APPUNTI DI ANALISI ARMONICA A.A. 2007-08 M. GABRIELLA KUHN 1. Gruppi topologici localmente compatti Un gruppo G si dice topologico di Hausdorff localmente compatto se G risulta uno spazio topologico di Hausdorff tale che le operazioni di gruppo risultino compatibili con la topologia, tale cioè che le mappe s : G × G → G e i : G → G cosı̀ definite (1.1) (1.2) s(x, y) = x · y i(x) = x−1 o x + y se si usa la notazione additiva oppure −x risultano continue. Noi useremo la notazione moltiplicative e denoteremo con e l’identità di G. Si richiede inoltre che, rispetto alla suddetta topologia, ogni punto x abbia un intorno (aperto) a chiusura compatta. Esempi: 1) R, Rn , C, Cn come gruppi additivi con la topologia euclidea 2) Il toro unidimensionale T cioè i numeri complessi di modulo 1 come gruppo moltiplicativo con la topologia indotta da R2 . Ricordiamo che R tale gruppo è anche ottenibile come quoziente 2πZ . Se si sceglie [0, 2π) (o un qualunque intervallo di ampiezza 2π) come sistema di rappresentanti per i laterali di 2πZ in R la mappa che realizza l’omeomorfismo è data da t → exp(it). Si osservi che nella seconda realizzazione di T un intorno di 0 è dato dall’unione di due intervalli, uno del tipo [0, ǫ) e l’altro del tipo (2π − ǫ, 2π), mentre per gli altri punti gli intorni sono quelli indotti dalla topologia euclidea su [0, 2π). 3) Ogni gruppo finitamente (o infinitamente) generato dotato della topologia discreta, per esempio Z, Zp , Fr . 4) I gruppi di matrici: GL(n, R) (matrici n × n con elementi reali e determinante diverso da zero), SL(n, R) (matrici n × n con elementi reali e determinante uguale a 1), O(n) (matrici n × n con elementi reali e righe ortogonali di norma unitaria), U(n) (matrici n × n complesse 1 2 M. GABRIELLA KUHN unitarie cioè A−1 = AT ), SU(n) (matrici n × n complesse unitarie con determinante ugale a 1)... Per quanto riguarda i gruppi di matrici essi sono tutti non abeliani 2 2 e dotati della topologia indotta da Rn (o Cn ). Osserviamo che • Se {Uα } è una base di intorni per l’identità, allora x{Uα } è una base di intorni per un qualunque punto x ∈ G in quanto la mappa che manda (x, a) in x · a è un omeomorfismo di G per ogni a fissato. (lo stesso vale per {Uα }x) • è sempre possibile trovare un intorno simmetrico V (tale che V = V −1 ) dell’identità e • dato un intorno V di e, esiste U ⊂ V aperto, simmetrico tale che U 2 ⊂ V • se A è aperto e B è qualunque A · B è aperto • se A è compatto e B è compatto A · B è compatto Osservazione 1.1. Attenzione che se A è chiuso e B è chiuso A·B non è necessariamente chiuso (basta prendere Z + αZcon α irrazionale) 1.1. Misura di Haar. Ricordiamo che una misura di Borel regolare µ è una misura definita sulla σ-algebra degli insiemi di Borel (quella generata dalla topologia) con le seguenti proprietà: • µ(K) è finita per ogni compatto K • µ(E) = inf K⊂E µ(K) con K compatto • µ(E) = supV ⊃E µ(V ) con V aperto Inoltre una misura si dice invariante per traslazione a sinistra se µ(xE) = µ(E) per ogni insieme E di Borel e ogni x di G. Ricordiamo che se µ è invariante per traslazione a sinistra allora Z Z f (xt)dµ(t) = f (t)dµ(t) G G per ogni f continua a supporto compatto e per ogni x ∈ G. Analogamente si definisce una misura invariante per traslazione a destra. Si dimostra il seguente Teorema 1.2. Sia G un gruppo topologico di Hausdorff localmente compatto. Allora esiste una misura positiva m di Borel su G regolare e invariante per traslazione a sinistra. Tale misura è unica nel senso che, se λ è una qualunque altra misura di Borel regolare e invariante per traslazione a sinistra allora λ = km per una qualche costante k positiva. Tale misura viene detta misura di Haar sinistra. 3 Osservazione 1.3. Osservazioni Vale ovviamente un analogo teorema per le misure invarianti per traslazione a destra. Nel caso in cui il gruppo sia abeliano ogni misura invariante per traslazione a destra è anche invariante per traslazione a sinistra e viceversa. Nel caso in cui il gruppo non sia abeliano si parla di misura di Haar sinistra e di misura di Haar destra. Attenzione! ci sono casi in cui le due misure NON coincidono! Proposizione 1.4. Se m denota la misura di Haar sinistra allora risulta • m(V ) > 0 per ogni aperto V • m(G) < +∞ se e solo se G è compatto. Dimostrazione. Supponiamo per assurdo che m(V ) = 0. Sia K un compatto arbitrario. Allora esistono x1 , . . . xn appartenenti a K tali che K ⊂ ∪ni=1 xi V . Essendo m invariante per traslazione a sinistra si ha m(K) = 0 per ogni compatto K da cui l’asserto per la regolarità di m. Una delle due implicazioni è ovvia. Dimostriamo che se m(G) < +∞ allora G è compatto. Supponiamo per assurdo che non lo sia. Sia V un intorno dell’identità a chiusura compatta e xn una successione di punti in G. È chiaro che G non sarà mai contenuto in una unione finita di aperti del tipo xi V (altrimenti riusulterebbe compatto!). Sarà quindi possibile scegliere xn in maniera ricorsiva tale che xn+1 ∈ / ∪ni=1 xi V . Sia ora U ⊂ V un qualunque aperto simmetrico tale che U · U ⊂ V . Allora gli insiemi xj U risultano disgiunti e quindi m(G) ≥ m(∪n+1 i=1 xi U) = (n + 1)m(U) da cui l’asserto. ♦ 1.1.1. Esempi di misure di Haar. (1) La misura di Lebesgue in Rn (Cn ) risulta la misura di Haar per il gruppo additivo Rn (Cn ). (2) La restrizione della misura di Lebesgue all’intervallo [0, 2π) 0 a un qualunque intervallo di ampiezza 2π è la misura di Haar per T. (3) Sia G = GL(n, R). Se a denota una matrice n × n, denotiamo 2 2 con |a| lo Jacobiano delle trasformazione, da Rn a Rn data da x → a · x. Allora |a| = | det a|n e la misura di Haar sinistra su dx ...dx G è data da 1 |x| n2 dove dx1 . . . dxn2 è la misura di Lebesgue 2 in Rn . Per esempio, con n = 2 si ha che |a| = | det a|2 e quindi 4 M. GABRIELLA KUHN su GL(2, R) la misura di Haar è data da dx1 dx2 dx3 dx4 x1,1 x1,2 se x = x2,1 x2,2 (x1,1 x2,2 − x1,2 x2,1 )2 1.1.2. Funzioni uniformemente continue. Definizione 1.5. Sia f : G → C, diciamo che f è uniformemente continua a sinistra se (1.3) (1.4) ∀ǫ > 0 ∃ U(e) ; ∀(x, y) ∈ G × G x−1 y ∈ U(e) implica |f (x) − f (y)| < ǫ analogamente si definisce la nozione di uniforme continuità a destra: (1.5) (1.6) ∀ǫ > 0 ∃ U(e) ; ∀(x, y) ∈ G × G yx−1 ∈ U(e) implies |f (x) − f (y)| < ǫ Vale la seguente Proposizione 1.6. Ogni f continua e a supporto compatto risulta uniformemente continua sia a destra cha a sinistra. Dimostrazione. Siccome f è continua, per ogni x ∈ supp(f ) esiste Vx , intorno dell’identita‘, tale che ∀x1 , x2 ∈ xVx |f (x1 ) − f (x2 )| < ǫ Per ogni x scegliamo ora Ux simmetrico con Ux2 ⊂ Vx . Poichè il supporto di f è compatto esistono x1 , . . . xn tali che supp(f ) ⊆ ∪ni=1 xi Uxi . Sia ora U = ∩ni=1 Uxi e siano x e y tali che x−1 y ∈ U. Supponiamo che almeno uno dei due, per esempio x, appartenga al supporto di f (altrimenti f (x) = f (y) = 0). Esiste quindi un i tale che x = xi ui con ui ∈ Uxi . D’altra parte abbiamo anche che y = xu (con u ∈ U) e quindi y = xi ui u ∈ xi Uxi per le ipotesi fatte su Uxi . In definitiva si ha che sia x che y stanno in xi Vxi e quindi |f (x) − f (y)| < ǫ. Il caso dell’uniforme continuità a destra è analogo. ♦ Conviene introdurre le seguenti notazioni; a f (x) = f (ax) fa (x) = f (xa) Definizione 1.7. Sia dm una misura di Haar sinistra per G. La funzione modulare ∆ è definita come R R −1 f (tx )dm(t) fx−1 (t)dm(t) ∆(x) = GR = GR . f (t)dm(t) f (t)dm(t) G G 5 Osservazione 1.8. Si osservi che il valore ∆(x) è indipendente dalla R funzione scelta. Infatti, per x fissato, definiamo Jx (f ) = G f (ux−1 )dm(u). È immediato verificare che Jx è un funzionale positivo, invariante per