OPEC: ORGANIZZAZIONE DEI PAESI ESPORTATORI DI PETROLIO

OPEC: ORGANIZZAZIONE DEI PAESI ESPORTATORI DI PETROLIO
Bandiera dell'OPEC
L'Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio, meglio conosciuta come OPEC
(Organization of the Petroleum Exporting Countries), fondata nel 1960, comprende attualmente
dodici Paesi che si sono associati, formando un cartello economico, per negoziare con le compagnie
petrolifere aspetti relativi alla produzione di petrolio, prezzi e concessioni. La sede dell'OPEC,
inizialmente stabilita a Ginevra, a partire dal 1º settembre 1965 è stata trasferita a Vienna.
Gli stati membri OPEC controllano circa il 78% delle riserve mondiali accertate di petrolio,
il 50% di quelle di gas naturale e forniscono circa il 42% della produzione mondiale di petrolio ed il
17% di quella di gas naturale. L'organizzazione parallela dell'OAPEC (Organization of Arab
Petroleum Exporting Countries), fondata nel 1968 nel Kuwait, si occupa del coordinamento delle
politiche energetiche dei paesi Arabi parte dell'OPEC.
Origini
Le sette sorelle
L'OPEC nacque come risposta dei paesi produttori di greggio al predominio economico delle
aziende petrolifere straniere, principalmente anglo-americane, che fin dagli anni venti e trenta,
attraverso una serie di concessioni per l'estrazione, esercitavano un controllo pressoché assoluto sulla
filiera produttiva (riserve, estrazione, raffinazione, commercializzazione). Le compagnie straniere,
conosciute come «sette sorelle» - termine coniato dall'italiano Enrico Mattei, dirigente dell'Agip - tra
il 1950 ed il 1970 arrivarono a controllare la quasi totalità del petrolio mediorientale, definendo in
maniera unilaterale le quote di estrazione ed il prezzo da pagare ai paesi produttori. Al fine di
bilanciare l'offerta e la domanda per evitare negative fluttuazioni nel prezzo e mantenere così lucroso
il loro business, le sette sorelle imposero spesso quote di estrazione inferiori alla capacità massima
dei paesi produttori con ovvie ricadute sugli introiti degli stessi.
È importante notare come le esportazioni di petrolio rappresentassero, e rappresentino
tutt'oggi, la quasi totalità delle esportazioni di molti paesi produttori, principalmente quelli del golfo
Persico.
Il MOIQP
In aggiunta a queste sfavorevoli condizioni il 30 aprile 1959 il presidente statunitense Dwight
Eisenhower varò il MOIQP - Mandatory Oil Import Quota Program («programma obbligatorio per
le importazioni di petrolio»), che limitava le importazioni di petrolio al 9% del fabbisogno totale degli
Stati Uniti. Il MOIQP era un programma economico di tipo protezionistico inteso a raggiungere due
obiettivi:
1


difendere gli interessi delle compagnie petrolifere americane che già da diversi anni
operavano, attraverso le loro lobby, pressioni sul governo americano per limitare le
importazioni di petrolio.
rendere gli Stati Uniti maggiormente indipendenti in campo energetico attraverso un utilizzo
più massiccio dei giacimenti presenti sul territorio americano.
Il petrolio medio-orientale, pur essendo meno costoso, veniva infatti estratto in zone
strategicamente instabili, con il rischio di interruzioni nell'approvvigionamento. Inoltre il MOIQP
tese a privilegiare le importazioni dal Canada, importante alleato americano nell'era della Guerra
Fredda, sfavorendo nel contempo il Venezuela, all'epoca principale esportatore di petrolio verso gli
Stati Uniti.
Una clausola del programma definiva infatti che il petrolio importato via terra (il Canada confina
direttamente con gli Stati Uniti e, per lo stesso motivo, la clausola ebbe effetto anche sulle
importazioni dal Messico) non era da considerarsi «importato» ed esulava quindi dalla quota massima
di importazione.
L'insoddisfazione dei paesi medio-orientali per l'ingerenza delle compagnie petrolifere straniere
e quella del Venezuela per i limiti imposti dal MOIQP condussero, nel settembre 1960, l'Iraq a
convocare una riunione nella quale discutere future politiche comuni, intese a proteggere gli interessi
dei paesi produttori.
