Graziano Galassi, Risorgimento e Costituzione, Vignola

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Laboratorio
Innovazione
Didattica e
Documentazione
Comune di
Spilamberto
In occasione del 150° anniversario
dell’Unità d’Italia
RISORGIMENTO E
COSTITUZIONE
dispensa relativa ai quattro incontri
tenutisi presso il Circolo cittadino di Spilamberto (Modena)
dal prof. Graziano Galassi nei giorni 7 – 14 – 21 – 28 Marzo 2011
- ad uso didattico interno non commerciale -
I QUADERNI DELLA FORMAZIONE/EDUCAZIONE PERMANENTE - N. 26
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PRESENTAZIONE
La pubblicazione del quaderno “Risorgimento e Costituzione” da parte dell‟Università
Libera Età “Natalia Ginzburg” di Vignola vuole essere un contributo alla riflessione e al
dibattito culturale che si è sviluppato intorno al tema delle celebrazioni per il 150°
anniversario dell‟Unità d‟Italia.
Questa pubblicazione raccoglie i materiali relativi al corso che è stato tenuto a Spilamberto
dal Prof. Graziano Galassi e rientra nella produzione e raccolta di materiali curata dal
L.I.D.D. (Laboratorio di Innovazione Didattica e Documentazione) e messa a disposizione
delle scuole e della cittadinanza.
Questa iniziativa si inserisce all‟interno di un complesso di attività realizzate dall‟Università
in collaborazione con altre Associazioni del territorio e i Comuni di Vignola, Spilamberto e
Castelvetro.
Ricordiamo ad esempio l‟allestimento della mostra “C‟era una volta la scuola a Vignola e
dintorni” e la pubblicazione del relativo libro in collaborazione con gli Amici dell‟Arte e il
Gruppo di Documentazione Mezzaluna. La pubblicazione, attraverso un‟analisi della storia
della scuola dal 1861 ai giorni nostri, consente di tracciare il ruolo fondamentale
dell‟istruzione pubblica e obbligatoria per la formazione della coscienza nazionale. Va
sottolineato, a tale proposito, che l‟eminente figura del primo ministro della Pubblica
istruzione Francesco De Sanctis, ci permette di porre in evidenza la saldatura tra le radici
culturali e linguistiche del nostro Paese e le lotte che hanno poi determinato l‟Unità d‟Italia.
Ricordiamo inoltre la partecipazione dell‟Università all‟iniziativa “Per un risorgimento di
memoria senza retorica” finalizzata alla presentazione e divulgazione dei libri più
importanti che sono stati recentemente pubblicati sul tema dell‟Unità d‟Italia.
E‟ stato infine realizzato, insieme al Gruppo di Documentazione Mezzaluna, un CD che,
attraverso le immagini, evoca le trasformazioni di Vignola negli ultimi 150 anni. Il CD è
stato gratuitamente distribuito alla cittadinanza il 17 marzo in occasione del Consiglio
Comunale aperto e dedicato alle celebrazioni del 150°.
Queste esperienze consolidano il ruolo che ha assunto la nostra Università sul territorio
per promuovere non solo lo sviluppo culturale e la conoscenza, ma anche e soprattutto
una coscienza critica quale indispensabile presupposto per la crescita civile e democratica
della comunità.
Dato il successo delle celebrazioni nel risveglio del senso dell‟Unità Nazionale, si auspica
che, dopo il secondo Risorgimento rappresentato dalla Resistenza, si possa realizzare un
terzo Risorgimento per riaffermare i valori fondanti della nostra Costituzione.
Il Direttore tecnico-scientifico
Dunnia Breviglieri
Il Presidente
Valter Cavedoni
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INDICE
Introduzione ............................................................................................................ pag. 2
Il processo di unificazione territoriale
Dal Regno di Sardegna all‟Italia repubblicana ........................................................ pag. 4
Dalla monarchia assoluta alla monarchia costituzionale ......................................... pag. 5
La dichiarazione dei Diritti dell‟uomo e del cittadino ............................................... pag. 7
Dall‟Ancien Régime alla prima idea di democrazia moderna
come potere del popolo .......................................................................................... pag. 9
Napoleone Bonaparte ............................................................................................. pag. 10
Fu vera gloria? ........................................................................................................ pag. 12
Il cinque maggio ...................................................................................................... pag. 13
La Santa Alleanza ................................................................................................... pag. 14
L‟Italia in mano all‟assolutismo dal 1815 al 1848 .................................................... pag. 15
La Carboneria e i moti............................................................................................. pag. 16
Ciro Menotti ............................................................................................................ pag. 18
Mazzini, Gioberti, Cattaneo, Balbo, D‟Azeglio ........................................................ pag. 20
Giuseppe Verdi (1813-1901)................................................................................... pag. 22
Il 1848: la “primavera dei popoli” ............................................................................. pag. 23
La prima guerra d‟indipendenza (1848-1849) ......................................................... pag. 26
Giuseppe Garibaldi (1807-1882)............................................................................. pag. 30
La fine della Repubblica di Venezia ........................................................................ pag. 31
Il ritorno a un nulla di fatto e lo Statuto Albertino .................................................... pag. 32
Tra la prima e la seconda guerra d‟indipendenza ................................................... pag. 35
Carlo Pisacane (1818-1857) ................................................................................... pag. 38
Cavour e la seconda guerra d‟indipendenza (1859) ............................................... pag. 40
La spedizione dei Mille............................................................................................ pag. 43
La proclamazione dell‟Unità d‟Italia ........................................................................ pag. 46
La questione romana e la terza guerra di indipendenza (1866) .............................. pag. 49
La Breccia di Porta Pia ........................................................................................... pag. 51
Il periodo liberale fino alla prima guerra mondiale .................................................. pag. 52
La prima guerra mondiale ....................................................................................... pag. 55
L‟Avvento del fascismo e della guerra .................................................................... pag. 59
La caduta del fascismo e la Resistenza .................................................................. pag. 64
Repubblica e Assemblea costituente ...................................................................... pag. 69
Una Costituzione che nasce dal popolo .................................................................. pag. 72
Il compromesso costituzionale ................................................................................ pag. 74
Gli anni della Repubblica italiana ............................................................................ pag. 75
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Introduzione
Il 17 marzo 2011 si festeggia la ricorrenza del 150° anniversario della proclamazione
dell‟Unità d‟Italia. Si tratta di una data puramente simbolica che rappresenta il punto di
arrivo di una lunga storia, ma anche il punto di partenza - solo il punto di partenza! - della
nostra identità nazionale.
Questo è il motivo per cui nel corso degli incontri saranno narrate le più importanti vicende
del Risorgimento italiano ed il loro significato politico istituzionale dalla discesa di
Napoleone in Italia fino alla annessione dell‟Alto Adige alla fine della prima guerra
mondiale, considerata un tempo da alcuni come la quarta guerra di indipendenza, in
un‟ottica di progressiva conquista, accanto all‟unità geografica del nostro paese, dei diritti
costituzionali fondamentali. Ma, nonostante la drammatica esperienza del fascismo e della
seconda guerra mondiale, si può affermare che il processo unitario di costruzione della
nostra identità nazionale si sia adempiuto solo con la Resistenza e l‟entrata in vigore della
Costituzione repubblicana.
Cosa significa, infatti, ESSERE ITALIA? Essere cioè tutti riuniti in un‟unica nazione? E
perché in questi ultimi tempi si sono così intensificate le polemiche sui festeggiamenti del
150° anniversario dell‟Unità d‟Italia al punto da spingere i ministri leghisti del governo
Berlusconi a votare contro la proclamazione della festa del 17 marzo ed altri ancora ad
affermare che quel giorno sarebbe stato meglio andare tutti a lavorare?
In Europa i primi Stati nazionali si formarono a partire dal 1300 attorno ad un principio: non
più un impero universale dominato dal papa e dall‟imperatore, ma tanti Stati nazionali
ognuno dei quali rappresentava una lingua, una religione e un popolo guidato da un
sovrano assoluto. Il suo potere tuttavia veniva ancora giustificato da una derivazione
divina pur essendo esercitato anche in nome degli stessi sudditi. Così nacquero
inizialmente il regno di Francia, il regno di Inghilterra e in seguito il regno di Spagna e di
Portogallo, il regno di Prussia, la Russia imperiale, l‟impero Germanico, l‟impero
Ausburgico, ecc.
Ecco una cartina dell‟Europa del XVIII secolo:
In tale sviluppo l‟Italia giunse molto tardi a definire il suo processo di nascita come
nazione, processo che si concluse solo nel corso del 1900. Fino ad allora gli italiani
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vissero sotto vari regni o dominati dagli stranieri. Macchiavelli e Guicciardini nelle loro
opere cercarono di analizzare i motivi storici e politici dell‟incapacità della chiesa e dei vari
re e principi italiani fra 1500 e 1700 di riunirsi e di sapere guardare al di là dei propri
interessi localistici appoggiandosi invece ora all‟una ora all‟altra potenza europea mentre
al popolo contadino veniva attribuito il triste detto “O Franza o Spagna, purché se magna!”.
Essere patria, essere nazione, storicamente ha significato per gli Stati europei due cose:
l‟identificazione di un popolo che parla una stessa lingua:
- in un unico territorio
- su valori e ordinamenti (sovrani, religiosi e giuridici) condivisi
Il processo risorgimentale è stato proprio questo: non solo il mettere insieme gli italiani
sotto un‟unica bandiera, ma dare ad essi valori istituzionali e ordinamenti condivisi. In
poche parole, accanto alla bandiera, la patria oggi è fondamentalmente anche la nostra
Costituzione. In questo senso si può affermare che l‟ultimo atto risorgimentale è stato
rappresentato proprio dalla Resistenza e dall‟assemblea costituente del 2 giugno 1946.
Le grandi polemiche sui festeggiamenti del 17 marzo 2011 da questo punto di vista sono
gravissime perché rimettono per la prima volta in discussione un processo storico
secolare. E non è un caso che provengano da quella stessa parte politica che sottopone a
continui attacchi proprio il dettato costituzionale!
Da un lato il segretario di un partito politico di governo, dopo avere affermato di volere
utilizzare il tricolore per motivi igienici nella propria toilette, è a capo di uno schieramento il
cui art. 1 del proprio Statuto recita: “Il Movimento politico denominato “Lega Nord per
l’Indipendenza della Padania” (in seguito indicato come Movimento oppure Lega Nord o
Lega Nord - Padania), costituito da Associazioni Politiche, ha per finalità il conseguimento
dell’indipendenza della Padania attraverso metodi democratici e il suo riconoscimento
internazionale quale Repubblica Federale indipendente e sovrana”.
Dall‟altro lato ormai non passa giorno senza che il capo del governo in carica non scagli
feroci attacchi sui principi fondanti la Costituzione italiana, sulla divisione dei poteri, sulla
magistratura, sulla Corte costituzionale ed anche sul Presidente della Repubblica,
ipotizzando tanto radicali quanto improbabili riforme dell‟assetto istituzionale italiano.
Credo sia questo il motivo per cui oggi il concetto di patria in Italia sia diventato più caro ai
partiti diversi da quelli del centro destra attualmente al potere.
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Il processo di unificazione territoriale
Dal Regno di Sardegna all’Italia repubblicana
1848: i Savoia
1859: la seconda guerra di indipendenza
1860: i plebisciti
1861: l’impresa dei Mille e il 17 marzo
1870: la breccia di Porta Pia
1866: la terza guerra di indipendenza
1918: la prima guerra mondiale
1945: la seconda guerra mondiale
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Dalla monarchia assoluta alla monarchia costituzionale
Una delle più grandi rivoluzioni dell‟epoca moderna è rappresentata dalla rivoluzione
liberale che nel lasso di un paio di secoli, dal 1600 al 1700, cambiò radicalmente una
concezione del potere politico che aveva le sue origini fin nei grandi imperi dell‟antichità.
L‟idea che la fonte di legittimazione del potere politico fosse rappresentata dalla divinità e
che solo da essa dovesse e potesse derivare il monopolio della forza, si afferma con il
contestuale affermarsi delle prime grandi civiltà e delle forme organizzate del potere
politico stesso.
Gli imperatori e i re erano, talvolta, essi stessi considerati dei o semidei. Anche nella
concezione dell‟assolutismo monarchico, almeno fino al 1600 il re era concepito,
attraverso la trasmissione ereditaria del trono, come l‟unto dal Signore, in una sorta di
discendenza divina che, sola, forniva la base religiosa e legale dell‟esercizio del potere sui
sudditi, con l‟unica mediazione, spesso pesantemente condizionata, della classe nobile,
dell‟aristocrazia e del clero.
La Francia di re Luigi XIV (1638-1715), con la sua famosa dichiarazione: “L’Etat c’est moi”!
(Io sono lo Stato!), è divenuta, anche per gli studiosi, l‟icona dello Stato assoluto assieme
alla Reggia di Versailles che immortalava i fasti del re Sole.
Questo stesso appellativo, ancora una volta, richiama alla memoria l‟assoluta centralità del
re, visto come fonte di ogni forma di vita e origine di tutti i poteri. L‟immagine dei raggi di
sole allude inoltre all‟univoca direzione del potere stesso: dall‟alto al basso, dal cielo, sede
della divinità, alla terra dove si trovano i sudditi sottomessi.
Le radicali trasformazioni che gli albori del capitalismo gradualmente indussero nelle
società di quell‟epoca, con l‟affermarsi di nuovi e sempre più potenti soggetti economici,
posero le basi della nascita del pensiero liberale e delle grandi rivoluzioni borghesi che
culminarono con la Rivoluzione francese del 1789 e l‟abbattimento dell‟Ancien régime.
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L‟aspirazione alla libertà, come nel famoso quadro di Eugène Delacroix riferito alla
rivoluzione del 1830, guidò i popoli a cambiamenti delle istituzioni politiche talmente forti e
radicali che, ancora oggi, quei principi rappresentano le basi ideali e giuridiche di tutti i
paesi democratici o, come normalmente vengono denominati, a tradizione liberal
democratica.
Victor Hugo, nel suo celebre romanzo I miserabili, fa affermare a un suo personaggio che
dai colpi più terribili della rivoluzione fiorì una grande carezza per il genere umano e che il
risultato conclusivo fu, comunque, un mondo migliore.
I re e i nobili vennero spesso brutalmente decapitati, ma le Rivoluzioni borghesi, a dispetto
dei metodi utilizzati, si trasformarono nei decenni, con i loro principi di libertà, eguaglianza
e fraternità, in una delle più grandi invenzioni della storia degli uomini contro l‟arbitrio e le
prepotenze dei forti sui deboli.
La nascita del costituzionalismo moderno, come strumento per delimitare, circoscrivere e
controllare l‟esercizio del potere politico, fu uno dei frutti migliori del pensiero liberale.
Da un lato i diritti civili delle persone, non più sudditi, ma, finalmente, cittadini, dall‟altro
una nuova concezione del potere politico e della sovranità, che non solo inizia a trovare la
sua fonte di legittimazione dal basso, ma che viene precisamente definita nella sua
organizzazione generale in un sistema di divisione delle competenze (divisione dei poteri)
e di reciproci controlli al fine di evitare arbítri e ritorni alla tirannide, vengono
istituzionalizzati in documenti scritti posti al vertici di tutti i valori politici, ideali e del diritto:
nascono le prime Costituzioni moderne.
Il filosofo ginevrino Rousseau (1712-1778) fu uno dei massimi teorizzatori del concetto di
democrazia ai suoi albori; egli affermava che il potere politico non doveva rappresentare
più un‟entità che domina dall‟alto gli uomini, ma una forma di organizzazione che i cittadini
creano con il loro consenso e nel loro interesse, in modo che l‟obbedienza a questa
volontà generale che nasce dal basso sia in fondo obbedienza a se stessi.
Dall‟altro lato il pensatore politico francese Montesquieu (1689-1755), con la sua teoria
della divisone dei poteri, affermava che solo se il potere viene diviso e attribuito ad organi
distinti sarà possibile evitare il ritorno alla tirannide. Dunque, al parlamento elettivo deve
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essere affidata la funzione di produrre le leggi (funzione legislativa) che tutti devono
rispettare, Stato (nel senso di governo) compreso. Il governo, invece, deve governare
eseguendo il contenuto delle stesse leggi (funzione esecutiva). Ma se lo Stato e i
governanti nell‟esercizio del potere politico, o se i cittadini violano la legge, allora il potere
giudiziario, attribuito a giudici indipendenti ed imparziali, dovrà intervenire garantendo la
legalità (funzione giurisdizionale) e lo Stato di diritto.
Dunque, anche quando, dopo il congresso di Vienna del 1815 e la disfatta di Napoleone,
con la Restaurazione molti re ritornarono sul trono, dovettero fare i conti con queste
irrinunciabili teorie, costituendo forme di Stato denominate monarchie costituzionali. E così
dovette fare anche il re del Regno di Sardegna Carlo Alberto promulgando nel 1848 lo
Statuto Albertino, cioè quella che diventerà, con l‟Italia unita del 1861, la prima
Costituzione del nostro paese.
Ancora non era abbandonata completamente la derivazione deistica della sovranità, ma
ormai erano stati acquisiti un patrimonio ideale irrinunciabile, una forma di organizzazione
del potere imprescindibile e dei principi ormai parte di un patrimonio comune fondante
l‟idea stessa di politica.
In tutte le Costituzioni del 900, compresa la Costituzione italiana entrata in vigore nel
1948, tanto il principio democratico quanto il principio liberale della divisione dei poteri
fondano l‟intera organizzazione del potere politico e dello Stato e divengono i tratti distintivi
rispetto a tutti gli altri regimi dittatoriali e totalitari.
La dichiarazione dei Diritti dell’uomo e del cittadino
Nel 1789, nel corso della rivoluzione, venne varata in Francia la Dichiarazione dei Diritti
dell'Uomo e del Cittadino, la quale basandosi sulla Dichiarazione d'indipendenza
americana (1776), doveva servire come base per il passaggio dalla monarchia assoluta
alla monarchia costituzionale.
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Questo documento ispirò tutto il costituzionalismo moderno fino a giungere alla
Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo approvata nel 1948 e a tutte le Costituzioni,
compresa quella italiana, attualmente in vigore nei paesi democratici.
Preambolo
I Rappresentanti del Popolo Francese, costituiti in Assemblea Nazionale, considerando che l’ignoranza,
l’oblio o il disprezzo dei diritti dell’uomo sono le uniche cause delle sciagure pubbliche e della corruzione dei
governi, hanno stabilito di esporre, in una solenne dichiarazione, i diritti naturali, inalienabili e sacri
dell’uomo, affinché questa dichiarazione, costantemente presente a tutti i membri del corpo sociale,
rammenti loro incessantemente i loro diritti e i loro doveri; affinché maggior rispetto ritraggano gli atti del
potere legislativo e quelli del potere esecutivo dal poter essere in ogni istanza paragonati con il fine di ogni
istituzione politica; affinché i reclami dei cittadini, fondati da ora innanzi su dei principi semplici ed
incontestabili, abbiano sempre per risultato il mantenimento della Costituzione e la felicità di tutti. In
conseguenza, l’Assemblea Nazionale riconosce e dichiara, in presenza e sotto gli auspici dell’Essere
Supremo, i seguenti diritti dell’uomo e del cittadino:
Art. 1. Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti. Le distinzioni sociali non possono essere
fondate che sull‟utilità comune.
Art. 2. Il fine di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali ed imprescrittibili dell‟uomo.
Questi diritti sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e la Resistenza all‟oppressione.
Art. 3. Il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente nella Nazione. Nessun corpo o individuo può
esercitare un‟autorità che non emani direttamente da essa.
Art. 4. La libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce ad altri; così, l‟esercizio dei diritti naturali di
ciascun uomo ha come limiti solo quelli che assicurano agli altri membri della società il godimento di questi
stessi diritti. Questi limiti possono essere determinati solo dalla legge.
Art. 5. La legge ha il diritto di vietare solo le azioni nocive alla società. Tutto ciò che non è vietato dalla legge
non può essere impedito, e nessuno può essere costretto a fare ciò che essa non ordina.
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Art. 6. La legge è l‟espressione della volontà generale. Tutti i cittadini hanno diritto di concorrere,
personalmente o mediante i loro rappresentanti, alla sua formazione. Essa deve essere uguale per tutti, sia
che protegga, sia che punisca. Tutti i cittadini essendo uguali ai suoi occhi sono ugualmente ammissibili a
tutte le dignità, posti ed impieghi pubblici secondo le loro capacità, e senza altra distinzione che quella della
loro virtù e dei loro talenti.
Art. 7. Nessun uomo può essere accusato, arrestato o detenuto se non nei casi determinati dalla legge, e
secondo le forme da essa prescritte. Quelli che procurano, spediscono, eseguono o fanno eseguire degli
ordini arbitrari, devono essere puniti; ma ogni cittadino citato o tratto in arresto, in virtù della legge, deve
obbedire immediatamente; opponendo Resistenza si rende colpevole.
Art. 8. La legge deve stabilire solo pene strettamente ed evidentemente necessarie e nessuno può essere
punito se non in virtù di una legge stabilita e promulgata anteriormente al delitto, e legalmente applicata.
Art. 9. Presumendosi innocente ogni uomo sino a quando non sia stato colpevole, se si ritiene indispensabile
arrestarlo, ogni rigore non necessario per assicurarsi della sua persona deve essere severamente represso
dalla legge.
Art.10. Nessuno deve essere molestato per le sue opinioni, anche religiose, purché la manifestazione di
esse non turbi l‟ordine pubblico stabilito dalla legge.
Art.11. La libera comunicativa dei pensieri e delle opinioni è uno dei diritti più preziosi dell‟uomo; ogni
cittadino può dunque parlare, scrivere, stampare liberamente, salvo a rispondere dell‟abuso di questa libertà
nei casi determinati dalla legge.
Art.12. La garanzia dei diritti dell‟uomo e del cittadino ha bisogno di una forza pubblica; questa forza è
dunque istituita per il vantaggio di tutti e non per l‟utilità particolare di coloro ai quali essa è affidata.
