Esercizio 1. Le norme di RN sono equivalenti. Dimostrazione. Osserviamo subito che se due norme k · ka , k · kb sono equivalenti limitatamente ai vettori della sfera unitaria B = {x ∈ RN t.c.kxkb = 1}, allora lo sono in tutto lo spazio RN . Inoltre, ogni q norma è continua in ogni punto di RN rispetto alla norma PN 2 euclidea kxk2 = i=1 xi ; infatti sia k · ka una generica norma nello spazio N R . Fissato ε positivo, cerchiamo δ tale che: se kx − yk2 < δ allora |kxka − kyka | < ε. Si vede facilmente che per δ = PN ε i=1 kei ka dove ei è una base di RN ortonormale rispetto alla norma euclidea, la proprietà è soddisfatta. Si consideri la funzione kxka f (x) = kxkb dove k · kb = k · k2 . Per quanto osservato f (x) è continua rispetto alla norma euclidea sulla sfera B, quindi qui assume massimo e minimo. Esistono cioè due costanti m e M tali che, per ogni x nella sfera si ha m ≤ f (x) ≤ M . Si ha dunque mkxka ≤ kxk2 ≤ M kxka da cui segue l’equivalenza della norma k · ka e della norma euclidea. La dimostrazione è quindi conclusa, ricordando che l’equivalenza tra norme gode della proprietà transitiva. Osservazione. Più in generale il risultato vale per ogni spazio vettoriale di dimensione finita. Esercizio 2. Sia F un funzionale lineare su RN (cioè F è un’applicazione lineare da RN a valori in R). Allora F è un’applicazione continua. Dimostrazione. Sia B = {e1 , ..., eN } una base ortonormale per lo spazio RN ; B è contenuta nella palla unitaria B = {x ∈ RN t.c.kxk ≤ 1}. PN Sia v ∈ B; esistono N numeri reali λ1 , ..., λN tali che v = i=1 λi ei , e inoltre |λi | ≤ 1 per ogni i = 1, ..., N . Consideriamo |F (v)|.Da quanto osservato segue |F (v)| = | N X λi F (ei )| ≤ i=1 N X |λi ||F (ei )| ≤ N m i=1 dove m è il massimo tra i valori che F assume sugli elementi della base B (cioè m = maxi=1,...,N |F (ei )|). Si è dimostrato che il funzionale F è limitato sulla palla unitaria B e quindi è ivi continuo. Dalla linearità segue la continuità in tutto lo spazio RN . 1 Osservazione. Più in generale il risultato vale per operatori lineari definiti su RN e a valori in uno spazio vettoriale qualunque. Osservazione. Il risultato può inoltre essere esteso a operatori lineari definiti su uno spazio vettoriale topologico separabile di dimensione finita e a valori nello stesso spazio. Dimostrazione. Sia V uno spazio vettoriale di dimensione finita. C’è una sola topologia rispetto alla quale V è uno spazio vettoriale separabile quindi con quella topologia V è ovviamente isomorfo a RN come spazio vettoriale, ed è inoltre omeomorfo a RN con la topologia euclidea (rispetto a tale topologia, infatti, RN è uno spazio separabile). Quindi lo spazio V si identifica con lo spazio RN anche dal punto di vista topologico. Si può quindi applicare l’osservazione precedente. Esercizio 3. Sia X uno spazio vettoriale normato di dimensione infinita. Allora esiste un funzionale lineare su X che è discontinuo. Dimostrazione. Fissiamo A = {xα }α∈I una base per X formata da elementi di norma unitaria, dove I è un insieme di indici. Si cerca un funzionale F : X −→ R che sia lineare e non limitato. In realtà è sufficiente che non sia limitato su un sottoinsieme numerabile della base A . Consideriamo quindi un insieme numerabile di indici Q che sia contenuto in A . Si può supporre Q = {1, ..., n, ...