4.5 “Transnazionalismo” e “Diaspora”. Dalla ricerca sociale alle

4.5 “Transnazionalismo” e “Diaspora”. Dalla
ricerca sociale alle politiche globali?
Sebastiano Ceschi, Bruno Riccio
4.5.1 Il riconoscimento del ruolo delle diaspore nello sviluppo da
parte degli organismi internazionali.
A partire dai primi anni Novanta si è verificato un rinnovamento del bagaglio
teorico e analitico utilizzato negli studi sulle migrazioni, in stretta relazione
con i marcati mutamenti intervenuti negli ultimissimi decenni nel campo dei
processi migratori e nelle dinamiche della mobilità su scala globale. Concetti
e parole come “transnazionalismo” e “diaspora” rappresentano le principali
emergenze terminologiche di questo nuovo sguardo sociologico verso le migrazioni che tende a cogliere i soggetti e i gruppi migranti non più unicamente
in rapporto con i contesti di destinazione ma come inseriti attivamente in più
ampi e diversificati spazi fisici e sociali, tra i quali un ruolo privilegiato spetta
senz’altro alla società di provenienza. Una parte significativa dei migranti
contemporanei continua, in effetti, ad alimentare circuiti di interscambio e di
relazione con il paese di origine, attraverso azioni finanziarie e economiche,
pratiche sociali e politiche, attività più propriamente culturali, comunicative e
simboliche. Alcune di queste pratiche di collegamento tra diversi territori che
passano attraverso la presenza dei migranti nelle società di destinazione si sono progressivamente imposte all’attenzione internazionale: flussi finanziari
quali le rimesse verso le famiglie, attività economiche quali gli investimenti di
ritorno a carattere immobiliare e produttivo nei contesti di provenienza, cosi
come iniziative sociali di gruppi e associazioni di immigrati indirizzate al miglioramento delle condizioni di vita delle proprie comunità, sono diventati terreni di intervento interessanti e promettenti per le agenzie di sviluppo pubbliche e per le istituzioni internazionali impegnate in attività di cooperazione.
Molto di recente, perciò, il rapporto tra fenomeni migratori e processi di sviluppo nei paesi a basso reddito, e più specificamente la relazione tra le diaspore, le loro diversificate attività transnazionali e le società di provenienza, è stato individuato come tema centrale e emergente sia nell’agenda delle politiche
nazionali dei paesi generatori e ricettori dei flussi, sia in quella dei grandi organismi internazionali e delle realtà politiche regionali come l’Unione Euro1
pea. Se già nel settembre 2005, la Comunicazione della Commissione Europea su Migrazioni e Sviluppo1 conteneva un primo riconoscimento del ruolo
delle diaspore quali attori dello sviluppo dei paesi di origine2, il 2006 sembra
essere l’anno in cui tale ruolo viene decisamente assunto dalle policy internazionali e formalizzato nei documenti ufficiali. Il recente High-Level Dialogue
on International Migration and Development, organizzato dalle Nazioni Unite
nel settembre 2006 a New York, ha sottolineato con forza i legami tra migrazioni internazionali e sviluppo dei territori di provenienza e destinazione, cosi
come gli effetti positivi che le azioni delle diaspore possono apportare ai contesti di partenza in termini di lotta alla povertà e di potenziamento del settore
produttivo e finanziario. L’UN High-Level Dialogue si è chiuso con la forte
volontà politica, supportata da 78 Paesi, di dare vita ad una struttura permanente, il Global Forum on Migration and Development, che possa stabilire un
confronto ed una discussione coordinata a livello globale su questi temi.
Questi risultati, per il momento dichiarati in sedi ufficiali ma non ancora
convertiti in programmi di azione internazionali e multilaterali, appaiono come il riflesso sulle politiche degli stati e sulle loro strutture di coordinamento
del forte e in parte inedito protagonismo delle “diaspore” – termine ormai entrato nel linguaggio ufficiale e non ufficiale dei policy makers – e delle capacità e attività di raggio transnazionale sostenute dai migranti, anche se questo
secondo termine, “transnazionalismo”, resta ancora prevalentemente usato
dagli studiosi dei fenomeni migratori.
