unità
VIII
La seconda guerra
mondiale
Riferimenti storiografici
1
Nel riquadro il bombardiere tedesco Junker Ju 87.
Sommario
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La guerra a Oriente nella concezione
di Hitler
La strategia imperiale del governo
giapponese
F.M. Feltri, Chiaroscuro – Nuova edizione © SEI, 2012
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Le violenze contro le donne tedesche
nel 1945
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La guerra a Oriente nella concezione
di Hitler
UNITÀ VIII
Secondo Hitler, l’obiettivo ultimo della guerra sul fronte orientale doveva essere la conquista dello spazio vitale, cioè la trasformazione degli immensi territori sovietici in un vasto impero coloniale tedesco.
LA SECONDA GUERRA MONDIALE
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Quattro erano gli obiettivi che si intrecciavano l’un
l’altro nella concezione di Hitler della guerra ad oriente.
1. Lo sterminio della classe dirigente «giudaico-bolscevica» dell’Unione Sovietica, inclusa la sua presunta
radice biologica costituita dai milioni di ebrei dell’Europa
centro-orientale.
2. La conquista di uno spazio coloniale per insediamenti tedeschi nelle zone della Russia ritenute più
fertili.
3. La decimazione delle popolazioni slave e la loro
sottomissione al dominio tedesco nei quattro «Commissariati del Reich» di Ostland (Russia Bianca, Lituania,
Lettonia, Estonia), Ucraina, Moscovia, Caucasia, retti da
«viceré» tedeschi, secondo l’espressione che Hitler coniò guardando al suo «ideale» di dominio coloniale, ossia al ruolo della Gran Bretagna in India. I compiti principali affidati a questi «Commissariati del Reich» (di cui
per altro furono istituiti solo i primi due a causa degli sviluppi della guerra nel 1941, del tutto opposti al «programma») consistevano nell’estirpare dalle masse slave
qualsiasi ricordo del grande Stato russo e di ridurre
queste stesse masse in una condizione di ottusa e
cieca obbedienza nei confronti dei nuovi «padroni».
4. La realizzazione dell’autarchia in una «grande
area» dell’Europa continentale sottoposta al dominio
tedesco e a prova di blocco, rispetto alla quale i territori
conquistati all’est avrebbero dovuto rappresentare il
serbatoio presumibilmente inesauribile di materie prime
e di derrate alimentari. Sembrava questo il presupposto
indispensabile affinché il Reich hitleriano potesse sostenere una guerra contro le potenze marittime angloamericane ed essere in grado nel futuro di affrontare
qualsiasi eventuale nuova «guerra mondiale». Nelle linee
direttive destinate allo «Stato maggiore per l’economia
nei territori orientali», fissate il 2 maggio 1941, era già
previsto che la sola intenzione di rifornire le forze armate
tedesche sfruttando esclusivamente la Russia avrebbe
compor-tato la «morte per fame di parecchi milioni di
persone».
Mentre nella fase precedente l’attacco all’Unione
Sovietica, e anche in Polonia nel 1939, i compiti dell’esercito e delle SS erano stati tutto sommato ancora relativamente separati in modo molto netto, e quindi l’esercito aveva sempre condotto la guerra contro i suoi
avversari, soprattutto contro le potenze occidentali, rispettando le regole della Convenzione dell’Aia in materia di guerra terrestre, nella guerra contro l’Unione Sovietica Hitler invalidò a suo completo arbitrio questi ed
altri principi del diritto internazionale già prima di dare inizio all’attacco. La sua perseveranza nel cancellare la linea divisoria, fino a quel momento rispettata, tra SS ed
esercito, e nel trasformare quest’ultimo in uno strumento diretto della sua guerra ideologico-razziale ad
oriente, derivava dalle parole chiare ed inequivocabili che
egli aveva pronunciato il 30 marzo 1941 dinanzi a 200250 comandanti generali e ufficiali superiori, i quali le
avevano accolte in parte positivamente in parte con riserva: «Lotta tra due opposte concezioni del mondo.
