Questo documento è sotto la licenza Creative Commons: http://creativecommons.org/licenses/by http://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0/ Attenzione: L’autore autore declina ogni responsabilità sulla eventuale eventuale non correttezza del contenuto e dalle conseguenze dell’utilizzo utilizzo di materiale non corretto. 34 Appunti di Filosofia - Compito 5 S. AGOSTINO: Di origini africane, si converte al cristianesimo a Milano [ai tempi di Diocleziano (uno dei 4 tetrarchi). Ormai la capitale dell’Impero Romano d’Occidente e Milano, perché più vicino alle frontiere. Nasce il detto Ubi Imperator, Ibi Romam, che sanciva ormai l’inutilità della figura dei senatori, rimasti solo per proforma.] A Milano incontrò S. Ambrogio che lo convertì facendogli leggere l’Hortensius di Cicerone. Agostino era un uomo colto, ma gli mancava la conoscenza del greco, conoscenza confinatasi nella parte orientale dell’impero: doveva quindi leggere testi latini. Piacendogli il libro, fece dunque una sintesi del pensiero Cristiano e di quello Classico, già tentato ad oriente dai Padri della Chiesa. Inizialmente gli occidentali erano contrari allo studio delle opere classiche poiché ritenute fuorvianti per la dottrina cristiana, rifiutando così il razionalismo classico che portava a non credere ai miracoli. Questo atteggiamento è riassunto da Tertulliano con l’affermazione: “Credo quia absurdum est” Questo atteggiamento viene quindi chiamato apologetico perché teso alla protezione della dottrina cristiana. Agostino compie il sacro furto, prendendo alcune parti del pensiero filosofico di ciascun autore, per creare una dottrina personale[: con i strumenti precedenti si possono risolvere i problemi di oggigiorno]. [Tutti i filosofi infatti fanno una sorta di sacro furto, …] Nelle Confessioni propone per la prima volta nel mondo antico a scrivere una autoesame, una sorta di diario filosofico. Intelligo ut credam Credo ut intelligam Vuole dire che bisogna non solo credere, ma anche studiare in modo razionale per rafforzare gli elementi della propria fede, condizione prima necessaria per credere. Fede Ragione Mentre Tertulliano vede la fede opposta alla ragione, Agostino usa questa commistione per capire con la mente quello che altrimenti sarebbe solo fede. 35 Appunti di Filosofia - Compito 5 Per gli antichi la storia era vista come un evento ricorrente e circolare, dove la vita dell’uomo era un piccolo segmento su di essa. Prima della Rivelazione sono tutti dannati ma questo, anche se lo possiamo ritenere umanamente ingiusto, è giusto poiché giudicato dalla Provvidenza, non potendo noi determinare ciò che è giusto o sbagliato. Il tempo è diviso in: - Un passato che non è più Un futuro che non è ancora Un presente che è, ma nel momento in cui lo pensiamo è già passato. È un ponte che non esiste tra due coste che si costruisce sotto il passo dei nostri piedi, creandosi e disfandosi procedendo il cammino. Secondo lui non ci muoviamo in un tempo oggettivo, ma soggettivo: è la nostra anima che volgendosi indietro ricordando e avanti sperando crea la storia. [Henri Bergson contrapporrà al tempo in autentico dell’orologio quello autentico della vita; Marcel Proust con Alla ricerca del tempo perduto si ricollega a ciò poiché inizia il romanzo con una narrazione dovuta alla rottura di una galletta nella tazza del protagonista in un bar; anche James Joyce si rifà alle teorie del suddetto Bergson] Nel libro “De civitate Dei” S.Agostino parla del rapporto conflittuale fra la Città di Dio e la Città dell’Uomo. Secondo lui l’uomo è portato ad affermarsi nella Città dell’Uomo usando i mezzi dell’uomo(?) e facendo ciò, assolverebbe al (al progetto del) demonio. La vita dell’Eremita e quella del monaco, invece, astraendosi dalla vita terrena per associarsi alla Città di Dio, riassumono nella vita terrena la dimensione della Città Celeste. Si può quindi desumere che ha un atteggiamento teocratico, volendo infatti far valere le regole religiose per la vita terrena. Per il cristiano dunque ci sono due modi per avvicinarsi alla ittà di Dio: - Astraendosi del tutto, come l’eremita o il monaco (il quale però anch’esso vive in una comunità, seguendo però le leggi della Città di Dio; la figura migliore di astrazione è perciò l’eremita) Riformare la città sulle basi dei principi religiosi, o individualmente, o collettivamente (quest’ultima, spina agli estremi, si rivela una teocrazia) Nel Medioevo si presumeva che era impossibile non far parte della comunità dei credenti, per questo il non credente veniva bandito ed espulso. 36 Appunti di Filosofia - Compito 5 Inoltre impone l’uomo di non scegliere fra male o il bene, ma solo il bene. [Loch dirà che la Chiesa può cacciare l’eretico ma lo stato non lo può inquisire se rispetta le leggi dello stato, e viceversa.] IL PENSIERO MEDIOEVALE: I principali filosofi di questa epoca hanno poca carica innovativa ma si rifanno al pensiero classico precedente come quello neoplatonico. Nella filosofia, in questa epoca, interviene la teologia per risolvere i problemi, spesso per evitare la minaccia di eresia e la condanna al rogo, muovendosi così in un percorso già dato. La grande discussione dell’epoca era il dibattito sulla distinzione fra RAGIONE e FEDE. Si espongono ora le due opinioni più radicali nei diversi ambiti di pensiero: 37 Appunti di Filosofia - Compito 5 Tertulliano (II-III sec.) Guglielmo da Ockham (XIV sec.) « Credo quia absurdum est » Dichiara che sono presente spazi autonomi tra fede e ragione; Dichiara così il primato assoluto della Fede che non ha bisogno della ragione. La fede è giocata tra fede e ragione: uno può credere una cosa per fede ma nel contempo crederne un’altra scientificamente. Per quanto concerne la ragione, ci sono degli spazi autonomi (come per esempio la matematica) dogve la ragione è regina di sé stessa e non può intervenire la fede. Dove la fede dichiara i suoi principi, può però anch’essa intervenire. Col passare del tempo si avranno idee sempre più razionaliste, diminuendo sempre di più la concezione fideista. [Gli stessi temi laici stilnovisti rafforzano l’elemento della ragione, vedendo l’uomo come riflesso dell’immagine di Dio piuttosto che come suo servo. Questi temi laici furono scaturiti dal conflitto tra Papa ed Imperatore ai tempi di Federico II di Svezia (re del S.R.I. a quel tempo in Sicilia), stimolante per lo sviluppo della ragione umana, …] Con la traduzione delle opere di Aristotele si nota che nella sua filosofia non interviene alcuna divinità: questo stà ad indicare l’indipendenza dalla religione (soltanto unione per la fede = inizio della modernità (?)). Nasce quindi la cultura occidentale dove la legge dello stato è diversa dalla legge della Chiesa, mentre nel Medioevo tutto è confuso in una sorta di fondamentalismo religioso. Questa discussione sugli ambiti della fede e della ragione fa scaturire due tematiche di dibattito fondamentali: - La dimostrazione dell’esistenza di Dio La questione degli universali La dimostrazione dell’esistenza di Dio: Agostino: Dichiara che se lui esiste, qualcuno l’ha creato, ovvero i suoi creatori, a sua volta creati dai loro creatori… Non potendo trovare infinite cause concatenanti (vedi il terzo uomo platonico) leggendo la Bibbia si scopre che la causa prima è Dio ed è quindi lui il Creatore. Anselmo da Aosta: Dopo aver tentato di dimostrare Dio tramite la Natura (nel Monologion), nel Proslogion ne tenta la dimostrazione solo razionalmente (senza intervento teologico). Chiama in causa il non credente chiamandolo stultus; dice che lui, anche se non crede, può comunque accettare la definizione di Dio presente nella Bibbia “Deus est id quo maius equità cogitari ”, ovvero Ciò di cui nulla di più grande piò essere pensato, ovvero IqM (con la quale dicitura Lo abbrevieremo). Se io mi limito a pensare che IqM esista solo nel pensiero, allora l’ IqM pensato è minore di un IqM identico a quello pensato che in più ha la capacità di esistere; poichè è così IqM coincide con l’ IqM che in più ha il potere di esistere, ed è quindi più perfetto di quello pensato. Gaunilone attacca la tesi di Anselmo: intanto non era accettabile chiamare stultus il non credente; inoltre dimostrò che con lo stesso presupposto si può dimostrare l’esistenza di qualsiasi cosa. Dimostrò quindi l’esistenza delle Isole Beate, il posto felicissimo per 38 Appunti di Filosofia - Compito 5 l’uomo, un Paradiso Terrestre dove non c’era povertà e morte. Gaunilone ritiene che l’errore nella dimostrazione sia dovuto al salto diretto dal piano gnoseologico ( = studio della conoscenza) a quello ontologico ( = studio dell'essere in quanto tale) [Kant introduce l’argomento de “i 100 talleri”: «certo i 100 talleri che ho in tasca sono diversi dai 100 talleri che io penso, già solo perché con quelli in tasca posso fare acquisti, ma non è una differenza di essenza, non è, come credeva Anselmo, che i 100 talleri esistenti siano più perfetti e abbiano più valore dei 100 talleri pensati; non è vero che una cosa esistente è più grande della medesima cosa pensata come se inesistente. L'esempio dei 100 talleri rende bene l'idea perchè, se come dice Anselmo ciò che esiste vale di più ed è più grande di ciò che è solo pensato, avendo 100 talleri in tasca, pensando quei talleri, dovrei averne in mente meno, solo 90, ad esempio, perchè una cosa solo pensata vale meno di una esistente. »] Tommaso d’Aquino: Procede alla dimostrazione con la stessa argomentazione aristotelica: ci deve essere per forza una causa incausata ferma che muove tutto (non si può andare alla ricerca all’infinito). Ricorre quindi alle cinque vie tramite processo induttivamente (come dice lui non a priori – ovvero dalla realtà – ma a posteriori), chiamando in causa le teorie di Aristotele quali quelle di potenza ed atto. Utilizza quindi due tipi di dimostrazioni Propter quid Quia Quando abbiamo la certezza che sia così Non abbiamo la certezza assoluta ma è per logica. così com’è. Non avendo conoscenza universale di Dio, procede allora per via induttiva dalle orme che Esso lascia (dai segni arriva quindi all’universale) [«Vi è una duplice dimostrazione. L'una procede dalla [conoscenza della] causa, ed è chiamata propter quid: e questa muove da ciò che di per sé ha una priorità ontologica. L'altra invece parte dagli effetti, ed è chiamata dimostrazione quia: e questa muove da cose che hanno una priorità solo rispetto a noi; ogni volta infatti che un effetto ci è più noto della sua causa, ci serviamo di esso per conoscere la causa. Da qualunque effetto poi si può dimostrare l'esistenza della sua causa (purché gli effetti siano a noi più noti della causa): dipendendo infatti ogni effetto dalla sua causa, posto l'effetto è necessario che preesista la causa. Quindi l'esistenza di Dio, non essendo evidente rispetto a noi, può essere dimostrata per mezzo degli effetti da noi conosciuti. »] L’attaccabilità della teoria di Anselmo è dovuta proprio all’attaccabilità della fede; ne segue che è venuta meno il credere alla fede e quindi si vuole convincere chi non crede. Dio non è più evidente per fede ed allora interviene la filosofia (o meglio, in questo periodo, la teologia) 39 Appunti di Filosofia - Compito 5 [Il riferimento dei 100 talleri è tratto dal sito www.storiafilosofia.it/filosofia/kant/kant_2.php; www.storiafilosofia.it/filosofia/kant/kant_2.php il propter quid ed il quia di Tommaso d’Aquino da www.filosofico.net/Antologia_file/AntologiaT/TOMMASO%20D%20AQUINO_%20SE%20SIA%20DIMOSTR.htm] La questione degli Universali. Dicesi UNIVERSALE un concetto (ovvero il concetto di rosa, attaccapanni)) che fa essere l’oggetto stesso (la rosa appunto, o l’attaccapanni). l’attaccapanni). Discutono sulla causa che rende l’oggetto reale; le posizioni sono: - preesistono l’uomo (platonica) li creiamo noi (aristotelica) [Le Isagoge di Porfirio: «L' L' "Isagoge" è una breve introduzione alle "Categorie" di Aristotele, in cui Porfirio - il ben noto discepolo di Plotino e grande commentatore degli scritti di Platone e di Aristotele - scrivendo a un suo allievo, codifica la dottrina dei cinque predicabili (genere, specie, differenza, proprio e accidente), costruendo una struttura logica gerarchica [...] e ponendo il problema degli universali: i generi e le specie hanno un'esistenza reale reale o solo mentale? [...] e, nella versione latina di Boezio, è diventata un punto assolutamente irrinunciabile per molti commentatori medioevali: dallo stesso Boezio sino a Pietro Abelardo, Tommaso d'Aquino e Guglielmo di Ockham.» 1, le stesse Isagoge «che che Boezio seguirà nel compito che un giorno vorrà assumersi di tradurre in latino, commentare e accordare i due pensatori greci grec [...] » e delle quali lo stesso parlerà nel modo seguente: «Platone Platone ritiene che i generi, le specie e gli altri universali non siano sia soltanto conosciuti separatamente dai corpi, ma che esistano e sussistano indipendentemente da quelli; invece Aristotele pensa che gli incorporei e gli universali sono sì oggetto di conoscenza, ma che non sussistono che nelle cose sensibili. Quale di queste queste opinioni sia la vera, io non ho avuto l'intenzione di decidere, perché è compito di più alta filosofia. Noi abbiamo deciso di seguire l'opinione di Aristotele, non perché l'approviamo totalmente ma perché questo libro l' Isagoge di Porfirio è scritto seguendo le Categorie di Aristotele» Aristotele 2 ] 1 2 Dal sito http://www.filosofico.net/girgporfiriotesto.htm Dal sito http://it.wikipedia.org/wiki/Anicio_Manlio_Torquato_Severino_Boezio http://it.wikipedia.org/wiki/Anicio_Manlio_Torquato_Sev 40 Appunti di Filosofia - Compito 5 ANTE REM: (Ovvero prima delle cose): questa posizione afferma che gli universali preesistono alla mente degli uomini (come sosteneva Platone con il suo mondo delle Idee) – venne adottata da Guglielmo di Champeaux. IN RE POST REM: (Ovvero nelle cose dopo le cose): questa posizione afferma che gli universali esistono nell’oggetto (come sosteneva Aristotele). Meglio: l’essenza di un banco è nel banco stesso, ma abbiamo la concezione di banco solo quando lo vediamo – venne adottata da Tommaso d’Aquino. Abelardo ebbe una posizione intermedia tra in re post rem e post rem, ovvero che l’universale è nell’oggetto, ma i concetti sono reali ma nella mente. POST REM: (Ovvero dopo le cose): questa posizione è sposata dai “Nominalisti” che sostengono che quando si hanno degli oggetti davanti a noi li chiamiamo in un certo modo per convenzione. Questa contiene due linee di pensiero di due filosofi differenti - Roscellino I nomi secondo lui sono tutti arbitrari e sono definiti flatus vocis (soffi di voce); le due parole “genere umano” coincide con il suono o segno “genere umano”, siamo noi che poi diamo il valore di genere umano per convenzione: [«Per Roscellino, gli universali non esistevano nella realtà, come invece le essenze, ma erano solo segni convenzionali o parole (voces) o nomi. La loro unica funzione era di muovere l'aria quando venivano pronunciati: essi, secondo la celeberrima tesi di Roscellino, non sono che flatus vocis, ossia “soffi di voce” privi di esistenza autonoma. Infatti [...] soltanto gli individui sono reali, mentre gli universali, o concetti generali, sono semplicemente nomi, puri suoni che vibrano nell’aria. Lungi dall’esistere ante rem (alla maniera platonica) o in re (alla maniera aristotelica), gli universali (“uomo”, “cavallo”, ecc) esistono solo post rem, ossia a monte delle singole realtà individuali: gli universali, infatti, sono solo vibrazioni sonore ed hanno esistenza solo nelle parole che essi esprimono (la parola “uomo”, la parola “cavallo”, ecc). Non vi è un concetto di “uomo” dato come idea stante prima rispetto alla realtà (come credeva Platone), né vi è un concetto di “uomo” calato nei singoli uomini effettivamente esistenti (come credeva Aristotele). Esistono soltanto soffi di voce che derivano dalle singole realtà empiriche considerate complessivamente» 3] Inoltre rischiò l’eresia perché considerava tre divinità separate Padre, Figlio e Spirito Santo: [«Ma Roscellino venne anche accusato di togliere ogni distinzione fra le tre Persone della Trinità: seguendo infatti il suo ragionamento fino alle estreme conseguenze a cui esso portava, era impossibile affermare l'esistenza di una essenza divina in tre persone, quindi dovevano esistere tre divinità separate» 4] 3 4 Dal sito http://www.filosofico.net/roscellino.htm Dal sito http://www.filosofico.net/roscellino.htm 41 Appunti di Filosofia - Compito 5 - Ockham Ockham invece distingue quando quando usiamo la parola in base al segno, chiamandola suppositio: [«Un Un termine singolo, in quanto segno di una cosa, ha significatio, la quale si distingue dalla suppositio» 5] ne distingue di tre tipi: Suppositio Personalis "quest'uomo (che è reale) scrive al computer". "uomo è una parola di 4 Questa affermazione può lettere". Si assume non essere o vera o falsa, è un per quello che significa riferimento personale ed ma per il suo significante. individiale: un termine si riferisce ad un oggetto individuale Materialis Simplex è il concetto di "uomo"" come genere. Il termine non ha consistenza reale ma solo mentale [«Ockham Ockham distingue vari tipi di suppositio : 1) materialis,, quando il termine sta al posto non di un concetto o termine mentale, ma di un termine scritto o orale, come nella proposizione "uomo é un nome di 4 lettere" , dove "uomo" sta al posto del termine scritto "uomo". 2) personalis, quando il termine sta soltanto per il suo significato proprio , ossia significa solamente una realtà individuale , come nella proposizione "l' uomo corre" , dove "l'uomo" può significare solo individui reali (Socrate, Platone, ecc), gli unici in grado di correre ; 3) simplex, simpl quando il termine sta al posto di un concetto che non é il segno naturale di quel termine, come nella proposizione "l'uomo é una specie" , dove "uomo" non sta per individui singoli (ossia per il suo significato vero e proprio), ma per un concetto mentale menta (quello di specie)» 6] GUGLIELMO DA OCKHAM: Ockham inoltre sostiene che l’ambito ambito della fede è prioritario (la Bibbia viene assunta come verità di fede) mentre l’ambito ambito della ragione è indipendente dalla fede; infatti bisogna, per dimostrare un problema, ma, fare come se Dio non esista – non volendo però dire che Dio non esista –, analizzando i fenomeni della natura.. Tiene comunque distinta ambiguamente Fede e Ragione per paura dell’Inquisizione, ma comunque è un concetto che verrà approfondito da Galileo. [Sarpi infatti dirà, dopo il Concilio, che “in in quest’epoca bisogna portare la maschera”, maschera”, adottando una sorta di “Bispensiero” di Orwell]. Lo stesso Averroè (vedi la filosofia araba)) sentenzia che il Corano ha una mansione di guidare i popoli ma la ragione comprende le cose diversamente: in alcuni campi si segue il Corano, in altri la ragione. [Per [Per questo venne messo agli arresti domiciliari, non potendo più godere di quella libertà di espressione poiché a quel tempo, dopo la venuta dei sovrani marocchini, si ebbe un periodo di un integralismo religioso più forte. forte. Mentre in occidente si ha una progressiva apertura del pensiero, nel mondo mussulmano si ha una progressiva regressione verso l’integralismo] 5 6 Dal sito http://www.filosofico.net/ockham.htm Dal sito http://www.filosofico.net/ockham.htm 42 Appunti di Filosofia - Compito 5 Ockham critica il concetto aristotelico di sostanza: sentenzia sentenzia infatti che concepiamo relativamente solo ciò che è empirico. Distingue infatti tra gli: - Oggetti di pura ragione, ragione come la matematica Oggetti empirici,, come quelli osservabili con la vita di tutti i giorni. Ciò che non vediamo quotidianamente non si può discutere perché non è indagabile, per questo la fede è necessaria per credere e non serve la ragione. Decreta inoltre che conosciamo solo gli accidenti, ma non la sostanza (intesa come sostanza aristotelica, non chimica). Il rasoio di Ockham indica il limite delle cose che sono studiabili (o indagabili): il termine rasoio può derivare sia dal rasoio che si utilizzava per radersi, appunto, la barba, sia dallo strumento che si utilizzava per cancellare lo scritto scritto dalla pergamena, levigando il foglio. Il rasoio quindi vuole indicare quindi l’azione di togliere quegli oggetti inutili alla discussione, poiché si deve ricorrere, per indagarli, a metodi non scientifici. [Basti pensare che i professori medioevali svolgevano svol intere lezioni per la discussione sul sesso degli angeli]. Il pensiero dei filosofi che, pian piano, si diffonde giungendo fino alla popolazione, diventa modo di pensare comune. Per quanto concerne la questione degli universali, si può dividere la questione anche come: Estremo G. di Champeaux Moderato T. d'Aquino Moderato Abelardo Estremo Roscellino e Ockham Realismo Nominalismo 43 Appunti di Filosofia - Compito 5 FILOSOFIA ARABA ED EBRAICA: • La filosofia araba Nell’Alto Medioevo la filosofia era solo araba (poiché in occidente si poteva parlare solo di teologia). Nel IX Secolo il Califfo Al-Mansur, dopo aver visto in sogno Aristotele fa iniziare le opere di traduzione di Aristotele dal greco all’arabo. Queste opere dettero un formidabile impulso allo sviluppo del pensiero arabo sulla base della cultura ellenica. (la letteratura araba precedentemente nasceva solo come commento alle sure del Corano – il primo fenomeno di letteratura fu il corano stesso). [La parola algoritmo deriva dal nome dello studioso arabo Al Kuwaritmi] Nel 532 l’imperatore Giustiniano chiude la scuola di Atene; i filosofi si rifugiarono quindi sotto il re Cosrù II di Persia coltivando centri di studio di filosofia greca e creando dei centro ad Edessa e a Nishapur. Il primo filosofo arabo fu Al Farabi ma anche il meno complesso. Più famosi furono Ibn Sina (ovvero il cinese; italianizzato come Avicenna) del XI secolo; è un Orientale. Risente di influssi neoplatonici. Infatti parla dell’interazione a livello delle intelligenze angeliche che, influenzate da dio, si riflettono sulla Terra. In verità il concetto di intelligenze angeliche o dei demoni non era nuovo: queste figure sono già citate da Zoroastro e dal Mazdeismo persiano. Influenza il pensiero occidentale per i suoi elementi platonici. Harun Ibn Rashd (italianizzato come Averroè) del XII secolo; è un Occidentale. (Spagna) Lo stesso filosofo ammette di apprezzare Aristotele, che ritenga che abbia rivelato la verità per i colti, mentre il Corano ha rivelato la verità per il volgo. Questa concezione aristotelica era inoltre in contrasto con la religione da lui professata perché, per il filosofo greco e quindi anche secondo Avicenna, l’anima muore con il corpo; venne per questo messo agli arresti domiciliari (poiché gli Almarevidi (?) marocchini sostituiscono gli Ommaydi) [“la confutazione della confutazione” è una critica nei confronti de “la confutazione” che contro filosofia??] La filosofia araba fu il promo mezzo per veicolare le dottrine greche ai latini, traducendo quindi l’Aristotele in arabo, dalla cui ulteriore traduzione in latino si ispirò Tommaso d’Aquino per la sua “Summa Theologiae” [si conosceva infatti l’ebraico e non il greco] • La filosofia ebraica Avicebron [...] Maimonide scrive “la guida dei perplessi”: contesta gli errori della sua epoca e cerca di vedere nella filosofia la risoluzione delle questioni dibattute. Queste dottrine rimisero in moto intellettualmente l’Europa; altra elemento significativo fu l’introduzione della matematica araba, già rielaborazione di quella indiana e greca. [il termine zero deriva dall’arabo zephir, ovvero soffio] 46 Appunti di Filosofia – Compito 6 L’UTOPIA: Il termine venne coniato da Thomas More per il nome del suo libro (Utopia, appunto. 1509) e significa “il non luogo”. ”. Nel suo romanzo Raffaele Itlodeo racconta la vita su di un gruppo di isole: si tratta di un esperimento politico (si rifà al regno dei filosofi di Platone nel suo libro Repubblica, questa opera costituisce quindi la parte dell’utopia dell’ antica). [Luciano dii Somosata scrive “la storia vera”, una storia comica ed inventata che sbeffeggiava il viaggio verso terre lontane. Ad aprire il mondo greco a queste terre lontane il primo fu Alessandro Magno, arrivando con il suo esercito fino ad oriente] L’utopia medioevale (presente tra l’altro anche nei viaggi di Marco Polo, raccontando di genti che non esistevano e non esistono tutt’ora; altro personaggio è il prete Zane)) era caratterizzata da una parte dai viaggi, dall’altra dalla religione. Cosma Indicopleuste idealizza idealizza un mondo fatto a tabernacolo. [dal sito http://www.valsesiascuole.it/crosior/terrasanta/cosma.htm: http://www.valsesiascuole.it/crosior/terrasanta/cosma.htm Cosma soprannominato l'Indicopleuste, mercante di Alessandria d'Egitto, intorno al 520 d.C. intraprese per ragioni di commercio lunghi viaggi specialmente in Arabia ed in Africa Orientale. Tornato in patria si diede a vita eremitica ed alla compilazione di opere letterarie, delle quali solo una è giunta fino a noi: la Topografia cristiana. L'opera consta di dodici libri, l'ultimo dei quali frammentario: è un lavoro di grande importanza storicostorico culturale, perché ci pone in grado di raffigurarci, attraverso di esso, le concezioni geografiche del V secolo dopo Cristo. Egli immagina ina la Terra come un grande rettangolo, circondato da ogni lato da mura, che riunendosi sopra di esso, costituiscono il firmamento o volta del cielo. Fin dal suo tempo l'opera suscitò particolare interesse per i racconti di viaggi inseriti nella narrazione, narrazione la descrizione della grande isola posta nel mare indiano, dagli Indi detta Sielediva, dai Greci Tabrobane ( Ceylon ). Nel planisfero di Cosma Indicopleuste la massa delle terre è un rettangolo. Esso è circondato da un Oceano parimenti rettangolare, contornato contornato a sua volta da un bordo di terra « dove vivevano gli uomini prima del Diluvio». Nel lato est di questa « terra-marginale terra marginale » v'è un vasto lago rettangolare e da questa il Nilo o il Gihon, com'è chiamato nella Bibbia, scorre attraverso il bordo sud della terra marginale. Di qui, attraverso o sotto l’Oceano, si perviene al mondo abitato e al Mediterraneo. Cosma rappresenta l'Asia Minore, il Mar Nero e l'Adriatico, ma della parte occidentale del Mediterraneo sembra sapesse soltanto che si restringeva in uno stretto verso l'Oceano. L'Eufrate e l'Indo sono disegnati con esattezza, relativamente alle loro posizioni, ma l'Indo, come un canale, taglia un angolo del rettangolo più interno, e il Caspio è divenuto, ancora una volta, una baia dell'Oceano. Le figure che soffiano nei corni sono i quattro venti. Per i più eminenti esponenti della Chiesa la rappresentazione del mondo che i filosofi, gli astronomi ed i geografi pagani dell’età classica erano venuti gradualmente delineando, era qualcosa di assolutamente inadeguato. Benché i loro principali interessi riguardassero un regno che trascende questo mondo, i cristiani avevano bisogno di una concezione del mondo reale, in cui vive l'uomo. E la trassero dalla Bibbia. 47 Appunti di Filosofia – Compito 6 Dio sul monte Sinai aveva spiegato spiega esattamente a Mosé come costruire il tabernacolo e quando si scoprì negli scritti di S. Paolo un passo, secondo il quale il tabernacolo poteva essere inteso come una rappresentazione del mondo, fu del tutto naturale considerare questo come una vasta tenda ten a base rettangolare, di lunghezza doppia della larghezza, con un tetto a volta, sostenuto da quattro colonne. Successivamente ci si convinse che il mondo era diviso in tre piani: il primo comprendeva la terra, il mare, gli abitanti del mondo e gli angeli li che si libravano vicini al tetto, sostenendo il sole, la luna e le stelle. Nel secondo vi erano gli angeli e i santi e, al culmine, sedeva Cristo circondato dai massimi santi. Al nord della terra così concepita, sorgeva l’alto Monte del Mondo, là si trovava, perché il sole avesse un luogo ove che andare la notte. Naturalmente vi fu chi si oppose a questa teoria, e volle difendere la concezione classica della terra sferica, ma fu deriso ed invitato a considerare la verità della Bibbia. Intervenne persino il padre della Chiesa Agostino, che scrisse:« Quanto all'idea degli Antipodi, vale a dire dir di che si trovi sulla parte opposta della terra dove il sole sorge quando da noi tramonta, dove gli uomini camminano con le piante dei piedi rivolte verso di noi, un uomo di buon senso non le attribuirà alcun valore”. La nuova rappresentazione cristiana del mondo ricevette il suo maggior conforto da un uomo di nome Cosma, onorato del titolo di Indicopleuste, cioè il viaggiatore dell'India, dell'India un mercante che in seguito divenne monaco. Come mercante, all'inizio del VI sec. aveva compiuto molti viaggi, ma si è posto in dubbio che sia giunto sino in India. Molti sono convinti che abbia navigato soltanto nelle acque che bagnano l'Arabia. Egli comunque parla sia dell'India sia di Ceylon con molta precisione, tanto da far ritenere reale la sua presenza in queste terre. Poiché sembra che fosse un acuto e intelligente osservatore, sorprende il fatto che la rappresentazione del mondo, da lui in seguito proposta, si basi esclusivamente sull'Idea del tabernacolo. ] L’utopia medioevale è presente anche nei sogni dei uomini comuni,, come il paese di Cuccagna o di Bengodi (es. favoleggiavano sui maiali che giravano per la città con un coltello conficcato nella pancia). L’utopia anche a livello popolare, è il desiderio potente di ciò che non si ha, e più la realtà non è perfetta, erfetta, più l’utopia è efficace. Mentre l’utopie popolari sono solo un sogno, un desiderio, quelle forniscono delle proposte politiche. Rifacendoci sempre al libro “Utopia” di Tommaso Moro, Raffaele Itlodeo descrive l’Inghilterra come un paese dove le pecore ecore uccidono gli uomini: infatti si tolgono posti ai villaggi per costruire allevamenti e quindi i poveri o muoiono o si danno alle rapine, conseguenza per cui le pecore uccidono l’uomo. Nel paese di Utopia invece è presente la tolleranza religiosa, tutti tutt lavorano e per condannare l’ingiusto lo si ricopre d’oro, ritenuto vile (è presente quindi un ribaltamento della società) Tommaso Campanella scrive nel 1600 “La città del sole”, una città perfetta simile a quella di Platone (dove cioè regnano i filosofi). filosofi). È innovativo il fatto che ogni muro è tappezzato di una parte dell’enciclopedia del sapere (dice che questa forma di governo si trovi nello Sri Lanka, appena scoperta). Per lui non tutti hanno il diritto di riprodursi, solo chi ne è degno. 