CONTROVERSIE IN MEDICINA CARDIOVASCOLARE Impiego delle troponine ultrasensibili nella pratica clinica: una soluzione o un problema? L'eccesso di falsi positivi ingenera epidemie virtuali Marcello Galvani, Mariaelena Grossi U.O.C. di Cardiologia, Dipartimento dell’Emergenza, Ospedale G.B. Morgagni, Forlì G Ital Cardiol 2011;12(7-8): - Si definisce infarto miocardico un danno cardiaco, accertato sulla base dell’aumento e/o della riduzione delle concentrazioni ematiche di troponina cardiaca (cTn) oltre il limite del 99° percentile della popolazione normale di riferimento, che si verifica in un contesto clinico di ischemia miocardica acuta. Quest’ultimo può essere documentato in base ai sintomi del paziente, alla presenza di alterazioni elettrocardiografiche caratteristiche, o dall’evidenza all’imaging cardiaco di perdita di tessuto miocardico vitale o dalla comparsa di alterazioni della cinetica regionale1. Replica di Tubaro a pag. ... Quando si riscontra un aumento di cTn in assenza di evidente ischemia miocardica è necessario eseguire un’attenta ricerca di altre possibili cause di danno cardiaco. Se la concentrazione di cTn non è elevata al momento del primo contatto con il paziente sono necessarie misurazioni seriali della cTn, poiché elevazioni della cTn possono non essere rilevabili nelle prime ore dal danno miocardico. Dal momento che l’insorgenza dei sintomi riferita dal paziente può non essere totalmente affidabile nello stabilire l’inizio dell’ischemia miocardica acuta (particolarmente nei pazienti con sindrome coronarica acuta senza sopraslivellamento persistente del tratto ST), la cTn deve essere misurata all’ingresso e a 6-9h. Per aumentare la sensibilità diagnostica del marcatore quando questo non è elevato al secondo prelievo, particolarmente se il sospetto clinico è intermedio o alto e quando si verificano sintomi ricorrenti di ischemia, è opportuno ripeterne la misurazione dopo 12 e 24h. In pazienti con sintomi di ischemia miocardica acuta, concentrazioni elevate di cTn sono correlate all’estensione della coronaropatia, ad una maggior attività procoagulante e ad una minore perfusione coronarica. Pertanto esse identificano pazienti ad alto rischio di eventi cardiaci nel breve e lungo termine2. Il rischio è altresì correlato all’entità dell’incremento sia nei pazienti che mostrano alterazioni ischemiche all’ECG che in coloro che hanno un tracciato senza alterazioni significative. Mentre la prognosi a breve termine è strettamente correlata al ri- © 2011 Il Pensiero Scientifico Editore Gli autori dichiarano nessun conflitto di interessi. Per la corrispondenza: Dr. Marcello Galvani U.O.C. di Cardiologia, Ospedale G.B. Morgagni, Viale Forlanini 34, 47110 Forlì e-mail: [email protected] schio trombotico acuto legato all’instabilità di placca, la prognosi a lungo termine riflette maggiormente la gravità e la complessità dell’anatomia coronarica3. Scopo di questo articolo è quello di “rileggere” l’uso clinico della cTn alla luce dell’attuale disponibilità di metodi di misurazione dotati di maggior sensibilità rispetto a quelli finora impiegati sottolineando le difficoltà nell’impiego quotidiano in alternativa ai metodi tradizionali. METODI “ULTRASENSIBILI” DI MISURAZIONE DELLE TROPONINE CARDIACHE Negli ultimi anni sono stati messi a punto diversi metodi di misurazione della cTn di nuova generazione. Questi metodi vengono chiamati “ad elevata sensibilità” o “ultrasensibili” ma attualmente non esiste ancora una terminologia univoca per indicarli. Una caratteristica comune a questi metodi è la precisione analitica alle basse concentrazioni, tale da soddisfare le condizioni dettate dagli esperti più di 10 anni fa4 e riprese nella definizione universale di infarto1, ovvero un coefficiente di variazione del metodo <10% alla concentrazione corrispondente al 99° percentile della popolazione di riferimento. Tuttavia la più importante caratteristica dei nuovi test che può soddisfare il concetto di “ultrasensibilità” è quella di misurare concentrazioni di cTn in soggetti normali5. È stato proposto che un metodo possa definirsi “ultrasensibile” quando vengono misurate concentrazioni in più del 95% dei soggetti normali6. Ciò crea il presupposto per superare le incertezze sul livello di cut-off da utilizzare per la diagnosi di infarto