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Il teatro antropologico di Ygramul. Intervista al regista Vania
Castelfranchi
Scritto da Francesca Bini il 15 novembre 2012
#1 Scena tratta dal "Candido" di Voltaire in Brasile (foto di Fabio Barbati)
Ne La storia infinita di Michael Ende, Ygramul le Mille Molte è un essere mostruoso, uno sciame di insetti color “azzurro
acciaio” che si modella a seconda della necessità o del desiderio. Eppure, nonostante la sua figura sia a metà tra
l’aiutante e l’antagonista, durante il lungo viaggio di Atreiu alla ricerca del nuovo nome da donare all’Infanta Imperatrice
per salvare il regno di Fantasia, Ygramul avrà un ruolo essenziale: nessun essere è a conoscenza del fatto che il veleno
instillato nel corpo delle sue vittime, garantisce loro la possibilità di spostarsi all’istante, ovunque si desideri. Un veleno
che permette di viaggiare dunque, ma che uccide nello spazio di un’ora.
Da qui potremmo partire per introdurre il lavoro del Gruppo Ygramul, compagnia romana fondata e diretta dal regista
Vania Castelfranchi, che dal 2006 trova la propria sede nel periferico quartiere romano di San Basilio. Il percorso di
ricerca della compagnia aderisce sin dagli esordi alla pratica e alla poetica del Terzo Teatro di Eugenio Barba e
dell’antropologia teatrale, trovando – ben presto – la sua concretizzazione non solo in ambiente romano, ma anche nei
diversi viaggi in terra straniera. Così, a partire dal 2001, il gruppo sceglie una tematica socio-politica con la quale
confrontarsi e si reca proprio lì dove ne trova maggior conferma. Solo per fare qualche esempio: del 2005 è il confronto
con il Malawi per la lotta e laprevenzione all’Aids, del 2007 quello con l’isola di Bali, identificata come “rifugio sicuro”
delturismo sessuale infantile, del 2009 quello in Mongolia presso le famiglie nomadi per comprendere la dicotomia, lì
ancora forte ed evidente, tra nomadismo e urbanizzazione.
#2 Scena tratta dal "Candido" di Voltaire in Brasile (foto di Fabio Barbati)
Alla base degli spostamenti, che generalmente avvengono durante il periodo estivo e hanno una durata mensile, vi è
l’idea del baratto culturale, avvalorata dalla volontà di dialogare con una sapienza teatrale altra, che rinnovi i propri
strumenti artistici e partecipi della costruzione di una cultura sincretica. Presupposti, questi, che si riflettono anche nel
percorso di formazione attoriale e nella concezione di un “risultato” artistico che sia creazione collettiva, seppur guidata
da una figura capocomicale. «E’necessario porsi contro una pedagogia mercantile», afferma Castelfranchi durante
l’inaugurazione della neo Scuola di Teatro avvenuta nel mese di ottobre, per tutelare tanto l’attore, quanto il suo
pubblico; un pubblico da ri-educare, con il quale rifondare un patto di partecipazione e condividere la dimensione rituale
dell’atto rappresentativo. Così, recentemente tornato dall’ultimo viaggio negli stati brasiliani del Minais Gerais e di
Bahia,Castelfranchi ci racconta l’ultima esperienza del gruppo, che ha visto la riscrittura e la messa in scena per il
Brasile del Candido, di Voltaire.
Non è la prima volta che vi recate in Brasile. A cosa è dovuta la scelta di ritornare e perché l’associazione con
questo testo?
E’ vero, Ygramul ha già incontrato l’universo indigeno brasiliano, lavorando per la tutela del diritto alla terra e il
riconoscimento della cultura Indigena con i popoli Guaranì Kaiowà in Mato Grosso del Sud; lottando per la protezione
della foresta e della pianta del Guaranà in Amazzonia con i popoli Saterè Mawè. Sono universi potenti, pieni di domande
per l’uomo e per l’attore, ricchi di stimoli dal punto di vista poetico e politico. Per questo il Brasile torna ciclicamente nei
nostri desideri di viaggio, ci attrae e ci conquista. In questo caso, il messaggio ottimista schernito da Voltaire nel Candido
si adatta perfettamente al rapporto che si è instaurato tra lo spirito di molte realtà brasiliane, come quella indigena dei
Maxakalì o quella degli abitanti delle favelas, e lo sguardo razionalista e scettico con il quale l’occidente li osserva; non
riusciamo a comprendere il loro ‘mondo migliore’. La vera radice dell’ottimismo del Candido, pura, trasparente, sensata
seppur a tratti disumana, si può toccare solo immergendosi dentro quelle realtà.
