Kripke contro il fisicalismo - Digilander

Kripke contro il fisicalismo
Matteo Casu
Filosofia del Linguaggio, Corso di Laurea in Filosofia
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Sommario. In questo lavoro intendo dare una presentazione critica dell’argomento di
Kripke contro il fisicalismo, prendendo in considerazione il saggio del 1971 Identity
and Necessity. Cercherò di dare per scontata solo una minima conoscenza dell’autore,
e presenterò prima gli argomenti di Kripke, poi una loro ripresa da parte di David
Chalmers e infine alcune critiche che ad essi si possono muovere.
1
Introduzione
Il saggio Identity and Necessity è la trascrizione, con leggeri ritocchi, di una serie di
conferenze sull’identità che Kripke tenne alla New York University. Nel saggio in
questione si sostiene la necessità delle identità tra designatori rigidi e si propone un
argomento contro il fisicalismo. Per ‘fisicalismo’ in questo contesto si intende la
teoria dell’identità psico-fisica nella sua accezione più generale, secondo la quale
determinati stati mentali sono identici a determinati stati fisici.
Nel presente lavoro si darà in parte per scontata la teoria (o visione, come lui preferirebbe chiamarla) del riferimento di Kripke. Tale visione comprende alcuni contributi
originali di Kripke alla filosofia del linguaggio, come la nozione di designatore rigido e di catena causale, la distinzione tra a priori e necessario e tra a posteriori e
contingente. Il mio obiettivo sarà non tanto seguire pedissequamente l’esposizione di
Kripke, quanto darne una ricostruzione razionale quanto più possibile comprensibile,
considerando come punto centrale della trattazione il cosiddetto argomento del dolore
(o argomento modale) contro il fisicalismo e alcune possibili controobiezioni ad esso.
Sarà inoltre di mio interesse cercare di chiarire il rapporto tra la teoria del riferimento
di Kripke e l’essenzialismo metafisico da lui sostenuto.
2 Mondi possibili ed essenzialismo
Anzitutto mi sembra utile, al fine di ricostruire gli argomenti di Kripke, introdurre
alcune nozioni preliminari. La semantica di Kripke si serve della nozione di mondo
possibile. Intuitivamente, un mondo possibile è una situazione controfattuale, ossia
uno stato di cose, logicamente coerente, diverso da quello attuale. Ai nostri fini possiamo introdurre i due operatori modali in modo semplificato: usiamo ‘p’ per denotare un enunciato qualsiasi.
“ p” significherà “necessario che p”: questo enunciato è vero sse p è vero in tutti i
mondi possibili; “◊ p” significherà “possibile che p”: questo enunciato è vero sse p è
Tesina corso Filosofia del Linguaggio – anno 2005/2006
Matteo Casu
vero in almeno un mondo possibile;1
“(◊ ¬p)” equivarrà a “p è contingente”;2
“ Pa” significherà “a ha necessariamente la proprietà P”.3 Si dice poi designatore
rigido un termine che designa lo stesso oggetto in tutti i mondi possibili. Sono designatori rigidi i nomi propri, le descrizioni definite interpretate de re, i nomi di generi
naturali (acqua, legno..), i dimostrativi. Possiamo dire che i designatori rigidi sono, in
termini aristotelici, nomi per sostanze individuali.
Come conseguenza delle assunzioni di Kripke, avremo almeno due tipologie di enunciati necessari: le attribuzioni di proprietà essenziali e le identità tra rigidi.
Della seconda tipologia tratteremo diffusamente nel prossimo paragrafo. Essa è infatti
oggetto del saggio di Kripke, la cui tesi principale è sostenere la necessità delle identità.
Riguardo alla prima, possiamo dare un paio di esempi che potranno aiutare a entrare
nell’ottica dell’essenzialismo kripkeano.
- Consideriamo l’enunciato “L’acqua è H2O”. Qui si sta attribuendo una proprietà
essenziale all’acqua: quella di avere una certa composizione chimica. Se il liquido
fosse composto da, poniamo, “XyZ”, non sarebbe acqua. Quindi l’enunciato è necessario, anche se conosciuto a posteriori.4
- Un altro esempio è “Questo leggio è di legno.”. Se è vero, è necessario (anche se
conosciuto a posteriori). Questo leggio potrebbe essere in un’altra stanza, ma non
potrebbe essere fatto di ghiaccio.
Possiamo procedere ora a esporre gli argomenti di Kripke a favore della necessità
delle identità.
1
A rigore “ p” è vero relativamente a un mondo sse p è vero in tutti i mondi possibili accessibili dal mondo considerato. Nel nostro caso questa complicazione non è necessaria, perché
le nostre considerazioni modali saranno relative al mondo attuale.