miocardico che sono state finora rappresentate dall’imprecisione analitica eccessiva intorno al 99° percentile. Finora il clinico è stato costretto ad accettare una “zona grigia” di concentrazioni alle quali poteva corrispondere sia un valore “falsamente positivo” che un danno miocardico documentabile. È evidente che a tale caratteristica corrisponde una maggior sensibilità di riconoscimento del danno miocardico che si traduce anche in una maggior precocità di elevazione del marcatore nel caso di danno miocardico acuto (Figura 1). La maggior sensibilità dei nuovi metodi mette inoltre in discussione la specificità dell’elevazione nel riconoscimento della necrosi miocardica e riapre l’annosa questione se elevazioni della cTn possano verificarsi in contesti di ischemia miocardica acuta non associati a danno miocardico irreversibile. È infatti possibile rilevare incrementi di cTn in corso di ischemia miocarG ITAL CARDIOL | VOL 12 | LUGLIO-AGOSTO 2011 1 M GALVANI, M GROSSI C Marker precoce Marker tardivo URL Marker Precoce Vecchio URL Marker Tardivo Nuovo URL Marker Tardivo 0 Δt t Inizio del danno miocardico Figura 1. Relazione tra sensibilità diagnostica e precocità di elevazione dei marcatori di danno miocardico. Dal momento che l’incremento delle concentrazioni del marcatore dipende dalle concentrazioni presenti nel sangue prima dell’insorgenza del danno, la possibilità di abbassare il limite superiore di riferimento (URL) attraverso una miglior precisione analitica si traduce in un minor tempo che intercorre tra l’inizio del danno e la prima concentrazione rilevabile superiore al limite di riferimento. Quando un marcatore tradizionalmente considerato “tardivo” come la troponina viene paragonato a marcatori “precoci” come la mioglobina o altri più recenti (albumina modificata dall’ischemia ad esempio) si osserva che l’aumento della sensibilità diagnostica si traduce anche in maggior precocità di riconoscimento del danno. dica provocata, come suggerito da Sabatine et al.7, che hanno dimostrato come minime alterazioni di cTn siano associate alla presenza e alla severità dei deficit di perfusione miocardica durante stress test in pazienti con sospetta ischemia miocardica. Problema n. 1 Il fatto che sia possibile misurare concentrazioni di cTn in soggetti sani annulla il paradigma sulla base del quale la cTn ha sostituito i vecchi marcatori di necrosi miocardica, in particolare la creatinchinasi-MB, ovvero che qualsiasi concentrazione misurabile di cTn documenta la presenza di danno miocardico (fatta salva l’imprecisione analitica). Ciò implica che esistono concentrazioni circolanti “fisiologiche” di cTn forse derivanti dal normale ricambio di miociti legato a fenomeni apoptotici8 e che è necessario discriminare queste concentrazioni da quelle derivanti da una patologia (acuta o cronica) del miocardio. LA POPOLAZIONE DI RIFERIMENTO La disponibilità di metodi di misurazione della cTn dotati di elevata sensibilità ha permesso di accertare definitivamente che le concentrazioni del marcatore dipendono da una serie di variabili biologiche, particolarmente l’età e il sesso: i valori sono infatti più elevati nei maschi che nelle femmine ed aumentano progressivamente in funzione dell’età dei soggetti studiati. La rilevazione di concentrazioni di cTn >99° percentile della popolazione di riferimento in soggetti anziani, anche quando clinicamente esenti da patologie cardiovascolari in atto o pregresse, ha importanza prognostica identificando un sottogruppo di soggetti a maggior rischio di morte a medio termine9. Problema n. 2 Dal momento che la presenza di patologie cardiache (cliniche e subcliniche) aumenta con l’età, la popolazione di riferimento deve essere scelta tra soggetti di tutte le età in cui si è esclusa la presenza di patologia cardiaca sulla base di test diagnostici 2 G ITAL CARDIOL | VOL 12 | LUGLIO-AGOSTO 2011 accurati (ECG, ecocardiogramma, risonanza magnetica cardiaca), tra soggetti di età inferiore a quella oltre la quale la prevalenza di patologie cardiache subcliniche diventa sostanziale (ad esempio dopo i 70 anni), o tra soggetti di ogni età “apparentemente normali” ovvero esenti da patologie cardiache cliniche indipendentemente dall’età degli stessi? È questo un quesito tuttora irrisolto che continua a generare notevole