Giudizio distruttivo sul bolscevismo. Equiparato a criminalità sociale. Comunismo, pericolo enorme per il futuro. Si tratta di una lotta di annientamento. Se non la
concepiamo così, colpiremo magari il nemico, ma entro
trent’anni ci ritroveremo di fronte un nemico comunista.
Commissari e adepti della GPU [= la polizia segreta sovietica – n.d.r.] sono criminali e così vanno trattati. La
lotta sarà assai diversa da quella ad occidente. Ad
oriente bisogna essere spietati oggi per poter essere indulgenti nel futuro».
A. HILLGRUBER, Storia della seconda guerra mondiale.
Obiettivi di guerra e strategia delle grandi potenze,
trad. di E. GRILLO, Laterza, Bari 1987, pp. 78-80. La citazione
tra virgolette è tratta dagli appunti del generale Halder
Quale impero venne assunto come modello da Hitler, ai fini dell’organizzazione del dominio coloniale tedesco in Unione
Sovietica?
Quale elemento razziale avrebbe dovuto scomparire completamente dall’Est europeo?
Quali obiettivi economici pensava di raggiungere Hitler dalla conquista dell’Unione Sovietica?
F.M. Feltri, Chiaroscuro – Nuova edizione © SEI, 2012
Impegnato fin dal 1937 in una durissima e spietata guerra
contro la Cina, il governo giapponese dovette prendere una serie di difficili decisioni strategiche. Le opzioni che potevano essere accolte o respinte erano molteplici: completare la conquista
della Cina, attaccare l’urss in Siberia, lottare contro l’egemonia
americana nel Pacifico. Il principale problema derivava dal fatto che, per chiudere la guerra in Cina, il Giappone aveva bisogno di risorse, che avrebbe dovuto togliere alle potenze occidentali, entrando in conflitto con loro. A partire dalla fine del 1941,
il risultato fu un quadro strategico difficilissimo da gestire, perché caratterizzato dalla simultanea lotta contro la Cina e contro gli Stati Uniti.
Il 7 luglio 1937, lo scontro sul ponte Marco Polo,
presso Pechino, tra le forze giapponesi e quelle cinesi
permise ai falchi [= i sostenitori di una politica militarista,
di espansione e conquista, n.d.r.] di verificare se il governo nazionalista di Chiang Kai-shek [= leader politico
cinese dal 1925, n.d.r.] avrebbe acconsentito all’imponente progetto giapponese di farlo diventare un regime
fantoccio; e fu proprio la resistenza di Chiang a far sì
che, nel mese seguente, l’invasione si estendesse a
Shanghai e poi alle città costiere, impegnando Tokyo nel
primo grande passo verso la creazione del blocco dell’Asia orientale. Il Giappone era dunque in guerra con la
Cina nazionalista, ma si aspettava che quei soldati che
considerava inferiori sul piano razziale capitolassero o
fossero sconfitti con facilità. L’esercito fornì pertanto
alle proprie truppe d’invasione munizioni insufficienti e
trattò l’intero Incidente cinese come un’impresa di poco
conto, da sistemare rapidamente e a buon mercato in
pochi mesi, prevedendo che agli ordini del Giappone
avrebbe governato un regime satellite. Poiché i cinesi rifiutarono di arrendersi, i giapponesi furono colti del tutto
di sorpresa dall’effettiva sequenza degli eventi; e il Giappone, piuttosto che modificare i propri obiettivi, li ampliò,
credendo che anch’essi fossero facilmente raggiungibili.
Nel maggio seguente, i leader giapponesi si resero
conto che la guerra in Cina sarebbe durata più a lungo
e costata molto più di quanto programmato. Presero
quindi le misure militari che ritenevano necessarie per
concluderla, ma Chiang abbandonò la regione costiera
e si spostò nell’entroterra, nella speranza di consolidare
il proprio potere nelle vaste regioni occidentali. Il conflitto
giungeva così a una situazione di stallo, mentre il Giappone aveva un milione di uomini bloccati in una guerra
senza speranza, che in un primo momento aveva supposto, come aveva predetto il ministro della Guerra nel
luglio del 1937, «si potesse concludere entro un mese».