4.5.2 L’affermarsi degli studi transnazionali e il carattere
diasporico delle migrazioni contemporanee
Nell’ambito della teoria sociale sulle migrazioni si è andato recentemente affermando, soprattutto in ambito anglosassone, un filone di analisi e di riflessione che va sotto il nome di “transnazionalismo” (Glick Schiller, Basch,
Blanc-Szanton, 1992; Rouse, 1995; Vertovec, Cohen, 1999; Grillo, 2000; Levitt, DeWind, Vertovec, 2003). Secondo questo approccio, la complessità dei
fenomeni migratori attuali necessita di nuovi scenari interpretativi e analitici
che superino definitivamente i modelli bipolari classici (assimilazione/pluralismo etnico o ritorno in patria) e siano in grado di rendere conto della
presenza e dell’azione dei gruppi migranti contemporaneamente in diversi
luoghi, vale a dire della nuova capacità da loro impersonata di essere nello
1
Commission of the European Communities, Migration and Development: Some Concrete
Orientations, Communication from the Commission to the Council, the European Parlament,
the European and Social Committee and the Committee of the Regions, Com (2005).
2
Tale ruolo viene pensato in collegamento anche con i processi di integrazione: “il coinvolgimento personale dei migranti nello sviluppo del loro paese di origine facilita, a sua volta, la loro integrazione nel paese di residenza”.
2
stesso tempo “qui” e “lì” (Grillo, 2000; Riccio, 1998). Gli individui espatriati
appaiono coinvolti, in effetti, in processi sociali attraverso i quali tessono reti
e mantengono relazioni multiple che collegano le loro società di origine, quelle di approdo, e molto spesso altre località dove sono presenti altri gruppi di
connazionali. Queste collettività vengono oggi intese come comunità mobili
di individui che soggiornano all’estero senza un preciso termine temporale,
circolando continuamente fra due o più territori appartenenti a stati diversi
(Scidà, 1999; Vertovec, 1999), e alimentando circuiti attraverso cui transitano
informazioni, oggetti, idee, capitali e immagini, oltre che persone. Tali elementi contribuiscono a forgiare un “territorio circolatorio” (Tarrius, 1995), un
nuovo e emergente campo sociale, “costituito da un crescente numero di persone che vivono una duplice vita: parlando due lingue, avendo una casa in due
paesi e conducendo una vita scandita da continui contatti regolari attraverso i
confini nazionali” (Portes, Guarnizo, Landolt, 1999: 217).
La crescita e la diffusione di comunità “diasporiche” o “transnazionali” risultano inestricabilmente connesse all’aumento della “connettività” riscontrabile nel presente globale (Tomlinson, 2001), dunque ad un’intensificazione
delle comunicazioni e degli scambi che facilita il dispiegarsi di attività attraverso i confini nazionali (Cesareo 2006)3. Da un punto di vista oggettivo, perciò, il transnazionalismo consiste in quell’insieme di azioni e di legami tra
persone, di reti di relazioni e di organizzazioni formali ed informali, che si dispiegano attraverso i confini dei singoli stati-nazione4. Le attività prodotte
all’interno di tali flussi spaziano dal campo economico a quello politico, da
quello sociale a quello più propriamente culturale e simbolico, cosicché diverse prospettive di analisi dei fenomeni transnazionali si sono andate sviluppando, evidenziando innanzitutto la “multidimensionalità” dei processi che strutturano tali nuovi spazi sociali (Faist, 2000; Levitt, DeWind, Vertovec, 2003).