confusione, particolarmente oggi nel caso dei metodi ultrasensibili. Nel tempo le industrie che producono i nuovi test hanno, in assenza di raccomandazioni degli esperti, privilegiato il concetto di popolazione di riferimento “sana”. Dal momento che uno screening accurato della popolazione anziana attraverso metodiche di imaging cardiaco al fine di selezionare i soggetti indenni da tracce di malattia cardiovascolare non è sostenibile, si è di fatto deciso di selezionare la popolazione di riferimento solo sulla base dell’età. Nel caso del metodo più diffuso di misurazione ultrasensibile della cTn ad esempio, la popolazione di riferimento è stata scelta tra volontari sani e donatori di sangue di età <71 anni10. Conseguenza ne è il fatto che in soggetti ultrasettantenni, soprattutto quando affetti da patologie cardiovascolari, sono misurabili concentrazioni di cTn >99° percentile anche in assenza di patologie cardiache acute in atto. La frequenza di tali elevazioni è clinicamente rilevante (fino al 50%) e confonde la diagnosi di danno miocardico acuto quando il clinico misura la cTn in soggetti anziani, come sono la maggioranza di coloro che affollano le corsie del pronto soccorso. Dal punto di vista dello scrivente, al fine di definire se è presente elevazione della cTn, è forse tempo di rinunciare al 99° percentile di una popolazione di riferimento “troppo sana” e limitarsi ad individuare il limite di discriminazione tra pazienti con e senza danno miocardico acuto in accordo a quanto suggerito allorché le concentrazioni del biomarcatore sono influenzate da una serie di variabili fisiologiche e patologiche11, analogamente a quanto accade ad esempio per i peptidi natriuretici nella diagnosi di dispnea acuta cardiogena. LE TROPONINE ULTRASENSIBILI NELLA PRATICA CLINICA ELEVAZIONI DELLA TROPONINA IN ASSENZA DI INFARTO MIOCARDICO ACUTO Dal momento che i nuovi metodi di misurazione della cTn ne hanno aumentato la sensibilità diagnostica, il problema clinico di differenziazione tra danno miocardico ischemico e di altra natura, già ora rilevante nella pratica clinica, è ulteriormente accentuato dai nuovi test. L’aumento di cTn può essere infatti correlato ad un danno cardiaco non necessariamente di tipo infartuale anche quando l’ECG è alterato (Tabella 1). I meccanismi di rilascio della cTn non correlati all’ischemia miocardica acuta comprendono il danno miocardico dovuto a processi infiammatori, agenti tossici e traumi12. I pazienti con valori elevati di cTn dovrebbero essere seguiti attentamente poiché tale incremento, in quasi tutte queste condizioni cliniche, è correlato a peggior prognosi12-17. Alcuni di questi pazienti, quando si presentano con una sintomatologia acuta, possono avere un aumento e/o decremento delle concentrazioni ematiche della cTn indistinguibile da quello riscontrabile nei pazienti con infarto miocardico. In questi casi la diagnosi differenziale è basata sulla clinica e sulla documentazione oggettiva del meccanismo ischemico del danno miocardico. In altre condizioni patologiche l’elevazione della cTn è stabile nel tempo18,19: alcuni pazienti con coronaropatia cronica, insufficienza renale cronica, scompenso cardiaco cronico e severa Tabella 1. Incrementi della troponina in assenza di evidente cardiopatia ischemica. Danno correlato a ischemia miocardica secondaria (infarto miocardico di tipo 2) Tachicardia o bradicardia Dissezione aortica o valvulopatia aortica severa Ipotensione o ipertensione, per esempio shock emorragico, crisi ipertensiva Scompenso cardiaco acuto e cronico in assenza di coronaropatia severa concomitante Cardiomiopatia ipertrofica Embolia polmonare severa o ipertensione polmonare Vasculiti coronariche, per esempio lupus eritematoso sistemico Disfunzione endoteliale coronarica in assenza di coronaropatia significativa, per esempio in seguito ad abuso di cocaina Danno non correlato ad ischemia miocardica Contusione cardiaca Incisioni cardiache in seguito ad interventi chirurgici Ablazione mediante radiofrequenza o crioablazione Rabdomiolisi con coinvolgimento cardiaco Miocarditi Agenti cardiotossici, per esempio terapia con antracicline, intossicazione da monossido di carbonio Ustioni importanti che colpiscono più del 30% della superficie corporea Gruppo indefinito o multifattoriale Sindrome di tako-tsubo