Verso l’Unità d’Italia Divenuto re di Sardegna in seguito all'abdicazione del padre Carlo Alberto nel 1849 (il re di Sardegna che, nel 1848, aveva dichiarato guerra all’Austria dominatrice nel Lombardo-Veneto ed era stato sconfitto) Vittorio Emanuele II dovette affrontare la situazione drammatica all'indomani della prima guerra d'indipendenza del 1848: per concedere l'armistizio, l'Austria avanzava condizioni durissime, tra cui il pagamento di un'ingente indennità di guerra e la revoca dello Statuto albertino. Il sovrano piemontese riuscì a conservare il regime costituzionale e firmò con l'Austria la pace di Milano (1849), in base alla quale il Regno di Sardegna avrebbe pagato solo l'indennità di guerra, mentre l'Austria s'impegnava a concedere l'amnistia politica ai cittadini del Lombardo-Veneto che si erano rifugiati in Piemonte durante la guerra. Il Parlamento piemontese si rifiutò di approvare il trattato, ritenendolo umiliante. Allora il re sciolse il Parlamento e indisse nuove elezioni: prima rivolse un appello agli elettori (proclama di Moncalieri) con cui esortava a eleggere uomini disposti a ratificare il Trattato di pace; in caso contrario il re minacciava di revocare le garanzie costituzionali. La nuova Camera, composta per lo più da moderati (tra cui Cavour), approvò il trattato di pace. Sistemata la questione con l'Austria, Vittorio Emanuele II e il capo del governo Massimo D'Azeglio poterono dedicarsi a riorganizzare lo Stato. Figura 1 Massimo D'Azzeglio Tra i vari provvedimenti ricordiamo le leggi Siccardi (1850) che miravano a rendere effettiva l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge: esse prevedevano l'abolizione del tribunale ecclesiastico (l'unico che potesse giudicare gli ecclesiastici), l'abolizione del diritto di asilo (un criminale che si rifugiasse in una chiesa non poteva essere arrestato), l'autorizzazione dello Stato per gli acquisti da parte degli enti ecclesiastici. IL PIEMONTE DI CAVOUR Cavour, come ministro dell'Agricoltura e delle Finanze (1850 -52) si ispirò a quello che oggi si direbbe liberismo economico, promuovendo l'abolizione delle imposte feudali ancora esistenti e delle dogane sulle materie prime importate. Diede un valido impulso all'agricoltura (con la costruzione di nuovi canali e l'introduzione di nuovi sistemi di coltivazione), all'industria (con il rinnovo degli impianti) e al commercio (grazie alla costruzione delle ferrovie). Dal 1852 Cavour fu alla guida del Governo sardo-piemontese, espressione di una maggioranza di centrosinistra. Nel 1855 fece approvare le leggi religiose che, riprendendo l'azione delle leggi Siccardi, riguardavano la soppressione delle comunità religiose che non svolgevano una funzione sociale, provocando la reazione della destra clericale capeggiata dal vescovo Nazari di Calabiana. Dopo la "crisi calabiana", Cavour adottò la politica della <<libera Chiesa in libero Stato>>, con il proposito di evitare di riformare il settore ecclesiastico. La politica estera di Cavour mirò a fare della questione italiana una questione europea. L'occasione si presentò allo scoppio della guerra di Crimea (1854) tra Russia e Turchia; al congresso di Parigi (8 aprile 1856), che seguì la guerra, ottenne che si discutesse della situazione italiana, attirando le simpatie dell'opinione pubblica liberale europea e soprattutto di quella francese (Napoleone III, nipote del Bonaparte, eletto imperatore nel 1852, era favorevole ad una guerra contro l'Austria per il desiderio di restaurare il primato della Francia in Europa. LA GUERRA DEL 1859 E L'AVVIO DELL'UNITÀ ITALIANA Le trattative per l'alleanza militare franco-piemontese furono stabilite durante l'incontro segreto tra l'imperatore francese e Cavour a Plombiéres (21-22 luglio 1858). L'incontro stabilì gli obiettivi del conflitto: creazione di un regno dell'alta Italia fino all'Isonzo (fiume del Friuli Venezia Giulia) sotto Vittorio Emanuele II, comprendente anche i ducati emiliani e le province di Bologna, Ferrara, Ravenna amministrate da delegati del pontefice; formazione di un Regno dell'Italia Centrale con la Toscana e i restanti domini del Papa; mantenimento del Regno delle Due Sicilie; attribuzione al Papa di Roma e del territorio circostante; cessione alla Francia della Savoia e di Nizza. Questa alleanza, poi