9292_08-06-11 Galvani - Giornale Italiano di Cardiologia

CONTROVERSIE IN MEDICINA CARDIOVASCOLARE
Impiego delle troponine ultrasensibili nella pratica
clinica: una soluzione o un problema?
L'eccesso di falsi positivi ingenera epidemie virtuali
Marcello Galvani, Mariaelena Grossi
U.O.C. di Cardiologia, Dipartimento dell’Emergenza, Ospedale G.B. Morgagni, Forlì
G Ital Cardiol 2011;12(7-8): -
Si definisce infarto miocardico un danno cardiaco, accertato
sulla base dell’aumento e/o della riduzione delle concentrazioni ematiche di troponina cardiaca (cTn) oltre il limite del 99°
percentile della popolazione normale di riferimento, che si verifica in un contesto clinico di ischemia miocardica acuta. Quest’ultimo può essere documentato in base ai sintomi del paziente, alla presenza di alterazioni elettrocardiografiche caratteristiche, o dall’evidenza all’imaging cardiaco di perdita di tessuto miocardico vitale o dalla comparsa di alterazioni della cinetica regionale1.
Replica di Tubaro a pag. ...
Quando si riscontra un aumento di cTn in assenza di evidente ischemia miocardica è necessario eseguire un’attenta ricerca di altre possibili cause di danno cardiaco.
Se la concentrazione di cTn non è elevata al momento del
primo contatto con il paziente sono necessarie misurazioni seriali della cTn, poiché elevazioni della cTn possono non essere rilevabili nelle prime ore dal danno miocardico. Dal momento che
l’insorgenza dei sintomi riferita dal paziente può non essere totalmente affidabile nello stabilire l’inizio dell’ischemia miocardica acuta (particolarmente nei pazienti con sindrome coronarica
acuta senza sopraslivellamento persistente del tratto ST), la cTn
deve essere misurata all’ingresso e a 6-9h. Per aumentare la sensibilità diagnostica del marcatore quando questo non è elevato
al secondo prelievo, particolarmente se il sospetto clinico è intermedio o alto e quando si verificano sintomi ricorrenti di ischemia, è opportuno ripeterne la misurazione dopo 12 e 24h.
In pazienti con sintomi di ischemia miocardica acuta, concentrazioni elevate di cTn sono correlate all’estensione della coronaropatia, ad una maggior attività procoagulante e ad una
minore perfusione coronarica. Pertanto esse identificano pazienti ad alto rischio di eventi cardiaci nel breve e lungo termine2. Il rischio è altresì correlato all’entità dell’incremento sia nei
pazienti che mostrano alterazioni ischemiche all’ECG che in coloro che hanno un tracciato senza alterazioni significative. Mentre la prognosi a breve termine è strettamente correlata al ri-
© 2011 Il Pensiero Scientifico Editore
Gli autori dichiarano nessun conflitto di interessi.
Per la corrispondenza:
Dr. Marcello Galvani U.O.C. di Cardiologia, Ospedale G.B. Morgagni,
Viale Forlanini 34, 47110 Forlì
e-mail: [email protected]
schio trombotico acuto legato all’instabilità di placca, la prognosi a lungo termine riflette maggiormente la gravità e la
complessità dell’anatomia coronarica3. Scopo di questo articolo è quello di “rileggere” l’uso clinico della cTn alla luce dell’attuale disponibilità di metodi di misurazione dotati di maggior sensibilità rispetto a quelli finora impiegati sottolineando le
difficoltà nell’impiego quotidiano in alternativa ai metodi tradizionali.
METODI “ULTRASENSIBILI” DI MISURAZIONE DELLE
TROPONINE CARDIACHE
Negli ultimi anni sono stati messi a punto diversi metodi di misurazione della cTn di nuova generazione. Questi metodi vengono chiamati “ad elevata sensibilità” o “ultrasensibili” ma attualmente non esiste ancora una terminologia univoca per indicarli. Una caratteristica comune a questi metodi è la precisione analitica alle basse concentrazioni, tale da soddisfare le condizioni dettate dagli esperti più di 10 anni fa4 e riprese nella definizione universale di infarto1, ovvero un coefficiente di variazione del metodo <10% alla concentrazione corrispondente al
99° percentile della popolazione di riferimento. Tuttavia la più
importante caratteristica dei nuovi test che può soddisfare il
concetto di “ultrasensibilità” è quella di misurare concentrazioni di cTn in soggetti normali5. È stato proposto che un metodo possa definirsi “ultrasensibile” quando vengono misurate concentrazioni in più del 95% dei soggetti normali6.