traslazione a sinistra su C0 (G) e pertanto per l’unicità della misura di Haar sinistra deve essere Z Jx (f ) = ∆(x) f (t)dm(t) G per qualche ∆(x) positivo. Vale il seguente Teorema 1.9. ∆(x) è un omomorfismo continuo di G nel gruppo moltiplicativo dei reali positivi. Dimostrazione. Dimostriamo che ∆ è continua. Poichè il valore di ∆ non dipende dalla funzione f che compare nella (1.7) fissiamo una funzione f continua positiva, a supporto compatto. Sia K la misura R del supporto f . Cominciamo con dimostrare che la funzione g → G f (tg)dm(t) è una funzione continua di g. Scegliamo quindi ǫ > 0 e g0 ∈ G. Per l’uniforme continuità di f esiste V tale che |f (g0 ) − f (g)| < ǫ/K se g0 −1 g ∈ V , quindi se g ∈ g0 V abbiamo Z Z Z ǫ = f (xg0 )dm(x) − [f (xg ) − f (xg)]dm(x) f (xg)dm(x) ≤K 0 K supp(f ) G G poichè xg0 −1 xg ∈ V . ∆ risulta quindi continua per composizione. Infine osserviamo che Jab (f ) J(fb−1 a−1 ) ∆(ab) = = J(f ) J(f ) J((fa−1 )b−1 ) J(fa−1 ) = J(fa−1 ) J(f ) = ∆(b)∆(a) ♦ Un gruppo si dice unimodulare se ∆(x) è identicamente uguale a uno. Corollario 1.10. Ogni gruppo compatto è unimodulare. Dimostrazione. L’immagine di ∆ deve essere un sottogruppo compatto di R+ , quindi deve essere ridotta all’unità. ♦ 6 M. GABRIELLA KUHN 1.1.3. Misura di Haar destra e funzione modulare. Ci proponiamo ora di capire quale relazione c’è tra la misura di Haar sinistra e la misura di Haar destra. Sia quindi dm una misura di Haar sinistra, fissata, su G. Introduciano la seguente notazione Notazione 1.11. f˜(x) = f (x−1 ) È immediato verificare che (1.7) (1.8) (a˜f ) = (f˜ )a−1 (f˜a ) =a−1 f˜ Sia f continua a supporto compatto. Definiamo Z dm(x) (1.9) I(f ) = f˜(x) ∆(x) G Verifichiamo che (1.9) è un funzionale positivo invariante a sinistra: Z dm(x) ˜ = I(a f ) = a f(x) ∆(x) G Z Z dm(x) dm(x) −1 −1 ˜ f a−1 (x) ∆(a ) = ∆(a ) f˜a−1 (x) −1 ∆(x)∆(a ) ∆(xa−1 ) G G Z ˜ f a−1 (x) = ∆(a−1 ) dm(x) = G ∆a−1 (x) Z dm(x) −1 = I(f ) ∆(a )∆(a) f˜(x) ∆(x) G Quindi esiste c > 0 tale che Z Z dm(x) ˜ (1.10) I(f ) = f (x) = c f (x)dm(x) ∆(x) G G Per calcolare c sostituiamo al posto di f (f˜∆) nella (1.10): Z I(f˜∆) = c f˜∆(x)dm(x) G ma Z G Z ˜ (f˜∆)(x) dm(x) = f (x)dm(x) ∆(x) G e Z f˜∆(x)dm(x) = I(f ) G da cui c = 1. Quindi abbiamo dimostrato che Z Z dm(x) ˜ = f (x)dm(x) (1.11) f (x) ∆(x) G G 7 ˜ Sostituendo ora al posto di f fˇ in (1.11) e osservando che f˜ = f otteniamo Z Z dm(x) = f (x−1 )dm(x) (1.12) f (x) ∆(x) G G È immediato verificare che il funzionale I definito da Z ˜ I(f ) = f(x)dm(x) G è invariante a destra per traslazioni e quindi, a meno di eventuali normalizzazioni, definisce una misura di Haar destra su G. Denotiamo con mR tale misura. Risulta quindi Z Z Z dm(x) −1 (1.13) f (x) = f (x )dm(x) = f (x)dmR (x) ∆(x) G G G In generale si pensa sempre che le misure di Haar destra e sinistra siano normalizzate in modo tale che valga la (1.13). La formula qui sopra permette di calcolare la funzione modulare come derivata di Radon-Nikodym: risulta infatti (1.14) dmR (x) = dm(x) ∆(x) oppure dm(x) = ∆(x)dmR (x) L’equazione (1.14) permette di calcolare quindi la funzione modulare. Un esempio di gruppo non unimodulare. Si consideri il gruppo G costituito dalle matrici x y 0 1 con il solito prodotto di matrici. (si pensa ovviamente x 6= 0). Si topologicizza G come sottoinsieme di R2 . (In effetti G può essere visto come l’insieme delle coppie (x, y) tali che x 6= 0 con la legge di moltiplicazione (x, y)(u, v) = (xu, xv + y). a b Pensando quindi a A = (a, b) = come a una trasformazione di 0 1 R2 in sè è immediato verificare che lo Jacobiano della trasformazione (x, y) → (x, y)A è |a| mentre quello della trasformazione (x, y) → A(x, y) 8 M. GABRIELLA KUHN è a2 . Pertanto la misura di Haar sinistra è dxdy (dxdy è la misura di x2 dxdy 2 Lebesgue in R ) mentre quella destra è |x| . La funzione modulare è x y 1 . quindi ∆( ) = |x| 0 1 È interessante notare che, se G non è unimodulare, possono esistere aperti W tali che m(W ) < +∞ ma mR (W ) = +∞, come mostra il seguente Esempio 1.12. Sia G come nell’esempio precedente. Definiamo x y W ={ ; x > 1 |y| < 1} 0 1 Abbiamo m(W ) < +∞: infatti Z m(W ) = 1 dy −1 Z 1 +∞ 1 dx x2 mentre mR (W ) = Z 1 −1 dy Z 1 +∞ 1 dx = +∞ |x| Concludiamo questa sezione con il seguente Teorema 1.13 (A. Weil). Sia G un gruppo topologico di Hausdorff localmente compatto e sia H un sottogruppo chiuso normale. Siano rispettivamente ∆G e ∆H la funzione modulare di G e di H. Allora risulta ∆G (h) = ∆H (h) per ogni h ∈ H. Osserviamo che, se H non è normale, l’esempio precedente mostra che possono esistere sottogruppi di gruppi unimodulari (GL(2, R)) che non risultano a loro volta unimodulari. 1.2. Derivata di Radon-Nikodym. Le dimostrazioni dettagliate di quanto detto in questa sezione si trovano su [R1] Ci limiteremo qui a considerare misure positive. Siano quindi λ e µ due misure positive su X. Non è necessario, per quanto diremo, che X sia un gruppo: basta che sia uno spazio topologico e che λ e µ siano entrambe misure σ-finite definite sulla stessa σ-algebra, che per noi sarà sempre quella generata dagli insiemi di Borel. Definizione 1.14. Diciamo che λ è assolutamente continua rispetto a µ in simboli:λ ≪ µ se vale la seguente proprietà: ∀E ; µ(E) = 0 ⇒ λ(E) = 0 9 Diciamo invece che λ è singolare rispetto a µ (in simboli λ ⊥ µ), se esiste un insieme misurabile E tale che µ(E) = 0 e λ(A) = λ(A ∩ E) ∀A Esempio 1.15. Sia µ la misura di Lebesgue su [0, 1] e sia h una funzione ivi positiva integrabile. Poniamo Z Z 1 dµ(t) λ2 (E) = h(t)dµ(t) λ1 (E) = E E t Le λi risultano entrambe assolutamente continue rispetto a µ (quale è la differenza tra λ1 e λ2 ?). Sia ora invece λx la delta di Dirac nel punto x. Risulta λx ⊥ µ. Vale il seguente Teorema 1.16. Siano λ e µ due misure limitate su X. Allora esiste una e una sola coppia di misure positive λa e λs tali che (1) λ = λa + λs λa ≪ µ λs ⊥ µ (2) Esiste una e una sola funzione h ∈ L1 (X, dµ) tale che Z λa (E) = h(t)dµ(t) E In particolare, se λ ≪ µ, allora λs = 0 e Z (1.15) λ(E) = h(t)dµ(t) E la funzione h prende il nome di derivata di Radon-Nikodym di λ e si scrive anche dλ (x) = h(x) dµ 1.3. Struttura di G/H. Sia H un sottogruppo chiuso di G e siaπH la projezione canonica da G a G/H. Per ogni x ∈ G denotiamo con ẋ il laterale (sinistro) xH da esso individuato: cioè ẋ = πH (x) Definiamo una topologia su G/H: un sottoinsieme A ⊆ G/H si dice aperto se e solo se πH −1 (A) è aperto in G. È immediato verificare che gli aperti di G/H sono gli insiemi πH (U) dove U è aperto in G e che questa è la topologia meno fine che rende πH una mappa aperta. (Attenzione: πH non è in generale una applicazione chiusa! Si prenda come esempio G = R, H = Z E = {n + 1/2n n ∈ N}; E è chiuso ma πH (E) no!) vale la seguente 10 M. GABRIELLA KUHN Proposizione 1.17. G/H è uno spazio di Hausdorff. Dimostrazione. Osserviamo che, per ogni g ∈ G, la mappa che manda il laterale xH nel laterale gxH, è un omeomorfismo di G/H. Basta quindi far vedere che, dato z ∈ / H, esiste un intorno aperto A dell’identità in G tale che A · H e zA · H abbiano intersezione vuota. Infatti πH (A) e πH (zA) sono due intorni rispettivamente dei punti πH (H) = ė e πH (z) = ż. Osserviamo che πH (A) ∩ πH (zA) 6= ∅ se e solo se esiste (in G) un punto in (A · H) ∩ (zA · H). Sia dunque V1 un intorno aperto di e tale che zV1 ∩ H = ∅ (questo esiste in quanto H è chiuso). Scegliamo ora U1 ⊆ V1 simmetrico e tale che U12 ⊆ V1 . Sia ora V2 = zU1 ∩ U1 z: essendo anch’esso un intorno aperto contenente z, sappaimo che esiste V3 intorno dell’identità tale che V3 z ⊆ V2 Scegliamo U3 simmetrico tale che U32 ⊆ V3 . Poniamo A = U1 ∩ U3 . Supponiamo per assurdo che (1.16) ah1 = za′ h2 ovvero h1 h2 −1 = a−1 za′ per qualche a, a′ ∈ A e hi in H. poichè a−1 ∈ V3 , esiste u ∈ U1 tale che a−1 z = zu. Quindi il termine di destra della (1.16) appartiene a zV1 e quindi non può stare in H ♦ Osservazione 1.18. Osserviamo che, se i punti sono chiusi in G/H con la topologia sopra descritta, allora necessariamente H stesso deve essere chiuso. Analizziamo ora le funzioni continue su G/H. Se F è una funzione continua su G/H, allora la funzione f (x) = F (πH (x)) risulta a sua volta continua (su G) e tale che f (xh) = f (x) per ogni h ∈ H. Osserviamo che la relazione sopra definisce in realtà una corrispondenza biunivoca tra le funzioni continue su G/H e le funzioni continue su G invarianti a destra per H, tali cioè che f (xh) = f (x) ∀h ∈ H. Questa corrispondenza va oltre: definiremo ora una mappa suriettiva da Cc (G) su Cc (G/H): sia µ la misura di Haar invariante a sinistra su H. Per ogni f continua a supporto compatto su G definiamo Z (1.17) TH (f )(x) = f (xh)dµ(h) H Vale la seguente Proposizione 1.19. TH (f ) è una funzione continua su G, invariante a destra per H. 11 Dimostrazione. Cominciamo con osservare che Z (1.18) TH (f )(xh1 ) = f (xh1 h)dµ(h) = H Z Z x f (h1 h)dµ(h) = H x f (h)dµ(h) = TH (f )(x) H poichè µ è invariante a sinistra su H. R Dimostriamo ora che la mappa x → H f (xh)dµ(h) è continua su G. Sia K il supporto di f . Fissiamo x0 ∈ G e ǫ > 0. Bisogna far vedere che esiste un intorno A dell’identità tale che, se xx0 −1 ∈ A Z (1.19) | [f (xh) − f (x0 h)]dµ(h)| < ǫ H Sia U un intorno simmetrico dell’identità a chiusura compatta e sia x ∈ Ux0 . Osserviamo che, affinchè il primo termine della (1.19) non sia nullo, almeno uno dei due termini, xh ox0 h, deve trovarsi nel supporto di f . Quindi il primo termine di (1.19) è diverso da zero solo se h ∈ (x0 −1 K ∪ x0 −1 U −1 K) ∩ H Sia quindi K0 = (x0 −1 K∪x0 −1 Ū K)∩H. K0 è compatto in H e quindi µ(K0 ) è finita. Scegliamo ora un intorno V simmetrico dell’identità tale che , se x1 x2 −1 ∈ V risulti (questo è possibile per la continuità uniforme) di f . ǫ |f (x1 ) − f (x2 )| < µ(K0 ) Definiamo quindi A = U∩V . Se xx0 −1 ∈ A risulta anche |f (xh) − f (x0 h)| < da cui Z Z |f (xh) − f (x0 h)|dµ(h) < ǫ |f (xh) − f (x0 h)|dµ(h) = H K0 ♦ Osservazione 1.20. Si può anche dimostrare che TH è suriettiva da Cc (G) a Cc (G/H). Teorema 1.21. Sia H un sottogruppo normale e siano rispettivamente dẋ mG e mH le misure di Haar invarianti a sinistra su G/H su G e su H. Allora la misura di Haar su G può essere rinormalizzata in maniera tale che valga la seguente formula: Z Z Z (1.20) f (x)dmG (x) = dẋ f (xh)dmH (h) (ẋ = πH (x)) G G/H H ǫ µ(K0 ) 12 M. GABRIELLA KUHN Dimostrazione. Denotiamo con ẋ il laterale xH individuato da x. Scriviamo quindi Z TH f (ẋ) = f (xh)dmH (h) H Definiamo un’applicazione J da Cc (G) in C secondo la regola Z J(f ) = dẋ TH f (ẋ) G/H È ovvio che J è lineare e positiva. Inoltre se f ha supporto compatto il supporto di TH f è contenuto nei laterali del tipo gH con g nel supporto di f , ed è quindi compatto in quanto immagine di un compatto tramite πH . J definisce quindi un funzionale positivo su Cc (G) e quindi una misura su G. Dimostriamo che tale misura è invariante a sinistra, cioè J(a f ) = J(f ) per ogni a ∈ G: Z Z Z (1.21) J(a f ) = dẋ TH (a f (ẋ)) = dẋ a f (xh)dmH (h) = G/H G/H H Z Z Z ˙ = dẋ f (axh)dmH (h) = dẋ TH f ((ax)) G/H H G/H Z Z dẋ TH f (ȧẋ) = dẋ ȧ TH f (ẋ) G/H G/H ma dẋ è invariante per traslazioni a sinistra, quindi Z Z J(a f ) = dẋ(ȧ TH f )(ẋ) = dẋ TH f (ẋ) = J(f ) G/H Quindi J(f ) = c R G G/H f (x)dmG (x) per qualche c positivo. ♦ Esempio 1.22. Siano G = R, H = 2πZ e f ∈ L1 (R). Allora (1.22) ! Z +∞ Z 2π X X Z 2π f (x)dx = dt f (t + 2πj) = f (t + 2πj)dt −∞ 0 j∈Z j∈Z 0 Esercizio: giustificare lo scambio tra l’integrale e la sommatoria nella seconda uguaglianza. Teorema 1.23 (La formula di Poisson). Sia f una funzione di classe C 1 a supporto compatto. Vale la seguente formula: 2πλ +∞ X −∞ f (λ2πj) = +∞ X n fˆ( ) λ −∞ 13 Dimostrazione. P Sia φ(t) = j∈Z f (t + 2πj). Allora φ risulta periodica di periodo 2π. Inoltre Z 2π 1 ˆ 1 f(n) φ(t)e−int dt = φ̂(n) = 2π 0 2π Dette rispettivamente X fλ (x) = λf (λx) φλ (t) = fλ (t + 2πj) j∈Z risulta 1 ˆn 1 ˆ fλ (n) = f( ) 2π 2π λ Inoltre le ipotesi fatte garanitiscono facilmente che φ̂λ (n) = φλ (0) = +∞ X +∞ φ̂λ (n) = −∞ 1 Xˆn f( ) 2π −∞ λ e ricordando che φλ (0) = λ X f (λ2πj) j∈Z otteniamo la formula di Poisson: 2πλ +∞ X −∞ f (λ2πj) = +∞ X n fˆ( ) λ −∞ valida anche con condizioni molto piu‘ rilassate su f . ♦ Un’altra applicazione della (1.20) è la seguente: Osservazione 1.24. Sia f una funzione continua a supporto compatto su R. Allora Z Z 1 2 ˆ 2 dξ |f (x)| dx = |f(ξ)| 2π R R Supponiamo dapprima che il supporto di f sia contenuto in (−π, π). In tal caso, se pensiamo f come funzione sul toro, abbiamo, per l’identità di Parseval Z 2π +∞ X 1 1 2 (1.23) |f (x)| dx = | fˆ(n)|2 2π 0 2π −∞ (ricordiamo che la misura di Haar sul toro è normalizzata con il fat1 ˆ che dobbiamo ricordarci di inserire se pensiamo a f(n) come tore 2π 14 M. GABRIELLA KUHN coefficiente di Fourier di una funzione su R). Sostituiamo ora a f (x) e−iαx f (x) nella (1.23) e otteniamo Z +∞ 2π 0 |f (x)|2dx = 1 X ˆ |f(n + α)|2 2π −∞ Integriamo ora termine a termine l’equazione qui sopra e otteniamo Z 1 dα 0 Z 2π 1 |f (x)| dx = 2π 2 0 Z 0 +∞ 1X 1 |fˆ(n + α)|2 dα = 2π −∞ Z R ˆ 2dξ |f(ξ)| Supponiamo ora che il supporto di f sia arbitrario. Posta gλ (x) = √ λf (λx), avremo che, per λ sufficientemente grande, il supporto di gλ è contenuto in (−π, π) e quindi (1.23) è vera per gλ . Osservando che Z Z Z Z 2 2 2 |gλ(x)| dx = |f (x)| dx |ĝλ (ξ)| dξ = |fˆ(ξ)|2dξ R R R R segue l’asserto 2. Spazi Lp (G) Fissiamo una volta per tutte una misura di Haar sinistra che denoteremo semplicemente con dx. Consideriamo lo spazio vettoriale Cp di tutte le funzioni continue a supporto compatto su G dotato della norma Z p1 p kf kp = |f (x)| dx G Definiamo Lp (G) come il completato di Cp rispetto alla norma su indicata. Vale il seguente Teorema 2.1. Per ogni f fissata in Lp (G) l’applicazione x →x f è uniformemente continua da destra da G in Lp (G) , mentre l’applicazione x → fx è continua (sempre da G in Lp (G)). Dimostrazione. Fissiamo ǫ e x0 ∈ G. Tanto per cominciare esiste una funzione continua g a supporto compatto tale che kg − f kp < ǫ 3 15 Dobbiamo valutare: (2.1) kx f −x0 f kp = Z p1 |f (xt) − f (x0 t)| dt p G = Z p G |f (zu) − f (u)| du p1 dove si è posto t = x0 −1 u e successivamente z = xx0 −1 . Sia K il supporto di g. Fissiamo un intorno U di e simmetrico a chiusura compatta e scegliamo z in U. Sia κ la misura di Haar del compatto ŪK ∪ K. Per la continuità uniforme di g, possiamo trovare un intorno aperto V di e tale che, se z ∈ V , |g(zt) − g(t)| < ǫ 1 3κ p Quindi, se z ∈ U ∩ V , risulta Z G |g(zt) − g(t)| p p1 < ǫ 3 Osserviamo ora che kz f − f kp ≤ kz f −z gkp + kz g − gkp + kf − gkp < ǫ pur di prendere z ∈ U ∩ V . Veniamo ora alla traslazione destra: come prima, ponendo x = x0 u arriviamo a (2.2) Z p Z |f (tx) − f (tx0 )| dt = |f (tx0 u) − f (tx0 )|p dt G G Z = |fu (tx0 ) − f (tx0 )|p dt = ∆(x0 −1 )kfu − f kpp G Sia W un intorno simmetrico di e a chiusura compatta contenuto nell’insieme {g ∈ G : ∆(g) < 2p } (questo è possibile poichè ∆(e) = 1). Scegliamo g continua a supporto compatto tale che 1 ǫ kf − gkp < ∆(x0 ) p 4 16 M. GABRIELLA KUHN Chiamiamo K il supporto di g. Scegliamo ora u ∈ W : (2.3) kfx0 u − fx0 kp ≤ kfx0 u − gx0 u kp + kfx0 − gx0 kp + kgx0 u − gx0 kp ≤ (2.4) 1 1 [∆(x0 u−1 )] p kf − gkp + [∆(x0 −1 )] p kf − gkp + kgx0 u − gx0 