Esercizio 1. Le norme di R N sono equivalenti. Dimostrazione

Esercizio 1. Le norme di RN sono equivalenti.
Dimostrazione. Osserviamo subito che se due norme k · ka , k · kb sono equivalenti
limitatamente ai vettori della sfera unitaria B = {x ∈ RN t.c.kxkb = 1}, allora
lo sono in tutto lo spazio RN .
Inoltre, ogni q
norma è continua in ogni punto di RN rispetto alla norma
PN 2
euclidea kxk2 =
i=1 xi ; infatti sia k · ka una generica norma nello spazio
N
R . Fissato ε positivo, cerchiamo δ tale che:
se
kx − yk2 < δ
allora
|kxka − kyka | < ε.
Si vede facilmente che per
δ = PN
ε
i=1
kei ka
dove ei è una base di RN ortonormale rispetto alla norma euclidea, la proprietà
è soddisfatta.
Si consideri la funzione
kxka
f (x) =
kxkb
dove k · kb = k · k2 .
Per quanto osservato f (x) è continua rispetto alla norma euclidea sulla sfera
B, quindi qui assume massimo e minimo. Esistono cioè due costanti m e M tali
che, per ogni x nella sfera si ha m ≤ f (x) ≤ M . Si ha dunque
mkxka ≤ kxk2 ≤ M kxka
da cui segue l’equivalenza della norma k · ka e della norma euclidea. La dimostrazione è quindi conclusa, ricordando che l’equivalenza tra norme gode della
proprietà transitiva.
Osservazione. Più in generale il risultato vale per ogni spazio vettoriale di
dimensione finita.
Esercizio 2. Sia F un funzionale lineare su RN (cioè F è un’applicazione
lineare da RN a valori in R). Allora F è un’applicazione continua.
Dimostrazione. Sia B = {e1 , ..., eN } una base ortonormale per lo spazio RN ; B
è contenuta nella palla unitaria B = {x ∈ RN t.c.kxk ≤ 1}.
PN
Sia v ∈ B; esistono N numeri reali λ1 , ..., λN tali che v = i=1 λi ei , e inoltre
|λi | ≤ 1 per ogni i = 1, ..., N .
Consideriamo |F (v)|.Da quanto osservato segue
|F (v)| = |
N
X
λi F (ei )| ≤
i=1
N
X
|λi ||F (ei )| ≤ N m
i=1
dove m è il massimo tra i valori che F assume sugli elementi della base B (cioè
m = maxi=1,...,N |F (ei )|).
Si è dimostrato che il funzionale F è limitato sulla palla unitaria B e quindi
è ivi continuo. Dalla linearità segue la continuità in tutto lo spazio RN .
1
Osservazione. Più in generale il risultato vale per operatori lineari definiti su
RN e a valori in uno spazio vettoriale qualunque.
Osservazione. Il risultato può inoltre essere esteso a operatori lineari definiti
su uno spazio vettoriale topologico separabile di dimensione finita e a valori nello
stesso spazio.
Dimostrazione. Sia V uno spazio vettoriale di dimensione finita. C’è una sola
topologia rispetto alla quale V è uno spazio vettoriale separabile quindi con
quella topologia V è ovviamente isomorfo a RN come spazio vettoriale, ed è
inoltre omeomorfo a RN con la topologia euclidea (rispetto a tale topologia,
infatti, RN è uno spazio separabile). Quindi lo spazio V si identifica con lo spazio
RN anche dal punto di vista topologico. Si può quindi applicare l’osservazione
precedente.
Esercizio 3. Sia X uno spazio vettoriale normato di dimensione infinita. Allora esiste un funzionale lineare su X che è discontinuo.
Dimostrazione. Fissiamo A = {xα }α∈I una base per X formata da elementi
di norma unitaria, dove I è un insieme di indici.
Si cerca un funzionale F : X −→ R che sia lineare e non limitato. In realtà
è sufficiente che non sia limitato su un sottoinsieme numerabile della base A .
Consideriamo quindi un insieme numerabile di indici Q che sia contenuto in
A . Si può supporre Q = {1, ..., n, ...}. Definiamo il funzionale F sugli elementi
della base A come segue:
(
n
se α ∈ Q, α = n
F (xα ) =
0
se α ∈
/Q
Estendiamo adesso la definizione di F a tutto lo spazio X in modo lineare.
Ogni elemento dello spazio X è espresso in modo unico come combinazione
lineare finita di elementi della base A , quindi, fissato v ∈ X esistono un insieme
finito di indici I = {i1 , ..., iN } contenuto in I e dei numeri reali cα tali che
X
cα xα .
v=
α∈{αi1 ,...,αiN }
Si definisce allora
F (v) =
X
cα F (xα ).