}. Definiamo il funzionale F sugli elementi della base A come segue: ( n se α ∈ Q, α = n F (xα ) = 0 se α ∈ /Q Estendiamo adesso la definizione di F a tutto lo spazio X in modo lineare. Ogni elemento dello spazio X è espresso in modo unico come combinazione lineare finita di elementi della base A , quindi, fissato v ∈ X esistono un insieme finito di indici I = {i1 , ..., iN } contenuto in I e dei numeri reali cα tali che X cα xα . v= α∈{αi1 ,...,αiN } Si definisce allora F (v) = X cα F (xα ). α∈{αi1 ,...,αiN } Dalla definizione F è quindi lineare ed inoltre non è limitato su Q, quindi non è limitato. Esercizio 4. Nel Teorema di Hahn Banach in forma geometrica, non può cadere l’ipotesi di apertura di uno due insiemi. Dimostrazione. Sia P lo spazio dei polinomi a coefficienti reali definiti nell’intervallo [0, 1]; P è sottospazio dello spazio delle funzioni continue C 0 [0, 1]. È interessante osservare che P non è uno spazio di Banach; infatti se si considera la successione di polinomi Pn (x) = n X xk k=1 2 k! ogni Pn appartiene allo spazio P e inoltre Pn converge uniformemente alla funzione exp(x) nell’intervallo [0, 1] quindi Pn è una successione di Cauchy nello spazio P. Ovviamente però la funzione limite exp(x) non appartiene allo spazio P, quindi P non è uno spazio di Banach. Definiamo con P+ (rispettivamente con P− ) l’insieme dei polinomi con coefficiente direttore positivo (rispettivamente negativo). Si vede facilmente che P+ e P− sono entrambi convessi, tuttavia non esiste alcun iperpiano che li separa. Mostriamo questo risultato. Supponiamo esista un iperpiano di separazione, cioè supponiamo che esistano una costante reale α e un funzionale lineare F definito su P, tali che per ogni p in P+ e per ogni q in P− si abbia F (q) ≤ α ≤ F (p). Supponiamo per assurdo che F non sia il funzionale nullo, quindi esiste un i ∈ N per cui vale F (xi ) 6= 0. Sia P = xi . Proviamo che necessariamente α = 0; fissato ε > 0 e considerando p = cp ε , si ha p ∈ P+ e −p ∈ P− , da cui F (−p) < α < F (p) cioè con 0 < c < F (x) |α| < F (p). Per la linearità di F si ha F (p) = cF (x) < ε da cui |α| < ε. Vediamo ora che necessariamente F (p) = 0 per ogni polinomio p,cioè F è il funzionale nullo. Osserviamo che il polinomio p appartiene a P+ , e definiamo q = p + ci+1 xi+1 dove ci+1 < 0; quindi F (q) ≤ 0 in quanto q appartiene a P− . D’altra parte per linearità si ha F (q) = F (p) + ci+1 F (xi+1 ). Osserviamo che F (xi+1 ) ≥ 0 quindi si può scegliere ci+1 in modo che F (q) risulti positivo, e questo è un assurdo. Esercizio 5. Sia X uno spazio lineare normato e sia x0 6= 0 un elemento di X. Allora esiste un funzionale lineare e continuo su X tale che: F (x0 ) = kx0 k e kF k = 1. Dimostrazione. Definiamo lo spazio W come la retta in X passante per l’origine e per x0 (cioè W = x0 R). Consideriamo il funzionale lineare l definito su W come segue: l(λx0 ) = λkx0 k. Dal Teorema di Hahn Banach si può estendere l in tutto lo spazio X con un funzionale F lineare e continuo. Quindi F (x0 ) = kx0 k e inoltre kF k = sup w∈W |F (y)| |λ|kx0 k = sup =1 kyk w∈W kλx0 k Osservazione. Un’immediata conseguenza di quanto appena visto è il seguente risultato: lo spazio duale di uno spazio lineare normato non banale è non banale. Esercizio 6. Sia X uno spazio vettoriale normato e Y un suo sottospazio proprio. Allora esiste un funzionale lineare e continuo definito su X, diverso dal funzionale nullo e che si annulla in tutto lo spazio Y . Dimostrazione. Fissiamo x0 in X \ Y , sicuramente x0 6= 0 poiché 0 ∈ Y . Per il Teorema di Hahn Banach in forma geometrica esiste quindi un funzionale F lineare e continuo in X che è diverso dal funzionale nullo e tale che per ogni x in Y si ha F (x) < α < F (x0 ) per α ∈ R. Si fissi un elemento x di Y , poiché Y è spazio vettoriale, si ha che la retta Rx è contenuta in Y , quindi comunque scelto un numero reale t, si ha: f (tx) = tf (x) < α. Segue f (x) = 0 per ogni x in F . 3 Esercizio 7. Sia un (t) la successione di funzioni definite nell’intervallo (0, 1) nel modo seguente: ( nα se t ∈ (0, 1/n) un (t) = 0 se t ∈ (1/n, 1) dove α è un numero reale. Allora: la successione un converge a zero in norma Lp [0, 1] per ogni α ∈ (0, 1/p) e per ogni p ≥ 1, mentre per α = 1/p la successione converge a zero debolmente in Lp [0, 1] ma non fortemente. Dimostrazione. La convergenza in norma segue facilmente da un calcolo diretto, infatti Z 1 Z n1 1 (nα )p dx = nαp = nαp−1 kun kpp = |un (x)|p dx = n 0 0 quindi kun kp converge a zero se e solo se αp − 1 < 0 cioè se e solo se α < 1/p. Analizziamo adesso il caso α = 1/p. Si vuole mostrare che la successione un converge debolmente a zero in Lp [0, 1],si vuole cioè verificare che comunque scelta una funzione v nello spazio Lq [0, 1], con q esponente coniugato di p (i.e. R1 1/p + 1/q = 1), si ha che 0 un (x)v(x)dx converge a zero. In realtà è sufficiente dimostrarlo per funzioni semplici a scala su sottointervalli di [0, 1]; per densità vale poi per ogni funzione in Lq . Si prenda dunque h(x) una funzione a scala nell’intervallo [0, 1]; h(x) = PN −1 i=0 λi χ[ ai , ai+1 ] dove si è indicata con χ la funzione caratteristica e i sottointervalli [ai , ai+1 ] formano una partizione dell’intervallo [0, 1] (quindi 0 = a0 < a1 < ... < aN −1 < aN = 1 e λ0 , ..., λN ∈ R). Osserviamo che esiste n per cui 1/n è minore di a1 e in particolare questo vale definitivamente. Quindi per n sufficientemente grande si ha Z 1 Z un (x)h(x) dx = 1 n 1 1 λ0 n p dx = λ0 n p −1 0 0 che converge a zero essendo p1 − 1 < 0. Prendiamo infine una funzione v(x) appartenente a Lq e fissiamo ε positivo. Esiste allora una funzione a scala h(x) per cui vale kv − hkq < ε. Quindi Z 1 Z un (x)v(x) dx = 0 1 un (x) v(x) − h(x) dx + 0 1 h(x)un (x) dx 0 1 Z ≤ Z kv − hkq kun kp + un (x)h(x) dx; 0 ricordando che kun kp ≤ 1, kv − hkq ≤ ε e che segue la tesi. R1 0 un (x)h(x)dx converge a zero, Esercizio 8. Indichiamo con Ω l’intervallo (0, 2π) e definiamo la successione di funzioni uk (x) = sin(kx) con x ∈ Ω. Allora uk converge a zero debolmente in Lp (Ω) se 1 ≤ p < ∞ e debole−∗ in L∞ (Ω), ma non converge fortemente in Lp per alcun p. 4 Dimostrazione. Sia u(x) = sin(x). La convergenza debole e debole−∗ di uk segue dal Teorema di Riemann-Lebesgue. Consideriamo quindi kuk kp e vediamo che non può convergere a zero. Sempre dal Teorema di Riemann-Lebesgue segue infatti kuk kp = kukp , che è banalmente strettamente