kp ≤ (2.5) ǫ ǫ 2 + + kgx0 u − gx0 kp 4 4 Sia ora, come prima, V un intorno di e tale che se u ∈ V risulta ǫ |g(tx0 u) − g(tx0 )| < 1 4(κ) p dove κ è la misura di Kx0 −1 ∪ KW x0 −1 . Finalmente, se u ∈ W ∩ V , anche l’ultimo termine della (2.5) risulta minore di ǫ/4 e questo conclude la dimostrazione ♦ Ricordiamo ora la disuguaglianza di Minkowski generalizzata, che risulterà utile in seguito: Teorema 2.2. Siano X e Y due spazi di misura positiva e σ-finita. Sia F (x, y) una funzione misurabile su X × Y . Allora risulta p p1 1p Z Z Z Z p F (x, y)dy dx ≤ |F (x, y)| dx dy X Y Y X 2.1. Convoluzioni. Siano f e g due funzioni continue a supporto compatto. La convoluzione f ∗ g è definita come Z (2.6) f ∗ g(x) = f (y)g(y −1x)dy = Z G (2.7) f (xu)g(u−1)du = ZG (2.8) f (xy −1 )g(y)∆(y −1)dy G Ci proponiamo ora di estendere questa nozione al caso di funzioni integrabili. Vale il seguente Teorema 2.3. Siano rispettivamente f ∈ L1 (G) e g ∈ Lp (G). Allora la formula (2.7) definisce una funzione in Lp (G) e vale kf ∗ gkp ≤ kf k1 kgkp 17 Dimostrazione. Per la misurabilità della funzione F (x, y) = f (y)g(y −1x) rimandiamo al [R1]. Una volta osservato questo la dimostrazione è una semplice applicazione della disuguaglianza di Minkowski alla funzione F (x, y) = f (y)g(y −1x). ♦ 2.2. Convoluzioni con esponenti coniugati. Teorema 2.4. Siano p, q esponenti coniugati (tali cioè che p1 + 1q = 1) e supponiamo che 1 < p < ∞. Supponiamo che f ∈ Lp (G) e g̃∈Lq (G). Allora • f ∗ g ∈ C0 (G). • f ∗ g è uniformemente continua da destra Dimostrazione. (2.9) (2.10) Z −1 |f ∗ g(s) − f ∗ g(t)| = [f (sy) − f (ty)]g(y )dy = G Z [s f −t f ]g̃ ≤ kg̃kq ks f −t f kp G e l’uniforme continuità è quindi una consegenza del Teorema (1.5). Vedimao ora l’azzeramento all’infinito: sappiamo che esistono due succesioni fn e gn di funzioni continue a supporto compatto convergenti rispettivamente a f in Lp e a g̃ in Lq . Risulta quindi (2.11) kfn ∗ g˜n − f ∗ gk∞ ≤ kfn ∗ g˜n − fn ∗ gk∞ + kfn ∗ g˜n − f ∗ gk∞ ≤ kfn kp kgn − g̃kq + kfn − f kp kg̃kq siccome fn ∗ g˜n sono a supporto compatto segue la tesi. ♦ Osservazione 2.5. Nel caso p = 1 q = ∞ vale ancora il fatto che f ∗ g è uniformemente continua da destra, ma non è più vero che appartiene a C0 (G). 3. Algebre di Banach Sia A uno spazio di Banach complesso. Diciamo che A è un’algebra di Banach sul campo complesso se è definita su A un’operazione di prodotto-che indicheremo con a · b oppure anche semplicemente con abche soddisfa le seguenti proprietà: • (ab)c = a(bc) • (a + b)c = ac + bc e c(a + b) = ca + cb • λab = (λa)b = a(λb) per ogni λ ∈ C 18 M. GABRIELLA KUHN • kabk ≤ kakkbk Se inoltre A possiede un’unità e (tale che ex = xe = x ∀x ∈ A) richiediamo anche che kek = 1 . Si può dimostrare che, quando esiste un’unità, esiste sempre una norma, equivalente a quella di partenza, rispetto alla quale vale kek = 1. (per la dimostrazione si veda per esempio [R2] cap.10). Quindi l’assunzione fatta riguardo a kek non è restrittiva. 3.1. Esempi. (1) C[ab] lo spazio delle funzioni continue su un intervallo chiuso e limitato o, più in generale, lo spazio C(X) delle funzioni continue su uno spazio topologico di Hausdorff compatto è un’algebra di Banach con la norma dell’estremo superiore e la moltiplicazione definita punto per punto: kf k = sup |f (x)| (2) Sia H uno spazio di Hilbert e sia B(H) lo spazio degli operatori lineari continui (in norma) da H in H normato con la norma operatoriale. Posto (AB)(x) = A(B(x)) B(H) risulta un’algebra di Banach non commutativa. (3) Sia G un gruppo topologico. Allora L1 (G) risulta un’algebra di Banach rispetto alla convoluzione. Tale algebra è commutativa se e solo se G è commutativo. (4) Sia G come sopra e sia M(G) lo spazio vettoriale delle misure di Borel complesse regolari su G: per una descrizione dettagliata di M(G) rimandiamo a [R1], ricordiamo solo che ogni elemento µ di M(G) si può rappresentare nel modo seguente: Z (3.1) µ(E) = h(x)d|µ| E dove h(x) è una funzione misurabile di modulo 1 e |µ| è una misura positiva e limitata detta variazione totale di µ. La norma è definita come kµk = |µ|(G) Siano µ e ν due misure, definiamo la loro convoluzione µ∗ν come il funzionale lineare e continuo che associa ad ogni funzione continua a supporto compatto f la quantità ZZ µ ∗ ν(f ) = f (xy)dµ(x) dν(y) G×G 19 (3.2) (3.3) Supponiamo che sia dµ(x) = h(x)d|µ|(x) e dν(y) = k(y)d|ν|(y), poichè ZZ µ ∗ ν(f ) = f (xy)h(x)k(y)d|µ|(x) d|ν|(y) G×G ZZ |µ ∗ ν(f )| ≤ |f (xy)|d|µ|(x) d|ν|(y) G×G (3.4) ≤ kf k∞ kµkkνk µ ∗ ν risulta un funzionale lineare e continuo su Cc (G) e quindi esiste un unica misura che lo rappresenta: chiameremo tale misura µ ∗ ν. In questo modo L1 (G) risulta una sottoalgebra chiusa di M(G). È facile dimostrare che la convoluzione definita su L1 (G) coincide con quella sopra definita nel caso in cui si pensino due funzioni di L1 (G) come due misure assolutamente continue rispetto alla misura di Haar. (5) Sia G = T. Definiamo come A(T) lo spazio delle funzioni continue sul toro aventi serie di Fourier assolutamente convergente. Poniamo X ˆ kf kA(T) = |f(n)| n∈Z È facile verificare che, rispetto a questa norma, A(T) è uno spazio di Banach isomorfo a ℓ1 (Z). Definiamo ora f · g(t) = f (t)g(t) In virtù del fatto che le serie di Fourier di f e g sono assolutamente convergenti possiamo riordinare i termini e scrivere X X eikt ( fˆ(n)ĝ(k − n)) f (t)g(t) = k∈Z n e quindi osservare che i coefficienti di Fourier di f g altro non sono che la convoluzione (in ℓ1 (Z)) dei coefficienti di Fourier di f e di g. Ricordando le proprietà delle convoluzioni risulta quindi kf gkA(T) ≤ kf kA(T) kgkA(T) 4. Funzionali Moltiplicativi In tutto questo paragrafo assumeremo, salvo esplicito avviso, che A sia un’algebra di Banach complessa dotata di identità e. Definizione 4.1. Un funzionale moltiplicativo φ su A è un’applicazione lineare da A a C tale che φ(xy) = φ(x)φ(y) ∀x, y ∈ A 20 M. GABRIELLA KUHN Cominciamo con la seguente osservazione: Lemma 4.2. Sia x un elemento di norma minore di 1. Allora e − x è invertibile e inoltre valgono le seguenti formule: ∞ X −1 (4.1) (e − x) = xn n=0 (4.2) k(e − x)−1 − e − xk ≤ kxk2 1 − kxk Dimostrazione. P n Cominciamo con l’osservare che la serie ∞ n=0 x converge in norma: dunque essa converge in A per la condizione di Cauchy. Sia dunque y il suo limite: È immediato verificare che y(e − x) = (e − x)y = e. Inoltre risulta ! ∞ X e + x + x2 + . . . xn + · · · − e − x = x2 xn n=0 da cui segue facilmente (4.2) ♦ Torniamo ora ai funzionali moltiplicativi: vale il seguente Teorema 4.3. Sia φ un funzionale moltiplicativo su A non identicamente nullo. Allora • φ(e) = 1 • Se x è un elemento invertibile allora φ(x) 6= 0 • φ è continuo Dimostrazione. Supponiamo che φ(y) 6= 0 per qualche y, allora φ(ey) = φ(e)φ(y) e dunque φ(e) = 1. Supponiamo ora che x sia invertibile: ovviamente φ(x−1 x) = φ(x−1 )φ(x) = φ(e) = 1 e quindi φ(x) 6= 0. Per il terzo punto: mostriamo che se kxk < 1 allora anche |φ(x)| < 1. Sia λ = φ(x). Se fosse |λ| ≥ 1 allora avremmo k λx k < 1. Sappiamo che in tal caso e − λx è invertibile e quindi x φ(e − ) 6= 0 λ in altre parole φ(x) 6= λ. ♦ Questa osservazione verrà utile nel seguito: Osservazione 4.4. Osserviamo che due funzionali moltiplicativi φ1 e φ2 coincidono se e solo se hanno lo stesso nucleo. Infatti, in un senso l’affermazione è ovvia: supponiamo ora che ker(φ1 ) = ker(φ2 ) ma che 21 esita un x tale che φ1 (x) 6= φ2 (x) Possiamo supporre che φ1 (x) = λ 6= 0: sostituendo a x x/λ possiamo quindi supporre φ1 (x) = 1 6= φ2 (x). Allora e − x appartiene al nucleo di φ1 ma non appartiene al nucleo di φ2 : assurdo. Denotiamo con