α∈{αi1 ,...,αiN }
Dalla definizione F è quindi lineare ed inoltre non è limitato su Q, quindi non
è limitato.
Esercizio 4. Nel Teorema di Hahn Banach in forma geometrica, non può cadere
l’ipotesi di apertura di uno due insiemi.
Dimostrazione. Sia P lo spazio dei polinomi a coefficienti reali definiti nell’intervallo [0, 1]; P è sottospazio dello spazio delle funzioni continue C 0 [0, 1].
È interessante osservare che P non è uno spazio di Banach; infatti se si
considera la successione di polinomi
Pn (x) =
n
X
xk
k=1
2
k!
ogni Pn appartiene allo spazio P e inoltre Pn converge uniformemente alla funzione exp(x) nell’intervallo [0, 1] quindi Pn è una successione di Cauchy nello
spazio P. Ovviamente però la funzione limite exp(x) non appartiene allo spazio
P, quindi P non è uno spazio di Banach.
Definiamo con P+ (rispettivamente con P− ) l’insieme dei polinomi con coefficiente direttore positivo (rispettivamente negativo). Si vede facilmente che P+
e P− sono entrambi convessi, tuttavia non esiste alcun iperpiano che li separa.
Mostriamo questo risultato. Supponiamo esista un iperpiano di separazione,
cioè supponiamo che esistano una costante reale α e un funzionale lineare F
definito su P, tali che per ogni p in P+ e per ogni q in P− si abbia
F (q) ≤ α ≤ F (p).
Supponiamo per assurdo che F non sia il funzionale nullo, quindi esiste un i ∈ N
per cui vale F (xi ) 6= 0. Sia P = xi .
Proviamo che necessariamente α = 0; fissato ε > 0 e considerando p = cp
ε
, si ha p ∈ P+ e −p ∈ P− , da cui F (−p) < α < F (p) cioè
con 0 < c < F (x)
|α| < F (p). Per la linearità di F si ha F (p) = cF (x) < ε da cui |α| < ε.
Vediamo ora che necessariamente F (p) = 0 per ogni polinomio p,cioè F è il
funzionale nullo. Osserviamo che il polinomio p appartiene a P+ , e definiamo
q = p + ci+1 xi+1 dove ci+1 < 0; quindi F (q) ≤ 0 in quanto q appartiene a P− .
D’altra parte per linearità si ha F (q) = F (p) + ci+1 F (xi+1 ). Osserviamo che
F (xi+1 ) ≥ 0 quindi si può scegliere ci+1 in modo che F (q) risulti positivo, e
questo è un assurdo.
Esercizio 5. Sia X uno spazio lineare normato e sia x0 6= 0 un elemento di
X. Allora esiste un funzionale lineare e continuo su X tale che: F (x0 ) = kx0 k
e kF k = 1.
Dimostrazione. Definiamo lo spazio W come la retta in X passante per l’origine
e per x0 (cioè W = x0 R). Consideriamo il funzionale lineare l definito su W
come segue: l(λx0 ) = λkx0 k.
Dal Teorema di Hahn Banach si può estendere l in tutto lo spazio X con un
funzionale F lineare e continuo. Quindi F (x0 ) = kx0 k e inoltre
kF k = sup
w∈W
|F (y)|
|λ|kx0 k
= sup
=1
kyk
w∈W kλx0 k
Osservazione. Un’immediata conseguenza di quanto appena visto è il seguente
risultato: lo spazio duale di uno spazio lineare normato non banale è non banale.
Esercizio 6. Sia X uno spazio vettoriale normato e Y un suo sottospazio proprio. Allora esiste un funzionale lineare e continuo definito su X, diverso dal
funzionale nullo e che si annulla in tutto lo spazio Y .
Dimostrazione. Fissiamo x0 in X \ Y , sicuramente x0 6= 0 poiché 0 ∈ Y . Per
il Teorema di Hahn Banach in forma geometrica esiste quindi un funzionale F
lineare e continuo in X che è diverso dal funzionale nullo e tale che per ogni x
in Y si ha F (x) < α < F (x0 ) per α ∈ R. Si fissi un elemento x di Y , poiché
Y è spazio vettoriale, si ha che la retta Rx è contenuta in Y , quindi comunque
scelto un numero reale t, si ha: f (tx) = tf (x) < α. Segue f (x) = 0 per ogni x
in F .