Nella sostanza, il dilemma giapponese era rappresentato dal fatto che il profondo consenso imperialista
che univa i suoi governanti li rendeva, al pari di Hitler,
propensi ad ampliare, quando sembrasse opportuno, i
propri obiettivi, benché in realtà anch’essi avessero
mezzi insufficienti a conseguirli. […] Le mire politiche e
militari, incredibilmente ambiziose, e le inebrianti ossessioni scioviniste [= nazionaliste, fino all’estremo, n.d.r.]
F.M. Feltri, Chiaroscuro – Nuova edizione © SEI, 2012
esposero il Giappone a un forte avventurismo, al punto
che l’impasse cinese non fece che rinvigorire l’argomentazione militarista, del tutto irrazionale, secondo la
quale il miglior modo per superare gli ostacoli fosse
una ulteriore espansione.
Il vero punto di svolta nella politica del Giappone arrivò nel maggio del 1940, allorché i tedeschi invasero
Francia e Olanda, le quali lasciarono così senza difese
il sistema coloniale del Sudest asiatico. Il 27 settembre
1940 il Giappone firmò il patto Tripartito con Germania
e Italia, che eliminava gli ostacoli alla conquista giapponese di tutto il Sudest asiatico. Le sue principali fazioni
militari iniziarono subito discutere su dove colpire prima,
architettando una giustificazione per l’invasione della
parte meridionale dell’Indocina francese. Uno dei motivi
era che le basi poste in quell’area avrebbero consentito
di proseguire più efficacemente la guerra contro la Cina;
un altro che l’Indocina avrebbe dato al Giappone un
punto di partenza per conquistare la Malesia e, soprattutto, le Indie Orientali olandesi. L’impero nipponico
avrebbe potuto quindi integrare l’ampio potenziale di
materie della regione per uscire più forte nella lotta futura contro la Cina e, soprattutto, contro gli Stati Uniti.
Ma quando i nazisti attaccarono l’Unione Sovietica, altri incitarono ad annettere per prima la Siberia. Tutti, comunque, concordavano sul fatto che gli imperativi della
situazione giapponese esigessero una escalation, in apparenza per riscattare i propri problemi in Cina, compensare la propria grave carenza di materie prime e soddisfare al contempo l’ambizione di avere tutta l’Asia.
Quella che era incominciata come un’espansione locale e di breve durata si era ormai trasformata nell’immenso teatro bellico asiatico della seconda guerra mondiale, guerra disperata più di qualsiasi altra Hitler avesse
mai intrapreso, e logica conseguenza di un sogno di
egemonia nazionalista e imperialista che mescolava il disprezzo per gli altri popoli con una fatale ignoranza del
nuovo carattere della guerra moderna. L’essersi avviate
in una direzione che avrebbe sicuramente causato una
guerra con l’America, prima che il Giappone raggiungesse i propri traguardi in Cina, dà la misura dell’irrazionalità delle autorità giapponesi. […] La guerra con l’America doveva essere prima di tutto responsabilità della
marina, e benché quest’ultima contrastasse chi perorava per prima la guerra all’URSS, non riuscì a persuadere
il governo a vincere la guerra in Cina prima di intraprendere un rischio ancora maggiore; così, nel settembre
1940 la marina acconsentì malvolentieri ad appoggiare
l’espansione verso il Sudest asiatico – correndo il rischio
di uno scontro con gli Stati Uniti –, del tutto consapevole
che il Giappone non avrebbe potuto sconfiggere il proprio nemico in uno scontro prolungato. A quest’epoca,
le autorità nipponiche possedevano notizie accurate
sulle insufficienze della produzione industriale del paese
in una prospettiva di lunga durata e sulla scarsa disponibilità di petrolio, qualora la guerra si fosse protratta per
UNITÀ VIII
La strategia imperiale del governo
giapponese
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RIFERIMENTI STORIOGRAFICI