Ciò crea il presupposto per superare le incertezze sul livello di cut-off da utilizzare per la diagnosi di infarto miocardico
che sono state finora rappresentate dall’imprecisione analitica
eccessiva intorno al 99° percentile. Finora il clinico è stato costretto ad accettare una “zona grigia” di concentrazioni alle
quali poteva corrispondere sia un valore “falsamente positivo”
che un danno miocardico documentabile. È evidente che a tale caratteristica corrisponde una maggior sensibilità di riconoscimento del danno miocardico che si traduce anche in una
maggior precocità di elevazione del marcatore nel caso di danno miocardico acuto (Figura 1).
La maggior sensibilità dei nuovi metodi mette inoltre in discussione la specificità dell’elevazione nel riconoscimento della necrosi miocardica e riapre l’annosa questione se elevazioni
della cTn possano verificarsi in contesti di ischemia miocardica
acuta non associati a danno miocardico irreversibile. È infatti
possibile rilevare incrementi di cTn in corso di ischemia miocarG ITAL CARDIOL | VOL 12 | LUGLIO-AGOSTO 2011
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C
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0
Δt
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Inizio del danno miocardico
Figura 1. Relazione tra sensibilità diagnostica e precocità di elevazione dei marcatori di danno miocardico. Dal momento che l’incremento delle concentrazioni del marcatore dipende dalle concentrazioni presenti nel sangue prima dell’insorgenza del danno, la possibilità di abbassare il limite
superiore di riferimento (URL) attraverso una miglior precisione analitica si traduce in un minor
tempo che intercorre tra l’inizio del danno e la prima concentrazione rilevabile superiore al limite
di riferimento. Quando un marcatore tradizionalmente considerato “tardivo” come la troponina
viene paragonato a marcatori “precoci” come la mioglobina o altri più recenti (albumina modificata dall’ischemia ad esempio) si osserva che l’aumento della sensibilità diagnostica si traduce anche in maggior precocità di riconoscimento del danno.
dica provocata, come suggerito da Sabatine et al.7, che hanno
dimostrato come minime alterazioni di cTn siano associate alla
presenza e alla severità dei deficit di perfusione miocardica durante stress test in pazienti con sospetta ischemia miocardica.
Problema n. 1
Il fatto che sia possibile misurare concentrazioni di cTn in soggetti sani annulla il paradigma sulla base del quale la cTn ha
sostituito i vecchi marcatori di necrosi miocardica, in particolare la creatinchinasi-MB, ovvero che qualsiasi concentrazione misurabile di cTn documenta la presenza di danno miocardico
(fatta salva l’imprecisione analitica). Ciò implica che esistono
concentrazioni circolanti “fisiologiche” di cTn forse derivanti
dal normale ricambio di miociti legato a fenomeni apoptotici8
e che è necessario discriminare queste concentrazioni da quelle derivanti da una patologia (acuta o cronica) del miocardio.
LA POPOLAZIONE DI RIFERIMENTO
La disponibilità di metodi di misurazione della cTn dotati di elevata sensibilità ha permesso di accertare definitivamente che le
concentrazioni del marcatore dipendono da una serie di variabili biologiche, particolarmente l’età e il sesso: i valori sono infatti più elevati nei maschi che nelle femmine ed aumentano
progressivamente in funzione dell’età dei soggetti studiati. La
rilevazione di concentrazioni di cTn >99° percentile della popolazione di riferimento in soggetti anziani, anche quando clinicamente esenti da patologie cardiovascolari in atto o pregresse, ha importanza prognostica identificando un sottogruppo di soggetti a maggior rischio di morte a medio termine9.