3
Esercizio 7. Sia un (t) la successione di funzioni definite nell’intervallo (0, 1)
nel modo seguente:
(
nα
se t ∈ (0, 1/n)
un (t) =
0
se t ∈ (1/n, 1)
dove α è un numero reale.
Allora: la successione un converge a zero in norma Lp [0, 1] per ogni α ∈
(0, 1/p) e per ogni p ≥ 1, mentre per α = 1/p la successione converge a zero
debolmente in Lp [0, 1] ma non fortemente.
Dimostrazione. La convergenza in norma segue facilmente da un calcolo diretto,
infatti
Z 1
Z n1
1
(nα )p dx = nαp = nαp−1
kun kpp =
|un (x)|p dx =
n
0
0
quindi kun kp converge a zero se e solo se αp − 1 < 0 cioè se e solo se α < 1/p.
Analizziamo adesso il caso α = 1/p. Si vuole mostrare che la successione
un converge debolmente a zero in Lp [0, 1],si vuole cioè verificare che comunque
scelta una funzione v nello spazio Lq [0, 1], con q esponente coniugato di p (i.e.
R1
1/p + 1/q = 1), si ha che 0 un (x)v(x)dx converge a zero.
In realtà è sufficiente dimostrarlo per funzioni semplici a scala su sottointervalli di [0, 1]; per densità vale poi per ogni funzione in Lq .
Si prenda dunque h(x) una funzione a scala nell’intervallo [0, 1]; h(x) =
PN −1
i=0 λi χ[ ai , ai+1 ] dove si è indicata con χ la funzione caratteristica e i sottointervalli [ai , ai+1 ] formano una partizione dell’intervallo [0, 1] (quindi 0 =
a0 < a1 < ... < aN −1 < aN = 1 e λ0 , ..., λN ∈ R). Osserviamo che esiste n per
cui 1/n è minore di a1 e in particolare questo vale definitivamente. Quindi per
n sufficientemente grande si ha
Z
1
Z
un (x)h(x) dx =
1
n
1
1
λ0 n p dx = λ0 n p −1
0
0
che converge a zero essendo p1 − 1 < 0.
Prendiamo infine una funzione v(x) appartenente a Lq e fissiamo ε positivo.
Esiste allora una funzione a scala h(x) per cui vale kv − hkq < ε. Quindi
Z
1
Z
un (x)v(x) dx =
0
1
un (x) v(x) − h(x) dx +
0
1
h(x)un (x) dx
0
1
Z
≤
Z
kv − hkq kun kp +
un (x)h(x) dx;
0
ricordando che kun kp ≤ 1, kv − hkq ≤ ε e che
segue la tesi.
R1
0
un (x)h(x)dx converge a zero,
Esercizio 8. Indichiamo con Ω l’intervallo (0, 2π) e definiamo la successione
di funzioni uk (x) = sin(kx) con x ∈ Ω. Allora uk converge a zero debolmente
in Lp (Ω) se 1 ≤ p < ∞ e debole−∗ in L∞ (Ω), ma non converge fortemente in
Lp per alcun p.
4
Dimostrazione. Sia u(x) = sin(x). La convergenza debole e debole−∗ di uk
segue dal Teorema di Riemann-Lebesgue. Consideriamo quindi kuk kp e vediamo
che non può convergere a zero. Sempre dal Teorema di Riemann-Lebesgue segue
infatti kuk kp = kukp , che è banalmente strettamente positiva.
Esercizio 9. Fissiamo α e β due numeri reali positivi e distinti. Definiamo la
funzione u(x) su l’asse reale estendendo in modo periodico la funzione seguente
definita nell’intervallo (0, 1):
(
α
se x ∈ (0, 1/2)
u(x) =
β
se x ∈ (1/2, 1).
Sia uk (x) = u(kx) per k ∈ N, allora la successione uk converge debolmente a
α+β
in Lp (0, 1) e debole−∗ in L∞ (0, 1) ma non converge fortemente in Lp per
2
alcun p.
Dimostrazione. Ancora una volta il Teorema di Riemann-Lebesgue ci assicura
la convergenza debole e debole−∗ alla media di u(x) che indicheremo con u(x):
Z
u(x) =
1
Z
u(x) dx =
1
2
1
Z
α+
0
β=
1
2
0
α β
+ ,
2
2
∀x ∈ R
segue quindi la prima parte dell’esercizio.
Verifichiamo adesso che la successione non converge in norma Lp per alcun p;
consideriamo quindi kuk (x)kp . Se ammette limite, necessariamente sarà uguale
alla norma del limite debole u(x).
kuk (x)kpp =
Z
1
2
αp +
Z
1
βp =
1
2
0
αp + β p
,
2
mentre
α + β p
,
2
quindi kuk kp è diversa da kukp per ogni p 6= 1.