Ruolo e storia
Stati membri dell'opec, in verde più chiaro sono indicate le nazioni che ne hanno fatto parte in passato
Fondata il 14 settembre 1960 durante una conferenza a Baghdad per iniziativa del Governo
del Venezuela a carico del presidente Rómulo Betancourt, il ministro di Miniere e Idrocarburi
venezuelano Juan Pablo Pérez Alfonzo ed il ministro del Petrolio e delle Risorse minerali dell'Arabia
Saudita, Abdullah al-Tariki, l'OPEC consisteva in origine di soli cinque paesi membri (Iran, Iraq,
Kuwait, Arabia Saudita e Venezuela).
I membri dell'OPEC costiturono un cartello il cui scopo era ed è quello di concordare la
quantità e il prezzo del petrolio che queste nazioni esportano. Attraverso sforzi coordinati, l'OPEC
cerca di regolare la produzione petrolifera e di gestire quindi i prezzi del greggio, principalmente
stabilendo delle quote per i suoi membri, che detengono all'incirca i 2/3 delle riserve mondiali di
petrolio. Essi forniscono il 40% della produzione mondiale di petrolio e la metà delle esportazioni.
Grazie all'OPEC, gli stati membri ricevono, per il petrolio che esportano, considerevolmente più di
quanto riceverebbero se non ne facessero parte. Nel 2004, ad esempio, gli 11 membri dell'OPEC
hanno ricevuto 338 miliardi di dollari di entrate per l'esportazione del petrolio, un incremento del 42
percento rispetto al 2003, secondo cifre compilate dall'Energy Information Administration. Si
2
confrontino queste cifre con quelle del 1972, quando gli esportatori di petrolio incassarono 23 miliardi
di dollari per le esportazioni, o con quelle del 1977, quando a seguito della crisi energetica del 1973
essi ricevettero 140 miliardi di dollari. Poiché le vendite di petrolio a livello mondiale, sono
denominate in dollari statunitensi, i cambi nel valore del dollaro rispetto alle altre valute influiscono
sulle decisioni dell'OPEC circa la quantità di petrolio da produrre. Ad esempio, quando il dollaro
perde rispetto alle altre valute, i membri dell'OPEC ricevono minori entrate per il loro petrolio,
causando dei tagli sostanziali nel loro potere d'acquisto, poiché essi continuano a vendere petrolio in
dollari.
Le decisioni dell'OPEC hanno una considerevole influenza sui prezzi internazionali del
petrolio. Ad esempio, durante la crisi energetica del 1973 (grande shock petrolifero), l'OPEC si rifiutò
di spedire petrolio verso le nazioni occidentali che avevano sostenuto Israele nella guerra del Kippur
contro l'Egitto e la Siria. Questo rifiuto provocò un incremento del 70% nel prezzo del greggio, che
durò per cinque mesi, dal 17 ottobre 1973 al 18 marzo 1974. Le nazioni dell'OPEC decisero, il 7
gennaio 1975, di innalzare i prezzi del petrolio grezzo del 10%.
Con l'avvicinarsi della guerra del Golfo del 1990-91, il presidente iracheno Saddam Hussein
sostenne che l'OPEC doveva spingere verso l'alto il prezzo del petrolio, aiutando così l'Iraq e gli altri
stati membri a ripianare i debiti.
Ad agosto 2004 l'OPEC ha comunicato che i suoi membri dispongono di poco margine di
incremento della produzione, indicando così che il cartello sta perdendo la sua influenza sul prezzo
del greggio. Il primo gennaio 2007 entra a far parte dell'OPEC l'Angola. L'Indonesia ha lasciato
l'OPEC di recente (2009), essendo diventata un importatore netto di petrolio e non essendo in grado
di soddisfare le sue quote di produzione.