Art.13. Per il mantenimento della forza pubblica, e per le spese di amministrazione, è indispensabile un
contributo comune: esso deve essere ugualmente ripartito fra tutti i cittadini, in ragione delle loro sostanze.
Art.14. Tutti i cittadini hanno il diritto di constatare, da loro stessi o mediante i loro rappresentanti, la
necessità del contributo pubblico, di approvarlo liberamente, di controllarne l‟impiego e di determinarne la
quantità, la ripartizione e la durata.
Art.15. La società ha il diritto di chieder conto ad ogni agente pubblico della sua amministrazione.
Art.16. Ogni società in cui la garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei poteri determinata,
non ha costituzione.
Art.17. La proprietà essendo un diritto inviolabile e sacro, nessuno può esserne privato, salvo quando la
necessità pubblica, legalmente constatata, lo esiga in maniera evidente, e previa
una giusta indennità.
Dall’Ancien Régime alla prima idea di democrazia
moderna come potere del popolo
Ribaltando l‟antica concezione dell‟Ancien régime che vedeva nella divinità e nella dinastia
ereditaria la fonte del potere politico la Rivoluzione Francese individua nel popolo la fonte
primaria di legittimazione della sovranità statale.
Lo Stato non rappresentava più un‟entità che domina dall‟alto gli uomini, ma una forma di
organizzazione che i cittadini creano con il loro consenso e nel loro interesse, in modo che
l‟obbedienza a questa volontà generale che nasce dal basso, come affermava il pensatore
politico ginevrino Jean-Jacques Rousseau, sia in fondo obbedienza a se stessi .
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ANCIEN REGIME
RIVOLUZIONI BORGHESI
monarchie assolute
monarchie costituzionale
DIO
DIO
RE
PRIVILEGI
RE
STATO
STATO
POPOLO
POPOLO
Napoleone Bonaparte
Napoleone Bonaparte, grazie a una serie di brillanti campagne militari e alleanze,
conquistò e governò gran parte dell‟Europa, esportando ovunque gli ideali rivoluzionari e
di rinnovamento sociale suscitando grandi speranze ed illusioni. E nel 1809, in nome di
quegli ideali, fece anche arrestare un papa.
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“Non possiamo. Non dobbiamo. Non
vogliamo”. E‟ con queste parole che Papa
Pio VII accolse la richiesta dell‟ufficiale
francese che gli intimava, a nome
dell‟imperatore, di consegnare Roma e lo
Stato pontificio alla Francia. Parole che
servirono a poco. Napoleone decise di
proclamare Roma città imperiale con
l‟intento di farne la seconda metropoli
francese dopo Parigi.
Come reazione il papa decise di
scomunicare tutti i responsabili del suo
arresto, ma Napoleone dopo l‟arresto lo
fece deportare dapprima in Francia poi in
altre città italiane.
Fu con le prime campagne napoleoniche in Italia e la fondazione nel 1797 della
Repubblica Cispadana prima e Cisalpina poi che viene inoculata la scintilla della libertà nel
nostro paese che darà l‟avvio al Risorgimento qualche anno dopo.
Al congresso di Reggio Emilia del 7 gennaio del 1797 venne adottato, su imitazione del
tricolore francese, il tricolore della Repubblica cispadana che divenne dal 1946 il tricolore
della Repubblica italiana.
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Nella cartina L’impero d’Austria all’epoca era alleato di Napoleone
Napoleone fu anche il primo Presidente della Repubblica italiana dei tempi moderni dal
1802 al 1805 e re d‟Italia dal 1805 al 1814 ; risale a quel periodo anche il conio delle prime
lire, l‟introduzione dei nuovi codici e la costruzione di importanti e nuove vie di
comunicazione.
Fu vera gloria?
Ma Napoleone fu anche un dispotico dittatore sanguinario, dominatore e saccheggiatore
che ben presto deluse le speranze di molti degli intellettuali suoi ammiratori e seguaci.
Egli lasciò sui campi di battaglia di tutta Europa centinaia di migliaia di vittime francesi e
straniere e molte opere d‟arte e tesori vennero trafugati dai paesi sottomessi in cambio
degli ideali di libertà ed eguaglianza… Al seguito di Napoleone vi erano veri e propri
esperti d‟arte che indicavano dove “colpire”.
C‟era anche chi, in quel tempo, teorizzava il fatto che la Francia sola poteva essere l‟unica
nazione degna di ospitare simili tesori facendone meglio risaltare la bellezza mortificata
dai regimi assolutisti!
In tutti i trattati che concludevano le campagne napoleoniche non mancavano mai clausole
che prevedevano la cessione di opere d‟arte a compensazione dei costi di guerra
sostenuti.
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Dopo l‟allontanamento di Napoleone dall‟Europa tutti i paesi spogliati mandarono propri
esperti a Parigi per richiedere la restituzione dei capolavori perduti.
Per l‟Italia, su 506 dipinti solo 258 vennero restituiti; i rimanenti sono ancora in Francia al
Louvre o in altri musei. Nell‟ottobre del 1815 fu organizzato un convoglio di 41 carri scortati
fino a Milano da soldati tedeschi e, da lì, smistati nelle varie parti di provenienza della
penisola italiana
Particolarmente eclatante fu il trafugamento, nel corso della campagna di Russia, nei
palazzi dei nobili e nelle cattedrali moscovite di ben 80 tonnellate di oro e gioielli contenuti
in 200 carri mai più ritrovati.
Il cinque maggio
Il componimento Il cinque maggio venne ispirato da Alessandro Manzoni (1785 – 1873)
dalla morte di Napoleone Bonaparte avvenuta il cinque maggio 1821 sull‟isola di
sant‟Elena.
Alessandro Manzoni
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Ei fu. Siccome immobile,
dato il mortal sospiro,
stette la spoglia immemore
orba di tanto spiro,
così percossa, attonita
la terra al nunzio sta,
muta pensando all'ultima
ora dell'uom fatale;
né sa quando una simile
orma di piè mortale
la sua cruenta polvere
a calpestar verrà.
Lui folgorante in solio
vide il mio genio e tacque;
quando, con vece assidua,
cadde, risorse e giacque,
di mille voci al sònito
mista la sua non ha:
vergin di servo encomio
e di codardo oltraggio,
sorge or commosso al sùbito
sparir di tanto raggio;
e scioglie all'urna un cantico
che forse non morrà.
Dall'Alpi alle Piramidi,
dal Manzanarre al Reno,
di quel securo il fulmine
tenea dietro al baleno;
scoppiò da Scilla al Tanai,
dall'uno all'altro mar.
Fu vera gloria? Ai posteri
l'ardua sentenza: nui
chiniam la fronte al Massimo
Fattor, che volle in lui.
del creator suo spirito
più vasta orma stampar.
La procellosa e trepida
gioia d'un gran disegno,
l'ansia d'un cor che indocile
serve, pensando al regno;
e il giunge, e tiene un
premio
ch'era follia sperar;
tutto ei provò: la gloria
maggior dopo il periglio,
la fuga e la vittoria,
la reggia e il tristo esiglio;
due volte nella polvere,
due volte sull'altar.
Ei si nomò: due secoli,
l'un contro l'altro armato,
sommessi a lui si volsero,
come aspettando il fato;
ei fè silenzio, ed arbitro
s'assise in mezzo a lor.
E sparve, e i dì nell'ozio
chiuse in sì breve sponda,
segno d'immensa invidia
e di pietà profonda,
d'inestinguibil odio
e d'indomato amor.
Come sul capo al naufrago
l'onda s'avvolve e pesa,
l'onda su cui del misero,
alta pur dianzi e tesa,
scorrea la vista a scernere
prode remote invan;
tal su quell'alma il cumulo
delle memorie scese.
Oh quante volte ai posteri
narrar se stesso imprese,
e sull'eterne pagine
cadde la stanca man!
Oh quante volte, al tacito
morir d'un giorno inerte,
chinati i rai fulminei,
le braccia al sen conserte,
stette, e dei dì che furono
l'assalse il sovvenir!
E ripensò le mobili
tende, e i percossi valli,
e il lampo dè manipoli,
e l'onda dei cavalli,
e il concitato imperio
e il celere ubbidir.
Ahi! Forse a tanto strazio
cadde lo spirto anelo,
e disperò; ma valida
venne una man dal cielo,
e in più spirabil aere
pietosa il trasportò;
e l'avviò, pei floridi
sentier della speranza,
ai campi eterni, al premio
che i desideri avanza,
dov'è silenzio e tenebre
la gloria che passò.
Bella Immortal! Benefica
Fede ai trionfi avvezza!
Scrivi ancor questo, allegrati;
ché più superba altezza
al disonor del Gòlgota
giammai non si chinò.
Tu dalle stanche ceneri
sperdi ogni ria parola:
il Dio che atterra e suscita,
che affanna e che consola,
sulla deserta coltrice
accanto a lui posò.
Manzoni era un patriota che aspirava alla liberazione della Lombardia dagli austriaci e tale
sentimento si rivela anche ne I promessi sposi, che, pur ambientato un paio di secoli
prima, mostra un‟Italia divisa e sotto il giogo dello straniero; inoltre I promessi sposi
rappresentarono il primo vero romanzo scritto in italiano: Manzoni impiegò 19 anni per
scegliere le parole giuste, ma alla fine inventò una lingua, che aveva la sua matrice nel
dialetto fiorentino, comprensibile a tutti.
La Santa Alleanza
Ancora prima dell’ultima disfatta di Napoleone a Waterloo, dall’ottobre del 1814 al giugno
del 1815, con il Congresso di Vienna e la Restaurazione che ne seguì le potenze
reazionarie anti napoleoniche e anti liberali europee ristabilirono i vecchi regni e gli antichi
privilegi. Il principio era antico e semplice: i troni erano assegnati direttamente da Dio e,
quindi, intangibili dagli uomini; il potere doveva essere trasmesso secondo la successione
ereditaria e le monarchie preesistenti il periodo napoleonico dovevano essere restaurate: i
popoli non avevano alcun diritto di decidere da chi e come essere governati. Si trattava
dell’antico principio denominato di “legittimazione dinastica”.
Uno dei principali protagonisti e ideatori del Congresso di
Vienna e della Santa alleanza fu Klemens von Metternich,
negoziatore per il governo austriaco e fortissimo sostenitore
dell‟impero.
Egli definì l‟Italia una semplice espressione geografica e
riuscì sostanzialmente a porla sotto tutela degli austriaci a
cui negli anni successivi i re locali spesso chiesero aiuto per
combattere i rivoluzionari e ripristinare, con successo,
l‟ordine.
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I sovrani assoluti furono rimessi al loro posto e le detestate Costituzioni liberali abolite o
modificate; fu ripristinato il principio dinastico e la difesa del trono e dell’altare vennero
posti alla base dei nuovi valori; prende l‟avvio l‟oscuro periodo della Restaurazione.
La Santa Alleanza per la prima volta introdusse il principio di intervento fra Stati (alla base
di molti trattati internazionali dell‟epoca moderna): nel caso uno Stato avesse avuto dei
problemi causati da disordini rivoluzionari che non fosse in grado di sedare e che
potessero contagiare gli altri Stati, questi si ritenevano in obbligo d'intervenire per
reprimere le rivolte.
L‟assetto politico europeo stabilito nel Congresso di Vienna subì una prima scossa con la
rivoluzione parigina del 1830 e poi crollò per effetto dei grandi cambiamenti del 1848.
L’Italia in mano all’assolutismo dal 1815 al 1848
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L‟Italia, dopo Waterloo e il Congresso di Vienna, è ormai principalmente nelle mani degli
austriaci. L‟Austria controlla direttamente la Lombardia e il Triveneto; a Modena e Reggio
l'erede degli Este si chiama Francesco IV ed è Asburgo per parte di padre. Anche a Parma
la situazione è simile: comanda Maria Luigia, che è sì l'ex moglie di Napoleone, ma è pur
sempre figlia dell'Imperatore viennese. Per di più dalla sua successione è stato escluso il
figlio avuto dal Bonaparte: alla morte di Maria Luigia il ducato tornerà a Carlo Lodovico di
Bordone-Parma che per ora controlla Lucca. Un Asburgo, precisamente un AsburgoLorena, è anche il granduca di Toscana: Ferdinando III.
Il resto dell‟Italia è suddiviso fra i Savoia, che controllano tutto il nord ovest, lo Stato della
Chiesa restituito ai papi che domina Bologna, la Romagna, le Marche, l‟Umbria e il Lazio, i
Borbone che con re Ferdinando IV governano il sud del Regno delle Due Sicilie.
Il poeta e patriota Ugo Foscolo (1778-827) ebbe a scrivere: “L‟Italia è cadavere, che non
va tocco, né smosso per non provocare il più triste fetore”. Ancora prima del congresso di
Vienna Foscolo aveva combattuto contro l‟esercito austro russo che travolse la repubblica
Cisalpina e rioccupò il nord est e l‟emilia. Nel 1799 rimase ferito ad una coscia durante la
presa di Cento; per curarsi fu ospite a Calcara presso un amico e quindi al monastero di
Monteveglio, ma lì venne arrestato, portato nelle prigioni di Bazzano e poi trasferito nelle
prigioni del castello di Vignola e quindi a Modena da dove venne liberato.
La Carboneria e i moti
La Carboneria era una organizzazione segreta e clandestina che in Italia esercitò i suoi
compiti cospirativi dal 1815 alla fondazione della Giovine Italia nel 1832. Come la
massoneria (dal francese maçon che significa muratore) aveva preso i suoi simboli dal
mestiere dei muratori (compasso, cazzuola, ecc.) la carboneria mutuò i suoi simboli dal
mestiere dei commercianti di carbone cercando di farsi credere innocua associazioni di
lavoratori.
Secondo gli inquirenti dell‟epoca i carbonari avevano una suddivisione territoriale nella
quale ogni nucleo si chiamava “baracca” e ogni territorio - che comprendeva più nuclei “vendita”. Tra loro i cospiratori si chiamavano “buoni cugini”. L‟organizzazione era
rigidamente gerarchica, i ruoli andavano dall‟apprendista, al maestro, al gran maestro e
l‟adesione a queste società segrete comprendeva complessi rituali di iniziazione e la
fedeltà assoluta, pena la morte.
Il contenuto ideologico della carboneria era piuttosto variegato, così come le classi che vi
parteciparono. Borghesia cittadina e borghesia rurale, militari e, progressivamente, strati
sociali più vasti che avevano in comune l‟ideale patriottico di liberazione dell‟Italia dalla
dominazione straniera, ma spesso anche ideali liberali e giacobini egalitari di
riaffermazione dei diritti civili e politici nelle forme di nuove Costituzioni contrapposte
duramente agli ideali del Congresso di Vienna. Insomma, il meglio della società italiana.
Furono infinite le piccole e grandi società carbonare che si affermarono prima al sud e poi
al centro e al nord della nostra penisola.
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Telo con simbolo carbonaro massonico
Un primo tentativo di cospirazione avvenne nel Regno delle Due Sicilie nel 1820 ad opera
di militari: il generale Guglielmo Pepe marciò su Napoli costringendo il re Ferdinando I a
concedere la Costituzione, ma qualche mese dopo, in ottemperanza agli accordi della
Santa Alleanza, l‟esercito austriaco occupò il Regno delle Due Sicilie reprimendo i
costituzionali mentre Ferdinando I revocava la Costituzione.
Anche Palermo nel 1820 era insorta scacciando i Borboni e chiedendo una Costituzione,
ma pure in questo caso lo stesso esercito napoletano riuscì a soffocare la rivolta.
Un tentativo di insurrezione con la richiesta di una Costituzione liberale, prima concessa e
poi revocata, ebbe luogo anche nel regno di Sardegna, ma le truppe regie appoggiate
ancora una volta da quelle austriache ebbero la meglio.
Nel Lombardo Veneto la polizia austriaca riuscì ad arrestare i capi carbonari tra i quali,
Federico Confalonieri, Silvio Pellico e Pietro Maroncelli, questi ultimi due raffigurati nel
seguente dipinto.
Da Milano i due patrioti furono condotti alla prigione dei Piombi di Venezia, dove il 21
febbraio del 1821 venne letta la sentenza: morte, in seguito commutata in quindici anni di
carcere duro, da scontarsi nella fortezza di Spielberg. La dura esperienza carceraria, che
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si concluse con la grazia imperiale e il rimpatrio nel 1830, costituisce il soggetto dell'opera
autobiografica Le mie prigioni, che ebbe grande popolarità ed esercitò notevole influenza
sul movimento risorgimentale. Metternich ammise che il libro aveva danneggiato l'Austria
più di una battaglia perduta.
Altri moti esplosero nel ducato di Modena, nello Stato della Chiesa e in altre parti della
penisola; l‟ultimo e più importante moto fu quello emiliano del 1831 che, muovendo dal
ducato di Modena, organizzato da Ciro Menotti, si allargò a Bologna, alla Romagna e alle
Marche. Nel febbraio del 1831 i rappresentanti di Emilia, Romagna e Marche si riunirono a
Bologna e dichiararono decaduto il governo del papa proclamando lo Stato delle province
Unite e costituirono un parlamento autonomo. L‟esercito austriaco accorse in aiuto del
duca di Modena Francesco IV e del papa e schiacciò la ribellione delle milizie volontarie.
Menotti fu giustiziato per impiccagione.
Tutti i moti venero repressi, tramonta l‟esperienza della carboneria, ma l‟idea di Italia unita
e libera era nata attirando a sé strati sempre più larghi della popolazione della penisola.
Ciro Menotti
Tratto da Wikipedia http://it.wikipedia.org/wiki/Ciro_Menotti
“Modena era nel 1831 governata dal duca Francesco IV d'Asburgo-Este, arciduca d'Austria. Egli reputava il
ducato di Modena troppo piccolo per le sue ambizioni: aveva continui rapporti diplomatici con i diversi stati
europei e manteneva una corte sfarzosa come fosse un grande sovrano. Ciò spiega il suo interessamento
per i movimenti rivoluzionari che agitavano l'Italia, da un lato temendoli e agendo duramente contro di loro,
dall'altro lusingandoli nella speranza di potere sfruttare e volgere la loro azione a vantaggio dei propri
interessi personali.
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In quegli anni egli era particolarmente interessato alla questione della successione sabauda: era infatti
marito di Maria Beatrice di Savoia, figlia primogenita di Vittorio Emanuele I Re di Sardegna. A Vittorio
Emanuele I successe, tuttavia, il fratello Carlo Felice e venne nominato erede Carlo Alberto di Savoia del
ramo cadetto dei Savoia-Carignano.
Avvicinato da Menotti, inizialmente Francesco IV non reagì al progetto rivoluzionario: forse c'erano accordi
precisi fra i due tramite anche un altro liberale, l'avvocato Enrico Misley, frequentatore abituale della corte
ducale.
Non si capisce altrimenti perché Francesco IV, che conosceva a fondo Menotti, non lo avesse fatto subito
arrestare come aveva fatto nel 1820 con quarantasette carbonari, o presunti tali, processati e condannati,
come il sacerdote Giuseppe Andreoli, condannato a morte.
Nel gennaio del 1831 Menotti organizzò nei minimi dettagli la sollevazione, cercando il sostegno popolare e
l'approvazione dei neonati circoli liberali che stavano proliferando in tutta la Penisola. Il 3 febbraio 1831,
dopo aver raccolto le armi, Menotti radunò una quarantina di congiurati nella propria abitazione, poco
distante dal Palazzo Ducale, per organizzare la rivolta.
Francesco IV, tuttavia, con un brusco voltafaccia certamente impostogli dal governo austriaco, decise di
ritirare il suo appoggio alla causa menottiana ed anzi chiese l'intervento restauratore della Santa Alleanza.
Gli storici si sono sempre chiesti il motivo di questo doppio gioco del duca: certi pensano che il rampollo
della famiglia Asburgo-Este capì che il progetto di un Regno dell'Alta Italia fosse solo un'utopia; alcuni invece
sostengono che Francesco era geloso del carisma di Menotti, altri ancora credono che il duca ebbe paura di
perdere, dopo la rivoluzione, molti dei suoi privilegi. Il duca fece circondare dalle sue guardie la casa;
seguirono alcuni spari e i congiurati cercarono di fuggire, alcuni ci riuscirono, altri no e fra questi Ciro
Menotti, che, saltato da una finestra nel giardino retrostante la casa, rimase ferito e fu catturato e
imprigionato. Intanto però i disordini erano cominciati soprattutto nella vicina Bologna. Il duca scrisse subito
un ordine al Governatore di Reggio: «Questa notte è scoppiata contro di me una terribile congiura.
Mandatemi il boia», poi pensò bene di riparare a Mantova, allora facente parte dei domini austriaci in Italia,
portando però con sé Menotti. Alcuni dicono anche che Francesco IV abbia dato a Menotti più volte
l'assicurazione che gli avrebbe salvata la vita, ma questo non è provato. Fallita la rivolta, il duca, rassicurato,
il 9 marzo rientrò a Modena, sempre portandosi dietro il Menotti prigioniero.
Due mesi dopo fece celebrare il processo che si concluse con la condanna a morte mediante impiccagione.
Altri cospiratori (Luigi Adami, Giuseppe Brevini e Antonio Giacomozzi) furono dapprima condannati a morte,
pena successivamente commutata in dodici anni di carcere da Francesco IV.
Il 28 febbraio 1831 un tentativo di far evadere Menotti fallì. Nonostante le numerose suppliche che gli
pervennero da più parti perché concedesse una commutazione della pena, il duca fu irremovibile e la
sentenza venne eseguita nella Cittadella, assieme a quella di Vincenzo Borelli, reo di aver redatto l'atto di
decadenza di Francesco IV dopo la sua fuga dal ducato e per questo condannato a morte. Menotti passò la
notte prima dell'esecuzione con un sacerdote al quale consegnò una nobilissima lettera per la moglie, lettera
che le guardie confiscarono e che fu consegnata alla vedova dai liberatori, solo nel 1848, due anni dopo la
morte del Duca e alla cacciata degli Asburgo-Este.