48 Appunti di Filosofia – Compito 6 [dal sito http://www.filosofico.net/campanella.htm: UNA SOMMARIA DESCRIZIONE DELLA CITTA' : Sorge nell'alta campagna un colle, sopra il quale sta la maggior parte della città; ma arrivano i suoi giri molto spazio fuor delle radici del monte, il quale è tanto, che la città fa due miglia di diametro e più, e viene ad essere sette miglia di circolo; ma, per la levatura, più abitazioni ha, che si fosse in piano. La città è distinta in sette gironi grandissimi, nominati dalli sette pianeti, e s'entra dall'uno all'altro per quattro strade e per quattro porte, alli quattro angoli del mondo spettanti; ma sta in modo che, se fosse espugnato il primo girone, bisogna più travaglio al secondo e poi più; talché sette fiate bisogna espugnarla per vincerla. Ma io son di parere, che neanche il primo si può, tanto è grosso e terrapieno, ed ha valguardi, torrioni, artelleria e fossati di fuora. I REGGITORI DELLA CITTA' : Un Principe Sacerdote tra loro, che s'appella Sole, e in lingua nostra si dice Metafisico: questo è capo di tutti in spirituale e temporale, e tutti li negozi in lui si terminano. Ha tre Principi collaterali: Pon, Sin, Mor, che vuol dir: Potestà, Sapienza e Amore. Il Potestà ha cura delle guerre e delle paci e dell'arte militare; è supremo nella guerra, ma non sopra Sole; ha cura dell'offiziali, guerrieri, soldati, munizioni, fortificazioni ed espugnazioni. Il Sapienza ha cura di tutte le scienze e delli dottori e magistrati dell'arti liberali e meccaniche, tiene sotto di sé tanti offiziali quante son le scienze: ci è l'Astrologo, il Cosmografo, il Geometra, il Loico, il Rettorico, il Grammatico, il Medico, il Fisico, il Politico, il Morale; e tiene un libro solo, dove stan tutte le scienze, che fa leggere a tutto il popolo ad usanza di Pitagorici. E questo ha fatto pingere in tutte le muraglie, su li rivellini, dentro e di fuori, tutte le scienze. (...) Il Amore ha cura della generazione, con unir li maschi e le femine in modo che faccin buona razza; e si riden di noi che attendemo alla razza de cani e cavalli, e trascuramo la nostra. Tien cura dell'educazione, delle medicine, spezierie, del seminare e raccogliere li frutti, delle biade, delle mense e d'ogni altra cosa pertinente al vitto e vestito e coito, ed ha molti maestri e maestre dedicate a queste arti. Il Metafisico tratta tutti questi negozi con loro, ché senza lui nulla si fa, ed ogni cosa la communicano essi quattro, e dove il Metafisico inchina, son d'accordo. COMUNISMO DI BENI E DI AFFETTI : Tutte cose son communi; ma stan in man di offiziali le dispense, onde non solo il vitto, ma le scienze e onori e spassi son communi, ma in maniera che non si può appropriare cosa alcuna. Dicono essi che tutta la proprietà nasce da far casa appartata, e figli e moglie propria, onde nasce l'amor proprio; ché, per sublimar a ricchezze o a dignità il figlio o lasciarlo erede, ognuno diventa o rapace publico, se non ha timore, sendo potente; o avaro ed insidioso ed ippocrita, si è impotente. Ma quando perdono l'amor proprio, resta il commune solo. L'EDUCAZIONE : E s'allevan tutti in tutte l'arti. Dopo gli tre anni li fanciulli imparano la lingua e l'alfabeto nelle mura, caminando in quattro schiere; e quattro vecchi li guidano e insegnano, e poi li fan giocare e correre, per rinforzarli, e sempre scalzi e scapigli, fin alli sette anni, e li conducono nell'officine dell'arti, cosidori, pittori, orefici, ecc.; e mirano l'inclinazione. Dopo li sette anni vanno alle lezioni delle scienze naturali, tutti; ché son quattro lettori della medesima lezione, e in quattro ore tutte quattro le squadre si spediscono; perché, mentre gli altri si esercitano col corpo, o fan gli pubblici servizi, gli altri stanno alla lezione. Poi tutti si mettono alle matematiche, medicine ed altre scienze, e ci è continua disputa tra di loro e concorrenza; e quelli poi diventano offiziali di quella scienza, dove miglior profitto fanno, o di quell'arte meccanica, perché ognuna ha il suo capo. Ed in campagna, nei lavori e nella pastura delle bestie pur vanno a imparare; e quello è tenuto di più gran nobiltà, che più arti impara, e meglio le fa. Onde si ridono di noi, che gli artefici appellamo ignobili, e diciamo nobili quelli, che null'arte imparano e stanno oziosi e tengon in ozio e lascivia tanti servitori con roina della republica. 49 Appunti di Filosofia – Compito 6 LA GIUSTIZIA : Le leggi son pochissime, tutte scritte in una tavola di rame alla porta del tempio, cioè nelle colonne, nelle quali ci son scritte tutte le quiddità delle cose in breve: che cosa è Dio, che cosa è angelo, che cosa è mondo, stella, uomo, ecc., con gran sale, e d'ogni virtù la diffinizione. E li giudici d'ogni virtù hanno la sedia in quel loco, quando giudicano, e dicono: "Ecco, tu peccasti contra questa diffinizione: leggi"; e così poi lo condanna o d'ingratitudine o di pigrizia o d'ignoranza; e le condanne son certe vere medicine, più che pene, e di soavità grande. LA RELIGIONE : Sommo sacerdote è il Sole; e tutti gli offiziali son sacerdoti, parlando delli capi, ed offizio loro è purgar le conscienze. Talché tutti si confessano a quelli, ed essi imparano che sorti di peccati regnano. E si confessano alli tre maggiori tanto li peccati propri, quanto gli strani in genere, senza nominare gli peccatori, e li tre poi si confessano al Sole. Il quale conosce che sorti di errori corrono e sovviene alli bisogni della città e fa a Dio sacrifizio ed orazioni, a cui esso confessa li peccati suoi e di tutto il popolo publicamente in su l'altare, ogni volta che sia necessario per amendarli, senza nominar alcuno. E così assolve il popolo, ammonendo che si guardi in quelli errori, e confessa i suoi in publico e poi fa sacrifizio a Dio, che voglia assolvere tutta la città ed ammaestrarla e difenderla. UN SACRIFICIO INCRUENTO : Il sacrifizio è questo, che dimanda al popolo chi si vol sacrificare per gli suoi membri, e così un di quelli più buoni si sacrifica. E 'l sacerdote lo pone sopra una tavola, che è tenuta da quattro funi, che stanno a quattro girelle della cupola, e, fatta l'orazione a Dio che riceva quel sacrifizio nobile e voluntario umano (non di bestie involuntarie, come fanno i Gentili), fa tirar le funi; e questo saglie in alto alla cupoletta e qui si mette in orazione; e li si dà da magnare parcamente, sino a tanto che la città è espiata. Ed esso con orazioni e digiuni prega Dio, che riceva il pronto sacrifizio suo; e così, dopo venti o trenta giorni, placata l'ira di Dio, torna a basso per le parti di fuore o si fa sacerdote; e questo è sempre onorato e ben voluto, perché esso si dà per morto, ma Dio non vuol che mora. LA PREGHIERA : L'orazioni si fan alli quattro angoli del mondo orizzontali, e la mattina prima a levante, poi a ponente, poi ad austro, poi a settentrione; la sera al riverso, prima a ponente, poi a levante, poi a settentrione, poi ad austro. IL SOLE : Onorano il sole e le stelle come cose viventi e statue di Dio e tempi celesti; ma non l'adorano, e più onorano il sole. Nulla creatura adorano di latria, altro che Dio, e pero a lui serveno solo sotto l'insegna del sole, ch'è insegna e volto di Dio, da cui viene la luce e 'l calore ed ogni altra cosa. Pero l'altare è come un sole fatto, e li sacerdoti pregano Dio nel sole e nelle stelle, com'in altari, e nel cielo, come tempio; e chiamano gli angeli buoni per intercessori, che stanno nelle stelle, vive case loro, e che le bellezze sue Dio più le mostro in cielo e nel sole, come suo trofeo e statua. L'IMMORTALITA' : Tengono per cosa certa l'immortalità dell'anima, e che s'accompagni, morendo, con spiriti buoni o rei, secondo il merito. Ma li luoghi delle pene e premi non l'han tanto per certi; ma assai ragionevole pare che sia il cielo e i luochi sotterranei. Stanno anche molto curiosi di sapere se queste sono eterne o no. Di più son certi che vi siano angeli buoni e tristi, come avviene tra gli uomini, ma quel che sarà di loro aspettano avviso dal cielo. Stanno in dubbio se ci siano altri mondi fuori di questo, ma stimano pazzia dir che non ci sia niente, perché il niente né dentro né fuori del mondo è, e Dio, infinito ente, non comporta il niente seco. IL PECCATO ORIGINALE : Essi confessano che nel mondo ci sia gran corruttela, e che gli uomini si reggono follemente e non con ragione; e che i buoni pateno e i tristi reggono; (...). Dal che argomentano che ci sia stato gran scompiglio nelle cose umane(...)i; ma confessano che l'età del 50 Appunti di Filosofia – Compito 6 mondo succedono secondo l'ordine di pianeti(...). E questa nostra età par che sia di Mercurio, si bene le congiunzioni magne l'intravariano, e l'anomalie han gran forza fatale. Finalmente dicono ch'è felice il cristiano, che si contenta di credere che sia avvenuto per il peccato d'Adamo tanto scompiglio, e credono che dai padri a' figli corre il male più della pena che della colpa. UN AUSPICIO EUROCENTRICO : Se questi, che seguon solo la legge della natura, sono tanto vicini al cristianesimo, che nulla cosa aggiunge alla legge naturale si non i sacramenti, io cavo argumento di questa relazione che la vera legge è la cristiana, e che, tolti gli abusi, sarà signora del mondo. E che pero gli Spagnuoli trovaro il resto del mondo, benché il primo trovatore fu il Colombo vostro genovese, per unirlo tutto ad una legge; e questi filosofi saran testimoni della verità, eletti da Dio. ] Nel libro di Francis Bacon con “The new atlantis” (1623) all’apice della gerarchia sociale ci sono i scienziati che possono ricoprire questo incarico poiché conoscono la natura. [dal sito www.ing.unitn.it/: L'opera, composta da Bacone tra 1614 e 1617 e rivista nel 1624-26 ma non completata, rappresenta uno stato utopico di una civiltà ideale. Il narratore ed il suo equipaggio, in viaggio per mare dal Perù verso la Cina e il Giappone, sono spinti dai venti verso Nord-Est ed approdano in una terra sconosciuta, ma fin da subito molto civile ed ospitale nei loro confronti: Betsalem. Gli abitanti appaiono colti (conoscono le lingue) ed estremamente onesti (rifiutano più volte ricompense in denaro per l'aiuto che forniscono), cortesi ed umani. Essi narreranno di essere stati miracolosamente convertiti al Cristianesimo. I viaggiatori vengono così a conoscenza della storia dell'isola, colonizzata millenni prima da una spedizione partita dalle Americhe o da Atlantide, e che sotto il saggio re Solamone, considerato legislatore di Betsalem, fece una scelta isolazionistica, per preservare la civiltà locale. Istituzioni fondamentali di Nuova Atlantide sono la famiglia e la scienza e il suo studio mediante i mezzi della casa di Salomone e la conoscenza delle cause e dei segreti movimenti delle cose, il cui fine è l'allargamento del potere umano sulla natura. L’organizzazione del metodo di ricerca,conoscenza e sperimentazione viene dettagliatamente spiegato ai naufraghi da un membro stesso della casa di Salomone.] Tra queste opere filosofiche ci sono opere protestanti e cercano di creare un modello possibile per perfezionare la natura, molti di questi erano anabattisti. Non venivano perseguiti dall’Inquisizione perché tutte queste fantasie erano proiettate verso il futuro, essendo quindi uno scenario possibile ed immaginabile. Nella rivoluzione inglese i Levellers e i Diggers scrissero dei libri con utopie di totale uguaglianza degli uomini; queste utopie terminarono con la morte dei capi Levellers e Diggers. [Un abate idealizzò dei regni autofinanziati dalle lotterie] Le utopie presentano modelli politici ritenuti perfetti differenti fra di loro, ma tutte comunque presentano una società basata su modelli alternativi rispetto a quelli vigenti. Non se ne ipotizza una realizzabilità in tempi brevi né parlano mai di un concetto realizzabile nel presente. [Anche la Città di Dio può ritenersi una utopia, anche se questo modello, trapiantato nella città terrena, genera soprusi, sofferenze e sacrifici dell’uomo in nome di un ideale superiore]. Le utopie aprono comunque degli orizzonti e delle discussioni che altrimenti non si porrebbero. Broch sostiene che queste sono come un faro, ovvero gettano luce lontano (nel futuro) ma non illuminano sotto di esso. 51 Appunti di Filosofia – Compito 6 L’Utopia cerca quindi di migliorare le proprie condizioni, è capace di vedere e di immaginare altre soluzioni per tentare di sfondare il muro dell’inerzia desiderando dei cambiamenti, che saranno forse possibili per le generazioni successive. Nel ‘900 nascono delle storie antiutopistiche dette distopie: esempi sono i libri “Noi” di Zamjatin e “1984” di George Orwell: non descrivono più un futuro roseo come i “Star Trek” dove si ha una visione ancora positiva del futuro (nella Terra c’è pace e gli unici nemici vengono dall’esterno), c’è sempre un elemento inquietante (in “Fahrenheit 451” vi è l’assenza di libri: una stretta cerchia cerca quindi di impararsi un libro a memoria per poterlo tramandare). Crollano infatti tutte le ideologie che potevano trasformare le realtà. Utopia politica More Campanella Bacon +Utopia protestante (Andreae) Realismo politico Machiavelli Gucciardini Botero Jean Bodin SUGGERISCONO SOLUZIONI BEKKE “SOLUZIONI” GIA’ ESISTITE E CONSOLIDATE. ALTERNATIVE COMPLETAMENTE DIVERSE Nel realismo politico si hanno DA QUELLE REALI (sono modi diversi di concepire lo stato infatti ambientati in isole, luoghi ma tutti partono comunque da modelli preesistenti staccati dalla realtà) Giusnaturalismo Giusnaturalisti propiamente detti Althusius Grozio (de Groote) Pufendorf Thomasius . Di posizione giusnaturalista Hobbes (assolutista) Loke Spinoza Rosseau (progressista) Kant SONO UNA SORTA DI VIA DI MEZZO DEI DUE PRECEDENTI: riflettono sulla situazione dell’uomo allo stato di natura per trovare quelle leggi valide in assoluto per l’uomo (donde il liberalismo) 52 Appunti di Filosofia – Compito 6 MACHIAVELLI: Machiavelli con la sua riflessione, ha cambiato il modo di pensare [...] Nel proemio dei Discorsi sopra la prima decade di Tito Livio dice di non leggere la storia per cercare aneddoti come solo puro studio intellettuale o di non concepirla come l’uso passivo di strumenti razionali, ma di guardare a essa come gli astrologi guardano alle stelle, come ammaestramento in base alle vicende passate per valutare quelle future. Il metodo di Machiavelli per l’analisi della storica è un vero metodo scientifico. • • • • Dall’osservazione del passato e del presente nasce il primo postulato di Machiavelli: l’uomo del passato è come l’uomo del presente (è quindi un insegnamento per l’esperienza futura) e come l’uomo del futuro. Questo corrisponde quindi al postulato galileiano dell’uniformità della natura. L’osservazione porta alla formulazione dell’ipotesi L’ipotesi segue delle verifiche, guardando ai casi del passato che confermano o confutano l’ipotesi. Donde il secondo postulato, ovvero della validità della realtà effettuale. Se l’ipotesi passa alla verifica, questa diventa una legge. Queste determinano le condizioni o postulati di uniformità e normativa dell’esperienza storica. La posizione delle “leggi storiche” viene attaccata dall’obiezione di Guicciardini il quale, nei ricorsi, racconta il sunto della sua riflessione: non crede che si possa controllare la fortuna e rifiuta anche l’uniformità storica; [questa posizione verrà ripresa anche da Le Fevre che affermerà “la storia insegna una cosa: non ci sono lezioni di storia; segue quella di Machiavelli lo statista Churchill, che sostiene di non commettere gli stessi errori del passato guardando ad esso] Non potendo esperimentare nel presente, poiché il presente ed il futuro sono troppo delicati per poterli modificare, allora si compiono delle verifiche facendo riferimento a eventi passati. Per Machiavelli l’Antica Roma era il modello ideale di stato poiché fu quello che durò di più: trovò il suo successo nella aperta espressione di dissenso, potendo così far maturare lo stato in base al dialogo politico; la visione dello stato ideale di allora era ben diversa: infatti si preferiva la mancanza di opposizione ed il consenso universale, che invece poteva scoppiare in una ribellione. Essendo la politica una scienza, bisogna identificarne un campo di indagine, e quindi va distinta da ciò che non è politica, evidentemente per quanto riguarda i campi lievemente simili od affini: non è quindi politica l’etica, la religione e la filosofia, che permettono una visione complessiva della realtà. Il modo con il quale si può distinguere queste tre “sfaccettature”, è il confrontare come esse guardano alla virtù. La virtù politica è diversa dalla etico-filosifica e da quella religiosa perché la prima si incentra nella buona amministrazione e governo dello stato, mentre le altre implicano il rispetto dell’uomo. L’azione politica è determinata come virtuosa quando è riuscita a realizzare l’obiettivo posto e l’azione è efficace: si tratta della verità effettuale. Mentre rispettare i patti è lecito nel consorzio civile, dal punto di vista politico in certi casi può essere controproducente. Nella politica è presente comunque un’idea etica di fondo obbligatoria negli stati democratici. La frase “il fine giustifica i mezzi” non si trova in alcuna parte degli scritti di Machiavelli e viene solo utilizzata per sintetizzare il suo pensiero. L’azione non è affatto giustificata, perché è una affermazione che implica la morale (io – ma l’etica è esclusa dalla politica). Esorta quindi il governante a seguire le categorie proprie della politica, assicurando ordine, stabilità e benessere allo stato. 53 Appunti di Filosofia – Compito 6 [dal sito www.filosofico.net: IL PENSIERO POLITICO E FILOSOFICO Machiavelli non è un puro teorico, inteso a costruire freddamente una teoria politica per così dire “ in laboratorio “: le sue concezioni scaturiscono dal rapporto diretto con la realtà storica, in cui egli perché impegnato in prima persona grazie agli incarichi che ricopre nella Repubblica fiorentina, e mirano a loro volta ad incidere in quella realtà, modificandola secondo determinate prospettive. Il suo pensiero si presenta così come una stretta fusione di teoria e prassi: la teoria nasce dalla prassi e tende a risolversi in essa. Alla base di tutta la riflessione di Machiavelli vi perché la coscienza lucida e sofferta della crisi che l’ Italia contemporanea sta attraversando: una crisi politica, in quanto l’ Italia non presenta quei solidi organismi statali unitari che caratterizzano le maggiori potenze europee e appare frammentata in una serie di Stati regionali e cittadini deboli e instabili; crisi militare, in quanto si fonda ancora su milizie mercenarie e compagnie di ventura, perché su eserciti “cittadini”, che soli possono garantire la fedeltà, l’ ubbidienza, la serietà di impegno; ma anche crisi morale, perché sono scomparsi, o comunque si sono molto affievoliti, tutti quei valori che danno fondamento saldo ad un vivere civile, e che per Machiavelli sono rappresentati esemplarmente dall’ antica Roma, l’ amore per la patria, il senso civico, lo spirito di sacrificio e lo slancio eroico, l’ orgoglio e il senso dell’ onore, e sono stati sostituiti da un atteggiamento scettico e rinunciatario, che induce ad abbandonarsi fatalisticamente al capriccio mutevole della fortuna, senza reagire e senza lottare. Perciò, come hanno dimostrato le guerre che si sono succedute dopo la calata dei Francesi nel 1494, gli Stati italiani sono prossimi a perdere la loro indipendenza politica e a divenire satelliti delle potenze europee che si stanno disputando il territorio della penisola. Per Machiavelli l’ unica via d’ uscita da una così straordinaria “ gravità de’ tempi “ perché un principe dalla straordinaria “ virtù “, capace di organizzare le energie che potenzialmente ancora sussistono nelle genti italiane e di costruire una compagine statale abbastanza forte da contrastare le mire espansionistiche degli Stati vicini. A questo obiettivo storicamente concreto perché indirizzata tutta le teorizzazione politica di Machiavelli, la quale perciò si riempie del calore passionale e dello slancio di chi partecipa con fervore ad un momento decisivo della storia del proprio paese. Ignorare queste radici pratiche immediate del pensiero machiavelliano porterebbe a travisarne completamente il senso. Tuttavia quel pensiero non resta limitato a quel campo così contingente, perché altrimenti non avrebbe la forza di sollecitare ancora tanto interesse: partendo da quella situazione particolare, cercando di dare una risposta immediata ed efficace a quei problemi di traumatica urgenza, Machiavelli elabora una teoria che aspira ad avere una portata universale, a fondarsi su leggi valide in tutti i tempi e tutti i luoghi. Le radici pratiche immediate danno al suo pensiero quel calore, quella passione che lo rendono affascinante e che conferiscono alle sue opere uno straordinario valore letterario, ma poi la sua speculazione assume anche la fisionomia di una vera teoria scientifica. Concordemente Machiavelli perché stato definito come il fondatore della moderna scienza politica: innanzitutto egli determina nettamente il campo di questa scienza, distinguendolo da quello di altre discipline che si occupano ugualmente dell’ agire dell’ uomo, come l’ etica. Machiavelli, poi, rivendica vigorosamente l’ autonomia del campo dell’ azione politica: essa possiede delle proprie leggi specifiche, e l’ agire degli uomini di Stato va studiato e valutato in base a tali leggi: occorre cioè, nell’ analisi dell’ operato di un principe, valutare esclusivamente se esso ha saputo raggiungere i fini che devono essere propri della politica, rafforzare e mantenere lo Stato, garantire il bene dei cittadini. Ogni altro criterio, se il sovrano sia stato giusto e mite o violento e crudele, se sia stato fedele o abbia mancato alla parola data, non 54 Appunti di Filosofia – Compito 6 perché pertinente alla valutazione politica del suo operato. E’ una teoria di sconvolgente novità, veramente rivoluzionaria nel contesto della cultura occidentale. Machiavelli ha il coraggio di mettere in luce ciò che avviene realmente nella politica, non di delineare degli Stati ideali “ che non si sono mai visti essere in vero “. Proclama infatti di voler andar dietro alla “ verità effettuale della cosa “ perché all’ “ immaginazione di essa “, proprio perché non gli interessa mettere insieme una bella costruzione teorica, ma scrivere un’ opera “ utile a chi la intenda “, fornire uno strumento concettuale di immediata applicabilità alla politica reale e di sicura efficacia. Oltre al campo autonomo su cui applica la nuova scienza, Machiavelli ne delinea chiaramente il metodo. Esso ha il suo principio fondamentale nell’ aderenza alla “ verità effettuale “: proprio perché vuole agire sulla realtà ne deve tener conto e quindi per ogni sua costruzione teorica parte sempre dall’ indagine sulla realtà concreta, empiricamente verificabile, mai da assiomi universali e astratti. Solo mettendo insieme tutte le varie esperienze si può poi giungere a costruire principi generali. L’ esperienza per Machiavelli può essere di due tipi: quella diretta, ricavata dalla partecipazione personale alle vicende presenti, e quella ricavata dalla lettura degli autori antichi. Machiavelli le definisce ( nella dedica del Principe ) rispettivamente “ esperienza delle cose moderne “ e “ lezione delle antique “. In realtà si tratta solo apparentemente di due forme diverse perché studiare il comportamento di un politico contemporaneo o di uno vissuto cento anni fa perché la stessa cosa, cambia solo il veicolo della trasmissione dei dati, dell’ informazione su cui lavorare, ma il contenuto perché lo stesso. Alla base di questo modo di accostarsi alla storia vi perché una concezione tipicamente naturalistica: Machiavelli perché convinto che l’ uomo sia un fenomeno naturale al pari di altri e che quindi i suoi comportamenti non variino nel tempo, come non variano il corso del sole e delle stelle. Per questo ha fiducia nel fatto che, studiando il comportamento umano attraverso le fonti storiche o l’ esperienza diretta, si possa arrivare a formulare delle vere e proprie leggi di validità universale. Proprio per questo la sua storia perché costellata di esempi tratti dalla storia antica: essi sono la prova che il comportamento umano non varia e che quindi l’ agire degli antichi può essere di modello. Per lui gli uomini “ camminano sempre per vie battute da altri “, perciò propone il principio tipicamente rinascimentale dell’ imitazione: Machiavelli nota che ai suoi tempi l’ imitazione degli antichi perché pratica costante nelle arti figurative, nella medicina, nel diritto e depreca quindi che lo stesso non avvenga nella politica. Da questa visione naturalistica scaturisce la fiducia di Machiavelli in una teoria razionale dell’ agire politico, che sappia individuare le leggi a cui i fatti politici rispondono necessariamente e quindi sappia suggerire le sicure linee di condotta statistica. Il punto di partenza per la formulazione di tali leggi perché una visione crudamente pessimistica dell’ uomo come essere morale: l’ uomo agli occhi di Machiavelli perché malvagio: non ne teorizza filosoficamente le cause, non indaga se lo sia per natura o in conseguenza ad una colpa originariamente commessa, ma si limita a constatare empiricamente gli effetti della sua malvagità sulla realtà. Gli uomini sono “ ingrati, volubili, simulatori e dissimulatori, fuggitori de’ pericoli, cupidi di guadagno “ e dimenticano più facilmente l’ uccisione del padre che la perdita del patrimonio: la molla che li spinge perché l’ interesse materiale e non sono i valori sentimentali disinteressati e nobili. Tra tanti uomini malvagi il principe non deve perché può “ fare in tutte le parti la professione di buono “ perché andrebbe incontro alla rovina: deve anche sapere essere “ non buono “ laddove lo richiedano le necessità dello Stato. Il vero politico agli occhi di Machiavelli deve essere un centauro, ossia un essere metà uomo e metà animale, deve cioè essere umano o feroce come una bestia a seconda delle situazioni. Tuttavia Machiavelli sa bene come il venir meno alla parola data o l’ uccidere spietatamente i nemici per un principe siano cose ripugnanti moralmente: tuttavia se il principe eticamente perché malvagio in politica diventa buono, perché uccide per difendere lo Stato e le sue istituzioni; allo stesso modo i “ buoni “ moralmente sarebbero “ cattivi “ politicamente perché non uccidendo e non compiendo azioni malvagie lascerebbe perire lo Stato. Machiavelli quindi non perché il fondatore di una nuova morale, anzi, moralmente parlando perché 55 Appunti di Filosofia – Compito 6 un tradizionalista e considera “ cattivo “ chi uccide o non mantiene la parola data; egli semplicemente individua un ordine di giudizi autonomi che si regolano su altri criteri, non il bene o il male, ma l’ utile o il danno politico. E’ interessante notare che Machiavelli distingue tra principi e tiranni: principe perché chi usa metodi riprovevoli a fin di bene, in favore dello Stato; tiranno, invece, perché chi li usa senza che ci sia necessità. E’ solo lo Stato che può costituire un rimedio alla malvagità dell’ uomo, al suo egoismo che disgregherebbe ogni comunità in un caos di spinte individualiste contrapposte le une alle altre. Per quel che riguarda il rapporto con la religione, a Machiavelli non interessa nella sua prospettiva concettuale, come contenuto di verità, perché tanto meno nella sua dimensione spirituale, come garanzia di salvezza, ma solo ed esclusivamente come “ instrumentum regni “, ossia come strumento di governo. La religione, in quanto fede in certi principi comuni, obbliga i cittadini a rispettarsi reciprocamente e a mantenere la parola data: questa era la funzione che la religione rivestiva già ai tempi degli antichi Romani, secondo Machiavelli. Tuttavia nei Discorsi Machiavelli muove anche un biasimo alla religione, accusandola di essere spesso stata colpevole di rendere gli uomini miti e rassegnati, di far sì che essi svalutassero le cose terrene per guardare solo al cielo. La forma di governo che meglio compendia in perché l’ idea di Stato per Machiavelli perché quella repubblicana, che argina e disciplina le forze anarchice dell’ uomo. Il principato perché per Machiavelli una forma d’ eccezione e transitoria, indispensabile solo in certi momenti, come quello che l’ Italia sta vivendo ai suoi tempi, per costruire uno Stato sufficientemente saldo. La forma repubblicana perché la migliore perché non si fonda su un solo uomo, ma ha istituzioni stabili e durature. IL RAPPORTO VIRTU’ – FORTUNA In Machiavelli si delineano due concezioni della virtù: la virtù eccezionale del singolo, del politicoeroe, che brilla nei momenti di eccezionale gravità, e la virtù del buon cittadino, che opera entro stabili istituzioni dello Stato, e che non è meno eroica della prima, come dimostrano tanti esempi della storia di Roma, dove rifulse la virtù di semplici cittadini. Machiavelli ha comunque una visione eroica dell’agire umano. In lui viene a confluire quella fiducia nella forza dell’uomo, che era stata patrimonio della civiltà comunale (si pensi a Boccaccio), ed era stata poi ereditata e consapevolmente teorizzata dalla civiltà umanistica. Ma, proprio sulla scorta di questa tradizione di pensiero, Machiavelli sa bene che l’uomo nel suo agire ha precisi limiti, e deve fare i conti con una serie di fattori a lui esterni, e che non dipendono dalla sua volontà. Questi limiti assumono il volto capriccioso e incostante della fortuna. E’ questo un altro grande tema della civiltà umanistico-rinascimentale, che fa anch’esso la sua comparsa sin da Boccaccio. E’ il frutto di una concezione laica e immanentistica, che mette tra parentesi la presenza nel mondo della provvidenza, intesa come disegno divino indirizzato consapevolmente a un fine, e porta in primo piano il combinarsi di forze puramente casuali, accidentali, svincolate da ogni finalità trascendente. Dalla tradizione umanistica Machiavelli eredita la convinzione che l’uomo può fronteggiare vittoriosamente la fortuna. Egli ritiene che essa sia arbitra solo della metà delle cose umane, e lasci regolare l’altra metà agli uomini. Vi sono per Machiavelli vari modi in cui l’uomo può contrapporsi alla fortuna. In primo luogo essa può costituire “l’occasione” del suo agire, la “materia” su cui egli può imprimere la “forma” da lui voluta. La “virtù” del singolo e l’ “occasione” si implicano a vicenda: le doti del politico restano puramente potenziali se egli non trova l’occasione adatta per affermarle, e viceversa l’occasione resta pura potenzialità se un politico “virtuoso” non sa approfittarne. L’occasione può anche essere una condizione negativa, che serve di stimolo ad una virtù eccezionale. Scrive Machiavelli nei capitoli VI e XXVI del Principe che occorreva che gli Ebrei fossero schiavi in Egitto, gli Ateniesi dispersi nell’Attica, i Persiani sottomessi ai Medi perché potesse rifulgere la “virtù” di grandi condottieri di popoli come Mosè, Teseo e Ciro. In secondo luogo la “virtù” umana si impone alla