Le caratteristiche degli attuali flussi migratori – globalizzati, frammentati e
organizzati dal basso, composti in buona parte da soggetti mobili e impegnati
in migrazioni circolari e soggiorni temporanei – trovano corrispondenza in
quella particolare condizione esistenziale che consiste, per usare un ossimoro,
nel “risiedere nello spostamento” (Clifford, 1999). Da un punto di vista più
strettamente soggettivo e identitario, le pratiche transnazionali dei migranti
contemporanei sembrano rimandare ad una nuova modalità di vivere e gestire
le vicende e le identità migratorie e di riorganizzare, a livello pratico come a
livello simbolico, appartenenze ed istanze di vita connesse alla propria mobili3
Pur concordando con chi ha sottolineato come fenomeni di globalizzazione e di transnazionalismo non costituiscano eventi inediti, è innegabile che rispetto al passato l’epoca contemporanea presenti forti differenze di grado e intensità.
4
Come evidenziano Vertovec e Cohen (1999), il suffisso “trans” sta ad indicare – differentemente da “inter” che è termine rigido di relazione fra i governi e i suoi rappresentanti – il livello delle relazioni fra cittadini presenti in diversi stati, caratterizzato dall’attraversamento delle
frontiere piuttosto che dal loro mantenimento.
3
tà. In questo senso, il concetto di transnazionalismo va visto in stretta connessione con la nozione di “diaspora”, riemersa nelle scienze politiche americane
già a metà degli anni Ottanta. La sua rivisitazione – segno della preoccupata
presa d’atto dell’irriducibilità della presenza, sul suolo statunitense, di comunità con identità culturali e fedeltà politiche differenziali rispetto al modello
americano – ha portato il significato moderno di diaspora5 ad identificarsi con
le nuove forme di produzione di etnicità in contesti migratori (Cohen, 1997;
Levy, 2000).
A questo proposito si può affermare che, sul piano dell’esperienza sociale
dei migranti, il panorama delle forme di mobilità contemporanee risulti segnato da un mutamento a) della relazione storica tra migranti e stato-nazione, e b)
tra migranti e cultura nazionale (Mellino, 2005). È soprattutto per questo motivo che si parla, rispettivamente, di migrazioni “post-fordiste” e “postmoderne”. In entrambi i casi troviamo due diverse posizioni teoriche.
a) Per quanto riguarda la prima relazione, alcuni autori ritengono che i flussi
migratori non siano più direttamente governabili dagli stati come in passato, essendo legati all’avvento di un sistema capitalistico disorganizzato il
cui aspetto centrale è appunto il declino dello stato-nazione come soggetto
politicamente, economicamente e giuridicamente autonomo (Lash, Urry,
1987; Castles, Miller, 1993; Papastergiadis, 2000). Altri, invece, vedono
una rifunzionalizzazione dello stato-nazione di fronte alla globalizzazione
(Harvey, 1993; Wallerstein, 2003), sottolineando come non solo il potere
statale continui ad esercitare forme di controllo e regolamentazione della
mobilità, ma anche come sia possibile elaborare una visione “sistemica” e
leggibile dei movimenti migratori, una “geopolitica delle migrazioni”
(Sassen, 1999; 2002) basata proprio sulle caratteristiche del singolo contenitore statale. In ogni caso, da più parti si ammette la necessità per le
scienze sociali di nuovi strumenti concettuali e metodologici che, affrancandosi dall’assunto dello stato-nazione quale matrice naturale
dell’organizzazione sociale tipico del “nazionalismo metodologico”
(Wimmer, Glick Schiller, 2003), risultino maggiormente calibrati su quella
pluralità di relazioni e processi sociali “deterritorializzati” che trascendono
i confini degli stati e su quelle forme di comunità politica e di istanze di
inclusione giuridica che si muovono a livello sub o sovra-nazionale (Joppke, 1999; Tambini, 2001; Baubock, 2003).