La sentenza di morte venne pubblicata solo dopo l'esecuzione, allo scopo di evitare possibili disordini e
rivolte”.
La statua di Ciro Menotti, in piazza dell’Accademia a Modena, ha il viso rivolto verso la
stanza dove il duca Francesco IV firmò la sua condanna a morte.
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Mazzini, Gioberti, Cattaneo, Balbo, D’Azeglio
Giuseppe Mazzini (1805-1872) partecipò ai moti del
1831 e per primo riuscì a comprendere le vere ragioni
del loro fallimento. A Marsiglia, nel 1832, fondò la
Giovine Italia, una società segreta che si batteva, per
la prima volta, per un programma unitario di tutti i
patrioti italiani basato non solo sull’idea della cacciata
dello straniero, ma sul fatto che questo avrebbe
dovuto avvenire in una prospettiva di un’Italia unita e
repubblicana, sotto l’egida di una costituzione
democratica.
Solo
queste
potevano
essere
considerate le condizioni per dare forza al movimento
patriottico e per costruire un paese ricco e prospero
accanto alle altre nazioni europee. Egli auspicava la
necessità della partecipazione del popolo, di tutto il
popolo italiano, al movimento risorgimentale e, in
particolare, delle giovani generazioni che avrebbero
rappresentato il futuro della nuova Nazione.
Alle idee mazziniane furono ispirate una serie di cospirazioni, congiure e tentativi di
insurrezione in varie parti d‟Italia: nel Regno di Sardegna (a cui partecipò lo stesso
Mazzini), contro i Borboni a Napoli, in Romagna contro il papa; ma fatalmente terminavano
tutte con la repressione e la fucilazione dei responsabili. Tale fu anche l‟impresa dei fratelli
Bandiera, nati a Venezia e ufficiali dell‟esercito austriaco e fondatori di una società segreta
denominata Esperia, furono scoperti e costretti a rifugiarsi a Corfù; da lì, venuti a sapere di
una insurrezione a Cosenza con alcuni compagni sbarcarono in Calabria con la speranza
di fare insorgere i contadini contro i Borboni, ma, osteggiati dalla stessa popolazione,
vennero catturati, processati e fucilati nel luglio del 1844.
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Ai fallimenti mazziniani si contrapponevano
altre correnti patriottiche più o meno
moderate come quella neo guelfa che
faceva capo a Vincenzo Gioberti (18011852) che aveva come programma
l‟unificazione dell‟Italia in una
confederazione di Stati, ciascuno governato
dal proprio principe, sotto l‟alta guida del
papa.
Anche il patriota milanese Carlo Cattaneo
(1801-1869), uno degli animatori delle
cinque giornate, propugnava un‟ipotesi
federalista, benché repubblicana, ritenendo
troppo artificiosa o perlomeno prematura la
soluzione unitaria.
Cesare Balbo (1789-1853), da posizioni
monarchiche, autore del libro Le speranze
d’Italia, mirava a un progetto federativo che
però, avrebbe dovuto fare capo al re di
Sardegna.
Massimo D‟Azzeglio (1798-1866), liberale e
patriota torinese, consapevole delle grandi
differenze tra i vari regni d'Italia e rispettoso
dei sovrani legittimi, era contrario ad una
unificazione a sola guida piemontese e
auspicava
la
creazione
di
una
confederazione di stati sul modello
dell'Unità tedesca. L'11 luglio 1859 ebbe
l'incarico
di
costituire
un
governo
provvisorio a Bologna, dopo la cacciata
delle truppe pontificie. E‟ sua la famosa
frase: Abbiamo fatto l'Italia ora dobbiamo
fare gli italiani, significativa del suo
approccio politico
Sposò Giulia, figlia di Alessandro Manzoni,
ma l'unione non fu felice. Tra le sue opere
più famose Ettore Fieramosca, o la disfida
di Barletta.
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Giuseppe Verdi (1813-1901)
Giuseppe verdi raffigurò uno dei simboli del Risorgimento italiano. Una delle sue prime
opere liriche rappresentata il 9 marzo 1842 al Teatro di Milano La Scala fu il Nabucco con
la sua celebre aria Va pensiero cantata dal popolo ebraico alla ricerca di una patria
perduta.
Divenne inevitabile che quell‟aria si trasformasse in un doloroso inno contro l‟occupante
austriaco, diffondendosi in tutta la Lombardia e nel resto della penisola. Quell‟aria venne
inoltre utilizzata anche dagli esuli istriani, fiumani e dalmati come inno del loro esodo dalle
terre perdute dopo il secondo conflitto mondiale.
Va', pensiero, sull'ali dorate
va', ti posa sui clivi, sui colli,
ove olezzano, tepide e molli
l'aure dolci del suolo natal!
Del Giordano le rive saluta,
di Sionne le torri atterrate...
Oh, mia patria, sì bella e perduta!
Oh, Membranza sì cara e fatal!
Arpa d'or dei fatidici vati,
perchè muta dal salice pendi?
Le memorie nel petto raccendi,
ci favella del tempo che fu!
O simile di Solima ai fati
traggi un suono di crudo lamento,
o t‟ispiri il Signore un concento
che ne infonda al patire virtù!
Il melodramma svolse in Italia una funzione del tutto simile a quella del romanzo di
Manzoni I promessi sposi, cioè divenne un importantissimo e potentissimo strumento per
veicolare la nuova lingua comune in una nazione ricchissima di dialetti spesso molto
diversi tra di loro; le celebri arie canticchiate anche dagli strati più larghi della popolazione
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ebbero un vero e proprio ruolo educativo; le note di Verdi, ha scritto qualcuno, furono le
pallottole del Risorgimento italiano: la lingua comune è il primo vero legame di un popolo.
La Lega Nord continua ad utilizzare questa aria come "Inno della Padania" sostenendo
che il librettista che ne scrisse le parole, Temistocle Solera, appartenesse alla corrente
risorgimentale neoguelfa sostenitrice di una forma di federalismo (sotto l‟egida papale).
Le contraddizioni di tale utilizzazione sono macroscopiche e, probabilmente, sconosciute
al popolo leghista:
primo: il coro degli ebrei è, appunto, stato uno dei simboli del Risorgimento italiano da cui
è scaturita l‟unità del nostro paese che ora il movimento leghista vorrebbe mettere in
discussione;
secondo: non c‟è alcuna documentazione che provi l‟adesione di Solera ad un progetto
federalista;
terzo: Verdi era un fervente sostenitore dell'unità nazionale.
In effetti Verdi fu un patriota convinto e sostenitore dei moti risorgimentali fino quando dal
1861 al 1864 divenne, a furor di popolo, anche membro del primo parlamento del Regno
d‟Italia.
Il 1848: la “primavera dei popoli”
Le gravi condizioni economiche dell‟Europa di quegli anni rappresentarono il detonatore di
rivolte che maturarono assieme alla richiesta di indipendenza nazionale dell‟Italia e
dell‟Ungheria contro il sistema assolutistico della Santa Alleanza ripristinato con la
restaurazione. La borghesia industriale in ascesa e le larghe masse popolari si riunirono in
un impeto di rivolta nel fatidico 1848. Quel periodo venne definito come la primavera dei
popoli. Ancora oggi l‟espressione fare un quarantotto sta a significare confusione e caos;
Ed in effetti le rivolte di quel periodo portarono, sia pure non nell‟immediato, a una
completa ridefinizione degli assetti politici dell‟Europa uscita dal Congresso di Vienna.
In Sicilia, a seguito dell‟insurrezione del gennaio 1848 di Palermo, il re Ferdinando II è
costretto a concedere una Costituzione che riconosce alcuni diritti civili fondamentali e un
parlamento elettivo; alcuni mesi dopo quello stesso parlamento dichiarò decaduto il regno
dei Borboni e proclamò l‟indipendenza della Sicilia in un‟ottica di successiva unione a
un‟ipotetica federazione italiana.
Nel mese di febbraio anche Leopoldo II di Toscana concesse una costituzione per il suo
Granducato; anche il Piemonte è in rivolta: Carlo Alberto di Savoia è costretto a concedere
la costituzione poi chiamata Statuto albertino, dopo che aveva dichiarato che non si
sarebbe mai fatto ingannare come quello stupido di Ferdinando II di Borbone.
Ma la rivoluzione europea vera e propria si avvierà in seguito alle sommosse per la
richiesta del suffragio elettorale a Parigi: il re Luigi Filippo è costretto alla fuga ed è
proclamata la repubblica. Ben presto il fuoco divamperà ovunque, con la sola esclusione
dell‟Inghilterra, in cui negli anni precedenti furono riconosciuti alla borghesia alcuni
importanti diritti, e alla Russia in cui mancava una vera e propria classe borghese.
In marzo le rivolte scoppiarono nel cuore dell‟assolutismo europeo: a Vienna; l‟imperatore
Ferdinando I d‟Austria e Metternich furono costretti a fuggire. E poi a Berlino, in Ungheria,
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in Spagna e quasi ovunque nel resto d‟Europa il popolo si solleva per chiedere una
Costituzione e diritti civili e politici.
A seguito della fuga di Metternich Venezia insorge mettendo in fuga la guarnigione
austriaca e liberando dalle prigioni i patrioti Daniele Manin e Nicolò Tommaseo. Venne
insediata la repubblica democratica di Venezia, con proprie istituzioni rappresentative, che
adottò come propria bandiera il tricolore di origini napoleoniche.
Anche a Milano, a seguito delle notizie dall‟Austria e da Venezia, il popolo insorge e riesce
in un primo tempo ad ottenere alcune concessioni dal vice governatore, ma
l‟ottantaduenne generale Radetzky, governatore austriaco del Lombardo Veneto,
rinnegando tali concessioni, fece sparare sulla folla dando avvio ad una imprevedibile
quanto eccezionale reazione popolare e alle famose cinque giornate di Milano. Nel quadro
di Baldassarre Verrazzi viene illustrato un episodio delle cinque giornate di Milano (18-22
marzo 1848) con il tricolore che sventola sulle bariicate.
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Radetzsky, simbolo dell‟occupazione straniera, pensava di
dare una lezione ai sudditi rivoltosi, ma ben presto Milano si
riempi di 1700 barricate; fu costituito un consiglio di guerra e, a
poco a poco, l‟esercito austriaco, forte di 13.000 uomini, fu
spinto fuori dalla città. Tutto il popolo milanese combatté con
grande valore e coraggio, tranne i nobili, i ricchi e i prelati,
definiti allora gli eroi della sesta giornata. Il quinto giorno gli
insorti, guidati, da Luciano Manara, assalirono e conquistarono
l‟ultima postazione austriaca. Il vecchio generale austriaco fu
costretto alla fuga da Milano nascondendosi all‟interno di un
carro di fieno per rifugiarsi nel quadrilatero.
Il quadrilatero rappresentò, tra il 1815
e il 1866, un importante sistema
difensivo austriaco, organizzato fra la
Lombardia e il Veneto, l‟Adige, il Po,
il Mincio e il lago di Garda, i cui vertici
erano rappresentati dalle fortezze di
Peschiera del Garda, Mantova,
Legnago e Verona. Dopo la seconda
guerra d‟indipendenza del 1859
l‟esercito austriaco vi fece costruire
una seconda cerchia di otto forti,
distanti poco meno di quattro
chilometri dalla cinta principale.
L‟Italia ribolliva di spirito patriottico e rivoluzionario; ovunque apparve il tricolore, simbolo
dell‟Italia e della libertà, accanto ai riconoscimenti delle prime Costituzioni.
Il tricolore e le Costituzioni in Italia
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La prima guerra d’indipendenza (1848-1849)
Le insurrezioni di Venezia e Milano fecero esplodere in tutta Italia manifestazioni di
tripudio a favore della guerra nazionale per la liberazione del paese dallo straniero. Carlo
Alberto, fortemente sotto pressione ed anche nel timore che a Milano potesse instaurarsi
una repubblica democratica come a Venezia, il 23 marzo del 1848 mosse le sue truppe
dal Regno di Sardegna (cioè dal Piemonte) verso la Lombardia: scoppia la prima guerra di
indipendenza che opporrà il regno di Sardegna all‟impero austriaco.
Carlo Alberto di Savoia e il Regno di Sardegna nel 1848
Tuttavia, già l‟avvio della guerra non fu particolarmente brillante; a causa dei
tentennamenti iniziali di Carlo Alberto l‟esercito austriaco ebbe tutto il tempo di mettersi al
riparo nel quadrilatero tra Lombardia e Veneto; quando l‟esercito piemontese alla fine di
marzo del 1848 varcò il Ticino (che allora segnava il confine tra Piemonte e Lombardia)
era già venuto meno l‟elemento sorpresa.
Il Granducato di Toscana, il papa e il re di Napoli in un primo tempo inviarono dei piccoli
corpi di spedizione in aiuto ai Savoia, ma successivamente, il 29 aprile del 1848 papa Pio
IX annunciò, con una famosa allocuzione, di non volere più partecipare alla guerra contro
l‟Austria e, ponendo sullo stesso piano italiani oppressi e austriaci oppressori, dichiarava
di “dovere abbracciare tutte le genti popoli e nazioni con pari studio di paternale amore”.
Il papa, in effetti, si trovava nella contraddittoria
posizione di combattere una grande potenza cattolica
ed era impaurito da un possibile scisma dei cattolici
austriaci. Tale vicenda in quei tempi mostrò tutti i limiti
di una chiesa che si proclama universale, ma al
contempo si poneva a capo di uno Stato e di un
concretissimo potere temporale.
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Incoraggiato da questo discorso Ferdinando II di Borbone re di Napoli e il papa stesso
ritirarono le loro truppe dalla guerra, ma molti ufficiali e soldati non obbedirono e
continuarono a combattere a fianco dei Savoia e degli insorti.
Carlo Alberto, anziché porsi a capo dei numerosi volontari che giunsero da tutta Italia e,
come Garibaldi, anche dall‟estero, organizzandoli nell‟esercito regolare e attaccare gli
austriaci prima dell‟arrivo dei rinforzi dall‟Austria, ancora una volta esitò dando agli
Austriaci stessi il vantaggio di riconquistare parte del Veneto e isolare Venezia.
Nonostante alcune eroiche battaglie e vittorie degli italiani a Goito, Pastrengo, Curtatone e
Montanara, gli austriaci riuscirono a battere rovinosamente l‟esercito piemontese a
Custoza (tra il Veneto e la Lombardia) nel luglio 1848 e a marciare su Milano (agosto
1848) che Carlo Alberto cedette senza combattere. Quando il re tentò di parlare alla folla
di Milano da un balcone prima di ritirarsi dalla città partirono alcuni colpi di fucile contro di
lui. Qualche giorno dopo il generale Salasco firmò l‟armistizio che ridiede la Lombardia agli
austriaci.
Intanto in Emilia l‟esercito austriaco mandato a rioccupare Bologna, insorta contro lo Stato
pontificio, dovette affrontare una dura battaglia contro il popolo nei pressi della Montagnola
il 7 e 8 agosto 1848, ma venne ricacciato con gravi perdite; piazza VIII Agosto con il suo
monumento, vicino al centro di Bologna, ricorda quell‟evento risorgimentale.
Nello Stato della Chiesa, dopo la famosa allocuzione dell‟aprile del 1848, nonostante le
richieste popolari patriottiche di intervenire a favore del Piemonte contro l‟Austria, il papa
manteneva ferma la sua posizione. A seguito delle rivolte di Roma del mese di novembre
del 1848 e timoroso di un attentato alla sua persona Pio IX fuggi travestito da prete su di
una carrozza messa a disposizione da una nobile dama e riparò a Gaeta nel regno di
Napoli sotto la protezione di Ferdinando II. Qualche mese dopo lo raggiunse anche un
altro fuggiasco, Leopoldo II re del Granducato di Toscana.
Nel resto d‟Europa non tardò a farsi sentire la reazione violenta delle classi aristocratiche
e conservatrici che rapidamente revocarono le Costituzioni o ne imposero di fortemente
autoritarie.
A Roma, invece, il popolo esultante indisse elezioni popolari per eleggere un‟assemblea
costituente; nonostante la minaccia papale di scomunicare tutti quelli che avessero
esercitato il loro diritto di voto le elezioni ebbero luogo nel gennaio del 1849 e, fra gli altri,
vennero eletti Garibaldi, che si era già distinto per il coraggio e il valore negli scontri con gli
austriaci nel nord Italia, e Mazzini: si trattò della prima vera prova di democrazia in Italia.
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Il papa definì invece quelle elezioni: “un mostruoso atto di smascherata fellonia,
abominevole per l’assurdità della sua origine e l’empietà del suo scopo… un enorme e
sacrilego attentato , meritevole dei castighi comminati dalle leggi sia divine che umane”.
Una delle prime decisioni dell‟assemblea fu l‟abolizione del potere temporale dei papi e
l‟istituzione della Repubblica romana. Le parole d‟ordine dei mazziniani erano “Dio e
popolo”, una diade in cui il potere del papa non trovava alcuno spazio.
A capo della Repubblica romana fu posto un triunvirato composto per un certo periodo
anche da Mazzini con Saffi ed Armellini.
Il papa scomunicò a più riprese i patrioti romani ed invocò l‟aiuto di tutte le potenze
cattoliche: l‟Austria, la Francia, la Spagna e lo stesso regno delle due Sicilie.
In questa situazione di fermento nazionale e sotto la pressione dei patrioti Carlo Alberto il
20 marzo 1849 ruppe la tregua e attaccò di nuovo l‟Austria; ma qualche giorno dopo,
nonostante la superiorità numerica, venne definitivamente sconfitto a Novara ed abdicò in
favore del figlio Vittorio Emanuele II. Le condizioni della pace prevedevano di non toccare
l‟integrità del regno di Sardegna, ma imposero il pagamento all‟Austria di pesanti danni di
guerra a titolo di risarcimento.
Nel frattempo Luigi Napoleone (nipote di Napoleone Bonaparte e presto imperatore
Napoleone III), Presidente della Repubblica francese, accolse l‟invito del papa di
intervenire contro la repubblica romana; vennero inviate navi da guerra cariche di soldati
che diedero l‟assalto a Roma nell‟aprile del 1849.
Infuriarono leggendarie battaglie in cui di nuovo Garibaldi mostrò tutto il suo valore. Grandi
furono gli atti di eroismo in cui perse la vita anche il patriota ventiduenne Goffredo Mameli,
che qualche tempo prima aveva scritto, su musiche di Michele Novaro, l‟Inno d‟Italia che
divenne ufficialmente l‟inno della Repubblica italiana dal 1947.
Tomba di Mameli al cimitero monumentale del Verano a Roma
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L’Inno di Mameli o Canto degli italiani o, più semplicemente, Fratelli d’Italia
Fratelli d'Italia,
l'Italia s'è desta;
dell'elmo di Scipio
s'è cinta la testa.
Dov'è la Vittoria?
Le porga la chioma;
ché schiava di Roma
Iddio la creò.
Stringiamci a coorte!
Siam pronti alla morte;
Italia chiamò.
Noi siamo da secoli
calpesti, derisi,
perché non siam popolo,
perché siam divisi.
Raccolgaci un'unica
bandiera, una speme:
di fonderci insieme
già l'ora suonò.
Stringiamci a coorte!
Stringiamci a coorte!
Siam pronti alla morte;
Italia chiamò.
Uniamoci, amiamoci;
l'unione e l'amore
rivelano ai popoli
le vie del Signore.
Giuriamo far libero
il suolo natio:
uniti, per Dio,
chi vincer ci può?
Siam pronti alla morte;
Italia chiamò.
si chiaman Balilla;
il suon d'ogni squilla
i Vespri suonò.
Stringiamci a coorte!
Dall'Alpe a Sicilia,
dovunque è Legnano;
ogn'uom di Ferruccio
ha il core e la mano;
i bimbi d'Italia
Siam pronti alla morte;
Italia chiamò.
Son giunchi che piegano
le spade vendute;
già l'aquila d'Austria
le penne ha perdute.
Il sangue d'Italia
e il sangue Polacco
bevé col Cosacco, ma il cor le bruciò.
Stringiamci a coorte!
Siam pronti alla morte;
Italia chiamò
Nella primavera del 1849, sistemato il conflitto con i Savoia, l‟Austria, a capo della quale si
era insediato l‟imperatore Francesco Giuseppe, e Radesky ritenne di avere mano libera e
decise di mandare delle sue truppe in Emilia, nelle Marche e in Toscana; anche in
previsione dell‟affermazione in centro Italia delle truppe francesi gli austriaci avevano la
necessità, oltre che di difendere un Lorena quale era Leopoldo II, di ribadire la loro
influenza politica sul centro nord della penisola.
Nonostante la difesa eroica di Bologna e di Ancona le due città dovettero cedere agli
austriaci, sia pure a condizioni onorevoli. Anche in Toscana la discesa delle truppe
austriache in breve tempo rimise sul trono il Granduca Leopoldo II; ed, infine, il 15 maggio
1849 anche la Sicilia torna in mano ai Borboni.
Pure gli spagnoli non si sottrassero alle richieste di aiuto del papa e, verso la fine di
maggio del 1849, arrivò a Gaeta un corpo di spedizione che venne inviato ad occupare
l'Umbria, cosa che puntualmente accadde senza scontri particolari.
I francesi a Roma, aiutati anche dall‟intervento dei Borboni e da una serie di errori
strategici nella conduzione della guerra da parte dei patrioti, ebbero il sopravvento; il primo
luglio del 1849 l‟Assemblea costituente dichiarò di cessare la difesa di Roma, pur tuttavia,
per una affermazione di principio, proclamò la nuova Costituzione.
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Giuseppe Garibaldi (1807-1882)
Giuseppe Garibaldi rappresenta senza dubbio una vera e propria icona del nostro
Risorgimento, ma anche dell‟idea di una solidarietà internazionale tra tutti i popoli che
lottano per la libertà.