Influenza sul prezzo del greggio
Contrariamente ad altri cartelli, l'OPEC è riuscito con successo a incrementare il prezzo del
petrolio per lunghi periodi. Gran parte del successo dell'OPEC può essere attribuita alla flessibilità
dell'Arabia Saudita. Questa nazione ha tollerato gli imbrogli sui patti da parte di altri paesi membri,
e tagliato la sua produzione per compensare l'eccesso delle quote di produzione degli altri membri
del cartello. Questo fatto ha dato alla nazione una buona capacità di influenzare il prezzo del petrolio
a livello mondiale, poiché - con molti membri a produzione piena - l'Arabia Saudita è l'unico membro
con capacità di scorta, e l'abilità di aumentare la produzione se necessario. Questa politica ha avuto
successo, causando l'innalzamento del prezzo del petrolio grezzo a livelli che erano stati raggiunti, in
precedenza, solo dai prodotti raffinati. Comunque, l'abilità dell'OPEC di innalzare i prezzi ha dei
limiti. Un incremento nei prezzi del petrolio fa diminuire i consumi, e può causare un decremento
netto delle entrate. Inoltre, una crescita continua del prezzo può incoraggiare un cambio dei
comportamenti, come l'utilizzo di fonti alternative di energia o un maggiore risparmio.
Paesi membri
Ci sono 12 paesi attualmente membri dell'OPEC:

Africa

Algeria – Dal 1969
Angola – Dal 2007
Libia – Dal 1962
Nigeria – Dal 1971
Medio oriente
o
o
o
o
3
Iran – Dal 1960
Iraq – Dal 1960
Kuwait – Dal 1960
Qatar – Dal 1961
Arabia Saudita – Dal 1960
Emirati Arabi Uniti – Dal 1967
Sud America
o
Ecuador – Dal 1973 al 1992, e successivamente dal 2007
o
Venezuela – Dal 1960
o
o
o
o
o
o

Paesi ex-membri
Questi 2 paesi sono stati membri dell'OPEC:

Africa

Asia
o
o
Gabon – Dal 1975 al 1994
Indonesia – Dal 1962 al 2009
Paesi non-membri
Ci sono alcuni grandi paesi produttori di petrolio che non aderiscono all'OPEC:




Nord America
o Canada
o Messico
o Stati Uniti d'America
Medio oriente
o Oman
Asia
o Russia
o Cina
o Kazakistan
Europa
o Norvegia
Statistiche
Questa tabella elenca i primi 10 Stati produttori di petrolio al mondo nell'anno 2009.
Produzione "crude oil"
% sul totale
Migliaia di barili al giorno
Russia
9.650,4
14,0%
Arabia Saudita
8.184,0
11,9%
Stati Uniti d'America 5.310,1
7,7%
Cina
3.793,0
5,5%
Iran
3.557,1
5,2%
Venezuela
2.878,1
4,2%
Classifica Nazione
1
2
3
4
5
6
4
7
8
9
10
Messico
Iraq
Kuwait
Emirati Arabi Uniti
Resto del mondo
Totale
OPEC
Non-OPEC
2.601,4
2.336,2
2.261,6
2.241,6
26.212,4
69.025,9
28.927,1
40.098,8
3,8%
3,4%
3,3%
3,2%
38,0%
100%
41,9%
58,1%
GECF, l'OPEC del gas
L'innalzamento dei prezzi e l'aumento della domanda sta creando le giuste condizioni per la
nascita di un OPEC del gas naturale. L'organizzazione del GECF (Gas Exporting Countries' Forum),
costituita a Tehran nel 2001, tenta di superare l'attuale meccanismo che vincola il prezzo del gas
naturale a quello del petrolio (proposta dell'Egitto del 2004) e di prepararsi per l'evoluzione del
mercato del gas, che se fino ad ora era un mercato regionale vincolato ai gasdotti, grazie al GNL si
sta globalizzando (i terminali di liquefazione e di rigassificazione sono geograficamente svincolati) e
fluidificando (cresce l'importanza del mercato spot a scapito dei contratti di lunga durata).
Petrodollaro
L'espressione "petrodollaro" (o "petroldollaro") è stata coniata nel 1973 da Ibrahim Oweiss,
professore di economia alla Georgetown University, per descrivere la situazione che si è venuta a
stabilire in quegli anni nei paesi dell'OPEC - quando la bilancia commerciale veniva sostenuta dal
ruolo della moneta americana come riserva di valuta.
I paesi produttori di petrolio, a seguito dell'aumento del prezzo di questa materia, si sono
trovati a disporre di grandissime risorse finanziarie, i petrodollari appunto perché il greggio veniva
pagato utilizzando il dollaro statunitense. Tali risorse sono state reinvestite solo in piccola parte negli
stessi Stati produttori. Il resto è stato riversato nel sistema economico e finanziario mondiale, con
l'acquisto di valuta e titoli esteri, con effetti destabilizzanti sull'intero sistema.
