Rapporto di previsione - dicembre 2016

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Luglio
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Rapporto di Previsione 2016-2018
Dicembre 2016
Ufficio Analisi Economiche
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AfO
ABI Financial Outlook
Rapporto di Previsione 2016-2018
Dicembre 2016
ABI
Direzione Strategie e Mercati Finanziari
Ufficio Analisi Economiche
Il Rapporto è stato elaborato dall’Ufficio Analisi Economiche (Resp. Francesco Masala)/Direzione Strategie e Mercati Finanziari
(Resp. Gianfranco Torriero) sulla base delle informazioni disponibili al 15 dicembre 2016.
Coordinatore:
Pierluigi Morelli
Autori:
Vincenzo D’Apice, Francesco Masala e Pierluigi Morelli.
Il panel di banche partecipanti all’AFO è costituito da:
Associazione Nazionale fra le Banche Popolari, Banca Carige, Banca delle Marche, Banca Etruria, Banca Monte dei Paschi di
Siena, Banca Nazionale del Lavoro - Gruppo BNP Paribas, Banca Passadore & C., Banca di Piacenza, Banca Popolare di Bari,
Banca Popolare del Lazio, Banca Popolare di Milano, Banco Popolare, Banco di Desio e della Brianza, Banca Popolare di
Sondrio, Cariparma, Credito Valtellinese, Deutsche Bank Spa, Federcasse, Intesa SanPaolo, Ubi Banca, UniCredit Group,
Unipol Banca.
AfO - Rapporto di previsione
12/2016
Indice
INDICE
Sommario e conclusioni
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PARTE GENERALE
CAP. 1
Scenario macroeconomico
19
CAP. 2
La politica monetaria e i mercati finanziari
35
CAP. 3
Previsioni per il triennio 2016-18
53
CAP. 4
Stress-Test: Il ruolo della macroeconomia e le condizioni iniziali (monografico)
68
RIQUADRI
A.
Analisi della relazione tra attività di livello 3 e rischio di default delle banche
B.
Disponibilità di credito e crescita dell’economia: impatto di uno shock nella riduzione
C.
45
dei crediti deteriorati bancari
47
Le famiglie italiane e l’acquisto della casa: l’indicatore di accessibilità (affordability index)
51
SCHEDE CONGIUNTURALI
S1.
I prezzi delle principali materie prime
26
S2.
La congiuntura macroeconomica
negli STATI UNITI
28
S3.
“
nell’AREA EURO
30
S4.
“
in ITALIA
32
AfO - Rapporto di previsione
12/2016
Sommario e Conclusioni
Sommario e conclusioni
Quadro d’assieme
1. Il quadro previso che emerge da questo Rapporto, redatto come di consueto insieme agli
Uffici Studi delle principali banche operanti in Italia, nel complesso delinea un percorso di
graduale ripresa della crescita internazionale, caratterizzato da un’iniziale rallentamento
rispetto al recente passato, che interesserebbe tutte le area geografiche, a cui farebbe seguito
una lieve ripresa nel biennio successivo. Nel complesso permangono però elevate condizioni
di incertezza che rischiano di frenare la ripresa dell’economia globale, tra queste spiccano le
incertezze sulle trattative che definiranno i nuovi rapporti commerciali tra Unione europea e
Regno Unito, l’emergere di spinte protezionistiche, l’elevata incertezza politica che accomuna
diversi paesi dell’Eurozona, con quattro delle cinque maggiori nazioni che nell’orizzonte di
previsione saranno interessate dalle elezioni nazionali. Per quanto riguarda il nostro Paese
prevediamo un miglioramento relativo rispetto al complesso dell’Area euro, miglioramento
che avviene però in un contesto di crescita ancora modesta e inferiore rispetto alla media. La
dinamica delle principali grandezze del bilancio bancario è attesa in ripresa rispetto agli anni
precedenti, anche se non positiva sotto tutti i fronti e rivista al ribasso rispetto al rapporto di
luglio, in particolare sotto il profilo della redditività.
2. In un anno in cui sono prevalsi segnali di rallentamento a livello globale, le politiche
monetarie, pur caratterizzate da diverse fasi congiunturali, hanno continuato a rimanere
“ancorate” nella politica dei bassi tassi di interesse: in effetti se anche i tassi a breve americani
sono previsti in crescita nei prossimi 3 anni, questa crescita sarà inferiore a quanto previsto
in precedenza e in ogni caso anche al 2018 il livello dei tassi reali risulterà al di più nullo. Le
previsioni sui tassi a breve europei, invece, sono caratterizzate da un maggiore stabilità: si
prevedeva che essi sarebbero rimasti negativi lungo tutto l’orizzonte previsivo e gli
andamenti recenti confermano questa ipotesi.
3. Eppure, nonostante questa conferma sul livello futuro dei tassi a breve, a partire da
ottobre i tassi a lungo termine hanno mostrato una tendenza al rialzo guidata, dapprima,
dalla dinamica ascendente dei tassi a lunga americani, determinata a sua volta sia dalla ripresa
delle aspettative inflazionistiche e sia, e forse soprattutto, dalle incertezze legate alle scadenze
elettorali di inizio novembre e in seguito all’esito, imprevisto, del voto presidenziale. Queste
incertezze si sono poi trasmesse all’area dell’euro provocando un doppio fenomeno: da un
lato, un aumento generalizzato dei tassi a lungo termine, dall’altro il riacutizzarsi delle
tensioni sugli spread. Tensioni che hanno riguardato in prima battuta soprattutto il nostro
Paese. Nel nostro scenario previsivo assumiamo che le tensioni oggi crescenti non
sfoceranno in un nuovo processo di destabilizzazione dell’unione monetaria, ovvero
assumiamo che il processo rialzista in corso sia un fenomeno di breve durata. Tale nostra
ipotesi deriva dal fatto che oggi, contrariamente a quanto accaduto nella seconda metà del
2011, possiamo contare sulla chiara volontà di preservare la moneta comune che la BCE ha
reso evidente in numerose occasioni a partire dal 2012; una volontà che, inoltre, si è sempre
accompagnata ad una efficace capacità di azione.
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AfO - Rapporto di previsione
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Sommario e Conclusioni
4. Questo perché tali tensioni rischiano di pesare su di una congiuntura che, a livello globale
e nazionale, già di suo tendeva più verso il fronte ribassista che verso quello rialzista.
Confidando nello scudo della BCE, in questa edizione del Rapporto tendiamo
sostanzialmente a confermare il quadro di crescita per l’Italia delineato a luglio di quest’anno:
nel 2016 confermiamo un incremento del PIL dello 0,9%, crescita ribadita anche nell’anno
successivo e, infine, in una situazione auspicabilmente sgombra da tensioni finanziarie,
prevediamo una crescita dell’1,2% per il 2018. Oltre all’azione della BCE contiamo anche
che le manovre di bilancio seguano la linea di un rientro coerente con lo stato del ciclo e
quindi che il percorso del disavanzo possa essere in linea con i recenti obiettivi governativi.