La sua attività di patriota in Italia ebbe inizio nel 1834 quando, su ordine di Mazzini,
avrebbe dovuto promuovere un ammutinamento della marina militare di Genova, ma la
cospirazione fu scoperta e dovette fuggire prima in Francia e poi in Brasile dove si unì alla
causa degli insorti per l‟indipendenza; in seguito passò in Uruguay e in Argentina per
continuare a battersi per la causa della libertà con grande valore.
Nel giugno del 1848 ritornò in Italia per combattere e offrire il suoi aiuto a Carlo Alberto
che lo accolse con freddezza e ostilità. I legionari guidati da Garibaldi si batterono contro
gli austriaci conseguendo una serie di vittorie.
Dopo Custoza Garibaldi partì con i suoi uomini alla volta di Roma dove venne eletto
nell‟assemblea costituente del gennaio 1849 e dove condusse e prese eroicamente parte
alla difesa della città dall‟assalto delle truppe francesi.
Garibaldi a Porta San Pancrazio con il tricolore
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Il 3 luglio i francesi entrarono in città, ma il giorno prima si era riunito in piazza San Pietro
quello che rimaneva dei volontari patrioti della difesa di Roma. Giuseppe Garibaldi dichiarò
di volere continuare la guerra per l‟Italia fuori di Roma e disse: “Non offro né paga, né
quartiere, né provvigioni: offro fame e sete, marce forzate, battaglie e morte”. Quindi
chiese chi l‟avrebbe accompagnato. Tremila uomini lo seguirono e uscirono dalla città;
Garibaldi, con a fianco la moglie Anita che aveva combattuto attivamente per la difesa di
Roma, li condusse verso Venezia, unica terra italiana ancora libera in cui si continuava a
combattere contro lo straniero.
In breve però venne accerchiato dagli eserciti francese, austriaco, spagnolo e napoletano;
entrò nel territorio neutrale della Repubblica di San Marino e disperse la colonna.
Fu in questa fuga rocambolesca che perse la vita, nei pressi di Ravenna, l‟amata moglie
Anita che, in cinta di cinque mesi, non resse i ritmi imposti da cavalcate e marce
interminabili tra fiumi e montagne.
Giuseppe Garibaldi continuò la sua fuga che lo portò di nuovo in America, ospite presso
l‟italiano Antonio Meucci (l‟inventore del telefono). Ma, come vedremo in seguito, la sua
lunga battaglia per l‟Italia ed il suo apporto agli eventi successivi furono determinante per
la costruzione della nuova patria.
Giuseppe Mazzini fu costretto a fuggire a Londra, ma il suo pensiero continuò a
influenzare a lungo le azioni patriottiche degli anni successivi.
Nel 1850 Pio IX fece ritorno a Roma ed abrogò la Costituzione che aveva concesso nel
marzo di due anni prima e, naturalmente, quella varata dalla repubblica romana, viene
ripristinata la tortura e l‟Inquisizione e oltre tremila romani vengono processati come
collaboratori della Repubblica romana; ai processi seguirono centinaia di esecuzioni.
La fine della Repubblica di Venezia
Nel frattempo la Repubblica di San Marco, al procedere della vittorie e della repressione
austriaca sulla terraferma, inutilmente chiese di unirsi al regno di Sardegna e resistette
valorosamente all‟assedio del maresciallo Radetzky fino al 22 agosto 1849, quando,
anche a causa di una pestilenza, dovette capitolare.
"Addio a Venezia", è una poesia scritta nell‟agosto del 1849, alla notizia della resa della
città, da Arnaldo Fusinato, poeta e patriota volontario nella difesa di Venezia.
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È fosco l‟aere
Il cielo è muto
Ed io sul tacito
Veron seduto
In solitaria
Malinconia
Ti guardo e lagrimo,
Venezia mia!
Fra i rotti nugoli
Dell‟occidente
Il raggio pèrdersi
Del sol morente,
E mesto sibila
Per l‟aria bruna
L‟ultimo gemito
Della laguna.
Passa una gondola
Della città.
Ehi dalla gondola,
Qual novità?Il morbo infuria,
Il pan ci manca
Sul ponte sventola
Bandiera bianca!Il biennio 1848-1849 si concluse con un sostanziale nulla di fatto. La primavera dei popoli
era trascorsa: parecchi conflitti, insurrezioni, battaglie e guerre avevano caratterizzato la
penisola italiana; migliaia furono i patrioti fucilati o morti sui campi di battaglia; ma al
termine di questa carneficina, ancora una volta, tutti i re e tutti i principi ritornarono al loro
posto, spesso con gli antichi privilegi.
Il ritorno a un nulla di fatto e lo Statuto Albertino
Il regno di Sardegna non aveva mutato i propri confini, ma ormai era evidente il ruolo
chiave che avrebbe giocato la dinastia sabauda nel processo di unificazione ed
indipendenza dell‟Italia.
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Terminata rovinosamente la prima guerra d‟indipendenza nel Regno di Sardegna
rimaneva il lascito dello Statuto albertino concesso nel marzo del 1848 da Carlo Alberto
per far fronte alle richieste sorte dai moti insurrezionali. Vale ora la pena soffermarsi
brevemente sulle caratteristiche politico giuridiche di quella che di lì a una dozzina d‟anni
divenne anche la prima Costituzione italiana.
La prima considerazione riguarda il fatto che non si tratta di una Costituzione
particolarmente avanzata, neppure quindi paragonabile ai contenuti di libertà e
democrazia della Costituzione mazziniana della Repubblica romana; lo stesso nome
Statuto venne preferito al termine di sapore troppo rivoluzionario “Costituzione”.
Né il re Carlo Alberto avrebbe avuto il coraggio e la tempra per osare di più; tuttavia si
tratta sempre di un documento estremamente importante perché per la prima volta
trasforma la dinastia sabauda da monarchia assoluta a monarchia costituzionale; vale a
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dire una monarchia che accetta la presenza di regole, limiti e un, pur limitato,
riconoscimento di diritti civili e politici come mai prima era accaduto.
Le altre caratteristiche dello Statuto albertino sono tradizionalmente così sintetizzabili; lo
Statuto è una Costituzione:
- concessa, nel senso che viene decisa dal re e quindi imposta ai suoi sudditi; vale a
dire che non è il frutto diretto di una assemblea eletta dal popolo, ma frutto di una
sorta di auto limitazione che la corona si impone a favore dei propri sudditi; ben
altro contenuto avrebbe avuto se le sue origini fossero state quelle di una
assemblea costituente elettiva;
- breve, nel senso che si limita ad enunciare alcuni ben circoscritti diritti civili e politici
tralasciando totalmente i diritti sociali, i diritti economici e le autonomie locali;
- elastica, nel senso che, nonostante l‟incipit con il quale lo Statuto stesso si
autodefinisce Legge Fondamentale, perpetua e irrevocabile della Monarchia, in
realtà non sono previsti meccanismi di alcun tipo per garantirne la supremazia
giuridica sulle leggi ordinarie; in ogni momento una nuova legge poteva, senza
ostacoli, derogare o anche modificare e abrogare parti del suo contenuto.
La struttura politica definita dallo Statuto, naturalmente, ruota tutta ancora attorno alla
corona:
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Rispetto al Parlamento il re ha il potere di convocare le Camere e di scioglierle, di
sanzionare (oggi diremmo promulgare) le leggi e, soprattutto, di nominare i componenti del
Senato. La Camera era invece elettiva, sia pure con un suffragio limitato per censo, cioè in
base alla ricchezza posseduta e, naturalmente, con esclusione del voto alle donne.
La giustizia è amministrata in nome del re; modeste sono le garanzie poste a tutela
dell‟indipendenza dei magistrati i quali, attraverso il ministro della giustizia, potevano
subire forti condizionamenti da parte del potere politico e della corona.
Il re nomina il capo del governo e i ministri.
Infine, per dare un ulteriore impronta conservatrice, l‟art. 1 dello statuto proclama la
religione cattolica apostolica e romana come la sola religione dello Stato configurando così
uno Stato di tipo confessionale, nonostante i durissimi contrasti che si determinarono nel
1870 dopo la breccia di Porta Pia di cui ci occuperemo tra non molto.
Tuttavia, già fin da ora è necessario sottolineare la presenza di un embrione di democrazia
che, nei decenni successivi e fino all‟avvento del fascismo, e sia pure tra contrasti e
contrapposizioni, lentamente cominciò a svilupparsi.
Il diritto di voto era riconosciuto ad una esigua minoranza del popolo, tuttavia la presenza
di una camera elettiva introduceva una sorta di vulnus nel sistema conservatore ideato
con lo statuto albertino; in effetti quella che veniva definita come prerogativa parlamentare,
contrapposta alla prerogativa regia, riuscì, con il passare degli anni, ad affermarsi sempre
più per un motivo semplicissimo: la base di legittimazione della camera elettiva era
direttamente il popolo, mentre la base di legittimazione del re continuava a rimanere la
dinastia e la divinità.
Dunque, è pur vero che formalmente il potere di nomina del capo di governo e dei ministri
spettava al re, ma il governo, per realizzare il suo programma e tradurlo in leggi, doveva
contare sulla presenza di una maggioranza politica in parlamento, il quale solo in parte era
di nomina regia.
Iniziò in tal modo ad affermarsi la prassi del voto di fiducia al governo nel momento del suo
insediamento che, di fatto, finì con l‟imporre al re di nominare primo ministro e ministri
personaggi che avrebbero dovuto avere anche l‟appoggio della maggioranza della camera
elettiva.
Tale è la forma di governo parlamentare che anche la Costituzione repubblicana del 1948
riconfermò e che ancora oggi caratterizza l‟architettura politica del nostro paese.
Tra la prima e la seconda guerra d’indipendenza
Dopo l‟abdicazione di Carlo Alberto il figlio Vittorio Emanuele II divenne re del regno di
Sardegna; agli occhi dei patrioti pareva l‟unico sovrano italiano in grado di condurre la
battaglia per l‟unificazione del paese.
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Vittorio Emanuele II di Savoia
Per le strade del paese, sotto gli occhi ignari dell‟occupante straniero, cominciò ad
apparire la scritta sui muri “Viva V.E.R.D.I.” che veniva letta dai patrioti come Viva Vittorio
Emanuele Re d'Italia.
Dal 1851 al 1853 nel lombardo veneto si formarono gruppi di patrioti di ispirazione
mazziniana che però vennero sistematicamente scoperti e fucilati o impiccati dagli
austriaci, come nel caso dei martiri di Belfiore.
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Tra questi spicca la figura di Don Enrico Tazzoli, un
sacerdote patriota e democratico, profondamente impegnato
nell‟assistenza ai bisognosi e nell‟educazione popolare; egli
riteneva l‟ottenimento dell‟indipendenza la premessa
necessaria per migliorare le condizioni della sua gente. Fu
arrestato dalla polizia come responsabile di un comitato
insurrezionale anti austriaco e venne condannato a morte
per impiccagione, ma, siccome si trattava di un prete, le
cattoliche autorità austriache chiesero a Monsignor Giovanni
Corti, vescovo di Mantova, di sconsacrarlo; egli si rifiutò e
allora gli austriaci chiesero ed ottennero un ordine speciale
di Pio IX che, sconfessando il vescovo, ordinò la
sconsacrazione di Enrico Tazzoli.
La sconsacrazione avvenne il 24 novembre 1852 ed il
vescovo fu costretto a procedere alla lettura della formula di
condanna, al ritiro dei paramenti sacri tolti di dosso e alla
raschiatura con un coltello della pelle delle dita che avevano
sorretto l'ostia dell'eucarestia.
A quel punto nulla impedì più agli austriaci di eseguire la
condanna a morte di don Tazzoli e altri nove patrioti per
impiccagione in località Belfiore, poco fuori le mura della
città di Mantova.
Pio IX sollevò il disprezzo di tutti i patrioti italiani, tanto che Garibaldi finì per definirlo: "quel
metro cubo di letame" descrivendolo come “la più nociva fra le creature, perché egli, più di
nessun altro è un ostacolo al progresso umano, alla fratellanza fra gli uomini e popoli”.
Monumento ai martiri di Belfiore a Canneto sull’Oglio e la targa apposta nel 2002 dal
Sindaco di Mantova, dal Presidente della Repubblica Carlo Azzeglio Ciampi e dal vescovo
di Mantova
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Carlo Pisacane (1818-1857)
Risale al 1857 il tentativo di insurrezione mazziniana di Carlo Pisacane, un ufficiale che
partecipò alle varie sommosse italiane nel biennio 1848-1849. Esule a Londra dopo la
caduta della repubblica romana maturò l‟idea della sua impresa. Ai suoi occhi il meridione
d‟Italia gli appariva come una polveriera di cui era solo necessario accendere la miccia.
Giunto di nuovo in Italia con alcuni compagni si imbarcò a Genova e salpo per l‟isola di
Ponza dove liberò trecento tra militari in punizione sospetti di avere partecipato ad un
attentato al re e delinquenti comuni. Essi lo seguirono fino a Sapri, in Calabria, dove
sbarcò con l‟idea di aizzare la rivolta popolare. In realtà i contadini si unirono alle truppe
borboniche aggredendo e massacrando i patrioti; Carlo Pisacane si uccise con un colpo di
pistola.
Dal testamento politico di Carlo Pisacane:
“ogni mia ricompensa io la troverò nel fondo della mia coscienza e nell'animo di questi cari
e generosi amici... che se il nostro sacrifico non apporta alcun bene all'Italia, sarà almeno
una gloria per essa aver prodotto figli che vollero immolarsi al suo avvenire”.
E‟ necessario ricordare Pisacane non solo per la sua lotta per l‟indipendenza nazionale,
ma anche per le sue idee politiche mazziniane e socialiste che cominciarono a fare
intravedere la soluzione del problema italiano non nel re di Sardegna, bensì nello stesso
popolo. Per la dinastia sabauda e per Vittorio Emanuele II fu un segnale molto forte, uno
stimolo ad affrettare i tempi dell'azione per realizzare la soluzione diplomatico militare
dell'unità italiana.
Il poeta Luigi Mercantini dedicò il famoso componimento “Le spigolatrici di Sapri”
all‟impresa di Pisacane.
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La Spigolatrice di Sapri
Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!
Me ne andavo un mattino a spigolare
quando ho visto una barca in mezzo al mare:
era una barca che andava a vapore,
e alzava una bandiera tricolore.
All‟isola di Ponza si è fermata,
è stata un poco e poi si è ritornata;
s‟è ritornata ed è venuta a terra;
sceser con l‟armi, e noi non fecer guerra.
Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!
Sceser con l‟armi, e a noi non fecer guerra,
ma s‟inchinaron per baciar la terra.
Ad uno ad uno li guardai nel viso:
tutti avevano una lacrima e un sorriso.
Li disser ladri usciti dalle tane:
ma non portaron via nemmeno un pane;
e li sentii mandare un solo grido:
Siam venuti a morir pel nostro lido.
Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!
Con gli occhi azzurri e coi capelli d‟oro
un giovin camminava innanzi a loro.
Mi feci ardita, e, presol per la mano,
gli chiesi: – dove vai, bel capitano? Guardommi e mi rispose: – O mia sorella,
vado a morir per la mia patria bella. Io mi sentii tremare tutto il core,
né potei dirgli: – V‟aiuti „l Signore! Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!
Quel giorno mi scordai di spigolare,
e dietro a loro mi misi ad andare:
due volte si scontraron con li gendarmi,
e l‟una e l‟altra li spogliar dell‟armi.
Ma quando fur della Certosa ai muri,
s‟udiron a suonar trombe e tamburi,
e tra „l fumo e gli spari e le scintille
piombaron loro addosso più di mille.
Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!
Eran trecento non voller fuggire,
parean tremila e vollero morire;
ma vollero morir col ferro in mano,
e avanti a lor correa sangue il piano;
fun che pugnar vid‟io per lor pregai,
ma un tratto venni men, né più guardai;
io non vedeva più fra mezzo a loro
quegli occhi azzurri e quei capelli d‟oro.
Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!
Statua della spigolatrice di Sapri
Monumento a Carlo Pisacane a Sapri
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Cavour e la seconda guerra d’indipendenza (1859)
Camillo Benso, conte di Cavour (1810-1861) rappresenta senz‟altro un personaggio
chiave del processo di unificazione del nostro paese anche se sicuramente lui stesso non
avrebbe mai pensato di riuscire ad ottenere tanto; probabilmente, quando, come capo del
governo sabaudo, decise di allearsi con Francia e Inghilterra contro l‟Austria, pensava di
riuscire a strappare a quest‟ultima giusto la Lombardia e poco più.
L‟occasione di allearsi con Francia e Inghilterra venne offerta dalla guerra che nel 1853
scoppiò tra Russia e Turchia; Francia e Inghilterra si unirono alla Turchia cercando anche
un‟alleanza con l‟Austria. L‟Austria si rifiutò e fu in quell‟occasione che Cavour si fece
avanti inviando, nonostante la forte opposizione del parlamento, 15.000 soldati a
combattere in Crimea; i nostri soldati si batterono con gravi perdite, ma con altrettanto
valore e il che diede l‟opportunità a Cavour di sedersi al tavolo della pace ed avanzare le
sue pretese: Cavour fece impegnare Napoleone III ad intervenire in suo aiuto in Italia in
una possibile guerra contro l‟Austria, ma a condizione che questa guerra fosse l‟Austria
stessa a provocarla (Accordi di Plombières).
All‟inizio del 1859 Vittorio Emanuele II pronunciò un famoso discorso: “Non siamo
insensibili al grido di dolore che da tante parti d’Italia si leva verso di noi…”. Dall‟altra parte
Cavour cominciò a tramare in modo da provocare l‟Austria ed avere il diritto di richiedere
l‟intervento della Francia. Ingaggiò Garibaldi ad organizzare tutti i volontari che, dopo le
parole del re, iniziarono con entusiasmo a confluire da tutta Italia ed a collocarsi nei pressi
del confine con la Lombardia. L‟Austria inviò un ultimatum al governo italiano con il quale
chiedeva l‟immediato scioglimento delle truppe di volontari; l‟ultimatum fu respinto e
l‟esercito austriaco, per tutta risposta, il 29 aprile 1859, varcò il Ticino ed entrò in territorio
piemontese. La trappola di Cavour aveva funzionato; la Francia intervenne al fianco
dell‟esercito dei Savoia e di Garibaldi.
Garibaldi, ma lo stesso re Vittorio Emanuele II e l‟esercito francese ottennero una serie di
brillanti vittorie: San fermo, Palestro, Magenta, e le sanguinosissime battaglie di Solferino
e San Martino in cui perirono 20.000 soldati tra francesi, piemontesi e austriaci, una cifra
enorme per quel tempo.
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Lo svizzero commerciante di armi Henry Dunant presente sul campo di battaglia,
impressionato e sconvolto dalle sofferenza e dall‟agonia di miglia di soldati vittime di quel
durissimo scontro e prive di qualsiasi soccorso, scrisse un piccolo libro che sconvolse
l‟Europa: Ricordo di Solferino.
La chiesa e l’ossario di Solferino
Dopo il suo ritorno in Svizzera con alcuni amici creò il Comitato ginevrino di soccorso dei
militari feriti, predecessore di quella che oggi conosciamo tutti come il Comitato
Internazionale della Croce Rossa. Il libro suscitò grande scalpore, tanto che, a distanza di
pochi anni dalla sua prima pubblicazione, fu firmata la Convenzione di Ginevra sulle
vittime di guerra.
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Contemporaneamente, esaltate dalla guerra contro l‟Austria, le popolazioni dell‟Emilia,
della Romagna e dell‟Italia centrale costrinsero alla fuga i vari re e rappresentanti locali del
papa (il Granduca di Toscana, i duchi di Parma e Modena ed i legati pontifici) e dovunque
si insediarono governi filo sabaudi.
La guerra sanguinosa e la situazione politica determinatasi spaventò Napoleone III il cui
unico scopo, in fondo, era quello di aumentare la sua influenza nella penisola; all‟insaputa
del governo italiano firmò a Villafranca un armistizio con l‟Austria. Vittorio Emanuele II,
nonostante l‟opposizione di Cavour (che si dimise da capo del governo), invece accettò
l‟accordo che rappresentò la premessa per la firma degli accordi di pace di Zurigo del 10
novembre 1859; tali accordi prevedevano che l‟Austria cedesse alla Francia la Lombardia
e che la Francia, a sua volta, cedesse la Lombardia al Piemonte, congelando le questioni
relative all‟Emilia Romagna e al centro Italia.
Solo nel corso del 1860, sulla base di un accordo tra Napoleone III e Cavour, ritornato al
governo, si decise di indire una serie di plebisciti con i quali si richiedeva alle popolazioni
di Parma, Modena, della Romagna e della Toscana (quest‟ultimo però contro la volontà
dei francesi) l‟annessione al Regno di Sardegna e alle popolazioni di Nizza e della Savoia
(particolarmente care a Vittorio Emanuele in quanto culla della dinastia) l‟annessione alla
Francia.
Le annessioni ebbero luogo e, con percentuali che oggi definiremmo “bulgare”, le regioni
italiane optarono per il Regno di Sardegna mentre Nizza e la Savoia per la Francia. Sulla
base degli accordi internazionali non avrebbe potuto che andare così. In effetti non ci fu
nessuna garanzia della segretezza del voto e furono frequenti episodi tesi ad influenzare il
voto stesso: solo 119 marinai nizzardi di stanza sulle navi sabaude nei vari porti votarono
liberamente e così si espressero: 114 per l'Italia e 5 per la Francia. Ma cosa sarebbe
successo se Nizza e la Savoia fossero rimaste all‟Italia?
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Lo Stato della Chiesa reagì duramente: Pio IX comminò la scomunica maggiore al re, a
Cavour e a tutti colore che “avevano perpetrato la nefanda ribellione”.