5
Tale concetto ha subito un notevole allargamento semantico, finendo per essere applicato a
realtà storico-migratorie molto diverse. Se autori quali Safran (1991) propendono per limitarne
la portata solo ad alcuni particolari fenomeni di dispersione (ebrei, armeni, afroamericani), altri
vedono la possibilità di una sua più vasta applicazione e ne hanno elaborato declinazioni più
specifiche. Così Cohen (1996) parla di “victim diasporas”, “labour diasporas”, “trade diasporas”, “imperial diasporas” e di “cultural diasporas”, sottolineando con tali aggettivi i tratti di
diversità esistenti all’interno della categoria. Sul versante italiano, per un’analisi dei significati
del termine si veda Rahola (2000).
4
b) A proposito invece della diade migranti-cultura nazionale, troviamo due
diverse visioni riguardanti le identità diasporiche contemporanee. Se per
autori quali Huntington (1996), Anderson (1998) o Sheffer (1993), queste
costituiscono nuove forme di nazionalismo a lunga distanza e sono pericolose per la convivenza civile e democratica nelle società plurietniche, per
altri, i gruppi migranti rappresentano gli embrioni di nuovi ibridismi cosmopoliti e post-nazionali (Soysal, 1994; 2000), caratterizzati da un rapporto disincantato, contestuale e mutevole con identità, cultura e forme
dell’appartenenza (Hall, 1991; Clifford, 1999; Bhabha, 2001; Gilroy,
2003).
Queste diverse posizioni, anche se supportate in alcuni casi da un certo riscontro empirico, risentono di una visione non sempre analiticamente fondata e
scevra da proiezioni di tipo ideologico. Tuttavia esse costituiscono alcuni dei
più significativi fronti critici su cui si muove l’attuale dibattito teorico sulle
migrazioni transnazionali nelle sue diverse forme e articolazioni. Nel prossimo paragrafo, tuttavia, ci concentreremo su una prospettiva analitica basata
sulle concrete pratiche transnazionali degli attori e sulla loro variegata fenomenologia, proponendo una descrizione ragionata e tipologica della diversità
delle forme e articolazioni che possono prendere i fenomeni transnazionali
contemporanei.
4.5.3 I diversi ambiti del transnazionalismo delle diaspore. Una
rappresentazione modellizzata
A partire da una visione che vuole restare empiricamente fondata, è possibile
tentare una rappresentazione del transnazionalismo ordinata secondo distinti
livelli analitici e secondo diverse classi modellizzate di fenomeni. Per operare,
pur con grande cautela, verso una descrizione formalizzata dei processi legati
al transnazionalismo, è necessario scomporre le differenti dimensioni che caratterizzano questo vasto universo di processi e pratiche sociali.
1) Un primo livello analitico è quello della dimensione spaziale, intesa come
la morfologia delle connessioni transnazionali fra i luoghi tramite i movimenti dei migranti. I flussi migratori, nei paesi di origine come in quelli di
destinazione, non si distribuiscono sempre in maniera omogenea all’interno
del territorio nazionale: mentre gli espatri si concentrano spesso in determinate località o territori (regioni, villaggi, città o anche quartieri), in corrispondenza con meccanismi di mobilità connessi all’appartenenza etnica, a
relazioni famigliari e di vicinato, a crisi economico-sociali di specifiche società locali, simmetricamente, anche nei contesti di insediamento si verificano significative aggregazioni di migranti della stessa nazionalità in località specifiche, dovute solitamente al richiamo di catene migratorie o dalle
5
opportunità dei singoli contesti locali. A questo proposito si possono individuare quattro tipologie di relazioni tra spazi migratori:
a) locale-locale: migranti provenienti dallo stesso spazio sub-nazionale si
concentrano in determinati luoghi di approdo, secondo una relazione a
carattere trans-locale. Un esempio è fornito dalla diaspora sikh indiana,
proveniente in grandissima prevalenza dalla regione del Punjab e insediatasi in alcune zone agricole dell’Italia (bassa Pianura Padana, Agro
Pontino);