2 A rigore “contingente” viene formalizzato con “(p) ∧ (◊ ¬p)”, vale a dire “p è vera ma non
necessaria”. Ma possiamo lasciare sottinteso il primo congiunto.
3
La quantificazione attraverso contesti modali vale nella logica modale di Kripke, ed esprime
in qualche modo l’essenzialismo aristotelico. Banalizzando, possiamo dire che secondo
l’essenzialismo gli enti individuali possiedono delle proprietà essenziali (senza le quali essi
non sarebbero ciò che sono) e delle proprietà contingenti, che possono invece variare. Tale
modo di trattare le modalità è rifiutato, per esempio, da Quine (che in questo segue Kant e
Carnap), che auspicherebbe un trattamento delle modalità come predicati da attribuire a giudizi: seguendo questo approccio, non si dirà “Necessariamente l’uomo è razionale”, ma “
‘L’uomo è razionale’ è necessario”. Tuttavia, possiamo dire che la quantificazione à la Kripke ha passato il test della storia, anche perché la possibilità di un approccio quineano è stata
minata da un importante risultato raggiunto da Montague nel 1963. Cfr. su questi temi Burrini (1999).
4 Kripke, a differenza di gran parte della tradizione a lui precedente, insiste sulla trasversalità
di due dicotomie appartenenti a ambiti diversi, l’epistemologia e la metafisica: a priori/a
posteriori e necessario/contingente. Cfr. Kripke (1980).
2
Network: istruzioni per gli autori
3 Identità necessarie
Per l’autore è chiaro che dalla legge di sostitutività (1) e dalla versione modale del
principio di identità (2) segue la (3), che è la tesi dell’articolo:
(1) ∀x∀y (x=y ↔ (Fx→Fy))
(2) ∀x (x=x)
(3) ∀x∀y (x=y → x=y)
Se due oggetti sono identici avranno le stesse proprietà, tra cui quella (necessaria) di
essere uguali a se stessi.
Alcuni, dice Kripke, trovano la (3) “sorprendente”. Ma quali coppie potrebbero costituire un controesempio? Non coppie di oggetti diversi, perché l’antecedente sarebbe
falso. Non una coppia formata da un oggetto con se stesso, perché il conseguente
sarebbe vero.
Quindi, la (3) è vera. Ora, se ‘a’ e ‘b’ sono designatori rigidi, vale:
(4) a=b → a=b
Un’identità, se vera, è necessariamente vera.
Nonostante la (4) non gli sembri sorprendente, Kripke spende buona parte
dell’articolo nella confutazione di presunte identità contingenti. Consideriamo, anche
in questo caso, un paio di esempi.
Un controesempio alla (4) sembra essere
(5) “L’autore di Amleto è colui che ha scritto Amleto.”
Questa sembra essere un’identità contingente, in quanto in un altro mondo possibile
l’autore di Amleto (Shakespeare) avrebbe potuto non scrivere Amleto.
Kripke fa però notare che per avere un’identità dobbiamo interpretare de re entrambe
le descrizioni, interpretarle cioè come designatori rigidi.5 Se lo facciamo notiamo
subito che possiamo riscrivere la (5) come
(6) “Shakespeare è Shakespeare.”
che è pacificamente necessaria.
Un altro controesempio potrebbe essere
(7) “Il calore è il movimento delle molecole.”
Sembra contingente: possiamo infatti pensare che dei marziani potrebbero arrivare
sulla Terra e percepire come freddo il movimento molecolare. Ma il punto, per Kripke, è che ‘calore’ designa rigidamente un certo stato fisico (per l’appunto, il movimento molecolare), che è solo contingentemente percepito da qualcuno. Il calore ci
sarebbe anche se sulla Terra ci fossero solo vulcani in eruzione e nessun essere cosciente a percepire alcunché. Per cui il controesempio non funziona, perché ci dice
5
Nell’articolo Kripke tratta la questione servendosi anche della distinzione di Russell tra
ambito ampio e ristretto di una descrizione. Mi sembra però che il tutto risulti di più agevole
comprensione tralasciando la terminologia di Russell.
3
Matteo Casu
solo che gli ipotetici omini verdi percepirebbero il calore in un altro modo rispetto a
noi.
Ma a questo punto Kripke propone un’identità per cui un controesempio è possibile.
4
Una falsa identità
(8) “Il dolore è l’attivazione delle fibre C.”