5. In questo quadro di contesto, una prima buona notizia che viene dalle previsioni bancarie
riguarda l’atteso rafforzamento del processo di miglioramento della qualità del credito, già
visibile nei dati congiunturali più recenti: a settembre di quest’anno i crediti deteriorati sono
diminuiti ad un tasso annuo pari a -4,3% e, a fronte di una stazionarietà dei crediti in bonis, il
rapporto deteriorati/impieghi si è ridotto per 6 decimi di punto rispetto ad un anno prima.
Analisi sulle determinanti di tale riduzione ci spingono a prevedere, a meno di improvvise
svolte cicliche, che tale processo di discesa continuerà nei prossimi anni ad un ritmo
superiore rispetto a quello attuale. Secondo le nostre previsioni a fine 2018 il rapporto
sofferenze/impieghi dovrebbe collocarsi poco al di sotto dell’8,5%, un valore di 2,1 punti
percentuali inferiore al 2015, in linea con i dati del 2013. Nel rapporto non forniamo
previsioni specifiche sul rapporto deteriorati/impieghi, ma il più accentuato comportamento
ciclico dei crediti deteriorati diversi dalle sofferenze, ci spinge a prevedere che la riduzione
dei crediti deteriorati complessivi sarà significativamente superiore a quella delle sofferenze.
E’ qui opportuno segnalare che le tendenze citate non tengono conto di eventuali interventi
straordinari di riduzione dei volumi di sofferenze. Ne consegue che i dati che prevediamo,
pur molto positivi, potrebbero risultare comunque conservativi rispetto a quanto sarà
effettivamente realizzato nell’arco temporale osservato.
6. La prospettata riduzione del rischio di credito determinerà anche un rafforzamento della
congiuntura dei crediti al settore privato: in ogni caso, nelle nostre previsioni, il tasso di
incremento degli impieghi non dovrebbe discostarsi significativamente rispetto all’evoluzione
attesa del tasso di crescita del prodotto interno lordo, determinando in tal modo
l’interruzione dell’attuale processo di riduzione dell’intensità creditizia, ovvero della
variazione del rapporto crediti/PIL. La raccolta si uniformerà a tale dinamica anche se si
dovrebbe determinare un leggero allargamento del funding gap (differenza tra impieghi e
raccolta) nel periodo previsivo. Non vediamo al momento motivazioni per cui si dovrebbe
interrompere il processo di ricomposizione temporale della raccolta a vantaggio delle forme
più liquide.
7. La redditività delle banche, da un lato risentirà in negativo dal basso livello prospettico dei
tassi di interesse che, unito alla contenuta dinamica delle masse intermediate, determinerà
livelli del margine di interesse sostanzialmente stagnanti nell’arco temporale considerato,
dall’altro lato beneficerà della riduzione del costo del rischio, e dunque del calo delle
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AfO - Rapporto di previsione
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Sommario e Conclusioni
rettifiche e degli accantonamenti sui crediti, i cui benefici saranno però limitati nel biennio
2016-2017 dalla “necessità” di aumentare i tassi di copertura dei crediti deteriorati. Il risultato
finale di queste due spinte contrapposte si tradurrà in un livello di redditività in ripresa ma
sostanzialmente insufficiente a remunerare il costo del capitale lungo tutto l’orizzonte
previsivo oltre che inferiore a quanto previsto a luglio di quest’anno. Anche se debole, la
crescita degli utili netti è comunque condizionata, al di là della fiducia sulla capacità della
BCE di controllare e limitare le recenti tensioni finanziarie all’interno dell’area europea, al
verificarsi o meno di due fattori. In primo luogo la nostra previsione non può prescindere
dalla conferma dalla politica di serrato controllo dei costi seguita dalle banche negli ultimi
anni, questo in ragione principalmente della bassa dinamica attesa del totale dei ricavi delle
banche. In secondo luogo la crescita della redditività bancaria è costruita su di una ipotesi di
miglioramento “inerziale” della qualità dell’attivo. Tuttavia le banche italiane sono oggi
sottoposte a forti pressioni per accelerare il processo di miglioramento della qualità
dell’attivo per il tramite di piani straordinari di vendita degli stock di crediti deteriorati.
Qualora tali pressioni dovessero portare a rilevanti cessioni di crediti deteriorati “forzate”, si
può ipotizzare che il percorso di debole ripresa della redditività qui disegnato, potrebbe
essere rivisto al ribasso.
Ambiente macroeconomico: andamenti e prospettive
Andamenti
8. Nei sei mesi che ci separano dall’ultimo Rapporto, l’economia internazionale ha
continuato a mostrare segni di rallentamento. Il commercio mondiale cresce oggi ad un
ritmo annuo di circa l’1%, pari alla metà di quanto registrato lo scorso anno, e la produzione
industriale sta gradualmente scivolando verso l’1,4%, tre decimi di punto in meno rispetto al
tasso di crescita del 2015.
9. Per quanto riguarda i principali paesi emergenti, da una parte, la crescita in Cina si è
stabilizzata intorno al 6,7% e l’India continua a crescere a tassi superiori al 7% ma, dall’altra,
il Brasile è alle prese con una severa e prolungata recessione e la Russia ha registrato sei
trimestri di crescita negativa. Passando alle economie avanzate, a causa di un primo trimestre
negativo, gli Usa perderanno molto del brio ritrovato nel 2015. Il Giappone non riesce
ancora a trovare soluzioni incisive ai suoi problemi di lungo periodo. L’area dell’euro
attraversa una fase ciclica positiva ma in lieve calo rispetto alla fine dello scorso anno.
10. L’Italia, dopo lo stop del secondo trimestre, ha ritrovato nel terzo trimestre del 2016 il
passo di inizio anno (+1% su base annuale) che si posiziona sopra il trend di medio periodo.
La domanda interna ha contribuito alla crescita per circa 1,2 punti percentuali; mentre le
scorte hanno sottratto 0,2 punti. Sulla base dell’indicatore ciclico coincidente ita-coin
elaborato da Banca d’Italia, che fornisce una stima dell’evoluzione tendenziale dell’attività
economica, il miglioramento dovrebbe proseguire anche nel trimestre in corso. L’indicatore
anticipatore dell’Ocse segnala però che la cautela è ancora d’obbligo quando si guarda al
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AfO - Rapporto di previsione
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Sommario e Conclusioni
futuro a breve dell’economia italiana. Il ritrovato sentiero di crescita, seppur modesto, sta
comunque riducendo la deviazione del livello del Pil effettivo dal suo livello potenziale
riportando l’output gap verso lo zero. L’obiettivo è ancora lontano, ma se pensiamo che a
fine 2013 questo indicatore si trovava a -4,1% e ora è vicino al -1,8% possiamo cogliere gli
aspetti positivi della ripresa in corso.
Prospettive
11. Il dibattito macroeconomico è sempre più focalizzato sulle cause della debolezza che
caratterizza la ripresa in corso in molte economie avanzate. Da una parte c’è chi sostiene che,
nonostante tutto, vi sono già le prime evidenze di un lento ritorno alla normalità. Dall’altra,
invece, c’è chi sostiene che l’economia mondiale è ormai intrappolata in un processo di
stagnazione secolare che la vincola ad un futuro di bassa crescita e instabilità finanziaria.