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più di un anno. Nell’estate del 1940, la marina stimava
di poter combattere efficacemente con le proprie riserve di petrolio per circa un anno e la sua condizione
sarebbe rapidamente peggiorata nell’ipotesi che gli Stati
Uniti avessero optato per una guerra lunga, come sembrava molto verosimile. Il Giappone iniziò la guerra con
l’America con una scorta di minerale di ferro di soli
quattro mesi e una di bauxite per nove mesi. […] La vittoria in senso stretto dipendeva fortemente non solo dal
fatto che i giapponesi infliggessero danni pesanti agli
Stati Uniti all’inizio del conflitto e occupassero posizioni
strategiche – cose che fecero –, bensì anche dalla cortese decisione, da parte degli americani di arrivare a un
rapido confronto militare, nel momento in cui il Giappone
era più forte del proprio nemico e prima che gli USA – con
un’economia dieci volte superiore a quella nipponica –
potessero riarmarsi su grande scala. Pochi ritenevano
probabile tutto ciò. Nel corso delle settimane che precedettero l’attacco a Pearl Harbor, pessimismo e fatalismo profondi pervasero le valutazioni delle autorità
nipponiche: così, quella mescolanza di avventurismo, fatalismo mistico e romantico e ambizione imperialistica
assoluta che le distingueva ebbe la meglio sulla loro lucida lettura della realtà, sorprendentemente accurata,
spingendole ulteriormente nella sinistra direzione intrapresa con il tentativo di conquistare la Cina. In un secolo
di grande irrazionalità, che ha provocato così tante sofferenze umane, questa miscela fu senza dubbio uno dei
casi più singolari di follia.
G. KOLKO, Il libro nero della guerra. Politica, conflitti e società
dal 1914 al nuovo millennio, Fazi, Roma 2005, pp. 45-48,
trad. it. M. MANGANELLI
UNITÀ VIII
Si può parlare di un razzismo giapponese, nei confronti delle altre popolazioni asiatiche?
Quali somiglianze puoi istituire tra l’attacco giapponese a Pearl Harbor e laguerra lampo tedesca?
LA SECONDA GUERRA MONDIALE
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F.M. Feltri, Chiaroscuro – Nuova edizione © SEI, 2012
L’occupazione russa di Berlino fu accompagnata da un numero elevatissimo di stupri. È possibile che almeno 100000 donne berlinesi siano state violentate dai soldati russi nella primavera del 1945.
A Berlino, dopo la fine della guerra le donne impararono presto a sparire, di sera, durante «le ore di caccia». Le figlie giovani furono tenute nascoste nelle soffitte per giorni e giorni. Le madri uscivano per strada a
prendere acqua soltanto nelle prime ore del mattino,
quando i soldati smaltivano la sbornia della notte. Qualche volta il pericolo maggiore veniva da qualche madre
che indicava il nascondiglio di altre ragazze nel disperato
tentativo di salvare le proprie figlie.
I berlinesi ricordano che siccome tutte le finestre
erano state distrutte dagli spostamenti d’aria delle esplosioni, ogni notte si potevano sentire le urla delle vittime.
Valutazioni fatte dai due principali ospedali della capitale
parlano di un numero di stupri che varia fra le 95000 e
le 130000 vittime. Un medico calcolò che su circa
100000 donne violentate a Berlino, almeno 10000 siano
morte, quasi tutte suicide. Si ritiene che la percentuale
delle morti sia stata molto superiore fra il 1400000
donne violentate in Prussia Orientale, Pomerania e Slesia. Si ritiene che nel complesso almeno 2000000 di
donne tedesche siano state violentate e che una notevole minoranza, se non addirittura la maggioranza, siano
state stuprate in gruppo. Un’amica di Ursula von Kardorff, la spia sovietica Schulze-Boysen, venne violentata
da «23 soldati uno dopo l’altro» e all’ospedale dovettero
in seguito metterle dei punti di sutura.