fortuna attraverso la capacità di previsione, il calcolo accorto. Nei momenti quieti l’abile politico deve prevedere i futuri rovesci, e predisporre i necessari ripari, come si 56 Appunti di Filosofia – Compito 6 costruiscono gli argini per contenere i fiumi in piena. Si fronteggiano così, nel pensiero di Machiavelli, due forze gigantesche, la fortuna incostante, volubile, e la virtù umana, che è in grado di contrastarla, imbrigliarla, impedirle di far danno, piegarla ai propri fini. La “virtù” di cui parla Machiavelli è quindi un complesso di varie qualità: in primo luogo la perfetta conoscenza delle leggi generali dell’agire politico, ricavate, come sappiamo, sia dall’esperienza diretta sia della “lezione” della storia passata; in secondo luogo dalla capacità di applicare queste leggi ai casi concreti e particolari, prevedendo in base ad esse i comportamenti degli avversari e gli sviluppi delle situazioni, il mutare dei rapporti di forza, l’incidenza degli interessi dei singoli; infine la decisione, l’energia, il coraggio nel mettere in pratica ciò che si è disegnato: la “virtù” del politico è quindi una sintesi di doti intellettuali e pratiche, che conferma che nel pensiero machiavelliano teoria e prassi non vadano mai disgiunte. Ma vi è ancora un terzo mondo teorizzato da Machiavelli per opporsi alla fortuna, e quindi un’altra dote che concorre a determinare la “virtù” umana: il “riscontrarsi” con i tempi, cioè la duttilità nell’adattare il proprio comportamento alle varie esigenze oggettive che via via si presentano, alle varie situazioni, ai vari contesti in cui si è obbligati ad operare. Ad esempio, in certe occasioni occorre agire con cautela e ponderatezza, in altre con impeto e ardimento, in certi casi occorre l’astuzia della volpe, in altri la forza del leone. E qui compare una nota pessimistica: questa duttilità è una dote altamente auspicabile, ma quasi mai si ritrova negli uomini, che non sanno variare il loro comportamento secondo le circostanze, perché, se hanno sempre avuto buon esito nell’ operare in un certo modo, difficilmente sanno adattarsi a ricorrere a moduli diversi; per cui i politici avranno buon esito solo se le circostanze saranno conformi alle loro doti naturali: cioè la statistica, se sarà cauto e prudente, avrà successo solo se si troverà ad agire in circostanze che esigono prudenza, ma se i tempi variassero, ed esigessero decisioni pronte ed audaci, egli non saprebbe certamente adattarsi ed andrebbe in rovina. Come si vede Machiavelli reintroduce così, pessimisticamente, un fattore di casualità che sfugge al controllo dell’ uomo. ] VIRTÙ E FORTUNA Secondo Machiavelli il concetto di virtù si contrappone a quello di fortuna. La virtù è divisa in “golpe” (ovvero volpe) che è l’intelligenza e in “lione” che è la forza. La fortuna è il campo delle occasioni che possono essere sfruttate a proprio vantaggio. La virtù all’infinito tende ad annullare il campo degli eventi incontrollabili, che è la fortuna. Ci si può quindi attrezzare per rafforzarci per poi contrastarla. Sono quindi termini opposti: dove finisce la virtù inizia la fortuna e vice versa. La relazione è interessante poiché anche di fronte alle sfide di oggi giorno si può adottare questa visione. FORZA E CONSENSO Ne “Il principe” distingue i principati in vecchi, quelli che vengono tramandati di successione in successione, e quelli nuovi, quelli ottenuti recentemente dai politici ambiziosi. Per conquistare il principato serve il massimo della forza ma per mantenerlo il massimo del consenso. È quindi una contrapposizione analoga a quella virtù/fortuna, ne segue che per avere il massimo del consenso serve il minimo della forza e viceversa. Sono entrambe utili ma nel principato nuovo serve il massimo della forza che però non deve essere continuato per ottenere il consenso voluto. Deve quindi dosare la forza per non far sfogare tutto nella guerra civile: se non riesce a misurare la forza, il capo dello stato perse ciò per cui ha lottato. In uno stato dove gli uomini vogliono vivere liberi non si possono utilizzate metodi dittatoriali, utilizzando quindi la forza non come mezzo di soppressione, ma invece come mezzo di difesa in casi molto gravi. BOTERO E MACHIAVELLI 57 Appunti di Filosofia – Compito 6 Molto di più vicino al modo di vedere “il fine giustifica i mezzi” fu Botero col suo libro “la Ragion di Stato”. [Il suo libro è il capolavoro dell’ipocrisia. Infatti] mentre nella prima parte condanna il pensiero machiavelliano, nella seconda parte dice invece che se si commettono ingiustizie per il bene dello stato, non solo sono giuste (come pensava Machiavelli) ma inoltre giustificate se fatte per un elevato motivo religioso e per la santa Chesa. Si distingue l’amoralità di Macchiavelli, che non riconosce la morale poiché campo estraneo della politica – ma si va comunque all’inferno se si commettono gravi misfatti, dall’immoralità del Botero, che invece riconosce una morale e poi va contro di essa – si è assolti per i peccati commessi. [ dal sito www.filosofico.net: È difficile dare in poche pagine un riassunto completo della Ragion di Stato, piena com'è di lunghe digressioni su questo o quell’aspetto della politica regia, con frequenti richiami a esempi storici, presentati nel modo più opportuno per confortare la tesi dell'autore. Si occupa dei commerci, delle fortificazioni, dei mezzi adatti ad imbrigliare gli eretici, riguardo ai quali osserva acutamente che "il cambiare religione può esser di qualche utile a un particolare ed è contro il bene pubblico, quindi avviene che una città libera abbraccia più facilmente l'eresia che un principe assoluto": consiglia ai governanti di cercare all'esterno un diversivo per i contrasti interni: "la Spagna è in somma quiete perché si è impiegata in guerre straniere e in imprese remote nelle Indie e nei Paesi Bassi.... La Francia, stando in pace con gli stranieri, se rivolta contro sé stessa e gli animi sono pieni di furore e di rabbia"; raccomanda il possesso di colonie oltremare per dare terre e pane al sopravanzo della popolazione; e, contro l’opinione dominante ai suoi tempi, vuole che le imposte regie colpiscano proporzionatamente tutte le proprietà dei privati non siano personali, ma reali, cioè non su le teste, ma su i beni, altrimenti tutto il carico delle taglie cadrà sopra de’ poveri, come avviene ordinariamente, perché la nobiltà si scarica sopra la plebe e le città grosse sopra i contadini "l'agricoltura dev'essere favorita" e si deve "far conto della gente che s’intende di migliorare e fecondare i terreni e di quelli i cui poderi sono eccellentemente coltivati", perciò da lode ai Duelli di Milano che scavando canali irrigatori "hanno arricchito sopra ogni credenza quel felicissimo contado": è avverso alle milizie mercenarie, che "vendono a guisa di mercatanti e di bottegai di poca fede l’opera loro piena di infinita tara di mille paghe morte o truffate, o di gente a buon mercato e perciò di poco valore e mal condizionata": si dilunga sull'arte militare, sulla scelta delle armi per i cavalieri ed i fanti.... La Ragion di Stato e le Aggiunte che ad essa tennero dietro: Della eccellenza dei grandi capitani; Della neutralità; Della reputazione del Principe; oltre alle Relazioni universali che il Botero, veniva pubblicando sui vari Stati di Europa, quasi ad illustrazione ed a commento delle sue teorie di governo, gli valsero fama e considerazione grandissima, non solo a Roma. nell'ambito della Corte pontificia, ma presso i principali potentati nazionali e stranieri; tanto che il Duca Carlo Emanuele volle chiamarlo a Torino, per affidargli l'educazione dei suoi tre figli, ancora giovinetti. Giovanni Botero, da buon suddito, non esitò ad obbedire e benché forse gli pesasse un poco di perdere la sua cara indipendenza e di interrompere i suoi studi prediletti, tornò in Piemonte dopo quindici anni di assenza, e si accinse con zelo coscienzioso ad assolvere il compito che gli avevano assegnato. Egli del resto aveva sempre professato che "un privato non può l’opera e il saper suo meglio impiegare che in servire o di consiglio o di aiuto a quegli a cui Dio ha la cura dei popoli e l’amministrazione delle città confidato". Ora la sorte gli offriva l'occasione di porre in atto questo suo principio preparando e plasmando per le responsabilità del comando la mente ed il carattere di futuri sovrani. Alla corte di Carlo Emanuele, il nuovo precettore visse circa quattro anni e seppe così bene accattivarsi l'affezione dei principi e la fiducia del Duca, che quando nel 1603 i suoi allievi dovettero partire per la Spagna, invitati a passare qualche tempo alla corte del Re Filippo III. egli fu scelto per accompagnarli. Il soggiorno durò quasi tre anni e si sarebbe forse prolungato, se la tragica sorte del principe Filippo, rimasto vittima di una epidemia di vaiolo, non avesse indotto il Duca padre a richiamare presso di sé i due superstiti. Vittorio Amedeo e Filiberto. Dopo 58 Appunti di Filosofia – Compito 6 il ritorno in Piemonte l'illustre precettore che fra le cure pedagogiche e di corte non perdeva di vista la politica e dalla Spagna aveva mandato a Torino molte informazioni preziose, fu promosso alle cariche onorevoli e ambite di Consigliere e Primo Segretario dei Duchi di Savoia. E non furono vane sinecure: ché il Sovrano teneva in alta stima il senno e l'esperienza dell'Abate Botero, e lo consultava spessissimo sugli affari di Stato. Aveva allora molta carne al fuoco, l'ambizioso Signore montanaro che vedeva lontano, grande ed alto, e pensava all'Impero, ed ai Regni di Macedonia e di Cipro, alla Provenza ed alla Lombardia come alle splendide possibili poste di una grande partita! Di tutto ciò trattava col Primo Segretario negli intimi colloqui a palazzo, o per lettere; e discuteva se colui familiarmente anche di storia e di letteratura, sottoponendo al suo esame e al suo giudizio gli scritti in versi e in prosa di cui si dilettava nei momenti di svago. Anche il Botero aveva ripreso a scrivere e diede fuori in quegli anni alcune aggiunte alle sue Relazioni; e un'opera sui Principi Cristiani, "ove nelle azioni di ottimi e valorosissimi Re la pratica e l’uso di essa ragione di Stato quasi pittura al suo lume si scorge"; a cui segue una storia della Casa Sabauda dai tempi di Beroldo fìno al Duca regnante. Dello stesso periodo sono un trattato didattico sui Grandi Capitani: un Discorso sull’Eccellenza della Monarchia in cui riprende e illustra le idee che già sappiamo, ed un Discorso della Nobiltà, in cui mostra di anteporre l'aristocrazia militare a quella civile o togata "perché la toga non è così efficace e pronta all’operare come la spada in tagliare i nodi gordiani e le difficoltà che si sogliono nelle alte imprese attraversare" ; ed ancora poemetti e dissertazioni diverse, sempre in lode del Duca e del Piemonte, produzioni di gusto secentesco per la ricerca preziosa dei concetti, ma tuttavia eleganti ed aggraziate. Il suo ultimo scritto politico è del 1611: il Discorso sopra la lega contro il Turco, alla cui testa sognava il suo Signore, breve lavoro che tradisce in qualche punto la grave età dell'autore, già più che settantenne.] GIUSNATURALISMO: prende il nome dalla riflessione sul ius naturale. Anche gli antichi distinsero le leggi della città e le leggi valide per tutti gli uomini (vedi Antifonte da Ippia): per i greci il dibattito si svolgeva tra physis (la natura) e nomos (diritto) mentre per i romani era contrapposizione tra ius romanus e ius civile, con la consapevolezza che quando si vogliono dirimere questioni tra cittadini di diverse regioni si devono applicare regole valide per tutti, cercando regole di compenso tra i due diversi diritti giuridici, andando oltre alle barriere del diritto statale interno. Nasce quindi un dibattito in tale proposito nell’età post-medioevo. Le leggi della natura precedentemente erano giuste perché quelle di Dio [: per questo motivo Spagna e Portogallo si rivolgono al Papa per il trattato di Tordesillas]. Nell’età moderna non ci sono neanche stati con “imperum maius et infinitum”: si devono regolare relazioni transnazionali e, negli stessi stati, sono presenti molte realtà religiose e quindi non si può più affidarsi per le leggi ad un'unica autorità religiosa. A Grozio si deve l’impostazione del problema del riconoscere le LEGGI DELLO STATO DI NATURA (dove vigono le leggi naturali) nelle LEGGI DELLO STATO CIVILE (dove vigono leggi positive, ovvero storiche). Lo stato civile è istituito con un patto tra i cittadini che per lui è tripartito: - Pactum societas: identifica il tipo di gruppo (patto di associazione) Pactum ordinationis: identifica il tipo di gerarchia (patto di ordinamento) Pactum subiectionis: identifica le regole comuni e i patti da rispettare (patto di sudditanza) 59 Appunti di Filosofia – Compito 6 Altri vedono altri tipi di patto quali: - - La naturale disposizione sociale dell’uomo (Althusius, con l’appetitus societas per fattori istintivi) Il timore reciproco (Hobbes: homo homini lupus; tratto i realtà dall’Asinaria di Plauto) L’ utilità (John Loke: sostiene infatti che insieme si lavora meglio); inoltre dichiara che non si perdono tutti i diritti naturali ma se ne conserva la maggior parte. [nasce lo stato perché altrimenti in natura manca un magistrato, riconoscendo le proprie ragioni e non quelle dell’altro. È quindi necessario un terzo non coinvolto nella causa al quale si affidano dei poteri, mantenendo pur dei diritti. Sostiene anche la divisione tra Stato e Chiesa] Per estinguere gli appetiti sessuali secono Hume. A seconda della diversa visione dello stato di natura (pessimistica o positiva) si ha una conseguente visione della vita negativa od ottimista. Secondo alcuni lo stato di natura è solo una ipotesi, per alcuni è una considerazione reale storica, pensando l’uomo privato dai condizionamenti storici. Nel ‘500-‘600 si ha l’idealizzazione dell’arcadia. Nell’epoca della Controriforma se si ambienta una ipotesi attualmente si poteva ricorrere all’inquisizione; così invece si godeva di una maggiore libertà. Pufendorf sosteneva che lo stato di natura era uno squallore perché la vita umana non è veramente umana. Nel ‘700 Ferguson analizza l’umanità primitiva, senza però gli studi archeologici. Senza questa finzione letteraria, probabilmente non ci sarebbe nemmeno stato l’esigenza di tali studi. Grozio nel “De iure belli ac pacis”, scritto nel bel mezzo della guerra dei 30 anni, sente il bisogno di scrivere come condurre una guerra in modo non selvaggio disciplinandola. Lo fece anche Tommaso d’Aquino però inserì concetti teologici cattolici che per altre professioni non sono più accettabili. Questi due filosofi sostengono: - L’unica guerra giusta è quella difensiva (così non ci sarebbero nemmeno guerre) La guerra è pulita se effettuata contro gli eserciti e non contro i civili Una guerra deve essere commisurata all’offesa ricevuta È giusta solo se è presente qualche possibilità di vincere altrimenti è solo un sacrificio inutile. Grozio in più introduce regole formali: - Lo stato di guerra deve essere dichiarato formalmente con una dichiarazione di guerra Prima di iniziare la guerra bisogna dare modo ai cittadini stranieri residenti di ritornare al loro luogo d’origine per evitare successive repressioni. Ammettere lo scambio dei prigionieri a patto che non possano essere riutilizzati nel conflitto. Chi viola le regole deve essere isolato dagli stati civili. [Ne segue che le guerre dell’Ottocento sono tutte dichiarate e che nel ‘700 saranno meno cruente. La prima guerra mondiale segue queste convenzioni e viene istituita anche la Convenzione di Ginevra. [Inoltre si verificò l’inutilità delle armi chimiche poiché, al variare del vento, potevano dirigersi contro gli stessi che ne avevano fatto uso.] La seconda invece non seguirà queste regole (il Giappone non dichiara guerra, si bombardano anche i civili e si instaurano campi di concentramento), solo con il Processo di Norimberga e un altro in Giappone i vincitori vogliono disciplinare questa guerra. Ne seguì che dopo di questa le guerre non furono mai dichiarate poiché così non si poteva essere inquisiti per crimini di guerra. L’unica dichiarata nello scorso secolo fu quella tra Inghilterra e Argentina per le Falkland.] 60 Appunti di Filosofia – Compito 6 GIORDANO BRUNO: Premesse alla magia di Giordano Bruno Neoplatonismo Neopitagorismo Unità del reale Ermetismo Da questa unità del reale derivata dalle tre dottrine (Nel Neopitagorismo Proclo parla degli dei evocati tramite trasformazioni, nella quale si trova la TEURGIA PLATONICA, che si riscontra anche nel voler migliorare l’uomo interagendo su forze benigne.), assieme alla Cabala Ebraica, deriva la magia rinascimentale. Da questa unità del reale ne segue che l’unità divina è nelle singole, richiamato dal deus sive natura che sarà di Spinoza richiamante l’assenza di iato tra le due entità, cose che quindi si manifesta nella realtà che non è da maltrattare. Da questo panteismo segue una analogia magico-simbolica. Questo stesso pensiero è contenuto nel pensiero di Nicola Cusano detto anche Nikolaus Krebs: [dal sito wikipedia: Nella metafisica di Nicola Cusano appare una visione del mondo in rapporto a Dio e di Dio in rapporto al mondo che è simile a quella di Giordano Bruno ("Mens insita omnibus"). Per Cusano, infatti, il mondo (inteso come ordine fisico) è tutto contenuto in Dio, ed è dunque "implicito" in Lui, poiché Egli stesso è la "complicatio" di tutte le cose, ovvero l'implicazione che ogni cosa ha in sé. Ma Egli ne diviene anche l' esplicatio, cioè l'esplicazione, in quanto si dispiega nelle cose stesse, rimanendo comunque al di là di esse; per spiegare questo pensiero, fa l'esempio matematico dell'unità, che genera la molteplicità rimanendo sempre sé stessa. L'universo, dunque, è Dio contratto, dove il termine "contrazione" è acquisito da Duns Scoto, che definiva tale contrazione come il determinarsi di una sostanza comune in una realtà singola. Ma Cusano precisa che, poiché le cose nel mondo sono limitate ed opposte fra loro, in Dio invece sono compresenti: Dio, quindi, è al di là del mondo, ed è assolutamente trascendente. Tale duplice visione sarà poi ripresa da Bruno con la divisione tra "Mens insita omnibus" e "Mens super omnia". Con tale visione, Cusano avversa la concezione aristotelica dell'universo, affermando che la Terra non può essere il centro dell'universo, poiché l'universo è illimitato (in quanto dispiegamento divino), ed è Dio il centro dell'universo, essendone allo stesso tempo anche circoferenza.] La natura è quindi Dio in forma Explicata: “srotolando” la natura si ottiene Dio. I maghi sostengono che modificando un elemento della natura (es. un gesso), si modifica tutta essa e se queste sono fatte in fasi particolari sono più significative. La loro arte si proponeva di trasformare l’uomo, vile materia (il piombo), in divinità, essere illum (oro) tramite formule, simboli, allegorie [, in parte presenti ne “La tempesta” di Shakespeare]. 61 Appunti di Filosofia – Compito 6 La Cabala dall’ebraico Qabbalah era una dottrina mistica ebraica che partiva dal fatto che nella lingua del Talmud i numeri fossero indicati con cifre e che quindi Yahweh fosse la cifra segreta con la quale capire il mondo. Il libro sacro poteva essere così letto in altri simboli con i numeri, diventando di carattere profetico come il libro di Nostradamus. (? I poteri dei numeri e delle forme geometriche vengono anche pressappoco utilizzate nel neopitagorismo per proprietà salvifiche forti?) Pico della Mirandola fu il primo a confutare le pretese dell’Astronomia in campo magico. Avevano memoria prodigiosa grazie alle strategie mnemotecniche adottate poiché la carta era costosa, ricordandosi quindi il concetto o parti di frasi. Parte di queste strategie erano: - Collegare i vari concetti a parti della propria camera Assegnare a varie lettere concetti Memorizzare una lista di nomi ed associare a questi un evento (o viceversa) Uso del Teatro della Memoria di Giulio Camillo: ricordando la posizione del cassetto delle frasi ricordandone la posizione Raimondo Lullo: usava la combinazione di dischi rotanti sui quali si scriveva un nome e al quale associava la cosa da ricordare; [di solito questo nome era riferito agli astri e quindi facilmente riconducibile al soprannaturale =] essendo chiamate in causa in tali nomi entità mistiche allora l’are mnemonica era magica perché capace di scoprire relazioni nella natura. (Per i maghi si generavano collegamenti migliorando la natura stessa e trovando un’altra chiave per l’accesso occulto alla realtà.) Per il Platonismo ricordare non era semplicemente l’atto in se ma era collegato con il mondo delle idee. Nell’aristotelismo rinascimentale l’insieme di materia e di forma costituiva la materia animata: tutto si può ricondurre a questi due principi ma si può far riferimento ad un insieme (?), allora si parlerà di un unico principio detto anima mundi, che è la presenza del divino all’interno della realtà, è il PRINCIPIO DI ANIMAZIONE DIVINO della realtà insito nella MATERIA (che ha anche il principio di forma). Il pensiero: Muore arso vivo il 17 febbraio del 1600. Poche ore prima gli fu messa una mordacchia per non farlo parlare e perché non mandasse anatemi, poiché la Chiesa fu rimasta molto impressa della maledizione del capo dei Templari. Fu accusato di stregoneria. Fu accusato da Macenigo perché egli voleva essere da lui ammaestrato sulle arti magiche ma questi “prese” sua moglie. Tra l’abiura e la morte preferì la morte, piuttosto di rinnegare le proprie teorie. Nato a Nola era di umili origini ma dotato, allora per poter studiare entra nell’ordine domenicano dove impara l’aristotelismo di Tommaso d’Aquino. Ben presto passa a quello rinascimentale studiato filologicamente: - Dio non è provvidenza e con nessun carattere (?) eccetto la forza cosmica L’anima è mortale tranne l’intelletto attivo Per questa posizione eterodossa allora scappò dal convento, poiché le sue posizioni non erano condivise, lasciando il saio alle ortiche. Cerca terra ospitale nella Ginevra di Calvino, ma lì trova ancora più controllo rispetto all’Italia soggetta alla Controriforma, per questo fugge in Francia ove riscuote un enorme successo e diventa filosofo di corte, usa la magia e l’ars memoriae. Va in Inghilterra dove viene perseguito per aver plagiato le opere di Marsilio Ticino (?); gli diventa un 62 Appunti di Filosofia – Compito 6 paese ostile poiché addirittura viene sospettato di essere una spia francese, ritorna in Francia ma qui viene osteggiato dai suoi nemici che durante la sua assenza anno organizzato una coalizione forte, donde va a Venezia, compiendo l’ultimo atto della sua vita. ## Il suo libro “De la causa et principio et uno” è la summa del neoplatonismo rinascimentale. Sostiene che il pianeta terra è un unico essere di cui noi siamo parte come già Plotino. Questi testi non erano tali da portarlo al rogo, poiché sono concetti neoplatonici, si sarebbe sterminata altrimenti l’intera popolazione intellettuale dell’epoca. Il testo nei quali si sbilanciò di più fu “Lo spaccio della bestia trionfante”, scritto in italiano a Londra; lì disse che: - La dignità dell’essere umano è tutta nella mano (capacità di operare), allora la forma più alta dicono …. (sia la magia ?) La Chiesa era “Santa asinità” poiché rendeva le anime torpie e all’obbedienza intellettuale della religione. Parla inoltre degli “Eroici furori”: si sente infiammato dal desiderio di conoscere: non è uno studio tranquillo ma disperato: induce a litigare, discutere, fare tardi negli impegni assunti. Non è lo studio APATICO che invidia (…). Distingue inoltre: - Il furore bestiale: trasporto delle passioni carnali Il furore religioso: è il lasciarsi trascinare da atteggiamenti fanatici e il farsi deviare dalla verità con la religione, invece di credere semplicemente. Finché poté negò di aver scritto qualcosa contro la Chiesa, ma quando l’inquisitore trovò “Lo spaccio della bestia trionfante” non poté più negare (ma comunque…), e subì la tortura. Le persone arse vive sul rogo di norma prima venivano strangolate ma questo morì tra le fiamme. [Barbarie camuffata da giustizia]. Il rogo era pedagogico: si colpiva mortalmente la cultura dell’epoca. Per la Chiesa valeva di più l’abiura di Galileo perché si vide costretto a sconfessare le sue teorie, anche se una verità ormai pubblica per l’epoca, mentre il rogo creava un martire. RIVOLUZIONE SCIENTIFICA E COPERNICANA: Visione Geocentrica: 63 Appunti di Filosofia – Compito 6 Il sistema aristotelico-tolemaico poneva al centro la Terra e quindi era detto GEOCENTRICO. I pianeti erano letteralmente incastonati nelle sfere che ruotavano, rinchiuse dall’ultima grande sfera delle stelle fisse. Esistevano due fisiche: - SUBLUNARE: movimento dal basso verso l’alto dei corpi leggeri e dall’altro verso il basso di quelli pesanti (presenza dei 4 elementi: aria, acqua, terra, fuoco) CELESTE: c’era solo come elemento l’etere cristallino, l’elemento perfetto e presente come unico moto quello circolare proprio delle sfere. I corpi sono quindi immortali senza trasformazione e mutamento. Vennero apportate delle modifiche al sistema in quanto sussistevano alcune anomalie: Questo movimento nell’eclittica di Marte non era spiegabile con la semplice rivoluzione dei pianeti attorno alla terra. Tolomeo quindi introdusse il sistema epiciclo-deferente: Ma anche altri pianeti non si trovavano all’ora stabilita in quella posizione secondo i loro precedenti studi: introdussero quindi il sistema dell’equante: un’ ”orbita” ellittica dove la terra occupava uno dei due fuochi (C) e l’altro dal detto equante. Anziché dire che la teoria era sbagliata, la si correggeva continuamente di volta in volta, ma iniziava a far acqua da tutte le parti. Copernico partì da una posizione del neopitagorismo per definire il sistema ELIOCENTRICO: al centro ell’universo c’era un corpo infuocato detto Helios o trono di Zeus (che quindi identificò con il sole), ponendolo al centro dell’universo e tutti attorno gli altri pianeti. 64 Appunti di Filosofia – Compito 6 Anche qui, utilizzando orbite circolari, e quindi rifacendosi alla tradizione, non tornavano i calcoli prestabiliti, ricorrendo perciò ad altre integrazioni, bollando la sua teoria come inefficace. Gli unici elementi rivoluzionari furono: - Esistenza di una fisica sola Sistema eliocentrico Esistenza di orbite e non di sfere Presenza degli elementi (?) Quelli conservatori furono: - Orbite circolari Cielo delle stelle fisse …. Giordano Bruno ipotizzò prima di Galileo l’infinità dell’universo poiché infinita la potenza di io, infinito doveva essere perciò l’universo. Ticho Brahe introdusse un “sistema misto”: Luna e Sole, attorno al quale a sua volta giravano gli altri pianeti, giravano attorno alla Terra. Keplero, allievo di Brahe, scoprì poi le leggi fisiche che conosciamo, adottando un sistema eliocentrico ad orbite ellittiche: 65 Appunti di Filosofia – Compito 6 Fece questa scoperta poiché il suo maestro gli diede il compito di studiare il moto degli astri. astr Nel 1601 Gilberti tentò di spiegare perché in diversi punti si percorrevano tempi diversi: intendeva la forza di attrazione dei pianeti come un funzionamento dei magneti che alternavano il polo positivo e quello negativo. Newton lo spiegherà solo in seguito seguito come attrazione delle masse. Secondo Cartesio, aborrendo l’attrazione nel vuoto, rifiutando perciò Newton e Gilbert, spiegò tale fenomeno come l’intersezione di vortici di diversi pianeti in orbita. Keplero si rifaceva invece al Neoplatonismo (vedi il Mysterium Cosmographycum) Cosmographycum) utilizzando comunque la filosofia. GALILEO GALILEI: Compie una riflessione sul metodo scientifico, legando la matematica con la fisica. Riprende inoltre la distinzione ormai non più praticata in fisica tra qualità oggettive matematizzabili mat e quelle soggettive non matematizzabili, già praticate da Democrtito, da ritenersi perciò un fisico, non riprendendo però l’atomismo antico, ripreso invece dopo 10 anni da Gassendì, contemporaneo di Cartesio, che però non viene creduto. Per Galileo Galileo qualità soggettive sono il profumo ed il colore, anche se entrambe oggi giorno sono studiabili fisicamente tramite il naso elettronico e la lunghezza d’onda. Oggettive sono quindi tutte quelle proprietà fisicho-chimiche fisicho chimiche dell’oggetto: non importa se laa sfera sul piano inclinata è a pois, conta solo l’inclinazione di suddetto piano. Per Galileo conta l’astrazione rispetto alle condizioni materiali dell’esperienza. dell’esperienza Visto che le LEGGI DI NATURA DESCRIVONO LA REALTA’ la fisica si basa secondo principi di uniformità e di universalità. Allora ill miglior modo per esperimentare è fare gli esperimenti nel vuoto e nella propria mente, togliendo le varie caratteristiche di pressione, calore, ottenendo la legge universale. Non effettuò mai l’esperimento dalla torre torre di Pisa poiché alcuni studiosi, ripetendolo oggi giorno hanno ottenuto dei dati diversi: si può dedurre che quindi il suo esperimento fosse di natura mentale. Le scoperte nascono dalle osservazioni e dalla curiosità. Il Metodo Galileiano,, definito anche anc come Metodo ipotetico-deduttivo o sperimentale, sperimentale si basa su queste fasi: Galileo però non dispone della pompa a vuoto, inventata da Torricelli, suo allievo, dopo la sua morte. Non è un metodo induttivo, ma il centro del metodo è fondato nell’ipotesi e sull’accordo fra le sensate esperienze e le necessarie dimostrazioni. dimostrazioni. Si pongono così le basi per la scienza moderna, investigando sulle quantità e non sulle qualità. 