Muovendo da queste considerazioni, nel Rapporto illustriamo le caratteristiche di tre
possibili scenari, coniugando la teoria all’evidenza empirica.
12. Il primo scenario che analizziamo è quello associato ad un lento ritorno alla normalità, il
secondo quello associato all’ipotesi di stagnazione secolare, il terzo quello associato a nuove
scosse di instabilità finanziaria. Pur sottolineando che qualsiasi tipo di analisi è avvolta da un
certo grado di incertezza, peraltro oggi crescente rispetto al recente passato, l’evidenza
empirica a supporto dei tre scenari mostra come ognuno di loro meriti attenzione. Tuttavia,
dal nostro punto di vista, l’espansione ciclica in corso, anche se con segnali di indebolimento
specialmente in Europa, sembra coerente con lo scenario di ritorno alla normalità. Nel
complesso, dunque, sulla base dell’analisi svolta, la nostra visione macroeconomica
nell’impostare l’esercizio di previsione giudica lo scenario di ritorno alla normalità come il
più probabile, pur con alcuni gradi di incertezza di cui diamo conto e tenuto conto che
processo sarà presumibilmente più lento e accidentato del previsto.
13. Il nostro quadro previsivo delinea una leggera flessione della crescita internazionale
rispetto al recente passato (+2,8% nel 2016 rispetto al 3,2% del 2015), a cui farebbe seguito
una lieve ripresa nel biennio successivo (+3%). Il rallentamento economico interesserebbe
tutte le area geografiche. Il ritmo di espansione dell’economia Usa perderebbe quest’anno 6
decimi di punto rispetto al 2015, con un tasso di crescita del PIL pari all’1,5%. Nel biennio
successivo la locomotiva statunitense recupererebbe parte della spinta persa nel 2016
(+2,1%), ma rimarrebbe comunque lontana dai livelli registrati lo scorso anno (+2,6%). La
politica monetaria sembra pronta a uscire dalla modalità estremamente espansiva attivata
dopo la crisi finanziaria. Nel 2016, in media, il tasso di policy sarebbe pari allo 0,5%, ma già
dal prossimo anno dovrebbe salire all’1,2% per poi toccare l’1,8% a fine periodo di
previsione.
14. Nel nostro scenario di base, il Pil dell’area dell’euro rallenterebbe all’1,6% nel 2016 e
all’1,4% nel 2017 a seguito della fiacca congiuntura internazionale. Solo nel 2018 prevediamo
una inversione di tendenza (+1,5%). Nel primo anno di previsione l’inflazione
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AfO - Rapporto di previsione
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Sommario e Conclusioni
ricomincerebbe a crescere, ma di appena due decimi di punto. Nell’ultimo biennio di
previsione il ritmo di crescita si dovrebbe consolidare intorno all’1,4%. Alla fine
dell’orizzonte di previsione, circa mezzo punto percentuale separerebbe questo indicatore
dall’obiettivo della Bce. Crescita debole e bassa inflazione consentirebbero alla politica
monetaria di mantenere la sua impostazione molto espansiva per tutto il triennio di
previsione: il tasso di rifinanziamento principale rimarrebbe bloccato all’attuale valore dello
0%. Il tasso benchmark, grazie anche alle misure non convenzionali di politica monetaria
messe in campo dalla Bce, continuerebbe a scendere anche nell’anno in corso fino a
raggiungere, in media d’anno, lo 0,6%. Negli ultimi due anni dell’esercizio di previsione ci
attendiamo un moderato aumento che lo spingerebbe fino all’1,5%.
15. Nella media del 2016 il prezzo del petrolio continuerebbe a flettere, fino a toccare la
quota di 49$ al barile, ma poi dovrebbe stabilizzarsi a 47$ nel biennio successivo.
Nonostante gli scossoni recenti, il tasso di cambio dollaro/euro continua a oscillare vicino la
soglia di 1,1. Per tali motivi, prevediamo solo una moderata riduzione nei prossimi tre anni,
spostando la prevista parità tra le due valute al 2018.
Quadro macroeconomico interno
16. Nel nostro scenario di base l’economia italiana chiuderebbe l’anno in corso con una
crescita pari allo 0,9%, in aumento di due decimi di punto rispetto al 2015. Il rallentamento
globale e l’incerta fase politica non consentirebbero di incrementare il tasso di espansione
dell’attività economica nel 2017. Solo nell’ultimo anno di previsione la crescita dovrebbe
salire all’1,2% (cfr. Tavola A).
17. I consumi delle famiglie contribuirebbero per 2,1 punti percentuali alla crescita
complessiva prevista nel triennio. La variazione annuale per il 2016 sarebbe pari all’1,3% ma
dovrebbe perdere un po’ di slancio nel biennio successivo. Questa dinamica sarebbe trainata
dal recupero del reddito disponibile reale (+3,9% la variazione cumulata lungo l’orizzonte di
previsione) tale da consentire anche una lieve riduzione della propensione al consumo, che
rimarrebbe comunque su livelli elevati rispetto al confronto storico. La spesa delle famiglie
dovrebbe trovare alimento non soltanto nelle maggiori disponibilità reddituali, ma anche dal
consolidarsi della crescita della ricchezza finanziaria netta che per il periodo 2016-18 è
stimata poco sopra il 2,8% medio annuo (0,4% nel periodo 2008-15).
18. La spinta proveniente dall’accumulazione di capitale dovrebbe essere inferiore a quella
dei consumi e pari a 1 punto percentuale cumulato. Nel 2016 il contributo stimato è pari a
0,3 pp, a fronte di una crescita dell’1,8%. Nel biennio successivo il contributo dovrebbe
oscillare tra 3 e 4 decimi di punto, in ragione di una dinamica annuale mediamente pari al
2%. Particolarmente vivace, ma solo nel primo anno di previsione, sarebbe l’andamento degli
investimenti in attrezzature e macchinari, spinto dalla domanda interna. La variazione degli
investimenti in costruzioni dovrebbe, dal 2016, tornerebbe positiva dopo otto lunghi anni di
contrazione.
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AfO - Rapporto di previsione
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Sommario e Conclusioni
19. Complessivamente la domanda interna contribuirebbe per 3,2 punti percentuali cumulati
alla crescita del prodotto prevista per il triennio. Il contributo della domanda estera, invece,
dovrebbe essere leggermente negativo (-0,2 punti percentuali cumulati). In particolare, le
esportazioni, nonostante l’indebolimento dello scenario internazionale, riuscirebbero a
recuperare un buon ritmo nell’ultimo biennio. Le importazioni, in linea con l’andamento
della domanda interna, registrerebbero una crescita superiore a quella delle esportazioni,
neutralizzando così la spinta sul Pil proveniente dalla domanda estera.