La reazione delle donne tedesche all’esperienza
dello stupro fu diversificata. Per molte vittime, soprattutto le giovani di buona famiglia che non si rendevano
conto di quello che stavano subendo, l’effetto psicologico fu devastante. I rapporti con gli uomini diventarono
quanto mai difficili, spesso per il resto della loro vita. Le
madri si preoccupavano molto di più per le loro figlie e
questo le aiutò a superare ciò che dovettero subire a loro
volta. Altre donne, giovani e adulte, tentarono semplicemente di rimuovere quella loro esperienza. «In un
certo senso, per continuare a vivere, devo cancellare un
sacco di cose», ammise una donna, rifiutandosi di parlare dell’argomento. Quelle che non opposero resistenza
e che riuscirono a restare distaccate da quello che stava
loro accadendo sembra abbiano sofferto molto meno.
Alcune ne hanno parlato come di esperienze «extracorporee». «Quella sensazione», ha scritto una di esse,
«ha impedito a quell’esperienza di dominare il resto
della mia vita» [...]
La violenza carnale era diventata – rileva la donna del
diario – un’esperienza collettiva e di conseguenza
avrebbe dovuto essere superata parlandone fra donne.
Tuttavia gli uomini, al loro ritorno, tentarono di vietare
qualsiasi accenno all’argomento, anche quando non
erano presenti. Le donne scoprirono che mentre dovevano accettare quanto era loro accaduto, i loro uomini
rendevano spesso molto peggiore la situazione. Quelli
che erano stati presenti, in quelle circostanze, si vergognavano di non essere stati in grado di impedirlo. Hanna
Gerlitz cedette a due ufficiali sovietici ubriachi allo scopo
di salvare sia lei sia suo marito. «In seguito», scrisse, «ho
dovuto consolare mio marito e aiutarlo a riprendere coraggio: piangeva come un bambino.»
Gli uomini che tornarono a casa evitando di farsi catturare oppure perché erano stati rilasciati in anticipo
dai campi di prigionia, sembra siano rimasti bloccati dal
lato emotivo nell’apprendere che le mogli o le fidanzate
erano state violentate durante la loro assenza. [...] E trovarono molto duro da accettare il fatto che le loro donne
fossero state violentate. Ursula von Kardoff apprese
che un giovane aristocratico aveva rotto subito il fidanzamento non appena seppe che la sua fidanzata era
stata violentata da cinque soldati russi. La diarista anonima raccontò al suo ex innamorato, che era tornato
prima del previsto, le esperienze subite dagli abitanti del
casamento. «Siete diventate tutte cagne svergognate»,
reagì lui. «Non posso sopportare che raccontiate queste storie. Avete perso tutte i vostri principi morali, tutte
quante!» Lei gli diede allora da leggere il suo diario e
quando scoprì che aveva scritto di essere stata violentata, la fissò come se fosse impazzita. Se ne andò un
paio di giorni dopo, dicendo che usciva a cercare qualcosa da mangiare. E non lo rivide più. [...]
Numerose donne scoprirono presto che dovevano
fare la coda anche ai dispensari medici. Scoprire che
erano in tante nelle stesse condizioni era poco consolante. Una dottoressa istituì una clinica per malattie veneree in un rifugio antiaereo, con il cartello «tifoide» in caratteri cirillici per tenere lontani i soldati russi. Come
raccontato nel film Il terzo uomo, la penicillina divenne
ben presto l’articolo più richiesto sul mercato nero. Aumentò anche il numero degli aborti. È stato calcolato
che il 90 per cento delle vittime rimaste incinte ottenne
di poter abortire, anche se questo dato sembra molto
elevato. Molte partorienti abbandonarono il neonato in
ospedale, di solito perché sapevano che il marito o il fidanzato non ne avrebbero mai accettato la presenza in
casa.
A. BEEVOR, Berlino 1945, Milano, Rizzoli, 2002, pp. 436-439.
Traduzione di E. Peru
Quante furono le donne tedesche violentate dai soldati russi, nelle diverse regioni della Germania orientale?
Quali strategie di difesa attivarono le donne tedesche, per rendere meno dolorosa la terribile esperienza subita?
Come reagì la maggior parte dei maschi tedeschi?
F.M. Feltri, Chiaroscuro – Nuova edizione © SEI, 2012
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Le violenze contro le donne tedesche
nel 1945
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RIFERIMENTI STORIOGRAFICI
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