La spedizione dei Mille
Nel 1860 in Inghilterra era subentrato un governo liberale, ostile all‟Austria, al papa e alla
stessa Francia, che manifestò subito le sue simpatie per l‟indipendenza italiana. Simpatie
non certo disinteressate giacché l‟Inghilterra di quegli anni era a capo di un enorme impero
coloniale ad oriente e doveva risolvere il problema degli scambi commerciali con quei
territori così lontani; la Francia aveva avviato la costruzione del canale di Suez che
avrebbe presto permesso la navigazione dall'Europa all'Asia, senza la necessità di
circumnavigare l'Africa. L‟Italia avrebbe rappresentato lo scalo ideale per le merci coloniali
inglesi sulle nuove rotte e il suo interesse ad intrattenere stretti ed amichevoli rapporti
politici e commerciali con i futuri governanti italiani erano evidenti. E‟ un fatto che a partire
dal 1875 la società per la gestione del canale di Suez e quindi la rotta delle Indie passa
sotto il controllo inglese.
Nel meridione d‟Italia a Ferdinando II succedette il figlio, ancora più conservatore e
incapace, Francesco II: il popolo del sud viveva in pessime condizioni di miseria, la fame,
le malattie e le condizioni dei contadini facevano delle campagne del mezzogiorno le zone
più arretrate d‟Italia; un po‟ diversa era la condizione delle città dove, tuttavia, governava
un‟aristocrazia gretta e bigotta.
Garibaldi da qualche tempo aveva in animo una spedizione liberatrice, come già tentò
qualche anno prima Pisacane, e tutti i patrioti del sud la auspicavamo rapidamente, ma gli
ostacoli che si frapposero all‟impresa non furono pochi.
Da un lato lo stesso Garibaldi era inizialmente dubbioso sull‟impresa; decisive furono le
pressioni di Francesco Crispi, un patriota mazziniano e repubblicano di origini siciliane,
che, di ritorno da alcuni viaggi al sud, gli garantì, falsamente, che la Sicilia era già in rivolta
e che si era perfino formato un esercito di rivoltosi a capo dei quali vi era Rosolino Pilo e
che, in particolare la città di Marsala in cui era previsto lo sbarco, era già stata conquistata
dai rivoltosi.
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Dall‟altro lato anche Cavour, temendo una reazione della Francia, avrebbe voluto impedire
la partenza da Genova dei due vapori, il Piemonte e il Lombardo, ma fu Vittorio Emanuele
II a fermarlo. Lo stesso re sembra che abbia intercesso per l‟acquisto dei due piroscafi a
favore di Garibaldi da una compagnia marittima. Nonostante l‟esplicita richiesta di
Garibaldi Cavour sconsigliò il re Vittorio Emanuele di avallare l‟impresa anche se
accompagnata dalla promessa del Generale, ad impresa conclusa, di offrirgli la Sicilia. Ma,
anche in questo caso, non pare che Cavour sia stato molto ascoltato.
Poco prima della partenza delle due navi, a bordo delle quali erano presenti un migliaio di
giovani volontari accorsi da tutta Italia, il governatore di Milano, Massimo d‟Azzeglio, non
fece consegnare i fucili raccolti per la spedizione con una pubblica sottoscrizione. Il
problema venne risolto con uno scalo a Talamone, dove Garibaldi, dichiarando di avere
l‟autorizzazione del re, riuscì a farsi consegnare armi e munizioni dal comandante del
vicino forte di Orbetello.
La partenza dei Mille da Quarto alla periferia di Genova
La spedizione dei Mille raggiunse finalmente le coste siciliane, anche grazie alla
protezione della flotta inglese che impedì il loro affondamento prima dell‟attracco da parte
delle navi borboniche. Allo sbarco a Marsala Garibaldi gridò: “Viva l’Italia, viva Vittorio
Emanuele”.
Il primo scontro con il regio esercito borbonico avvenne a Calatafimi, dove Garibaldi
pronunciò la famosa fra “Qui si fa l’Italia o si muore”; ma la battaglia si risolse con una
rapida vittoria dei garibaldini a cui ben presto si aggiunsero molti “picciotti”, cioè giovani
siciliani; da quel punto in poi, vittoria dopo vittoria, in breve tempo venne liberata l‟intera
Sicilia.
Mentre Garibaldi si apprestava ad attraversare lo stretto di Messina ed a marciare su
Napoli, a Torino si diffuse il panico temendo che Garibaldi stesso volesse costituire una
repubblica del sud Italia. Cavour inviò una lettera a Garibaldi in cui gli intimava di non
attraversare lo stretto, ma il re Vittorio Emanuele la fece accompagnare da una missiva
personale nella quale smentiva la lettera ufficiale.
Garibaldi, attraversato lo stretto di Messina, con rapidi combattimenti e vittorie e grazie alle
insurrezioni popolari, seguito da volontari che accorrevano per congiungersi al suo
esercito, giunse in breve a Napoli mettendo in fuga Francesco II che si asserragliò,
protetto dal suo esercito, nella fortezza di Gaeta. A nulla servì la sommossa popolare filo
piemontese e antigaribaldina, fallita miseramente, che Cavour fece organizzare a Napoli.
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Conquistata trionfalmente Napoli Garibaldi cominciò seriamente a pensare di proseguire la
sua avanzata verso Roma e i territori ancora in mano allo Stato della Chiesa; d‟altra parte
Cavour, con l‟intento sia di impedire la trasformazione dell‟impresa garibaldina in un vero e
propri movimento rivoluzionario che allo scopo di rimettere in gioco attivamente casa
Savoia, chiese a Napoleone III di fare rispettare la “sede della chiesa” e di autorizzare le
truppe sabaude a muovere verso Garibaldi per le province pontificie delle Marche e
dell‟Umbria. Anche per la Francia sarebbe stato il male minore a fronte del pericolo di una
invasione del Lazio da parte dei Garibaldini.
L‟esercito piemontese entrò nello Stato pontificio, sconfisse le truppe papaline a
Castelfidardo e marciò verso i confini del Regno napoletano. Cavour ebbe a scrivere che
“Vittorio Emanuele II si era mosso per mettere giudizio a Garibaldi e gettare a mare quel
nido di repubblicani e socialisti che si è formato intorno a lui”.
Il primo ottobre del 1860, al sud, nella battaglia del Volturno, le truppe borboniche vennero
definitivamente sconfitte da Garibaldi; la campagna per la liberazione dell‟Italia
meridionale era terminata e il sopraggiungere delle truppe dell‟esercito regolare
piemontese resero di fatto impossibile proseguire verso Roma.
Garibaldi ordinò per il 21 ottobre 1860 i plebisciti per l‟annessione al Regno di Sardegna
della Sicilia e del resto del meridione; ancora una volta “maggioranze bulgare”
suggellarono il nuovo assetto politico e la mattina del 26 ottobre l‟esercito regio e quello
garibaldino si incontrarono a Teano dove, praticamente, Garibaldi donò il regno del sud al
re di Savoia Vittorio Emanuele II salutandolo come il re d‟Italia.
Garibaldi ottenne, non senza impegnarsi, che i volontari garibaldini entrassero, sia pure
dopo una umiliante selezione, nell'esercito regolare sardo, con il medesimo grado rivestito
nella spedizione e quindi decise, almeno per il momento, di ritirarsi a Caprera.
Anche in Umbria e nelle Marche il 4 e 5 novembre si votò con plebiscito l‟annessione al
regno di Sardegna decidendo per l‟unione all‟Italia anche di queste due regioni.
Grazie a Garibaldi l‟Italia è fatta; scrisse di lui Victor Hugo: “ Qual è la sua forza? Che cosa
lo fa vincere? Cos’ha con sé? L’anima dei popoli! Dov’era un’espressione geografica ora
v’è una nazione”. Ecco come risulta l‟Italia del 1861 con la rappresentazione dell‟impresa
dei Mille:
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La proclamazione dell’Unità d’Italia
Dal 27 gennaio al 3 febbraio 1861 si tennero le elezioni per il primo parlamento italiano
unitario; l‟esercizio di voto era riservato solo al 2% della popolazione, tuttavia, sul piano
politico l‟evento fu di portata storica.
Per inciso, alle elezioni non si presentarono candidati della destra clericale in quanto
questi cattolici avevano aderito all‟invito del papa di non eleggere e di non farsi eleggere in
uno Stato che aveva gravemente leso i diritti dello Stato della chiesa; tale invito venne
formalizzato nel 1886 con il Non Expedit (formula vaticana per dare evasione negativa ad
una pratica) con il quale si ordinava formalmente l‟astensione dei cattolici dalle urne.
Il 18 febbraio venne inaugurata la nuova sessione del parlamento nella quale sedettero,
oltre ai piemontesi, per la prima volta rappresentanti di quasi tutte le regioni italiane. Il 17
marzo del 1861 il Parlamento proclamò il Regno d'Italia e Vittorio Emanuele II primo re
d‟Italia.
17 marzo 1861-17 marzo 2011 – Il logo del 150° anniversario dell’Unità d’Italia
46
Il re aveva voluto continuare a mantenere la numerazione dinastica del regno di Sardegna
per sottolineare l‟elemento dell‟annessione di vari Stati e province a un preesistente regno
più che l‟idea della costituzione di un nuovo stato che invece, coerentemente, avrebbe
dovuto far ripartire la numerazione dall‟aggettivo “primo”. Da qui la contraddittoria
espressione; Vittorio Emanuele II, primo re d‟Italia.
La Statua a Vittorio Emanuele II a Roma al centro del Vittoriano, monumento costruito per
ricordare il Padre della patria e divenuto in seguito l’altare della patria
Il tricolore, con al centro lo stemma dei Savoia, divenne la nuova bandiera del Regno
d‟Italia.
In realtà l‟unificazione del paese non era ancora terminata: mancavano il Lazio e Roma e
tutto il nord est.
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Sul piano istituzionale, a differenza di quanto richiedevano le correnti risorgimentali più
progressiste e democratiche, anziché indire le elezioni di una assemblea costituente che
avrebbe dato all‟Italia la sua nuova Costituzione unitaria, la monarchia sabauda preferì,
ancora una volta sottolineando il carattere di incorporazione e non di fusione fra gli Stati
pre-unitari, imponendo il suo ordinamento a tutta l‟Italia. Il che significava che le leggi, e in
primo luogo lo Statuto albertino, e i trattati internazionali del Regno di Sardegna
divenivano le leggi della nuova Italia unita e che le norme giuridiche in vigore negli altri
Stati vennero destinate alla decadenza.
Si tratta del processo cosiddetto di “piemontesizzazione”, in base al quale il Regno di
Sardegna si impose anche su tutte le legittime aspirazioni autonomiste, imponendo un
modello di Stato piuttosto accentrato; l‟appena faticosamente raggiunta fragile unità era un
valore troppo importante per metterlo in pericolo e d‟altra parte le correnti più conservatrici
del regno sabaudo non vollero concedere di più.
Lo Statuto albertino del 1848, concesso per il piccolo regno di Sardegna, diviene ora la
prima Costituzione dell‟Italia unita. Il suo contenuto sostanzialmente conservatore, tuttavia,
grazie alla natura flessibile che lo caratterizzava, gradualmente si stemperò: le scelte
politiche degli anni successivi, soprattutto nel periodo giolittiano, furono in grado, prima del
dramma del fascismo, di dare una iniziale risposta alle rivendicazioni dei nuovi soggetti
politici, come i primi partiti di massa e i sindacati, che irruppero nella storia del nostro
paese.
Spesso si dimentica che tutto il processo risorgimentale rappresentò per l‟Italia non solo la
graduale unificazione di diverse aree geografiche e la liberazione dalla dominazione di
potenze straniere, ma fu anche la liberazione dall‟assolutismo dispotico, dalla servitù
feudale e da strutture istituzionalizzate quali la tortura e l‟inquisizione: gradualmente,
anche in Italia, iniziarono ad affermarsi i primi diritti civili e le prime libertà: il diritto di
manifestare il proprio pensiero, la libertà di circolazione, la libertà di associazione (in partiti
e sindacati), la libertà religiosa e, naturalmente, il diritto di voto e la democrazia
rappresentativa.
I grandi ideali della rivoluzione francese che Napoleone cinquant‟anni prima aveva portato
in Italia e che la Restaurazione aveva spazzato via rinascevano ora con il Risorgimento.
Particolarmente avanzate furono le riflessioni e le indicazioni che vennero elaborate
all‟interno dell‟assemblea costituente eletta nella Repubblica romana nel 1849, anche fra i
politici e i patrioti più moderati; in particolare, si radica sempre più la convinzione che le
libertà non sono veramente tali se mancano i mezzi materiali e culturali per esercitarle! Il
costituente bolognese Giuseppe Barilli, conosciuto anche con lo pseudonimo di Quirico
Filopanti (a cui fu intitolato un tratto dei viali di circonvallazione attorno al centro di
Bologna) propose un articolo per la nuova Costituzione che recitava “La Repubblica colle
leggi e colle istituzioni promuove il miglioramento delle condizioni morali e materiali di tutti i
cittadini”.
Si tratta dell‟affermazione di quelli che verranno definiti come diritti sociali: la scuola e
l‟istruzione, l‟assistenza sanitaria e sociale e la previdenza (comprese i sistemi
pensionistici) e, più in generale, il diritto al lavoro. Si tratta di diritti oggi irrinunciabili e
spesso ancora minacciati e non pienamente garantiti che trovarono riconoscimento pieno
nel nostro paese solo cent‟anni dopo a partire dal fondamentale art. 3 della Costituzione
repubblicana.
Intanto, a solo dopo due mesi dalla proclamazione dell‟unità d‟Italia, muore Cavour a
causa di una crisi malarica; ma il modo in cui morì ci racconta ancora quanta strada
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doveva essere fatta per porre una soluzione ai difficilissimi rapporti tra lo Stato e la chiesa
cattolica; ecco cosa accadde proprio all‟uomo, liberale e conservatore, che sosteneva le
ragioni di una libera chiesa in un libero Stato; rendendosi conto della gravità della sua
condizione di salute Cavour chiese di incontrare padre Giacomo da Poirino, un sacerdote
francescano suo vecchio amico; nonostante su Cavour gravasse la scomunica papale, egli
desiderava morire da buon cristiano e, dopo la confessione, il frate gli impartì l‟assoluzione
e gli somministrò la comunione e l‟estrema unzione; ma per questa “colpa”, in seguito,
padre Giacomo da Poirino fu sospeso a divinis dal papa Pio IX.
La questione romana e la terza guerra di indipendenza
(1866)
Garibaldi non si dava per vinto; dai tempi della Repubblica romana si batteva per
strappare Roma al papa e la sua guerra non si era certo conclusa a Teano; in tutta Italia
organizzò dei circoli di tiro a segno, una sorta di fucina di esercito popolare, affinché i
patrioti si incontrassero e si esercitasse per quando fosse stato il momento buono. Ma il
governo sabaudo cercò in tutti i modi di intralciare i suoi piani puntando piuttosto su una
riconciliazione pacifica con la chiesa di Roma.
Per tutta reazione nel 1862 Garibaldi sbarcò nuovamente in Sicilia dove riuscì a
raccogliere un piccolo esercito con l‟intento di marciare su Roma; fu in quell‟occasione che
levò dalle piazze che inneggiavano al generale la frase “Roma o morte!”.
Vittorio Emanuele, temendo colpi di mano, inviò l‟esercito regio a fermare Garibaldi; lo
scontro avvenne in Aspromonte, nel sud della Calabria e, questa volta, Garibaldi ebbe la
peggio riportando anche una ferita ad un piede. Dopo tante battaglie e tanti scontri
Garibaldi fu ferito da una pallottola italiana!
Con la convenzione di settembre del 1864 Napoleone si impegnava a ritirare le truppe da
Roma a condizione che il governo italiano si impegnasse a non assalire Roma e a portare
da Torino a Firenze la capitale del Regno.
Ad allontanare l‟ipotesi di fare di Roma la capitale d‟Italia si aggiunse l‟enciclica di Pio IX
Quanta cura a cui era allegato il Syllabus, in cui, fra l‟altro, viene scritto: “sia maledetto chi
afferma che il romano pontefice può e deve riconciliarsi e venire a composizione con il
progresso, con il liberalismo e con la moderna civiltà!”.
Più repentina fu la soluzione dell‟annessione del nord est, secondo una dinamica politica
non dissimile da quella della seconda guerra d‟indipendenza: nel 1866 scoppiò una guerra
fra l‟Austria e la Prussia di Bismark e quest‟ultimo chiese l‟alleanza del‟Italia.
Nel famoso Film di Luchino Visconti Senso vengono narrate
vicende ambientate nella Venezia di quegli anni: la celebre
scena iniziale mostra alla Fenice di Venezia una
rappresentazione del Trovatore di Giuseppe Verdi che causa
una manifestazione irredentista; tale scena illustra molto bene
ciò che ha rappresentato il melodramma verdiano per l'Italia: le
note di Verdi sono state le pallottole del nostro Risorgimento.
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L‟Italia sottoscrisse l‟alleanza a patto che a guerra conclusa le fosse concesso il Veneto.
Bismark ebbe rapidamente la meglio sull‟Austria, ma sul fronte italiano fu una vera disfatta
per l‟incapacità e la rivalità dei suoi generali, sconfitti ancora una volta a Custoza, e, in
mare, a Lissa. L‟unico successo militare fu ottenuto a Bezzecca dai soldati guidati da
Garibaldi, che, nel frattempo, si era unito alle operazioni militari e che avrebbe continuato
la guerra se non fosse stato per l‟ordine impartito dal re Vittorio Emanuele dopo la firma
dell‟armistizio a cui rispose “Obbedisco!”.
Con le trattative di pace l‟Austria fu costretta a trasferire il Veneto alla Prussia che, in base
all‟alleanza con i Savoia, lo ritrasferì all‟Italia. Ecco come appare dunque il regno d‟Italia
dopo la terza guerra d‟indipendenza;
Tuttavia Trento e Trieste rimasero agli Asburgo e da qui nacque la questione di quelle
italianissime terre irredente che ebbe soluzione solo con la fine della seconda guerra
mondiale e il trattato di Osimo del 1975.
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La Breccia di Porta Pia
La capitale si era trasferita da Torino a Firenze e la questione romana era ancora in attesa
di una soluzione definitiva. Garibaldi nel 1867 tentò l‟ennesimo colpo di mano occupando
Roma nonostante la contrarietà del re, ma a causa della inaspettata mancata sollevazione
popolare subì una cocente sconfitta da parte delle truppe del papa, rinforzate da quelle
francesi, a Mentana.
Nel 1870 il conflitto esploso tra Prussia e Francia obbligò Napoleone III a richiamare le sue
truppe da Roma e abbandonare il papa creando le condizioni migliori per invadere lo Stato
pontificio da parte dell‟esercito italiano.
Tuttavia il cattolico re Vittorio Emanuele II ed i suoi cattolicissimi generali mostrarono un
grande timore nel mettersi contro la chiesa; l‟esercito italiano, dopo essere entrato nei
territori del papa, si accampò per tre giorni alle porte di Roma fino a quando, finalmente, il
generale Raffaele Cadorna ordinò, il 20 settembre del 1870, di bombardare Porta Pia e ai
suoi bersaglieri di entrare in città.
In breve si concluse l‟occupazione e, da lì a poco, Roma sarebbe divenuta la nuova
capitale d‟Italia. Ecco come appariva l‟Italia dopo la presa di Roma:
Il problema dei rapporti tra Stato italiano e chiesa cattolica, tuttavia, rimaneva ancora
aperto; anzi, il Risorgimento, da una parte e dall‟altra, aveva creato un solco incolmabile.
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Più volte, nel corso di questa esposizione, si è sottolineato l‟atteggiamento conservatore,
reazionario e anti risorgimentale di Pio IX: dall‟allocuzione del 1884 in cui si ponevano
sullo stesso piano austriaci oppressori e italiani oppressi, alle ripetute scomuniche ai
patrioti italiani, Cavour compreso, e alla sconsacrazione di sacerdoti cattolici come Don
Enrico Tazzoli, fino ad atti di durissima repressione seguiti al rientro del papa a Roma
dopo la fine della repubblica romana, ed, infine, alla maledizione del sillabo e al non
expedit. Riesce comprensibile l‟assalto di una folla inferocita di romani al funerale del papa
nel 1878 che cercò di buttarne la bara nel Tevere.
Certo tutto questo non rappresentò un buon viatico per i futuri rapporti tra Stato e chiesa,
ma, d‟altra parte, il Risorgimento aveva cancellato per sempre (o quasi) il potere
temporale dei papi.
Nel 2000 Giovanni Paolo II fece santo Pio IX; è pur vero che papa Wojtyla santificò e
beatificò 990 persone (trentatre pontefici succedutisi negli ultimi tre secoli ne hanno
beatificato complessivamente 808), ma dal mondo politico italiano si levò solo una
protesta, quella del cattolicissimo ex Presidente della Repubblica Francesco Cossiga che
dichiarò pubblicamente il torto che il papa stava facendo all‟Italia e alla sua storia.
Il periodo liberale fino alla prima guerra mondiale
Unificata l‟Italia si crearono le condizioni per lo sviluppo economico e industriale del nostro
paese e la nascita dei primi grandi movimenti operai e popolari; in questa prima fase
l‟atteggiamento delle forze governative fu spesso duramente repressivo e non all‟altezza
delle grandi riforme che il paese si aspettava, tanto che qualcuno parlò proprio di
Risorgimento tradito.
E‟ significativo come lo spirito monarchico e conservatore della classe dirigente spinse nel
1882 l‟Italia ad allearsi proprio con la Germania di Bismark e l‟Austria, quest‟ultima nemica
giurata del Risorgimento italiano; il timore dell‟isolamento internazionale e che la Francia,
aizzata dal nuovo papa Leone XIII, potesse mettersi di nuovo contro l‟Italia, indusse il
governo italiano ad aderire ad un patto militare difensivo denominato Triplice alleanza e ad
allearsi con il regno austro-ungarico che continuava a detenere ancora le regioni del
trentino e della Venezia Giulia con Trieste.