Analizziamo quindi a parte il caso p = 1:
Z 1
α + β u k − α + β =
dx
uk (x) −
2
2
0
1
!
Z 2m+2
k−1
X Z 2m+1
2k
2k
α + β α + β =
α −
dx +
β −
dx
2m+1
2m
2
2
2k
2k
m=0
ku(x)kpp =
=
k−1
X
|α − β|
|α − β|
=
2k
2
m=0
e quindi non converge a zero.
Esercizio 10. Sia H uno spazio di Hilbert e F un funzionale lineare e continuo
appartenente allo spazio duale di H e diverso dal funzionale nullo. Allora la
dimensione dello spazio ortogonale al nucleo di F è uno.
5
Dimostrazione. Sia M il nucleo del funzionale F , quindi M è un sottospazio
vettoriale chiuso e convesso di H e in particolare è sottospazio proprio essendo
F diverso dal funzionale nullo (quindi dimM⊥ > 0).
Per il Teorema di Rappresentazione esiste f ∈ H tale che F (v) = (f, v) per
ogni v ∈ H; in particolare f ∈ M⊥ poiché banalmente (f, u) = 0 per ogni
u ∈ M. Definiamo g = f − PM f dove con PM f si è indicata la proiezione di f
sullo spazio M e osserviamo che g ∈ M⊥ dal Teorema della Proiezione.
Sia u un elemento di H e cerchiamo un numero reale λ tale che u − λg ∈ M.
Ora: u − λg ∈ M se e solo se F (u − λg) = 0 cioè se e solo se λ = FF (u)
(g) (N.B.
questa scrittura ha senso, perché come osservato g ∈ M⊥ e quindi F (g) 6= 0).
Quindi H si scrive come M+gR. D’altra parte vale anche H = M + M⊥ da
cui segue M⊥ = gR poiché M risulta essere uno spazio di dimensione positiva
contenuto nella retta gR.
Esercizio 11. Sia Ω un sottoinsieme limitato di RN . Definiamo M lo spazio
delle funzioni che appartengono a L2 (Ω) e costanti quasi ovunque. Allora:
1. M è sottospazio chiuso di L2 (Ω);
2. ∀g(x) ∈ L2R la proiezione di g(x) su M è la media di g(x) su Ω, cioè
1
PM g = |Ω|
g(x) dx;
Ω
3. lo spazio ortogonale a M è lo spazio delle funzioni in L2 a media nulla.
Dimostrazione. Osserviamo che M è un sottospazio lineare di L2 e come spazio
lineare è isomorfo a R, poiché è generato dalla funzione costante uno quasi
ovunque, quindi è chiuso in L2 .
Consideriamo adesso g(x) ∈ L2 . La sua proiezione su M è tale che (g −
PM g, v) = 0 per ogni elemento v di M. Sia c 6= 0 e sia v(x) = c q.o., dunque
v(x) una funzione in M; vale allora
Z
Z
(g − PM g, v) (g(x) − PM g(x))v(x) dx =
c(g(x) − PM g) dx = 0
Ω
Ω
da cui segue
PM g =
1
|Ω|
Z
g(x) dx
Ω
poiché PM g è un elemento di M e quindi è costanteR quasi ovunque.
Proviamo infine che M⊥ = {g(x) ∈ L2 tale che Ω g(x)dx = 0}. R
Sia h ∈ M⊥ , quindi per ogni g(x) ∈ M si ha (h(x), g(x)) = 0 cioè Ω g(x)g(x) dx =
0. Ricordando che g(x) è costante quasi ovunque, segue la tesi.
Esercizio 12. Siano f (x) = 1 e g(x) = x due funzioni appartenenti allo spazio
di Hilbert L2 (Ω) dove Ω rappresenta l’intervallo [0, 1]. Si calcoli:
1. l’angolo θ compreso tra di esse;
2. la loro distanza reciproca;
3. la proiezione PW h della funzione h(x) = x2 sullo spazio W = span(f, g).
6
Dimostrazione. L’angolo compreso tra f e g segue facilmente ricordando la
formula del prodotto scalare (f, g) = cos(θ)kf kkgk. Basta quindi calcolare
(f, g), kf k2 , kgk2 :
R1
R1
(f, g) = 0 f (x)g(x) dx = 0 x dx = 12 ;
R1
kf k2 = 1 banalmente, e infine kgk22 = 0 x2 dx = 13 .