20. Sul fronte dei prezzi, l’incidenza del costo del lavoro per unità di prodotto (Clup)
dovrebbe subire un temporaneo rallentamento. Il Clup scenderebbe dall’1,8% del 2016
all’1,4% del 2017, per poi aumentare di cinque decimi nell’anno successivo. Il nostro
scenario ipotizza una crescita dei prezzi moderata. L’inflazione al consumo, dopo aver
registrato una variazione nulla nel 2015, segnerebbe una variazione pari allo 0,1% nell’anno
in corso, per poi continuare una graduale risalita che la porterebbe all’1% nel 2017 e all’1,2%
nel 2017. La componente core dovrebbe passare, progressivamente, dallo 0,7% del 2015
all’1,2% del 2018.
Finanza pubblica
21. L’esercizio di previsione da noi svolto mostra come i principali indicatori di finanza
pubblica dovrebbero evolvere in una direzione sostanzialmente in linea con quella
prefigurata dai documenti ufficiali di fonte governativa. In particolare, il deficit pubblico
dovrebbe calare dal 2,6% al 2,4% del Pil tra il 2015 e il 2016 e poi portarsi al 2,3% nel 2017.
22. In termini strutturali, l’indebitamento netto corretto per gli effetti del ciclo economico e
delle componenti una-tantum, nel 2016 dovrebbe aumentare al -1,2% per poi toccare il 1,5% e ripiegare solo nell’ultima anno di previsione verso -0,7%. Il debito pubblico
inizierebbe a scendere nel 2017 per proseguire nell’ultimo anno di previsione quando, in
rapporto al Pil, dovrebbe essere pari al 130,8% (vs. 132,3% del 2015).
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AfO - Rapporto di previsione
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Sommario e Conclusioni
Tavola A
Italia - Scenario di base: principali variabili
2015
2016
2017
2018
Crescita reale Pil (var %)
Deficit/Pil (in %)
Debito/Pil (in %)
Prezzi al consumo (NIC)
Prezzo del petrolio (in $)
0.7
-2.6
132.3
0.0
53.3
0.9
-2.4
132.8
0.1
49.2
0.9
-2.3
132.7
0.6
47.3
1.2
-1.3
130.8
1.1
46.9
Tasso riferim. BCE (*)
Tasso medio Btp (*)
Tasso sugli impieghi (**)
Tasso sulla raccolta (*)
0.1
1.7
3.4
1.3
-0.02
1.5
3.1
1.1
-0.02
1.9
2.9
0.9
0.02
1.8
2.8
0.7
Impieghi a residenti (PA e sett.privato)* -0.6
Sofferenze nette (***)
5.3
Raccolta da residenti
-0.1
Depositi da residenti (PA e sett.privato)* 3.5
Obbligazioni in euro non IFM (***)
-17.5
0.6
-2.2
0.5
3.4
-17.2
2.3
-7.1
1.6
3.7
-14.6
2.9
-10.1
2.1
3.3
-8.6
Margine d'interesse***
Margine d'intermediazione***
Costi operativi***
Risultato lordo di gestione***
-4.5
3.5
1.0
-0.4
-4.1
-2.2
0.4
1.4
0.9
0.2
-0.6
1.5
2.2
4.3
-0.1
10.7
Costo Oper./Marg.Interm. (in %)
Utile netto (Mld)
Utile netto (Roe)
58.8
3.7
0.9
60.4
5.7
1.4
59.9
7.1
1.7
57.4
11.2
2.6
(*) media annua. (**) relativo alle famiglie e alle società non finanziarie.
(***) var %
Fonte: Istat, Banca d'Italia, BCE e ns. previsioni
Politica monetaria e industria bancaria: andamenti e prospettive
Andamenti
23. L’evoluzione del tono della politica monetaria, sia negli Stati Uniti sia in Europa,
continua ad essere condizionato dalla necessità di fornire supporto ad un quadro economico
che tende a deteriorarsi nel tempo. Per tale motivo mentre negli Stati Uniti il percorso
programmato di rialzo dei tassi è stato rivisto al ribasso, in Europa il basso livello dei tassi è
stato confermato su di orizzonti temporali sempre più lunghi. Analizzando le previsioni sia
della FED sia della BCE, risulta che mentre negli Stati Uniti la prudenza sui tassi è dettata
principalmente da un peggioramento sulle aspettative di crescita reale, in Europa sono le
preoccupazione relative ad una bassa crescita nominale a spingere la Banca Centrale a tenere
fermi su livelli negativi i tassi di interesse. L’attesa di tassi contenuti è condivisa dal mercato
che anzi si mostra ancor più conservativo.
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AfO - Rapporto di previsione
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Sommario e Conclusioni
24. In questo quadro di continua riduzione delle aspettative sul futuro livello dei tassi a breve
termine, a partire da ottobre e ancora di più dall’inizio di novembre si sono manifestate
tensioni rialziste sui rendimenti a lungo termine a livello globale. La spinta iniziale al rialzo è
venuta dai tassi a lunga americani, che tra ottobre e novembre sono cresciuti per 7 decimi di
punto, mentre erano scesi di 9 decimi di punto nei primi nove mesi dell’anno. Le cause di
tale incremento sembrano essere fondate in parte su di motivazioni prettamente
economiche, aumento delle aspettative inflazionistiche negli Stati Uniti, e in parte anche su
considerazioni extra-economiche come mostra la forte accelerazione dei rendimenti in
prossimità delle recenti elezioni presidenziali americane.
25. Il rialzo dei rendimenti a lunga americani si è trasferito in Europa provocando
significative tensioni sugli spread rispetto al Bund tedesco. In particolare, i rendimenti sui
Btp non mostrano tensioni rialziste superiori a quelle degli altri paesi dell’area dell’euro. Al di
là dei recenti movimenti resta da segnalare che in questo modo il 2016 segna una
interruzione del processo di convergenza dei rendimenti sui titoli sovrani in atto dal 2013.
Sul rischio che tale interruzione possa trasformarsi in un processo di divergenza, rimaniamo
fiduciosi sulla capacità di controllo e di intervento che la BCE ha mostrato di possedere in
frangenti simili, a partire dalla fine del 2011 in poi e confermato dai dati più recenti.