In quelle terre italiane si avviarono i primi movimenti irredentisti che, ispirati dagli ideali
risorgimentali e mazziniani, si battevano per la cacciata degli austriaci e la riunione
all‟Italia; ma, proprio a causa dell‟alleanza del regno d‟Italia con l‟Austria, non trovarono,
almeno fino al primo decennio del ventesimo secolo, alcuna adesione nel governo italiano.
Il triestino irredentista Guglielmo Oberdan attentò alla vita
dell‟imperatore d‟Austria Francesco Giuseppe in visita a
Trieste, ma venne scoperto prima dell‟attentato e impiccato per
cospirazione.
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La serpeggiante delusione popolare venne, almeno parzialmente, smorzata con
l‟affermazione del Risorgimento in quanto mito nazionale sostenuto da una vera e propria
letteratura popolare pedagogica ad opera di poeti e scrittori come Giosuè Carducci ed
Edmondo de Amicis.
Il Libro Cuore di Edmondo De Amicis, ispirato dall‟esperienza
scolastica dei figli, è intriso di spunti morali attorno agli eventi e
alle idee del Risorgimento; del tutto assente qualsiasi
riferimento alla religione cattolica a causa delle dure
controversie tra patrioti e Pio IX. Alcuni cattolici lo criticarono
duramente con frasi del tipo: “i bambini di Cuore non
festeggiano nemmeno il Natale…”.
In seguito De Amicis si avvicinò alle idee socialiste
allontanandosi dall‟approccio fortemente nazionalistico che
aveva animato il suo romanzo più famoso.
Intanto i grandi movimenti popolari e socialisti si andavano sempre più diffondendo; Il
marxismo si stava rapidamente propagando anche nel nostro paese in risposta alle dure
condizioni delle classi contadine e operaie.
Il papa Leone XIII, nel tentativo di non alienarsi le masse cattoliche attratte sempre più
dalle nuove idee, nel 1891 promulgò l‟enciclica Rerum Novarum in cui per la prima volta la
chiesa cattolica prese posizione rispetto alle questioni sociali cercando una difficile
mediazione tra chi sosteneva la necessità di lasciare completa mano libera al capitale e
all‟impresa e chi chiedeva invece una forte tutela del mondo del lavoro.
Dall‟intesa, invece, tra le correnti operaiste e le correnti intellettuali socialiste che
abbandonarono le posizioni anarchiche nel 1892 nacque a Genova il Partito socialista
italiano
Gli elementi del simbolo del Partito socialista italiano:
-
il libro: gli intellettuali delle città
la falce: i contadini delle campagne
il martello gli operai delle fabbriche
il “sol dell’avvenire”: Garibaldi, sfidando l‟ostilità della
borghesia europea, così definì l‟Internazionale socialista
L‟atteggiamento dei governi che si susseguirono in quegli anni nei confronti dei movimenti
operai e contadini, dei primi sindacati e delle Camere del lavoro, delle leghe dei braccianti
dei primi grandi scioperi e di tutte le forme di protesta contro le misere condizioni di vita e
di lavoro fu duramente repressivo.
In nome del ritorno all‟ordine si tentò non solo di mettere fuori legge i “sovversivi”, ma
anche di limitare fortemente le libertà basilari riconosciute dallo statuto albertino, come la
libertà di associazione, di riunione e di stampa. Ma nonostante questo il successo e la
diffusione delle nuove idee erano inarrestabili.
Particolarmente sanguinoso fu l‟episodio di dura repressione messo in atto dal generale
Bava Beccaris che nel maggio del 1898 a Milano prese a cannonate la folla che
protestava per le condizioni di fame e miseria in cui viveva; vi furono 80 morti e 450 feriti.
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In segno di riconoscimento per quella che il re giudicò una brillante azione di polizia, il
generale Bava-Beccaris ricevette da Umberto I la Gran Croce dell'Ordine Militare di Savoia
e un seggio al Senato.
Il 29 luglio del 1900 l‟anarchico Gaetano Bresci, sotto gli occhi
della popolazione festante di Monza che salutava il passaggio
della carrozza reale, con alcuni colpi di pistola uccise Umberto I
(nell‟immagine a destra). Per sua esplicita ammissione egli era
ritornato appositamente dall‟America per vendicare i morti di
Milano del 1898.
Umberto I, che era succeduto al padre Vittorio Emanuele II nel
1878, a differenza del padre adottò il numerale primo anziché
quarto come avrebbe dovuto fare per mantenere la numerazione
sabauda, per sottolineare la nascita di un nuovo regno. Ma il
figlio che gli successe, Vittorio Emanuele III (nell‟immagine a
sinistra), riprese la numerazione del nonno.
Nonostante le dure reazioni che seguirono al regicidio la borghesia italiana si convinse che
fosse indispensabile cambiare politica per affrontare i crescenti scioperi e proteste.
Simbolo del nuovo periodo liberale divenne Giovanni Giolitti, ripetutamente capo del
governo fino all‟avvento del fascismo. Egli si fece promotore della prima legislazione
sociale a favore dei lavoratori e dell‟estensione della base democratica dell‟Italia unita oltre
che della modernizzazione economica e industriale del paese.
Il lento processo di democratizzazione avvenne principalmente attraverso la progressiva
estensione del diritto di voto che allargò il suffragio elettorale dal 2% del 1861 al 30% del
1919 ricomprendendovi tutti i cittadini maschi con più di 21 anni. Dall‟altro lato nel 1919
venne anche abbandonato il sistema elettorale maggioritario e adottato un sistema di tipo
proporzionale, apparentemente più democratico, ma che di fatto servì ai liberali per evitare
di essere totalmente schiacciati se non dai socialisti dai cattolici ora organizzati del Partito
popolare fondato da Don Luigi Sturzo.
Già dalle elezioni del 1913 lo stesso Giolitti concluse con i rappresentanti del mondo
cattolico un accordo, il patto Gentiloni, in base al quale i cattolici sarebbero stati invitati a
votare quei candidati liberali che si fossero impegnati a non approvare leggi di tipo
anticlericale. Per il nuovo papa Pio X si ritenne che ormai poteva essere superato il Non
expedit di Pio IX e che fosse necessario iniziare a collaborare con lo Stato italiano,
soprattutto per evitare il successo dei socialisti; ecco alcuni punti sui cui si impegnarono
questi candidati:
- difesa delle congregazioni religiose,
- difesa della scuola privata,
- difesa dell‟istruzione religiosa nelle scuole pubbliche,
- difesa dell‟unità della famiglia,
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Ma, trascorsi alcuni anni, ora il mondo cattolico era pronto
a scendere in campo con un proprio schieramento politico
ispirato dalla dottrina sociale della chiesa: don Luigi Sturzo
all‟inizio del 1919 fondò il Partito popolare che si presentò
alle elezioni dello stesso anno ed ottenne oltre il 20% dei
voti dimostrando di essere una forza indispensabile per la
formazione del nuovo governo.
Nell‟immagine a lato Don Luigi Sturzo
Il nuovo sistema elettorale di tipo proporzionale determinò anche un‟altra conseguenza:
l‟entrata nel nuovo parlamento, in seguito alle successive elezioni del 1921, di 35 deputati
di un nuovo schieramento denominato Partito nazionale fascista; con un sistema elettorale
di tipo maggioritario non sarebbero stati più di 4 o 5.
Ma prima di proseguire occorre soffermarci rapidamente sul ruolo dell‟Italia nella prima
guerra mondiale.
La prima guerra mondiale
Alla Triplice alleanza si contrappose ben presto un riavvicinamento della Francia con la
Russia e con l‟Inghilterra che sfociò in un analogo patto militare denominato Triplice
intesa: si iniziavano a porre le basi della prima guerra mondiale.
Nel 1914, allo scoppio della guerra tra Francia e Russia da un lato e Germania e AustriaUngheria dall‟altro, l‟Italia dichiarò la sua neutralità. Gli irredentisti italiani del Trentino e
della Venezia Giulia si posero alla testa della campagna interventista alimentata anche dai
forti interessi economici che l‟esplosione della guerra avrebbe garantito.
55
La causa irredentista è il motivo per cui a quei tempi l‟intervento nella prima guerra
mondiale venne definito come quarta guerra d’indipendenza: ancora una volta gli italiani
affrontavano l‟esercito austriaco con lo scopo di concludere la riunificazione di tutto il
paese nei suoi confini “naturali” al di qua delle alpi.
Grazie a un lento avvicinamento dell‟Italia alla Francia, il re Vittorio Emanuele III, il primo
ministro Antonio Salandra e il suo ministro degli esteri Sidney Sonnino, conclusero,
all‟insaputa della maggioranza del parlamento italiano fermo su posizioni neutraliste, il
Patto di Londra. Si trattava di un accordo segreto proposto dalle potenze dell‟Intesa che, in
cambio dell‟entrata in guerra dell‟Italia contro l‟Austria, prevedeva, a guerra conclusa, una
serie di ampliamenti territoriali per l‟Italia a scapito della stessa Austria; tra l‟altro: il
Trentino e l‟Alto Adige, la Venezia Giulia, l‟intera penisola istriana e una parte della
Dalmazia.
Il Patto di Londra, in fondo, rappresentava una riedizione riveduta e corretta degli accordi
di Plombières che posero i presupposti dello scoppio della seconda guerra di
indipendenza e che costò all‟Italia l‟accusa di tradimento da parte dell‟Austria.
Il 24 maggio del 1915 l‟Italia iniziò le ostilità, ma, dopo una inutile serie di attacchi frontali
agli austriaci, il massacro di moltissimi soldati italiani e alla sostanziale incapacità del
comandante in capo Luigi Cadorna, il conflitto si stabilizzò in una logorante guerra di
trincea fino a quando, l‟uscita dalla Russia dal conflitto a causa della rivoluzione socialista
nel 1917, non causò il sopraggiungere di nuove truppe sul fronte meridionale e una
potente controffensiva austriaca: la disfatta di Caporetto che condusse l‟esercito Austriaco
fino al Piave.
Tale disfatta porterà finalmente alla sostituzione del generale Cadorna, che imputava le
cause della sconfitta alla incapacità e alla viltà dei propri soldati, con il generale Armando
Diaz che in breve tempo, anche a causa dei problemi interni e sugli altri fronti dell‟Austria,
riuscì a rianimare l‟esercito italiano ed in pochi mesi condurlo alla vittoria.
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In realtà l‟esercito italiano si batté valorosamente e spesso in condizioni tremende,
peggiori di qualsiasi altro esercito presente nei fronti di guerra. Le punizioni ripetute ai
reparti ritenuti incapaci o vili, fino a giungere alle terribili decimazioni, le condizioni
disumane di vita nelle trincee per una guerra dichiarata all‟insaputa di un parlamento
democraticamente eletto e condotta da ufficiali incapaci e senza alcun riguardo alla vita
dei propri soldati trasformati in vera e propria carne da macello screditò le istituzioni e
sicuramente tutto questo va enumerato tra le numerose concause dell‟avvento del
fascismo.
E‟ inoltre doveroso ricordare le migliaia di italiani che vivevano nelle terre irredente e che,
spesso disertarono o passarono il confine per evitare l‟arruolamento nell‟esercito austriaco
e si unirono ai soldati italiani. Le figure di combattenti irredentisti forse più illustri, assieme
a Guglielmo Oberdan, furono quelle di Cesare Battisti e Nazario Sauro.
Cesare Battisti, deputato di idee socialiste di origini trentine e quindi
eletto nel parlamento austriaco, allo scoppio della guerra fuggì in Italia
per arruolarsi come volontario nell‟esercito sabaudo.
Nel corso di una sfortunata azione militare venne catturato dagli
austriaci, condannato a morte e impiccato tenendo sempre un
contegno fiero ed eroico. Il giorno prima dell‟impiccagione venne
trasportato su un carretto in catene per le strade di Trento e sottoposto
agli insulti e agli sputi della popolazione aizzata dai soldati austriaci.
Pare che nel corso dell‟esecuzione il cappio si spezzò, ma invece che
concedergli la grazia com'era usanza, il carnefice ripeté la sentenza
con una nuova corda; prima di morire gridò Viva Trento italiana! Viva
l’Italia!
Nazario Sauro, patriota di Capodistria, come Battisti, disertò dalla
marina austriaca in cui rivestiva il ruolo di ufficiale, per servire
molto valorosamente l‟Italia.
Nel corso di una operazione militare fallita venne catturato dagli
austriaci; nonostante ebbe dato false generalità nel corso del
processo a nulla valse il drammatico confronto con la madre che,
pur di salvarlo dall‟impiccagione, negò di conoscerlo, mentre
decisivo fu il riconoscimento ad opera del cognato, Maresciallo
della Guardia di Finanza austriaca. Venne condannato per alto
tradimento e ucciso per impiccagione anch‟egli ripetutamente
gridando Viva l’Italia!. Prima dell‟esecuzione scrisse una
commovente lettera testamento al proprio figlio maggiore:
“Caro Nino,
Tu forse comprendi od altrimenti comprenderai fra qualche anno quale era il mio dovere
d'italiano. Diedi a te, a Libero ad Anita a Italo ad Albania nomi di libertà, ma non solo sulla
carta; questi nomi avevano bisogno del suggello ed il mio giuramento l'ho mantenuto. Io
muoio col solo dispiacere di privare i miei carissimi e buonissimi figli del loro amato padre,
ma vi viene in aiuto la Patria che è il plurale di padre, e su questa patria, giura o Nino, e
farai giurare ai tuoi fratelli quando avranno l'età per ben comprendere, che sarete sempre,
ovunque e prima di tutto italiani! I miei baci e la mia benedizione. Papà
Dà un bacio a mia mamma che è quella che più di tutti soffrirà per me, amate vostra
madre! e porta il mio saluto a mio padre”.
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Ma la Grande Guerra, soprattutto dopo Caporetto, rappresentò anche la prima vera prova
di una guerra collettiva combattuta da italiani provenienti da ogni parte della penisola e
accomunati dal medesimo sentimento nazionale: sul Monte Grappa e sul Piave, ancora
prima dell‟arrivo degli alleati francesi e inglesi, in condizioni peggiori rispetto a qualsiasi
altro esercito, l‟esercito italiano e i “Ragazzi del “99”, la leva militare più giovane
impegnata in quella immensa carneficina, dimostrarono di fronte a tutto il mondo, ancora
prima della Resistenza, il valore di una Italia vera e patriottica, non più semplice
“espressione geografica”.
La grande sofferenza dei soldati al fronte fu esemplarmente narrata nelle poesie di
Giuseppe Ungaretti, volontario nell‟esercito italiano che sicuramente non amava la guerra,
ma che riteneva egualmente che dovesse essere valorosamente combattuta per il paese.
San Martino del Carso
Soldati
Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro
Si sta
Come d‟autunno
Sugli alberi
Le foglie
Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto
Ma nel cuore
nessuna croce manca
É il mio cuore
il paese più straziato.
Siamo ben lontani dalle sbruffonate di Gabriele D‟Annunzio
che, con la guerra, raggiunse il culmine della sua notorietà;
egli dedicava versi retorici a Cadorna, adulava i potenti,
imbrogliava ed esaltava la sua stucchevole vanità; pretese
anche di comandare altri uomini in azioni militari tanto stupide
sul piano militare quanto utili a promuovere la sua immagine di
presunto eroe.
Terminata la guerra con i successivi trattati di pace non furono pienamente rispettati gli
accordi stabiliti con il patto di Londra e all‟Italia vennero assegnati i territori del TrentinoAlto Adige, Trieste, Gorizia, l'Istria, Zara e le isole del Carnaro; non venne invece attribuita
Fiume, a maggioranza etnica italiana, la Dalmazia ed altri territori promessi. D‟Annunziò
coniò il termine di Vittoria mutilata cavalcando lo scontento dei militari e dei nazionalisti di
cui ben presto si impossesserà anche Benito Mussolini.
Ecco, dopo tali trattati, come si presentava l‟Italia nel 1919:
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L’Avvento del fascismo e della guerra
Nel primo dopoguerra la vittoria, le acquisizioni territoriali e la pace non determinarono un
reale miglioramento delle condizioni di vita delle masse operaie e contadine. Prima della
fine della guerra ai braccianti il governo aveva promesso la divisione delle terre e ai
lavoratori un miglioramento delle condizione economiche, ma nulla di tutto ciò venne mai
concretizzato; il ritorno dei soldati dal fronte e la difficoltà di riconversione dell‟industria
bellica in industria civile causò una crescita della disoccupazione; aumentò enormemente
il prezzo dei beni e, il costo della guerra determinò anche un notevole inasprimento delle
imposte.
Disordini, grandi agitazioni, scioperi e proteste erano ormai all‟ordine del giorno; nel
biennio rosso (1919-1920) si moltiplicarono i tumulti e le manifestazioni di protesta, ma
anche le occupazioni di terre e fabbriche dettate dalle pessime condizioni di vita dei
lavoratori a fronte degli enormi arricchimenti che la guerra aveva portato alla borghesia
industriale.
I sindacati e i primi partiti di massa andavano sempre più rafforzandosi e alle elezioni del
1919 questi ultimi riuscirono ad ottenere un buon risultato elettorale. Nel 1921, dal
congresso del Partito socialista di Livorno, nacque il partito comunista italiano il quale si
poneva come obiettivo l‟abbattimento dello Stato borghese e l‟edificazione di uno Stato
socialista sull‟esempio della Russia di Lenin del 1917.
Cominciò ad insinuarsi tra le classi dei proprietari terrieri e della borghesia industriale la
grande paura di un possibile cambiamento rivoluzionario; bisognava intervenire: ma al
dialogo e alle concessioni economiche e politiche quelle classi preferirono il manganello.
Benito Mussolini seppe sfruttare il risentimento delle organizzazioni dei reduci provenienti
dal fronte che aggiungevano al malcontento generalizzato la delusione di non avere
ricevuto un adeguato riconoscimento per gli enormi sacrifici della partecipazione alla
guerra. D‟altra parte il partito nazionale fascista, presentandosi come il partito dell’ordine
59
che avrebbe ben presto rimesso in riga gli agitatori rossi si guadagnò rapidamente la
fiducia e il forte sostegno economico delle classi benestanti.
Gli incendi alle case del popolo in cui si riunivano i lavoratori, le prime missioni punitive e i
primi pestaggi, il manganello, il pugnale e l‟olio di ricino delle camice nere, tollerati se non
addirittura protetti dalle forze dell‟ordine, suggellarono la nascita del nuovo movimento.
Benito Mussolini
Il momento della rivoluzione fascista sembrava giunto quando nell‟ottobre del 1922 un
numeroso contingente di squadristi fu radunato nell‟alto Lazio in attesa dell‟ordine di
marciare su Roma. L‟esercito si predispose ad affrontare la protesta ed a proteggere la
capitale; in realtà Vittorio Emanuele III non aspettava altra occasione migliore e, anziché
firmare il decreto di stato d‟emergenza, permise alle camice nere di marciare su Roma il
28 ottobre del 1922 senza che vi si opponesse alcuna resistenza, costrinse alle dimissioni
il presidente del consiglio Luigi Facta e diede l‟incarico di formare il nuovo governo allo
stesso Benito Mussolini.
Benito Mussolini alla marcia su Roma
Furono sufficienti alcuni anni di fascismo per bloccare quel graduale processo di
democratizzazione avviato nel periodo giolittiano, stravolgere con una certa facilità i
contenuti liberali dello Statuto albertino a causa della sua natura flessibile e avviare
rapidamente l‟Italia a una pesante dittatura.
Nel 1923 una legge legalizzò le squadre fasciste in Milizia volontaria per la sicurezza
nazionale, un corpo militare e di polizia parallelo, alle strette dipendenze del Partito
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Nazionale fascista; con le leggi fascistissime emanate a partire dal 1925 vengono
dichiarati decaduti tutti i deputati dell‟opposizione, abolita la libertà di stampa, soppressi i
giornali di opposizione, sciolti i partiti, istituito il Tribunale speciale e ripristinata la pena di
morte, vietato il diritto di organizzarsi in sindacati, trasformato lo sciopero in reato.
Il destino degli oppositori politici era il confino, il carcere, la tortura o la morte. La lista delle
vittime antifasciste è fatta di uomini coraggiosi ed illustri; tra gli altri possiamo ricordare: un
parroco che difendeva il diritto degli scout di scendere nella piazza di Argenta ucciso a
bastonate, Don Giovanni Minzoni; un deputato che coraggiosamente denunciò i brogli
elettorali del fascismo, rapito e ucciso, Giacomo Matteotti; un liberale ex ministro del
governo regio selvaggiamente picchiato e morto in seguito a queste percosse, Giovanni
Amedola; un giovane giornalista e scrittore anch‟egli morto in seguito alle ripetute
percosse, Piero Gobetti; due fratelli antifascisti promotori della guerra in Spagna
assassinati in Francia da sicari fascisti, i fratelli Rosselli; un deputato del parlamento
italiano, fondatore di un partito, filosofo e critico letterario, duramente condannato e fatto
marcire in carcere, Antonio Gramsci.
Le sole elezioni “plebiscitarie” che si svolsero nel 1929 furono effettuate su un unico
listone fascista in cui era possibile votare solamente con un sì; ma in una scheda
trasparente non votare sì significava come minimo essere pestati fuori dal seggio; chi
voleva lavorare negli uffici pubblici, nella scuola e nelle università doveva avere la tessera
del PNF e prestare giuramento di fedeltà al regime.
“Approvate voi la lista dei deputati designati dal
Gran consiglio Nazionale del Fascismo?”
SI
61
L‟11 febbraio del 1929 vennero
firmati tra Stato italiano e Chiesa
cattolica i Patti lateranensi; Mussolini
venne esaltato dalla propaganda
fascista come l‟uomo che aveva
finalmente posto fine al conflitto di
origine risorgimentale tra Stato e
Chiesa traendone grande consenso
tra le masse popolari cattolica;
d‟altra parte la stessa chiesa salutò il
duce
come
l’uomo
della
Provvidenza.