√
In conclusione cos(θ) = 23 .
Calcoliamo la distanza tra f e g. Dalla definizione segue:
Z 1
21
2
Z 1
1
d(f, g) = kf − gk2 =
|f (x) − g(x)| dx
=
|1 − x|2 = √ .
3
0
0
Cerchiamo adesso la proiezione della funzione h(x) sullo spazio W . Con il
procedimento di ortogonalizzazione di Gram-Schmidt a partire dalle due funzioni f e g si trova una base ortonormale per W che indicheremo con B = {f1 , f2 }.
Quindi
f1 = 1;
f2 =
x − 21
1 √
g − (f1 , g)f1
=
)2 3
=
(x
−
kg − (f1 , g)f1 k
2
kx − 12 k
√
cioè {f1 = 1, f2 = 3(2x − 1)} è una base o.n. per W .
Consideriamo adesso PW h; si ha
PW h = (h, f1 )f1 + (h, f2 )f2
√
quindi, poiché (h, f1 ) = (x2 , 1) = 13 e (h, f2 ) = (x2 , 3(2x − 1)) =
√
1 √
3
1
PW h = + 3(2x − 1)
=x+ .
3
6
6
√
3
6
si ha
Osservazione. La proiezione di h sullo spazio W rappresenta la migliore approssimazione lineare della funzione h(x).
Cioè la retta y = x + 16 è la retta che meglio approssima la parabola y = x2 .
Dimostrazione. La proiezione di h(x) sullo spazio W è l’elemento di W , che
indicheremo con z, che minimizza la distanza di h da W , cioè tale che
d(z, h) = min d(h, w).
w∈W
D’altra parte W è il sottospazio formato da tutte le funzioni affini nell’intervallo
[0, 1], quindi PW h rappresenta la migliore approssimazione affine della funzione
h(x).
Esercizio 13. Sia I l’intervallo della retta reale I = [−1/2, 1/2] e definiamo
V = {v ∈ W 1,1 (I) : v(−1/2) = 0} dove si considerano i rappresentanti continui.
Siano a(x), b(x) due funzioni definite in I, continue e tali che 21 ≤ a(x), b(x) ≤ 1.
Si consideri il problema ai limiti

0
0

− a(x)u (x) + b(x)u(x) = f (x)
u(−1/2) = 0


u(1/2) = 0
7
dove f (x) è una funzione appartenente a L2 .
Si dimostri che esiste una soluzione per il problema e, in particolare, se
f ∈ W 1,2 (I) allora la soluzione è C 2 .
Dimostrazione. Osserviamo innanzitutto che V è uno spazio vettoriale chiuso
in W 1,1 (I). Per dimostrare l’esistenza di una soluzione, procediamo per passi.
(i) Esiste u ∈ W 1,2 (I) soluzione debole del problema;
infatti: definiamo
Z
Z
A(u, v) = a(x)u0 (x)v 0 (x) dx + b(x)u(x)v(x) dx.
I
I
È una forma bilineare simmetrica, continua in V essendo a, b ≤ 1 e quindi
A(u, v) ≤ kuk1,1 kvk1,1 ; inoltre A è coerciva poiché a, b ≥ 21 e quindi A(u, u) ≥
1
2
2 kuk1,1 .
Consideriamo inoltre il funzionale lineare e continuo sullo spazio vettoriale
V definito da
Z
F (u) = f (x)u(x) dx.
I
Allora esiste, ed in particolare è unico, un elemento u di V per cui si ha A(u, v) =
F (v) comunque preso un elemento v di V .
Tale u è soluzione debole del problema, infatti sia v ∈ V , si ha:
A(u, v) = F (v)
che con un’integrazione per parti equivale a
Z Z
0
0
0
a(x)u (x) v(x)+b(x)u(x)v(x) dx = f (x)v(x) dx
− a(x)u (x) v(x)|I +
I
I
da cui segue
− a(1/2)u0 (1/2) v(1/2) −
Z
I
0
au0 v +
Z
Z
buv =
I
f v.
I
Scegliendo v ∈ W01,1 (I) segue quindi che u è soluzione debole dell’equazione
0
− a(x)u0 (x) + b(x)u(x) = f (x) e in particolare è soluzione del problema in
quanto soddisfa le condizioni al bordo: u(−1/2) = 0 banalmente in quanto
appartiene a V e u0 (1/2) = 0 essendo soluzione debole dell’equazione.