Problema n. 2
Dal momento che la presenza di patologie cardiache (cliniche
e subcliniche) aumenta con l’età, la popolazione di riferimento
deve essere scelta tra soggetti di tutte le età in cui si è esclusa
la presenza di patologia cardiaca sulla base di test diagnostici
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accurati (ECG, ecocardiogramma, risonanza magnetica cardiaca), tra soggetti di età inferiore a quella oltre la quale la prevalenza di patologie cardiache subcliniche diventa sostanziale (ad
esempio dopo i 70 anni), o tra soggetti di ogni età “apparentemente normali” ovvero esenti da patologie cardiache cliniche indipendentemente dall’età degli stessi?
È questo un quesito tuttora irrisolto che continua a generare notevole confusione, particolarmente oggi nel caso dei metodi ultrasensibili. Nel tempo le industrie che producono i nuovi test hanno, in assenza di raccomandazioni degli esperti, privilegiato il concetto di popolazione di riferimento “sana”. Dal
momento che uno screening accurato della popolazione anziana attraverso metodiche di imaging cardiaco al fine di selezionare i soggetti indenni da tracce di malattia cardiovascolare
non è sostenibile, si è di fatto deciso di selezionare la popolazione di riferimento solo sulla base dell’età. Nel caso del metodo più diffuso di misurazione ultrasensibile della cTn ad esempio, la popolazione di riferimento è stata scelta tra volontari sani e donatori di sangue di età <71 anni10. Conseguenza ne è il
fatto che in soggetti ultrasettantenni, soprattutto quando affetti da patologie cardiovascolari, sono misurabili concentrazioni di cTn >99° percentile anche in assenza di patologie cardiache acute in atto. La frequenza di tali elevazioni è clinicamente rilevante (fino al 50%) e confonde la diagnosi di danno
miocardico acuto quando il clinico misura la cTn in soggetti anziani, come sono la maggioranza di coloro che affollano le corsie del pronto soccorso.
Dal punto di vista dello scrivente, al fine di definire se è presente elevazione della cTn, è forse tempo di rinunciare al 99°
percentile di una popolazione di riferimento “troppo sana” e limitarsi ad individuare il limite di discriminazione tra pazienti
con e senza danno miocardico acuto in accordo a quanto suggerito allorché le concentrazioni del biomarcatore sono influenzate da una serie di variabili fisiologiche e patologiche11,
analogamente a quanto accade ad esempio per i peptidi natriuretici nella diagnosi di dispnea acuta cardiogena.
LE TROPONINE ULTRASENSIBILI NELLA PRATICA CLINICA
ELEVAZIONI DELLA TROPONINA IN ASSENZA
DI INFARTO MIOCARDICO ACUTO
Dal momento che i nuovi metodi di misurazione della cTn ne
hanno aumentato la sensibilità diagnostica, il problema clinico
di differenziazione tra danno miocardico ischemico e di altra
natura, già ora rilevante nella pratica clinica, è ulteriormente
accentuato dai nuovi test.
L’aumento di cTn può essere infatti correlato ad un danno
cardiaco non necessariamente di tipo infartuale anche quando
l’ECG è alterato (Tabella 1). I meccanismi di rilascio della cTn non
correlati all’ischemia miocardica acuta comprendono il danno
miocardico dovuto a processi infiammatori, agenti tossici e traumi12. I pazienti con valori elevati di cTn dovrebbero essere seguiti attentamente poiché tale incremento, in quasi tutte queste condizioni cliniche, è correlato a peggior prognosi12-17. Alcuni di questi pazienti, quando si presentano con una sintomatologia acuta, possono avere un aumento e/o decremento delle concentrazioni ematiche della cTn indistinguibile da quello riscontrabile nei pazienti con infarto miocardico. In questi casi la
diagnosi differenziale è basata sulla clinica e sulla documentazione oggettiva del meccanismo ischemico del danno miocardico. In altre condizioni patologiche l’elevazione della cTn è stabile
nel tempo18,19: alcuni pazienti con coronaropatia cronica, insufficienza renale cronica, scompenso cardiaco cronico e severa
Tabella 1. Incrementi della troponina in assenza di evidente cardiopatia ischemica.