Insufficienza renale Severe patologie neurologiche acute, per esempio ictus, traumi Patologie infiltrative, per esempio amiloidosi, sarcoidosi Sforzo estremo Sepsi Insufficienza respiratoria acuta Shock frequenti da parte del defibrillatore Modificata da Thygesen et al.5. ipertrofia ventricolare sinistra (tipicamente l’amiloidosi) possono avere elevazione persistente della cTn. In queste situazioni l’elevazione della cTn è perlopiù modesta, mentre nel caso di ischemia miocardica acuta le elevazioni sono più marcate. Inoltre, sebbene la definizione universale di infarto miocardico definisca come indicativa di danno miocardico acuto una variazione delle concentrazioni in due prelievi consecutivi >20%1, tale cut-off, basato sulla variabilità analitica della misurazione del marcatore ma non validato clinicamente, deve essere rivisto nel caso dei metodi ultrasensibili (vedi dopo). In alcuni casi pertanto, particolarmente quando la presentazione clinica non è tipica per ischemia miocardica acuta, può non essere agevole distinguere il danno acuto da quello cronico. L’aumento della prevalenza di danno miocardico individuabile mediante la misurazione della cTn con metodi ultrasensibili è ben rappresentato dallo studio di Latini et al.20 condotto sui pazienti con scompenso cardiaco cronico arruolati nel Val-HeFT: la percentuale dei pazienti con concentrazioni misurabili del marcatore era 10.4% quando misurato con il metodo di riferimento della cTnT, e 92% allorché misurata con il nuovo metodo ultrasensibile. Problema n. 3 Qual è l’aumento del numero di consulti cardiologici dettati dal riscontro di elevazione della cTn ultrasensibile e quali sono le possibilità del cardiologo clinico di identificare con certezza la patologia cardiaca responsabile dell’elevazione in funzione della disponibilità e dell’impiego appropriato di metodiche diagnostiche complesse e di accesso limitato? Non vi sono dati precisi al riguardo, ma alcuni cardiologi operanti in ospedali che tra i primi hanno introdotto i metodi ultrasensibili riferiscono che i consulti cardiologici per tale motivo sono raddoppiati o addirittura triplicati (Alpert J., comunicazione personale). È altresì tautologico che, essendo il metodo ultrasensibile in grado di identificare danni miocardici ancor più “microscopici”, non esiste un gold standard diagnostico altrettanto sensibile. La risonanza magnetica cardiaca ad esempio è in grado di identificare danni miocardici, nel migliore dei casi, corrispondenti a circa 1 g di miocardio21. Dopo angioplastica coronarica danni rilevabili mediante risonanza magnetica cardiaca si osservano in meno della metà dei pazienti che mostrano elevazione della cTn misurata con metodi sensibili22. È quindi realistico immaginare che una ricerca sistematica delle cause del danno miocardico, anche quando le risorse tecnologiche più avanzate fossero universalmente disponibili, porterebbe a risultati negativi in molti casi. La stessa considerazione vale nel caso in cui si desideri identificare il meccanismo ischemico primario del danno: la coronarografia non è spesso in grado di riconoscere l’erosione di placca né tanto meno la disfunzione microcircolatoria a livello endoteliale spesso responsabile, soprattutto nelle donne, di eventi ischemici di piccole dimensioni. DIAGNOSI PRECOCE DI INFARTO MIOCARDICO Sono stati recentemente pubblicati studi di elevata qualità che hanno confrontato, in pazienti con dolore toracico da sospetta ischemia miocardica acuta, diversi metodi di misurazione della cTn ad alta sensibilità. In questi studi il test ultrasensibile è stato paragonato con il test di riferimento (perlopiù rappresentato dalla cTnT di quarta generazione)23-25. In particolare i due studi più importanti23,24 hanno evidenziato che l’accuratezza diagnostica per l’infarto miocardico è estremamente elevata già G ITAL CARDIOL | VOL 12 | LUGLIO-AGOSTO 2011 3 M GALVANI, M GROSSI alla prima misurazione, anche in coloro con sintomi esorditi <3h prima della presentazione in pronto soccorso. Il miglioramento dell’accuratezza diagnostica rispetto al test di riferimento è sostenuto da un aumento della sensibilità a sostanziale parità di specificità. Un ulteriore miglioramento dell’accuratezza diagnostica è ottenuto quando la misurazione del marcatore è ripetuta in prelievi