positiva. Esercizio 9. Fissiamo α e β due numeri reali positivi e distinti. Definiamo la funzione u(x) su l’asse reale estendendo in modo periodico la funzione seguente definita nell’intervallo (0, 1): ( α se x ∈ (0, 1/2) u(x) = β se x ∈ (1/2, 1). Sia uk (x) = u(kx) per k ∈ N, allora la successione uk converge debolmente a α+β in Lp (0, 1) e debole−∗ in L∞ (0, 1) ma non converge fortemente in Lp per 2 alcun p. Dimostrazione. Ancora una volta il Teorema di Riemann-Lebesgue ci assicura la convergenza debole e debole−∗ alla media di u(x) che indicheremo con u(x): Z u(x) = 1 Z u(x) dx = 1 2 1 Z α+ 0 β= 1 2 0 α β + , 2 2 ∀x ∈ R segue quindi la prima parte dell’esercizio. Verifichiamo adesso che la successione non converge in norma Lp per alcun p; consideriamo quindi kuk (x)kp . Se ammette limite, necessariamente sarà uguale alla norma del limite debole u(x). kuk (x)kpp = Z 1 2 αp + Z 1 βp = 1 2 0 αp + β p , 2 mentre α + β p , 2 quindi kuk kp è diversa da kukp per ogni p 6= 1. Analizziamo quindi a parte il caso p = 1: Z 1 α + β u k − α + β = dx uk (x) − 2 2 0 1 ! Z 2m+2 k−1 X Z 2m+1 2k 2k α + β α + β = α − dx + β − dx 2m+1 2m 2 2 2k 2k m=0 ku(x)kpp = = k−1 X |α − β| |α − β| = 2k 2 m=0 e quindi non converge a zero. Esercizio 10. Sia H uno spazio di Hilbert e F un funzionale lineare e continuo appartenente allo spazio duale di H e diverso dal funzionale nullo. Allora la dimensione dello spazio ortogonale al nucleo di F è uno. 5 Dimostrazione. Sia M il nucleo del funzionale F , quindi M è un sottospazio vettoriale chiuso e convesso di H e in particolare è sottospazio proprio essendo F diverso dal funzionale nullo (quindi dimM⊥ > 0). Per il Teorema di Rappresentazione esiste f ∈ H tale che F (v) = (f, v) per ogni v ∈ H; in particolare f ∈ M⊥ poiché banalmente (f, u) = 0 per ogni u ∈ M. Definiamo g = f − PM f dove con PM f si è indicata la proiezione di f sullo spazio M e osserviamo che g ∈ M⊥ dal Teorema della Proiezione. Sia u un elemento di H e cerchiamo un numero reale λ tale che u − λg ∈ M. Ora: u − λg ∈ M se e solo se F (u − λg) = 0 cioè se e solo se λ = FF (u) (g) (N.B. questa scrittura ha senso, perché come osservato g ∈ M⊥ e quindi F (g) 6= 0). Quindi H si scrive come M+gR. D’altra parte vale anche H = M + M⊥ da cui segue M⊥ = gR poiché M risulta essere uno spazio di dimensione positiva contenuto nella retta gR. Esercizio 11. Sia Ω un sottoinsieme limitato di RN . Definiamo M lo spazio delle funzioni che appartengono a L2 (Ω) e costanti quasi ovunque. Allora: 1. M è sottospazio chiuso di L2 (Ω); 2. ∀g(x) ∈ L2R la proiezione di g(x) su M è la media di g(x) su Ω, cioè 1 PM g = |Ω| g(x) dx; Ω 3. lo spazio ortogonale a M è lo spazio delle funzioni in L2 a media nulla. Dimostrazione. Osserviamo che M è un sottospazio lineare di L2 e come spazio lineare è isomorfo a R, poiché è generato dalla funzione costante uno quasi ovunque, quindi è chiuso in L2 . Consideriamo adesso g(x) ∈ L2 . La sua proiezione su M è tale che (g − PM g, v) = 0 per ogni elemento v di M. Sia c 6= 0 e sia v(x) = c q.o., dunque v(x) una funzione in M; vale allora Z Z (g − PM g, v) (g(x) − PM g(x))v(x) dx = c(g(x) − PM g) dx = 0 Ω Ω da cui segue PM g = 1 |Ω| Z g(x) dx Ω poiché PM g è un elemento di M e quindi è costanteR quasi