b) locale-nazionale: migranti provenienti da zone specifiche si distribuiscono diffusamente sul territorio della società di destinazione. La relazione in questo caso può definirsi local-nazionale, e trova esemplificazione pratica nella migrazione tunisina e marocchina, che interessa in
maniera massiccia alcune precise aree di partenza ma si espande su tutto
il territorio nazionale italiano. In parte anche la diaspora cinese presenta
connotazioni simili;
c) nazionale-locale: paesi di provenienza interamente toccati dai fenomeni
di emigrazione, i cui membri espatriati raggiungono selettivamente un
numero limitato di località del paese ospite, secondo uno schema che,
invertendo i termini, può venire connotato come nazional-locale. Alcune
delle migrazioni provenienti da paesi dell’Est Europa (ucraini e moldavi), dal Sudamerica (ecuadoregni e peruviani), ma anche le prime migrazioni subsahariane (etiopi, eritrei e capoverdiani) possono ricadere in
questo modello, segnato dall’insediamento nelle grandi città del Centronord nelle quali la domanda di lavoro domestico è forte;
d) nazionale-nazionale: migranti le cui zone di espatrio si estendono
all’intero territorio della nazione di origine e che ritroviamo distribuiti
capillarmente nello spazio complessivo del paese ospitante. In questo
caso l’interfaccia tra territori, pur conservando connotati interni di translocalità, avviene complessivamente tra intere società nazionali. Le migrazioni senegalese o nigeriana, ad esempio, o quella albanese o rumena,
hanno raggiunto le più diverse aree del nostro paese.
Queste quattro tipologie spaziali possono risultare utili per dare concretezza a
fenomeni di mobilità e a circuiti migratori che altrimenti rischiano di essere
percepiti come uniformemente e astrattamente transnazionali, senza coglierne
le articolazioni interne6.
2) Il secondo livello concerne la dimensione delle pratiche, declinata secondo
i diversi “campi” in cui si sviluppano le azioni e le attività intraprese dalle
comunità migranti. A fronte del carattere estremamente diversificato dello
6
Naturalmente, molte delle realtà empiriche esistenti possono presentare caratteri misti e compresenti in due o più modelli, e la descrizione di ogni singola relazione transnazionale fra spazi
politici diversi potrebbe far ricorso a formule più ibride e articolate. Vi sono poi casi, come
quello dei curdi, che concernono spazi regionali transnazionali di partenza e che necessiterebbero di rappresentazioni specifiche.
6
spettro delle attività a carattere transnazionale, molti studiosi ritengono necessario distinguere analiticamente le principali sfere di azione della diaspora, per poter meglio cogliere le diverse manifestazioni empiriche del
transnazionalismo e evidenziare le particolari propensioni di ogni gruppo.
Proponiamo di suddividere il campo delle azioni che i migranti intraprendono attraverso i confini statali nelle seguenti sfere o circuiti:
a) sfera economica (attività orientate alla produzione di redditi, al trasferimento di denaro e beni materiali, agli investimenti produttivi);
b) sfera sociale (attività a carattere più propriamente relazionale, tese a
costruire ed alimentare reti sociali e di scambio, capitale di conoscenze e
legami sociali, comunitari e famigliari);
c) sfera politica (attività volte alla partecipazione alla vita pubblica,
all’esercizio del voto e di forme di pressione sulla sfera del potere e delle decisioni collettive);
d) sfera religiosa (attività connesse al mantenimento del sentimento religioso, alla coesione della comunità dei fedeli, all’iniziativa orientata
verso il clero e i luoghi di professione di fede);
e) sfera culturale e simbolica (attività di produzione di rappresentazioni,
valori e significati connessi alla propria appartenenza e all’identità diasporica, utilizzazione dei media e di simboli identificativi, elaborazione
di percorsi identitari).
Postulata la multidimensionalità dei fenomeni transnazionali, si può notare
che ogni forma empirica di transnazionalismo si può caratterizzare per la predilezione o l’accentuazione di una o più di tali sfere. In alcuni casi avremo
pratiche “comprensive” multilivello, in altri pratiche più “selettive” concentrate su una determinata sfera di azione7.