successivi (in particolare dopo 3 e 6h); il miglioramento è tuttavia di entità limitata anche se misurabile, così come quello legato alla misurazione della percentuale di incremento delle concentrazioni del marcatore in due campionamenti successivi (delta del 30%24). Caratteristica comune ai due studi è che l’accuratezza diagnostica del test di riferimento (la cTnT di quarta generazione) è ottimale già a 3h, il che è sorprendente dal momento che è noto come la cTn non sia marcatore precoce, raggiungendo un’accuratezza diagnostica vicina al 100% solo a 12h dalla presentazione del paziente. L’elevata sensibilità dei nuovi test è testimoniata dal fatto che una percentuale non trascurabile (circa il 20%) dei pazienti che retrospettivamente vengono classificati come affetti da angina instabile mostrano un danno miocardico rilevabile solo attraverso la misurazione di cTn ultrasensibile23,24,26. Questa osservazione apre un nuovo scenario diagnostico che merita attenta considerazione. Problema n. 4 È dunque la misurazione della cTn ultrasensibile sufficientemente accurata per la diagnosi di infarto miocardico quando dosata al momento dell’ingresso del paziente e in prelievi successivi o, al contrario, l’elevazione denuncia la presenza di danno miocardico ma non ne consente l’attribuzione ad una causa ischemica primaria? Nello studio di Januzzi et al.26 la metà circa dei pazienti con elevazione della cTn ultrasensibile non hanno sindrome coronarica acuta o infarto miocardico, il che si riflette in una riduzione significativa della specificità del test (da 99% a 89%). In questo studio (in cui la TnT ultrasensibile è stata misurata in media dopo 4h dalla presentazione del paziente) l’accuratezza diagnostica è stata solo del 79%, ovvero insufficiente per prendere decisioni cliniche. Questo dato apre notevoli problemi di gestione del percorso diagnostico nei dipartimenti dell’emergenza sovraffollati di pazienti anziani affetti da varie patologie acute. La specificità del test è dipendente dalle caratteristiche della popolazione esaminata, in particolare dalla prevalenza dell’evento oggetto di diagnosi ma, soprattutto in questo caso, dalla prevalenza di patologie cardiovascolari acute potenzialmente associate a danno miocardico e dai fattori (età, insufficienza renale cronica, patologie cardiovascolari croniche, ecc.) che influenzano la probabilità di elevazione già ricordati in precedenza. Negli studi di Reichlin et al.23 e di Keller et al.24 l’accuratezza diagnostica è sostenuta da un’elevata specificità, il che contrasta con la pratica di tutti i giorni nella quale il numero di pazienti (soprattutto anziani) con patologie cardiovascolari acute e croniche è in continuo aumento. Nonostante i dati pubblicati indichino che la miglior accuratezza diagnostica sia ottenuta con il prelievo effettuato all’ingresso (vedi prima), è opinione condivisa che la bassa specificità della cTn ultrasensibile per la diagnosi di infarto possa essere migliorata attraverso l’analisi delle variazioni temporali delle concentrazioni, nell’ipotesi che incrementi rapidi oltre un certo valore soglia siano utili nel distinguere il danno miocardico acuto da quello cronico e, soprattutto, il danno acuto ischemico da quello non ischemico. Il “delta” di incremento dovrebbe 4 G ITAL CARDIOL | VOL 12 | LUGLIO-AGOSTO 2011 migliorare l’accuratezza diagnostica sia quando il livello basale è inferiore che quando questo è superiore al 99° percentile della popolazione di riferimento. È necessario però sottolineare che tale approccio si basa su opinioni piuttosto che su dati scientifici e, come già ricordato, trova riscontro solo parziale nei dati finora pubblicati23,24, con l’eccezione di uno studio di piccole dimensioni27 in cui il raddoppio delle concentrazioni di TnT ultrasensibile a 3h è risultato associato ad un valore predittivo positivo del 100% ed a un valore predittivo negativo dell’88%. Sarebbe a nostro avviso auspicabile effettuare studi prospettici su ampie popolazioni di pazienti con sospetta ischemia miocardica acuta (piuttosto che in quelle, più selezionate, di pazienti con dolore toracico) nelle quali studiare le concentrazioni e, soprattutto, la variazione delle concentrazioni, di cTn ultrasensibile al fine di tentare di distinguere i pazienti con infarto miocardico da