66 Appunti di Filosofia – Compito 6 Questa differenziazione per Galileo distingue il fisico dal non fisico. [Russel sosterrà che non parlando più delle qualità, in qualche modo, impiegandosi esclusivamente nell’ambiente scientifico e non in quello etico, si deresponsabilizza lo scienziato dalla scoperta]. Galileo affermava inoltre, scrivendo a Padre Castelli, che la Bibbia descriva come si vada in Cielo, mentre lo scienziato ha il compito di descrivere come vada il cielo. Un laico quindi diceva alla Chiesa come interpretare le scritture, mentre essa riteneva legittimo dire al laico come interpretare l’universo. ## Nasce nel 1564 (…) subisce nel ’10 un primo processo dove il Card. Bellarmino gli si impedisce di divulgare le dottrine copernicane come vera immagine del cosmo, non tanto in nome della scienza (poiché in fisica non esiste, in verità, un modello coincidente con la realtà) e per non cristallizzare la conoscenza, ma perché poteva essere fuorviante per la fede. Non gli era perciò proibito di parlarne come probabile scenario matematico. Salito al trono pontificio il suo amico cardinale, che poi diventerà papa Urbano IV, si illuse di poter scrivere di nuovo come voleva pubblicando il Dialogo sopra i massimi sistemi. È un dialogo di diverse giornate fra: - - Saviati, astronomo sostenitore del nuovo modello cosmico; è un discepolo defunto che presenta le teorie di Galileo. Simplicio, Aristotelico che espone il punto di vista ufficiale della Chiesa; probabilmente era ricalcato sulla figura dell’osservatore astronomico vaticano. Questo nome contiene un’ambiguità semantica: poteva significare stupido in latino ma essere una nota a margine del testo con riferimento ad Anassimandro. Sagredo, nobile veneziano aperto ad accettare unove idee sostenute da un valido ragionamento; è esistito veramente ma defunto. Utilizza personaggi deceduti probabilmente per non esporli alla persecuzione dell’Inquisizione. Galileo per il suo telescopio inverte il cannocchiale degli olandesi e lo usa per osservare le stelle, scopre pianeti orbitanti attorno a Giove e Saturno chiamandoli pianeti medicei, scoprendo così che esistono altri corpi che hanno centri di gravitazione attorno ad altri corpi. FRANCIS BACON: Anche lui pone la questione del “metodo delle scienze”, contesta il metodo aristotelico e soprattutto il suo lato debole: il suo procedimento partendo dallo specifico e derivando il generale. [Sillogismo: premesse vere e prime]. La critica verte sul metodo di generalizzazione di Aristotele. “a partire da un numero N di casi affini per analogia, si attribuiscono a tutti i soggetti della specie le caratteristiche in oggetto. Aristotele procede quindi in modo arbitrario senza prendere in esame possibili casi particolari. Va poi a minare i pregiudizi sulla conoscenza. Nel “Novum Organum” – contrapposto all’Organon di Aristotele sul quale filosoficamente si basavano i filosofi per conoscere la realtà (?). Secondo l’autore “Questi pregiudizi agiscono come gli spacci delle fiere allungando e deformando l’immagine, così succede per la realtà tramite i pregiudizi che la deformano” 67 Appunti di Filosofia – Compito 6 Per Bacon la verità è un progredire di errori e conoscenze che che poi vengono aggiustate man mano che le teorie sono sbagliate. Ciò non vuol dire che, se c’è un elemento sbagliato, tutta l’opera non è da buttare, ma la si dovrà confutare solo dove errata. “Il vero è il parto mascolino del tempo”: l’errore sta nel cristallizzare allizzare le varie teorie ponendole su un palco affermando che alcune sono vere, altre false, in blocco. Le quattro inganni alla mente od idola sono: Idola tribus Idola theatri Idola Idola specus Idola fori - - Idola tribus:: è dovuto al condizionamento dalla società, non sono inganni che concepiamo perché siamo influenzati Idola specus: (richiama il mito della caverna) è il “giudicare tutto tramite solo i nostri mezzi soltanto dallo strumento della conoscenza”, ovvero dipendono dall’educazione, dalle abitudini e dai casi fortuiti tutiti in cui ciascuno viene vien a trovarsi. Idola fori:: è dovuto all’linguaggio: usiamo dei termini con moltitudine di significato – è difficile dunque intenderci anche parlando lo stesso idioma dovuto all’uso non univoco del linguaggio [il linguaggio deve modellare il linguaggio in modo modo specifico ed allora ogni scienza deve avere un preciso significato delle parole] Idola theatri: è dovuto dal succedersi delle opinioni: come se gli scienziati del passato di fossero messo sul palcoscenico affermando che la loro verità assoluta fosse quella qu effettiva. Non possiamo eliminare questi inganni della mente poiché sono usati quotidianamente ma se li conosciamo potremo superarli evitandoli. Prima bisogna togliere le vecchie rovine e costruire un nuovo edificio da nuove fondamenta. Fase osservativa • Tavola presente • Tavola assente • Tavola gradi Fase ipotetica • Vindemnatio prima Fase di verifica • Istanze cruciali 68 Appunti di Filosofia – Compito 6 Il metodo induttivo di Bacon è composto da: - - Fase osservativa: (in Galileo c’è enfasi nell’ipotesi e nella deduzione, qui invece nella osservazione) è composta da una tavola presente dove si annotano i casi dove l’oggetto d’esame è presente, una tavola assente dove si registra dove è assente, e la tavola gradi dove si descrive il grado di intensità dove esso è presente. Fase ipotetica: parla di una “vindemnatio prima” nella quale bisogna praticare il discernimento iniziale della massa dei dati Fase di verifica: «tra le varie istanze prerogative , quella decisiva è l’”istanza cruciale”, dal nome delle croci dei bivi: quando si è in dubbio sulla causa del fenomeno studiato per i suoi rapporti con molti altri fenomeni, essa dimostra la sua connessione necessaria con uno dei fenomeni e la sua separabilità dagli altri; e perciò consente di riconoscere la causa del vero fenomeno [esclusione di varie possibili cause scegliendo una probabile]. Se questa ipotesi supera l’esame dell’istanza cruciale si può ritenere giusta» È stato definito un metodo induttivo perché va dal particolare al generale, al contrario di quello di Galileo, che privilegia il momento dell’esperimento con la verifica, che è quindi deduzione. Bacon fallì nella ricerca poiché, benché aborrendo Aristotele, usa il suo stesso linguaggio; inoltre non si rifà alla matematica ma ancora alla magia. I metodi Galileiano e Baconiano sono stati poi fusi insieme nella prassi scientifica moderna. Vuole modificare la natura per servirsene: con “The new Atlantis” in ogni casa ciascuno lavora per produrre benessere, è il modello (…). Lo studio della natura è disinteressato (Aristotele) ma interessato per ricavare benefici dalla natura (modo con il quale si primeggiava sugli altri stati, ricerca scientifica). La magia non è utile perché è lenta (congiunzioni astrali) ma, necessitando della velocità, ci si affidò al metodo scientifico … Compito 7 69 BARUCH (BENTO / BENEDICTUS) SPINOZA [Non allinearsi con la religione era motivo di persecuzione anche nel mondo ebraico: fu colpito dalla cherem ovvero fu proibito ai buoni ebrei di avvicinarsi a lui. Egli fu condannato infatti da Cattolici, Protestanti e dagli ebrei perché denunciava l’uso della religione come strumento politico: sosteneva infatti che anche Mosè riuscì con la religione a perseguire l’unificazione del popolo ebraico. La sua colpa principale fu probabilmente quella di aver criticato il rabbino nelle discussioni filosofiche che si svolgevano all’interno della comunità. Ancora da ragazzino aveva visto Oubriel da Pasta che venne addirittura fustigato dalla comunità ebraica pubblicamente per il suo pensiero. Com’è possibile che fu cacciato proprio da quell’Olanda, paradiso dell’Europa, che accoglieva i liberi pensatori? Egli pubblicò solo un libro con il suo nome che, oltretutto, non esponeva nemmeno il suo pensiero, ma quello di Cartesio, e forse il meno importante dei suoi libri (fece così poiché diffidò del giovane che lo spinse a pubblicare una opera a suo nome offrendogli di pagare le spese di pubblicazione, temendo che fosse un sovversivo); è comunque la base del suo “Etica geometricamente dimostrata” che verrà pubblicata anonima come i suoi altri libri, in modo da potersi difendere da eventuali accuse dichiarando di non aver scritto lui le opere. Il “Trattato teologico e politico” fu scritto perché fosse pubblicato postumo, come anche il “Trattato sulla emendazione dell’intelletto”. Teneva una fitta corrispondenza epistolare con Heinrich von Holdenburg, fondatore della “Royal Society”, accademia inglese; lo scambio delle lettere fra scienziati era l’equivalente delle odierne rviste scientifiche poiché una volta scritte o venivano pubblicate o venivano fatte circolare tra i salotti: erano quindi una fonte di conoscenza per tutti.] Trattato sull’emendazione dell’intelletto Per Spinoza le forme della conoscenza sono divise in quattro parti, ciascuna delle quali è un grado superiore di verità rispetto alle precedenti: - “Per sentito dire”: è quella più rischiosa da presentare autentica, è un’opinione “Esperienza vaga e confusa”: un’esperienza generica e documentata poi viene allargata ad una classe; si coglie la verità dai nostri sensi. “Ragionamento”: si ragiona sui dati a disposizione “Intuizione”: è la diretta verità. Essa non deve essere dimostrata ma è valida se è capace di spiegare ciò che vogliamo comprendere deduttivamente. [Essendo un pensatore postcartesiano, conosce già le critiche che sono state mosse a Cartesio, riuscendo quindi ad evitarle dimostrando tutto matematicamente:] egli parte già dal cogito ergo sum, non lo dimostra, ma poi dimostra se il pensiero che ne risulta è coerente oppure no. [Fa come Platone: anch’egli divise a suo tempo la conoscenza in Conoscenza razionale, che si divideva in conoscenza intuitiva e in conoscenza discorsiva, e in Conoscenza sensibile, che si divide in fede e in immaginazione]. Si hanno vari modelli di verità: TRADIZIONE Corrispondenza tra pensiero e realtà HOBBES VERUM-FACTUM SPINOZA COERENZA LOGICA ovvero la verità è costruita da una convenzione costituita regole; la veridicità è dovuto al seguire o meno dette regole. Dall’IDEA INTUITA si dipana la catena delle deduzioni: se esse sono corrette e collegate le une alle altre, allora la verità sarà in nostro possesso. Dio è diverso dalla religione: per Spinoza Dio è il Dio degli scienziati che non sovverte alle leggi di natura, ma se è presente una eccezione alla norma vuol dire che la norma deve essere riscritta (vedi i miracoli). Spinoza esegue le dimostrazioni matematiche tramite postulati fondamentali, basi del suo pensiero filosofico. Anziché dimostrare l’esistenza di Dio come Cartesio, pone la sua esistenza vera come postulato. Giacomo Bergami Compito 7 - 70 Premette 6 postulati [P. 280 del libro]: Quando dice “intendo”, vuole chiarire che quella che lui dichiara non è la verità, ma com’è secondo lui, ovvero secondo la sua concezione, ponendolo così come postulato, 1. Con la prima definizione evita il problema di S. Anselmo (quello dell’ Id Quo Maius): si evita il problema del salto dal piano logico a quello ontologico [Causa di sé è ciò la cui essenza implica l’esistenza]. 2. Il pensiero può infatti viaggiare fuori dalla terra ma, quando rietra, non trova l’attrito dell’atmosfera! Quindi ogni cosa è finita se limitata da corpi della stessa specie 3. La sostanza è ciò che non ha bisogno di nient’altro per essere definito: è quindi Dio 4. “Gli attributi sono le qualità essenziali o strutturali della sostanza” che essendo infinita, sono infiniti. Quelli che percepiamo di Dio sono però solo due: pensiero ed estensione. 5. “I modi sono le concretizzazioni particolari degli attributi”. Noi siamo modi dell’unico ente Dio 6. La realtà è quindi un’unica sostanza, è quindi una sostanza universale, vincendo così il dualismo cartesiano tra REX EXTENSA e REX COGITANS. Essendo inoltre Dio la Natura, contesta la personificazione divina: una volontà divina implicherebbe dio separato dal mondo ma essendo Egli il mondo e quindi che non esiste una forma di finalismo. Dio, sostanza unica, vive nell’eternità, nell’assenza del tempo e dove tutto simultaneamente è. Noi enti finiti distinguiamo una linea temporale, ma perché noi stessi siamo segmenti finiti. # Sostanza unica Attributi Modi leggi logiche (modi infiniti) Pensiero menti (modi finiti) Dio leggi fisiche (modi infiniti) Estensione corpi (modi finiti) - Leggi logiche: sono le leggi logiche del pensiero, limitano le menti che sono loro affini Leggi fisiche: analogamente queste limitano i corpi. Le AFFEZIONI sono modificazioni che subiscono le menti e i corpi [Per attributi e modi vedi il libro, anche per Giacomo Bergami Compito 7 71 Previene in questo modo alla conclusione della ghiandola pineale di Cartesio per il dualismo RES COGITANS e REX EXTENSA: Premesse Conseguenze leggi logiche Cause Effetti leggi fisiche Parallelismo ontologico Avviene una simultanea modificazione tra premesse e conseguenze, cause ed effetti. Ciò che avviene secondo le leggi logiche accade anche in quelle logiche: quindi non esiste la ghiandola pineale ma perché pensiero ed estensione sono due facce della stessa medaglia. Tutto avviene per mantenere l’equilibrio:: così un corpo al quale si imprime un moto lo mantiene per equilibrio. Se si considera il punto di vista della Terra una piccola modificazione al suo interno non porta a modificare tutta la sua sostanza e comunque anche una serie di modificazioni la fanno rimanere sempre tale. Assume quindi un modello neoplatonico con un panteismo panteismo simile a quello di Plotino (anche se questo tenta di ipotizzare il processo di generazione, che è irrilevante per Spinoza in quanto Dio è la Natura. La Bibbia sostiene che Dio crea le sostanze fuori di sé, mentre egli sostiene che Dio non genera maii nulla al di fuori di se stesso. Il dio di Spinoza non agisce come una persona (assomiglia ad un dio Aristotelico, causa prima incausata) e infatti Spinoza colpisce il personalismo religioso: Spinoza cerca di spiegare scientificamente anche il “Fermati o Sole” della Bibbia come di un probabile evento atmosferico o cosmico. Etica geometricamente dimostrata Prosegue con il suo metodo geometrico per la spiegazione, ricorrendo a dimostrazioni che fanno riferimento ad assiomi e definizioni, dando così al suo discorso evidenza logica e che quindi diventa difficilmente attaccabile. La filosofia aspira quindi alla certezza ed al rigore della dimostrazione logica procedendo ad assiomi. Se c’è tenuta logica appunto, l’impianto viene corroborato, essendo e quindi considerabile iderabile plausibile e vero (come in una sorta di sillogismo). Nell’Etica,, partendo da Dio si vuole arrivare all’uomo e ai suoi comportamenti. [Modificandosi corpi e menti in parallelo poiché parti di un’unica sostanza …] Volendo descrivere i vari sentimenti, sentim distingue istingue gli stati dell’animo partendo da quelli basilari che sono la letizia e la tristezza. [Producendo l’opera in un contesto sociale… filosofi vogliono dialogare con il mondo, si cercano di definire il linguaggio comune dell’etica - [Cartesio: incompleta [Pascal: Pensieri: definizioni con un valore univoco per paura della non univocità [Hobbes: etica è la vera sicenza perché la si descrive con leggi,allora leggi,allora …] Gli affetti sono le modificazioni partendo da un elemento comune. Ogni corpo persegue il CONATUS SESE PREDERVANDI (oppure (oppure SIVE NATURA CONSERVANDI),, ovvero l’istinto di auto conservazione, come il principio d’inerzia della fisica: è Giacomo Bergami Compito 7 72 quindi una sorta di principio di conservazione antropologico. La laetitia e la tristitia sono appunto il grado cedo della morale. La laetitia è causata da tutto ciò che favorisce il conatus producendo PIACERE che origina la condizione del BENE, di conseguenza la tristitia lo ostacolerà producendo DOLORE che origina MALE e disgregazione (il contrario di conservazione). ATTENZIONE: il bene non è collettivo ma è per un singolo; si è ovvero in campo assoluto, chi per uno è letizia per l’altro può essere tristezza. Il bene ed il male comune si trova solo nello Stato poiché il suo scopo è quello di proteggere l’individuo e se stesso; condivide quindi la posizione di Hobbes, ovvero quella che gli uomini in natura perseguono il proprio bene perché nessuno persegue il proprio dolore. Il sovrano non deve comunque togliere all’uomo il suo diritto principale, quello del pensiero. Tutti quindi ricercheranno il bene per spirito di autoconservazione; in assenza di una civiltà civile quindi il soggetto persegue liberamente la propria concezione personale di bene. Essendo dunque definizioni soggettive, possono dar luogo al CAOS, occorre quindi la società, diventando lei quella che definisce il bene ed il male in modo intersoggettivo. # I generi della conoscenza sono tre: - Cognitionem ab experientia vaga: rapporto con le cose sensibili (concezione prescientifica); riferendosi al “Trattato dell’emendazione dell’intelletto” si fa riferimento ai primi due punti Ex signis exempli gratia: confronto tramite ragione Amor dei intellectualis: è verificato quando si trascende il punto di vista umano (quello del modo finito: prospettiva sub specie temporis, ovvero immerso nella temporalità) per giungere al punto di vista divino (è la prospettiva sub specie aeternitatis, ovvero il punto di vista divino nell’eternità). Le passioni elencate sono senza senso [partecipando alla realtà temporale] [Dal filosofico: Chiarimento 2°: Da quanto ho detto qui sopra appare chiaramente che noi percepiamo molte informazioni e formiamo nozioni universali da tre gruppi di cose o di eventi: I, Da cose singole, che dai sensi ci vengono proposte all’intelletto in maniera mutila e confusa e disordinata o casuale: ragion per cui io son solito chiamare tali percezioni conoscenza per esperienza vaga (o superficiale). II, Da segni, o rappresentazioni convenzionali di cose, come le parole pronunciate o scritte, che ci richiamano alla mente le cose corrispondenti: cose di cui noi ci formiamo certe idee simili a quelle mediante le quali immaginiamo le cose. Da questo momento in poi chiamerò ambo i predetti modi di considerare le cose conoscenza del primo genere, o opinione, o immaginazione. III, Infine, dal nostro avere nozioni comuni e idee adeguate delle proprietà delle cose: modo di considerare le cose, questo, che chiamerò Ragione, e conoscenza del secondo genere. Oltre a questi due generi di conoscenza ce n’è, come in sèguito mostrerò, un terzo, che chiamerò scienza intuitiva, ossia conoscenza per visione diretta: perché esso procede dall’idea adeguata dell’essenza formale di certi attributi di Dio alla conoscenza adeguata dell’essenza delle cose; od anche - con procedimento inverso - perché esso risulta dal vedere come la peculiare struttura razionale vera di una cosa o di un evento s’inserisce adeguatamente nello schema funzionale razionale dell’intera Natura. Spiegherò tutto questo prendendo esempio da una sola cosa. Siano dati tre numi, e si voglia trovarne un quarto che stia col terzo nello stesso rapporto in cui il secondo sta col primo. I mercanti son sicuri che il numero cercato si ottiene moltiplicando il secondo per il terzo e dividendone il prodotto per il primo: e ciò o perché non hanno ancora dimenticato la regola assoluta che appresero dal maestro, o perché hanno spesso sperimentato questo metodo su numeri molto semplici, o perché accettano la dimostrazione di Euclide, Libro 7°, Prop. 19a, che riguarda Giacomo Bergami Compito 7 73 appunto la proprietà comune dei numi proporzionali. Ma con numeri davvero molto semplici non c’è bisogno di Euclide né di altro: dati p. es. i numeri 1, 2, 3, ognuno sa immediatamente che il quarto numero proporzionale è 6; perché dallo stesso rapporto che c’è fra il primo numero e il secondo, e che basta un solo sguardo a conoscere, ognuno capisce quale dev’essere il quarto numero. (P. I, Chiarim. d. Prop. 17; P. II, Chiarim. d. Prop. 18; Conseg. d. Prop. 29; Conseg. d. Prop. 38; Prop. 39 e sua Conseg.; Prop. 40).] Col punto di vista divino siamo [portati a vedere negli altri dei fratelli], sentendoci parte anche noi di Dio, [perseguendo] la beatitudine, essendo meno legati alle vicende esistenziali, così sarebbero tutti molto più concilianti: se sono circondato da persone beate, allora non si troveranno situazioni di conflitto non esistendo ignoranti, che sviluppano particolare egoismo con moltiplicazione di questo. Trattato Teologico-Politico In questo trattato rimasto incompleto si vede che per lui probabilmente la democrazia repubblicana sia la forma di governo ideale, considerando prima anche la monarchia e la diarchia. Questo trattato fu anche la causa religiosa della sua persecuzione: [il ‘600 per la cultura ebraica era legato alle “regole di religione (ferree?)” e a varie figure che si presentavano come il Messia (es. Shabatai Ytzevì, di fatto viene riconosciuto dagli ebrei dell’Europa centrale ed orientale come il vero Messia; preparò la guerra contro l’impero Ottomano ma, catturato dal sultano, gli fu proposto di essere ucciso o di convertirsi all’Islam: scelse l’ultima opzione). Tale comunità religiosa era quindi stressata sia dall’interno (gli ebrei sefarditi erano in contrasto con gli askenaziti), sia dall’esterno (come abbiamo già visto).] Secondo Spinoza tutti gli uomini, di qualsiasi confessione religiosa, conducono tutti la stessa vita, confacendosi solo esteriormente ai propri principi religioni, attenendosi solo alle mere apparenze esteriori. Inoltre nelle religioni è presente la corsa al più importante posto nella gerarchia ecclesiastica, allora questo è un ruolo politico e non religioso: la fede dunque si riduce a credulità e pregiudizi, trasformando uomini in bestie. – Secondo lui è importante l’interpretazione filologica delle scritture. Durante l’analisi del testo biblico nota che il Dio di ogni profeta è diverso, allora essi non stanno parlando di Dio ma di persone diverse; tali testi sono quindi sulla loro psicologia e non di come hanno percepito il messaggio di Dio. Inoltre nel testo sono presenti ambiguità dovute a: - Nell’antichità le cinque classi delle lettere ebraico venivano spesso scambiate Le stesse parole hanno significati molteplici (Ki può voler dire perché, come ed anche combustione) I verbi all’indicativo mancano del presente, e viene usato solo l’imperfetto, il più che perfetto e il futuro. Non venivano usate le vocali Non c’erano segni di interpunzione Altro fatto rilevante è che le regole vennero create a posteriori in età ellenistica in base al testo ebraico già scritto. – Dio, secondo il filosofo, avrà anche parlato, ma quando hanno cercato di riportare il suo messaggio, non hanno scritto con accuratezza… Si può trovare nel testo sacro di tutto; l’autorità politico-religiosa quindi può imporre quindi una interpretazione sulle altre possibili. Anche nel Nuovo Testamento sono presenti però dei termini oscuri. Alcuni libri inoltre della Bibbia sono stati scritti senza sapere l’autore, ma questo fatto è condizionante per la valutazione del contenuto del testo. Bisogna quindi sapere: Giacomo Bergami Compito 7 - 74 Quando e in quale contesto è stato scritto Tramite quali mani è passato e quindi quali cambiamenti ha potuto aver subito Per esempio di come di ciascun autore si valuta lo scritto in base all’autore: - L’Ariosto nell’Orlando furioso scrive corbellerie Ovidio scrive fatti politici veramente accaduti Giona fatti sacri Essendo di argomento sacro, si può essere processati per l’interpretazione del testo, ma così non avviene per gli altri due esempi precedenti. [Euclide tratta di “argomenti comprensibili”, usando il lume naturale] Mosè Chiesa Cattolica Il testo aveva funzione politica ed era fonte di diritto Non ha nessun diritto pubblico né autorità pubblico perché Mosè era un magistrato. Per lui la dell’animo; giudicare liberamente le scritture…; la religione era diritto pubblico perché i suoi precetti religione in questo caso non è un diritto pubblico sono contenuti nella Bibbia: non è capo solo delle coscienze, ma anche degli atti Questo gli fa inimicare gli ebrei ed i cattolici: gli uomini interpretando umanamente possono sbagliare, e quindi non si deve essere intolleranti e punire per un differente credo. [Questo ispirò i teologi del ‘900… che ridussero la religione a pochissimi e semplicissimi dogmi… trovando la KERYGMA, ovvero il nucleo essenziale del Cristianesimo escludendo tutto ciò che era divenuto di prassi per motivi storici e di valore storico ma non essenziale (es. il colore della veste dei papi), trovando il nucleo irrinunciabile dell’unità cristiana in modo da poter riconciliare le varie scissioni avvenute nel corso della storia (le autorità interpretative e le gerarchie ecclesiastiche non sono presenti nel testo sacro]. È quindi: 1. Pericoloso concedere alla religione potere politico 2. Pericoloso attribuire al diritto divino questioni speculative in quanto vieta la libertà di pensiero (es. tutto il resto è falso, solo questo è vero…) vietando l’unica libertà inalienabile dall’uomo. 3. Necessario giudicare il lecito e l’illecito (Stato) 4. ?Negativo per non vivere sotto il re eleggere un monarca? anche se in Olanda non c’era monarchia. Questo finale, utilizzato nel 600, era d’obbligo per poter aver salva la vita a causa di un processo: l’errore è umano e bisogna mantenere assoluta conformità alle leggi e alla morale [Ricevette inoltre un invito per la cattedra di filosofia all’università da Heidenberg; rispose che, se l’avevano chiamato, evidentemente non lo conoscevano: ivi non poteva esprimersi liberamente e, se avesse tentato di farlo, per le sue idee avrebbe messo in pericolo se stesso o il principe elettore… preferì dunque continuare a molare lenti per mantenersi indipendente dal potere.] [Le sue opere anonime furono riconosciute per il suo modo di scrivere ed inoltre perché, alla sua morte per l’aspirazione delle polveri delle lenti, diede indicazioni di dove trovare le opere che aveva scritto: cautela necessaria da prendere in una dittatura o in quell’epoca dove si faticava ad accettare questo tipo di idee.] JOHN LOCKE È il padre dell’empirismo(*) inglese, “etichetta” inventata per la prima volta da Hegel nel ‘800. [Entra al servizio del primo conte di Shaftesbury, leader dei WHIGS. Accusato da re Giacomo II di Giacomo Bergami Compito 7 75 complottare nei suoi confronti, esiliò e assieme a … prepara la venuta in Inghilterra di Guglielmo d’Orange e così la Glorious Revolution.] Segretario nella piena Restauration, fu teorico della politica e della conoscenza (gnoseologia). Suoi testi sono: “Essay on Human Understanding” (Saggi sull’intelletto umano) (1690) “Due trattati sul governo” (1689/90) “Epistola sulle tolleranze” (1689) “Pensieri sull’educazione” (1693) “Ragionevolezza del Cristianesimo” (1695/7) Nell’89 era un momento buono per pubblicare le opere ma era tuttavia ancora diffidente: li pubblica quindi anonimi. Dopo la dichiarazione della Bill of Rights si sete più sicuro e quindi pubblica i testi a suo nome. (*) È presente una distinzione tra empiristi (come Locke) e razionalisti come Cartesio, Spinoza, Leibeniz: essi sostengono una conoscenza veramente certa, o meglio che «la filosofia dovrebbe essere condotta tramite l'introspezione e il ragionamento deduttivo a priori». Gli empiristi sostengono che «la conoscenza umana deriva esclusivamente dai sensi o dall'esperienza» negando che «che gli esseri umani abbiano idee innate, o che qualcosa sia conoscibile a prescindere dall'esperienza». In contrapposizione con i razionalisti, sostengono che si deve considerare «alla base del metodo scientifico l'idea che le nostre teorie dovrebbero essere fondate sull'osservazione del mondo piuttosto che sull'intuito o sulla fede.»1 “Essay on Human Understanding” (Saggi sull’intelletto umano) Vuole verificare fino a che punto la mente conosca con certezza [da dove va oltre]. [...] il Pensare non implica l’esperienza, mentre il conoscere è definito entro i limiti dell’esperienza, non essendo dunque libero di credere quello che sembra al pensatore. Tutto ciò che pensiamo, ogni contenuto della nostra mente è una IDEA, ovvero contenuto di fantasia (NON è quindi il contenuto percettivo, o l’idea di Platone (?!) ). Già il termine idea rende palese quindi il fatto che pur volendosi distaccare dalla filosofia cartesiana, ne usa il lessico: colui che innova per la prima volta infatti spesso si serve ancora dei termini usati anche in precedenza. Hume eviterà il problema dovuto alla nomenclatura parlando invece di percezioni e di rielaborazioni. Sensazione Semplici IDEE originano Complesse - 1 rielaborazione Riflessione rielaborazione Sensazione La distinzione tra idee complesse o semplici è detta Natura o Forma La distinzione tra sensazione e riflessione è detta Origine Da Wikipedia Giacomo Bergami Compito 7 76 L’ idea complessa di riflessione (come per esempio la metafisica, filosofia) sono originate da una rielaborazione delle idee di sensazione. [Frammenti sparsi … inizio] • • Accidente: è ciò che è visibile Sostanza: è il frutto mentale [Frammenti sparsi … fine] Le idee complesse in forma generale, si distinguono in: - Modi: è lo stile (es. di un romanzo) di come un’idea viene raccontata; spiega come è fatta una cosa - Relazioni: nessi che ci sono tra le idee - Sostanze: idee di sostrato sotto le cose sensibili: se vediamo solo l’oggetto a cui attribuiamo il fenomeno… (è come il rasoio di Ockham) Dal Filosofico: «Dopo aver spiegato l' origine delle nostre conoscenze, nel secondo libro del Saggio, Locke procede alla distinzione dei diversi generi di idee. La divisione fondamentale è quella tra idee semplici e idee complesse. Le idee semplici sono quelle che l' intelletto riceve, del tutto passivamente, dalla sensazione o dalla riflessione : come dice il loro nome, esse non sono ulteriormente scomponibili in altre idee. Le idee semplici che derivano dalla sensazione possono dipendere da un solo senso (come le qualità sensibili degli oggetti : liscio, bianco, freddo, ecc.), oppure da più sensi congiunti (come l' idea di movimento). Le idee semplici provenienti dalla riflessione o, come Locke dice anche dal "senso interno", possono appartenere al gruppo che riguarda le operazioni del pensiero oppure a quello relativo alle operazioni della volontà. All' interno delle idee semplici che provengono dal senso esterno, Locke riprende anche la distinzione, peraltro già presente in Galilei e in Cartesio, dal quale egli la mutua, tra idee di qualità primarie e di qualità secondarie. Le prime sono quelle che ineriscono agli oggetti stessi, come la solidità, l' estensione, il movimento, ecc.. Le seconde sono invece quelle che dipendono dalle condizioni soggettive della nostra sensibilità, come i colori, gli odori, ecc. Questa distinzione consente a Locke di fare un' importante affermazione sulla corrispondenza tra idee e oggetti reali : le idee delle qualità primarie dei corpi somigliano a queste qualità e gli esemplari di tali idee esistono realmente nei corpi stessi : ma le idee prodotte in noi dalle qualità secondarie non contengono nessuna somiglianza e non c'è nulla nei corpi stessi che abbia alcuna conformità con queste idee. Esistono dunque idee che non escono dall' ambito del pensiero, ed altre che sono riproduzione fedele della realtà. Bisogna tuttavia osservare che questa distinzione è difficilmente spiegabile all' interno di una cornice concettuale come quella lockiana, nella quale ha si sempre solo conoscenza di "idee", cioè di rappresentazioni mentali derivate dall' esperienza, e mai di "cose". Per questa ragione Berkeley e Hume non esiteranno ad abolirla. Le idee semplici costituiscono per così dire il materiale della conoscenza, gli elementi fondamentali con cui si può costruire l' edificio del sapere. Più idee semplici possono, infatti, essere combinate tra loro in modo da comporre idee complesse. Se nel ricevere le idee dall' esperienza l' intelletto è puramente passivo, nella rielaborazione delle idee semplici e nella loro composizione