ovunque. Proviamo infine che M⊥ = {g(x) ∈ L2 tale che Ω g(x)dx = 0}. R Sia h ∈ M⊥ , quindi per ogni g(x) ∈ M si ha (h(x), g(x)) = 0 cioè Ω g(x)g(x) dx = 0. Ricordando che g(x) è costante quasi ovunque, segue la tesi. Esercizio 12. Siano f (x) = 1 e g(x) = x due funzioni appartenenti allo spazio di Hilbert L2 (Ω) dove Ω rappresenta l’intervallo [0, 1]. Si calcoli: 1. l’angolo θ compreso tra di esse; 2. la loro distanza reciproca; 3. la proiezione PW h della funzione h(x) = x2 sullo spazio W = span(f, g). 6 Dimostrazione. L’angolo compreso tra f e g segue facilmente ricordando la formula del prodotto scalare (f, g) = cos(θ)kf kkgk. Basta quindi calcolare (f, g), kf k2 , kgk2 : R1 R1 (f, g) = 0 f (x)g(x) dx = 0 x dx = 12 ; R1 kf k2 = 1 banalmente, e infine kgk22 = 0 x2 dx = 13 . √ In conclusione cos(θ) = 23 . Calcoliamo la distanza tra f e g. Dalla definizione segue: Z 1 21 2 Z 1 1 d(f, g) = kf − gk2 = |f (x) − g(x)| dx = |1 − x|2 = √ . 3 0 0 Cerchiamo adesso la proiezione della funzione h(x) sullo spazio W . Con il procedimento di ortogonalizzazione di Gram-Schmidt a partire dalle due funzioni f e g si trova una base ortonormale per W che indicheremo con B = {f1 , f2 }. Quindi f1 = 1; f2 = x − 21 1 √ g − (f1 , g)f1 = )2 3 = (x − kg − (f1 , g)f1 k 2 kx − 12 k √ cioè {f1 = 1, f2 = 3(2x − 1)} è una base o.n. per W . Consideriamo adesso PW h; si ha PW h = (h, f1 )f1 + (h, f2 )f2 √ quindi, poiché (h, f1 ) = (x2 , 1) = 13 e (h, f2 ) = (x2 , 3(2x − 1)) = √ 1 √ 3 1 PW h = + 3(2x − 1) =x+ . 3 6 6 √ 3 6 si ha Osservazione. La proiezione di h sullo spazio W rappresenta la migliore approssimazione lineare della funzione h(x). Cioè la retta y = x + 16 è la retta che meglio approssima la parabola y = x2 . Dimostrazione. La proiezione di h(x) sullo spazio W è l’elemento di W , che indicheremo con z, che minimizza la distanza di h da W , cioè tale che d(z, h) = min d(h, w). w∈W D’altra parte W è il sottospazio formato da tutte le funzioni affini nell’intervallo [0, 1], quindi PW h rappresenta la migliore approssimazione affine della funzione h(x). Esercizio 13. Sia I l’intervallo della retta reale I = [−1/2, 1/2] e definiamo V = {v ∈ W 1,1 (I) : v(−1/2) = 0} dove si considerano i rappresentanti continui. Siano a(x), b(x) due funzioni definite in I, continue e tali che 21 ≤ a(x), b(x) ≤ 1. Si consideri il problema ai limiti 0 0 − a(x)u (x) + b(x)u(x) = f (x) u(−1/2) = 0 u(1/2) = 0 7 dove f (x) è una funzione appartenente a L2 . Si dimostri che esiste una soluzione per il problema e, in particolare, se f ∈ W 1,2 (I) allora la soluzione è C 2 . Dimostrazione. Osserviamo innanzitutto che V è uno spazio vettoriale chiuso in W 1,1 (I). Per dimostrare l’esistenza di una soluzione, procediamo per passi. (i) Esiste u ∈ W 1,2 (I) soluzione debole del problema; infatti: definiamo Z Z A(u, v) = a(x)u0 (x)v 0 (x) dx + b(x)u(x)v(x) dx. I I È una forma bilineare simmetrica, continua in V essendo a, b ≤ 1 e quindi A(u, v) ≤ kuk1,1 kvk1,1 ; inoltre A è coerciva poiché a, b ≥ 21 e quindi A(u, u) ≥ 1 2 2 kuk1,1 . Consideriamo inoltre il funzionale lineare e continuo sullo spazio vettoriale V definito da Z F (u) = f (x)u(x) dx. I Allora esiste, ed in particolare è unico, un elemento u di V per cui si ha A(u, v) = F (v) comunque preso un elemento v di V . Tale u è soluzione debole del problema, infatti sia v ∈ V , si ha: A(u, v) = F (v) che con un’integrazione per parti equivale a Z Z 0 0 0 a(x)u (x) v(x)+b(x)u(x)v(x) dx = f (x)v(x) dx − a(x)u (x) v(x)|I + I I da cui segue − a(1/2)u0 (1/2) v(1/2) − Z I 0 au0 v + Z Z buv = I f v. I Scegliendo v ∈ W01,1 (I) segue quindi che u è soluzione debole dell’equazione 0 − a(x)u0 (x) + b(x)u(x) = f (x) e in particolare è soluzione del problema in quanto soddisfa le condizioni al bordo: u(−1/2) = 0 banalmente in quanto appartiene a V e u0 (1/2) = 0 essendo soluzione debole dell’equazione. (ii)La soluzione debole u appartiene a W 2,2 (I); infatti: u è un elemento di V e per ogni altro elemento v di V si ha Z Z Z a(x)u0 (x)v 0 (x) dx + b(x)u(x)v(x) dx = f (x)v(x) dx I I I o equivalentemente Z Z a(x)u0 (x)v 0 (x) dx = − I b(x)u(x) − f (x) v(x) dx. I Dovendo valere per tutti gli elementi di V , vale in particolare per le funzioni v ∈ C01 (I) da cui segue l’esistenza della derivata debole della funzione a(x)u0 (x) 0 e a(x)u0 (x) = b(x)u(x) − f (x). 8 Osserviamo che sia au0 che la sua derivata debole appartengono a L2 quindi, essendo u0 = a1 (au0 ), in quanto a(x) non è mai nulla, segue u0 ∈ W 1,2 (I) da cui u ∈ W 2,2 (I). (iii) La soluzione debole u è anche soluzione forte; infatti: sia φ(x) una funzione C0∞ e si consideri Z Z 0 (auφ + buφ) = f φ. I I Integrando per parti segue Z − (au)0 + bu − f φ = 0 I e applicando il Lemma Fondamentale del Calcolo delle Variazioni si ottiene −(au)0 + bu = f q.o. in I cioè u è soluzione forte. (iv) Se f (x) ∈ W 1,2 (I) allora la soluzione u ∈ C 2 (I); infatti: per x ∈ I si ha (a(x)u0 (x))0 = b(x)u(x)−f (x) e bu−f è una funzione continua, da cui segue au0 (x) ∈ C 1 (I) e quindi ricordando che a(x) non è mai nulla, anche u0 ∈ C 1 , essendo u0 = a1 (au0 ). Esercizio 14. Sia I l’intervallo della retta reale I = [0, 1], definiamo V lo spazio delle funzioni u(x) ∈ W 1,2 (I) t.c. u(0) = 0; u(1) = 1 e sia f (x) = 1 funzione appartenente a L2 (I). Si consideri la successione di funzionali Jn (u) definiti su V come segue: Z 1 Jn (u) = an (t)u02 (t) + 2f (t)u(t) dt 0 dove an (t) = a(nt) con a(t) = 1 + {t} e {t} indica la parte frazionaria di t. Si consideri il problema min Jn (u), u∈V valgono allora: 1. per ogni n ∈ N fissato esiste una soluzione un (t) al problema di minimo; 2. la successione un (t) ammette limite uniforme u∞ ; 3. la funzione u∞ non risolve il problema di minimo per Z 1 J∞ = a∞ (t)u02 (t) + 2f (t)u(t) dt. 0 dove a∞ è il limite debole di an . Dimostrazione. Osserviamo che lo spazio V è sottospazio vettoriale chiuso di W 1,2 (I). Fissiamo n e definiamo Z An (u, v) = 1 an (t)u0 (t)v 0 (t) dt 0 9 forma bilineare simmetrica continua e coerciva in V , e Z 1 Z 1 F (v) = − f (t)v(t) dt = − v(t) dt 0 0 funzionale lineare e continuo su V . Per il Teorema di Lax-Milgram esiste, e in particolare è unico, un elemento un di V per cui vale An (un , v) = F (v) per ogni v ∈ V e in particolare un è minimo per 12 An (un , un ) − F (un ). R1 R1 Quindi un è minimo per 12 0 an (x)u02 n (x) dx + 0 un (x) dx cioè è minimo per Jn (u) in V . Osserviamo che 21 An (u, u) = F (u) con u ∈ V è formulazione debole del problema 0 0 − a(x)n un (x) = f (x) un (0) = 0 un (1) = 1 quindi risolvendo il problema ai limiti si risolve il problema di minimo. Risolviamo quindi il problema differenziale. Da (an u0n )0 = f = 1 segue an u0n = t + cn da cui t Z un (t) = 0 s + cn ds. an (s) Sostituendo l’espressione di an si arriva a: Z t Z t Z t s + cn s cn un (t) = ds = ds + ds 0 1 + {ns} 0 1 + {ns} 0 1 + {ns} cambiando variabili ns = r e ricordando che {x} = x − [x] segue nt Z un (t) = 0 = 1 n2 + = cn n 1 n2 + cn n Z nt 1 r 1 cn dr + dr = 2 n 1 + {r} n 1 + {r} 0 ! Z nt [nt]−1 Z k+1 X r r dr + dr + 1 + {r} k [nt] 1 + {r} k=0 ! Z nt [nt]−1 Z k+1 X 1 1 dr + dr = 1 + {r} k [nt] 1 + {r} k=0 ! Z nt [nt]−1 Z k+1 X r r dr + dr + 1+r−k [nt] 1 + r − [nt] k k=0 ! Z nt [nt]−1 Z k+1 X 1 1 dr + dr ; 1+r−k k [nt] 1 + r − [nt] k=0 10 calcolando esplicitamente gli integrali si ottiene un (t) = 1 = 2 n [nt]−1 X ! 1 + (k − 1) ln(2) + nt − [nt] + [nt] − 1 ln 1 + nt − [nt] + k=0 ! cn + [nt] ln(2) + ln 1 + nt − [nt] = n ! [nt] [nt] − 1 1 ln(2) − [nt] ln(2) + nt + [nt] − 1 ln 1 + nt − [nt] + = n2 2 ! cn [nt] ln(2) + ln 1 + nt − [nt] . + n Determiniamo le costanti cn in modo che valga la condizione un (1) = 1 per ogni n: 1 n − 1 ln(2) 1 cn = 1 − ln(2) + − ln(2) 2n n n da cui segue facilmente che il limite della successione cn è c∞ = 1 ln(2) 1− . ln(2) 2 Cerchiamo il limite della successione un (t) per n che tende all’infinito. [nt] 1 Poiché | [nt] alla funn − t| ≤ n , la successione n converge uniformemente 2 [nt] [nt] converge zione t e inoltre n è una succesione limitata, quindi anche n uniformemente e il suo limite è la funzione t2 . Segue che la successione un (t) ammette limite uniforme u∞ con u∞ = ln(2) t2 + c∞ t ln(2). 2 Si consideri adesso il funzionale J∞ . Z 1 J∞ (u) = a∞ u02 (t) + 2f (t)u(t) dt 0 dove a∞ è il limite debole di an che per il Teorema di Riemann-Lebesgue è Z 1 Z 1 3 a∞ = a(t) dt = 1 + {t} dt = 2 0 0 da cui segue Z J∞ (u) = 0 1 3 2 u02 (t) + 2f (t)u(t) dt. Si osserva subito quindi che u∞ non può essere soluzione per il problema di minimo di J∞ in quanto una soluzione w al problema minu∈V J∞ (u) risolve 1 u00 = 1. l’equazione − 23 w00 = 1 mentre u∞ risolve ln(2) 11 Osserviamo come, non a caso, il limite delle soluzioni un soddisfi l’equazione differenziale 1 00 u =1 ln(2) ∞ 1 dove il coefficiente ln(2) è proprio il limite debole della successione di funzioni 1 an (t) che, sempre per il Teorema di Riemann-Lebesgue è Z 0 1 1 dt = a(t) Z 0 1 1 1 dt = . 1+t ln(2) Esercizio 15. Si definisca V lo spazio delle funzioni u in W 1,2 (I) (dove I è l’intervallo [0, 1]) tali che u(1) = p dove p è un numero reale. Sullo spazio V si definisca il funzionale F nel modo seguente: Z 1 2 u02 (x) + 4f (x)u(x) dx F (u) = u (0) + 0 dove si sceglie f (x) = x. Provare che, comunque scelto p numero reale, esiste ed è unica una soluzione u per min F (v). v∈V Si consideri poi il problema approssimato Z 1 Fε (u) = aε (t)u02 (t) + 4f (t)u(t) dt 0 dove ( ε aε (t) = 1 se 0 ≤ t < ε se ε ≤ t ≤ 1. e sia uε la soluzione. Allora uε converge puntualmente alla funzione u e inoltre uε converge fortemente in Lq per ogni 1 ≤ q < ∞. Dimostrazione. Definiamo la forma bilineare A(u, v) come segue: Z A(u, v) = 2u(0)v(0) + 2 1 u0 (t)v 0 (t) dt. 0 A(u, v) è evidentemente continua e simmetrica, ed