ratificata dal trattato franco-piemontese (gennaio 1859), aveva carattere difensivo e sarebbe scattata in caso di aggressione da parte dell'Austria. L'occasione si presentò quando il governo di Vienna inviò un ultimatum col quale si chiedeva al governo sardo di ridurre la consistenza del suo esercito a quella del tempo di pace e di congedare i Cacciatori delle Alpi organizzati da Garibaldi. In seguito al rifiuto del governo di Torino iniziò la seconda guerra d'indipendenza. I Franco-Piemontesi sconfissero gli Austriaci a Magenta il 4 giugno; alcuni giorni dopo i volontari di Garibaldi liberavano l'alta Lombardia; le battaglie decisive furono quelle di Solferino e San Martino (24 giugno). Ma improvvisamente Napoleone III propose agli Austriaci un armistizio, l'armistizio di Villafranca (11 luglio '59), che prevedeva la creazione di una Confederazione italiana, la cessione della Lombardia dall'Austria a Napoleone, che l'avrebbe trasmessa a Vittorio Emanuele II, e il ritorno nei loro Stati del granduca di Toscana e del duca di Modena. La decisione di Napoleone fu dovuta al timore che in Italia si costituisse uno Stato italiano intorno al Piemonte più forte di quanto egli stesso desiderasse. Dopo gli accordi di Villafranca Cavour si dimise e il ministero Rattazzi-La Marmora dovette affrontare il problema dei governi moderati costituitisi in Toscana e in Emilia, che volevano impedire il ritorno dei sovrani legittimi. Si crearono le condizioni per il ritorno al potere di Cavour che, a prezzo della cessione di Nizza e della Savoia, ottenne da Napoleone l'assenso a far svolgere dei plebisciti (referendum) nell'Italia centrale, i quali diedero una schiacciante maggioranza a favore dell'annessione al regno sabaudo. GARIBALDI E L'ANNESSIONE DEL MEZZOGIORNO Il Regno delle due Sicilie non aveva partecipato alla guerra d'indipendenza, perché il re Francesco II aveva seguito una politica reazionaria. Ma il desiderio dell'unità si era diffuso anche nel Meridione, dove il partito rivoluzionario promosse la spedizione dei Mille, che partì da Quarto (presso Genova) il 5 maggio 1860. L'11 maggio i garibaldini sbarcarono a Marsala; il 13 maggio a Salemi Garibaldi assumeva la <<dittatura>> (cioè i pieni poteri) in Sicilia in nome di Vittorio Emanuele <<re d'Italia>>. La vittoriosa battaglia di Calatafimi (15 maggio), che costrinse le truppe borboniche alla ritirata, aprì la strada a Garibaldi per Palermo, che fu conquistata tra il 27 e il 29 maggio. La sconfitta decisiva dei borbonici si ebbe a Milazzo (20 luglio): il controllo di tutta l'isola era definitivo. Nel reggere l'isola Garibaldi si fece promotore di provvedimenti tesi ad allargare il consenso delle classi popolari intorno alla dittatura (ad es. l'abolizione della tassa sulla macinazione del grano), che provocarono guerre di classe tra proprietari e contadini, duramente represse dal garibaldino Nino Bixio. Restava da liberare il Mezzogiorno continentale per annetterlo al Piemonte. La notte del 19 agosto Garibaldi sbarcò in Calabria; nel frattempo il re Francesco II decideva di ritirarsi nella fortezza di Gaeta per tentare un'estrema resistenza, consentendo a Garibaldi di occupare Napoli (7 settembre). Per sottrarre l'iniziativa a Garibaldi e ai democratici Cavour decise di far invadere lo Stato pontificio, dove le truppe papaline vennero sconfitte a Castelfidardo e si spinsero fino al confine con il Regno di Napoli. Garibaldi, che non intendeva scontrarsi con Vittorio Emanuele, rinunciò al progetto di invadere Roma e indisse il plebiscito, che si espresse per l'annessione senza condizioni del Mezzogiorno e della Sicilia allo Stato sabaudo. Dopo l'ultima battaglia di liberazione del Mezzogiorno (Volturno 1º ottobre), Garibaldi e Vittorio Emanuele si incontrarono il 26 ottobre a Teano, dove il condottiero salutò nel sovrano il re d'Italia. L'8 novembre a Napoli ci fu il passaggio dei poteri con la cessazione della dittatura di Garibaldi. Il 17 marzo 1861 fu promulgata la legge che conferiva a Vittorio Emanuele II il titolo di re d'Italia sanzionando la nascita del nuovo Stato, con capitale Torino. La legge fu approvata dal primo Parlamento nazionale, costituito per lo più da cavouriani; pertanto il Risorgimento italiano vide la vittoria della parte monarchico-moderata su quella democratica.