Danno correlato a ischemia miocardica secondaria
(infarto miocardico di tipo 2)
Tachicardia o bradicardia
Dissezione aortica o valvulopatia aortica severa
Ipotensione o ipertensione, per esempio shock emorragico, crisi
ipertensiva
Scompenso cardiaco acuto e cronico in assenza di coronaropatia
severa concomitante
Cardiomiopatia ipertrofica
Embolia polmonare severa o ipertensione polmonare
Vasculiti coronariche, per esempio lupus eritematoso sistemico
Disfunzione endoteliale coronarica in assenza di coronaropatia
significativa, per esempio in seguito ad abuso di cocaina
Danno non correlato ad ischemia miocardica
Contusione cardiaca
Incisioni cardiache in seguito ad interventi chirurgici
Ablazione mediante radiofrequenza o crioablazione
Rabdomiolisi con coinvolgimento cardiaco
Miocarditi
Agenti cardiotossici, per esempio terapia con antracicline,
intossicazione da monossido di carbonio
Ustioni importanti che colpiscono più del 30% della superficie
corporea
Gruppo indefinito o multifattoriale
Sindrome di tako-tsubo
Insufficienza renale
Severe patologie neurologiche acute, per esempio ictus, traumi
Patologie infiltrative, per esempio amiloidosi, sarcoidosi
Sforzo estremo
Sepsi
Insufficienza respiratoria acuta
Shock frequenti da parte del defibrillatore
Modificata da Thygesen et al.5.
ipertrofia ventricolare sinistra (tipicamente l’amiloidosi) possono avere elevazione persistente della cTn. In queste situazioni
l’elevazione della cTn è perlopiù modesta, mentre nel caso di
ischemia miocardica acuta le elevazioni sono più marcate. Inoltre, sebbene la definizione universale di infarto miocardico definisca come indicativa di danno miocardico acuto una variazione delle concentrazioni in due prelievi consecutivi >20%1, tale
cut-off, basato sulla variabilità analitica della misurazione del
marcatore ma non validato clinicamente, deve essere rivisto nel
caso dei metodi ultrasensibili (vedi dopo). In alcuni casi pertanto, particolarmente quando la presentazione clinica non è tipica per ischemia miocardica acuta, può non essere agevole distinguere il danno acuto da quello cronico.
L’aumento della prevalenza di danno miocardico individuabile mediante la misurazione della cTn con metodi ultrasensibili
è ben rappresentato dallo studio di Latini et al.20 condotto sui
pazienti con scompenso cardiaco cronico arruolati nel Val-HeFT:
la percentuale dei pazienti con concentrazioni misurabili del
marcatore era 10.4% quando misurato con il metodo di riferimento della cTnT, e 92% allorché misurata con il nuovo metodo ultrasensibile.
Problema n. 3
Qual è l’aumento del numero di consulti cardiologici dettati dal
riscontro di elevazione della cTn ultrasensibile e quali sono le
possibilità del cardiologo clinico di identificare con certezza la
patologia cardiaca responsabile dell’elevazione in funzione della disponibilità e dell’impiego appropriato di metodiche diagnostiche complesse e di accesso limitato?
Non vi sono dati precisi al riguardo, ma alcuni cardiologi
operanti in ospedali che tra i primi hanno introdotto i metodi
ultrasensibili riferiscono che i consulti cardiologici per tale motivo sono raddoppiati o addirittura triplicati (Alpert J., comunicazione personale). È altresì tautologico che, essendo il metodo
ultrasensibile in grado di identificare danni miocardici ancor più
“microscopici”, non esiste un gold standard diagnostico altrettanto sensibile. La risonanza magnetica cardiaca ad esempio è
in grado di identificare danni miocardici, nel migliore dei casi,
corrispondenti a circa 1 g di miocardio21. Dopo angioplastica coronarica danni rilevabili mediante risonanza magnetica cardiaca
si osservano in meno della metà dei pazienti che mostrano elevazione della cTn misurata con metodi sensibili22. È quindi realistico immaginare che una ricerca sistematica delle cause del
danno miocardico, anche quando le risorse tecnologiche più
avanzate fossero universalmente disponibili, porterebbe a risultati negativi in molti casi. La stessa considerazione vale nel caso
in cui si desideri identificare il meccanismo ischemico primario
del danno: la coronarografia non è spesso in grado di riconoscere l’erosione di placca né tanto meno la disfunzione microcircolatoria a livello endoteliale spesso responsabile, soprattutto nelle donne, di eventi ischemici di piccole dimensioni.
DIAGNOSI PRECOCE DI INFARTO MIOCARDICO
Sono stati recentemente pubblicati studi di elevata qualità che
hanno confrontato, in pazienti con dolore toracico da sospetta ischemia miocardica acuta, diversi metodi di misurazione della cTn ad alta sensibilità. In questi studi il test ultrasensibile è
stato paragonato con il test di riferimento (perlopiù rappresentato dalla cTnT di quarta generazione)23-25. In particolare i due
studi più importanti23,24 hanno evidenziato che l’accuratezza
diagnostica per l’infarto miocardico è estremamente elevata già
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alla prima misurazione, anche in coloro con sintomi esorditi <3h
prima della presentazione in pronto soccorso.
Il miglioramento dell’accuratezza diagnostica rispetto al test
di riferimento è sostenuto da un aumento della sensibilità a sostanziale parità di specificità.
Un ulteriore miglioramento dell’accuratezza diagnostica è
ottenuto quando la misurazione del marcatore è ripetuta in prelievi successivi (in particolare dopo 3 e 6h); il miglioramento è
tuttavia di entità limitata anche se misurabile, così come quello legato alla misurazione della percentuale di incremento delle concentrazioni del marcatore in due campionamenti successivi (delta del 30%24). Caratteristica comune ai due studi è che
l’accuratezza diagnostica del test di riferimento (la cTnT di quarta generazione) è ottimale già a 3h, il che è sorprendente dal
momento che è noto come la cTn non sia marcatore precoce,
raggiungendo un’accuratezza diagnostica vicina al 100% solo
a 12h dalla presentazione del paziente. L’elevata sensibilità dei
nuovi test è testimoniata dal fatto che una percentuale non trascurabile (circa il 20%) dei pazienti che retrospettivamente vengono classificati come affetti da angina instabile mostrano un
danno miocardico rilevabile solo attraverso la misurazione di
cTn ultrasensibile23,24,26. Questa osservazione apre un nuovo
scenario diagnostico che merita attenta considerazione.
Problema n. 4
È dunque la misurazione della cTn ultrasensibile sufficientemente accurata per la diagnosi di infarto miocardico quando
dosata al momento dell’ingresso del paziente e in prelievi successivi o, al contrario, l’elevazione denuncia la presenza di danno miocardico ma non ne consente l’attribuzione ad una causa ischemica primaria?
Nello studio di Januzzi et al.26 la metà circa dei pazienti con
elevazione della cTn ultrasensibile non hanno sindrome coronarica acuta o infarto miocardico, il che si riflette in una riduzione significativa della specificità del test (da 99% a 89%). In
questo studio (in cui la TnT ultrasensibile è stata misurata in media dopo 4h dalla presentazione del paziente) l’accuratezza diagnostica è stata solo del 79%, ovvero insufficiente per prendere decisioni cliniche. Questo dato apre notevoli problemi di gestione del percorso diagnostico nei dipartimenti dell’emergenza
sovraffollati di pazienti anziani affetti da varie patologie acute.
La specificità del test è dipendente dalle caratteristiche della popolazione esaminata, in particolare dalla prevalenza dell’evento oggetto di diagnosi ma, soprattutto in questo caso,
dalla prevalenza di patologie cardiovascolari acute potenzialmente associate a danno miocardico e dai fattori (età, insufficienza renale cronica, patologie cardiovascolari croniche, ecc.)
che influenzano la probabilità di elevazione già ricordati in precedenza. Negli studi di Reichlin et al.23 e di Keller et al.24 l’accuratezza diagnostica è sostenuta da un’elevata specificità, il
che contrasta con la pratica di tutti i giorni nella quale il numero di pazienti (soprattutto anziani) con patologie cardiovascolari acute e croniche è in continuo aumento.