3) Un terzo livello concerne più propriamente la dimensione relazionale e sociale della “connettività” transnazionale dei collettivi migranti, il campo
dell’interazione con le diverse cerchie del mondo sociale e con i soggetti
dei diversi luoghi della migrazione. Ciascuna delle sfere indicate al punto 2
può svilupparsi grazie al coinvolgimento, selettivo o comprensivo, di differenti categorie di attori, che partendo dal livello delle relazioni primarie di
tipo famigliare si allargano fino a comprendere strati più estesi di relazioni
fra soggetti maggiormente eterogenei e di scala diversa, sia nella società di
destinazione che in quella di provenienza. Assunto che per “transnazionale”
si intende generalmente il dispiegarsi di attività umane attraverso i confini
degli stati e che, pertanto, anche il semplice collegamento fra livelli famigliari (ad esempio tramite telefono) presenta i requisiti per essere considerato tale, possiamo tuttavia ritrovare diversi gradi di relazioni significanti e attive nel costruire una determinata pratica transnazionale. Si può avere un
7
Questi due aggettivi definitori sono presi dagli autori del numero speciale di International
Migration Review (si veda Levitt, DeWind, Vertovec, 2003), interamente dedicato ai fenomeni
transnazionali.
7
transnazionalismo (di tipo economico, religioso ecc.) alimentato attraverso
reti famigliari e/o comunitarie, come l’invio di risorse per i parenti o per la
moschea del villaggio; così come iniziative transnazionali (di tipo sociale,
culturale, politico) che si articolano attraverso l’interazione con diversi soggetti del contesto di destinazione e che vedono la partecipazione di attori
nazionali e internazionali nella società di provenienza. Si tratta perciò di ricavare una scala sintetica del raggio dell’interazione e dell’interscambio
che la comunità diasporica attiva ed utilizza su entrambi i versanti della migrazione, per rappresentare i diversi possibili incroci e combinazioni tra gli
universi relazionali delle due società. Se le sfere d’interazione sociale dei
gruppi in diaspora nella società ricevente e nella madrepatria coinvolgono
soggetti non omologhi e di diversa natura avremo una dimensione relazionale estroversa mentre, se confinata all’interno di nuclei di relazioni ristrette e interne ad un gruppo di connazionali limitatamente inteso (dunque tra
nuclei famigliari, tra migranti dello stesso villaggio e comunità di origine o
tra circuiti religiosi), questa appare introversa.
L’emergere del fenomeno del co-sviluppo rappresenta un buon esempio
del graduale passaggio da una strategia introversa ad una estroversa. Inizialmente, grazie alle autonome attività delle associazioni di villaggio, i
migranti riescono a ricoprire il ruolo inedito di “attore di sviluppo” capace
di ri-costruire socialmente, quando non economicamente, il contesto locale
di provenienza. Questo processo si accresce in complessità, ma anche in
sofisticatezza, con il coinvolgimento di altri attori sociali, sia nel contesto
di approdo sia in quello d’origine. È in questo caso che ci si riferisce al
concetto di “co-sviluppo” (Daum, 1998) per nominare una serie di iniziative di raccolta fondi e di progetti che vengono elaborati dai migranti in collaborazione con le realtà del contesto di accoglienza (sindacati, associazioni, Ong ed Enti locali), spesso finanziati da grandi organizzazioni internazionali (UE, Oim, UN) per essere poi implementati, non senza difficoltà,
nel contesto di origine. Queste iniziative possono riguardare attività produttive (agricole, commerciali, imprenditoriali), culturali (festival, mostre)
e, più spesso, sociali (alfabetizzazione, progetti socio-sanitari).