U all’insieme degli elementi invertibili in un’algebra di Banach. Vale il seguente Teorema 4.5. U è aperto. Inoltre l’applicazione T : U → U che associa a x il suo inverso x−1 risulta continua. Dimostrazione. Fissiamo x0 ∈ U. Sia δ = 1 . Dico che, se h è tale che khk < δ, 2kx0 −1 k x0 + h risulta invertibile: infatti x0 + h = x0 (e + x0 −1 h) Siccome kx0 −1 hk < 1 risulta che (e+x0 −1 h) è invertibile e quindi anche x0 + h: in altre parole U è aperto. Valutiamo ora T (x + h) − T (x) = (x + h)−1 − x−1 : −1 (x + h)−1 − x−1 = (e + x−1 h) x−1 − x−1 = ∞ X { (−1)n (x−1 h)n − e}x−1 = (4.3) (4.4) n=0 ∞ X (x h)[ (−1)n+1 (x−1 h)n ](x−1 ) ≤ −1 (4.5) n=0 1 kx−1 k2 khk 1 − kx−1 hk (4.6) Supponenedo quindi che kx−1 hk < 21 otteniamo la continuità di T . Vale la pena di osservare che, con gli stessi conti, si arriva ad una formula ancora più precisa: (4.7) k(x + h)−1 − x−1 − x−1 hx−1 = [(e + x−1 h) (4.8) k{ ∞ X n=2 n −1 n −1 −1 2 (−1) (x h) }x k = k(x h) { (4.9) ≤ 2kx−1 k3 khk2 purchè sia kx−1 hk < 21 . ♦ ∞ X n=0 −1 − e + x−1 h]x−1 k = (−1)n (x−1 h)n }x−1 k 22 M. GABRIELLA KUHN 4.0.1. Spettro e risolvente. Definizione 4.6. Sia x ∈ A. Definiamo spettro di x l’insieme dei λ complessi tali che λe − x non è invertibile. In altre parole, denotato con U l’insieme degli elementi invertibili in A, poniamo σ(x) = {λ ∈ C : (λe − x) ∈ / U .} Denotiamo invece con ρ(x) il complementare (in C) di σ(x). Valgono le seguenti osservazioni • ρ(x) è aperto. • σ(x) è contenuto nel cerchio con centro nell’origine e raggio kxk. • σ(x) è compatto Infatti, se |λ| > kxk, l’elemento x λe − x = λ[e − ] λ risulta invertibile in quanto k λx k < 1: quindi σ(x) risulta essere contenuto in z ∈ C : |z| ≤ kxk. Osserviamo che l’applicazione g che a z associa (ze − x)−1 risulta continua da C in A (perchè ?). Essendo ρ(x) = g −1 (U) otteniamo che ρ(x) è aperto (cosa che si può anche dedurre direttamente con conti analoghi a quelli del Teorema precedente). Quindi σ(x) è chiuso e limitato e quindi compatto. Non siamo in questo momento in grado di dimstrare che σ(x) 6= ∅: a tal fine abbiamo bisogno di qualche nuovo concetto: 4.1. Funzioni Olomorfe a valori in A. Sia A la nostra algebra di Banach complessa dotata di identità. Sia V un aperto di C. Definizione 4.7. Una funzione f : V ⊆ C → A si dice olomorfa se, per ogni z0 ∈ V , esiste (in A) il limite f (z) − f (z0 ) . z→z0 z − z0 lim Si dimostra che f è olomorfa se e solo se , per ogni funzionale x′ ∈ A′ la funzione di variabile complessa x′f (z) = hf (z), x′ i risulta olomorfa. (si veda per esempio [R2]) 23 Dimostriamo ora che, per ogni x0 fissato in A, la funzione g(z) = (ze − x0 )−1 sopra definita, non solo è continua: è addirittura olomorfa! Calcoliamo quindi g(z) − g(z0 ) lim . z→z0 z − z0 Per fare ciò recuperiamo i conti del precedente Teorema (4.5): poniamo x = (z0 e − x0 ) h = (z − z0 )e x + h = (ze − x0 ) Ricordando che h, essendo un multiplo di e, commuta con ogni x, e che g(z0 ) = x−1 e g(z) = (x + h)−1 , riscriviamo (4.7): kg(z) − g(z0 ) + [g(z0 )]2 (z − z0 )k ≤ kg(z0 )k3 |z − z0 |2 e quindi abbiamo che g(z) − g(z0 ) = −[g(z0 )]2 . z→z0 z − z0 Siamo ora in grado di dimostrare il seguente lim Teorema 4.8. Per ogni x ∈ A σ(x) non è mai vuoto. Dimostrazione. Supponiamo per assurdo che σ(x) = ∅. Allora la funzione complessa x′g (z) = hx′ , g(z)i è intera per ogni scelta di x′ . Inoltre, siccome per |z| > 2kxk risulta ∞ X xn g(z) = z n+1 n=0 abbiamo anche kg(z)k ≤ kxk per tali z : questo implica che x′g (z) sia costante per ogni scelta di x′ : in particolare quindi g(z) è costante per ogni z. Ma ancora, sempre dall’uguaglianza (4.1) abbiamo kg(z)k ≤ 2 e quindi g(z) = 0 che è impossibile. ♦ 1 |z| 4.1.1. Integrali a valori in uno spazio di Banach. Rimandiamo a [Y] per una trattazione completa degli integrali di funzioni di variabile reale o complessa a valori in uno spazio di Banach: noi ci limiteremo ad un caso molto speciale. Sia f una funzione continua definita su un intervallo chiuso [a, b] a valori in uno spazio di Banach (complesso) B. Consideriamo una partizione P dell’intervallo [a, b]: a = t0 < t1 < · · · < ti < · · · < tn = b 24 M. GABRIELLA KUHN e definiamo come al solito il passo della partizione: σ= sup (ti+1 − ti ) . 0≤i≤n−1 Scegliamo arbitrariamente un punto ξi in ciascun intervallo [ti , ti+1 ] e consideriamo le somme di Riemann: n−1 X (4.10) f (ξi )(ti+1 − ti ) i=0 Tenuto conto della continuità uniforme di f si dimostra con argomenti standard di Analisi I che esiste un elemento b ∈ B con questa proprietà: per ogni ǫ > 0 esiste δ > 0 tale che per ogni partizione P di passo minore di δ e per ogni scelta di ξi negli intervalli [ti , ti+1 ], risulta k n−1 X i=0 f (ξi)(ti+1 − ti ) − bk < ǫ L’elemento b viene denotato con il simbolo Z b f (t)dt a e viene detto integrale di f su [a, b]. Sia ora Γ una curva chiusa in C e supponiamo che esista una parametrizzazione γ di classe C 1 di Γ. Se Φ(z) è una funzione olomorfa in un aperto che contiene Γ a valori in B, definiamo Z Z b Φ(z)dz = Φ(γ(t))γ ′ (t)dt Γ a Ricordiamo ora alcune proprietà: • Se x′ ∈ B ′ è un funzionale lineare e continuo su B risulta Z b Z b ′ hx , f (t)dti = hx′ , f (t)idt a • (4.11) k Z a b a f (t)dtk ≤ Z b a kf (t)kdt Siamo ora pronti a dimostrare il seguente Teorema 4.9. Sia A un’algebra di Banach complessa dotata di unità e sia x ∈ A. Posto r(x) = sup |z| z∈σ(x) risulta r(x) = lim n→+∞ p n kxn k 25 Dimostrazione. Osserviamo che, siccome (λe − x) risulta invertibile ogni volta che |λ| > kxk, sicuramente abbiamo che r(x) ≤ kxk, inoltre per tali λ risulta ∞ X xk g(λ) = (λe − x)−1 = . k+1 λ k=0 Sia ora Γr una circonferenza di raggio superiore a kxk. Si ha che Z Z X ∞ 1 xk 1 n λ g(λ)dλ = λn k+1 dλ 2πi Γr 2πi Γr λ k=0 Ricordando ora (4.11) (4.12) k Z n Γr λ g(λ) − k X i=0 λn xi k≤ λi+1 2π k X xi krdθ = i+1 λ 0 i=0 Z 2π X Z 2π X ∞ ∞ j x kxkj n n |λ| k krdθ ≤ r rdθ j+1 j+1 λ r 0 0 k+1 k+1 Z kλn g(λ) − λn = 2πr n ∞ X kxkj k+1 rj poichè per ipotesi r > kxk, il secondo membro della (4.12) tende a zero per k tendente a infinito. Possiamo quindi scambiare il simbolo di serie con quello di integrale nella (4.1.1) e ottenere finalmente Z 1 λn g(λ)dλ = xn 2πi Γr Sia ora x′ ∈ A′ un funzionale lineare e continuo su A: da (4.1.1) otteniamo che Z 1 ′ (4.13) hx , λn g(λ)dλi 2πi Γr Z 1 hx′ , λn f (λ)idλ 2πi Γr = hx′ , xn i Ma la funzione λ → hx′ , λn f (λ)i è olomorfa in ρ(x) e quindi l’integrale non cambia se sostituiamo a Γr una qualunque circonferenza omotopa 26 M. GABRIELLA KUHN ad essa contenuta in ρ(x). Possiamo quindi concludere che (4.1.1) è vera per ogni r > r(x) Definiamo ora M(r) = sup kf (λ)k |λ|=r da (4.1.1) otteniamo kxn k ≤ r n+1 M(r) da cui 1 lim sup kxn k n ≤ r ∀r > r(x) n e quindi 1 lim sup kxn k n ≤ r(x) n Osserviamo che λn e − xn = (λe − x)(λn−1 e + λn−2 x . . . xn−1 ) questo mostra che se λe − x non è invertibile allora anche (λn e − x) non è invertibile: quindi se λ ∈ σ(x) allora λn ∈ σ(xn ) e quindi |λn | ≤ kxn k da cui 1 1 |λ| ≤ lim inf kxn k n ≤ lim sup kxn k n ≤ r(x) n n da cui la tesi ♦ Concludiamo questa parte con il famoso teorema di Gelfand–Mazur: Teorema 4.10. Sia A un’algebra di Banach in cui ogni elemento diverso da zero è invertibile: allora A ≃ C Dimostrazione. Sia x ∈ A, siccome σ(x) non è vuoto abbiamo che esiste λ(x) tale che λ(x)e − x non è invertibile: quindi λ(x)e − x = 0. Da qui è evidente che, per ogni x ∈ A, esiste un unico λx tale che x = λx e. Inoltre kxk = kλx ek = |λx |kek da cui la tesi poichè kek = 1. ♦ 5. Algebre di Banach Commutative (gli argomenti qui trattati sono presi essenzialmente da [K]). Sia A un’algebra di Banach commutativa dotata di identità. Osservazione 