in idee complesse esso si rivela una facoltà conoscitiva attiva. All' interno delle idee complesse, Locke distingue poi tra idee di modo, di sostanza e di relazione. Sono idee di modo quelle relative a ciò che è percepito come non sussistente di per sè, ma dipendente da una sostanza di cui è determinazione. Giacomo Bergami Compito 7 77 Per esempio, l' idea della gratitudine o della bellezza non può esistere se non in dipendenza dall' idea di una persona che abbia la qualità di essere grata o bella. Locke distingue inoltre tra i modi semplici, che risultano dalla ripetizione della stessa idea semplice (per es. la dozzina nasce dalla riproduzione della stessa idea per dodici volte) e modi misti che sono composti di idee semplici di diverse specie (ad esempio, l' idea della bellezza consiste in una determinata combinazione di figure, colori ecc.). Tra le idee composte di modo semplice Locke colloca anche quella di infinito, che nasce esclusivamente dalla somma indefinita di spazi o tempi finiti : infatti lo spazio e la durata nel tempo sono idee semplici, fornite immediatamente dalla sensazione che percepisce la distanza tra due punti (lo spazio) o dalla riflessione che coglie la successione interna delle idee (il tempo). Le idee di sostanza riguardano invece le rappresentazioni di ciò che è percepito come sussistente di per se stesso e a cui vengono riferite le qualità espresse dalle idee semplici (ad es. un uomo, un cavallo, il mondo, la mente). Esse possono essere distinte in sostanze singole (un uomo, una pecora) o in sostanze collettive (un esercito di uomini, un gregge di pecore). Ma la principale tra le idee di sostanza è l' idea della sostanza stessa, alla quale Locke muove una critica che costituisce uno dei contributi più originali del suo pensiero. Nella nostra esperienza quotidiana noi osserviamo che molte idee semplici si presentano costantemente unite tra loro, tanto da indurci a considerarle una sola idea semplice (per es. il colore giallo, la luminosità, la relativa malleabilità si presentano costantemente in ciò che chiamiamo "oro"). Tuttavia, poichè le idee semplici non possono sussistere di per sè ma devono essere riferite agli oggetti di cui sono qualità, siamo portati a presupporre una "sostanza" che funga da fondamento oggettivo dell' idea semplice che abbiamo falsamente immaginato. La sostanza, a sua volta, può essere intesa etimologicamente come qualcosa che "stà sotto", cioè come "sostrato" che soggiace, ad esempio, alle diverse qualità che costituiscono l' idea dell' oro; oppure come un' "essenza" che esprime l' intrinseca unità e interdipendenza di tali qualità. Ma poichè l' esperienza non ci offre che singole idee semplici (non l' oro, ma le singole qualità dell' oro), la sostanza da noi presupposta è completamente al di là delle nostre possibilità conoscitive. Facendo riferimento ad essa, noi pretendiamo di spiegare ciò che non conosciamo con ciò che conosciamo ancor meno. La conclusione che Locke trae da tutto ciò va oltre la critica al concetto di sostanza, investendo il problema generale dei limiti della conoscenza umana : non abbiamo nessuna conoscenza della costituzione interna e della vera natura delle cose, perchè siamo privi della facoltà di raggiungerla. Si spiega così il fatto che egli, pur distinguendo tra sostanze solide ed estese (cioè materiali) e sostanze spirituali, capaci di pensare e di volere, non possa escludere che Dio abbia dato anche alla sostanza materiale la facoltà di pensare, affermazione che da Leibniz in poi verrà energicamente combattuta, procurando a Locke l' accusa di "spinozismo", poichè nulla siamo in grado di affermare sulla natura essenziale della materia. Le idee di relazione, infine nascono dal confronto di un' idea con un' altra. La principale idea di relazione è quella tra causa ed effetto. Denotiamo con il nome generale di causa ciò che produce qualunque idea semplice o complessa, ed effetto ciò che ne è prodotto. Così, trovando che in quella sostanza che chiamiamo cera la fluidità, che è un' idea semplice che non era prima in essa, viene costantemente prodotta dall' applicazione di un certo grado di calore, diciamo che l' idea semplice di calore, in rapporto alla fluidità della cera, ne è la causa, e la fluidità è l' effetto. Quindi, il rapporto causa-effetto costituisce ancora per Locke un fatto oggettivo, per quanto non sia possibile conoscerlo nella sua intrinseca natura : occorrerà attendere le analisi di Hume perchè anche questo concetto sia sottoposto alla stessa radicale critica empiristica che Locke muove alla nozione di sostanza. Altra importante idea di relazione è quella di identità. L' identità in generale esprime il rapporto intercorrente tra un oggetto e se stesso, allorchè viene considerato in luoghi o tempi diversi. Ma questo stesso rapporto si stabilisce anche nel soggetto pensante, il quale ha coscienza di essere sempre identico a sè malgrado i mutamenti spazioGiacomo Bergami Compito 7 78 temporali, dal momento che nell' atto della percezione egli coglie non soltanto l' oggetto percepito, ma anche se stesso come percipiente. Il problema dell' identità e della continuità dell' io con se medesimo viene quindi risolto in forma puramente empirica, senza far ricorso alla tradizionale categoria della sostanza che in Locke aveva perso ogni capacità esplicativa. » [Frammenti sparsi … inizio] La visione implica il cogliere le idee semplici: più complessa è l’idea, più ci si allontana dall’esperienza. Bisogna partire dalle idee complesse a quelle generali quando riguardano la realtà delle cose [...] Studiare la parentela vuol dire studiare il legame tra le cose: per gli storici quindi è lo studiare le relazioni degli eventi. … È opinione e non certezza. Abbiamo fenomeni e non sostanza → È bisogno di qualcosa che regga i fenomeni → però non appurabile certo mentalmente ma sperimentalmente. [Frammenti sparsi … fine] Spinoza Utilizza il metodo matematico deduttivo, Locke quello induttivo: dall’esperienza trova il fondamento della conoscenza. La Conoscenza può essere: - - Intuitiva: è la più certa a disposizione: è per esempio la conoscenza della nostra esistenza: dalla semplice percezione di me so che esisto; in questo modo confuta la costruzione cartesiana molto barocca e complessa del COGITO ERGO SUM (in pratica essa dice che noi siamo quando pensiamo: chi può avere quindi la certezza di essere ancora se stesso o non un altro quando pensa un’altra cosa, potendo quindi essere una persona diversa che pensa?) Dimostrativa: Questa chiama Dio in causa: la presenza della sostanza è indu[bita]bile, quindi è indubitabile la presenza di quello (Dio?) Empirico: è impossibile dimostrare ciò che è esterno all’esperienza… le cose esistono ma con un grado di certezza inferiore a quello di Dio. Dal Filosofico «Nel Libro IV del suo Saggio sull'intelletto umano, Locke scrive: "Poiché lo spirito, in tutti i suoi pensieri e ragionamenti, non ha altro oggetto immediato se non le sue proprie idee e solo queste contempla e può contemplare, è evidente che la nostra conoscenza ha a che fare soltanto con esse". Locke intende con il termine "idea" qualsiasi contenuto mentale; le idee sono gli unici oggetti del nostro pensiero, e costituiscono i "materiali" della nostra conoscenza, che si configura come percezione dell'accordo o del disaccordo esistente fra le idee. Ad esempio, sappiamo che il bianco non è nero, e tale consapevolezza è semplicemente la percezione del fatto che le idee del bianco e del nero non concordano. L'accordo o il disaccordo fra le idee può essere ridotto esclusivamente a quattro specie: identità e diversità, relazione, coesistenza, esistenza reale. Secondo Locke, "il primo atto dello spirito, quando ha alcuni sentimenti o idee, è di percepire le sue idee; e, in quanto le percepisce, conosce ciò che ciascuna di esse è, e così percepisce la loro differenza e che l'una non è l'altra". In questo modo, lo spirito "intuisce", ossia apprende immediatamente, che una singola idea è sempre uguale a se stessa, e che idee distinte sono sempre differenti le une dalle altre. La seconda specie di accordo o disaccordo consiste nella percezione della relazione fra due idee qualsiasi, che possono essere sostanze, modi o altro. Il terzo tipo di accordo o disaccordo è la coesistenza o non coesistenza in uno stesso soggetto. Questo genere di conoscenza riguarda soprattutto le sostanze; ad esempio, quando parliamo dell'oro e affermiamo che è "fisso", intendiamo che la "fissità", cioè il potere di non essere consumato dal fuoco, è Giacomo Bergami Compito 7 79 un'idea che si accompagna sempre all'idea complessa che abbiamo dell'oro, ossia "coesiste" con le altre idee che costituiscono la sostanza "oro". Il quarto tipo di accordo o disaccordo fra le idee consiste "nell'esistenza reale ed attuale che corrisponde ad un'idea", cioè nell'esistenza reale al di fuori dello spirito. In sintesi, per quante indagini possiamo compiere sulle nostre idee, siamo soltanto in grado di affermare, a proposito di ciascuna di esse, che è o non è quella di un'altra, che ha o non ha una certa relazione con un'altra, che coesiste o meno con qualche altra idea nel medesimo soggetto, o che ha un'esistenza reale fuori dello spirito. Possiamo quindi sostenere che tutta la nostra conoscenza è racchiusa in questi quattro tipi di percezione dell'accordo o del disaccordo fra le idee. Locke si sofferma poi sulla "diversa chiarezza della nostra conoscenza" che, a suo parere, "sembra consistere nel diverso modo con cui lo spirito percepisce l'accordo o il disaccordo fra le sue idee". Quando l'accordo o il disaccordo viene percepito immediatamente e sulla base delle idee stesse, cioè senza l'intervento di ulteriori idee, la conoscenza è detta "intuitiva". In questo modo, ad esempio, concepiamo immediatamente che il bianco non è nero. Si tratta della conoscenza più chiara e più certa che l'uomo possa avere, ed è quindi il fondamento della certezza e dell'evidenza di ogni altro tipo di conoscenza. Quando invece l'accordo o il disaccordo fra le idee non viene percepito in maniera immediata, ma attraverso delle idee intermedie chiamate "prove", la conoscenza è detta "dimostrativa". Tuttavia, questa non ha il medesimo grado di certezza della conoscenza intuitiva: specialmente nelle lunghe dimostrazioni, quando le prove sono molto numerose, l'errore diventa possibile. Secondo Locke, la conoscenza può definirsi "reale" se esiste una conformità, cioè una corrispondenza, fra le idee e la realtà delle cose. Le idee semplici, che riceviamo passivamente e non possiamo in alcun modo produrre, derivano dal mondo esterno. Le idee complesse, invece, sono produzioni dello spirito, che quindi non valgono come immagini delle cose, e non si riferiscono alla realtà come al loro originale. Da questo discorso risulta esclusa l'idea di sostanza. Noi siamo consapevoli della nostra esistenza per intuizione, dell'esistenza di Dio per dimostrazione, e dell'esistenza degli altri oggetti per sensazione. Per quanto riguarda l'esistenza dell'io, Locke riprende la dimostrazione cartesiana del cogito: io penso, ragiono, dubito, e con ciò percepisco la mia esistenza, che il dubbio stesso mi conferma. A proposito di Dio, il filosofo propone l'argomento causale: il nulla non può produrre alcunché, per cui tutto quello che esiste deve essere stato prodotto da qualcosa; ovviamente non possiamo retrocedere all'infinito nella ricerca di cause, per cui dobbiamo ammettere che un Essere Eterno ha creato questo mondo. Tale Essere deve avere un'intelligenza ed una potenza superiori a quelle create: evidentemente, questo Essere eterno, intelligentissimo e potentissimo è Dio. Come si è detto, l'uomo può conoscere la realtà delle cose che lo circondano esclusivamente per mezzo della sensazione attuale: soltanto il fatto che percepiamo attualmente un'idea dall'esterno, ci fa comprendere l'esistenza di qualcosa, in questo momento, fuori di noi, qualcosa che produce in noi l'idea corrispondente. Non si tratta di una conoscenza caratterizzata dallo stesso grado di certezza di quella intuitiva, e non è neppure paragonabile a quella dimostrativa; tuttavia, può essere ugualmente chiamata "conoscenza". Infatti, nessuno può manifestare un tale scetticismo da dubitare di ciò che vede o sente; secondo Locke, siamo costretti a riporre una certa fiducia nelle nostre facoltà sensoriali, dal momento che non le conosciamo finché non le usiamo. Pertanto, ritiene assurdo negare quanto viene attestato dai nostri sensi. Inoltre, abbiamo prove sufficienti della validità delle conoscenze dovute alle sensazioni attuali: le idee semplici, come si è detto, non sono frutto dello spirito umano, ma derivano dal nostro incontro con gli oggetti esterni, che provocano in noi delle sensazioni; oltretutto, non abbiamo idee quando ci manca l'organo di senso adeguato (si pensi, ad esempio, ad un cieco, al quale necessariamente mancano determinate idee). Così come è stato presentato finora, il campo della conoscenza appare piuttosto limitato: comprende soltanto la conoscenza intuitiva del nostro io, la conoscenza dimostrativa di Dio, la conoscenza delle cose esterne grazie alla sensazione attuale. Giacomo Bergami Compito 7 80 Si capisce allora che la nostra vita quotidiana sarebbe impossibile se dipendesse interamente da una conoscenza infallibile; fortunatamente, l'uomo è dotato della facoltà del giudizio, che non ci offre una conoscenza certa, ma "probabile". In questo caso, la mente non percepisce un accordo o un disaccordo fra le idee, ma lo presume soltanto. Tre sono i gradi che costituiscono il giudizio di probabilità: il primo grado è rappresentato da quelle proposizioni sulle quali esiste un consenso universale, cioè da parte di tutti gli uomini, ed è una probabilità così alta da avvicinarsi alla conoscenza; il secondo grado è costituito da quei casi in cui la nostra esperienza personale coincide con la testimonianza di molte altre persone degne di fede; il terzo grado si ha quando certi eventi sono semplicemente testimoniati da persone degne di fede, ed è, ad esempio, il caso della narrazione storica. Oltre il campo della probabilità esistono le opinioni, che sono effetti del caso, per le quali il nostro spirito ondeggia senza una vera scelta o una direzione precisa. Occorre ora circoscrivere con maggiore esattezza i limiti della nostra conoscenza, come fa Locke nel suo Saggio. Si è detto che non possiamo avere alcuna conoscenza al di fuori delle nostre idee e dell'accordo o del disaccordo esistente fra esse. Inoltre, non possiamo raggiungere una conoscenza intuitiva di tutte le nostre idee, perché non siamo in grado di scorgere le innumerevoli relazioni esistenti fra di esse. Anche la conoscenza dimostrativa non può essere estesa a tutte le nostre idee. Se, ad esempio, prendiamo in considerazione due idee fra loro distanti, non sempre siamo in grado di scoprire un termine medio che le connetta l'una con l'altra con una conoscenza intuitiva. La conoscenza sensibile, come si è rilevato, è poi ancora più ristretta, perché riguarda esclusivamente l'esistenza delle cose attualmente presenti ai nostri sensi. Locke si sofferma sulla conoscenza che abbiamo delle nostre idee di sostanza. In questo caso, l'accordo o il disaccordo fra di esse consiste nella percezione della coesistenza o meno di una stessa idea nel soggetto. Le idee semplici che compongono le nostre idee complesse di sostanza sono le idee delle loro qualità secondarie, le quali dipendono tutte dalle qualità primarie delle loro parti minute e piccolissime. Noi non conosciamo queste parti piccolissime, così come non possiamo conoscere le connessioni esistenti fra qualità primarie e qualità secondarie che le compongono. Fra le idee di sostanza che formiamo c'è anche quella dello "spirito": essa deriva dal fatto che noi pensiamo, percepiamo, desideriamo, ecc., e non riusciamo a spiegarci in che modo compiamo tali operazioni, se non immaginando un "substrato" che le renda possibili. Altrettanto facciamo nel caso dei corpi, immaginando che debba esistere una "materia" a sostegno delle loro caratteristiche, quando invece ciascuno di essi è soltanto una collezione d'idee semplici. Ora, noi supponiamo che entrambe queste sostanze, sia quella materiale sia quella spirituale, esistano, ma non ne abbiamo un'idea chiara e distinta. Il fatto stesso, però, che non ne possediamo un'idea precisa ci vieta di negarne a priori l'esistenza. La nostra conoscenza non si estende neppure ai poteri delle sostanze di operare cambiamenti negli altri corpi. I poteri passivi e attivi dei corpi e i loro modi di operare consistono nel tessuto e nel movimento di parti che non possiamo in alcun modo scoprire. Se siamo così ignoranti a proposito delle operazioni dei corpi, lo siamo maggiormente circa gli spiriti; conosciamo soltanto, per riflessione, i moti del nostro animo, "nei limiti in cui cadono sotto la nostra osservazione". In generale, il campo più vasto della nostra conoscenza è costituito dalla percezione delle relazioni esistenti fra le idee, ma si tratta di un campo estremamente difficile da determinare a causa della sua estensione. La conoscenza che abbiamo dell'intero universo è poi davvero scarsa. Scrive Locke: "...non conosciamo in particolare la massa, la figura e il movimento della maggior parte dei corpi dell'universo: perciò ignoriamo i poteri, le azioni, e i modi di operare dai quali sono prodotti gli effetti che quotidianamente vediamo. Tutto ciò ci è nascosto in alcune cose perché sono troppo lontane, in altre perché sono troppo piccole. Quando consideriamo l'ampia distanza fra le parti conosciute e visibili del mondo e le ragioni che abbiamo di pensare che ciò che si offre alla nostra vista è solo una piccola parte dell'universo, scopriamo un enorme abisso di ignoranza". Giacomo Bergami Compito 7 81 I corpuscoli che costituiscono la parte attiva della materia e i grandi strumenti della natura ci sono sconosciuti, nel senso che non abbiamo idee distinte delle loro qualità primarie. In conclusione, come si è rilevato, la conoscenza umana è estremamente limitata; la ragione, tuttavia, esplicandosi anche nei giudizi di probabilità, abbraccia un campo ben più vasto, permettendoci di orientarci nella vita pratica là dove manchino le "prove". Anche la funzione delle nostre facoltà sensoriali è eminentemente pratica; tuttavia, se esse fossero più acute, noi non avremmo più le medesime idee che abbiamo ora: basti pensare, infatti, alle immagini che ci sono offerte dal microscopio, che costituiscono la testimonianza di una realtà ben diversa da quella quotidianamente presente alla nostra vista.» Esemplificazioni ulteriori a frammenti; Sul modo: il modo è per esempio dire una dozzina o una ventina, non parlando ovvero della forma dei contenuti, o dire una cassa di pere non contando precisamente il numero degli oggetti: non si intende la forma la confutazione sulla sostanza è il punto più importante, riuscendo a dichiarare che: - Noi ci conosciamo intuitivamente - Conoscenza per esistenza Dio: per via di dimostrazione (si riesce a dedurre che) esiste una divinità. [...] Tutto il resto (delle credenze religiose) è stato aggiunto in seguito dalle comunità religiose, come per esempio le varie forme di rito. Noi conosciamo solo una parte della materia: ne conosciamo solo gli accidenti (caratteristiche esterne) ma non la sostanza, così come con il microscopio elettronico una parte della materia sfugge sempre all’osservazione. Questo procedimento è analogo al rasoio di Ockham, con il quale si elimina la sostanza (evinco: la parte della materia che non è analizzabile). Sulle cose non appurabili e verificabili scientificamente non bisogna impegnarsi ad indagare [come sostenne anche Newton che, per paura di ritorsioni di natura religiosa, scrisse molti trattati religiosi]. Ne segue che anche lui dovette parlare di religione, ma entrava ivi in contraddizione con la sua dottrina: infatti per la sua scelta empirista divideva l’ambito religioso da quello scientifico. (Segue in **) Il problema di Molyneux William Molyneux, medico irlandese, che aveva scoperto il modo per togliere la cataratta, pose il problema se un ceco nato acquistasse la vista potesse riconoscere gli oggetti senza prima toccarli; egli aveva la soluzione al problema poiché operò un bambino che aveva la cataratta da quasi dopo la nascita. Nel frattempo il dibattito si era acceso: gli empiristi sostenevano che era impossibile il riconoscimento degli oggetti, non possedendo nessuno idee innate, ma il loro riconoscimento era dovuto esclusivamente all’esperienza; sostenevano invece la possibilità di riconoscere tali oggetti i realisti poiché ritenevano insite la presenza delle idee. La questione si risolse quindi a favore di Locke. “Pensieri sull’educazione” Da questo esperimento Locke si interessò all’infanzia, problema che divenne fondamentale anche per gli altri empiristi: tale testo pone delle riflessioni, tra le quali sull’educazione, che doveva essere legata anche all’aspetto sentimentale da parte della famiglia, non dovendo agire solo con punizioni. [Rousseau scrisse anche l’Emilio come opera di educazione dei figli, sebbene i suoi li avesse mandati tutti al collegio]. Dimostra di essere un pensatore borghese: bisogna impartire una educazione utile al lavoro futuro, basata sulla matematica (per far di conto) e sull’inglese per saper Giacomo Bergami Compito 7 82 scrivere lettere. [Locke veniva da una famiglia di tessitori e grazie al nonno riuscì ri ad arrivare in una scuola di prestigio e poi. In seguito, divenne docente ad Oxford.] “Due trattati sul governo” Prima distinzione: Ambito religioso Ambito scientifico Sono nell’ambito religioso riguarda la fede, l’opinione e la credenza, mentre in quello scientifico la conoscenza certa – che è quindi per ragione – limitata ovvero al campo dell’esperienza o della logica e della matematica e da regole rego loro interne. Seconda distinzione: Ambito politico Ambito religioso Non ripetendo l’ambito religioso già enunciato sopra, diremo dell’ambito politico; in esso non vi sono certezze che siano vere in assoluto… si devono quindi prendere decisioni. Le leggi devono valere per tutti, anche che per chi ha diversi presupposti religiosi. Nella vita politica inoltre lo stato rimane confinato esclusivamente alla sfera pubblica e la religione a quella privata; sono questi inoltre due ambiti separati perché il primo si interessa alla legalità, alla sicurezza e alla prosperità economica per perseguire il bene dello stato, il secondo invece alla morale e alla salvezza perseguendo il bene religioso, che quindi viene a diversificarsi da quello dello stato. Ognuno deve rispettare il proprio ambito nella propria funzione che gli compete secondo le regole ivi scritte. Inoltre vuole impedire che le religioni invadano l’ambito statale perché sono rette da capi di stati differenti (è ammesso solo dunque l’anglicanesimo, essendo la religione di stato Inglese, non n appartenendo di conseguenza l’anglicano ad un monarca di uno stato estero, essendo questo il sovrano dell’Inghilterra) • • “Epistole Epistole sulla tolleranza”: tolleranza”: affronta la questione del rapporto tra Stato e religione. Espone anche il perché bisogna essere tolleranti avvicinandosi molto al pensiero di Spinoza. “Ragionevolezza Ragionevolezza del Cristianesimo” assieme alle due difese al testo, in seguito alla qual diffusione gli vennero mosse accuse di ateismo ed eresia, poiché ritenuto sostenitore delle dottrine sociniane, accusati ovvero di avere idee troppo razionaliste [il nucleo etico e razionale della religione (e) con (delle) metafore… metafore… che tutti potrebbero riconoscere da soli senza divisioni e quindi persecuzioni ersecuzioni religiose…] In questo modo Locke difende il TEST ACT, con il quale i cattolici non potevano ricoprire cariche pubbliche. Giacomo Bergami Compito 7 83 La dottrina di Locke si evolse successivamente nel Deismo di Taland, Tindall e Collins, identificando in lui il fondatore di tale dottrina, anche se questi rifiutò per paura di eventuali contrasti con la Chiesa. Tale dottrina riteneva che il messaggio religioso dovesse essere semplificato togliendo i dogmi, diventando così una religione comune e naturale. I deisti a loro volta influenzarono Kant. Riprendendo il discorso dei “Due trattati sul governo”: questo fu pubblicato in seguito alla fine dell’esilio in Olanda. Per sommi capi, nel primo libro (’70) intende che gli uomini si associano per unilità e lo stato serve per assicurare i diritti naturali e non avoca a se tutti i diritti dei cittadini. Confuta sempre ivi il “De patriarcha” di Robert Filmer (’50), che a sua volta confuta Hobbes per il fatto che affidi al Leviatano il governo dello stato. Per Fobert Filmer Dio ha dato ad Adamo il regno “carismatico” del mondo arrivando fino alle classi regnanti attuali. Locke confuta il tradizionalista Robert Filmer dicendo che non è dimostrabile che la nobiltà derivi da Abramo e anche se così fosse, con una sorta di innatismo (è così perché deve essere così), il sovrano non potrebbe disporre come vuole del popolo. Dichiara inoltre che è il sovrano che serve il popolo e non il contrario Nel secondo trattato invece si dichiara che lo Stato deve garantire dei diritti all’uomo: mentre per Hobbes l’uomo ha l’unico diritto alla vita, per Locke l’uomo ha tutti i poteri tranne il potere conferito al regnante. Ne “sulla Ragionevolezza del cristianesimo” non tratta i limiti della religione nei riguardi della ragione, ma espone la convinzione che la ragione sia fondata sulla rivelazione biblica. Meglio: per Locke è oggetto di conoscenza scientifica ciò che è nei limiti dell’esperienza (differenza tra KNOWLEDGE e REASON), ma ciò non toglie che altre cose al di fuori dell’esperienza esistono (OPINION, BELIEF, FAITH). Per le cose che oltrepassano la Ragione c’è la Rivelazione, che però è above reason ma non against reason. Segue che è lecito applicare il metodo scientifico anche alle scritture, giustappunto la filologia. Mette quindi in discussione i dogmi fondamentali sulla tradizione che hanno minor valore di quelli fissati dal testo, potendo instaurare così ponti con le religioni simili. La differenza coi deisti è quindi che questi ritengono che non c’è niente al di sopra della ragione. I tradizionalisti assieme gli empiristi invece sostengono, come Galileo Galilei, che la realtà non entra in conflitto con la Fede. Considerazioni notevoli Il nesso tra i 3 trattati è l’esperienza umana: non possiamo conoscere la verità assoluta poiché essa è diversa da ogni uomo, e quindi respinge la conoscenza innata: nella religione vieta la discriminazione, nella politica il patriarchismo e nella filosofia fonda l’empirismo. Tutto nasce in base all’elaborazione delle cose osservate tramite l’esperienza; Conclusione del problema di Molyneux: i semplici, i selvaggi e i bambini non hanno le idee innate, segue che non esistono e che tutto si basa sull’esperienza Giacomo Bergami Compito 8 84 ILLUMINISMO [1689: Bill of rights. Si può dire che con questa data sia iniziato l’illuminismo, anche se solo in Inghilterra.] La differenza tra questo movimento culturale e gli altri precedenti (es. il barocco) è che questi ultimi non vennero impiegati politicamente, come invece fu l’illuminismo. Si rivolge ad un pubblico borghese (vedi i libri, l’Encyclopedie e i trattati scritti non più in latino ma nelle lingue nazionali). Si ha fiducia nella ragione e nel progresso, credendoli vivamente come mezzi per migliorare la società. Il passato è quindi arretratezza, il presente progredito, ed il futuro lo sarà ancora di più. Condorcet si identifica come appartenente di un’epoca storica intermedia rispetto a 12 epoche prefissate. La Terra viene studiata nella sua storia. Il marchese di Buffon ritiene che l’età della terra secondo la scienza sia diversa dall’età della stessa secondo le scritture (appurò questoanche se non con l’esattezza che noi oggi giorno possediamo). Questa fiducia si ebbe in epoche come: - Umanesimo (‘400) Rivoluzione scientifica (‘600) Illuminismo (‘700) Positivismo (‘800) che contrappongono la spiegazione dell’autorità (che può essere politica, religiosa o filosofica) con la spiegazione razionale. [Con la “Querelle des Ancien et des Modernes” già nel ‘600 si elogiava la modernità, anche se per fini encomiastici nei riguardi di Re Luigi XIV. La sintesi di questa può essere presente nella frase di Hume e di Bernardo di Chartres: “Noi siamo come nani seduti sulle spalle dei giganti” … Bacone disse che la verità è filia temporis … Montesquieu; non era sua intenzione, con il testo “Esprit des loix”, farsi vessillo delle rivoluzioni; ivi evidenzia le divisioni dei poteri presenti nell’Inghilterra … Più che allo stato democratico puntava ad uno monarchico dove i cittadini moderano l’autorità del sovrano.] Con la fine del ‘700 di ha il collasso della rivoluzione francese ed allora ci si affaccia verso il passato. Prende dunque piede il neoclassicismo. Winkelmann fu assunto dal re borbonico per gli scavi di Pompei, rimanendo folgorato dalle statue greche che emersero come nessuno le aveva mai viste prima. Ne segue un gusto estetico che si rivolge al passato. Si immagina l’antichità formato da statue e templi bianchi (anche se noi oggi giorno sappiamo con le moderne tecniche che questi erano in verità colorati). La ripresa di interesse nei confronti del passato è dovuto all’esaurimento dei modelli innovativi illuministici. VOLTAIRE. È l’incarnazione del neoclassicismo. Al secolo François-Marie Arouet, è un poligrafo, esprimendosi in opere di (grammatica?), pamflées, e opere filosofiche (ricordiamo anche le opere teatrali). Contribuì con Diderot e D’Alambert all’Encyclopedie. È un intellettuale di punta: collocandosi al centro dell’intellettuale politico prendendo parola in pubblico e dando le sue opinioni. Giacomo Bergami IVAH Compito 8 85 JEAN JAQUES ROUSSEAU Svizzero di Ginevra. Ebbe una concezione diversa rispetto agli altri illuministi. Anche se appartiene storicamente a questo movimento culturale, per certi aspetti non appartiene ideologicamente a questa corrente: per esempio bocciava l’Encyclopedie in quanto la riteneva troppo laica; non si unì quindi al coro dei philosophes. Ecco alcuni interventi che volevano interpretare il terremoto di Lisbona: Diderot e Voltaire Il terremoto prova l’assenza di un piano provvidenziale (ha ucciso infatti buoni e cattivi, atei e credenti), allora il piano cosmico è assente. Rousseau Nel libro “Lettere a un Vicario Savoiardo” dice che l’uomo non può giudicare (si valuta tale piano cosmico con il proprio metro umano e non divino, che è diverso dal nostro) Kant Questo sarà lo spirito del suo pensiero: il terremoto è dovuto al solo movimento delle masse terrestri. Non è una prova né in un senso né in un altro, (è solo un terremoto – questo è un atteggiamento scientifico, Dissente all’illuminismo in intervenendo solamente su tutto quanto lo ritiene troppo laico o ciò che è rilevante) manifesto, ma concorda sul giusnaturalismo. Secondo lui Arti e progresso causano regresso etico e sociale, poiché l’uomo si concentra sul profitto e non sull’umanità (?). l’uomo (prodotto?) dalla società anell’associarsi per utilità e proprietà privata è egoista, anteponendo l’egoismo all’amor di se e carità. • Nei due discorsi per l’accademia delle scienze di Dijon, delle quali vince la prima, parla di: - Valutazione critica del progresso - Esaltazione dell’umanità primitiva, con il mito del Buon selvaggio (Bon Sauvage) L’uomo è buono per natura, è la società che lo corrompe. (questo si chiama pregiudizio positivo rousseauniano). [Questo concetto è in antitesi con quello di Hobbess, dove la natura di per se è malvagia. Ma come può nascere una società corrotta da un uomo inizialmente buono? • “Emilio” [Questo è un trattato sull’educazione dei figli; anche se i cinque figli che ebbe li mandò tutti in collegio; questo perché questi erano una perdita di tempo per la ricerca filosofica… ed inoltre credeva nell’ideale platonico che fosse lo stato a educare i figli.] Tradizionalmente il bambino veniva visto come un uomo in miniatura, ai quali si concedeva però un’attenuante per quanto riguarda l’istruzione: era visto come un vaso da riempier e non un legno da far ardere. Egli invece scriveva che il giovane deve imparare da solo facendo esperienze, scoprendole inoltre da solo. (non ritroviamo però che il bambino è il buon selvaggio?... ) Troviamo il sensismo: è determinante l’esperienza nella vita dell’individuo. • Il “Contratto Sociale” È l’opera più famosa: «l’uomo è nato libero ma ovunque è in catene». La società corrotta si basa su principi sbagliati e con un contratto iniquo. Si vuole quindi ottenere un contratto equo e giusto. Dava essere quindi democratico. Non si cede la sovranità al Leviatano ma la Giacomo Bergami IVAH Compito 8 86 si tiene per sé, es. quando si vota. Il modello democratico genera solo rappresentanti del sovrano che è il popolo. Come si è già detto la natura dell’uomo è corrotta dalla società ed è impigrito dalle scienze e dalle arti tecniche, che provocano inoltre la divisione tra ricchi e poveri. La magistratura è fondata per l’equità, ma diventa strumento per difendere il privilegiato… e il potere Arbitrario dei padrini sugli schiavi. La corruzione della società è emendata dal nuovo CONTRATTO SOCIALE degli uomini, che non è basato sulla diseguaglianza ma sull’eguaglianza (Égalité). Non avviene quindi nessun trasferimento di sovranità: il cittadino resta comunque il sovrano. - Nella democrazia diretta (possibile solo nelle piccole comunità, es. quelle delle città svizzere con una realtà cantonale) ciò è immediato e trasparente. - Nelle grandi comunità c’è il problema della rappresentanza. Per esse sofferenza è proprio la rappresentanza politica, non essendo possibile intervenire tutti sulla discussione (es. sarebbe impossibile per 47 milioni di abitanti).