Ora, il dolore non è uno stato percepito tramite una sensazione. Il dolore è una sensazione. Per cui possiamo rimettere in gioco i marziani, e in questo caso sarà perfettamente legittimo dire che essi potrebbero avere le fibre C attivate ma non provare
dolore. Possiamo pensare anche al viceversa: i marziani potrebbero provare dolore
senza avere le fibre C attivate (in loro potrebbe attivarsi qualcos’altro, o anche nulla).
Abbiamo quindi un’identità tra rigidi contingente. Il che vuol dire che (8) non è un'identità.
Infatti, posto ‘a’= dolore, ‘b’= attivazione fibre C avremo
(9) a=b → a=b
[come esempio della (4)]
(10) ¬ a=b
[per ipotesi]
(11) a≠b
[per modus tollens]
Per cui il fisicalismo è falso. Lo stesso Kripke fa notare che questo argomento è simile a un argomento usato da Cartesio:
Descartes può pensare di esistere senza il suo corpo, quindi Descartes non è il suo
corpo.
Possiamo anche dire: il corpo di Descartes è sopravvissuto a Descartes, per cui il
corpo di Descartes non è Descartes.
Per gli stessi motivi, una statua non è il blocco di pietra di cui è composta.
5
Zombies
In questo paragrafo vedremo alcuni sviluppi dell’argomento modale.
Lungi dall’essere bollato come essenzialista e metafisico (per il semplice fatto che in
questo momento in filosofia questi termini non costituiscono un insulto), l’argomento
di Kripke ha avuto fortuna, ed è stato ripreso da Chalmers (1996), che propone
l’argomento degli zombies: se è logicamente concepibile un mondo-replica di quello
attuale ma privo di coscienze, allora il fisicalismo è falso. In Crane (2003, p. 146-148
dell’ ed. it.) se ne dà una lucida ricostruzione:
(i) Gli zombies sono concepibili.
(ii) Se gli zombies sono concepibili, allora sono metafisicamente possibili.
(iii) Se gli zombies sono metafisicamente possibili, allora il fisicalismo è falso.
(iv) Dunque il fisicalismo è falso.
L’argomento è valido. Cosa dire delle premesse? Crane definisce la (iii) “ineccepibile”: infatti il fisicalismo forte è una teoria dell’identità, e l’identità è una relazione
necessaria. Anche concependo il fisicalismo in termini di sopravvenienza o determi-
4
Network: istruzioni per gli autori
nazione, bisognerebbe considerare queste relazioni come necessarie, cosa che però è
smentita dall’argomento. La (i) sembra essere altrettanto non controversa. Rimane la
(ii), che abbiamo già implicitamente giustificato con la discussione della (8).
6 Un’analisi dell’argomento
L’argomento di Chalmers è sostanzialmente una rielaborazione dell’argomento di
Kripke. Nella mia esposizione, userò spesso ‘stati mentali’ laddove dovrei usare ‘coscienza fenomenica’. Questo non compromette gli argomenti. Possiamo quindi applicare le nostre critiche tenendo presente le tre premesse illustrate da Crane.
Ora, a mio parere raramente si trovano in un argomento filosofico tanti giochi di
parole come in quello qui analizzato. Tecnicamente, l’argomento è un paralogismo,
nella fattispecie un quaternio terminorum. Ma, per l’appunto, non posso essere sicuro
neanche di questo, perché la stessa analisi di quelli che considero errori nella caratterizzazione di certi concetti è resa difficile dal guazzabuglio concettuale in cui siamo
spinti da infelici scelte terminologiche.
Andiamo quindi con ordine.
Concediamo, per amore di discussione, la (i). Nel contesto dell’alto standard di precisione del resto dell’argomento, non mi sembra che la concepibilità sia una nozione
filosoficamente chiara, ma questo è un problema minore.
La (ii) funziona solo se interpretiamo l’operatore di possibilità come esprimente la
possibilità metafisica. Ora, personalmente non ho nessun pregiudizio in materia, ma
devo ammettere di avere qualche difficoltà a capire quali siano le leggi che regolano
questo tipo di possibilità.
I filosofi distinguono da sempre possibilità (e necessità) logica e fisica. L’enunciato
“2+2=4” è logicamente necessario (almeno relativamente a una certa teoria, così
come nella semantica di Kripke un enunciato è necessario relativamente a un mondo
possibile), così come è logicamente possibile che io possa scrivere al computer.
D’altra parte è fisicamente possibile per me scrivere al computer, tanto è vero che lo
sto facendo in almeno un mondo possibile. Inoltre non c’è contraddizione in un mio
balzo dal tetto del mio palazzo all’Empire State Building. Ma dubito fortemente che
la Natura sarebbe d’accordo con la cosa. Per inciso, alcuni sostengono che il fisicamente possibile sia in qualche modo un sottoinsieme del logicamente possibile.