5.1. Cominciamo con l’osservare che ogni ideale proprio I è contenuto in un ideale proprio massimale: infatti sia I un ideale proprio di A e sia J la famiglia di tutti gli ideali propri di A che contengono I. J risulta un insieme parzialmente ordinato per inclusione e dunque contiene un sottoinsieme totalmente ordinato massimale J0 (vedi Appendice). Sia J0 = {a ∈ A : ∃I ′ ∈ J0 : a ∈ I ′ }. Siccome J0 è 27 totalmente ordinato J0 risulta essere un ideale e siccome l’identità non appartiene a nessun elemento di J0 esso è anche proprio. Dimostriamo ora che è massimale: se per assurdo esistesse un ideale proprio J che contiene J0 tale ideale sarebbe maggiore o uguale di ogni elemento dalla sottofamiglia J0 e quindi sarebbe possibile aggiungere J a tale sottofamiglia ottenenedo ancora una sottofamiglia totalmente ordinata il che contraddice la massimalità di J0 . Nel caso in cui A non contenga l’identità bisogna introdurre il concetto di ideale regolare. Definizione 5.2. Un ideale I si dice regolare se esiste un elemento u ∈ A che funziona da identità modulo I: tale quindi per cui, per ogni x ∈ A risulta x − ux ∈ I Valgono le seguenti proprietà: • Se u è un’unità modulo I allora risulta dist(I, u) ≥ 1. • Ogni ideale regolare è contenuto in in ideale regolare massimale. • Ogni ideale regolare massimale è chiuso. 5.1. Funzionali Moltiplicativi e Ideali Regolari. Sia I un ideale regolare massimale e sia Q = A/I l’algebra quoziente. È noto che Q risulta essere un campo. Osserviamo che è possibile introdurre su Q una norma naturale che lo rende a sua volta un’algebra di Banach. Sia {a} un elemento di Q e sia a un suo rappresentante. Poniamo k{a}k = inf ka + zk z∈I È molto semplice verificare che, essendo I chiuso, questa è una norma su Q che diventa a sua volta un’algebra di Banach (si veda per esempio [K]). Teorema 5.3. Sia m un funzionale moltiplicativo su A. L’applicazione m → ker(m) è una corrispondenza biunivoca tra i funzionali moltiplicativi e gli ideali regolari massimali di A Dimostrazione. Sia m un funzionale moltiplicativo non identicamente nullo: mostriamo che ker(m) è un ideale regolare massimale. Sia x ∈ A tale che m(x) 6= 0. A patto di dividere x per m(x) possiamo supporre m(x) = 1. Sia ora y un elemento arbitrario di A: allora y − yx ∈ ker(m) e dunque ker(m) è regolare. Per vedere che ker(m) è massimale osserviamo che, per ogni y ∈ / ker(m), l’algebra generata da y e ker(m) è tutto A: infatti ogni y ∈ / ker(m), funziona da unità modulo ker(m)! Sia ora I un ideale regolare massimale e sia π la projezione π : A → A/I. Per il Teorema di Gelfand-Mazur A/I è isomorfa a C e quindi π 28 M. GABRIELLA KUHN risulta un funzionale moltiplicativo, continuo in quanto ker(π) è chiuso. ♦ Corollario 5.4. Un elemento x ∈ A è invertibile se e solo se m(x) 6= 0 per ogni funzionale moltiplicativo m. In particolare λ ∈ σ(x) se e solo se λ = m(x) per qualche m. Dimostrazione. Se x è invertibile allora e = xx−1 e quindi 1 = m(x)m(x−1 ). Viceversa supponiamo che x non sia invertibile: allora xA è un ideale proprio di A ed è quindi contenuto in un ideale massimale, esiste quindi un funzionale moltiplicativo che ha tale ideale come nulceo. Infine, ricordando che λ ∈ σ(x) se e solo se (λe − x) non è invertibile abbiamo il secondo asserto. ♦ 5.1.1. Topologia sullo spazio degli Ideali Massimali. Denotiamo con ∆ lo spazio degli ideali massimali regolari. Abbiamo visto che c’è una corrispondenza biunivoca tra ∆ e i funzionali moltiplicativi su A. Sia A′1 = {a′ ∈ A′ : ka′ k ≤ 1} la sfera unitaria dello spazio duale A′ . Ogni funzionale moltiplicativo è un elemento di A′1 . Pensiamo quindi ∆ come un sottinsieme di A′1 e definiamo su ∆ la restrizione della topologia debole* di A′ . Vale il seguente Teorema 5.5. ∆ ∪ 0 è chiuso in A′1 . In particolare se A ha l’unità ∆ risulta chiuso in A′1 e quindi risulta compatto Dimostrazione. Si dimostra in maniera standard (si veda [K]) che ∆ ∪ 0 è chiuso in A′1 . Supponiamo ora che e ∈ A. Definiamo un intorno U0 del funzionale nullo del tipo: 1 φ ∈ A′ : |φ(e)| < 2 Allora ∆ ∩ U0 = ∅. Nel caso in cui A non abbia l’unità si può pensare di aver ottenuto la compattificazione di ∆ tramite l’aggiunta di un punto. ♦ 5.2. Esempi. 5.2.1. Funzionali Moltiplicativi su C(X). Sia X uno spazio di Haudorff compatto e sia, al solito, A = C(X) l’algebra delle funzioni continue su X a valori in C. È immediato verificare che, per ogni x fissato in X l’applicazione φx (f ) = f (x) è un funzionale moltiplicativo su A. Dimostriamo che tutti e soli i funzionali moltiplicativi su A hanno 29 questa forma. Sia dunque m un funzionale moltiplicativo e sia K il suo nucleo. Per ogni x ∈ X sia Mx = {f ∈ C(X) : f (x) = 0 } il nucleo del funzionale di valutazione in x. Per quanto detto prima basta dimostrare che K ⊆ Mx per almeno un x. Supponiamo per assurdo che ciò non sia vero: quindi per ogni x ∈ X esiste fx ∈ K tale che f (x) 6= 0; per la continuità di f esiste quindi un intorno Ux di x in cui |f (z)| ≥ |f (x)|/2 per ogni z ∈ Ux . Tali intorni costituiscono una copertura aperta di X e quindi si può estrarre una sottocopertura finita: chiamiamo x1 , x2 . . . xn i centri degli intorni di tale sottocopertura. Sappiamo per costruzione che per ogni xi (i = 1 . . . n) esiste una fi ∈ K tale che |fi (z)| ≥ δi per ogni z ∈ Uxi (dove ovviamente δi = |fi (xi )|/2 > 0). Sia δ = inf 1≤i≤n δi . Consideriamo ora la funzione F (x) = n X fi (x)fi (x) i=1 F appartiene a K, inoltre risulta F (x) ≥ δ > 0 su tutto X e quindi F è invertibile: assurdo. Dunque K è contenuto in un ideale del tipo Mx ed essendo K massimale coincide con esso. Osservazione 5.6. Osserviamo a questo punto che X risulta, almeno come insieme, coincidente con lo spazio degli ideali massimali ∆: ci proponiamo ora di dimostrare che X = ∆ come spazio topologico. A tal fine ricordiamo il seguente Teorema 5.7. ([R2] pag. 62) Sia X uno spazio su cui sono definite due topologie: τ1 e τ2 , entrambe di Hausdorff. Supponiamo inoltre che τ1 ⊆ τ2 e che τ2 sia compatta. Allora τ1 = τ2 Osserviamo che entrambe le topologie definite su X sono compatte e separate: dunque coincidono. 5.2.2. Funzionali Moltiplicativi su L1 (G). Abbiamo visto all’inizio che L1 (G) è un’algebra di Banach per ogni G topologico localmente compatto e σ-compatto. Supponendo G abeliano L1 (G) sarà un’algebra di Banach commutativa. Useremo la notazione additiva per G (quindi scriveremo x + y al posto di xy). Ci proponiamo quindi di risolvere il seguente problema: sia B = L1 (G), individuare tutti e soli i funzionali lineari e continui γ : B → C tali che 30 M. GABRIELLA KUHN (5.1) γ(f + g) = γ(f ) + γ(g) (5.2) γ(λg) = λγ(g) (5.3) γ(f g) = γ(f )γ(g) per ogni f , g in B e λ ∈ C: tali funzionali si chiamano brevemente funzionali (cioè lineari e continui) moltiplicativi. Ovviamente, in quanto funzionali, dovrà essere Z γ(f ) = f (x)Φ(x) dx G per una qualche funzione Φ ∈ L∞ (G). Il problema è che tale funzione risulterà avere molte altre proprietà. Gli omomorfismi continui da G nel gruppo moltiplicativo dei numeri complessi di modulo 1, (cioè gli omomorfismi γ : G → T) si chiamano anche caratteri di G. (Si può dimostrare che ogni omomorfismo misurabile da G in T risulta necessariamente continuo, ma ciò esula dagli obiettivi che ci siamo ora posti. Sia f ∈ L1 (G) e sia γ ∈ Γ. Definiamo trasformata di Gelfand–Fourier di f la funzione fˆ definita su Γ nel seguente modo: Z ˆ f (γ) = f (x)γ(x)dx G Risulta ovviamente ˆ sup |f(γ)| ≤ kf kL1 (G) γ∈Γ Si può dimostrare che la topolgia τ definita su Γ è la topologia meno fine che rende simultaneamente continue tutte le trasformate di Fourier ˆ f(γ) delle funzioni di L1 (G). Ricordiamo che, fissati f ∈ L1 (G) e U aperto in R tale topologia è generata da insiemi V del tipo V = {γ ∈ Γ : fˆ(γ) ⊆ U} dove per definizione ogni V risulta aperto. Quindi risulta fˆ(γ) ∈ C(Γ) per ogni f . Torniamo ora al problema di individuare gli omomorfismi moltplicaˆ tivi di L1 (G). Osserviamo che f ˆ∗ g(γ) = f(γ)ĝ(γ). Infatti Z Z Z f ˆ∗ g(γ) = f ∗ g(x)γ(x)dx = γ(−x)dx f (x − u)g(u)du G G G 31 Integrando prima rispetto ad x e facendo il cambiamento di varaibile x − u = y si ottiene Z Z ˆ f ∗ g(γ) = γ(−y)f (y)dy γ(−u)g(u)du G G dove si è tenuto conto del fatto che γ(y + u) = γ(y)γ(u). Quindi ogni γ ∈ Γ risulta definire un funzionale moltiplicativo su 1 L (G) mediante la formula Z γ(f ) = f (x)γ(x)dx G Dimostriamo che questi sono tutti e soli i funzionali moltiplicativi su L1 (G). Teorema 5.8. Sia Φ un funzionale moltiplicativo su L1 (G) e sia φ(x) la funzione di L∞ (G) che lo rappresenta. Allora esiste un carattere γ di G tale che γ(x) = φ(x). Dimostrazione. Cominciamo con l’osservare che un funzionale moltiplicativo è un elemento di norma minore o uguale a uno del duale di L1 (G). Sia quindi φ(x) la funzione di L∞ (G) che rappresenta Φ tale cioè che Z Φ(f ) = f (x)φ(x)dx G Siccome per ipotesi Φ(f ∗ g) = Φ(f ) · Φ(g) abbiamo (5.4) Z G Z Φ(f )g(y)φ(y)dy = Φ(f )Φ(g) = f ∗ g(x)φ(x)dx = G Z Z Z g(y)dy f (x − y)φ(x)dx = g(y)Φ(f−y )dy G G G Quindi Φ(f )φ(y) = Φ(f−y ) per quasi ogni y. In particolare fa funzione della variabile y di destra risulta continua perchè composta da y → −y → f−y → Φ(f−y ) che sono tutte funzioni continue. Scegliamo f in modo tale che Φ(f ) 6= 0. Per quanto detto sopra φ(y) coincide q.o. con una funzione continua dunque possaimo assumere che φ(y) sia continua. Infine scrivendo x + y al posto di y nella uguaglianza qui sopra abbiamo: Φ(f )φ(x + y) = Φ(f−x−y ) = Φ((f−x )−y ) = Φ(f−x )φ(y) = Φ(f )φ(x)φ(y) In particolare φ(−x) = [φ(x)]−1 ed essendo kφk∞ ≤ 1 deve essere per forza |φ(x)| = 1. ♦ 32 M. GABRIELLA KUHN 5.3. Trasformata di Gelfand. Sia A un’algebra di Banach commutativa e ∆ lo spazio degli ideali massimali. Sia x ∈ A: definiamo x̂ : ∆ → C nel seguente modo: x̂(m) = m(x) La funzione x̂ prende il nome di trasformata di Gelfand di x. Valgono le seguenti osservazioni • Ogni funzione x̂ risulta continua su ∆. (Infatti su ∆ abbiamo messo la topologia meno fine che rende continue le trasformate di Gelfand.) • |x̂| = |m(x)| ≤ kmkkxk = kxk per ogni x ∈ A e dunque kx̂k∞ ≤ kxk. • Se e ∈ A il rango di x̂ coincide con lo spettro di x (vedi (5.4)). Vediamo ora sotto quali ipotesi ˆ risulta un’isometria. Innanzi tutto vediamo di esaminare il nucleo di ˆ: x̂(m) = m(x) = 0 sse x ∈ ker(m) ∀m ∈ A′ . Si definisce radicale di A (e si denota con Rad(A)) l’intersezione di tutti gli ideali regolari massimali. Un’algebra di Banach si dice semisemplice se e solo se Rad(A) = 0. È ovvio che ˆ sarà iniettiva se e solo se A è semisemplice. Vediamo ora qualche condizione più operativa. Definiamo norma spettrale di un elemento (e la denotiamo con kxksp la norma infinito della sua trasformata di Gelfand: kxksp = sup |x̂(m)| = kx̂k∞ m Risulta sempre kxksp ≤ kxk Vogliamo capire quando vale l’uguaglianza o, più in generale, quando tali norme sono equivalenti: Teorema 5.9. Condizione necessaria e sufficiente affinchè la norma spettrale sia equivalente a quella di partenza è che esista una costante k tale che (5.5) kxk2 ≤ kkx2 k . Dimostrazione. Cominciamo con l’osservare che kxk2sp = kx2 ksp . Quindi se le due norme sono equivalenti ovviamente (5.5) è vera. Supponiamo ora che valga (5.5): sostituendo x2 al posto di x otteniamo kx2 k2 ≤ kkx4 k 33 e quindi e per induzione kxk ≤ √ p 1 1 1 k kx2 k ≤ k 2 · k 4 kx4 k 4 p 1 1 1 n kxk ≤ (k 2 k 4 . . . k 2n ) 2 kx2n k . Tenuto conto della formula che dà il raggio spettrale (4.9) otteniamo la tesi. ♦ Osservazione 5.10. Osserviamo che la formula (4.9) per il raggio spettrale è stata ricavata sotto l’ipotesi e ∈ A. Nel caso in cui l’algebra non abbia l’unità è comunque possibile aggiungere formalmente l’unità e dimostrare quindi (4.9). Infine osserviamo che kxk e kxn k hanno lo stesso valore sia nell’algebra di partenza che in quella ottenuta aggiungendo formalmente l’unità: questa osservazione completa il Teorema. 5.4. Algebre C ∗ . Motivati da questi risultati arriviamo alla seguente Definizione 5.11. Un’algebra di Banach B (non necessariamente commutativa) si dice C ∗ -algebra esiste un’involuzione (che denotiamo con ∗ ) da B in B soddisfacente le seguenti condizioni: (1) (a + b)∗ = a∗ + b∗ (2) (ab)∗ = b∗ a∗ (3) (λx)∗ = λ̄x∗ (per ogni λ ∈ C) (4) (x∗ )∗ = x (5) e inoltre, per ogni x ∈ B si chiede che valga l’uguaglianza: kxx∗ k = kxk2 . Esempio 5.12. Gli esempi più importanti di algebre C ∗ sono: • Nel caso commutativo: C(X) lo spazio delle funzioni complesse continue su uno spazio topologico di Hausdorff compatto dotato dell’involuzione f → f¯. • Nel caso non commutativo: B(H) lo spazio degli operatori continui su uno spazio di Hilbert dotato della norma operatoriale kAk = sup kAxk kxk=1 e dell’involuzione A → A∗ dove A∗ è l’aggiunto di A definito dall’equazione: hA∗ x, yi = hx, Ayi Osserviamo che (5) implica che kxk = kx∗ k 34 M. GABRIELLA KUHN in ogni C ∗ algebra: infatti kxk2 = kxx∗ k ≤ kxkkx∗ k e quindi kxk ≤ kx∗ k; sostituendo ora x∗ al posto di x, tenuto conto che (x∗ )∗ = x segue l’asserto. Definizione 5.13. Un elemento di un’algebra C ∗ si diec autoaggiunto o hermitiano se risulta x = x∗ Sia B un’algebra C ∗ dotata di unità. Valgono le seguenti proprietà: • x + x∗ , i(x − x∗ ), xx∗ sono elemnti hermitiani • per ogni x ∈ B esistono e sono unici due elementi hermitiani u, v tali che x = u + iv • l’unità è hermitiana • x è invertibile se e solo se x∗ è invertibile: in tal caso si ha (x−1 )∗ = (x∗ )−1 • λ ∈ σ(x) sse λ̄ ∈ σ(x∗ ) Per la dimostrazione si veda per esempio [R2] pag.288. abbiamo tutti gli elementi per dimostrare ora il fondamentale Teorema: Teorema 5.14 (Gelfand-Naimark). Supponiamo che A sia un’algebra C ∗ commutativa dotata di unità e sia ∆ lo spazio degli ideali massimali di A. Allora l’applicazione x → x̂ è un isomorfismo di algebre C ∗ tra A e C(∆). Dimostrazione. Cominciamo con dimostrare che ˆ è un omomorfismo di algebre C ∗ : bisogna far vedere che risulta (xˆ∗ )(m) = x̂(m) . A tale scopo fissiamo u = u∗ e dimostriamo che û è reale. Sia m(u) = α + iβ. Per vedere che β = 0 definiamo z = u + ite. Allora m(z) = α + i(β + t) e zz ∗ = u2 + t2 e. Quindi cioè |m(z)|2 = α2 + (β + t)2 ≤ kzk2 = kzz ∗ k ≤ ku2k + t2 α2 + β 2 + 2βt ≤ kuk2 ∀t ∈ R da cui β = 0. Sia ora x = u + iv con u e v autoaggiunti, allora x∗ = u − iv e quindi, siccome m(u) e m(v) sono reali abbiamo che (xˆ∗ )(m) = x̂(m) . 35 Sia quindi  l’immagine di A tramite ˆ in C(∆): essa risulta un’algebra autoaggiunta che separa i punti: per il Teorema di Stone–Weierstrass risulta quindi densa in C(∆). Mostriamo infine che ˆ è un’isometria: questo permetterà di concludere che ˆ è anche suriettiva (perchè?) e quindi è un isomorfismo. Sia y = xx∗ . Allora y è autoaggiunto e quindi yy ∗ = y 2 e ky 2k = kyk2; per induzione n n ky 2 k = kyk2 e quindi kyk = kŷk∞ . Siccome ŷ = |x̂|2 kŷk∞ = k|x̂|2 k∞ = kyk = kxx∗ k = kxk2 . ♦ Vediamo ora un caso particolarmente interessante di questo Teorema. Teorema 5.15. Sia A una C ∗ algebra commutativa generata dall’unità, da x e da x∗ . Allora lo spazio degli ideali massimali ∆ coincide con σ(x), lo spettro di x. Inoltre la mappa φ : C(σ(x)) → C(∆) definita secondo la regola (φf )(m) = f (m(x)) è un isomorfismo di C ∗ algebre. Inoltre, se denotiamo con Φ(f ) l’elemento di A che corrisponde alla funzione φf , e con z la variabile su σ(x), si ha che Φ(z) = x. Dimostrazione. Dire che A è generata da x e x∗ significa semplicemente che i polinomi in x e x∗ sono densi in A. Cominciamo con definire una mappa T da ∆ a σ(x) secondo la regola T (m) = m(x).