[Sarebbe possibile, per esempio, solo con la democrazia informatica, non ci sarebbe il problema della rappresentanza politica e tutto sarebbe direttamente nelle mani dei cittadini] Il paradosso della democrazia è che un partito non democratico può andare al potere se è in maggioranza… per uscirne adotta la teoria della VOLONTA’ GENERALE: essa esprima la razionalità della comunità, è quindi razionale e mira al bene comune (ovvero tutela tutti). È diversa dalla VOLONTA’ DELLA MAGGIORANZA, che può essere non razionale e minore al bene della parte rispetto al tutto. A sua volta la volontà generale può non coincidere con la volontà generale, distinguendosi. [Aristotele infatti afferma che la peggiore forma di governo di tutte è l’oclocrazia: in effetti con la tirannide, morto un tiranno si può restaurare il potere legittimo).] Ivi anche chi è in minoranza numerica ma esprime la volontà generale ha il dovere di prevalere nel rispetto dei diritti umani fondamentali. Il problema è il fatto che non sempre questa minoranza può essere poratrice dei giusti ideali:la democrazia è quindi un paradosso insolubile, un circolo vizioso. Scrive anche le “Confessioni”, autobiografia con lo stesso titolo di quella di S. Agostino. È un precursore del romanticismo in quanto elegge il pensiero… Giacomo Bergami IVAH Compito 9 87 IMMANUEL KANT Nato e morto a Könisberg nisberg (1724-1804) (1724 1804) [da dove non uscirà mai, oggi Kaliningrad, Kaliningrad era proverbiale la sua puntualità. Si narra che l’unica volta che non arrivò puntuale ci fu un terremoto. Aveva anche tempi di riflessione molto lunghi, infatti pensò per 20 anni per una offerta di matrimonio: nel contempo la sposa era già di un altro]. Si può dividere la filosofia come quella prima di Kant e quella dopo di Kant. [Insegnò dal 1770 all’Università. Si forma attraverso le lezioni di H. Chr(istian?)) Wolff, seguace di Locke e Leibniz, riuscendo a sommare due visioni inconciliabili]. Kant fonda la filosofia trascendentale… trascendentale Locke: empirismo NIHIL EST IN INTELLECTU QUOD NON FUERIT ANTE IN SENSU … (=Niente è nell’intelletto che prima non è stato in sensu) Leibniz: … NISI INTELLECTUS IPSE (= se non lo stesso intelletto) Razionalismo Sulla differenza creerà le tesi per unire questi due concetti… I suoi studi si possono dividere in fasi: - Fase Precritica: dal ’70 al 81 produce scritti di carattere scientifico. Ivi interviene anche sulla teoria cosmologica, crea infatti assieme a LA PLACE una teoria secondo la quale l’Universo è stato creato senza alcuna forma di divinità, tramite compressione di masse gassose originarie da cui, in seguito ad una esplosione, si originarono i pianeti. critica Kant mantiene un pensiero pensiero filosofico che oscilla fra il Razionalismo e «Durante la fase pre-critica l'Empirismo di Hume, fino alla celebre rivoluzione copernicana, come lui stesso la definì, che aprirà una nuova era per la filosofia. Nel 1770 pubblica infatti la dissertazione De mundi sensibilis atque intellegibilis forma et principiis, principiis, comunemente chiamato solo Dissertazione, che lascia intravedere i primi originali sviluppi della nuova filosofia critica Kantiana. La Dissertazione segna pertanto una tappa fondamentale per lo sviluppo del suo pensiero, e può essere vista come una sorta di trait d'union tra la vecchia filosofia e la nuova filosofia critica che Kant delineerà compiutamente, ben dodici anni dopo, con la Critica della ragion pura nel 1781.» 1 - Produzioni mature: 1781--1898. In questo periodo si possono le sue tre opere più famose che saranno oggetto di studio. o 1781: Critica della Ragione Pura (Conoscenza matematica) o 1787: Critica della Ragion Pratica (Conoscenza) o 1791: Critica del Giudizio (Arte e Sentimento) – Anno della morte di Mozart 1a. Critica della ragion pura (Kritik der reinen Vernunft) Con il termine “critica” (Kritik)) si intende il suo significato letterale, ovvero quello del vocabolo latino dal quale deriva direttamente, cernere, con il significato di capacità di scegliere, scegliere separando con precisione ciò che è bianco dal nero. Si propone quindi di separare ciò che è scienza da quello 1 Da Wikipedia Giacomo Bergami Compito 9 88 che non lo è. Ci si pone il quindi problema: la Matematica e la Fisica sono scienze? Se sì perché? La Metafisica inoltre è una scienza? Se sì o no, perché? La “ragione pura” inoltre è la ragione nella sua (essenza) intrinseca e nella sua interiorità. La critica è inoltre lo strumento della stessa ragione pura… [Locke critica le idee innate e la sostanza, Hume la casualità e l’io-sostanza – nonostante lo scorrere del tempo, noi siamo persone diverse che semplifichiamo in un unico individuo per accumulazione delle nostre esperienze] [Dal Filosofico: «"Lo confesso francamente: l'ammonimento di David Hume fu ciò che molti anni fa, per primo mi svegliò dal sonno dogmatico"[...] sicuramente egli costituisce un interlocutore essenziale per lui. Le obiezioni humiane alla causalità necessaria riguardavano un concetto di cui anche Kant, come abbiamo visto, sentiva la problematicità. Esse inoltre avevano fortemente ridimensionato, ancora una volta in sintonia con le esigenze kantiane, le pretese della metafisica. Tuttavia l' esito scettico di Hume aveva coinvolto, oltre ai tradizionali oggetti della metafisica, anche i fondamenti della scienza moderna ( newtoniana ), dei quali Kant non ebbe mai a dubitare. Indipendentemente dalla funzione storicamente svolta da Hume nella nascita del criticismo kantiano, è certo che il pensiero dello scozzese esercitò uno stimolo importantissimo, anche in piena fase critica, circa la ricerca di un fondamento della conoscenza che, se da un lato mostrava l' illusorietà della metafisica, dall' altro salvaguardava la validità del sapere scientifico. La critica alla validità necessaria della scienza era stata imperniata da Hume sulla nozione della causalità. Egli aveva mostrato, e Kant accoglie questa critica, come l' esperienza non fornisca mai la necessità della connessione causale, ma soltanto una successione temporale e una contiguità spaziale dei fenomeni. Nella terminologia kantiana ciò si esprime dicendo che la necessità causale non può essere data da alcun giudizio a posteriori (d' esperienza). Nello stesso tempo anche Hume, come Kant, sapeva bene che la causalità necessaria non può essere dimostrata in base al principio di identità, poiché l' effetto non è identico con la sua causa. In termini Kantiani la causalità non è data da alcun giudizio analitico (fondato sul principio d' identità). Se si vuol salvare la validità oggettiva della causalità, e con essa quella di tutti i concetti intellettuali di cui la scienza si serve per dare leggi alla natura, il problema diventa allora quello di ritrovare una forma di connessione (nella fattispecie tra causa ed effetto, ma in generale tra le rappresentazioni che devono essere connesse necessariamente), la quale da un lato non si fondi sull' esperienza (poiché questa, essendo sempre particolare, non può dare conoscenze universali), e dall' altro non si riduca all' applicazione del principio di identità (che è inadeguato a spigare la connessione di cose irriducibili l' una all' altra). In altri termini si tratta di indagare la possibilità di un giudizio che per un verso non sia a posteriori, ma a priori, e per l' altro non sia analitico, ma sintetico : si tratta cioè di vedere se, e come, siano possibili giudizi sintetici a priori.»] La matematica e la fisica sono scienze perché dimostrano dei fatti [...] perché e come (le cose avvengono… in natura). Esse dispongono di giudizi che dichiarano universalmente delle cose. Quello che è vero, non solo (è tale) perché si verifica ma perché si hanno delle osservazioni che generalizzano le esperienze [...]. Kant ritiene che queste discipline scientifiche siano nate in epoche differenti, partendo da Talete per la Matematica e dalla Rivoluzione Scientifica, portando un iniziale discorso vago ad uno scientifico. La metafisica invece non è una scienza: «Per Kant la metafisica è insita alla ragione umana, cioè costituisce una sua “disposizione naturale”. Una volta la metafisica era considerata la regina delle scienze; ai tempi di Kant appare ripudiata e abbandonata. L'empirismo e l'illuminismo hanno prodotto il disprezzo o quanto meno l'indifferenza nei confronti della metafisica. Ma il disprezzo e l'indifferenza sono soltanto apparenti: anche chi pretende di tenersi lontano dalla metafisica ricade inevitabilmente in essa, dato il suo carattere “naturale”. Il problema, quindi, non è tanto quello di liberarsi della Giacomo Bergami Compito 9 89 metafisica, quanto quello di valutare se essa può avere le caratteristiche della scienza. Kant compie un gesto “rivoluzionario” e chiama la ragione a decidere: la ragione critica e giudica se stessa; riconosce i propri limiti, ma (al contrario di quanto aveva fatto John Locke) non si arresta di fronte ad essi, perché - una volta individuato il confine fra scienza e non scienza - niente può sottrarsi alla sua analisi critica, a partire dai motivi per cui “cade in oscurità e contraddizioni”. [...] Ma per quanto riguarda la metafisica, il suo cattivo modo di procedere fino ad oggi, e il fatto che non si può dire di nessuna singola metafisica finora prospettata, per quanto riguarda il suo scopo essenziale, che essa attualmente esista, fanno dubitare ognuno, con fondamento, della sua possibilità di esistere. Tuttavia, anche questa specie di conoscenza è, in certo senso, da considerare come data, e la metafisica è in atto [esiste realmente], se non come scienza, almeno come disposizione naturale (metaphysica naturalis). Poiché la ragione umana procede incessantemente - non che sia spinta a ciò da mera vanità di troppo sapere, ma per un bisogno suo proprio - fino a tali questioni, che non possono trovar risposta mediante nessuna applicazione sperimentale della ragione né attraverso princípi da essa dedotti, e cosí realmente una qualche forma di metafisica vi è stata e vi sarà sempre in tutti i tempi e per tutti gli uomini, non appena la ragione si apre in loro fino alla speculazione. E cosí anche per la metafisica sorge allora la questione: Come è possibile la metafisica in quanto disposizione naturale? Ci si chiede cioè come sorgono le questioni che si propone la ragion pura, e a cui essa, per quel che può, è sollecitata a rispondere per sua propria esigenza, secondo la natura dell'universale ragione umana? Ma siccome in tutti i precedenti tentativi di soluzione di tali questioni naturali - per esempio, se il mondo abbia un inizio o esista dall'eternità, e cosí via - hanno sempre incontrato inevitabili contraddizioni, non ci si può accontentare della semplice disposizione naturale per la metafisica, cioè della stessa pura facoltà razionale, dalla quale appunto nasce sempre una metafisica, quale che si voglia. Deve essere invece possibile pervenire alla certezza intorno ad essa, o nella conoscenza o nella non conoscenza dei suoi oggetti, ossia o nella decisione sugli oggetti delle sue domande o nella decisione sulla capacità della ragione di stabilire qualcosa intorno a questi oggetti; si tratta, dunque, o di ampliare con sicurezza la nostra ragion pura o di porle limiti determinati e sicuri. Quest'ultima questione, che scaturisce dal precedente problema generale, troverebbe una giusta formulazione nella domanda: Come è possibile la metafisica come scienza? Kant, Critica della ragion pura, “Prefazione alla prima edizione” e “Introduzione alla seconda edizione”»2 Per ckant esistono due tipi di giudizio e, valutando i giudizi utilizzati dalla filosofia di tutti i tempi sceglie i due modelli teorici di riferimento della filosofia del ‘700: GIUDIZIO ANALITICO A PRIORI: «Il giudizio analitico, a priori perché pronunciato prima, indipendentemente da ogni esperienza, è così chiamato perché risulta dall' analisi, dalla scomposizione del soggetto: è un'affermazione formulata a priori la cui validità è universale e necessaria e quindi non necessita della verifica sperimentale, in quanto il concetto che funge da predicato si può ricavare dal soggetto. Questi tipi di giudizi sono però tautologici perché affermano solamente ciò che è già noto e quindi non danno alcuna informazione aggiuntiva. L'esempio kantiano «Il triangolo ha tre angoli» è un giudizio analitico. Se io analizzo, scompongo il soggetto (triangolo) vedo che esso è costituito da diverse caratteristiche connesse col concetto stesso di triangolo: ha tre angoli, ha tre lati, la somma degli angoli interni è uguale a 180 gradi. Di queste caratteristiche, che conosco senza averne fatto esperienza (a priori), ne metto in evidenza una (ha tre angoli) nel predicato dove dunque non si dice niente di nuovo rispetto al soggetto. Un giudizio analitico può, semmai, aiutare a comprendere più facilmente i concetti impliciti contenuti in un soggetto ma non dà nuove informazioni e non ha un carattere produttivo; è pero universale, vale per tutti gli uomini dotati di ragione, e necessario, una volta affermato non può più essere negato. Se dico che il triangolo ha tre angoli rimarrò fisso per 2 Dal Filosofico Giacomo Bergami Compito 9 90 sempre a quest'affermazione. Questo è il tipo di giudizio usato dai razionalisti.» razionalisti. 3 Ne è un esempio un quadrato ha quattro angoli e 4 lati Non dice nulla che noi non possiamo dire guardandolo, ma spiega contenuto che abbiamo fenomenicamente davanti. [Con la freccia azzurra si identificheranno identifichera i vantaggi, con quella rossa gli svantaggi] svantaggi Universalità per tutti gli oggetti (es. tutti i quadrati) Non arricchisce la conoscenza dato che si considerano affermazioni universali e valide sempre GIUDIZIO ANALITICO A POSTERIORI: POSTERIORI «Nel Nel giudizio sintetico, così chiamato perché si può pronunciare in sintesi, sintesi in unione con l'esperienza, la connessione fra soggetto e predicato viene pensata "senza identità": il predicato contiene qualcosa di nuovo che non è compreso nel concetto del soggetto, come nell'esempio "alcuni corpi sono pesanti". Infatti alcuni corpi sono pesanti altri leggeri. Si ricordi che l'esempio kantiano si rifà ad Aristotele, per il quale alcuni corpi - terra e acqua - sono per natura pesanti, mentre altri - aria e fuoco - sono per loro natura leggeri. Il predicato, nel giudizio sintetico, è collegato al soggetto oggetto in forza dell'esperienza: i giudizi sintetici sono dunque a posteriori, posteriori si possono pronunciare solo dopo aver fatto esperienza e per questo essendo collegati alla sensibilità non hanno universalità e necessità ma sono estensivi della conoscenza. Questo Questo è il tipo di giudizio usato dagli empiristi.»4 Arricchisce la conoscenza Ha valore soggettivo singolare GIUDIZIO SINTETICO A POSTERIORI: Con questo giudizio la Matematica e la Fisica prendono dei due giudizi precedenti, i quali esistono poiché basati sull’esperienza occorre che la conoscenza abbia quindi quindi questi due procedimenti, solo i pro e non i contro. Kant parte dal presupposto che mentre la filosofia è entrata in possesso di procedimenti imperfetti che possiedono dei pro e dei contro, la matematica e la fisica prendono dei due procedimento solo i vantaggi. antaggi. Esempi di questo giudizio sono per la Matematica “ૠ “ ൌ ”” (solo con 7 o con 5 non si ha il concetto di 12) e per la Fisica “tutti “tutti i metalli riscaldati si dilatano”” [[La sfida è dire: la metafisica può fare lo stesso della matematica ma entro certi limiti, oltre i quali non si ha più la scienza.]] 3 4 Da Wikipedia Da Wikipedia Giacomo Bergami Compito 9 91 È universale ed arricchisce la conoscenza. NESSUN ASPETTO NEGATIVO [Da Wikipedia:«Il Il giudizio sintetico a priori è un giudizio che pur ampliando la conoscenza, dal momento che il predicato non è implicito nel soggetto, presenta i caratteri di universalità e necessità, cessità, perché non deriva dall'esperienza. L'esempio kantiano di 7 più 5 eguale 12 mostra come il predicato (dodici) non è compreso come nei giudizi analitici nel soggetto, ma c'è qualcosa di più: il rapporto di addizione che in 5 e in 7 presi di per sè non non hanno. Dunque questo giudizio per un verso non dipende dall'esperienza, e quindi è necessario ed universale, e per altro verso nel predicato dice qualcosa che non era contenuto nel soggetto e quindi è estensivo della conoscenza. La validità universale e la certezza che caratterizzano il giudizio sintetico a priori derivano infatti dalla possibilità dell'intelletto di «uscire a priori dal concetto», rivolgendosi all'intuizione pura attraverso la «guida» di un termine medio, cioè dello schema prodotto dall'immaginazione dall trascendentale. Quando cioè si passa da un concetto ad una intuizione per ottenere un giudizio sintetico a priori occorre stabilire un rapporto con la forma del senso esterno (forma pura spaziale) da parte del senso interno (forma pura temporale) temporale) autodeterminata intellettualmente attraverso l'identità dell'appercezione. I giudizi sintetici a priori sono i fondamenti su cui poggia la scienza poiché accrescono il sapere (in quanto sintetici), ma non necessitano di essere riconfermati ogni volta dall'esperienza perché universali e necessari. In questo caso Kant ha una posizione nettamente distinta da quella di Hume, in quanto il filosofo scozzese, essendo empirista, riterrebbe necessaria ogni volta una conferma giacché a suo parere non si sarebbe in grado di dire che le cose in futuro non potrebbero cambiare.»] cambiare. 1b. La filosofia trascendentale [Originariamente il termine “trascendente” significava qualcosa che sta al di là della materia, come la REX COGITANS o la REX EXTENSA, il DEUS SIVE SIV NATURA,, le IDEE platoniche e la MONADE di Leibniz] Per Kant trascendentale trascendentale è invece la conoscenza, ovvero le strutture cognitive che si dispongono e che sono uguali per tutti gli esseri umani. La Filosofia trascendentale è per Kant l’indagine l’ sulle forme trascendentali ndentali della conoscenza, conoscenza assumendo così un significato diverso da ciò che si è inteso fino ad allora in filosofia. Kant si occupa, parlando di forme trascendentali del nostro modo di conoscere (l’indagione ( indagione trascendentale, trascendentale 5 che può essere estetica trascendentale trascend , dialettica trascendentale6…) di forme cognitive comuni che determinano la nostra esperienza (Sono quindi forme pure a priori). 5 Kant usa il termine "estetica" intendendo il suo significato etimologico: aisthesis in greco significa "sensazione", "percezione". Infatti, in questa parte della Critica, Kant si occupa della sensibilità e delle sue forme. La sensibilità svolge due ruoli nel nel processo conoscitivo. Il primo di questi è recettivo (passivo) ed è il procedimento attraverso cui prende i propri contenuti dalla realtà esterna. In seguito la sensibilità svolge il suo secondo ruolo (attivo) e cioè riordina le informazioni empiriche tramite t le forme a priori. Queste sono lo spazio e il tempo. Lo spazio è la forma del senso esterno e si occupa Giacomo Bergami Compito 9 92 Ciascuno può avere ha un’esperienza diversa dell’oggetto osservato in termini distanza. Ma se tutti la analizzano dalla stessa angolazione a distanza, (es.) la foto della lavagna (concetto mentale) sarà sempre uguale in condizioni STANDARD. La foto equivale alla ANALISI SCIENTIFICA DELL’OGGETTO nell’esempio sopracitato. Solo dall’aspetto fenomenico un oggetto è conoscibile. conoscibil Noi non cogliamo la realtà in modo neutrale ma la modifichiamo: non siamo passivi nel guardare l’oggetto. Organizzando la realtà la trasformiamo. [...] Mentre prima si riteneva che il soggetto fosse passivo nel comprendere, con Kant si parla di intuizione empirica;; l’oggetto dà il contenuto e la forma l’intuizione empirica.. Spazio e tempo sono dimensioni interiori della nostra esperienza vitale e conoscitiva. (Esempio è il fatto che la nostra mente dell'intuizione della sola disposizione delle cose esterne. Il tempo è la forma del senso interno e regola la successione delle cose interne. Spazio Spazio e tempo, secondo Kant, sono quadri mentali a priori entro cui connettiamo i dati fenomenici, sono trascendentali, cioè "reali" ed "oggettivi" rispetto all'esperienza, ma non derivano da essa in quanto essa presuppone le rappresentazioni di spazio e di tempo. Questi hanno natura intuitiva, cioè non subiscono la mediazione delle categorie, e non discorsiva in quanto non concepiamo lo spazio dai vari spazi, ma intuiamo i vari spazi come un unico spazio (dimostrazione metafisica dell'apriorità dello spazio e del tempo). Secondo Kant la matematica e la geometria sono sintetiche e a priori in quanto la loro validità è indipendente dall'esperienza e aggiungono qualcosa di nuovo al soggetto. La geometria usa intuitivamente lo spazio e la matematica fa lo stesso con il tempo, cioè di successione, senza ricavarli da altro (dimostrazione matematica dell'apriorità dello spazio e del tempo). Di conseguenza essendo aritmetica e geometria basati su spazio e tempo, così come la sensibilità umana, allora possono essere applicate ap al mondo fenomenico. Da Wikipedia 6 Proprio dai due diversi usi, legittimo e legittimo, che si possono fare dell'intelletto deriva la suddivisione della Logica trascendentale in Analitica trascendentale (che studia l'uso legittimo delle categorie e dell'intelletto, ovvero in abbinamento all'esperienza) e Dialettica trascendentale (che invece studia l'uso illegittimo dell'intelletto, il risultato a cui tale uso porta e le precauzioni da prendere per prevenirlo). Nell'Analitica trascendentale si serve serve della parola 'intelletto' per designare l'intelletto impiegato nel suo uso legittimo, mentre nella Dialettica trascendentale designa col nome di 'ragione' l'intelletto impiegato in modo illegittimo, in modo meta-empirico. meta empirico. Ecco dunque che il termine 'ragione', one', che nel titolo Critica della ragion pura era sinonimo di 'mente', passa qui a caricarsi di un valore negativo. Kant desume da Aristotele i termini Analitica (l'uso legittimo dell'intelletto) e Dialettica (l'uso illegittimo dell'intelletto). dell'intelletto) Dal Filosofico Giacomo Bergami Compito 9 93 Noi percepiamo il mondo circostante organizzato in un tempo e di uno spazio che sono propri ed interiori nell’uomo [... nei nostri infiniti spazi interiori] … tutto ciò che si vede può essere inteso come una percezione esteriore dei nostri sensi che nella realtà potrebbe anche non esistere. « Dunque è il soggetto a costruire l'oggetto , e non viceversa: è il soggetto che riceve il materiale dell'esperienza filtrato dal tempo e dallo spazio e che lo costruisce in base alle sue forme mentali. Tuttavia, Kant non è certo un idealista [...], bensì è convinto che il materiale della conoscenza derivi dalla realtà (dalla cosa in sè), anche se filtrato dalle forme sensibili e da quelle intellettuali. Dunque l'oggetto è costruito dal soggetto, e proprio in virtù di questo processo costruttivo si tratta di una conoscenza oggettiva (universale). [...] « Fenomeno (dal greco fainomenon, ciò che appare ) è ciò che appare, è l'oggetto dell'esperienza sensibile, mentre noumeno (dal greco noumenon ciò che è pensato ) è ciò che viene pensato, il possibile oggetto del pensiero. [...] Kant introdu[ce] il concetto di 'cosa in sè' come sinonimo di noumeno: parla di cosa in sé perché si tratta della cosa non in riferimento alla mia attività conoscitiva, ma slegata, a sé stante. Il Kant della Ragion pura, invece, proclamerà l'inconoscibilità della cosa in sè asserendo che la nostra conoscenza si ferma al fenomenico.» « Qui Kant concepisce lo spazio e il tempo in maniera differente rispetto alle nozioni leibniziane e newtoniane, spiegando che essi non hanno esistenza oggettiva (come pretendeva Leibniz) e non sono assoluti, indipendenti dalle cose in essi immerse e dai soggetti conoscenti (come voleva Newton): per Kant spazio e tempo sono realtà soggettive , che non appartengono agli oggetti e al noumeno, ma al nostro modo di conoscere gli oggetti e al fenomeno. « Essi appartengono dunque alle forme della conoscenza sensibile (fenomenica), fanno parte non della natura delle cose in sè, ma della natura del nostro modo di percepire: percepiamo, infatti, le cose nello spazio e nel tempo. Ma dobbiamo prestare attenzione a non farci ingannare dal linguaggio kantiano: egli per oggettivo intende sì qualcosa di opposto al soggettivo, un qualcosa che non dipende dal soggetto ma è a sè stante (il noumeno), tuttavia in Kant il termine 'oggettivo' è spesso sinonimo di 'universale': ad esempio, spazio e tempo sono soggettivi, nel senso che non appartengono alle cose come sono in sè, ma alle cose come appaiono a noi; detto questo, però, Kant dice anche che la nostra conoscenza delle cose nello spazio e nel tempo è oggettive, ha cioè valenza universale, vale per tutti i soggetti umani. Dire che la conoscenza fenomenica è oggettiva sembra un paradosso, perchè il fenomenico è soggettivo, non attinge la cosa oggettivamente come è in sè: però, avendo tutti gli uomini la stessa struttura mentale, allora conoscono le cose, sostanzialmente, tutti nella stessa maniera, che non è oggettiva nel senso che attingono la cosa in sè, ma è oggettiva nel senso che tutti la percepiscono fenomenicamente allo stesso modo: quando, ad esempio, parlo della penna, nessuno può cogliere il noumeno, ma dicendo 'la penna è qui' tutti mi capiscono perchè hanno le mie stesse strutture mentali. «Così si spiega dunque perchè per Kant la conoscenza fenomenica è oggettiva (universale), grazie al fatto di essere soggettiva : avendo tutti noi gli stessi strumenti per conoscere le cose in modo soggettivo (nello spazio e nel tempo), si tratta però di una conoscenza universale, cioè oggettiva; il che ci permette di comunicare. « Sempre nella Critica della ragion pura , Kant spiega che non si possono conoscere le cose in sè, ma le si possono comunque pensare: penso alla penna conosciuta fenomenicamente, la percepisco e la inquadro intellettualmente: rifletto sul fatto che al di là della penna c'è la penna in sè, da cui derivano tutti gli elementi sensibili, e sebbene io possa pensarla, tuttavia non posso conoscerla, perchè dovrei avere un concetto privo di contenuto della penna, senza relazioni con altre cose: dovrei avere il noumeno.»7 7 Dal Filosofico Giacomo Bergami Compito 9 94 Ciascuno dei 2 termini modifica l’altro: l’oggetto l in quanto è visto [...], il i soggetto tramite cognizioni spazio/temporali omogenee per tutti gli individui [è] interno alla psiche… Dell’oggetto si vede il fenomeno (dal gr. Faines, fai) fai ciò che si rivela, manifesta, quello che pensiamo. pensiamo Invece quello che si può solo pensare (solo conoscere e non toccare dall’oggetto) è il noumeno; si può andare ad analizzare un oggetto all’infinito, am esisterà sempre una parte intrinseca e nascosta che non sarà mai conoscibile. bile. La scienza tende ad allargare il fenomeno, ma sarà sempre costretta a fermarsi di fronte al noumeno. [Es. se le cimose sono esseri viventi non lo si può sapere;] questa è la quidditas,, la parte intima e profonda. L’essenza della realtà sfugge alle analisi an quantitative della scienza. Ma sappiamo che il suo obiettivo è quello di evitare che le sfere scientifiche e metafisiche si invadano. [Inizialmente con la Res Cogitans, essendo un atto lo posso conoscere ma una res e basta non la posso conoscere perché non origina atti.] La conoscenza è scientifica all’interno del RECINTO DEL FENOMENO. Come un occhio dei due puntato sull’attore, non conoscendo il fondo e la scena. Conoscere non è solo riconoscere l’oggetto e stabilire relazione DATI/FORME. Non è solo relazionarcisi, ma conoscere è giudicare. «Viene Viene rifiutata, dunque, da Kant la metafisica come scienza delle leggi dell'essere in sè, ma viene accettata come scienza dello studio delle leggi dell'essere fenomenico, così come ci appare : del resto le leggi della realtà così come ci appare siamo noi a stabilirle, non nel senso che decidiamo noi come vada il mondo, ma nel senso che le leggi generali del funzionamento della realtà empirica come ci appare derivano dal nostro tro modo di concepire la realtà.» realtà FACOLTÀ Sensibilità Intelletto Ragione FORMA A PRIORI ATTO Spazio e tempo Intuizione empirica Categorie Giudizio Idee metafisiche Teorie La sensibilità la si può individuare come l’estetica trascendentale e l’intelletto l’analitica l’ trascendentale. [Il giudizio è l’intelletto per giudicare le dodici categorie, categorie simili a quelle di Aristotele ma in maggior numero, i quali inoltre classificano realtà e rappresentano modi di essere.] Per Kant le dodici categorie non sono tanto modi, ma modalità modalità di giudizio. [L’affermazione “questo è un gesso” per esempio contiene qualità affermativa, carattere singolare e relazione categorica.] 