Gli esempi in cui uso gli operatori modali in contesti de dicto sarebbero accettati da
Quine e da Carnap.
Cosa fa Kripke quando parla di mondi possibili? Parla di situazioni controfattuali
formulabili linguisticamente, che nella sua particolare teoria diventano formulabili
logicamente (relativamente alla sua logica modale aletica). Bene. Se dico “In questo
momento avrei potuto essere in un pub a sorseggiare un Margarita.” intendo dire che
è concepibile che avrei potuto farlo, perché la logica non me lo avrebbe vietato, e le
leggi fisiche normalmente ammettono che qualcuno vada in un pub. Ma io potrei
avere credenze deterministiche, e credere anche che la realtà non abbia modalità oltre
il fattuale, sebbene le modalità siano utili per guidare i nostri pensieri e le nostre
azioni. Non c’è nulla nella teoria del riferimento di Kripke che mi vieti di avere que-
5
Matteo Casu
sto approccio. Quindi io lo adotterò. In questa prospettiva, io posso dire che avrei
potuto essere in un pub anziché a casa mia, ma (almeno a quanto ne sappiamo) potrebbe essere fisicamente necessario che io sia a casa mia. Se vogliamo possiamo
chiamare metafisica questo tipo di possibilità linguistica. E quindi accettare la (ii) con
questa interpretazione degli operatori modali (che poi non è né più né meno che quella della semantica dei mondi possibili). In questo modo penso di aver mostrato come
si possa usare il trattamento delle modalità di Kripke rimanendo neutri rispetto a
posizioni metafisiche.
Noi possiamo concepire zombies in base alla definizione di zombie, e qualcuno ha
deciso di chiamare metafisica questa possibilità. Mi si obietterà che mi sto prendendo
gioco dell’argomento. Sì, questo è anche vero, ma non sto violando le regole del
gioco. Con l’esempio del dolore Kripke vuole mostrare che il dolore è essenzialmente
e metafisicamente una sensazione. Ma io non accetto questi avverbi usati in questo
modo. Kripke può voler dire solo due cose: o che lui chiama ‘dolore’ la sensazione di
dolore, fregandosene di come è implementata, o che la sensazione di dolore è qualcosa che prescinde da una implementazione.
Il primo disgiunto non tocca la teoria della sopravvenienza. Quando il teorico della
sopravvenienza dice che certe proprietà mentali sopravvengono necessariamente su
certe proprietà fisiche usa (io credo) “necessariamente” per indicare una necessità
fisica, non logica: non si dà il caso, nel nostro mondo, che io abbia un certo stato
fisico senza avere un certo stato mentale. (Qualcuno direbbe che io sto parlando di
una sopravvenienza debole, forse il cosiddetto emergentismo. Ma onestamente non
credo che i teorici della sopravvenienza intendano ‘necessità’ in un senso non fisico.)
Il secondo disgiunto va contro la teoria della sopravvenienza, ma è una petizione di
principio.
Per quanto riguarda la teoria dell’identità, possiamo spezzarla in due6: secondo Kripke, possiamo concepire stati fisici senza stati mentali (gli zombies, contro la sopravvenienza) e stati mentali senza stati fisici (gli angeli). Come già detto, io non nego la
concepibilità di questi mondi. Nego di poterne determinare la possibilità fisica a
priori, e sostengo che la possibilità logica è banalmente vera ma non porta conseguenze “metafisiche”.
Del resto Crane fa notare che il punto comune agli argomenti anti-fisicalisti (come
quello di Chalmers o quello di Jackson) è il fatto che essi mostrano come non ci sia
una connessione concettuale o analitica tra il concetto di coscienza e i concetti fisici
a cui essa è ridotta. Ma allora era tutto qui? Forse non mi sbagliavo. ‘Possibilità
metafisica’ di mondi zombie significa ‘possibilità concettuale’, nulla più.
7
Altre critiche
Paternoster (2005) ha osservato che l’argomento di Kripke è valido, ma se separiamo
la sensazione di dolore dal dolore (come stato) l’identità diventa necessaria. In altre
6
Qui prenderò in considerazione l’identità tra stati, che è poi la sopravvenienza forte.
L’identità tra proprietà, per quanto mi riguarda, è già stata confutata da Putnam.
6
Network: istruzioni per gli autori
parole la (8) diventa assimilabile alla (7).