All‟art. 1 del Concordato si afferma che “La religione cattolica apostolica e romana è la
sola religione dello Stato”. Il carattere confessionale che si volle imprimere allo Stato
fascista comportò una serie notevole di privilegi e diritti riconosciuti alla chiesa; tra l‟altro:
viene ricostituito un minuscolo Stato della chiesa denominato Città del Vaticano; vengono
garantiti una serie di diritti alla chiesa cattolica di carattere fiscale; si stabilisce che il
matrimonio cattolico avrà automatici effetti civili; viene reso obbligatorio l‟insegnamento
religioso nelle scuole pubbliche a carico dello stato, ma con insegnanti scelti dalla curia;
viene previsto un cospicuo risarcimento dei danni subiti dalla Santa Sede con la presa di
Roma del 1870. Il che, in particolare, rappresentò un implicito riconoscimento del fascismo
dell‟illegittimità di quell‟atto che aveva invece coronato il Risorgimento italiano.
La mappa di Città del Vaticano
Da un punto di vista istituzionale tutto il potere fa capo a Mussolini e al suo governo; è
abolito il voto di fiducia del parlamento e formalmente il duce risponde del suo operato al
re, ma, di fatto, la monarchia sabauda nulla fece nel ventennio fascista per opporsi alla
dittatura; e nulla fece, in particolare, quando Mussolini si alleò con Hitler, quando Mussolini
fece approvare anche in Italia le vergognose leggi razziali e quando Mussolini, nel 1940,
fece entrare in guerra l‟Italia al fianco del nazismo.
Hitler con Mussolini nel corso della sua visita a Roma del 1938
62
Manifesti fascisti dopo l’emanazione delle leggi razziali
Spesso la nostra memoria, anche se
sicuramente in misura minore di quanto
accade fra i tedeschi, tende a rimuovere il
fatto che principalmente l‟Italia fascista,
assieme alla Germania nazista e al Giappone
imperiale, causarono la più devastante e
crudele guerra che la storia dell‟umanità abbia
mai conosciuto.
La seconda guerra mondiale costò un tributo elevatissimo: sessanta milioni di vittime, in
gran parte civili inermi, l‟inferno dell‟olocausto nei campi di concentramento, la distruzione
di migliaia di città, e la sua conclusione con la catastrofe delle prime bombe atomiche
sganciate su degli esseri umani
Prigionieri in un campo di
concentramento
Città distrutta dai
bombardamenti
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La bomba atomica sul
Giappone
La caduta del fascismo e la Resistenza
L‟illusione di Mussolini di una facile e veloce vittoria che avrebbe potuto consentirgli di
sedersi al tavolo della pace ed ottenere importanti concessioni territoriali svanì dopo i primi
mesi di guerra; la disfatta militare incombente, dopo lo sbarco degli alleati in Sicilia agli
inizi di luglio del 1943, fu la causa determinante dell‟ordine del giorno votato dal Gran
Consiglio del fascismo nella notte tra il 24 e il 25 luglio 1943.
L'ordine del giorno proposto da Dino Grandi
Il Gran Consiglio del Fascismo
riunendosi in queste ore di supremo cimento, volge innanzi tutto il suo pensiero agli
eroici combattenti di ogni arma che, fianco a fianco con la gente di Sicilia in cui più
risplende l'univoca fede del popolo italiano, rinnovando le nobili tradizioni di strenuo
valore e d'indomito spirito di sacrificio delle nostre gloriose Forze Armate, esaminata la
situazione interna e internazionale e la condotta politica e militare della guerra
proclama
il dovere sacro per tutti gli italiani di difendere ad ogni costo l'unità, l'indipendenza, la
libertà della Patria, i frutti dei sacrifici e degli sforzi di quattro generazioni dal
Risorgimento ad oggi, la vita e l'avvenire del popolo italiano;
afferma
la necessità dell'unione morale e materiale di tutti gli italiani in questa ora grave e
decisiva per i destini della Nazione;
dichiara
che a tale scopo è necessario l'immediato ripristino di tutte le funzioni statali,
attribuendo alla Corona, al Gran Consiglio, al Governo, al Parlamento, alle
Corporazioni i compiti e le responsabilità stabilite dalle nostre leggi statutarie e
costituzionali;
invita
il Governo a pregare la Maestà del Re, verso il quale si rivolge fedele e fiducioso il
cuore di tutta la Nazione, affinché Egli voglia per l'onore e la salvezza della Patria
assumere con l'effettivo comando delle Forze Armate di terra, di mare, dell'aria,
secondo l'articolo 5 dello Statuto del Regno, quella suprema iniziativa di decisione che
le nostre istituzioni a Lui attribuiscono e che sono sempre state in tutta la nostra storia
nazionale il retaggio glorioso della nostra Augusta Dinastia di Savoia.
Con tale atto i gerarchi fascisti sostanzialmente chiedevano al re Vittorio Emanuele III,
esercitando i poteri riconosciutigli dallo Statuto albertino, di destituire Mussolini e formare
un nuovo governo.
L‟indomani, con uno stratagemma, il re fece arrestare Mussolini e diede l‟incarico di
formare il nuovo governo al generale Badoglio il quale, rapidamente, mise fuori legge il
partito fascista e si impegnò a convocare le elezioni delle camere a guerra finita.
L‟intenzione del re era quella di far tornare in vita lo Statuto albertino e il regime liberal
monarchico precedente il fascismo quasi come se nei vent‟anni precedenti non fosse
accaduto nulla. Ma gli eventi si svilupparono in ben altra direzione.
64
Il generale Badoglio, l‟8 settembre del 1943, firmò l‟armistizio con gli anglo americani
senza organizzare la pur minima difesa contro la prevedibile e feroce reazione dei
tedeschi che rapidamente occuparono l‟Italia con lo scopo di frenare l‟avanzata degli anglo
americani. Da alleati i tedeschi diventarono nemici occupanti che noi, ai loro occhi,
avevamo vigliaccamente tradito.
Il re e Badoglio abbandonarono frettolosamente Roma per rifugiarsi al sud sotto la
protezione dei nuovi alleati; il legittimo governo italiano evitò di dare tempestive e chiare
disposizioni lasciando nel più completo sbando le sue forze armate sparse in tutta Europa;
solo nell‟ottobre del 1943 dichiarò guerra alla Germania determinando una condizione di
coobelligeranza delle nostre forze armate.
In parecchi, a torto, ritennero che la guerra fosse quasi finita, in realtà per il centro e per il
nord Italia occupato iniziava il periodo più tragico.
Mussolini venne liberato da un commando tedesco e portato al nord, occupato dagli stessi
tedeschi, dove fu messo a capo della Repubblica Sociale italiana (o Repubblica di Salò),
uno Stato fantoccio sotto il controllo di Hitler che perpetrò i crimini più orribili a danno del
popolo italiano.
Per liberare l‟Italia occupata dai tedeschi e dai fascisti loro alleati i partiti antifascisti
organizzarono clandestinamente le prime formazioni partigiane dando gradualmente vita a
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un grande movimento di liberazione nazionale formato da aderenti che si autodefinirono
patrioti e che riscatterà ben presto agli occhi del mondo l‟Italia dalla vergogna del
fascismo. In gran parte vi parteciparono ragazzi giovani, sfuggiti dalla cattura dei tedeschi
e ritornati dal fronte o che rifiutarono, come nel lombardo veneto o nelle terre irredente
dell‟epopea risorgimentale, l‟arruolamento coatto nella Repubblica di Salò.
Gli anni della Resistenza faranno rivivere, in certa misura, il mito del Risorgimento e della
lotta di liberazione dallo straniero; anche le numerosissime vittime della dura e sanguinosa
repressione fascista e nazista diventaranno martiri sacrificati in nome di una patria da
riconquistare. E‟ con questo grande e decisivo movimento nazionale di popolo e con la
riconquista definitiva della libertà e della democrazia che troverà pieno compimento il
processo risorgimentale.
I capi della Resistenza furono consapevoli del fatto che solo con la ribellione partigiana il
popolo italiano avrebbe potuto dimostrare al mondo, dopo il ventennio fascista, quanto
profondo fosse il sentimento per i valori antifascisti acquisendo il diritto al rispetto
internazionale.
Partigiani
In occasione del 66° anniversario dell‟8 settembre 1943 il Presidente della Repubblica
Giorgio Napolitano ha dichiarato: “Tanti uomini hanno combattuto e hanno perso la vita
per ridare dignità, indipendenza e libertà all’Italia… c’è continuità tra le battaglie del
Risorgimento e quelle battaglie che hanno garantito lo sviluppo dello stato nazionale,
unitario e democratico”.
I partiti antifascisti riuscirono, riemergendo dalla clandestinità, a darsi una stabile
organizzazione politica nel Comitato di liberazione nazionale (CLN) con il quale la
monarchia e il governo legittimo di Badoglio dovettero confrontarsi. Con il Patto di Salerno
della primavera del 1944, nonostante prevalesse tra i partiti una posizione ostile alla
monarchia, si decise una vera e propria tregua istituzionale, vale a dire di riunire tutte le
forze in campo per scacciare i nazisti e i fascisti loro alleati rinviando la scelta fra
monarchia e repubblica a dopo la guerra. Il re Vittorio Emanuele III si impegnò a ritirarsi a
vita privata e, in attesa della scelta istituzionale, la funzione di capo dello Stato veniva
assunta provvisoriamente dal figlio Umberto con il titolo di Luogotenente generale del
regno.
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Il figlio del re Vittorio Emanuele III, Umberto, Luogotenente generale del regno
Dopo la liberazione di Roma del giugno 1944 il governo Badoglio venne sostituito da un
governo presieduto dallo stesso presidente del CLN Ivanoe Bonomi a cui parteciparono
tutti i partiti antifascisti che, intanto, continuavano a dirigere la guerra partigiana nel centro
nord e nel nord Italia.
Intanto il Comando Supremo Alleato, nonostante le perplessità iniziali, riconosceva il CLN
dell‟alta Italia autorizzando le sue azioni di guerra dei territori occupati dai tedeschi e
fornendo armi ed aiuti mentre gradualmente le forze militari sul campo risalivano
lentamente verso il nord.
La Resistenza si protrarrà fino alla primavera del 1945 quando, l‟arrivo delle truppe anglo
americane nella pianura padana, spesso anticipato dalle truppe partigiane, costringerà
l‟esercito tedesco a ritirarsi verso il nord lasciandosi dietro una striscia di morte e
distruzione.
Tra civili uccisi, partigiani caduti o giustiziati, militari fucilati o vittime nei lager i morti furono
all‟incirca centomila: fu una terribile guerra civile fra i militari e i civili fedeli al re e al
governo legittimo del paese da una parte e i fedeli al duce e al nazismo dall‟altra. Ma molti
italiani capirono benissimo da che parte stare!
Lapide commemorativa dei militari italiani caduti a Cefalonia dopo l’8 settembre 1843 per
non essersi arresi ai tedeschi: inizia la Resistenza
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I rastrellamenti e le esecuzioni di massa ad opera dei nazisti e dei fascisti furono
tantissimi; spessissimo le catture dei banditi, anche così venivano definiti i partigiani,
terminavano con la tortura e l‟impiccagione seguita dall‟esibizione dei cadaveri per giorni
di fronte ai genitori e ai compaesani.
Partigiani impiccati
Prima di essere catturato dai partigiani Mussolini tentò un‟indegna fuga, come altre di
questa narrazione, in una camionetta travestito da soldato tedesco; fu ucciso e poi portato
a Milano e impiccato a testa in giù a piazzale Loreto con la sua amante e altri gerarchi
fascisti nello stesso luogo in cui circa un anno prima per giorni rimasero esposti i cadaveri
di quindici partigiani e antifascisti uccisi da un plotone di esecuzione della Repubblica
sociale italiana. Questo forse non giustifica le violenze, ma aiuta a capire gli sputi, i calci e
la reazione della popolazione di Milano sul corpo inerte del duce.
1944
1945
Al termine del conflitto gli Alleati riconobbero l‟enorme contributo alla vittoria del
movimento partigiano ammettendone le dimensioni che superarono anche le più
ottimistiche previsioni.
25 aprile 1945: la liberazione
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L‟Italia partigiana e antifascista vinse la guerra, ma l‟Italia fascista di Mussolini ne uscì
sconfitta e fece perdere, con i trattati di pace che seguirono, parte dei territori acquisiti con
l‟enorme sacrificio della prima guerra mondiale. Solo parecchi anni dopo la fine della
guerra trovò definitiva soluzione la questione di Trieste che, inizialmente, non venne
direttamente attribuita al nostro paese.
Repubblica e Assemblea costituente
Con il Patto di Salerno si decise anche che, a guerra terminata, gli italiani avrebbero
dovuto eleggere un‟Assemblea Costituente con il compito di redigere una nuova
Costituzione. Lo Statuto Albertino non rappresentava più, semmai lo aveva fatto, la reale
volontà degli italiani. La Costituzione del Regno d‟Italia dal 1848 era ancora formalmente
in vigore poiché le leggi fasciste che lo avevano travolto erano state in certa misura già
abrogate a partire dal 25 luglio 1943, dopo la destituzione di Mussolini.
Ora la guerra era terminata e la parola dalle armi doveva passare alle urne, ma, sia per
difficoltà tecniche relative all‟apprestamento delle nuove liste degli elettori, sia a causa di
pressioni politiche delle forze più moderate che temevano nell‟immediato dopoguerra una
reazione popolare troppo favorevole alle forze più innovative, dovettero trascorrere ancora
tredici mesi perché si giungesse alle prime elezioni libere attraverso le quali gli italiani
avrebbero dovuto porre le fondamenta delle nuove istituzioni del Paese.
Dal 1928 il popolo italiano non era più stato chiamato alle urne e, finalmente, il 2 giugno
1946 si celebrarono le elezioni. Ad ogni italiano, uomo o donna di almeno 21 anni di età,
vennero consegnate due schede: una per la scelta fra Monarchia e Repubblica, il
cosiddetto referendum istituzionale, l‟altra per l‟elezione dei 556 deputati dell‟Assemblea
Costituente sulla base di un sistema elettorale proporzionale a liste concorrenti e collegi
elettorali plurinominali.
Esse rappresentarono, nella storia del Paese, le prime elezioni che si svolsero a suffragio
universale, maschile e femminile; per la prima volta il diritto di voto venne esteso anche
alle donne. Erano ormai lontani i tempi dell‟Unità d‟Italia in cui le percentuali degli aventi
diritto al voto per la Camera dei Deputati si aggiravano attorno al 2% della popolazione;
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nel 1946 gli aventi diritto al voto rappresentavano il 61,4% degli italiani; bisognava però
ancora attendere l‟estensione del diritto di voto anche ai diciottenni nel 1975 perché la
soglia degli aventi diritto superasse il 70% dell‟intera popolazione.
Il 9 maggio 1946 l‟abdicazione del Re Vittorio Emanuele III a favore del figlio Umberto II fu
l‟estremo tentativo di presentare al popolo la dinastia dei Savoia con un nuovo volto meno
compromesso con il regime fascista; tuttavia gli esiti del referendum istituzionale furono
favorevoli alla Repubblica.
Circa 12 milioni e settecentomila italiani, contro 10 milioni e settecentomila, decisero che
l‟Italia doveva trasformarsi da Regno in Repubblica, con un Capo dello Stato elettivo.
Umberto II, l‟ultimo Sovrano d‟Italia, passò alla storia con l‟appellativo di “Re di maggio”.
Dopo qualche temporeggiamento e la comunicazione dei dati definitivi, il 13 giugno 1946
egli decise di lasciare il Paese con la sua famiglia e andarsene in esilio, riconoscendo la
sconfitta e la fine della Monarchia.
Il 2 giugno 1946 è ancora oggi ricordato come l‟anniversario della Repubblica e dal 2001 è
stata ripristinata la festività civile precedentemente soppressa. C‟è per di più chi oggi
richiede che questa diventi anche la festa della Costituzione.
Fu evidente ed imperdonabile per la maggior parte del popolo italiano la responsabilità
politica e morale del re nell‟ascesa della dittatura e nella guerra. È significativa la prima
affermazione contenuta nel primo articolo della futura Costituzione repubblicana: “L‟Italia è
una Repubblica...”, a cui corrisponde l‟ultima norma, l‟art. 139, che chiude l‟articolato con
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la prescrizione: “La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione
costituzionale”, a sottolineare il valore perenne e irrevocabile di quella scelta popolare.
Il primo Presidente della Repubblica italiana fu Luigi Einaudi, eletto dal Parlamento
secondo le regole contenute nella nuova Costituzione (tit. II della seconda parte) il 12
maggio 1948, dopo le prime elezioni politiche vere e proprie del 18 aprile dello stesso
anno. Fino ad allora assunse le funzioni di Capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola
che venne eletto dall‟Assemblea Costituente appena insediatasi.
Gli esiti dell‟elezione dei 556 componenti dell‟Assemblea Costituente che, in
rappresentanza del popolo, avrebbero elaborato la nuova Costituzione, furono per lo più
favorevoli a quei partiti politici che avevano combattuto la dittatura e, in particolare nel
corso della Resistenza, si erano riorganizzati assumendo un ruolo guida nella lotta armata
contro il nazifascismo e nella transizione dallo Stato fascista al nuovo Stato.
L’assemblea costituente
Si trattava principalmente dei tre grandi partiti di massa che avrebbero caratterizzato
anche la vita politica italiana nei decenni successivi all‟entrata in vigore della Costituzione:
la Democrazia Cristiana, che ebbe il 35,2% dei voti; il Partito Socialista di Unità Proletaria,
con il 20,8%; il Partito Comunista italiano, con il 19%.
I più alti e valorosi nomi della Resistenza italiana, accanto al fior fiore dei giuristi
democratici dell‟epoca e di una nuova classe politica che si stava formando, comparivano
tra i Costituenti scelti dagli italiani. per la Democrazia Cristiana: Alcide De Gasperi,
Giuseppe Dossetti, Amintore Fanfani, Giovanni Gronchi, Giorgio La Pira, Giovanni Leone,
Aldo Moro, Costantino Mortati, Mariano Rumor, Oscar Luigi Scalfaro, Benigno Zaccagnini;
per il Partito Socialista: Lelio Basso, Pietro Nenni, Sandro Pertini, Luigi Preti, Giuseppe
Saragat, Ignazio Silone; per il Partito Comunista: Giorgio Amendola, Arrigo Boldrini,
Giuseppe Di Vittorio, Nilde Iotti, Luigi Longo, Giancarlo Pajetta, Emilio Sereni, Umberto
Terracini, Palmiro Togliatti; per il Partito Repubblicano: Ugo la Malfa e Ferruccio Parri; per
i liberali: Benedetto Croce e Luigi Einaudi; per il Partito d‟Azione: Piero Calamandrei,
Riccardo Lombardi, Leo Valiani; per il Partito Sardo d‟Azione: Emilio Lussu.
Una commissione composta da 75 membri rappresentativi di tutta l‟Assemblea ricevette
l‟incarico di redigere un progetto che avrebbe dovuto servire da base per la successiva
discussione.
Dopo circa sei mesi di attività, la “Commissione dei 75” presentò il suo lavoro
all‟Assemblea che nel corso di quasi tutto il 1947 discusse, integrò, modificò, articolo per
71
articolo, quella prima proposta e, finalmente, il 22 dicembre dello stesso anno approvò a
larghissima maggioranza il testo definitivo della Costituzione che successivamente venne
promulgato dal Capo provvisorio dello Stato ed entrò in vigore il primo gennaio 1948.
Una Costituzione che nasce dal popolo
Per la prima volta gli italiani avevano una Costituzione, elaborata direttamente dai loro
rappresentanti liberamente e democraticamente eletti, come richiedevano le correnti più
avanzate del Risorgimento cent‟anni prima.
Lo Statuto Albertino del 1848, che dopo un secolo di vita era giunto al suo definitivo
tramonto, era una Costituzione concessa dall‟alto, dal Sovrano ai suoi sudditi e, pur
rappresentando la risposta del Re Carlo Alberto ai moti insurrezionali che si stavano
diffondendo in tutta Europa, nacque senza alcuna consultazione democratica. Ben altro
contenuto innovativo avrebbe avuto se fosse stata il frutto di un‟Assemblea eletta dal
popolo.
Anche successivamente a nulla valsero le richieste di un‟Assemblea Costituente
provenienti dalle correnti democratiche del nostro Risorgimento, e in particolare da quelle
mazziniane. Dopo l‟unificazione d‟Italia, lo Statuto Albertino, emanato per il piccolo Regno
di Sardegna, divenne la legge fondamentale del Regno d‟Italia, riconfermando il
predominio delle correnti liberali più moderate.
La nuova Costituzione repubblicana nacque invece una grande lotta di popolo; furono i
capi della Resistenza e dei partiti antifascisti che avevano imbracciato le armi e patito la
persecuzione politica, il confino e il carcere fascista, i nuovi leader della classe politica
emergente, scelti dallo stesso popolo, ad elaborare la nuova Costituzione.
Essa rappresenta, come la definì un grande giurista antifascista e membro dell‟Assemblea
Costituente, Piero Calamandrei, “il programma politico della Resistenza”. Egli scrisse:
“...Dietro ad ogni articolo di questa Costituzione, o giovani, voi dovete vedere giovani
come voi: caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di
concentramento... morti per le strade di Milano, per le strade di Firenze, che hanno dato la
vita perché la libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa carta...”. E ancora:
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“...Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani,
col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione”.
Era la prima volta nella storia d‟Italia che le grandi masse popolari partecipavano
direttamente e consapevolmente al loro destino, in risposta alla dittatura e alla guerra.
La Costituzione si affermò come patto fondamentale tra forze politiche diverse, ma
accomunate dall‟antifascismo e da una forte aspirazione ideale nata nella guerra di
Liberazione.
Ad essa i Costituenti decisero di imprimere il carattere della rigidità, collocandola al vertice
di tutto l‟ordinamento giuridico. Si tratta di una caratteristica propria di quasi tutte le
Costituzioni democratiche del novecento legata, appunto, al valore di patto fondamentale
tra le diverse forze politiche che esse assumono.