quelli con altre patologie associate a danno miocardico acuto. STRATIFICAZIONE DEL RISCHIO Il paradigma che qualunque concentrazione di cTn misurabile nella circolazione identifica una maggior probabilità di prognosi sfavorevole particolarmente quando il meccanismo del danno è legato ad ischemia miocardica primaria rimane saldo anche in epoca di cTn ultrasensibili28. È stato infatti dimostrato che i pazienti con sindrome coronarica acuta ed elevazione “isolata” della cTn ultrasensibile (ovvero coloro che mostrano incrementi della cTn ultrasensibile ma risultano negativi al test di riferimento) hanno prognosi peggiore rispetto a quelli con concentrazioni <99° percentile29. Resta tuttavia da stabilire se i pazienti con incrementi “isolati” della cTn ultrasensibile beneficino, analogamente ai pazienti con elevazioni individuate dal test riferimento, della strategia precocemente invasiva. Recentemente30 è stato osservato che, nei pazienti con sospetta sindrome coronarica acuta ed incremento “isolato” della cTn ultrasensibile (il 10% circa del totale), l’implementazione del nuovo test è risultato associato ad un rischio minore di morte ed infarto non fatale a 1 anno in confronto ad una analoga popolazione di pazienti valutata nel periodo precedente alla disponibilità per il clinico del dato di laboratorio (da 39% a 21%). Ciò suggerisce che i costi associati all’ulteriore aumento dei casi di infarto miocardico legato all’introduzione dei test ultrasensibili (in questo studio 29%) vengano bilanciati da un beneficio clinico importante che può forse derivare da un maggior utilizzo di farmaci basati sull’evidenza e sul più frequente ricorso ad un approccio invasivo in pazienti prima considerati “negativi” all’indagine tradizionale. CONCLUSIONI Sebbene i metodi di misurazione della cTn ultrasensibile offrano potenziali vantaggi rispetto ai metodi tradizionali, il problema principale, come nel caso di qualunque test di laboratorio, è rappresentato dalla richiesta inappropriata e dall’impropria interpretazione dei risultati, non dal test in quanto tale. La cTn, particolarmente quando misurata con metodi ultrasensibili, dovrebbe essere misurata solo se la misurazione è indicata dal punto di vista clinico, e il risultato interpretato alla luce del contesto clinico stesso. Solo in questa direzione le cTn ultrasensibili potranno migliorare la diagnosi, la stratificazione del rischio e il trattamento dei pazienti affetti da malattie cardiovascolari. LE TROPONINE ULTRASENSIBILI NELLA PRATICA CLINICA BIBLIOGRAFIA 1. Thygesen K, Alpert J, White HD; Joint ESC/ACCF/AHA/WHF Task Force for the Redefinition of Myocardial Infarction. Universal definition of myocardial infarction. Eur Heart J 2007;28:2525-38. 2. Ottani F, Galvani M, Nicolini FA, et al. Elevated cardiac troponin levels predict the risk of adverse outcome in patients with acute coronary syndromes. Am Heart J 2000;140:91727. 3. Wong GC, Morrow DA, Murphy S, et al. Elevations in troponin T and I are associated with abnormal tissue level perfusion: a TACTICS-TIMI 18 substudy. Treat Aangina with Aggrastat and Determine Cost of Therapy with an Invasive or Conservative Strategy-Thrombolysis in Myocardial Infarction. Circulation 2002;106:202-7. 4. Jaffe AS, Ravkilde J, Roberts R, et al. It’s time for a change to a troponin standard. Circulation 2000;102:1216-20. 5. Thygesen K, Mair J, Katus H, et al. Recommendations for the use of cardiac troponin measurement in acute cardiac care. Eur Heart J 2010;31:2197-204. 6. Apple FS. A new season for cardiac troponin assays: it’s time to keep a scorecard. Clin Chem 2009;55:1303-6. 7. Sabatine MS, Morrow DA, de Lemos JA, Jarolim P, Braunwald E. Detection of acute changes in circulating troponin in the setting of transient stress test-induced myocardial ischaemia using an ultrasensitive assay: results from TIMI 35. Eur Heart J 2009;30:162-9. 8. Giannoni A, Giovannini S, Clerico A. Measurement of circulating concentrations of cardiac troponin I and T in healthy subjects: a tool for monitoring myocardial tissue renewal? Clin Chem Lab Med 2009;47:1167-77. 9. Zethelius B, Johnston N, Venge P. Troponin I as a predictor of coronary heart disease and mortality in 70-year-old men: a communitybased cohort study. Circulation 2006;113: 1071-8. 