(ii)La soluzione debole u appartiene a W 2,2 (I);
infatti: u è un elemento di V e per ogni altro elemento v di V si ha
Z
Z
Z
a(x)u0 (x)v 0 (x) dx + b(x)u(x)v(x) dx = f (x)v(x) dx
I
I
I
o equivalentemente
Z
Z
a(x)u0 (x)v 0 (x) dx = −
I
b(x)u(x) − f (x) v(x) dx.
I
Dovendo valere per tutti gli elementi di V , vale in particolare per le funzioni
v ∈ C01 (I) da cui segue l’esistenza della derivata debole della funzione a(x)u0 (x)
0
e a(x)u0 (x) = b(x)u(x) − f (x).
8
Osserviamo che sia au0 che la sua derivata debole appartengono a L2 quindi,
essendo u0 = a1 (au0 ), in quanto a(x) non è mai nulla, segue u0 ∈ W 1,2 (I) da cui
u ∈ W 2,2 (I).
(iii) La soluzione debole u è anche soluzione forte;
infatti: sia φ(x) una funzione C0∞ e si consideri
Z
Z
0
(auφ + buφ) = f φ.
I
I
Integrando per parti segue
Z
−
(au)0 + bu − f φ = 0
I
e applicando il Lemma Fondamentale del Calcolo delle Variazioni si ottiene
−(au)0 + bu = f q.o. in I cioè u è soluzione forte.
(iv) Se f (x) ∈ W 1,2 (I) allora la soluzione u ∈ C 2 (I);
infatti: per x ∈ I si ha (a(x)u0 (x))0 = b(x)u(x)−f (x) e bu−f è una funzione
continua, da cui segue au0 (x) ∈ C 1 (I) e quindi ricordando che a(x) non è mai
nulla, anche u0 ∈ C 1 , essendo u0 = a1 (au0 ).
Esercizio 14. Sia I l’intervallo della retta reale I = [0, 1], definiamo V lo
spazio delle funzioni u(x) ∈ W 1,2 (I) t.c. u(0) = 0; u(1) = 1 e sia f (x) = 1
funzione appartenente a L2 (I). Si consideri la successione di funzionali Jn (u)
definiti su V come segue:
Z 1
Jn (u) =
an (t)u02 (t) + 2f (t)u(t) dt
0
dove an (t) = a(nt) con a(t) = 1 + {t} e {t} indica la parte frazionaria di t. Si
consideri il problema
min Jn (u),
u∈V
valgono allora:
1. per ogni n ∈ N fissato esiste una soluzione un (t) al problema di minimo;
2. la successione un (t) ammette limite uniforme u∞ ;
3. la funzione u∞ non risolve il problema di minimo per
Z 1
J∞ =
a∞ (t)u02 (t) + 2f (t)u(t) dt.
0
dove a∞ è il limite debole di an .
Dimostrazione. Osserviamo che lo spazio V è sottospazio vettoriale chiuso di
W 1,2 (I). Fissiamo n e definiamo
Z
An (u, v) =
1
an (t)u0 (t)v 0 (t) dt
0
9
forma bilineare simmetrica continua e coerciva in V , e
Z 1
Z 1
F (v) = −
f (t)v(t) dt = −
v(t) dt
0
0
funzionale lineare e continuo su V .
Per il Teorema di Lax-Milgram esiste, e in particolare è unico, un elemento
un di V per cui vale An (un , v) = F (v) per ogni v ∈ V e in particolare un è
minimo per 12 An (un , un ) − F (un ).
R1
R1
Quindi un è minimo per 12 0 an (x)u02
n (x) dx + 0 un (x) dx cioè è minimo per
Jn (u) in V .
Osserviamo che 21 An (u, u) = F (u) con u ∈ V è formulazione debole del
problema

0
0

− a(x)n un (x) = f (x)
un (0) = 0


un (1) = 1
quindi risolvendo il problema ai limiti si risolve il problema di minimo. Risolviamo quindi il problema differenziale.
Da (an u0n )0 = f = 1 segue an u0n = t + cn da cui
t
Z
un (t) =
0
s + cn
ds.
an (s)
Sostituendo l’espressione di an si arriva a:
Z t
Z t
Z t
s + cn
s
cn
un (t) =
ds =
ds +
ds
0 1 + {ns}
0 1 + {ns}
0 1 + {ns}
cambiando variabili ns = r e ricordando che {x} = x − [x] segue
nt
Z
un (t)
=
0
=
1
n2
+
=
cn
n
1
n2
+
cn
n
Z nt
1
r
1 cn
dr
+
dr =
2
n 1 + {r}
n 1 + {r}
0
!