Il pagamento del petrolio e di altre materie prime in dollari garantisce una domanda stabile di
questa valuta, proveniente dall'estero, che serve a sostenere il cambio, in presenza di un saldo negativo
della bilancia commerciale, ossia a finanziare il deficit estero degli Stati Uniti.
Le materie prime sono un bene primario, comunque necessario all'economia, a scarsa elasticità della
domanda rispetto al prezzo, e quindi adatto a garantire un cambio sulle altre monete indipendente
dallo stato di salute di una economia.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, in base agli accordi Bretton Woods, il dollaro è stato la
moneta sovrana delle transazioni petrolifere. Il petrolio poteva essere comprato o venduto solamente
in dollari, in genere riferendosi ad uno di questi tre marker petroliferi: il West Texas Intermedie
Crude, United Arab Emirates Dubai Crude e il Norway Brent Crude.
Questa prassi è stata per la prima volta interrotta a Luglio 2011 con l'apertura della Borsa
Valori di Kish, in Iran.
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A giugno, la Cina sigla un accordo di interscambio commerciale con Giappone e Iran per la
fornitura di petrolio e prodotti finiti, prevedendo il pagamento nella propria valuta locale. Il 6
settembre 2012, la Cina ha annunciato l'apertura di una Borsa Valori nella quale scambierà greggio
con la Russia in yuan.
Picco di Hubbert
Previsioni della produzione di petrolio esclusi i paesi OPEC e l'Unione Sovietica fatta dal Governo statunitense (2004)
La teoria del picco di Hubbert (detta anche più brevemente picco di Hubbert) è una teoria
scientifica (o modello) proposta, nella sua formulazione iniziale, nel 1956 dal geofisico americano
Marion King Hubbert, che modella l'evoluzione temporale della produzione di una qualsiasi risorsa
minerale o fonte fossile esauribile o fisicamente limitata come una curva di Hubbert. In particolare,
l'applicazione della teoria ai tassi di produzione petrolifera risulta oggi densa di importanti
conseguenze dal punto di vista geopolitico, economico e ingegneristico.
Dopo la formulazione iniziale della teoria, molti lavori successivi sono stati effettuati per
"raffinare" ulteriormente la parte matematica dei modelli nonché per estendere il campo di validità
della teoria. Da menzionare sono, in questo ambito, i lavori di Colin Campbell e Jean Laherrère.
La teoria
La teoria si propone di prevedere, a partire dai dati relativi alla "storia estrattiva" di un
giacimento minerario, la data di produzione massima della risorsa estratta nel giacimento, così come
per un insieme di giacimenti o una intera regione. Il punto di produzione massima, oltre il quale la
produzione può soltanto diminuire, viene detto picco di Hubbert.
In una prima fase, la teoria fu proposta da Hubbert come modello puramente empirico basato
esclusivamente sull'osservazione di dati estrattivi storici e dei fattori economici che possono
intervenire in una economia di mercato quando ci si trova a che fare con una risorsa fisicamente
limitata (come ad esempio il petrolio) e solo in seguito vi fu affiancata una trattazione matematica.
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Fasi di estrazione
Negli Stati Uniti si è effettivamente osservato un picco dell'estrazione del petrolio intorno al 1970,
in seguito i consumi crescenti sono stati compensati con le importazioni
Possono essere distinte quattro macrofasi all'interno della storia estrattiva di un giacimento:
1. espansione rapida - Inizialmente, dopo la prima fase di esplorazione, la risorsa è abbondante
e bastano modesti investimenti per estrarla. In questa fase, la crescita della produzione è
esponenziale.
2. inizio dell’esaurimento - Le riserve "facili", ovvero quelle meno costose, sono quelle estratte
per prime. Con l'esaurimento di queste, comincia a essere necessario sfruttare risorse più
difficili e ciò richiede investimenti sempre maggiori. La produzione continua a crescere, ma
non più esponenzialmente come nella prima fase.
3. picco e declino - A un certo punto, il graduale esaurimento rende talmente elevati gli
investimenti necessari che questi non sono più sostenibili. La produzione raggiunge un
massimo (il picco di Hubbert) e poi comincia a declinare.