10. Giannitsis E, Kurz K, Hallermayer K, Jarausch J, Jaffe AS, Katus HA. Analytical validation of a high-sensitivity cardiac troponin T assay. Clin Chem 2010;56:254-61. 11. Vasan RS. Biomarkers of cardiovascular disease: molecular basis and practical considerations. Circulation 2006;113:2335-62. 12. Blich M, Sebbag A, Attias J, Aronson D, Markiewicz W. Cardiac troponin I elevation in hospitalized patients without acute coronary syndromes. Am J Cardiol 2008;101:1384-8. 13. Becattini C, Vedovati MC, Agnelli G. Prognostic value of troponins in acute pulmonary embolism: a meta-analysis. Circulation 2007; 116:427-33. 14. Khan NA, Hemmelgarn BR, Tonelli M, Thompson CR, Levin A. Prognostic value of troponin T and I among asymptomatic patients with end-stage renal disease: a metaanalysis. Circulation 2005;112:3088-96. 15. Nienhuis MB, Ottervanger JP, Bilo HJ, Dikkeschei BD, Zijlstra F. Prognostic value of troponin after elective percutaneous coronary intervention: a meta-analysis. Catheter Cardiovasc Interv 2008;71:318-24. 16. Babuin L, Vasile VC, Rio Perez JA, et al. Elevated cardiac troponin is an independent risk factor for short- and long-term mortality in medical intensive care unit patients. Crit Care Med 2008;36:759-65. 17. Landesberg G, Shatz V, Akopnik I, et al. Association of cardiac troponin, CK-MB, and postoperative myocardial ischemia with longterm survival after major vascular surgery. J Am Coll Cardiol 2003;42:1547-54. 18. Wallace TW, Abdullah SM, Drazner MH, et al. Prevalence and determinants of troponin T elevation in the general population. Circulation 2006;113:1958-65. 19. Daniels LB, Laughlin GA, Clopton P, Maisel AS, Barrett-Connor E. Minimally elevated cardiac troponin T and elevated N-terminal pro-Btype natriuretic peptide predict mortality in older adults: results from the Rancho Bernardo Study. J Am Coll Cardiol 2008;52:450-9. 20. Latini R, Masson S, Anand IS, et al.; ValHeFT Investigators. Prognostic value of very low plasma concentrations of troponin T in patients with stable chronic heart failure. Circulation 2007;116:1242-9. 21. Schoenhagen P, White HD. Magnetic resonance imaging and troponin elevation fol- lowing percutaneous coronary intervention: new insights into myocyte necrosis and scar formation. JACC Cardiovasc Interv 2010;3: 959-62. 22. Locca D, Bucciarelli-Ducci C, Ferrante G, et al. New universal definition of myocardial infarction applicable after complex percutaneous coronary interventions? JACC Cardiovasc Interv 2010;3:950-8. 23. Reichlin T, Hochholzer W, Bassetti S, et al. Early diagnosis of myocardial infarction with sensitive cardiac troponin assays. N Engl J Med 2009;361:858-67. 24. Keller T, Zeller T, Peetz D, et al. Sensitive troponin I assay in early diagnosis of acute myocardial infarction. N Engl J Med 2009;361: 868-77. 25. Melanson SE, Morrow DA, Jarolim P. Earlier detection of myocardial injury in a preliminary evaluation using a new troponin I assay with improved sensitivity. Am J Clin Pathol 2007;128:282-6. 26. Januzzi JL Jr, Bamberg F, Lee H, et al. Highsensitivity troponin T concentrations in acute chest pain patients evaluated with cardiac computed tomography. Circulation 2010;121: 1227-34. 27. Giannitsis E, Becker M, Kurz K, Hess G, Zdunek D, Katus HA. High-sensitivity cardiac troponin T for early prediction of evolving nonST-segment elevation myocardial infarction in patients with suspected acute coronary syndrome and negative troponin results on admission. Clin Chem 2010;56:642-50. 28. Eggers KM, Jaffe AS, Lind L, Venge P, Lindahl B. Value of cardiac troponin I cutoff concentrations below the 99th percentile for clinical decision-making. Clin Chem 2009;55: 85-92. 29. Lindahl B, Venge P, James S. The new high-sensitivity cardiac troponin T assay improves risk assessment in acute coronary syndromes. Am Heart J 2010;160:224-9. 30. Mills NL, Churchhouse AM, Lee KK, et al. Implementation of a sensitive troponin I assay and risk of recurrent myocardial infarction and death in patients with suspected acute coronary syndrome. JAMA 2011;305:1210-6. Replica a Galvani e Grossi Marco Tubaro Le problematiche rilevate dal dr. Galvani e dalla dr.ssa Grossi nel loro intervento sono relative sostanzialmente ai seguenti punti: 1. 2. 3. 4. 