1c. Schema Trascendentale Riconoscendo vari oggetti con caratteristiche tra loro simili, accomunando ad essi delle del qualità comuni li posso identificare come appartenenti ad una stessa classe: (es. comparando vari gessi riesco a determinare la caratteristica del gesso). Questo processo avviene tramite una specie di imbuto mentale: la molteplicità olteplicità dei dati empirici viene viene riunito secondo uno standard mentale in un'unica immagine. [Un igloo, una tenda, una casa di mattoni possono essere chiamate sempre “casa” da popoli differenti, definendolo tale secondo il proprio standard.] Giacomo Bergami Compito 9 95 Altro modo di schematizzare è contare il totale di 3 mele come TRE e non come l’unione di una mela, una mela e una mela. Altro schema ancora è la permanenza degli oggetti del tempo (come Hume), vedendo ruotare un gesso lo considero sempre lo stesso e non molteplici differenti. [Dal Filosofico: «A completare il quadro del processo conoscitivo - dall’intuizione sensibile alla sintesi operata dall’“io penso” -,, per chiarire come i concetti entrano in relazione con i dati dell’esperienza sensibile, Kant introduce un nuovo elemento: lo “schematismo “schematismo trascendentale”. Ad esso Kant dedica una delle pagine piú complesse della Critica della ragion pura e avverte il lettore: “Questo schematismo del nostro intelletto, rispetto ai fenomeni e alla loro semplice forma, è un’arte celata nel profondo dell’anima l’anima umana, i cui veri strumenti noi difficilmente strapperemo alla natura per esporli scopertamente innanzi agli occhi”. I. Kant, Critica della ragion pura,, Parte II, Analitica trasc., II, cap. I In ogni sussunzione di un oggetto sotto un concetto la rappresentazione del primo deve essere omogenea con quella del secondo: cioè, il concetto deve contenere ciò che è rappresentato nell’oggetto da assumersi sotto di esso; questo, infatti, è pure il significato ificato dell’espressione: “un oggetto è contenuto sotto il suo concetto”. Cosí il concetto empirico di un piatto è uniforme con quello geometrico puro di un cerchio, cerchio in quanto la rotondità che nel primo è pensata, nel secondo può essere intuita. Ma i concetti tti puri dell’intelletto, a paragone delle intuizioni empiriche (in generale sensibili), non sono loro affatto omogenei, né possono mai venir trovati in alcuna intuizione. Nessuno potrà però dire, allora, come sia possibile l’assunzione delle ultime sotto i primi, e pertanto l’applicazione della categoria ai fenomeni: questa, per esempio la causalità, potrebbe mai essere anche intuita mediante i sensi ed essere contenuta nel fenomeno? Questa questione cosí naturale e importante è poi, propriamente, la causa che rende necessaria una dottrina trascendentale del giudizio, per mostrare appunto la possibilità: come concetti puri dell’intelletto possano essere applicati a fenomeni. [...]. Allora è chiaro, che ci deve essere un terzo elemento, che deve stare in omogeneità da un lato con le categorie, dall’altro con il fenomeno, e rende possibile l’applicazione delle prime al secondo. Questa rappresentazione mediatrice deve essere pura (senza nulla di empirico), e tuttavia essere da un lato intellettuale, dall’altro dall’alt sensibile. Tale rappresentazione è lo schema trascendentale. [...]. Lo schema è in se stesso ognora un prodotto dell’immaginazione; ma in quanto la sintesi di questa non ha in vista alcuna singola intuizione, bensí solo l’unità nella determinazione della della sensibilità, lo schema è pertanto da distinguere dall’immagine. Cosí, se io metto cinque punti uno dopo l’altro: •••••, questa è un’immagine del numero cinque. Invece, se io penso soltanto a un numero in generale, che può essere poi cinque o cento, questoo pensiero è piuttosto la rappresentazione di un metodo, per rappresentare in una immagine una molteplicità (per esempio, mille) in conformità di un certo concetto, che non questa immagine stessa, che io Giacomo Bergami Compito 9 96 in quest’ultimo caso difficilmente potrei contemplare e comparare al concetto. Ora, questa rappresentazione di un processo generale dell’esperienza rivolto a procurare a un concetto la sua immagine, è quella che denomino lo schema per questo concetto. [...] Il concetto del cane significa una regola, secondo la quale la mia immaginazione può designare la figura di un certo animale quadrupede, senza essere limitata ad alcuna singola particolare figura propostami dall’esperienza o a qualsiasi possibile immagine, che io possa proporre in concreto. Questo schematismo del nostro intelletto, rispetto ai fenomeni e alla loro semplice forma, è un’arte celata nel profondo dell’anima umana, i cui veri strumenti noi difficilmente strapperemo alla natura per esporli scopertamente innanzi agli occhi.»] POST SCRIPTUM: È definita la rivoluzione copernicana della filosofia in Kant l’attività della ragione nell’atto di conoscere: è attiva e non passiva → vedi pag. 92 e seguenti 1c(d). La Ragione Conoscere non è soltanto esprimere giudizi singoli, ma arrivare a concetti (scienze) generali ed universali. La nostra mente cerca di inserire giudizi fondati sull’esperienza in uno schema più vasto, giudizi validi perché vale la proporzione: Singolo oggetto fenomeno : intuizioni empiriche = Regolarità, omogeneità dei fenomeni : giudizi universali o leggi Un oggetto crea le intuizioni empiriche COME tutti gli oggetti assomigliano donde le leggi La mente allora prescrive le leggi alla natura; non è più la mente che prescrive le leggi [no analogia dell’esperienza]. Ma se un oggetto confuta il precedente fenomeno, allora bisogna rifermare le leggi, mantenendo così la suddetta proporzionalità [la lettura dell’Abbagnano è invece dogmatica] si soddisfa così il GIUDIZIO SINTETICO A PRIORI (→vedi pag. 89). Meglio: attività della scienza è trovare ciò che è nelle cose e valutarne le leggi. Ma è il soggetto che da forma alle esperienze e [...] guardando al schematismo trascendentale [1c] che raggruppa la molteplicità delle esperienze in un giudizio. [L’uomo, osservando un fenomeno e formulatala legge, può estendere l’analisi a tutto la sfera del suo conoscibile], ma è l’uomo stesso che compie questo atto conoscitivo; la teoria può rivelarsi errata all’osservazione di un altro fenomeno e quindi risulta necessario formulare un’altra teoria. Infatti le leggi della natura vengono date con un linguaggio umano [...] ma la natura non è strettamente legata alla legge unama [il libro non cade perché è stata formulata la teoria della gravitazione universale, ma perché Newton ha osservato tale fenomeno e enunciata la legge] Giacomo Bergami Compito 9 97 1d(e). Le tre idee metafisiche Dio Mondo Noi cerchiamo un quadro generale di riferimento per cercare senso del mondo stesso, che ci è fornito dalle tre idee metafisiche della mente: IO, MONDO e DIO. [La natura non è soggetta a modifiche: noi cerchiamo di capirla e la si vede sempre in modo diverso.] Queste tre tipologie di grandi costruzioni teoriche per spiegare il nostro mondo interessano: - IO: il nostro campo dell’esistenza interna, ai quali appartengono il NOUMENO IO, L’ANIMA L’AN e IO PURO (=ovvero il noumeno, anima) - MONDO: è il tentativo di unificare tutti fenomeni esterni Io - DIO: tentativo di unificare tutti i fenomeni interiori ed esterni La nostra mente è attiva nella ricerca, non riceve solo passivamente. Noi conosciamo solo l’aspetto fenomenico conoscibile, e non il noumeno, la sostanza. Ciò che vale per l’oggetto vale anche per il soggetto: di noi stesso, come per l’oggetto, conosciamo solo la parte fenomenica. La parte noumenica del soggetto è l’io come res o anima, anima chee quindi non è percepibile, la parte noumenica dell’oggetto è la sua essenza metafisica. metafisica La deduzione trascendentale dell’io penso è l’io fenomenico, di cui fanno parte le intuizioni empiriche, i giudizi, le teorie, e le relative forme a priori. L’ IO PENSO è la percezione trascendentale dettata dalle attività che noi facciamo. È la difesa contro la [costruzione artificiale] di HUME secondo il quale le nostre azioni non sono di un unico personaggio, ma vari IO personali ai quali si attribuiscono le varie varie azioni compiute. Kant tenta di vedere tutto tramite il punto di vista il più razionale possibile: secondo lui è complicato attribuire le azioni a varie personalità. «D’altra D’altra parte, poiché l’unificazione é possibile solo attraverso un atto di spontaneità del pensiero (in opposizione all’intuizione che comporta una condizione di passività della sensibilità), questo unico termine di riferimento può essere solamente un atto atto del pensiero. All’unità originaria che sta alla base di ogni unificazione Kant dà quindi il nome di Io penso, esprimendo con tale termine l’autocoscienza (o appercezione trascendentale) del soggetto conoscente che, riferendo a se stesso ogni rappresentazione, ione, ne costituisce il comune elemento unificante. L’io penso deve poter accompagnare tutte le mie rappresentazioni ; altrimenti verrebbe rappresentato in me qualcosa che non potrebbe essere pensato, il che poi significa che la rappresentazione per me sarebbe sar Giacomo Bergami Compito 9 98 impossibile o, almeno per me, non esisterebbe, così dice Kant. Affinché io possa rappresentarmi qualcosa, occorre che la rappresentazione sia presente nella mia autocoscienza; in caso contrario io non posso rappresentarmi nulla. Ma poiché questo vale per tutte le rappresentazioni, esse vengono unificate proprio dal riferimento necessario a quell’unica autocoscienza che é l’Io penso. Inoltre, poiché l’Io penso, pur essendo un’autocoscienza individuale, é identico in tutti (ossia tutti hanno la stessa struttura unificante), il risultato dell’unificazione sarà valido universalmente e oggettivamente. Ora, le categorie non sono altro che le articolazioni interne dell’Io penso, le "funzioni logiche" attraverso cui esso opera la sintesi trascendentale. Esse vengono quindi dedotte, cioè giustificate, dal fatto che l’unificazione del molteplice, e quindi la conoscenza stessa, non può avvenire se non attraverso di esse. Nello stesso tempo viene definito il loro unico uso legittimo: dal momento che la sintesi é possibile solo in presenza di una molteplicità di dati intuitivi da unificare, le categorie debbono essere applicate esclusivamente alle intuizioni empiriche, all’ambito dell’esperienza (uso empirico delle categorie). In altre parole, come le intuizioni della sensibilità, prive della funzione unificante dei concetti, sono " cieche ", cioè non conducono alla costruzione di alcuna conoscenza, così i concetti, se non sono riferiti al materiale empirico, sono "vuoti", cioè danno luogo a puri giochi intellettuali che non hanno riscontro nel mondo esterno al soggetto. Da operazioni concettuali di questo genere, derivanti dall’applicazione delle categorie al di fuori delle intuizioni sensibili, scaturiscono gli infiniti erramenti della ragione metafisica (uso trascendentale delle categorie). Come si é visto a proposito dell’Estetica trascendentale, le intuizioni sensibili non sono mai rappresentazioni di cose in sé, ma soltanto di fenomeni. Potendo essere applicate esclusivamente ai dati dell’intuizione, anche le categorie, se usate correttamente, saranno riferibili solo al mondo fenomenico. Oggetto della conoscenza umana é quindi sempre soltanto il fenomeno. La cosa in sè, non potendo essere né intuita né unificata categorialmente, non può essere conosciuta. Lo stesso soggetto pensante conosce se stesso solo come fenomeno, cioè come appare a se stesso nell’esperienza interna, e quindi nell’intuizione pura del tempo (l’Io penso comporta solo la coscienza trascendentale di sé come soggetto, non la conoscenza di sè come oggetto). Il non fenomeno non può essere conosciuto (il che implicherebbe la combinazione di intuizione sensibile e sintesi categoriale), ma soltanto pensato come concetto - limite, come possibilità negativa che serve a definire, per contrasto, la possibilità positiva del fenomeno : questo concetto limite assume appunto il nome di noumeno ("pensato").»8 Per comprendere il mondo interno ed esterno si presuppongono queste 3 nozioni, diverse per ogni cultura, identiche nella forma, ma varianti nella sostanza. Queste 3 idee sono sbagliate, ovvero sbagliate se sono utilizzate nella conoscenza scientifica in quanto questa si basa sui fenomeni. - CONFUTAZIONE DELL’IO (ANTROPOLOGIA RAZIONALE): usa l’argomento del paralogismo. Tutte le teorie che tentano di dimostrarne l’esistenza si basano sul seguente paralogismo: l’anima è soggetto; tutti i soggetti esistono → l’anima esiste. Ma in realtà un soggetto non è tutti i soggetti. MANCA IL TERMINE MEDIO DEL SILLOGISMO. utte le giustificazioni per esistenza dell’anima segnano paralogismo e quindi sono inconsistenti. 8 Dal Filosofico Giacomo Bergami Compito 9 - 99 CONFUTAZIONE DEL MONDO (COSMOLOGIA RAZIONALE): si usa il metodo delle antigonie, mostrando come i concetti possano essere sia veri che falsi; essendo un problema indecidibile non è scientifico: 1°: Il mondo ha inizio nel tempo Né inizio né limiti né spazio e né tempo nello spazio Non riusciamo a valutarlo perché dovremo andare nei limiti dell’universo per…. 2°: È tutto semplice Non è semplice, ma composto(ora forse saremo in grado di decidere) 3°: Cause con libertà No cause per 4°: Essere necessario Essere contingente - CONFUTAZIONE DI DIO (TEOLOGIA RAZIONALE): si usa la confutazione dell’argomento ontologico. le prove a posteriori accantonate: non posso dimostrare empiricamente (ovvero a posteriori) Dio. Confuta la stessa argomentazione dell’ID QUO MAIUS di S.Anselmo (→ vedi p. 37) come Gaunilone (→ vedi p. 37) con l’argomentazione dei 100 talleri, riportata anche a pagina 37: «certo i 100 talleri che ho in tasca sono diversi dai 100 talleri che io penso, già solo perché con quelli in tasca posso fare acquisti, ma non è una differenza di essenza, non è, come credeva Anselmo, che i 100 talleri esistenti siano più perfetti e abbiano più valore dei 100 talleri pensati; non è vero che una cosa esistente è più grande della medesima cosa pensata come se inesistente. L'esempio dei 100 talleri rende bene l'idea perché, se come dice Anselmo ciò che esiste vale di più ed è più grande di ciò che è solo pensato, avendo 100 talleri in tasca, pensando quei talleri, dovrei averne in mente meno, solo 90, ad esempio, perché una cosa solo pensata vale meno di una esistente.». La nozione di Dio non può essere fondata razionalmente, allora non si può basare su questo la teoria scientifica. Ci si limita per la ricerca scientifica in un ambito angusto e limitato ma lì essa è piena nelle sue facoltà. La mente ha inoltre due funzioni: Uso costitutivo della ragione - Estetica trascendentale9 - Analitica trascendentale10 Uso regolativo della ragione - Le tre idee metafisiche La mente determina la natura della ragione. La nostra mente non li rappresenta, ma li usa solo per comprendere → dialettica trascendentale11 L’ USO REGOLATIVO E COSTITUTIVO DELLA RAGIONE è proprio determinato dall’analisi proveniente da queste tre idee metafisiche: con il rasoio di Ockham (→ vedi p. 41) si noterebbe la loro vacuità… ma noi le impieghiamo lo stesso perché siamo portati ad usarli comunque; questa osservazione di Kant preserva la metafisica dall’errore. 9 Vedi nota 5 p. 91 Vedi nota 6 p. 92 11 Vedi nota 6 p. 92 10 Giacomo Bergami Compito 9 100 OSSERVAZIONI: Le tre idee metafisiche → dialettica trascendentale11 Schematismo trascendentale → analitica trascendentale10 ↓ LOGICA TRASCENDENTALE6 2a. Critica della ragion pratica (Kritik_der_praktischen_Vernunft) «Due cose riempiono l'animo di ammirazione e di venerazione sempre nuove e crescenti, quanto più sovente ed a lungo si riflette sopra di esse: il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me.» Ivi ci si occupa della morale. Mentre nella CRITICA DELLA RAGIONE PURA osserva che la mente è condizionata dagli oggetti che osserviamo, nella CRITICA DELLA RAGIONE PRATICA la mente cerca di emanciparsi. L’uomo non deve farsi imporre la norma, deve essere libero e svincolato da ogni [potere giudicante] e preconcetto, in quanto azione è considerata veramente virtuosa se non è determinata dalla politica, dalla fame, dai bisogni, in quanto non può essere moralmente giudicabile [in quanto condizionate ad un fine, come segue →]. [Ne segue che Kant va così contro alla dottrina del servo arbitrio luterana, anche se di tale confessione] Bisogna essere quindi liberi per essere virtuosi. Questo non vuol dire che legittimi le azioni non virtuose commesse appunto in politica o nella fame, poiché bisogna anche essere liberi di non commettere tali azioni criminose. I requisiti sono quindi: 1. LA LIBERTÀ: per essere liberi bisogna sganciarsi dall’ambiente per non essere influenzati da esso, “altrimenti si avrà il grado di libertà del pollo sul girarrosto”. L’azione è morale se è libera, che è quindi diversa dall’azione conforme ad un precetto, che può essere Giuridico, Religioso o Filosofico. [Oggigiorno vivendo in Stati democratici, non si coglie la differenza tra la LIBERTA’ e GIUSTIZIA]. Ne segue che: 2. L’AZIONE MORALE DEVE ESSERE FRUTTO DELLA VOLONTÀ DEL SOGGETTO: ovvero è diverso compiere un’azione filantropica per farsi vedere nel compierla o per umanità [(in questo senso Kant rientra nel pensiero luterano)]: non è dall’azione che si giudica se essa sia buona o cattiva, ma dalla sua intenzione; ovvero: Moralità L’intenzione che guida l’azione è fondamentale per la valutazione del comportamento Eticità Valutazione dell’azione in sé 3. IL MODO IMPERATIVO DELLA LEGGE MORALE: deve presentata in una forma imperativa (come comando a noi stessi) non [come] un semplice [convincimento rispetto ad un fine]. La massima enuncia un contenuto e non ha un carattere puramente prescrittivo (= ovvero normativo) (es.: “mogli e buoi dei paesi tuoi”; chi vuole segue questa regola, ma si può anche non seguire – tende ad essere oggettiva). I principi sono meno prescrittivi ancora (es.: “dopo il lavoro riposati”); non è vera in assoluta (es.: “per riposarti vai al mare”) e tende maggiormente ad essere soggettivo. Giacomo Bergami Compito 9 101 Per quanto riguarda la “volontà buona”, Kant scrisse: «La volontà buona non è tale per ciò che essa fa e ottiene, e neppure per la sua capacità di raggiungere i fini che si propone, ma solo per il volere, cioè in se stessa; considerata in se stessa, dev’essere ritenuta incomparabilmente superiore a tutto ciò che, mediante essa, potrebbe esser fatto in vista di qualsiasi inclinazione o anche, se si vuole, di tutte le inclinazioni insieme. Anche se l’avversità della sorte o i doni avari di una natura matrigna privassero interamente questa volontà del potere di realizzare i propri progetti; anche se il suo maggior sforzo non approdasse a nulla ed essa restasse una pura e semplice buona volontà [...], essa brillerebbe di luce propria come un gioiello, come qualcosa che ha in sé il suo pieno valore. L’utilità e l’inutilità non possono né accrescere né diminuire questo valore.» Per quanto riguarda la legge morale: • il suo contenuto deve essere oggettivo ed universale (deve cioè valere per tutti indistintamente) • la sua forma deve essere prescrittiva. L’imperativo a sua volta può essere: • IPOTETICO (nella forma “se vuoi…, allora devi…”): subordina le azioni ad un obiettivo, è quindi condizionato: (es.: Per (= Se vuoi) prendere la laurea devi studiare) • CATEGORICO (nella forma “tu devi… perché devi!”): è veramente morale in quanto non pone l’obiettivo alto se non l’azione stessa e quindi non è condizionato (es.: Il dovere della guardia è vigilare). Kant prediligerà quindi l’IMPERATIVO CATEGORICO: se centro dell’interesse non è nell’azione morale, questa azione perde la sua moralità; inoltre le etiche si divide in: • AUTONOMA: auto-imposizione; [un esempio sono gli stoici, che però riempiendo l’etica di contenuti da seguire difettano nel loro fine di non dichiarare precetti da seguire, in quanto non dovrebbero assolutamente esporre alcuna dottrina; lo stoico veramente convinto non segue nemmeno le dottrine dettate dagli stoici stessi;] Kant, siccome non ha come fine il creare un’altra dottrina eteronoma, si limita a identificare le linee guida di come una dottrina moralmente corretta dovrebbe essere. • ETERONOMA: possono essere basate sui bisogni fisici, esistenziali (= cose di cui ho bisogno), sui valori dettati dall’esterno come la legalità all’interno di uno stato (non si pone il problema della moralità della legge giuridica, ma la si applica alla lettera) e sui sentimenti (come le etiche in gran voga del ‘700: [Shefsbury sostiene che il bello è platonicamente oggettivo e lo si ricerca per istinto, con un senso innato del bello e del buono, in qualche modo tolgono la libertà all’uomo, giustificando chi non avrebbe questi concetti innati dentro di sé]) Sono presenti inoltre tre criteri base in modo da stabilire se l’azione è giusta o meno: 1. AGISCI SECONDO QUELLA MASSIMA CHE PUÒ VALERE COME LEGGE UNIVERSALE. Se il mio principio può valere anche per altri allora è morale (si basa sulla regola aurea presente in svariate religioni: “non fare ad altri quello che non vuoi che sia fatto a te”). [es.: a tutti piace dormire molto a lungo, ma se tutti lo facessero, non ci sarebbe nessuno che andasse a lavorare]. Kant contesta il principio “MI FACCIO GLI AFFARI MIEI”, in quanto non è un principio morale che si prefigge quindi di migliorare l’universo. Giacomo Bergami Compito 9 102 2. AGISCI IN MODO CHE LE TUE AZIONI SIANO IL FRUTTO DELLA VOLONTÀ RAZIONALE come LEGISLATRICE UNIVERSALE. L’azione deve essere autenticamente dell’individuo che la compie e non deve dipendere da altre vincoli. 3. AGISCI RAPPORTANDOTI AL PROSSIMO COME IL FINE E NON IL MEZZO DELLE TUE AZIONI. [Anch’esso è collegato al principio aureo della morale] Il prossimo si troverebbe in una situazione infamante se fosse utilizzato come fine di un’azione. «Di formalismo si parla altresì rispetto alla morale kantiana, che ci insegna a giudicare giusta un’azione se essa si conforma ad un dispositivo formale – se cioè la massima cui si attiene quell’azione può divenire principio di una legislazione universale. A questa connotazione neutra di formalismo può accompagnarsi peraltro una connotazione peggiorativa, risalente alla critica idealistica e segnatamente hegeliana di tale caratteristica della moralità kantiana,»12 «proprio perché alla legge universale, che ciascuno soggettivamente ha l’obbligo di osservare, non venga attribuito un contenuto arbitrario, soggettivo (che sarebbe contrario all’essenza stessa di tale legge), la stessa ragione pratica esige che ci si unisca in una “costituzione civile”; non solo, quindi, per “garantire” costrittivamente i diritti naturali fondamentali, ma proprio per riempire con un “contenuto” effettivamente comune, universale, da tutti riconosciuto e riconoscibile, la legge, divenuta legge dello Stato (cioè per determinarla).»13 [[HEGEL accuserà Kant di formalismo poiché non fornisce alcun precetto, solo le basi della morale. La moralità di una società dipende dal fatto che tutti siano ugualmente morali… Il senso stesso della morale è individuare quei punti per trovare l’ordine prestabilito… Ubbidire non è uscire dallo stato di minorità(come illuminismo)… Kant deve rendersi indipendente dall’ambiente circostante: Hegel sarebbe bello che tutti fossero buoni, ma per il sovrano conviene che tutti siano cattivi (Macchiavelli)⟹ per lui Kant è solo utopia.]] Per quanto riguarda la libertà, Kant scrisse: «La libertà e la legge pratica incondizionata risultano dunque reciprocamente connesse. Qui io non domando se esse siano anche diverse di fatto o se una legge incondizionata non sia piuttosto la semplice coscienza di sé di una ragion pura pratica, e se questa sia identica al concetto positivo della libertà; ma domando dove ha inizio la nostra conoscenza dell’incondizionato pratico, se dalla libertà o dalla legge pratica. Non è possibile che prenda inizio dalla libertà, di cui non possiamo né aver coscienza immediata, perché il primo concetto di essa è negativo, né conoscenza mediata dall’esperienza, [...]. È quindi la legge morale della quale diventiamo consci [...], ciò che ci si offre per il primo e che ci conduce direttamente al concetto della libertà, in quanto la ragione presenta quella legge come un motivo determinante che non può essere sopraffatto dalle condizioni empiriche perché del tutto indipendente da esse.» L’esistenza di Dio e immortalità dell’anima sono due postulati, oltre la libertà come condizione a priori, della moralità kantiana. Queste prime due (Dio e l’immortalità dell’anima) non necessarie per garantire al giusto il premio in un altro mondo, poiché nella terra non ci saranno premi per i giusti, che verranno calpestati dagli ingiusti; altrimenti si avrebbe una tendenza del giusto ad ad agire da ingiusto, ma così facendo si ritornerebbe allo stato di natura. Nell’altro mondo il premio, garantito da Dio, il buono etra-naturale, non è certo sicuro, ma sicuramente arriverà: ma se poniamo 12 13 http://www.italicon.it/schede/S161-001.htm http://www.platon.it/Saggi/La_filosofia_politica_di_Kant.pdf Giacomo Bergami Compito 9 103 il premio come condizione per la quale agire, non sarà più un’azione morale; bisogna quindi agire come se questo non ci fosse. La giustizia esiste, preso come atto di fede non dogmatica. [DAL FILOSOFICO: «La Critica della ragion pura destituisce di fondamento teoretico la metafisica. Nella maggior parte delle filosofie precedenti a Kant, tuttavia, su presupposti metafisici poggiavano non solamente le dottrine sull' essenza dell' uomo, del mondo e di Dio, ma anche quelle relative alle regole del comportamento umano. Al termine della prima Critica Kant si trova dunque di fronte al problema della fondazione della morale in un contesto filosofico che, come quello trascendentale, esclude il riferimento al dogmatismo metafisico. I termini iniziali del problema morale, in realtà, non sono molto diversi da quelli del problema gnoseologico. Là si trattava di verificare la possibilità di una conoscenza che traesse la sua universale necessità non già dagli oggetti in sé, bensì dalle forme a priori del soggetto. Qui si tratta di indagare sulla possibilità di una legge morale, la cui universale validità, anziché essere iscritta in una ( inconoscibile ) dimensione metafisica, sia determinata dalle facoltà soggettive dell' uomo. Ovvero : il problema gnoseologico consisteva nella ricerca delle condizioni a priori ( soggettive ) di una conoscenza valida oggettivamente; il problema morale consiste nella ricerca delle condizioni a priori di un agire valido universalmente. A questo problema Kant dedica la Fondazione della metafisica dei costumi e la Critica della ragion pratica. Quali moventi soggettivi dell' azione umana possono dunque aspirare a valere universalmente, ossia a diventare motivi oggetti dell' azione? Procediamo per esclusione. Non certo i moventi della sensibilità, poiché quest' ultima, radicata nella particolarità delle inclinazioni individuali, assume aspetti diversi di caso in caso. La "volontà buona", universalmente valida, deve dunque essere determinata non dalla sensibilità, ma dalla ragione. Tuttavia, mentre l' uomo tende a seguire spontaneamente le inclinazioni sensibili, i precetti razionali hanno sempre carattere imperativo, cioè consistono di comandi cui il soggetto si sottopone soltanto attraverso una forma di coercizione della volontà da parte della ragione. Gli imperativi ipotetici comandano un' azione in vista di un fine particolare, che non deve necessariamente essere condiviso da tutti e non possono quindi avere validità universale. L' imperativo categorico invece comanda incondizionatamente : l' azione che esso impone dev' essere compiuta in ogni caso, senza riguardo a situazioni o interessi particolari, per il solo fatto che essa viene comandata direttamente ed esclusivamente dalla ragione. Esso esprime la legge del dovere per il dovere e vale quindi sempre per tutti, necessariamente e universalmente. Soltanto l' imperativo categorico, dunque, soddisfa l' esigenza di universalità e necessità che deve contraddistinguere la "volontà buona" e l' azione morale. Essendo indipendente da condizioni e scopi particolari, l' imperativo categorico non ha un contenuto materiale, ma riveste un carattere puramente formale. Esso non dice che cosa si deve fare, ma come si deve agire affinché l' azione possa essere moralmente positiva. Esso bada quindi non tanto al risultato, quanto all' intenzione dell' agire. La sua formulazione più generale è la seguente : Agisci soltanto secondo quella massima che, al tempo stesso, puoi volere che diventi una legge universale. La "massima", che esprime la regola soggettiva dell' azione, deve poter valere come "legge universale", cioè come regola oggettiva dell' agire umano. Questa formulazione fondamentale si articola ulteriormente in tre sottoformulazioni che, senza nulla aggiungere alla prima, ne specificano però alcuni aspetti. La prima é Agisci come se la massima della tua azione dovesse essere elevata dalla tua volontà a legge universale della natura. Nella misura in cui gli uomini agiscono moralmente, le loro azioni, obbedendo a un unico principio razionale ed avendo un ordine morale che é l' esatto corrispettivo dell' ordine fisico vigente nel mondo naturale. La seconda sottoformulazione recita Agisci in modo da trattare l' umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro uomo, sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo. Si é visto infatti che l' azione morale comporta il massimo rispetto per la legge della ragione. Ma la ragione e l' umanità sono coessenziali : non si può rispettare la ragione senza rispettare l' umanità presente in noi ( é moralmente riprovevole, ad esempio, il suicidio ) o negli altri ( sono proibiti l' omicidio, la lesione, lo sfruttamento, l' offesa e così via ). Infine la terza sottoformulazione ricorda che bisogna agire in modo che La volontà, in base alla massima, possa considerare contemporaneamente se stessa come universalmente legislatrice. Abbiamo visto che nell' azione morale la volontà dell' uomo é totalmente ed esclusivamente sottoposta alla ragione : ma, poiché la razionalità si identifica con l' essenza dell' uomo stesso, obbedendo alla ragione l' uomo non obbedisce che a se stesso e alla propria volontà. La morale kantiana é pertanto un' etica dell' autonomia, in cui l' uomo, tramite la ragione, dà a se stesso la propria legge. Viceversa, ogni comportamento in cui la volontà sia determinata dalla sensibilità, o comunque da moventi non esclusivamente razionali ( come accade negli imperativi ipotetici, in cui la ragione é piegata a un fine soggettivo dell' individuo ), é espressione di eteronomia, dal momento che l' uomo subisce su di sè l' azione di qualcosa ( compresa la sensibilità ) che non coincide con la propria essenza.» Giacomo Bergami Compito 9 104 RIASSUNTO DAL FILOSOFICO: « La ragion pratica consiste nella capacità di determinare la volontà e l’azione morale senza l’ausilio della sensibilità. Lo scopo della "Critica della Ragion Pratica" è quello di criticare la ragion pratica che pretende di restare sempre legata solo all’esperienza. La ragion pratica empirica non può, da sola, determinare la volontà; vi è quindi il recupero della sfera "noumenica" inaccessibile teoreticamente, ma accessibile "praticamente". Quanto appena detto mostra la capacità della Ragione di farsi "pratica" per l’azione. Tesi fondamentali Fondamento dell’etica = c’è una legge morale con valore universale (tale affermazione è immediatamente evidente: è un "fatto della ragione") 1. La legge morale è universale, quindi non può essere ricavata dall’esperienza: è "a priori". (La ragione è sufficiente "da sola" - senza impulsi sensibili - a muovere la volontà) 2. La legge morale è "razionale" nel senso che deve valere per l’uomo in quanto essere ragionevole (non solo perché conosciuta dalla ragione) 3. La legge morale non è un’esigenza che l’uomo segue per necessità di natura; quindi deve essere un "imperativo" (cioè è una necessità oggettiva dell’azione; tale principio pratico è valido per tutti). 