26. Il tema del rischio di credito ha continuato a dominare il dibattitto sullo stato attuale e
sulle prospettive delle banche italiane; per tale motivo parte rilevante della congiuntura
bancaria viene dedicata all’analisi degli andamenti recenti del rischio creditizio che sembrano
confermare e rafforzare le positive indicazioni che già sembravano emergere negli andamenti
di fine anno scorso. In primo luogo va rilevato che la consistenza dei crediti deteriorati lordi
dopo aver smesso di crescere, nel primo trimestre dell’anno, nei successivi due trimestri ha
preso a ridursi (a settembre si contraevano al tasso annuo del 4,3%); nello stesso arco
temporale i crediti in bonis hanno ripreso a crescere. Di conseguenza il rapporto
deteriorati/impieghi a settembre risultava più basso di 6 decimi di punto rispetto al dato di
un anno prima: è importante notare come appena un anno fa tale rapporto aumentava al
ritmo annuo di 1,5 punti percentuali. Per indagare le cause di tale inversione del ciclo del
rischio di credito, proponiamo una scomposizione del flusso netto dei crediti deteriorati tra
flussi in entrata e flussi in uscita. Da tale analisi emerge che se tra il 2013 e il settembre di
quest’anno, ultimo dato disponibile, il flusso netto annuale di crediti deteriorati è diminuito
di €60 mld, il 77% di tale diminuzione è dovuta ad una riduzione delle entrate di nuovi
crediti deteriorati e “solo” il 23% ad un aumento delle uscite; la stessa analisi riferita ai soli
andamenti dell’ultimo anno evidenzia che il contributo delle due componenti diviene
paritario. In definitiva l’insieme delle evidenze e dei ragionamenti presentati sembra indicare
che l’attuale fase di riduzione dei flussi di deterioramento del credito al settore privato ha
basi solide e, inoltre, che si può prevedere che, a meno di improvvise inversioni del ciclo
reale, nei prossimi anni il processo di riduzione del rischio creditizio continuerà su ritmi
superiori a quelli attuali.
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AfO - Rapporto di previsione
12/2016
Sommario e Conclusioni
27. Il miglioramento della qualità del credito è elemento imprescindibile per una
convincente ripresa del credito all’economia. Secondo le elaborazioni della Banca d’Italia, lo
stock di prestiti al settore privato, una volta corretto per le cartolarizzazioni, ha segnato nel
mese di settembre un tasso di crescita annuale positivo per 9 decimi di punto, valore ancora
contenuto e inferiore alla dinamica del prodotto, ma superiore di 1,4 punti percentuali al
dato di un anno prima e valore più elevato dall’inizio del 2012. Tale crescita complessiva ha
come limite inferiore la dinamica dei prestiti alle imprese, che a settembre presentavano una
dinamica stazionaria ma che hanno recuperato molto rispetto a quanto accadeva alla fine del
2013, e come limite superiore quella alle famiglie che è ormai in crescita annua da 16 mesi
consecutivi e a settembre si espandevano al tasso annuo dell’1,6%.
28. La contenuta crescita degli impieghi ha determinato, a sua volta, una lenta crescita della
raccolta bancaria presso residenti: a settembre di quest’anno il totale delle risorse raccolte da
residenti presentava un tasso di crescita nullo senza però generare tensioni di liquidità, come
dimostra l’evoluzione del funding gap, pari alla differenza tra prestiti all’economia e raccolta
presso residenti non bancari, che non risulta in diminuzione nell’arco degli ultimi 12 mesi. È
continuato il processo di profonda ricomposizione delle risorse verso gli strumenti più
liquidi a ragione di una forte riduzione delle obbligazioni: si consideri che se alla fine del
2007 le obbligazioni rappresentavano un quarto del totale della raccolta presso residenti non
bancari, oggi ne rappresentano poco più del 13%. Inoltre, riguardo le obbligazioni, l’analisi
dei conti finanziari mostra che prima della crisi le famiglie arrivavano a detenere quasi il 60%
delle obbligazioni bancarie, oggi la quota di obbligazioni bancarie nel portafoglio di
investitori retail è pari a circa il 27% del totale delle obbligazioni bancarie, mentre i restanti
¾ sono detenuti da operatori istituzionali.
29. Gli sviluppi dell’attività bancaria si sono prodotti in un contesto rimasto difficile e
sfidante, su cui, come anche nel recente passato, in parte ha inciso l’esito degli stress test
relativi a 51 grandi banche europee resi pubblici a luglio 2016 dall’EBA. Gli stress test sono
entrati da anni a far parte degli strumenti utilizzati dalle autorità di vigilanza bancaria. Si tratta
di esercizi severi, che valutano la capacità di tenuta delle grandi banche europee in condizioni
economiche e finanziare avverse, con bassa probabilità di realizzarsi.
30. I risultati degli stress test possono essere usati per quantificare immediate esigenze di
rafforzamento patrimoniale per le banche o per fornire alla Vigilanza indicazioni utili ai fini
dell’ordinaria attività di supervisione. Tenuto con della loro rilevanza, il Rapporto dedica un
capitolo di approfondimento sull’esercizio di stress di luglio. In particolare questo
approfondimento intende indagare due questioni: da un lato ci si propone di valutare il peso
relativo dei fattori specifici bancari e quello dei fattori macroeconomici nello spiegare l’esito
degli stress test, cioè la riduzione del rapporto di capitale; dall’altro lato, all’interno dei fattori
specifici bancari, si vuole valutare in che misura il grado di esposizione al rischio sovrano e la
qualità dell’attivo determinano una maggiore o minore perdita di capitale per le banche. Per
quanto riguarda, invece, la prima domanda di ricerca riteniamo che sia il prevalere dell’uno o
dell’altro fattore - bank-specific o macroeconomico - imponga qualche riflessione. Ad
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Sommario e Conclusioni
esempio, se dovesse risultare uno sbilanciamento di peso a favore dei fattori specifici bancari
di inizio periodo, ciò imporrebbe una riflessione sull’utilità stessa degli stessi esercizi di stress
o perlomeno sulle tecniche impiegate per svolgerli; nel caso opposto, invece, qualora
dovessero prevalere gli effetti legati alla diversa dinamica economica dei paesi, sarebbe
importante analizzare le ragioni sottostanti la differenziazione degli scenari macro nazionali
proposti nell’esercizio.
31. In coerenza con queste esigenze, l’impatto sui ratio patrimoniali di ciascuna banca, o di
aggregati nazionali di banche, viene spiegato da due classi di fattori: una di variabili countryspecific, relativa al disegno delle variabili macroeconomiche nei diversi scenari dello stress
test, e una di variabili bank-specific, che mirano a distinguere le banche in termini di struttura
e di performance, così come risulta dai dati di inizio periodo (2015). Come fattori macropaese sono stati considerati: il tasso di crescita del Pil, che è atteso avere segno positivo sui
ratio patrimoniali e lo shock imposto ai rendimenti a lungo termine, che è atteso avere segno
negativo sui ratio patrimoniali. Rispetto ai fattori specifici bancari, tutti relativi ai dati di fine
2015, sono stati considerati: il CET1 ratio, di cui non si hanno ipotesi a priori sul segno; il
livello del Roe, che dovrebbe avere impatto positivo sugli indici patrimoniali; l’incidenza sul
totale delle attività ponderate per il rischio (RWA) del rischio di mercato e del rischio di
credito, di cui non si hanno ipotesi a priori riguardo la direzione del legame; il logaritmo del
totale attivo; l’incidenza delle attività sovrane sul totale delle attività; la qualità del credito,
calcolata come incidenza dei crediti deteriorati sul totale dei crediti. L’impatto sugli indici
patrimoniali viene valutato nei diversi momenti in cui si esplica l’esercizio di stress: si studia
pertanto la variazione del ratio patrimoniale sia nella simulazione di base, sia in quella di vero
proprio stress (simulazione avversa – simulazione di base) così come tra la simulazione
avversa e il valore di inizio periodo del ratio patrimoniale. L’archivio è ovviamente relativo
alle 51 banche impegnate nel recente stress test e i dati sono tutti di fonte Eba per i dati
bancari e Eurostat per quelli macroeconomici.