Z nt
[nt]−1 Z k+1
X
r
r
dr +
dr +
1 + {r}
k
[nt] 1 + {r}
k=0
!
Z nt
[nt]−1 Z k+1
X
1
1
dr +
dr =
1 + {r}
k
[nt] 1 + {r}
k=0
!
Z nt
[nt]−1 Z k+1
X
r
r
dr +
dr +
1+r−k
[nt] 1 + r − [nt]
k
k=0
!
Z nt
[nt]−1 Z k+1
X
1
1
dr +
dr ;
1+r−k
k
[nt] 1 + r − [nt]
k=0
10
calcolando esplicitamente gli integrali si ottiene
un (t) =
1
= 2
n
[nt]−1
X
!
1 + (k − 1) ln(2) + nt − [nt] + [nt] − 1 ln 1 + nt − [nt]
+
k=0
!
cn
+
[nt] ln(2) + ln 1 + nt − [nt]
=
n
!
[nt] [nt] − 1
1
ln(2)
− [nt] ln(2) + nt + [nt] − 1 ln 1 + nt − [nt] +
=
n2
2
!
cn
[nt] ln(2) + ln 1 + nt − [nt] .
+
n
Determiniamo le costanti cn in modo che valga la condizione un (1) = 1 per
ogni n:
1 n − 1 ln(2)
1
cn =
1 − ln(2)
+
−
ln(2)
2n
n
n
da cui segue facilmente che il limite della successione cn è
c∞ =
1 ln(2) 1−
.
ln(2)
2
Cerchiamo il limite della successione un (t) per n che tende all’infinito.
[nt]
1
Poiché | [nt]
alla funn − t| ≤ n , la successione n converge uniformemente
2
[nt]
[nt]
converge
zione t e inoltre n è una succesione limitata, quindi anche n
uniformemente e il suo limite è la funzione t2 .
Segue che la successione un (t) ammette limite uniforme u∞ con
u∞ = ln(2)
t2
+ c∞ t ln(2).
2
Si consideri adesso il funzionale J∞ .
Z 1
J∞ (u) =
a∞ u02 (t) + 2f (t)u(t) dt
0
dove a∞ è il limite debole di an che per il Teorema di Riemann-Lebesgue è
Z 1
Z 1
3
a∞ =
a(t) dt =
1 + {t} dt =
2
0
0
da cui segue
Z
J∞ (u) =
0
1
3
2
u02 (t) + 2f (t)u(t) dt.
Si osserva subito quindi che u∞ non può essere soluzione per il problema
di minimo di J∞ in quanto una soluzione w al problema minu∈V J∞ (u) risolve
1
u00 = 1.
l’equazione − 23 w00 = 1 mentre u∞ risolve ln(2)
11
Osserviamo come, non a caso, il limite delle soluzioni un soddisfi l’equazione
differenziale
1 00
u =1
ln(2) ∞
1
dove il coefficiente ln(2)
è proprio il limite debole della successione di funzioni
1
an (t) che, sempre per il Teorema di Riemann-Lebesgue è
Z
0
1
1
dt =
a(t)
Z
0
1
1
1
dt =
.
1+t
ln(2)
Esercizio 15. Si definisca V lo spazio delle funzioni u in W 1,2 (I) (dove I è
l’intervallo [0, 1]) tali che u(1) = p dove p è un numero reale. Sullo spazio V si
definisca il funzionale F nel modo seguente:
Z 1
2
u02 (x) + 4f (x)u(x) dx
F (u) = u (0) +
0
dove si sceglie f (x) = x.
Provare che, comunque scelto p numero reale, esiste ed è unica una soluzione
u per
min F (v).
v∈V
Si consideri poi il problema approssimato
Z 1
Fε (u) =
aε (t)u02 (t) + 4f (t)u(t) dt
0
dove
(
ε
aε (t) =
1
se 0 ≤ t < ε
se ε ≤ t ≤ 1.
e sia uε la soluzione. Allora uε converge puntualmente alla funzione u e inoltre
uε converge fortemente in Lq per ogni 1 ≤ q < ∞.
Dimostrazione. Definiamo la forma bilineare A(u, v) come segue:
Z
A(u, v) = 2u(0)v(0) + 2
1
u0 (t)v 0 (t) dt.
0
A(u, v) è evidentemente continua e simmetrica, ed è inoltre coerciva per tutti
gli elementi di V del tipo w = u − v poiché
Z 1
2
A(u − v, u − v) ≥
u0 (t) − v 0 (t) dt = 2ku0 − v 0 k2 ≥ cku − vk
0
dove l’ultima disuguaglianza segue dalla Disuguaglianza di Poincaré.
