dei paesi alleati) per contrastare una eventuale invasione delle contrapposte forze dei paesi socialisti riunite nel patto di Varsavia. La progressiva illegittimità costituzionale di tale struttura va ricercata da un lato nel fatto che non tutti i vertici politici e democratici del paese ne ebbero conoscenza e dall‟altro nel fatto che ripetutamente essa straripò dai suoi compiti per essere utilizzata in chiave anticomunista nell‟ambito della strategia della tensione e di altre missioni per impedire l‟ingresso al governo del PCI e, in certa misura, anche del PSI. Ai drammi della strategia della tensione, delle stragi e del terrorismo si aggiungeva la presenza della criminalità organizzata, della mafia, della camorra, della ndrangheta, che, ancora oggi, continuano a porsi in una condizione di vero e proprio governo di alcune parti del territorio italiano diffondendosi come un cancro nella vita economica e nelle istituzioni del paese. I magistrati, le forze dell‟ordine, i comuni cittadini che sono caduti e continuano a cadere nell‟adempimento del loro dovere sotto i duri colpi delle mafie hanno difeso e difendono la nostra democrazia e la nostra Costituzione. 79 Giovanni Falcone e Paolo Borsellino: due magistrati, eroi uccisi dalla mafia a causa delle indagini che stavano conducendo La fine della guerra fredda in Italia segnò un radicale mutamento del quadro politico; negli anni “90 con l‟indagine della magistratura denominata Mani pulite si scoprì che una quantità enorme di uomini politici erano corrotti; il pagamento di tangenti a singoli o a partiti per l‟affidamento di opere e lavori pubblici era la norma; i reati di concussione e corruzione e, nel migliore dei casi, di finanziamento illecito dei partiti, la regola Un‟intera classe politica venne decapitata e da quelle macerie ne uscirono nuovi partiti e nuovi schieramenti completamenti diversi rispetto a quelli che scrissero la Costituzione. Con sempre più insistenza si iniziò a discutere di modificare la stessa Costituzione anche in alcune sue parti essenziali. Il referendum che si celebrò nel 2001 confermò la modifica delle norme relative all‟assetto dei poteri di Regioni, Province e Comuni in senso maggiormente autonomista sulla base di una proposta del governo di centro sinistra. All‟opposto il referendum che si tenne nel corso del 2006 bocciò una radicale riforma degli assetti istituzionali della nostra Costituzione che avrebbe, tra l‟altro, dato maggiori poteri al governo a scapito degli altri organi costituzionali, come avrebbe desiderato il governo di centro destra capeggiato da Silvio Berlusconi. I problemi istituzionali che vive oggi il nostro paese, in un contesto di grave crisi economica, sono enormi. L‟Italia fatica più delle altre nazioni a vincere le sfide della globalizzazione in cui i poteri dei singoli Stati sono sempre più armi spuntate. L‟adesione del nostro paese all‟Unione europea e all‟euro ci ha protetto e ci continua a proteggere dal peggio. Il nostro rimane lo Stato con uno dei debiti pubblici più elevati al mondo, con un tasso di evasione fiscale che ci pone in vetta a tutte le classifiche dei paesi industrializzati, con una pubblica amministrazione ancora ampiamente inefficiente e talvolta anche corrotta, con una durata dei processi civili e penali aberrante e, ultimo ma non ultimo, una criminalità organizzata che soffoca ormai non più solo le imprese del sud, ma anche quelle del centro e del nord del paese. Se presto non giungerà uno scatto d‟orgoglio nazionale e un vero cambiamento l‟Italia rischia veramente di ritornare una semplice espressione geografica come forse a qualche potenza mondiale o europea non dispiacerebbe. La presenza al governo per molti di questi anni dell‟ultimo ventennio di Silvio Berlusconi, l‟imprenditore più ricco del paese, tessera P2 numero 1816, a capo di un vero e proprio impero mediatico fatto di giornali, libri, televisioni e pubblicità, non ha risolto nessuno di quei problemi, anzi, per certi versi li ha peggiorati. 