4. declino finale - In questa fase non si fanno più investimenti significativi. La produzione
continua, ma il declino procede fino a che non diventa talmente ridotta da cessare
completamente.
Queste caratteristiche "empiriche" (osservate fisicamente in numerosi singoli giacimenti) possono
essere estese a diversi insiemi di giacimenti ed essere simulate con diversi modelli matematici:
empirici, stocastici oppure basati sulla dinamica dei sistemi. Da questi studi si ottengono sempre
curve a campana, anche se non necessariamente simmetriche. La combinazione di queste curve a
campana, come è logico, genera una risultante curva con caratteristiche analoghe di crescita iniziale,
raggiunta di un picco e declino.
Funzione matematica
La curva di Hubbert standard
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Alla base di questa teoria, vi è la descrizione del consumo della risorsa (ad esempio il petrolio)
come una funzione continua (in costante crescita nell'età industriale) che, per il teorema di
Weierstrass, possiede massimo e minimo assoluti. L'analisi delle serie storiche consente di
posizionare questa funzione e calcolarne il valore massimo, nonché il momento oltre il quale tale
curva non può che essere decrescente.
È da notare tuttavia che l'analisi considera solo la variabile quantitativa, e non di prezzo. In
altre parole, la quantità prodotta è la sola variabile indipendente, e il prezzo di mercato dipende dalla
quantità domandata e offerta. Questo approccio trascura cioè il fatto che il prezzo stesso condiziona
la quantità offerta, rendendo conveniente l'estrazione e la raffinazione di nuovi giacimenti, seppure
meno "convenienti" o con costi maggiori. Quando il prezzo di mercato supera il costo industriale di
una nuova tecnologia di estrazione o raffinazione, l'adozione di questa diviene economicamente
conveniente e può generare un nuovo aumento della produzione, o anche un nuovo picco relativo.
Dopo il picco, in ogni caso (o meglio dopo il picco "principale"), sebbene la variabile di prezzo
e tecnologica possano quindi creare delle discontinuità e dei salti nella produzione petrolifera,
secondo tale teoria comunque la produzione non può che diminuire. Infatti, sebbene sotto l'ipotesi di
una domanda crescente di petrolio non supportata dall'offerta i prezzi, salendo, possano portare
(quando oltre un determinato valore critico), alla scoperta o allo sfruttamento di nuovi giacimenti, tali
risorse sarebbero comunque meno convenienti, meno importanti o meno disponibili di quelle già
sfruttate.
In particolare, la storia di produzione della risorsa nel tempo segue dunque una particolare
curva a campana, detta appunto curva di Hubbert (che è la derivata della funzione logistica), che
presenta in una fase iniziale una lenta crescita della produzione, che man mano aumenta fino ad un
punto di flesso e quindi al picco per poi cominciare un declino dapprima lento, e quindi sempre più
rapido.
Applicazioni
Confronto tra produzione di petrolio rilevata (stati continentali U.S.A.) e curva di Hubbert
Hubbert basò inizialmente la sua teoria sull'osservazione dei dati storici della produzione di
carbone in Pennsylvania, giungendo solo in seguito ad una trattazione matematica generalizzata
applicabile
anche
ad
altri
casi.
Estrapolando la sua teoria al futuro della produzione di petrolio degli stati continentali americani,
Hubbert fece la previsione (nel 1956) che agli inizi degli anni '70, gli USA avrebbero raggiunto il
loro "picco di produzione" petrolifera.
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Le conclusioni di Hubbert furono inizialmente guardate con sufficienza dagli ambienti
scientifici ed economici, situazione che cambiò radicalmente nei primi anni settanta, quando,
effettivamente, i 48 stati continentali USA raggiunsero il loro picco di produzione. La concomitanza
di questi eventi con le crisi petrolifere del 1973 e del 1979 fece di Hubbert forse il geofisico più
famoso del mondo.
Negli ultimi anni diversi studiosi in tutto il mondo (tra cui Colin Campbell, Jean Laherrère ed
altri) hanno ripreso le sue teorie cercando di estrapolare e formalizzare meglio i suoi risultati al fine
di prevedere il picco di Hubbert della produzione mondiale di petrolio e gas naturale.