32. Per valutare il ruolo delle variabili macro e di quelle bancarie si sono svolte sia analisi
grafiche sia econometriche, che hanno fornito a volte risposte e a volte hanno posto ulteriori
domande. In sintesi, l’insieme dei risultati acquisiti porta ad interrogarsi sulle modalità con
cui gli stress test sono condotti e induce a chiedere delle modifiche che rendano più
“coerenti” i risultati degli stessi. In particolar modo, risultano difficili da capire, o almeno da
spiegare econometricamente, le modalità con cui viene costruita la simulazione di base, che
risulta sostanzialmente poco rispondente alle dinamiche macroeconomiche e, invece, molto
dipendente da una pluralità di fattori specifici delle singole banche, tra l’altro difficili da
riportare a fattor comune: in definitiva sembra, quasi, che esista una metodologia di calcolo
della simulazione di base specifica per ciascuna banca. Si può ritenere che l’opzione
metodologica del bilancio statico sia il principale motivo di tali risultati.
33. Più facilmente e più precisamente definibili sono invece le caratteristiche delle
simulazioni in cui si esplicano gli shock macroeconomici. In questo caso il primo risultato
che otteniamo è che a livello intertemporale, cioè di confronto tra esercizi di stress successivi
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Sommario e Conclusioni
(nel nostro caso il confronto tra l’esercizio svolto nel 2014 e quello svolto quest’anno), esiste
una bassa sensibilità delle variazioni di capitale agli shock macroeconomici: questo può voler
dire o che sono massimamente incidenti le variabili bank-specific o che nelle diverse edizioni
gli esercizi vengono ri-calibrati in funzione delle problematiche di volta in volta considerate –
a torto o ragione - più rilevanti. Una parziale risposta a questo dubbio viene dal secondo
risultato che otteniamo: in generale i fattori bank-specific inziali sembrano condizionare
molto, a nostro avviso troppo, il risultato finale dell’esercizio di stress. Tuttavia il peso
preponderante che la qualità dell’attivo iniziale assume in questa sessione degli stress test,
almeno secondo le nostre stime, ci spinge a non scartare completamente l’ipotesi che di
sessione in sessione gli esercizi di stress vengano guidati/calibrati in modo da evidenziare
alcuni fattori di criticità ritenuti al momento prioritari dalle autorità prudenziali, con il
risultato, discutibile e comunque non neutrale, di far risaltare alcune “problematiche”
rispetto ad altre.
34. Ultimo risultato che otteniamo è che il più o meno elevato possesso di attività sovrane
non sembra influenzare in modo significativo la variazione del capitale delle banche negli
scenari di stress, mentre, insieme alla redditività, ad influenzare in modo rilevante il grado di
patrimonializzazione a seguito degli shock imposti è principalmente la qualità del credito.
Questo, che è forse il risultato più preciso che otteniamo dalle nostre stime, rafforza dubbi e
perplessità sulle scelte fin qui compiute dal regolatore nel processo di valutazione della
rischiosità delle banche, che sembra essere concentrato quasi esclusivamente sulla
valutazione rischio di credito che le banche assumono mentre rimane molto marginale
l’attenzione su altri fattori di rischio, come, ad esempio, le attività di livello 3, ovvero le
attività illiquide il cui valore non è misurabile tramite quotazione di mercato ma solo per
mezzo di tecniche di mark to model.
35. In un riquadro di approfondimento di questo Rapporto si riportano i risultati di un
nostro studio econometrico che investiga sulla relazione tra attività di livello 3 e rischio
bancario. Le conclusioni dell’esercizio, confortano le tesi sull’opacità di tali attività, ne
segnalano la rilevanza come fattore di rischio per le banche e, sotto un profilo di policy,
suggeriscono che il regolatore dovrebbe valutare i rischi impliciti nella “incerta” valutazione
delle attività di livello 3 con la stessa (se non maggiore) attenzione che manifesta rispetto
all’analisi della qualità del credito.
Prospettive
36. Nel nostro esercizio, i tassi d’interesse dovrebbero rimanere su livelli molto bassi per
tutto il triennio di previsione, registrando in alcuni casi anche valori inferiori allo zero. In
particolare, il tasso Eurepo a 3 mesi registrerebbe valori negativi non solo nell’anno in corso
ma anche nei prossimi 2. Il tasso Euribor a 3 mesi oscillerebbe tra -0,3 e -0,4 in linea con
l’impostazione molto accomodante della Bce. Nel quadro ipotizzato, anche i tassi di interesse
sul debito pubblico rimarrebbero su livelli molto bassi. Il tasso sui Bot, che nella media del
2015 si è sostanzialmente azzerato (0,1%), scivolerebbe in territorio negativo fino a
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Sommario e Conclusioni
raggiungere il valore di -0,4% nell’ultimo anno di previsione. Il tasso sui Btp dovrebbe
registrare nel 2016 una riduzione pari a due decimi di punto, per poi iniziare una leggera
risalita verso l’1,8% di fine periodo. Tali andamenti consentirebbero di ridurre il differenziale
rispetto al benchmark europeo che sarebbe pari a 30 punti base a fine periodo, rispetto ai 70
del 2015. Il differenziale rispetto al Bund passerebbe da 120 a 80 punti base nel periodo
2015-2018, evidenziando anche in questo caso un netto calo.
37. Passando ai tassi bancari, nelle nostre previsioni il costo della raccolta dovrebbe
continuare a ridursi, giovandosi della politica monetaria molto espansiva della Bce e della
ormai consolidata stabilità interna. Da una parte, il tasso sui depositi passerebbe dallo 0,6%
del 2015 allo 0,2% del 2018 e, dall’altra, il tasso sulle obbligazioni nello stesso periodo
scenderebbe dal 3 al 2,4%. Nel complesso il costo della raccolta passerebbe dall’1,3 allo
0,7%, grazie anche ad una forte ricomposizione della raccolta a favore di strumenti più
liquidi, come i depositi. Il tasso medio sugli impieghi, di conseguenza, dovrebbe registrare
anch’esso una riduzione. In particolare, il tasso sugli impieghi alle famiglie scenderebbe di
due decimi di punto nel primo anno di previsione, per poi stabilizzarsi intorno al 3,3%. Il
tasso alle imprese evidenzierebbe una dinamica ancora più accentuata passando dal 3,2 al
2,4% nel triennio di previsione. Alla luce di queste evoluzioni, nel nostro scenario lo spread
sui tassi bancari oscillerebbe intorno a 2 pp. Il mark-up passerebbe da 3,4 a 3,2 pp; da notare
che, nonostante la riduzione del tasso sulla raccolta, nel nostro scenario il mark-down
rimarrebbe in territorio negativo anche nell’ultimo anno di previsione.