È immediato verificare che T risulta continua. Inoltre supponiamo che m1 (x) = m2 (x): allora anche m1 (x∗ ) = m2 (x∗ ) (poichè mi (x∗ ) = mi (x)) e, se P è un polinomio in x, x∗ , m1 (P ) = m2 (P ). Poichè tali polinomi sono densi in A concludiamo che m1 = m2 e quindi T è iniettiva. Inoltre y ∈ σ(x) se e solo se esiste m tale che m(x) = y: ciò dimostra la suriettività di T , ed essendo ∆ compatto, T risulta un omeomorfismo. Infine, essendo φf (m) = f (T (m)), φ risulta un omoemorfismo. Scegliamo ora z come elemento di C(σ(x)): φz(m) = m(x) = x̂(m) e quindi Φ(z) = x. Infine poichè φz̄ = m(x) abbiamo che Φ(z̄) = x∗ e quindi Φf¯ = (Φf )∗ per ogni funzione continua su σ(x) ♦ Esempio 5.16. Sia H = L2 [0, 1]. Sia g(x) una funzione continua su [0, 1] e sia [a, b] l’insieme dei valori assunti da g. Sia infine (Mg f )(x) = 36 M. GABRIELLA KUHN g(x)f (x). Sia A l’algebra di Banach generata dall’identità e da Mg . È facile dimostrare che • (Mg )∗ = Mḡ . • kMg k = kgk∞ . • σ(Mg ) = [a, b] cioè lo spettro di Mg altro non è che l’insieme dei valori assunti da g(x). (per il secondo e per il terzo punto conviene osservare che, se |g(x)| > k su un insieme E di misura positiva e finita, allora, definita fk (x) = 1 1 (m(E)) 2 χE dove m(E) denota la misura di E risulta anche kMg fk k ≥ k e poichè kfk k2 = 1 sarà anche kMg k ≥ k.) A risulta quindi isomorfa a C[a, b] e può essere pensata con un’algebra di operatori che sono dati dalla moltiplicazione per una funzione del tipo F (g(x)) essendo F continua su [a, b]. In questo caso Mg corrisponde alla funzione F (y) = y. 5.5. Applicazioni al caso non commutativo. Consideriamo in questo paragrafo B = B(H): l’algebra C ∗ degli operatori limitati su uno spazio di Hilbert. Ricordiamo che un elemento X di B si dice normale se XX ∗ = ∗ X X. Sia A l’algebra C ∗ (commutativa!) generata da I (l’identità) X e X ∗ e siano rispettivamente σA (X) e σB (X) lo spettro di X pensato come elemento di A e di B. È ovvio che σB (X) ⊆ σA (X). Vale il seguente fatto che ci limitiamo ad enunciare: Fatto 5.17. σA (X) = σB (X) Teorema 5.18. Siano A e B come sopra. Fissiamo v ∈ H. Sia Hv il sottospazio di Hilbert generato da Av: Hv è dunque la chiusura in H del sottospazio lineare generato da P (X, X ∗ )v dove P (X, X ∗ ) varia tra tutti i possibili polinomi in X e X ∗ . Allora esiste una (e una sola) misura di Borel positiva µ su σ(X) tale che Hv ≃ L2 (σ(X), dµ) Inoltre, è possibile scegliere U : L2 (σ(X), dµ) → Hv unitario tale che (U −1 XUf )(z) = zf (z): cioè X è equivalente all’operatore di moltiplicazione per la funzione z in L2 (σ(X), dµ). Dimostrazione. 37 Sia f ∈ C(σ(X)) e sia Φ(f ) il corrispondente elemento in A. Definiamo un funzionale lineare Λ su C(σ(X)) con la regola Λ(f ) = hΦ(f )v, vi . Poichè |Λ(f )| = |hΦ(f )v, vi| ≤ kΦ(f )vkkvk ≤ kΦ(f )kkvk2 = kf k∞ kvk2 Λ risulta continuo. Sappiamo quindi che esiste una e una sola misura di Borel regolare µ su σ(X) tale che Z f (z)dµ(z) = hΦ(f )v, vi . σ(X) R Mostriamo che µ è positiva: basta mostrare che σ(X) f (z)dµ(z) ≥ 0 ogni volta che f ≥ 0 su σ(X). Sia dunque f = |g|2. Φ(f ) = Φ(ḡg) = Φ(ḡ)Φ(g) = Φ(g)∗ Φ(g): allora (5.6) Z |g|2(z)dµ(z) = hΦ(g)∗Φ(g)v, vi = hΦ(g)v, Φ(g)vi = kΦ(g)vk2 . σ(X) Definiamo ora Uf = Φ(f )v. Lo stesso conto di (5.6) mostra che kgk2L2(σ(X),dµ) = kΦ(g)vk2 per ogni funzione continua su σ(X): essendo tali funzioni dense in L2 (σ(X), dµ) abbiamo che U si estende ad un operatore unitario. Infine ricordiamo che XΦ(f ) = Φ(z)Φ(f ) = Φ(zf ) e quindi U −1 XUf = U −1 XΦ(f )v = U −1 Φ(zf )v = zf . ♦ 5.5.1. Applicazioni: un Teorema ergodico. A titolo di esempio, dimostriamo, come applicazione dei risultati precedenti, il seguente Teorema dovuto a von Neumann: Teorema 5.19 (Media spaziale = Media temporale). Sia (X, Ω, ν) uno spazio di probabilità e sia ψ : X → X una funzione biunivoca, tale che, per ogni insieme misurabile E, sia ψ(E) che ψ −1 (E) risultano misurabili e inoltre ν(ψ(E)) = ν(ψ −1 (E)) = ν(E) Allora, per ogni f ∈ L2 (X, dν) il seguente limite esiste (in L2 (X, dν)): 1 (5.7) lim {f + f ◦ ψ + f ◦ ψ 2 + . . . f ◦ ψ n−1 } = lim An f n→∞ n n→∞ Supponendo che ψ sia anche ergodica (cioè ψ(E) = E è possibile solo se µ(E) = 0 o µ(E) = 1) il limite in L2 (X, dν) è la funzione costante Z g(x) = f (t)dµ(t) . X 38 M. GABRIELLA KUHN Una funzione ψ siffatta si chiama (con ovvio significato) una trasformazione che preserva la misura. Il punto chiave è che tale trasformazione definisce un’operatore unitario su L2 (X, dν): definita infatti Uf (x) = f (ψ(x)) per ogni f ∈ L2 (X, dν) risulta Z Z 2 |f (x)| dν = |f (ψ(x))|2dν X X e quindi l’unitarietà di U. Osserviamo infine che, nel caso in cui ψ sia ergodica, la condizione g ◦ ψ = g implica che g sia costante q.o. [dν]. Tenendo in mente ciò, osserviamo che questo Teorema segue immediatamente dal seguente enunciato: Teorema 5.20. Sia U ∈ B(H) un operatore unitario su uno spazio di Hilbert H. Allora, per ogni v ∈ H le medie 1 (v + Uv + U 2 v + . . . U n−1 v) n convergono in H ad un limite y. Inoltre risulta Uy = y. An v = Dimostrazione. Fissato v ∈ H definiamo Hv e L2 (σ(U), dµ) come in (5.18). Osserviamo che, siccome U ∗ = U −1 , risulta z̄ = z −1 per ogni z ∈ σ(U) e quindi σ(U) è contenuto nella circonferenza unitaria. Osserviamo che 1 (1 + z + z 2 + . . . z n−1 ) z ∈ σ(U) . n Definiamo quindi an (U) come l’elemento dell’algebra C ∗ generata da I e U corrispondente alla funzione an (z). Risulta Ân (z) = an (z) = An v = an (U)v Sia ora (5.8) b(z) = 1 se z = 1 0 se z 6= 1 È evidente che b(z) ∈ L2 (σ(U), dµ): sia quindi y l’elemento corrispondente in Hv . Allora, sempre per il Teorema (5.18) Z 2 (5.9) ky − An vkH = |b(z) − an (z)|2 dµ . σ(U ) Siccome |b(z) −an (z)| ≤ 1 sulla circonferenza unitaria, il Teorema della convergenza dominata assicura che l’integrale a secondo membro della 39 (5.9) tende a zero per n → ∞ e quindi abbiamo la convergenza. Infine osserviamo che Uy − y = lim UAn v − An v = n→∞ 1 n (U y − y) = 0 . n→∞ n lim ♦ Osservazione 5.21. Per ottenere il Teorema di von Neumann basta porre H = L2 (X, dν) Uf = f ◦ ψ R e osservare che, se g è costante, allora g = X gdν e ancora per il Teorema della convergenza dominata Z Z An f → g. X X R R Essendo che X An f = X f abbiamo la tesi. Appendix A Questo Teorema è una conseguenza dell’assioma della scelta ed è noto come Lemma di Zorn: Teorema A.1. Ogni insieme parzialmente ordinato P non vuoto contiene un sottoinsieme totalmente ordinato Q massimale (rispetto alla proprietà di essere totalmenet ordinato). Per la dimostrazione si veda [R1]. Teorema di Stone-Weierstrass: Teorema A.2. Sia A una sottoalgebra di C(X) (X spazio topologico di Hausdorff compatto). Supponiamo che (1) A sia autoaggiunta: cioè x∗ ∈ A ogni volta che x ∈ A. (2) A separi i punti di X: cioè , per ogni coppia di punti x1 6= x2 esista f ∈ A tale che f (x1 ) 6= f (x2 ). (3) per ogni x ∈ X esista f ∈ A tale che f (x) 6= 0. Allora A è densa in B Per la dimostrazione si veda [R2]. References [R1] [R2] [K] W. Rudin, Analisi Reale e Complessa Bollati Boringhieri W. Rudin Functional analysis McGraw-Hill Y.Katznelson An introduction to Harmonic Analysis Dover Publications Inc. New-York 1968 40 [Y] M. GABRIELLA KUHN K. Yoshida Functional Analysis Springer Verlag Berlin Heidelberg NewYork Dipartimento di Matematica, Università di Milano “Bicocca”, Viale Sarca 202, 20126 Milano, ITALIA E-mail address: [email protected]