80 La rivoluzione liberale promessa dalla sua discesa in campo, con l‟originalissima nascita di un partito politico da una azienda privata, è stata tutto fuorché una rivoluzione liberale; a partire da un enorme quanto irrisolto conflitto di interessi che in nessuna parte del mondo, fra i paesi a tradizione liberal democratica, avrebbe permesso a un imprenditore di divenire presidente del consiglio, né a un unico imprenditore di essere proprietario di una quantità così ampia di media. Non esistono eguale in tutti i paesi simili all’Italia. A ciò si aggiunge il fatto che nei governi Berlusconi è presente un partito che per la prima volta, dopo il Risorgimento, dopo la Resistenza, dopo la Costituzione, chiede espressamente, all‟articolo 1 del suo Statuto, la secessione dal resto dell‟Italia. I ministri leghisti hanno giurato, al momento dell‟insediamento del governo, fedeltà alla Costituzione e alla Repubblica, ma il loro partito ne enuncia esplicitamente la disgregazione. Nel corso dei festeggiamenti per il 150° anniversario dell‟unità d‟Italia in parecchie occasioni i leghisti spesso non si sono presentati o hanno abbandonato le assemblee elettive, i consigli comunali, provinciali, regionali ed anche il parlamento nazionale dove sono stati eletti; molte volte si sono rifiutati di cantare l‟inno nazionale. In tal modo, di fatto, si sono dichiarati non italiani, auto escludendosi dalle istituzioni nazionali. Coerentemente dovrebbero trarre altrettante conseguenze politiche circa la loro partecipazione al governo del paese: non è ammissibile che un uomo politico pretenda di essere ministro di una nazione quando non riconosce più la nazione stessa, al punto di negare la festa per il 150° anniversario della sua unità. Pensiamo che anche una situazione del genere non abbia eguali nel mondo. Così come non ha eguali nel mondo un Presidente del consiglio che, come accade sempre più spesso, pone sotto continuo attacco i pilastri fondanti della Costituzione del suo paese per difendere se stesso dai numerosi reati per i quali è indagato: la magistratura, la Corte costituzionale e, talvolta, lo stesso Presidente della Repubblica, sono incredibilmente messi sotto accusa da un altro organo sello Stato. Gran parte degli italiani in questo momento sembrano invece avere riscoperto i valori dell‟unità nazionale, del tricolore e della Costituzione, anche grazie a un Presidente della Repubblica che è riuscito con grande equilibrio a farsi portatore di quegli stessi valori in nome della storia del nostro paese. Il Risorgimento italiano è costato 30.000 caduti; molto più numerosi sono stati i morti della prima guerra mondiale: almeno 680.000 militari e circa 70.000 civili morti per cause legate alla guerra; ad essi vanno aggiunti i 100.000 italiani caduti nella Resistenza per la liberazione. Si tratta di italiani provenienti da tutte le regioni del paese che hanno costruito con il loro sacrificio la nostra idea di Patria, la nostra Italia e la nostra Costituzione che ora dobbiamo onorare. Nel corso di una delle numerose manifestazioni a cui ha partecipato per le celebrazioni di del 150° anniversario dell‟Unità d‟Italia il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, non senza una certa emozione, ha dichiarato: “Grazie all’Unità siamo diventati un paese moderno; se fossimo rimasti come nel 1860, divisi in otto Stati, senza libertà, e sotto il dominio straniero, saremmo stati spazzati via dalla storia e non saremmo mai diventati un grande paese europeo. Eravamo già in ritardo allora di fronte alla Spagna, alla Francia, all’Inghilterra, che erano già dei grandi Stati nazionali e stava per diventarlo anche la Germania... per fortuna eravamo in ritardo ma non abbiamo atteso ulteriormente perché ci sono state schiere di patrioti che hanno combattuto e hanno dato la vita, che hanno scritto pagine eroiche che noi dobbiamo avere l’orgoglio di ricordare e di rivendicare perché solo così 81 possiamo guardare con fiducia al futuro e alle prove che ci attendono. Ne abbiamo passate tante; passeremo anche quelle che abbiamo di fronte, in un mondo forse più difficile, però l’importante è che ci ricordiamo sempre… anche se ognuno ha i suoi problemi, i suoi interessi e le sue idee e, certo discutiamo e battagliamo… ma ciascuno deve sempre ricordare che è parte di qualcosa di più grande che è la nostra Nazione, la nostra Patria, la nostra Italia. E se saremo uniti sapremo vincere tutte le difficoltà che ci attendono. Auguri a tutti gli italiani!”. L’immagine di Giorgio Napolitano alla televisione mentre pronuncia davanti al Quirinale il discorso sopra riportato mentre scorre il sottotitolo “Capogruppo lega alla Camera diserta oggi la seduta sui 150 anni Unità” 82