38. Sotto l’ipotesi di un rapido rientro delle tensioni finanziarie emergenti, l’attività del
settore bancario riprenderebbe slancio sia in termini quantitativi sia qualitativi: da un lato
infatti prevediamo che il totale dell’attivo torni a crescere già a partire da quest’anno,
dall’altro diamo conto di un significativo miglioramento della qualità dell’attivo. Il minor
rischio creditizio e una congiuntura comunque in ripresa consentiranno di avviare una buona
ripresa della domanda di credito, che dovrebbe tornare positiva quest’anno e accelerare in
seguito. Il ricorso al rifinanziamento presso la banca centrale consentirà alle banche una
espansione della raccolta da residenti leggermente inferiore a quella degli impieghi,
determinando un leggero incremento del funding gap.
39. Elemento centrale della nostra previsione è l’avvio e il consolidamento del processo di
riduzione della rischiosità dell’attivo: in anticipo rispetto alle nostre più recenti previsioni, le
sofferenze nette quest’anno dovrebbero iniziare il processo di rientro, diminuendo del 2,2%
rispetto ad un anno prima: nel successivo biennio – anche in uno scenario inerziale come
quello da noi elaborato, ovvero al netto di eventuali operazioni straordinarie di cessione di
NPLs - la riduzione dello stock dovrebbe accelerare; in termini assoluti si tratterebbe di una
riduzione dello stock di sofferenze nette per oltre €16 mld. Tale riduzione unita ad una
ripresa della domanda di credito si tradurrebbe in una significativa discesa del rapporto
sofferenze/impieghi che nel complesso del periodo di previsione dovrebbe scendere
complessivamente per 1 punto percentuale, collocandosi nel 2018 al 3,6%%, valore più
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Sommario e Conclusioni
basso dal 2013. Il grado di copertura delle sofferenze dovrebbe aumentare ulteriormente
passando dal 55,7% del 2015 al 57,1% del 2018. La riduzione del rischio è trainata
principalmente da una significativa riduzione dei tassi di default. Il tasso di decadimento per
il totale dei residenti, infatti, dovrebbe scendere complessivamente per 6 decimi di punto: in
questo modo nella media del 2018 il tasso di decadimento dei residenti dovrebbe giungere al
livello dell’1,1% sostanzialmente allineato a valori pre-crisi. Il processo di discesa presenterà
una certa diversificazione settoriale: dovrebbe essere particolarmente intenso per i crediti alle
società non finanziarie, il cui tasso di default dovrebbe diminuire per 1,3 punti percentuali, e
meno marcato per le famiglie consumatrici, che però presentavano il più basso tasso di
rischiosità. Ad accompagnare la riduzione dei tassi di sofferenza anche una importante
crescita dei flussi in uscita dallo stato di sofferenza, che riflette principalmente la
maturazione di coorti di crediti in sofferenza, “pesanti” dal punto di vista di valore, e,
cautelativamente in misura molto parziale, dei previsti effetti postivi delle innovazioni
legislative degli ultimi mesi e dell’introduzione di nuovi strumenti per facilitare la dismissione
degli stock di crediti deteriorati.
40. La riduzione del rischio si accompagna ad una buona ripresa dell’attività di prestito. Il
credito a famiglie e imprese dovrebbe quest’anno tornare stabilmente in territorio positivo e
accelerare nel biennio finale di previsione in modo tale da interrompere, a partire dal 2017, il
processo di discesa dell’input di credito per unità di prodotto. Si consideri che tale dinamica
risulta frenata dalla contestuale riduzione dello stock di sofferenze, aggregato che è
compreso all’interno dei crediti: se si considera la dinamica dei crediti “vivi”, cioè al netto
delle sofferenze, il tasso di crescita del 2018 passerebbe dal 2,9 al 5,2%. Le famiglie,
soprattutto con la componente del credito al consumo e dei mutui per l’acquisto delle
abitazioni, sono i protagonisti della ripresa del credito, mentre il credito alle imprese
dovrebbe fornire maggiore spinta soprattutto nel biennio finale della previsione.
41. Il rifinanziamento da parte della BCE e un elevato portafoglio di liquidità secondario
dovrebbero consentire una tranquilla politica di finanziamento alle banche italiane. La
crescita della raccolta dopo essere tornata positiva a partire da quest’anno, in seguito
dovrebbe crescere ad un tasso medio dell’1,9%, inferiore a quello del totale degli impieghi e
al previsto tasso di crescita del prodotto. Per tale motivo il gap tra impieghi e raccolta, dopo
una sostanziale stabilità per quest’anno, in seguito dovrebbe tornare ad ampliarsi.
Coerentemente ai trend recenti, la crescita della raccolta è determinata da un buon
andamento della raccolta in depositi e da una continuazione del trend di riduzione dello
stock di obbligazioni presso residenti non bancari. Dato che i flussi di raccolta saranno
sempre inferiori a quelli di impiego, il finanziamento dell’attività bancaria si gioverà del
contributo del rifinanziamento presso la banca centrale e soprattutto di un ingente
smobilizzo del portafoglio titoli: nel complesso del periodo di previsione il rifinanziamento
presso la BCE dovrebbe garantire risorse aggiuntive per poco meno di €25 mld, mentre il
portafoglio titoli dovrebbe finanziare l’attività con risorse pari a quasi €90 mld.
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Sommario e Conclusioni
42. I ratio patrimoniali tenderanno a crescere ulteriormente anche se ancora elevato risulterà
il contributo del ricorso al mercato mentre il contributo alla crescita della gestione interna
sarà limitato dalle pressioni sulle banche italiane per aumentare i rapporti di copertura dei
crediti deteriorati. Nel nostro quadro previsivo, il ratio del capitale di migliore qualità (CET1)
dovrebbe aumentare complessivamente per 5 decimi di punto percentuale, raggiungendo a
fine 2018 il valore del 12,8% degli attivi a rischio. La leva finanziaria dovrebbe mostrare solo
una lieve riduzione, confermando quindi il già elevato livello di solidità delle banche italiane
relativamente a questo indicatore.
43. Le attuali tensioni finanziarie, anche se previste rientrare in breve tempo, complicano il
quadro di ripresa della redditività bancaria determinando una rivisitazione al ribasso dei flussi
di ricavi - sia rispetto al margine netto da interessi sia, soprattutto agli altri ricavi – oltre che
una revisione verso l’alto degli accantonamenti sulle attività finanziarie e sui crediti. Il profilo
di redditività rimane indirizzato verso la crescita, ma rispetto alle previsioni dello scorso
Luglio si prevedono minori utili per €3,8 mld.
44. La conferma della politica dei tassi bassi che la BCE non consentirà al margine di
interesse di trarre pieno profitto dalla, pur contenuta, crescita dell’attività di intermediazione.
Dopo la forte riduzione sperimentata nel 2015, quest’anno la riduzione dello spread dei tassi
e la ancora bassa crescita dei crediti dovrebbero portare ad una ulteriore significativa
riduzione del reddito da interessi, riduzione che dovrebbe essere quasi del tutto annullata da
una leggera ripresa dei ricavi dalla gestione denaro nel biennio finale della previsione. Un
importante sostegno al reddito da interessi dovrebbe venire dall’imponente ricomposizione
del funding a favore dei depositi e a danno delle obbligazioni descritta in precedenza.