è inoltre coerciva per tutti gli elementi di V del tipo w = u − v poiché Z 1 2 A(u − v, u − v) ≥ u0 (t) − v 0 (t) dt = 2ku0 − v 0 k2 ≥ cku − vk 0 dove l’ultima disuguaglianza segue dalla Disuguaglianza di Poincaré. Quindi si puo’ applicare il Teorema di Stampacchia, da cui il Teorema di Lax Milgram, in quanto, facendo attenzione ai passi della dimostrazione, risulta in realtà sufficiente richiedere la coercività della forma su elementi del tipo u − v. 12 Esiste quindi, e in particolare è unica, una funzione u ∈ V che realizza il minimo per Z 1 1 A(u, u) + 4f (x)u(x) dx 2 0 cioè u realizza il minimo per il funzionale F in V . Determiniamo la funzione u(x). Si fissi una funzione φ(x) che sia C 1 (I) tale che φ(1) = 0 e si consideri la funzione G(t) = F (u + tφ). Poiché u realizza il minimo per F , necessariamente si ha G0 (0) = 0 cioè ! Z 1 2 d 0 0 2 u + t φ (0) + u + tφ + 4 u + t φ t dt = 0 dt 0 da cui, svolgendo un po’ di calcoli, Z 1 u(0)φ(0) + u0 (t)φ0 (t) + 2t φ(t) dt = 0. 0 Scegliendo φ ∈ W01,2 (I), si ha u0 ∈ W 2,2 (I) e u00 = 2t; quindi con un’integrazione per parti si trova Z 1 0 0 u(0)φ(0) + u (1)φ(1) − u (0)φ(0) + φ(t) − u00 (t) + 2t dt = 0 0 cioè 0 = u(0)φ(0)−u0 (0)φ(0) da cui, per l’arbitrarietà di φ(x) segue u(0) = u0 (0). Quindi u(x) risolve il problema ( u00 (t) = 2t u(0) = u0 (0) 3 da cui u0 (t) = t2 + u(0) e u(t) = t3 + u(0)t + u(0). Ricordando che u(1) = p segue infine 3p − 1 3p − 1 t3 u(t) = + t+ . 3 6 6 Consideriamo adesso il problema approssimato e cerchiamo di calcolarne la soluzione uε . Analogamente a quanto osservato per il problema di partenza, la soluzione del problema approssimato soddisfa il problema ausiliario 0 0 (aε u ) (t) = 2t u(0) = 0 u(1) = p quindi, procedendo con le integrazioni segue: uε (t) = 1 t3 + cε t ε 3 se 0 ≤ t ≤ ε, mentre uε (t) = t3 ε2 + cε t − − cε ε + uε (ε) 3 3 13 se ε ≤ t ≤ 1. Ricavando dalla prima delle due espressioni il valore di uε (ε) segue infine ( 3 1 t ( + cε t) se 0 ≤ t ≤ ε uε (t) = tε3 3 ε2 ε2 + c t − + c (1 − ε) + (1 − ε) se ε ≤ t ≤ 1 ε ε 3 3 3 1 dove il valore di cε si ricava imponendo uε (1) = p; cε = 2−ε (p − 13 ). Passando al limite per ε che tende a zero segue allora che cε converge a c = 3p−1 e uε converge puntualmente alla funzione u(t). 6 Concludiamo dimostrando la convergenza forte della successione uε nello spazio Lq . Vogliamo mostrare che la successione uε è uniformemente limitata nello spazio L∞ . Sia K = max{0, p}, definiamo w(t) = H(uε (t) − K) dove H è una funzione test, H ∈ C 1 (R) crescente per t ≥ 0 e nulla per t ≤ 0. La funzione w(t) appartiene allora allo spazio W 2,1 (si omette la dimostrazione) e in particolare w(t) ∈ W02,1 (I) poiché uε (0), uε (1) ≤ K. Osserviamo che poiché H è una funzione crescente vale Z 1 0 aε (t)u02 ε (t)H (uε (t) − K) dt ≥ 0. 0 D’altra parte uε è soluzione del problema di minimo, quindi si ha Z 1 Z 1 0 aε (t)u02 (t)H (u (t) − K) dt = −2 t H(uε (t) − K) dt ≤ 0 ε ε 0 0 da cui H(uε (t)−K) = 0 per ogni t ∈ [0, 1] e quindi uε (t) ≤ K, per ogni t ∈ [0, 1], per ogni ε > 0. La convergenza puntuale della successione uε (t) alla funzione u(t), insieme alla uniforme limitatezza della successione in L∞ assicurano la convergenza forte di uε a u(t) anche nello spazio Lq con 1 ≤ q < ∞. 14