Quali sono le linee seguite per la riscrittura del testo?
Di solito il testo viene riscritto creando una drammaturgia semplificata che traduca archetipi e frasi essenziali dell’opera
originale per destinarla a un evento di strada; i concetti pregnanti vengono tradotti sia nella lingua coloniale, sia in quella
indigena.
#3 Scena tratta dal "Candido" di Voltaire in Brasile (foto di Fabio Barbati)
A chi è rivolto lo spettacolo, qual è il vostro pubblico?
Il pubblico è quello della strada, della piazza, delle foreste, luoghi senza reali limiti scenici. E’ un pubblico libero di agire
e di rispondere agli attori, cosa che accade soprattutto quando si entra in contatto con culture così diverse come quelle
indigene, che leggono lo spettacolo in maniera totalmente differente dalla nostra. Gli interpreti sanno di dover tenere
vivo l’ascolto, tutto è imprevedibile e magicamente ‘presente’.
Qual è il percorso che compie lo spettacolo? Viene rappresentato prima in Italia?
No. Così come negli scorsi viaggi, anche questo spettacolo non è stato precedentemente rappresentato in Italia e non
vedrà mai il pubblico italiano. Sono creature nate appositamente per viaggiare, già pensate in lingua, pronte ad
incontrare i ritmi, le sonorità, le differenze del mondo in cui verranno immerse. Il Candido che nascerà per il pubblico
italiano avrà qualche ricordo di quello spettacolo di strada, e avrà radici immerse profondamente in quella esperienza,
ma si confronterà con la nostra realtà e tradizione teatrale, sarà molto diverso.
Come si instaurano i primi contatti con i luoghi che visiterete? Avete già un calendario prima di partire?
La rete di contatti parte da uno o due legami costruiti dall’Italia durante lo studio del territorio, ma solitamente
mostrando il nostro lavoro e la nostra energia umile e festosa, disinteressata e politicizzata, dopo essere arrivati
troviamo sempre nuove possibilità. E così è stato anche questa volta: nel giro di pochi giorni gli inviti sono arrivati dalle
favelas, dalle scuole e dalle associazioni, non solo, erano talmente tanti che in alcuni casi siamo stati costretti a dire di
no.
Durante i vostri viaggi viene raccolto diverso materiale. Si tratta di documenti consultabili?
Nei nostri viaggi raccogliamo diverse cose: foto, video, racconti e registrazioni sonore, vere e proprie testimonianze
antropologiche; i disegni, per esempio, sono un’ottima risposta da parte dei bambini. Inoltre, spesso torniamo in Italia
con stoffe, maschere, strumenti musicali e materiali utili a creare il futuro spettacolo da mostrare al pubblico italiano. In
buona parte si tratta di documenti che accompagneranno il risultato teatrale attraverso linguaggi differenti, divenendo
video-documentari, mostre fotografiche o cd musicali. Per ora, oltre a essere mostrato parzialmente nelle occasioni di
incontro con il pubblico, tutto questo si trova nei nostri archivi Ygramul, in futuro ci sarà una biblioteca consultabile da
chiunque sia interessato.
Qual è, invece, il rapporto con la città di Roma? In questi anni avete avuto modo di relazionarvi con i diversi
gruppi etnici presenti sul territorio?
Lo studio antropologico del gruppo è nato e si mantiene in allenamento a Roma. Alle origini abbiamo lavorato con i
senza fissa dimora delle stazioni, con i rom Calderasci all’ex-Mattatoio di Testaccio, con i profughi albanesi nelle
campagne laziali. Poi, parallelamente, ci siamo spostati nelle realtà carcerarie – a Rebibbia e a Regina Coeli – e abbiamo
lavorato con i bambini delle scuole multietniche. Nel tempo, un legame molto forte si è instaurato con il Centro di Salute
Mentale di San Giovanni, dove si è costituito un gruppo di teatro terapeutico, da me condotto. Guidata dal desiderio di
uno studio delle periferie dell’umano e del mondo, la nostra ricerca ha portato alla creazione di ponti mobili tra il centro
cittadino (spettacoli, seminari, conferenze, rassegne) e la periferia romana, in particolare il quartiere di S. Basilio, dove si
trova il Teatro Ygramul, oggi PlaYgramul.