Quindi si puo’ applicare il Teorema di Stampacchia, da cui il Teorema di Lax
Milgram, in quanto, facendo attenzione ai passi della dimostrazione, risulta in
realtà sufficiente richiedere la coercività della forma su elementi del tipo u − v.
12
Esiste quindi, e in particolare è unica, una funzione u ∈ V che realizza il
minimo per
Z 1
1
A(u, u) +
4f (x)u(x) dx
2
0
cioè u realizza il minimo per il funzionale F in V .
Determiniamo la funzione u(x). Si fissi una funzione φ(x) che sia C 1 (I) tale
che φ(1) = 0 e si consideri la funzione G(t) = F (u + tφ). Poiché u realizza il
minimo per F , necessariamente si ha G0 (0) = 0 cioè
!
Z 1
2
d
0
0 2
u + t φ (0) +
u + tφ + 4 u + t φ t dt = 0
dt
0
da cui, svolgendo un po’ di calcoli,
Z 1
u(0)φ(0) +
u0 (t)φ0 (t) + 2t φ(t) dt = 0.
0
Scegliendo φ ∈ W01,2 (I), si ha u0 ∈ W 2,2 (I) e u00 = 2t; quindi con un’integrazione
per parti si trova
Z 1
0
0
u(0)φ(0) + u (1)φ(1) − u (0)φ(0) +
φ(t) − u00 (t) + 2t dt = 0
0
cioè 0 = u(0)φ(0)−u0 (0)φ(0) da cui, per l’arbitrarietà di φ(x) segue u(0) = u0 (0).
Quindi u(x) risolve il problema
(
u00 (t) = 2t
u(0) = u0 (0)
3
da cui u0 (t) = t2 + u(0) e u(t) = t3 + u(0)t + u(0). Ricordando che u(1) = p
segue infine
3p − 1
3p − 1
t3
u(t) =
+
t+
.
3
6
6
Consideriamo adesso il problema approssimato e cerchiamo di calcolarne la soluzione uε . Analogamente a quanto osservato per il problema di partenza, la
soluzione del problema approssimato soddisfa il problema ausiliario

0 0

(aε u ) (t) = 2t
u(0) = 0


u(1) = p
quindi, procedendo con le integrazioni segue:
uε (t) =
1 t3
+ cε t
ε 3
se 0 ≤ t ≤ ε, mentre
uε (t) =
t3
ε2
+ cε t −
− cε ε + uε (ε)
3
3
13
se ε ≤ t ≤ 1. Ricavando dalla prima delle due espressioni il valore di uε (ε) segue
infine
( 3
1 t
( + cε t)
se 0 ≤ t ≤ ε
uε (t) = tε3 3
ε2
ε2
+
c
t
−
+
c
(1
−
ε)
+
(1
−
ε)
se ε ≤ t ≤ 1
ε
ε
3
3
3
1
dove il valore di cε si ricava imponendo uε (1) = p; cε = 2−ε
(p − 13 ).
Passando al limite per ε che tende a zero segue allora che cε converge a
c = 3p−1
e uε converge puntualmente alla funzione u(t).
6
Concludiamo dimostrando la convergenza forte della successione uε nello
spazio Lq . Vogliamo mostrare che la successione uε è uniformemente limitata
nello spazio L∞ .
Sia K = max{0, p}, definiamo w(t) = H(uε (t) − K) dove H è una funzione
test, H ∈ C 1 (R) crescente per t ≥ 0 e nulla per t ≤ 0.
La funzione w(t) appartiene allora allo spazio W 2,1 (si omette la dimostrazione) e in particolare w(t) ∈ W02,1 (I) poiché uε (0), uε (1) ≤ K.
Osserviamo che poiché H è una funzione crescente vale
Z 1
0
aε (t)u02
ε (t)H (uε (t) − K) dt ≥ 0.
0
D’altra parte uε è soluzione del problema di minimo, quindi si ha
Z 1
Z 1
0
aε (t)u02
(t)H
(u
(t)
−
K)
dt
=
−2
t H(uε (t) − K) dt ≤ 0
ε
ε
0
0
da cui H(uε (t)−K) = 0 per ogni t ∈ [0, 1] e quindi uε (t) ≤ K, per ogni t ∈ [0, 1],
per ogni ε > 0.
La convergenza puntuale della successione uε (t) alla funzione u(t), insieme
alla uniforme limitatezza della successione in L∞ assicurano la convergenza forte
di uε a u(t) anche nello spazio Lq con 1 ≤ q < ∞.
14