All‟opposto, lo Statuto Albertino, come in genere le Costituzioni liberali dell‟ottocento, era
una Costituzione flessibile, modificabile cioè dal Parlamento con il normale procedimento
di approvazione delle leggi ordinarie; ma si trattava di un Parlamento in parte di nomina
regia e in parte eletto a suffragio ristretto, che rappresentava gli interessi della Corona e
dell‟alta borghesia e che mai avrebbe potuto minacciare modifiche radicali a una
Costituzione decisamente moderata.
Fu anche per questo abbastanza agevole, sul piano giuridico, per il regime fascista
introdurre una serie di leggi liberticide le quali, instaurando in Italia la dittatura, ben presto
travolsero i contenuti più liberali dello Statuto Albertino, che pure formalmente continuò a
rimanere in vigore.
I Costituenti decisero dunque di mettere al riparo gli articoli della Costituzione
repubblicana da eventuali futuri colpi di mano di momentanee maggioranze politiche,
parlamentari e di Governo, imprimendo ad essa il carattere della rigidità. Le regole del
gioco e i principi su cui si sarebbe edificato il nuovo ordinamento non potevano essere
toccati se non con un apposito procedimento di revisione costituzionale, molto più lungo e
gravoso del normale procedimento legislativo e comunque solo con la partecipazione di
larghissimi schieramenti politici.
L‟art. 138 della Costituzione, infatti, prevede per la modifica di una parte della stessa
Costituzione una doppia votazione ad opera delle due Camere, ad intervallo non inferiore
a tre mesi, una maggioranza qualificata per l‟approvazione e l‟eventualità di un referendum
popolare qualora ne facciano richiesta un quinto dei membri di una Camera,
cinquecentomila elettori o cinque consigli regionali, ma solo nel caso in cui l‟approvazione
sia avvenuta a maggioranza inferiore ai due terzi e, comunque, superiore alla
maggioranza assoluta.
Un altro importantissimo meccanismo giuridico, a tutela della rigidità della Costituzione, è
poi previsto da altre norme della stessa Costituzione collocate immediatamente prima
dello stesso articolo 138, nel medesimo tit. VI della seconda parte, non a caso intitolato
“Garanzie costituzionali”. Si tratta della Corte Costituzionale, inesistente nel vecchio
Statuto Albertino, che ha, tra i suoi compiti principali, quello di giudicare le controversie
relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge dello Stato
e delle Regioni (art. 134 Cost.).
Questo organo costituzionale può abrogare tutte le norme di legge che contrastino con la
Costituzione, che in tal modo è effettivamente, e non solo formalmente, saldamente
collocata al vertice di tutto il diritto italiano come una sorta di “legge delle leggi”, a
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massima garanzia e tutela del patrimonio ideale della lotta antifascista da cui essa nacque
e degli altissimi valori che essa espresse, contenuti nelle diverse disposizioni
costituzionali.
Il compromesso costituzionale
La Costituzione repubblicana è composta da 139 articoli dei quali i primi dodici riguardano
i Principi fondamentali. I successivi quarantadue articoli costituiscono la prima parte
dedicata ai Diritti e doveri dei cittadini, a sua volta suddivisa in quattro titoli: rapporti civili;
rapporti etico-sociali; rapporti economici; rapporti politici. I rimanenti ottantacinque articoli
rappresentano la seconda parte che disciplina l‟Ordinamento della Repubblica, nelle sue
diverse articolazioni, a cui corrispondono altri sei distinti titoli: il Parlamento; il Presidente
della Repubblica; il Governo; la Magistratura; le Regioni, le Province, i Comuni; Garanzie
costituzionali. Infine, la Costituzione si chiude con le Disposizioni transitorie e finali
contenute in diciotto articoli.
La maggior parte di questi articoli fu approvata con larghissime maggioranze, ma il loro
contenuto è il frutto dell‟incontro di idee e valori dei partiti presenti all‟interno
dell‟Assemblea Costituente, spesso diversi, tuttavia uniti dal comune sentire della lotta
antifascista e dalla ferma volontà di dare all‟Italia una Costituzione che traducesse in
precise disposizioni le speranze e le attese per un profondo mutamento dello Stato e della
società.
La Costituzione italiana nasce dalla confluenza di diversi principi ispiratori: all‟idea
democratica e antifascista di base, si uniscono i valori dell‟antica tradizione liberale
italiana, quelli propri del socialismo dei partiti della sinistra e infine quelli della dottrina
sociale della Chiesa a cui si ispirava la Democrazia Cristiana.
Oltre al grande ideale democratico e antifascista che si esprime attraverso gli strumenti
classici della democrazia diretta e rappresentativa (diritti politici) nella Costituzione italiana
si ritrovano le idealità manifestate dalla matrice liberale attraverso le libertà e i diritti civili
(la libertà di pensiero, di riunione, di associazione, di circolazione, di iniziativa economica
privata, ecc.). Il pensiero socialista e comunista si manifestò invece soprattutto nelle
norme relative alla tutela del lavoro e ai diritti sociali (il diritto al lavoro e alle libertà
sindacali, l‟istruzione, l‟assistenza sanitaria, la previdenza); i diritti sociali vennero
sostenuti anche dal cattolicesimo sociale rappresentato dalla democrazia cristiana che
però volle proteggere in particolare anche la famiglia e tutte quelle altre formazioni sociali,
in primo luogo la chiesa, ove si esprime la persona e in cui possa realizzarsi l‟obiettivo
della solidarietà sociale.
Il risultato che ne conseguì venne definito da molti un compromesso costituzionale, il che
non deve però erroneamente richiamare una soluzione deleteria o di basso profilo. Al
contrario, esso rappresentò il desiderio di edificare un impianto costituzionale in cui ogni
Costituente cercò di dare il meglio della sua concezione e in cui la maggior parte degli
italiani potesse identificarsi.
La Costituzione repubblicana non nacque quindi dalla preponderanza di una parte politica
sulle altre, ma da un aperto e fecondo incontro ideale, da un‟intesa che doveva servire
come guida alle variabili maggioranze parlamentari e di Governo che, domani,
diversamente interpretandola, avrebbero dovuto poi tradurla in provvedimenti concreti.
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D‟altra parte è nella natura di tutte le Costituzioni democratiche di questo secolo, che
scaturiscono da Assemblee Costituenti elette a suffragio universale e rappresentative di
diverse aspirazioni e interessi, il loro affermarsi come patto sociale, punto di convergenza
tra diverse forze politiche che affidano a questa legge fondamentale il compito di fissare
quei principi in cui tutta una Nazione si possa riconoscere, a garanzia della loro legittimità
e del loro rispetto effettivo.
A maggior ragione è comprensibile, e, se possibile, assume anche maggior valore, l‟intesa
che fu alla base della Costituzione italiana da parte di quelle forze politiche che, dopo la
tragedia della dittatura e della guerra, volevano tradurre in norme i valori ideali della
Resistenza e della lotta contro il nazifascismo che le avevano accomunate, nonostante le
diverse matrici ideali che le animavano fossero il riflesso di una società non omogenea,
spesso agitata da conflitti sociali, in cui sussistevano differenze profonde, fra le diverse
classi e fra appartenenti alle stesse classi nel Nord e nel Sud.
Gli anni della Repubblica italiana
Così come a suo tempo alcuni intellettuali utilizzarono l‟espressione Risorgimento tradito
per indicare il sogno patriottico spezzato in un ordinamento monarchico liberale
conservatore, retrivo e talvolta anche corrotto, con riferimento agli anni del secondo
dopoguerra c‟è chi ha parlato di Resistenza e Costituzione tradite: è difficile valutare il
grado di realizzazione concreta degli ideali della Resistenza espressi dal dettato
costituzionale.
All‟Italia, nel bene e nel male, anche se talvolta con evidenti limiti, sono stati garantiti oltre
sessant‟anni di libertà, democrazia e crescente benessere. Ma spesso si è trattato di una
battaglia dura, fatta di difficili lotte e conquiste niente affatto scontate in cui talvolta
sembrava che tutto dovesse essere rimesso in discussione.
Terminata la guerra il nostro paese si inserì nell‟alveo delle potenze occidentali alleate agli
Stati Uniti che godettero dei consistenti aiuti del Piano Marshall; ben presto la guerra
fredda causò una netta divisione fra le diverse forze politiche avviando un drammatico
periodo di vero e proprio congelamento della Costituzione italiana.
La contrapposizione politica per molti anni conobbe momenti di durissimo conflitto ben
lontani dal clima unitario che aveva generato la Resistenza e la Costituzione.
Alcide De
Gasperi,
segretario della
Democrazia
Cristiana, e
Palmiro Togliatti,
segretario del
Partito
Comunista
Italiano
75
La Democrazia Cristiana divenne la forza
politica dominante, appoggiata dagli Stati
Uniti, ma anche dalle gerarchie ecclesiastiche
che, per questo, non trascurarono nessun
strumento di pressione nel timore che il
Partito Comunista potesse prendere il
sopravvento. A lato i documenti relativi alla
scomunica ai comunisti del primo luglio 1949;
lo stesso strumento utilizzato contro gli eroi
del Risorgimento.
Negli anni cinquanta e sessanta non mancarono
episodi di dura repressione delle forze dell‟ordine
dirette da un governo sordo alle richieste della piazza
per il lavoro e per migliori condizioni di vita.
A lato foto relativa all‟eccidio delle Fonderie Riunite di
Modena: il 9 gennaio del 1950 furono uccisi dalla
polizia sei operai durante la manifestazione per la
riapertura della fabbrica.
Reggio Emilia, 7 luglio 1960: la polizia spara
raffiche di mitra sui manifestanti; rimangono
a terra cinque morti
Il sistema politico che per decenni si delineò in Italia venne definito a bipartitismo
imperfetto: sono presenti sulla scena due grandi partiti politici la Democrazia Cristiana e il
Partito Comunista, ma mentre il primo rappresentò il protagonista fondamentale dei
governi italiani per più di quarant‟anni, il secondo, sia per motivi interni che per motivi
internazionali, fu sempre escluso dalla compagine governativa, senza una reale
alternanza al potere come invece avrebbe dovuto accadere in un sistema realmente
democratico. La, vera o presunta, vicinanza di tale partito all‟Unione Sovietica ne impediva
l‟accesso al governo e agli accordi segreti che vincolavano l‟Italia agli USA.
Anche in seguito alle grandi battaglie politiche degli anni sessanta e settanta, nonostante
le aperture del governo al Partito socialista e all‟approvazione di importanti riforme che
ridiedero vita alle promesse della Costituzione, forze oscure e poteri occulti, con sullo
sfondo gli stessi servizi segreti italiani, attraverso la strategia della tensione, le stragi ed
anche il coinvolgimento in numerosi fenomeni di terrorismo, cercarono di impedire un reale
cambiamento e frenare le stesse riforme.
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Roma, 1968: le lotte e le proteste
degli studenti
Le lotte operaie dell‟autunno caldo del 1969
Il 12 dicembre 1969 viene compiuto un
attentato terroristico a Milano in piazza
fontana costato 17 vite umane; prende
avvio la drammatica stagione della
strategia della tensione
Brescia, 28 maggio 1974, ore 10 e
12 minuti. In Piazza della Loggia,
sotto la pioggia, c‟è una
manifestazione antifascista con capi
sindacali e politici per protestare
contro gli attentati avvenuti in città da
parte di gruppi dell‟estrema destra.
La piazza è gremita di gente.
All‟improvviso, il boato. Una bomba
collocata in un cestino portarifiuti
esplode. L‟attentato provoca otto
morti e 103 feriti
77
1977. il terrorismo
Per fronteggiare la grave situazione
economica e le emergenze dello
stragismo e del terrorismo Enrico
Berlinguer, segretario del Partito
comunista, e Aldo Moro, presidente
della Democrazia cristiana, nel 19761979 diedero vita ai governi di unità
nazionale: il PCI non entrava
formalmente al governo, ma lo
appoggiava dall‟esterno. In un certo
senso venne ricostituita quell‟unità che
fu alla base della Costituzione per
proteggere e difendere le istituzioni
democratiche.
Ma nell‟Aprilemaggio 1978: il
rapimento e
l‟uccisione proprio
di Aldo Moro,
Presidente della
Democrazia
cristiana,
rappresentarono
uno shock
fortissimo per il
paese.
Solo grazie alla ferma reazione delle grandi
masse popolari, dei sindacati e dei partiti
politici, ma anche a un ex partigiano
socialista eletto Presidente della
Repubblica, Sandro Pertini, l‟Italia riuscì a
superare la prova drammatica di quegli anni
78
Uno degli ultimi più
feroci atti di stragismo
fu rappresentato dalla
strage del 2 agosto
1980 alla stazione di
Bologna con 80 morti
e centinaia di feriti.
1981: vengono scoperte le liste degli
iscritti e il programma della loggia
segreta P2 di Licio Gelli. Essa aveva
come scopo il condizionamento delle
istituzioni italiane; le indagini della
magistratura hanno evidenziato come
la P2 fosse coinvolta in chiave anti
comunista nelle pagine più fosche
della strategia della tensione
Nella seconda metà degli anni “80 viene alla luce una struttura
paramilitare segreta denominata Gladio. Nel secondo dopo
guerra tutti i paesi occidentali si dotarono di strutture
clandestine, che disponevano di armi, esplosivi e molto denaro,
dirette dalla NATO (organizzazione militare dei paesi alleati) per
contrastare una eventuale invasione delle contrapposte forze
dei paesi socialisti riunite nel patto di Varsavia.
La progressiva illegittimità costituzionale di tale struttura va
ricercata da un lato nel fatto che non tutti i vertici politici e
democratici del paese ne ebbero conoscenza e dall‟altro nel
fatto che ripetutamente essa straripò dai suoi compiti per essere
utilizzata in chiave anticomunista nell‟ambito della strategia
della tensione e di altre missioni per impedire l‟ingresso al
governo del PCI e, in certa misura, anche del PSI.
Ai drammi della strategia della tensione, delle stragi e del terrorismo si aggiungeva la
presenza della criminalità organizzata, della mafia, della camorra, della ndrangheta, che,
ancora oggi, continuano a porsi in una condizione di vero e proprio governo di alcune parti
del territorio italiano diffondendosi come un cancro nella vita economica e nelle istituzioni
del paese.
I magistrati, le forze dell‟ordine, i comuni cittadini che sono caduti e continuano a cadere
nell‟adempimento del loro dovere sotto i duri colpi delle mafie hanno difeso e difendono la
nostra democrazia e la nostra Costituzione.
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Giovanni Falcone e Paolo Borsellino: due
magistrati, eroi uccisi dalla mafia a causa delle
indagini che stavano conducendo
La fine della guerra fredda in Italia segnò un radicale
mutamento del quadro politico; negli anni “90 con
l‟indagine della magistratura denominata Mani pulite si
scoprì che una quantità enorme di uomini politici erano
corrotti; il pagamento di tangenti a singoli o a partiti per
l‟affidamento di opere e lavori pubblici era la norma; i
reati di concussione e corruzione e, nel migliore dei
casi, di finanziamento illecito dei partiti, la regola
Un‟intera classe politica venne decapitata e da quelle macerie ne uscirono nuovi partiti e
nuovi schieramenti completamenti diversi rispetto a quelli che scrissero la Costituzione.
Con sempre più insistenza si iniziò a discutere di modificare la stessa Costituzione anche
in alcune sue parti essenziali. Il referendum che si celebrò nel 2001 confermò la modifica
delle norme relative all‟assetto dei poteri di Regioni, Province e Comuni in senso
maggiormente autonomista sulla base di una proposta del governo di centro sinistra.
All‟opposto il referendum che si tenne nel corso del 2006 bocciò una radicale riforma degli
assetti istituzionali della nostra Costituzione che avrebbe, tra l‟altro, dato maggiori poteri al
governo a scapito degli altri organi costituzionali, come avrebbe desiderato il governo di
centro destra capeggiato da Silvio Berlusconi.
I problemi istituzionali che vive oggi il nostro paese, in un contesto di grave crisi
economica, sono enormi. L‟Italia fatica più delle altre nazioni a vincere le sfide della
globalizzazione in cui i poteri dei singoli Stati sono sempre più armi spuntate. L‟adesione
del nostro paese all‟Unione europea e all‟euro ci ha protetto e ci continua a proteggere dal
peggio.
Il nostro rimane lo Stato con uno dei debiti pubblici più elevati al mondo, con un tasso di
evasione fiscale che ci pone in vetta a tutte le classifiche dei paesi industrializzati, con una
pubblica amministrazione ancora ampiamente inefficiente e talvolta anche corrotta, con
una durata dei processi civili e penali aberrante e, ultimo ma non ultimo, una criminalità
organizzata che soffoca ormai non più solo le imprese del sud, ma anche quelle del centro
e del nord del paese. Se presto non giungerà uno scatto d‟orgoglio nazionale e un vero
cambiamento l‟Italia rischia veramente di ritornare una semplice espressione geografica
come forse a qualche potenza mondiale o europea non dispiacerebbe.
La presenza al governo per molti di questi anni dell‟ultimo ventennio di Silvio Berlusconi,
l‟imprenditore più ricco del paese, tessera P2 numero 1816, a capo di un vero e proprio
impero mediatico fatto di giornali, libri, televisioni e pubblicità, non ha risolto nessuno di
quei problemi, anzi, per certi versi li ha peggiorati.
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La rivoluzione liberale promessa dalla sua discesa in campo, con l‟originalissima nascita di
un partito politico da una azienda privata, è stata tutto fuorché una rivoluzione liberale; a
partire da un enorme quanto irrisolto conflitto di interessi che in nessuna parte del mondo,
fra i paesi a tradizione liberal democratica, avrebbe permesso a un imprenditore di
divenire presidente del consiglio, né a un unico imprenditore di essere proprietario di una
quantità così ampia di media. Non esistono eguale in tutti i paesi simili all’Italia.
A ciò si aggiunge il fatto che nei governi Berlusconi è presente un partito che per la prima
volta, dopo il Risorgimento, dopo la Resistenza, dopo la Costituzione, chiede
espressamente, all‟articolo 1 del suo Statuto, la secessione dal resto dell‟Italia. I ministri
leghisti hanno giurato, al momento dell‟insediamento del governo, fedeltà alla Costituzione
e alla Repubblica, ma il loro partito ne enuncia esplicitamente la disgregazione.
Nel corso dei festeggiamenti per il 150° anniversario dell‟unità d‟Italia in parecchie
occasioni i leghisti spesso non si sono presentati o hanno abbandonato le assemblee
elettive, i consigli comunali, provinciali, regionali ed anche il parlamento nazionale dove
sono stati eletti; molte volte si sono rifiutati di cantare l‟inno nazionale. In tal modo, di fatto,
si sono dichiarati non italiani, auto escludendosi dalle istituzioni nazionali. Coerentemente
dovrebbero trarre altrettante conseguenze politiche circa la loro partecipazione al governo
del paese: non è ammissibile che un uomo politico pretenda di essere ministro di una
nazione quando non riconosce più la nazione stessa, al punto di negare la festa per il 150°
anniversario della sua unità. Pensiamo che anche una situazione del genere non abbia
eguali nel mondo. Così come non ha eguali nel mondo un Presidente del consiglio che,
come accade sempre più spesso, pone sotto continuo attacco i pilastri fondanti della
Costituzione del suo paese per difendere se stesso dai numerosi reati per i quali è
indagato: la magistratura, la Corte costituzionale e, talvolta, lo stesso Presidente della
Repubblica, sono incredibilmente messi sotto accusa da un altro organo sello Stato.
Gran parte degli italiani in questo momento sembrano invece avere riscoperto i valori
dell‟unità nazionale, del tricolore e della Costituzione, anche grazie a un Presidente della
Repubblica che è riuscito con grande equilibrio a farsi portatore di quegli stessi valori in
nome della storia del nostro paese.
Il Risorgimento italiano è costato 30.000 caduti; molto più numerosi sono stati i morti della
prima guerra mondiale: almeno 680.000 militari e circa 70.000 civili morti per cause legate
alla guerra; ad essi vanno aggiunti i 100.000 italiani caduti nella Resistenza per la
liberazione. Si tratta di italiani provenienti da tutte le regioni del paese che hanno costruito
con il loro sacrificio la nostra idea di Patria, la nostra Italia e la nostra Costituzione che ora
dobbiamo onorare.
Nel corso di una delle numerose manifestazioni a cui ha partecipato per le celebrazioni di
del 150° anniversario dell‟Unità d‟Italia il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano,
non senza una certa emozione, ha dichiarato:
“Grazie all’Unità siamo diventati un paese moderno; se fossimo rimasti come
nel 1860, divisi in otto Stati, senza libertà, e sotto il dominio straniero,
saremmo stati spazzati via dalla storia e non saremmo mai diventati un
grande paese europeo. Eravamo già in ritardo allora di fronte alla Spagna,
alla Francia, all’Inghilterra, che erano già dei grandi Stati nazionali e stava per
diventarlo anche la Germania... per fortuna eravamo in ritardo ma non
abbiamo atteso ulteriormente perché ci sono state schiere di patrioti che
hanno combattuto e hanno dato la vita, che hanno scritto pagine eroiche che
noi dobbiamo avere l’orgoglio di ricordare e di rivendicare perché solo così
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possiamo guardare con fiducia al futuro e alle prove che ci attendono. Ne
abbiamo passate tante; passeremo anche quelle che abbiamo di fronte, in un
mondo forse più difficile, però l’importante è che ci ricordiamo sempre…
anche se ognuno ha i suoi problemi, i suoi interessi e le sue idee e, certo
discutiamo e battagliamo… ma ciascuno deve sempre ricordare che è parte
di qualcosa di più grande che è la nostra Nazione, la nostra Patria, la nostra
Italia. E se saremo uniti sapremo vincere tutte le difficoltà che ci attendono.
Auguri a tutti gli italiani!”.
L’immagine di Giorgio Napolitano alla televisione mentre pronuncia davanti al Quirinale il
discorso sopra riportato mentre scorre il sottotitolo “Capogruppo lega alla Camera diserta
oggi la seduta sui 150 anni Unità”
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