Sicuramente migliori risultano le prospettive su ricavi diversi dagli interessi, anche se proprio
su tale voce si dovrebbero concentrare gli effetti negativi legati alle attuali tensioni
finanziarie. L’attuale quadro previsivo disegna una crescita degli altri ricavi ad un tasso medio
dell’1,6% che si traduce in un flusso netto di risorse pari a poco più di €2 mld nel triennio di
previsione, flusso che risulta inferiore per €3,5 mld rispetto a quanto previsto a luglio. La
componente di reddito più colpita dalle tensioni finanziarie è, ovviamente quella connessa ai
ricavi da negoziazione e gli altri ricavi finanziari e, in parte, ai dividendi ricevuti dalle banche;
a compensare il calo di questa componente di ricavo dovrebbe andare la dinamica dei i ricavi
da servizi, che dovrebbero crescere ad un ritmo medio del 3,3%, assicurando da soli risorse
nette al bilancio delle banche superiori a €2,5 mld; nonostante tale capacità di resistenza
anche la previsione su tale fonte di ricavo dovrebbe risultare inferiore, di quasi €1 mld,
rispetto alle previsioni di luglio.
45. Per quanto detto finora non sorprende la prevista deludente dinamica del margine di
intermediazione, sia in termini assoluti sia relativi. Nelle nostre attuali previsioni, il totale dei
ricavi delle banche quest’anno dovrebbe scendere di €1,7 mld, e poi accelerare
progressivamente sino a raggiungere nel 2018 un livello di €2 mld in più del flusso
guadagnato nel 2015; nel complesso si parla di una crescita media annua dei ricavi dello 0,8%
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Sommario e Conclusioni
e di una perdita di flusso complessivo per quasi €5 mld rispetto alle previsioni di luglio. Se
rapportiamo la dinamica dei ricavi bancari al prodotto nominale italiano possiamo vedere
come nel prossimo biennio si dovrebbe interrompere il processo di ripresa di tale rapporto,
con una perdita di 2 decimi di punto rispetto ai livelli di partenza. Il rasserenarsi del clima
finanziario dovrebbe consentire un lieve recupero nell’anno finale di previsione con
l’incidenza sul Pil dei ricavi bancari che dovrebbe avvicinarsi al 4,7%, un decimo meno del
dato di partenza, ma soprattutto 5 decimi meno del valore medio del periodo pre-crisi.
46. A fronte di un quadro prospettico di debolezza dei ricavi, i costi non potranno che
adeguarsi: secondo le nostre previsioni, nel complesso del triennio di previsione, il totale dei
costi dovrebbe rimanere stazionario sui livelli dello scorso anno, con scarse differenze di
dinamiche tra le due principali componenti. L’accentuata caratteristica di inerzia dei costi
bancari dovrebbe rendere la congiuntura del cost-income ratio sostanzialmente dipendente
da quella del totale dei ricavi: nel 2016 si dovrebbe registrare un peggioramento
dell’efficienza economica (con una crescita del rapporto costi/ricavi per 1,5 punti
percentuali), poi una stabilizzazione e infine una significativa riduzione. A fine 2018 il costincome ratio dovrebbe collocarsi intorno al 57,3%, 1,5 punti percentuali in meno del dato di
inizio periodo ma 2 punti percentuali in più rispetto ai valori di inizio millennio. La quasi
stazionarietà della componente delle spese per il personale sarebbe determinata da andamenti
contrastanti tra il numero dei dipendenti e il costo unitario per dipendente: i primi
dovrebbero continuare nel loro attuale trend discendente, mentre il secondo dovrebbe
presentare una crescita media pari all’1,4% che, seppur inferiore al previsto tasso di crescita
della retribuzione del settore privato, dovrebbe consentire una crescita delle retribuzioni in
termini reali. Gli altri costi operativi risulterebbero caratterizzati da una modesta riduzione,
risultando in bilico tra la volontà di investimento delle banche e le esigenze di bilancio.
47. A sostenere la redditività concorrono i flussi di accantonamento, in tendenziale
riduzione: al 2018 le rettifiche complessive dovrebbero risultare di €5,5 mld in meno del dato
del 2015. Tuttavia la congiuntura previsiva non appare così lineare come il dato finale lascia
intendere, ma si compone di una sostanziale stabilità per quest’anno, dovuta sia alle tensioni
finanziarie registrate nell’anno e sia alla pressione delle autorità di vigilanza per un ulteriore
aumento dei rapporti di copertura sui crediti deteriorati. Solo a partire dal 2017, e ancor più
nel 2018, dunque, la riduzione del rischio bancario da noi segnalata trova una sua espressione
nei bilanci bancari. Nonostante le riduzioni prima prospettate, il costo del rischio rimarrà su
livelli elevati nel confronto storico, sia se considerato in termini assoluti sia se valutato come
incidenza sulle attività di riferimento o rispetto al risultato di gestione: in questo caso si vede,
da un lato, il notevole miglioramento da noi previsto rispetto ai valori massimi del 2014,
dall’altro lato, come a fine 2018 il costo del rischio risulti ancora ben superiore ai valori medi
pre-crisi. Infine si consideri che nella media del triennio di previsione il flusso di
accantonamenti assorbirà il 66% del risultato di gestione, quando prima della crisi ne
assorbiva solo il 24%
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Sommario e Conclusioni
48. Una dinamica non esaltante dei ricavi, seppur accompagnata da una stazionarietà dei
costi e da un miglioramento del costo del rischio, determina una redditività in “fragile”
ripresa. Si consideri che nel triennio di previsione l’ammontare degli utili, pari
complessivamente a poco più di €24 mld, sarà inferiore di oltre €3 mld rispetto a quanto
previsto nel Rapporto Afo di luglio. A ciò si aggiunga che questa debole crescita degli utili è
comunque soggetta ad un consistente rischio di revisione al ribasso. In particolare, al di là
della fiducia sulla capacità della BCE di controllare e limitare le recenti tensioni finanziarie
all’interno dell’area europea, il quadro di redditività da noi prospettato è condizionato al
verificarsi o meno di due fattori. In primo luogo la nostra previsione non può prescindere
dalla conferma dalla politica di serrato controllo dei costi seguita dalle banche negli ultimi
anni, questo in ragione principalmente della bassa dinamica attesa del totale dei ricavi delle
banche. In secondo luogo la crescita della redditività bancaria è costruita su di una ipotesi di
miglioramento “inerziale” della qualità dell’attivo. Tuttavia le banche italiane sono oggi
sottoposte a forti pressioni per accelerare il miglioramento della qualità dell’attivo per il
tramite di piani straordinari di vendita degli stock di crediti deteriorati. Qualora tali pressioni
dovessero portare a rilevanti cessioni di crediti deteriorati “forzate”, appare legittimo
ipotizzare che il percorso di debole ripresa della redditività qui disegnato per il triennio di
osservazione potrebbe essere rivisto al ribasso.
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