Nonostante i dati pubblicati indichino che la miglior accuratezza diagnostica sia ottenuta con il prelievo effettuato all’ingresso (vedi prima), è opinione condivisa che la bassa specificità della cTn ultrasensibile per la diagnosi di infarto possa essere migliorata attraverso l’analisi delle variazioni temporali delle concentrazioni, nell’ipotesi che incrementi rapidi oltre un certo valore soglia siano utili nel distinguere il danno miocardico
acuto da quello cronico e, soprattutto, il danno acuto ischemico da quello non ischemico. Il “delta” di incremento dovrebbe
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migliorare l’accuratezza diagnostica sia quando il livello basale
è inferiore che quando questo è superiore al 99° percentile della popolazione di riferimento. È necessario però sottolineare
che tale approccio si basa su opinioni piuttosto che su dati
scientifici e, come già ricordato, trova riscontro solo parziale nei
dati finora pubblicati23,24, con l’eccezione di uno studio di piccole dimensioni27 in cui il raddoppio delle concentrazioni di TnT
ultrasensibile a 3h è risultato associato ad un valore predittivo
positivo del 100% ed a un valore predittivo negativo dell’88%.
Sarebbe a nostro avviso auspicabile effettuare studi prospettici su ampie popolazioni di pazienti con sospetta ischemia
miocardica acuta (piuttosto che in quelle, più selezionate, di
pazienti con dolore toracico) nelle quali studiare le concentrazioni e, soprattutto, la variazione delle concentrazioni, di cTn ultrasensibile al fine di tentare di distinguere i pazienti con infarto miocardico da quelli con altre patologie associate a danno
miocardico acuto.
STRATIFICAZIONE DEL RISCHIO
Il paradigma che qualunque concentrazione di cTn misurabile
nella circolazione identifica una maggior probabilità di prognosi
sfavorevole particolarmente quando il meccanismo del danno
è legato ad ischemia miocardica primaria rimane saldo anche in
epoca di cTn ultrasensibili28. È stato infatti dimostrato che i pazienti con sindrome coronarica acuta ed elevazione “isolata”
della cTn ultrasensibile (ovvero coloro che mostrano incrementi della cTn ultrasensibile ma risultano negativi al test di riferimento) hanno prognosi peggiore rispetto a quelli con concentrazioni <99° percentile29.
Resta tuttavia da stabilire se i pazienti con incrementi “isolati” della cTn ultrasensibile beneficino, analogamente ai pazienti con elevazioni individuate dal test riferimento, della strategia precocemente invasiva.
Recentemente30 è stato osservato che, nei pazienti con sospetta sindrome coronarica acuta ed incremento “isolato” della cTn ultrasensibile (il 10% circa del totale), l’implementazione del nuovo test è risultato associato ad un rischio minore di
morte ed infarto non fatale a 1 anno in confronto ad una analoga popolazione di pazienti valutata nel periodo precedente
alla disponibilità per il clinico del dato di laboratorio (da 39% a
21%). Ciò suggerisce che i costi associati all’ulteriore aumento
dei casi di infarto miocardico legato all’introduzione dei test ultrasensibili (in questo studio 29%) vengano bilanciati da un beneficio clinico importante che può forse derivare da un maggior
utilizzo di farmaci basati sull’evidenza e sul più frequente ricorso ad un approccio invasivo in pazienti prima considerati
“negativi” all’indagine tradizionale.
CONCLUSIONI
Sebbene i metodi di misurazione della cTn ultrasensibile offrano potenziali vantaggi rispetto ai metodi tradizionali, il problema principale, come nel caso di qualunque test di laboratorio,
è rappresentato dalla richiesta inappropriata e dall’impropria
interpretazione dei risultati, non dal test in quanto tale. La cTn,
particolarmente quando misurata con metodi ultrasensibili, dovrebbe essere misurata solo se la misurazione è indicata dal
punto di vista clinico, e il risultato interpretato alla luce del contesto clinico stesso. Solo in questa direzione le cTn ultrasensibili potranno migliorare la diagnosi, la stratificazione del rischio
e il trattamento dei pazienti affetti da malattie cardiovascolari.
LE TROPONINE ULTRASENSIBILI NELLA PRATICA CLINICA
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Replica a Galvani e Grossi
Marco Tubaro
Le problematiche rilevate dal dr. Galvani e dalla dr.ssa Grossi nel loro intervento sono relative sostanzialmente ai seguenti punti:
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la troponina cardiaca (cTn) è ora misurabile anche nei soggetti sani;
la definizione della popolazione sana di riferimento è difficile;
la più frequente positività della cTn aumenterà il numero di consulenze cardiologiche e le difficoltà diagnostiche dei clinici;
la prevalenza della malattia influenza la performance del test;
la cinetica di variazione delle concentrazioni plasmatiche ha un ruolo rilevante.