4) Ultimo ma non meno importante livello è quello della dimensione identitaria, che concerne le modalità dell’appartenenza e dell’identificazione interne al gruppo e le forme di inclusione realizzate nella società ospite. Come si
è detto al paragrafo 2 riguardo al dibattito sugli effetti delle migrazioni contemporanee sui modi di organizzare pratiche di appartenenza, contatti interculturali e sfera dell’identità, ad una posizione che ritiene che alla mobilità
transnazionale corrisponda una declinazione aperta, fluida e deessenzializzata delle relazioni intrattenute dai migranti con strutture di significati quali “cultura”, “etnicità”, “nazione”, se ne oppone un’altra che
sottolinea le dimensioni chiuse, rigide ed assolutiste delle nuove costruzioni
identitarie dei gruppi della diaspora ed il loro ruolo in molti recenti feno8
meni di revival etnico-nazionale. Al di là di tale polarizzazione, si tratta di
esplorare le modalità in cui si riarticola la sfera delle rappresentazioni e dei
coinvolgimenti emotivi e strategici dei gruppi in seguito all’esperienza
transnazionale, e di analizzare i processi di negoziazione e di distinzione
che si svolgono a livello dei confini culturali e simbolici tra il sé (individuale e collettivo) ed il resto del mondo circostante. A questo proposito si possono indicare alcune tipologie di inclusione socio-culturale:
a) Transnazionalismo oppositivo: forme di presenza contrassegnate da orientamenti di difesa culturale dall’Occidente, dall’esaltazione dei valori/simboli del proprio mondo, e segnate da una relazione puramente
strumentale con i contesti di approdo e dalla limitazione dei contatti con
la popolazione residente, la sua lingua, i suoi luoghi di incontro. Esempio: alcune componenti della migrazione senegalese, albanese e nordafricana.
b) Transnazionalismo ossificato: permanenza priva di contrapposizione
simbolica ma piuttosto ripiegata all’interno della comunità dei connazionali. Relazioni preferenziali con i compatrioti, contatti poco profondi
e prevalentemente funzionali con la società di accoglienza, bassa disponibilità a mettere in gioco le proprie differenze, forme pratiche ma superficiali di adattamento. Esempio: parte significativa della diaspora cinese e filippina.
c) Transnazionalismo creativo: presenza caratterizzata da una più o meno
intensa dialettica interculturale, dallo scambio formale e informale, individuale e collettivo con gli ambienti esterni, da integrazione socioculturale e da forme di “impollinazione” ai nuovi stimoli e sollecitazioni
della componente autoctona. Esempio: parte importante delle migrazioni
dal nord e dal Corno d’Africa, dall’America latina, dall’Europa dell’Est.
d) Transnazionalismo cosmopolita: forme di appartenenza plurali e con un
rapporto mobile e contestuale con diversi ambienti culturali. Rapporti
sociali diversificati, capacità di entrare e uscire da diversi orizzonti culturali e linguistici, patrimoni simbolici ibridi e mutevoli, costruzioni identitarie “deboli”. Esempi: alcune élite intellettuali, professionali e
commerciali di alcune comunità nazionali; prime fasce giovanili di seconda generazione.
Tutte queste tipologie non sono altro che proposte di leggibilità per processi
che, sul piano empirico, appaiono molto più fluidi, complessi e contraddittori.
A dimostrazione di ciò, si pensi solamente a come queste diverse categorie
non solo possano essere compresenti e attive in ciascun gruppo osservato, ma
anche come vengano scomposte, dall’interno, da differenze connesse con le
diverse appartenenze di classe, generazione e genere. Tuttavia, sul piano analitico, le tipologie proposte possono dimostrarsi utili nell’illustrazione dei
processi sociali presi in esame.