4. Vi sono due tipi di imperativo: - Imperativo ipotetico = subordina il comando dell’azione da compiere al conseguimento di uno scopo (es.: "Se vuoi essere promosso devi studiare"). Tali imperativi sono oggettivi solo per tutti coloro che si propongono quel fine; da tali imperativi derivano l’edonismo e l’utilitarismo. - Imperativo categorico = comanda l’azione in se stessa (es.: "Devi perché devi"). La norma morale deve essere un imperativo categorico, cioè la tendenza ad un fine deve essere comandata da una legge morale. 5. La legge morale è un "imperativo categorico" (anzi, leggi morali sono "solo" gli imperativi categorici), quindi il suo valore non dipende dal suo contenuto, ma dalla sua "forma" di legge; la sua "forma" di legge è l’"universalità" (devi perché devi). L’imperativo categorico può essere formulato così: "Agisci in modo che la massima della tua azione (soggettiva) possa diventare legge universale (oggettiva)" "La nostra moralità dipende non dalle cose che vogliamo, ma dal principio per cui le vogliamo"; principio della moralità non è il contenuto, ma la "forma": è questo il "formalismo" kantiano. 6. Il Bene è ciò che è comandato dalla legge morale. La legge morale non dice: "fa’ il bene", ma "segui la legge morale". Non è morale ciò che si fa, ma l’intenzione con cui lo si fa; la legge morale è "morale" perché mi comanda in quanto legge. 7. La legge morale deve avere valore per se stessa; la volontà è autonoma, ossia dà a sé la sua legge. Vi è quindi assoluta autonomia della volontà nel suo auto-determinarsi. Tutte le morali che si fondano sui "contenuti" compromettono l’autonomia della volontà: "l’unico principio della moralità consiste nella indipendenza da ogni materia della legge". Non si deve agire Giacomo Bergami Compito 9 105 per la felicità, ma unicamente per il puro dovere (è il rovesciamento dell’etica eudaimonistica). 8. Chi deve fare una cosa, deve poterla fare: devi, dunque puoi; puoi perché devi. Se la volontà ragionevole dà a sé la sua legge, vuol dire che non la riceve da altri, ossia che è libera. Il "darsi" un dovere implica la "libertà"; la condizione perché sia possibile un imperativo categorico è che la volontà sia libera. 9. La libertà è postulata dal carattere formale della legge: prima conosciamo la legge morale, poi inferiamo da essa la libertà come suo fondamento. o o Legge morale = "ratio cognoscendi" della libertà Libertà = "ratio essendi" della legge morale 10. È così avvenuto il recupero del mondo noumenico che sfuggiva alla "ragion pura"; là, il mondo noumenico era presente solo come esigenza ideale, era l’"uso regolativo" della ragione; infatti anima, mondo e Dio indicavano all’Intelletto solo una direzione di ricerca. Ora il mondo noumenico è recuperato nei "postulati della ragion pratica". I "postulati" non sono nient’altro che presupposti "pratici" che non ampliano la conoscenza speculativa, ma danno alle Idee della Ragione speculativa una realtà oggettiva, autorizzano perciò la possibilità di alcuni concetti. Tali postulati si devono ammettere per spiegare la "legge morale"; se non li ammettessimo non si spiegherebbe la legge morale, ma le legge morale è un "fatto" innegabile, quindi i "postulati" hanno realtà oggettiva. I "postulati" sono tre. I° postulato - Libertà è condizione della "legge morale" II° postulato - Esistenza di Dio la legge morale mi comanda di essere virtuoso, quindi sono "degno" di essere felice; si postula quindi l’esistenza di Dio che ha il compito di far corrispondere in un "altro" mondo quella felicità che compete al merito (non realizzabile in "questo" mondo) III° postulato - Immortalità dell’uomo è un processo continuo ed è richiesta, ma non è accessibile in questo mondo, per avvicinarsi sempre più alla "perfetta adeguatezza della volontà alla legge morale" (la santità è il raggiungimento di tale perfetta adeguazione) «La ragion pratica ha dunque "riempito" quelle esigenze della ragion pura dando loro "realtà morale"». Il "noumeno" è teoreticamente inconoscibile; può quindi avere solo realtà pratica. Kant, a questo punto, ha dunque riconosciuto due facoltà: • • Intelletto - facoltà conoscitiva teoretica = dominio della ragion pura che non può rappresentarci gli oggetti come sono in sé, ma solo come fenomeni; Ragione - facoltà pratica = può rappresentare gli oggetti come cosa in sé (soprasensibili), ma non li può conoscere teoreticamente, può darli solo realtà pratica. Fra il mondo fenomenico della "Critica della Ragion Pura" (realtà come appare allo spirito umano) e il mondo noumenico della "Critica della Ragion Pratica" (apparteniamo al mondo delle cose in sé solo come soggetti morali) c’è un "abisso immenso". Con «sommo bene» Kant indica la coincidenza di virtù e felicità, quella coincidenza di cui in questo mondo non si fa affatto esperienza. Affinché il comando della ragione abbia senso bisogna dunque supporre una rimunerazione in un'altra vita da parte di chi sia il sommo bene sussistente: Dio. Ciò non significa affatto che la ragione pratica possa «dimostrare» l'esistenza di Dio, mentre ciò è impossibile a quella speculativa (sarebbe un controsenso): ma piuttosto che l'esistenza di Dio Giacomo Bergami Compito 9 106 non la posso dimostrare (cioè conoscere speculativamente) ma la debbo supporre (cioè ammettere praticamente). Celeberrima la conclusione della Critica della ragione pratica (probabilmente ispirata al Salmo 19): Due cose riempiono l'animo con sempre nuovo e crescente stupore e venerazione, quanto più spesso e accuratamente la riflessione se ne occupa: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me . Entrambe le cose non posso cercarle e semplicemente supporle come fossero nascoste nell'oscurità o nel trascendente, al di fuori del mio orizzonte; io le vedo davanti a me e le collego immediatamente con la coscienza della mia esistenza. Il primo comincia dal luogo che io occupo nel mondo sensibile esterno, ed estende la connessione in cui mi trovo nell'infinitamente grande, con mondi sopra mondi e sistemi di sistemi, e inoltre nei tempi illimitati del loro movimento periodico, nel loro inizio e nella loro continuità. La seconda comincia dalla mia invisibile identità, la personalità, e mi pone in un mondo che possiede vera infinità, ma di cui si può accorgere solo l'intelletto, e con il quale (ma grazie ad esso anche con tutti quei mondi visibili) io non mi riconosco, come là, in una connessione puramente accidentale, ma in una necessaria e universale. Il primo sguardo di una innumerabile quantità di mondi per così dire annienta la mia importanza, che è quella di una creatura animale, che dovrà restituire ai pianeti la materia da cui è sorta, dopo essere stata dotata per breve tempo (non si sa come) di forza vitale. Il secondo al contrario innalza infinitamente il mio valore, che è quello di una intelligenza, grazie alla mia personalità, nella quale la legge morale mi rivela una vita indipendente dall'animalità e anche dall'intero mondo sensibile, perlomeno quanto può essere dedotto dalla destinazione finale della mia esistenza attraverso questa legge, che non è limitata alla condizioni e ai confini di questa vita, ma si estende all'infinito. Però, stupore e rispetto possono sì spingere alla ricerca, ma non sostituirne la mancanza. ... (Ragione pratica, A 287-290). » 3a. Critica del Giudizio (Kritik der Urteilskraft) Con giudizio Kant intende la facoltà di giudicare (infatti Urteilskraft significa l’”atto di giudizio”): «il giudizio in questione non è quello della Critica della ragion pura , sinonimo di proposizione ovvero di attività unificatrice. Il giudizio di cui parla ora Kant è la facoltà del giudicare, e non l'atto del giudicare, ovvero l'esprimere giudizi»14. Mentre nella “Critica della Ragion Pura” si parla della ragione come conoscere e nella “Critica della Ragion Pratica” della ragione come agire, qui si parla del sentimento; secondo Kant esso a regole proprie. Divide il giudizio in: - DETERMINANTE: (Critica della Ragion pura) la mente riconduce l’oggetto a forme a priori universali fissate (quali lo spazio e il tempo, le categorie…) per tutti gli uomini in quanto caratteristiche oggettive. RIFLETTENTE: la mente riconduce gli oggetti a forme a priori universali diverse caso per caso (quello che sarà trattato in questo libro). [Dal Filosofico: «Il Giudizio determinante è quello in cui ci si inbatte predicando qualcosa in modo oggettivo, dicendo ad esempio che il libro è sul tavolo o che A è causa di B ; è definito giudizio determinante proprio perchè determina l'oggetto (il libro, A, ecc) dei giudizi. Al contrario, il giudizio riflettente, proprio della Critica del Giudizio, è la facoltà del giudicare che si estrinseca nei giudizi, senza determinare l'oggetto ma limitandosi ad interpretarlo: il giudizio riflettente non determina gli oggetti (come fa il giudizio determinante), ma li trova già determinati dall'applicazione delle categorie e non fa altro che riflettere su essi interpretandoli. Dunque, i giudizi con le categorie hanno funzione determinante, ma quando trovo l'oggetto già determinato dalle categorie mi limito ad interpretarlo, a riflettere sull'oggetto già costituito.»] 14 Dal Filosofico Giacomo Bergami Compito 9 107 Esistono varie tipologie di giudizio riflettente: Giudizio riflettente Estetico (Bellezza) Teleologico (Finalità) Storia - Natura (le scienze biologiche) Con il GIUDIZIO TELEOLOGICO si valuta la bellezza in base alla sua finalità. finalità Esso comprende l’analisi della finalità in base alla: • STORIA:: è il omprendere un singolo evento in relazione con altri. Si può rilevate un evento Kantianamente (data precisa), ma il dato storico non è solo campo fenomeni studiati, ma anche valutazione con giudizi e ricerca delle cause, tendendo conto delle varie interpretazioni. • NATURA:: fornisce un modello di riferimento alle scienze biologiche che fatica a riconoscersi noscersi con formule matematiche (vedi il comportamento dei leoni nella savana) «Il Il giudizio teleologico (dal greco telon, fine ) è il giudizio sull'esistenza di finalità nel mondo biologico e naturale.[...] Quando [...] dico che il cavallo ha gli zoccoli zoccoli per camminare su terreni scoscesi formulo un giudizio teleologico.[...] Anche il giudizio teleologico è riflettente, poiché ha a che fare con la finalità. Infatti, predica la finalità al mondo biologico e naturale, sostenendo che il cavallo ha gli zoccolii per camminare su terreni scoscesi o che piove perché la vegetazione cresca.[...] Kant è convinto che il giudizio teleologico non possa avere validità scientifica: la spiegazione del perché il cavallo abbia gli zoccoli non potrà che risiedere nei fatti materiali ma e meccanici, cioè nei fatti che hanno portato il cavallo ad essere dotato di zoccoli, e non potrà essere trovata nella presunta finalità per cui li ha. Per Kant, dunque, l'unica via possibile resta quella della fisica meccanicistica di matrice newtoniana, newtoniana, dove, in parole povere, ogni fatto che sta dietro determina quel che sarà dopo e non, viceversa, dove è quello che verrà dopo a determinare quel che è prima, come nei giudizi teleologici: scientificamente sarà dunque scorretto dire che l'esigenza dii poter camminare su terreni scoscesi ha fatto sì che il cavallo avesse gli zoccoli. Sarà invece corretto dire che, meccanicisticamente, determinati fatti hanno fatto sì che, con il processo causacausa effetto, il cavallo avesse gli zoccoli.[...] La finalità del del giudizio teleologico è una finalità dotata di scopo, poiché riesco a determinarla, a dire effettivamente quali sono i fini delle cose che vedo. »14 «Resta Resta ora da chiarire che tipo di rapporto vi sia tra i due giudizi riflettenti, estetico e teleologico: in primo luogo, sono entrambi riflettenti, interpretano cioè oggetti già determinati dalle categorie; in secondo luogo entrambi hanno a che fare con l'idea l'idea di finalità, sebbene nel giudizio teleologico si pretenda di coglierla nei rapporti che legano tra loro le varie parti di un ente biologico (gli zoccoli e il cavallo), mentre nel giudizio estetico si ha la pretesa di coglierla nel rapporto che si instaura inst tra il soggetto e l'oggetto. Infatti, secondo Kant, il giudizio estetico è un giudizio sul particolare tipo di relazioni che si instaurano tra il soggetto e l'oggetto, e non tra le sole parti dell'oggetto (come è invece nel teleologico). Di fronte ad un cavallo posso dire che ha gli zoccoli per camminare su terreni scoscesi (giudizio teleologico) o posso dire che è un bell'animale (giudizio estetico) , senza Giacomo Bergami Compito 9 108 giudicare se gli zoccoli sono fatti per realizzare dei fini. Kant fa l'esempio del fiore: un botanico, osservandololo, dirà che tutte le parti che lo compongono (i petali, lo stelo, ecc) servono a qualcosa, sono in vista di un fine, una persona qualunque invece dirà semplicemente che il fiore è bello. A ben pensarci, se è evidente che nel giudizio teleologico vi sia la finalità, meno evidente è che essa sia presente nel giudizio estetico: Kant spiega che l'estetico è un giudizio in cui si rileva una sorta di finalità senza però poterla determinare a fondo. Una cosa, infatti, ci appare bella quando dà l'impressione che in essa vi sia una specie di progetto, che non sia stata fatta a caso, che ci sia cioè un fine in essa, sebbene non si sia in grado di definirlo (a differenza del giudizio teleologico). La differenza tra i due giudizi sta proprio nel fatto che nel teleologico si definisce perfettamente la finalità, mentre nell'estetico la si avverte soltanto. E' interessante notare come Kant si accorga che i giudizi estetici siano formulabili tanto su cose naturali quanto su cose artificiali: fa notare che in entrambe i casi si avverte una sorta di finalità, tant'è che si è soliti dire, di fronte ad una cosa artificiale, che è talmente bella da sembrare vera e, di fronte ad una cosa naturale, che è talmente bella da non sembrare vera, quasi come se cogliessimo una sorta di progettualità in esse. Così, di fronte ad un bel paesaggio avremo l'impressione che esso sia il frutto del lavoro di un giardiniere e, di fronte ad un bel quadro, avremo l'impressione che si tratti di un qualcosa di reale. Di sfuggita, si può notare che Kant ha soprattutto in mente la bellezza naturale e poche volte fa riferimento a quella artificiale. Ricapitolando, una cosa è bella quando sembra manifestazione di un progetto, volta a realizzare un fine. Kant darà 4 definizioni del bello ed è interessante notare che in una di esse finirà per dire che è bello ciò che manifesta una finalità senza scopo: nel linguaggio kantiano, scopo è una finalità determinabile o già determinata, mentre finalità è una finalità vaga, non determinata nè determinabile. La finalità del giudizio estetico, del bello, è priva di scopo proprio perchè la si avverte ma non la si può determinare, mentre la finalità del giudizio teleologico è una finalità dotata di scopo, poichè riesco a determinarla, a dire effettivamente quali sono i fini delle cose che vedo. In origine Kant non aveva previsto la composizione della Critica del Giudizio in quanto restava esclusa dalla ragione e dai suoi due ambiti (teoretico e morale) la possibilità di fare una critica del gusto, del giudizio riflettente, poichè esso è fondato sul sentimento e non sulla ragione: una critica, diceva Kant, può essere costruita solo sulle facoltà razionali, tant'è che l'intero impianto delle prime due critiche si fonda sulla convinzione che le due esperienze, gnoseologica e morale, non si fondino sui sentimenti. Tuttavia Kant si rese conto che è senz'altro vero che il gusto ha a che fare con il sentimento e che il giudizio di bellezza non è nè teoretico nè pratico, ma fondato sul sentimento estetico; però si rese anche conto che il sentimento su cui si fonda il giudizio di bellezza deriva dal funzionamento delle nostre facoltà conoscitive. Partendo da questa considerazione, Kant riesce a spiegare una cosa molto particolare, ossia che i giudizi di bellezza non sono nè universali nè particolari. Che non siano universali è evidente, in quanto si fondano sui sensi e non sulla ragione: se dico che il libro è sul tavolo , si tratta di un'affermazione valida per tutti, perchè tutti hanno le categorie nelle loro strutture mentali; ma se dico che mi piace il gelato al cioccolato , si tratta di un'affermazione fondata sui sensi e quindi valida per me, magari per molti altri, ma non per tutti. Tuttavia i giudizi di bellezza, a ben pensarci, sono stranissimi: non mi sarà mai possibile dimostrare a qualcuno che una cosa è bella, ma, ciononostante, ho la convinzione, quasi la pretesa, dell'universalità della mia affermazione. Ecco dunque che affiora il carattere non universale ma neanche particolare di tali giudizi. Accanto ai giudizi puramente oggettivi (conoscitivi e morali) e soggettivi (di gusto: mi piace il gelato al cioccolato), vi saranno quelli estetici (giudizi di bellezza), che non sono nè soggettivi nè oggettivi. Del bello si può parlare, si può argomentare a favore della bellezza di una cosa, nutrendo sempre la pretesa che la nostra affermazione sia universale pur non potendolo dimostrare perchè si basa pur sempre su un sentimento. Questo sfumato carattere di ambiguità può essere spiegato in questo modo: i giudizi estetici si fondano sul sentimento (soggettività), ma derivano dall'applicabilità delle nostre categorie conoscitive (oggettività). Ecco perchè Kant parlerà di universalità soggettiva . Come accennavamo, Kant dà 4 definizioni del bello, apparentemente in contrasto fra loro. Quattro erano i gruppi delle Giacomo Bergami Compito 9 109 categorie e, se il giudizio estetico deriva in qualche misura dalle nostre facoltà conoscitive, non c'è nulla di strano se 4 sono anche le definizioni del bello.»14 Kant scrive: «Il Giudizio in generale è la facoltà di pensare il particolare in quanto contenuto nell’universale. Se l’universale (la regola, il principio, la legge) è dato, il Giudizio che sussume sotto questo il particolare [...] è determinante. Se invece è dato soltanto il particolare, ed il Giudizio deve trovargli l’universale, allora esso è meramente riflettente. [...]Ora, poiché il concetto di un oggetto, nella misura in cui contiene anche il principio della realtà di questo oggetto, si dice scopo , mentre si dice finalità della forma d’una cosa l’accordo di questa con quella costituzione delle cose che è possibile solo mediante fini, il principio del Giudizio, rispetto alla forma delle cose naturali sottoposte a leggi empiriche in generale, è la finalità della natura nella varietà delle sue forme. In altri termini, la natura viene rappresentata, mediante questo concetto, come se un intelletto contenesse il fondamento unitario della molteplicità delle sue leggi empiriche. La finalità della natura è, dunque, un particolare concetto a priori, la cui origine va cercata nel solo Giudizio riflettente. » Il GIUDIZIO ESTETICO si fonda principalmente sulla riflessione sull’arte, utilizzando la categoria della bellezza per giudicare la realtà. Occorre far riferimento ad una forma a priori dell’individuo che è il gusto. Nel corso della storia si sono avute diversi concetti di bello, tutte differenti tra di loro, (basta vedere il medioevo, il Rinascimento ed il Barocco) ma partendo da una forma prestabilita. Questa si può ritenere anche un’altra rivoluzione copernicana. Ci rapportiamo a una categoria bellezza universale che ha a che fare con una relazione soggettiva dell’oggetto secondo categorie che sono diverse. Si usa lo stesso termine BELLO per un quadro di Tiziano ed uno di Picasso. «Il giudizio estetico è il giudizio sul bello [...]: quando asserisco che il paesaggio che ho di fronte è bello formulo un giudizio estetico [...]. Da notare che qui Kant usa il termine 'estetico' nel senso comune, come 'ciò che ha a che fare con il bello', e non, come lo aveva usato nella Critica della ragion pura, con il significato di 'ciò che ha a che fare con la sensibilità'. Dire che il paesaggio che ho di fronte è bello è un giudizio riflettente estetico e non teleologico perché con esso non fornisco informazioni oggettive, mi limito ad applicare il concetto di bellezza ad un qualcosa e, così facendo, non determino nulla: il paesaggio che dico essere bello è già determinato come oggetto di conoscenza dalla categoria di sostanza, con la conseguenza che interpreto un oggetto che ho e che non determino; ad esso applico un giudizio estetico, scevro da informazioni oggettive e scientifiche, una mera riflessione su un giudizio già determinato.»14 Partendo dal concetto già espresso che si hanno conoscenze oggettive e a priori in quanto ogni uomo coglie oggettivamente e quindi universalmente: “BELLO È CIÒ CHE PIACE UNIVERSAMENTE SENZA CONCETTO” - - Universalmente: Come si stabilisce se una massima possa essere una legge universale, così si stabilisce se quella cosa può piacere a tutti, prescindendo che a me possa piacere o meno. È però un dato di fatto che per Kant non si arrivi tutti alla stessa conclusione di bello, è solo un gioco linguistico al quale possiamo partecipare tutti, pur avendo le stesse regole di base. (per esempio un film può piacermi anche un film che tratti un argomento che non mi piace, ma essere artisticamente bello.). È quindi legittimamente bello se riconosce queste regole universali. Senza concetto: poiché bello senza qualcosa di prestabilito; [se imposta dall’alto, come per l’azione morale, non è assolutamente bello, ma ufficialmente bello] il bello senza concetto può essere: Giacomo Bergami Compito 9 110 • • BELLO LIBERO: se non segue alcun criterio senza spiegazione, lo troviamo bello ovvero al di là delle categorie che noi possediamo BELLO ADERENTE: (es. ai canoni della società) se si riesce a trovare un perché che una cosa si ritiene bella; se si va indagare sulle motivazioni di perché un bello libero è bello e se ne trovano, esso diventa evidentemente aderente. Il Bello è inoltre diverso dal: - UNIVERSALMENTE BUONO [no kaloskagathia] - UTILE: la bellezza di un’automobile, di una casa, sono associati non a decorazioni o monumenti, sono oggetti utili in sé; una casa può essere bella perché sita in una posizione comoda. - PIACEVOLE (singolarmente): riguarda unicamente noi dalle sensazioni che abbiamo dentro; non è sempre così: un goal “malamente accettato” subito dalla squadra avversaria può essere agonisticamente BELLO, anche se subirlo non è piacevole. Inoltre Kant ha una idea del bello legata ancora al classicismo; Del Bello Kant scrive: «Il colore verde dei prati è una sensazione oggettiva, in quanto percezione d’un oggetto del senso; la gradevolezza invece è una sensazione soggettiva, mediante la quale nessun oggetto è rappresentato: vale a dire, un sentimento, nel quale l’oggetto viene considerato come oggetto di soddisfazione (e non di conoscenza). [...] Definizione del bello desunta dal primo momento: Il gusto è la facoltà di giudicare d’un oggetto o d’una specie di rappresentazione, mediante una soddisfazione od insoddisfazione scevra d’ogni interesse. L’oggetto d’una tale soddisfazione si dice bello. [...] chi giudica si sente completamente libero nei confronti della soddisfazione con cui si volge all’oggetto, per cui non riesce ad attribuire tale soddisfazione ad alcuna circostanza particolare, esclusiva del proprio oggetto, e deve quindi considerarla fondata su ciò che può presupporre in ogni altro: di conseguenza dovrà credere d’aver motivo di attendersi da ciascun altro una simile soddisfazione. Ne consegue che al giudizio di gusto si deve annettere, con la consapevolezza del suo carattere disinteressato, una pretesa di validità universale, senza che tale universalità poggi sull’oggetto; vale a dire, la pretesa ad una universalità soggettiva deve essere legata al giudizio di gusto. Definizione del bello desunta dal secondo momento: È bello ciò che piace universalmente senza concetto. [...] La soddisfazione che noi, senza concetto, giudichiamo universalmente comunicabile, e quindi causa determinante del giudizio di gusto, non può consistere in altro che nella finalità soggettiva della rappresentazione di un oggetto, senza fini di sorta (né oggettivi né soggettivi), quindi nella semplice forma della finalità nella rappresentazione con la quale un oggetto ci viene dato, nella misura in cui ne siamo coscienti. [...] Non può esservi alcuna regola oggettiva di gusto, capace di determinare tramite concetti che cosa sia il bello. Infatti, ogni giudizio che scaturisca da questa fonte è estetico, trova cioè il proprio principio di determinazione nel sentimento del soggetto e non nel concetto d’un oggetto. Definizione di bello desunta da questo terzo momento: La bellezza è la forma della finalità d’un oggetto, in quanto viene percepita in questo senza la rappresentazione d’uno scopo. [...] Che cosa sia la modalità di un giudizio di gusto. Di ogni rappresentazione posso dire che è almeno possibile che essa (in quanto conoscenza) sia legata ad un piacere. Di ciò che dico piacevole affermo che produce in me realmente piacere. Quanto al bello, si pensa che esso abbia col piacere una relazione necessaria. Questa necessità è però di natura particolare: non una necessità teorica oggettiva, per la quale si possa a priori riconoscere che ognuno proverà la stessa soddisfazione per l’oggetto che io ho chiamato bello; neppure una necessità pratica, per la quale, mediante i concetti di un Giacomo Bergami Compito 9 111 volere razionale puro, che serve da regola ad un agente libero, questa soddisfazione rappresenti la necessaria conseguenza d’una legge oggettiva, e non significhi altro che il dovere assoluto d’agire in un certo modo (senz’altro intento).[...] Definizione del bello dedotta dal quarto momento: Bello è ciò che, senza concetto, è riconosciuto come oggetto d’una soddisfazione necessaria.» Il Bello è diverso dal Sublime. Il sublime fu un oggetto dibattuta alla fine del ‘700, [nato dalla scoperta di uno scritto attribuito a Longino]. Esso è qualcosa che non rispecchia il piacere universale che il bello chiama in causa. Nasce da una percezione da considerarsi eccessiva, ed è piacere misto a spaesamento. Esistono due tipi di sublime: - Sublime dinamico o naturale: è quella che scaturisce dall’ammirazione della natura in quanto in lui ammirandola si produce modestia; l’uomo è come “una canna pensante all’interno dell’universo”. Sublime matematico: nasce dalla mancanza dell’uomo di concepire gli oggetti che crea 8come per esempio l’infinito, l’asintoto e l’iperbole). È lo smarrimento della ragione limitata verso l’infinito che, pur concependo oggetti infiniti, non riesce a rappresentarlo: è la benefica mortificazione dell’intelletto. Kant scrive: «Il bello ed il sublime concordano in questo, che entrambi piacciono per se stessi. Entrambi inoltre non presuppongono un giudizio dei sensi od un giudizio logico determinante, ma un giudizio riflettente; di conseguenza, la soddisfazione non dipende da una sensazione, come nel caso del piacevole, né da un concetto determinato, come nel caso della soddisfazione dipendente dal buono, ma tuttavia viene riferita a concetti, sebbene indeterminati. La soddisfazione è pertanto legata alla mera presentazione, o alla facoltà relativa, in modo che la facoltà di presentazione, o immaginazione, in una data intuizione, viene considerata in accordo con la facoltà dei concetti dell'intelletto o della ragione, la cui attività essa promuove. Per questo, inoltre, entrambi i giudizi sono singolari, ma si presentano come universalmente validi per ogni soggetto, sebbene pretendano solo al sentimento del piacere e non alla conoscenza dell'oggetto.» 3a. Considerazioni ulteriori Nel 1795 scrisse “per la pace perpetua”. Egli è liberale; crede che la migliore forma di governo sia la monarchia costituzionale poiché possono votare i più abbienti, ma solo provvisoriamente, finché, con l’istruzione dei molti, si riuscirà ad istituire uno stato democratico; i politi9ci in uno stato democratico non possono essere degli illetterati, in quanto non capirebbero la situazione moderna, me devono creare le premesse, appunto, per l’estensione dei diritti ai molti. Inoltre ritiene che sia necessario rimuovere la guerra dalla terra come S. Tommaso e Grozio (l’unica guerra giusta è quella di difesa, bisogna lasciare il tempo al popolo del nemico presente in terra straniera di poter ritornare in patria per evitare rappresaglie, le forze d’attacco devono essere equiparate a quella di difesa…) [...] Giacomo Bergami