La possibilità di misurare la cTn nei soggetti sani rende questo parametro simile a moltissimi altri parametri di laboratorio di uso
quotidiano in cardiologia: da sempre noi clinici siamo abituati a considerare una distribuzione dei livelli plasmatici del parametro
esaminato nella popolazione normale e ad utilizzare uno o più cut-off decisionali per separare la condizione fisiologica da quella
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M GALVANI, M GROSSI
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patologica. Si pensi, ad esempio, alla glicemia a digiuno, che presenta un valore di normalità (<100 mg/dl), uno di “pre-malattia”
(100-125 mg/dl) e uno indicativo di diabete (≥126 mg/dl). Allo stesso modo e diversamente dal passato la cTn è misurabile nella
popolazione normale ed è aumentata in quella patologica, con un cut-off discriminante fissato al 99° percentile della popolazione
normale. Vi sono, inoltre, alcuni suggerimenti interessanti per utilizzare la cTn come variabile continua e non solo come variabile
positiva/negativa.
È pur vero che la definizione di normalità della nostra popolazione non è facile, vista la frequenza della cardiopatia ischemica
nei paesi occidentali, la sua relazione con l’invecchiamento della popolazione e di converso il grande numero di patologie (cardiologiche o meno) che possono innalzare i livelli plasmatici della cTn. Sono quindi necessari studi di popolazione accurati, con l’ausilio di tecniche non invasive di imaging (ecocardiogramma, tomografia computerizzata coronarica) per delineare con precisione la
distribuzione dei livelli plasmatici di cTn nei diversi gruppi di popolazione (che devono essere suddivisi per etnia, età, genere, presenza o meno di uno o più fattori di rischio tradizionali).
La possibilità di un aumento delle richieste di consulenza cardiologica è un dato reale, già confermato negli ospedali che abbiano iniziato da qualche tempo a utilizzare routinariamente le cTn ultrasensibili. Questo atteggiamento è legato all’“equivalenza”
mentale, operata da molti clinici, tra incremento di cTn e infarto miocardico acuto (IMA). Questa equivalenza non è presente nella definizione universale di IMA e non deve essere mai presa in considerazione dai cardiologi. La diagnosi di IMA, infatti, prevede
la presenza di segni/sintomi inequivocabili di ischemia miocardica, in contemporanea a incrementi significativi della cTn. In assenza di ischemia miocardica, l’incremento di cTn non è diagnostico di IMA, pur essendo legato comunque a un coinvolgimento cardiaco (e mantenendo, infatti, un valore prognostico significativo).
Come tutti gli esami diagnostici, il valore clinico della cTn è massimo nei casi di incertezza diagnostica e si riduce nei casi nei
quali la prevalenza della malattia e le risultanze degli altri esami diagnostici siano ai livelli massimi o a quelli minimi. Di conseguenza, la cTn non deve essere misurata da una parte negli all comers al pronto soccorso, dall’altra nei pazienti con chiara diagnosi elettrocardiografica di IMA con sopraslivellamento del tratto ST. L’utilizzo di un approccio bayesiano consente di trarre dalla determinazione della cTn il massimo beneficio, in termini sia diagnostici sia prognostici.
La determinazione della cTn, infine, evidenzia una variabilità intra-paziente nel tempo, che è molto importante per distinguere dei livelli basali costanti, anche elevati, che possono derivare da patologie subacute o croniche, da livelli in rapido incremento/decremento, legati alle sindromi coronariche acute. È probabile che la cinetica di variazione significativa sia maggiore del 20%
attualmente indicato nella definizione universale di IMA e che possa attestarsi tra il 50 e il 100%.
In conclusione, le cTn ultrasensibili sono il biomarcatore di gran lunga più utile in cardiologia, ma necessitano di cardiologi clinici avveduti che, come si dovrebbe sempre fare con strumenti potenti, siano capaci di “maneggiarle con attenzione”.
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