9
4.5.4 Conclusioni
In questo paragrafo conclusivo faremo un rapido excursus su alcuni recenti
lavori italiani sulle migrazioni che si avvalgono di un approccio transnazionale. Infatti, come sottolinea Ambrosini (2006), più che un nuovo fenomeno, il
transnazionalismo rappresenta una nuova prospettiva. Vista in questa ottica, la
ricerca italiana recente sui processi migratori può già vantare un piccolo corpus di lavori significativi. Si tratta per lo più di studi a carattere sociologico e
antropologico, solitamente incentrati su uno specifico gruppo nazionale di migranti o su determinate categorie di lavoratori. La rivista afriche e orienti si è
rivelata come un significativo, anche se periodico, contenitore di ricerche empiriche focalizzate sulle migrazioni africane e caratterizzate da una prospettiva
transnazionale (Riccio 2000; 2005). Altri studi con un approccio transnazionale hanno trovato spazio nelle pubblicazioni collettanee Stranieri in Italia curate dall’Istituto Cattaneo (Colombo, Sciortino 2002; Sciortino Colombo 2003;
Caponio, Colombo 2005; Sciortino, Decimo 2006). In entrambi i casi, possiamo trovare ricerche multisituate compiute su diversi territori nazionali, ma
anche lavori che, pur se compiuti unicamente nei contesti di destinazione,
condividono una lettura dei fenomeni migratori dislocata su diverse sponde e
tengono in considerazione il gioco di rimandi continuo fra luoghi di immigrazione e contesti di emigrazione.
All’interno del crescente dibattito sulla migrazione femminile in Italia e
sul lavoro domestico e di cura, segnaliamo, oltre al lavoro di approccio antropologico e multisituato di Ruba Salih (2003) sulle migranti marocchine, il recente volume di Francesca Decimo (2005) sulla mobilità transnazionale femminile e le traiettorie di vita di alcune donne somale e marocchine e quello, a
cura di Zanfrini e Asis (2006), che raccoglie contributi di ricerca sui processi
di crescita, sia “lì” che “qui”, della generazione dei figli dei migranti filippini.
Un secondo testo a cura di Laura Zanfrini (2006) affronta invece la problematica del lavoro delle donne considerando in maniera integrata l’interazione fra
contesti transnazionali e sistemi differenti di welfare.
La nuova attenzione accordata alle identità femminili e alle dinamiche famigliari e sociali connesse con la migrazione delle donne da parte della ricerca sociale, sta aprendo un campo di riflessione scientifica e politica sul fenomeno del transito dei servizi di welfare privato da una sponda all’altra del
mondo. Le problematiche legate alla sottrazione di affetti e capacità ai nuclei
parentali di provenienza delle migranti (care drain) e all’apporto di queste ultime al benessere sociale delle famiglie italiane stanno emergendo come nuovo campo per la ricerca applicata e per i decisori politici, cosicché si inizia a
parlare di “welfare transnazionale” e di “co-welfare” (Pastore, Piperno 2006).
Nel campo della ricerca transnazionale applicata alle pratiche di cosviluppo e interscambio tra territori, un recente volume a cura di Ceschi e
Stocchiero (2006) analizza, attraverso un metodologia di ricerca applicata e
10
multisituata, l’azione e le relazioni transnazionali che caratterizzano le forme
dell’associazionismo e dell’imprenditoria senegalese in alcuni territori
dell’Italia settentrionale. Da questo angolo visuale, si può riscontrare come
l’inserimento nel tessuto sociale del contesto di approdo faciliti il rafforzamento delle associazioni di villaggio e il loro impatto sociale nel contesto
d’origine. A differenza del dibattito americano che oppone assimilazione e
transnazionalismo, i meccanismi sociali sottostanti ai processi di co-sviluppo
mostrano che le attività transnazionali possono costituire una strategia originale che combina gli investimenti nel contesto di partenza con l’integrazione
nel contesto di approdo.
In tal senso, e a guisa di considerazione conclusiva, si può sostenere che i
fenomeni transnazionali non sono affatto antitetici rispetto alle dinamiche di
radicamento e inserimento nella società di destinazione, ma che invece, almeno in una prima fase storica dei processi migratori, ad una più spiccata e riuscita integrazione nei contesti di approdo corrisponde un maggiore sviluppo di
capacità, competenze e attività transnazionali.
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