Giunti (2004) ha mostrato come in un quadro fisicalista minimale gli zombies e i
mondi angelici non possano darsi. Giunti osserva inoltre che, se ciò che Chalmers
cerca è una esplicazione concettuale della coscienza, non è un mistero che la scienza
fisica sia inadeguata.
E’ da notare inoltre che l’uso di designatori rigidi non costringe ad adottare
l’essenzialismo: l’idea di proprietà essenziale ha bisogno del designatore rigido, ma
non vale il viceversa. Essere essenzialisti è un atto di fede in più rispetto all’uso di
una qualsivoglia logica.
Queste obiezioni (a Kripke e a Chalmers) colgono punti che sono in qualche modo
toccati anche dalle critiche da me lanciate nel paragrafo precedente.
Mi sembra però che si sia parlato troppo di filosofia della mente e troppo poco della
teoria semantica di Kripke. Potrebbe sembrare, a questo punto, che il mio giudizio
sulla filosofia del linguaggio di Kripke sia negativo. E invece è vero il contrario.
Kripke ha descritto con genialità la funzione referenziale del nostro linguaggio: un
esempio non ritrito potrebbe essere il seguente.
Per Kripke gli indicali sono designatori rigidi. Ed è vero: enunciati come “Se io fossi
te...” danno problemi. Non riusciamo perfettamente a capire cosa si intenda dire.7 Per
dire ciò che (probabilmente) si vorrebbe dire bisogna usare una attribuzione di proprietà: “Se io fossi nelle tue circostanze...”. Così funziona. L’adottare designatori
rigidi però non implica adottare l’essenzialismo (né a livello fisico, o metafisico, né a
livello linguistico). E’ vero solo il viceversa. E non era proprio Kripke, in Naming
and Necessity, a rispondere a Quine che la sua teoria non aveva bisogno di parlare di
proprietà essenziali che funzionessero da identità attraverso mondi? Il motivo di ciò
era che i mondi possibili sono stipulati. Sono costruzioni linguistiche, che non hanno
bisogno di rispettare particolari principi ontologici. Questa è la forza della teoria di
Kripke. Ed è la forza del nostro linguaggio: non solo ci permette di parlare di cose in
absentia, ma anche di riferirci a oggetti in modo, appunto, diretto, che prescinde dalle
proprietà. E se anche volessimo giustificare un essenzialismo a livello linguistico
(cosa, peraltro, costosa e non necessaria) perché non accontentarsi dell’idea di essenze nominali (nel senso del buon Locke)? Kripke sembra accettare in qualche modo
l’idea di essenze reali, e ciò lo conduce a sposare un essenzialismo metafisico. Lo
sconfinamento nella metafisica (uso qui il termine in senso letterale, non polemico) è
un risultato di questo suo (gratuito) matrimonio.
E’ forse troppo arida la figura del filosofo del linguaggio come tecnico? Spiegare le
funzioni del linguaggio e lasciare il mondo ai filosofi della natura è un compito ingrato? Può essere. Io lo trovo invece molto romantico. Ho un sogno, una visione: un
uomo, solo o con pochi compagni, quotidiani come lui eppure a loro modo piccoli
pontefici, errante per il mondo, in un futuro lontano, con le parole come armi di difesa personale, un sottooccupato della scienza, felice di sentire il Sole sulla pelle e di
non interrogarsi sulla quantità di esistenza della sensazione che sente.
7
Il problema è analogo a “Se Shakespeare non fosse Shakespeare...”.
7
Matteo Casu
Secondo Searle la filosofia del linguaggio è compresa nella Filosofia della Mente.
Non so esattamente cosa questo voglia dire. Capirlo è compito di noi filosofi sottooccupati.
Riferimenti bibliografici
Bonomi A. (a cura di) (1973), La struttura logica del linguaggio, Bompiani 20015.
Burrini, I. (1999), La logica della dimostrabilità, Università degli Studi di Milano.
Chalmers D. (1996), The Conscious Mind, Oxford University Press; trad it. La mente cosciente, Dynamie 1999.
Crane T. (2003), Fenomeni mentali, Raffaello Cortina.
Giunti M. (2004), “Gli zombie non possono esserci”, L&PS - Logic and Philosophy of Science: An Electronic Journal, vol. 2, n. 1, pp. 1-41.
Kripke S. (1971), “Identity and Necessity”, in M. K. Munitz (ed.), Identity and individuation,
New York University Press, tr. it. in Bonomi (1973).
Kripke S. (1980), Naming and Necessity, tr. it. Nome e necessità, Bollati Boringhieri 1999.
Paternoster S. (2005), “Filosofia del linguaggio e della mente: a cavallo del secolo”, in T.
Burge, Linguaggio e mente, De Ferrari.
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