5. la troponina cardiaca (cTn) è ora misurabile anche nei soggetti sani; la definizione della popolazione sana di riferimento è difficile; la più frequente positività della cTn aumenterà il numero di consulenze cardiologiche e le difficoltà diagnostiche dei clinici; la prevalenza della malattia influenza la performance del test; la cinetica di variazione delle concentrazioni plasmatiche ha un ruolo rilevante. La possibilità di misurare la cTn nei soggetti sani rende questo parametro simile a moltissimi altri parametri di laboratorio di uso quotidiano in cardiologia: da sempre noi clinici siamo abituati a considerare una distribuzione dei livelli plasmatici del parametro esaminato nella popolazione normale e ad utilizzare uno o più cut-off decisionali per separare la condizione fisiologica da quella (continua) G ITAL CARDIOL | VOL 12 | LUGLIO-AGOSTO 2011 5 M GALVANI, M GROSSI (segue) patologica. Si pensi, ad esempio, alla glicemia a digiuno, che presenta un valore di normalità (<100 mg/dl), uno di “pre-malattia” (100-125 mg/dl) e uno indicativo di diabete (≥126 mg/dl). Allo stesso modo e diversamente dal passato la cTn è misurabile nella popolazione normale ed è aumentata in quella patologica, con un cut-off discriminante fissato al 99° percentile della popolazione normale. Vi sono, inoltre, alcuni suggerimenti interessanti per utilizzare la cTn come variabile continua e non solo come variabile positiva/negativa. È pur vero che la definizione di normalità della nostra popolazione non è facile, vista la frequenza della cardiopatia ischemica nei paesi occidentali, la sua relazione con l’invecchiamento della popolazione e di converso il grande numero di patologie (cardiologiche o meno) che possono innalzare i livelli plasmatici della cTn. Sono quindi necessari studi di popolazione accurati, con l’ausilio di tecniche non invasive di imaging (ecocardiogramma, tomografia computerizzata coronarica) per delineare con precisione la distribuzione dei livelli plasmatici di cTn nei diversi gruppi di popolazione (che devono essere suddivisi per etnia, età, genere, presenza o meno di uno o più fattori di rischio tradizionali). La possibilità di un aumento delle richieste di consulenza cardiologica è un dato reale, già confermato negli ospedali che abbiano iniziato da qualche tempo a utilizzare routinariamente le cTn ultrasensibili. Questo atteggiamento è legato all’“equivalenza” mentale, operata da molti clinici, tra incremento di cTn e infarto miocardico acuto (IMA). Questa equivalenza non è presente nella definizione universale di IMA e non deve essere mai presa in considerazione dai cardiologi. La diagnosi di IMA, infatti, prevede la presenza di segni/sintomi inequivocabili di ischemia miocardica, in contemporanea a incrementi significativi della cTn. In assenza di ischemia miocardica, l’incremento di cTn non è diagnostico di IMA, pur essendo legato comunque a un coinvolgimento cardiaco (e mantenendo, infatti, un valore prognostico significativo). Come tutti gli esami diagnostici, il valore clinico della cTn è massimo nei casi di incertezza diagnostica e si riduce nei casi nei quali la prevalenza della malattia e le risultanze degli altri esami diagnostici siano ai livelli massimi o a quelli minimi. Di conseguenza, la cTn non deve essere misurata da una parte negli all comers al pronto soccorso, dall’altra nei pazienti con chiara diagnosi elettrocardiografica di IMA con sopraslivellamento del tratto ST. L’utilizzo di un approccio bayesiano consente di trarre dalla determinazione della cTn il massimo beneficio, in termini sia diagnostici sia prognostici. La determinazione della cTn, infine, evidenzia una variabilità intra-paziente nel tempo, che è molto importante per distinguere dei livelli basali costanti, anche elevati, che possono derivare da patologie subacute o croniche, da livelli in rapido incremento/decremento, legati alle sindromi coronariche acute. È probabile che la cinetica di variazione significativa sia maggiore del 20% attualmente indicato nella definizione universale di IMA e che possa attestarsi tra il 50 e il 100%. In conclusione, le cTn ultrasensibili sono il biomarcatore di gran lunga più utile in cardiologia, ma necessitano di cardiologi clinici avveduti che, come si dovrebbe sempre fare con strumenti potenti, siano capaci di “maneggiarle con attenzione”. 6 G ITAL CARDIOL | VOL 12 | LUGLIO-AGOSTO 2011