Sebbene tali analisi risultino molto più complicate a causa della grande incertezza sulle riserve
petrolifere di molti stati (in particolare mediorientali), la maggior parte delle analisi fa cadere il "picco
di Hubbert mondiale" all'incirca nel secondo decennio del XXI secolo o, più precisamente, tra il 2006
e, al più tardi, il 2020, anche in previsioni di eventuali crisi economiche che potrebbero
temporaneamente ridurre la richiesta di petrolio.
Altri studi collegati, che tengono in conto anche lo sviluppo di fonti petrolifere "non
convenzionali", quali le sabbie bituminose, gli scisti bituminosi, e i gas liquefatti (detti anche NGL)
non giungono comunque a spostare di molto in avanti queste date.
Sono collegati anche altri studi, portati avanti parallelamente dal Club di Roma con il suo
famoso Rapporto sui limiti dello sviluppo del 1972, che giungono essenzialmente alle stesse
conclusioni della teoria del Picco di Hubbert.
Recentemente è stata sviluppata a contorno una teoria che modellizza gli effetti del declino
produttivo petrolifero dal punto di vista dei paesi produttori e da quello dei consumatori, denominato
Export Land Model. Tale modello prevede che, a causa dell'incremento di domanda interna petrolifera
dei paesi produttori, congiuntamente al declino produttivo dei giacimenti, i paesi importatori
dovranno fronteggiare un tasso di declino di offerta più che raddoppiato rispetto al declino naturale.
Il limite di tale teoria è che esula da studi economici che riflettano eventuali retroazioni sulle
economie dei paesi produttori dell'innesco di crisi economiche dei paesi importatori, innescate dalla
carenza di offerta petrolifera.
Teorie derivate
Sulla base degli studi intorno al Picco di Hubbert per la risorsa petrolifera sono sorte diverse
teorie scientifiche e, principalmente, economiche e politiche, alcune delle quali anche di stampo più
o meno "catastrofista".
Vogliamo qui solo menzionare, tra le più importanti, la teoria di Olduvai proposta da Richard
Duncan, che lega l'esistenza stessa della civiltà industriale all'inclinazione "crescente" della curva di
Hubbert, giungendo dunque a prevedere la fine di tale tipo di civiltà in un'epoca di curva di Hubbert
"decrescente". Questo ovviamente postulando che la produzione energetica mondiale continui a
basarsi prevalentemente sull'utilizzo del petrolio e di fonti fossili.
Conseguenze
La grande crescita economica e prosperità del XX secolo sono state dovute in gran parte
all'utilizzo di una risorsa energetica, come il petrolio, estremamente efficiente, versatile e a basso
costo. Il petrolio rappresenta oggi quasi il 40% dell'energia primaria generata e circa il 90%
dell'energia usata nei trasporti; importanti sono anche le sue applicazioni nell'industria chimica, in
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particolare quella dei fertilizzanti per l'agricoltura, nonché plastiche, colle, vernici, lubrificanti,
detersivi.
Eventuali sostituti del petrolio comportano in ogni caso diversi problemi di ordine tecnologico
o politico e comunque non riescono a "coprire" totalmente tutti i settori di utilizzo attuali.
Risvolti tecnologici
Il fatto di prevedere, per il futuro a breve, un'epoca in cui il petrolio diverrà sempre meno
disponibile ed economico, impone di ricercare sostituti adeguati per i principali campi di applicazione
del petrolio (produzione di energia elettrica, mezzi di trasporto, industria chimica). Ciò potrebbe
provocare grossi problemi (e costi) connessi alla produzione agricola, ove regnano la
meccanizzazione ed il trasporto delle derrate anche in altre nazioni, la riconversione di apparati
industriali, gli impianti di generazione elettrica, e anche al cambiamento di abitudini individuali e
collettive.
Finché il petrolio era una merce abbondante e ad un costo relativamente basso, erano messe
da parte soluzioni di produzione e consumo energetico, tecnicamente fattibili, ma economicamente
non convenienti. I loro costi divengono confrontabili con quelli della situazione petrolifera che segue
il picco di Hubbert.
Un primo effetto del picco di Hubbert è quello di rendere conveniente l'estrazione di petrolio
alle più alte profondità e di un greggio di minore qualità, che presenta maggiori costi di raffinazione.
L'aumento dei prezzi rende economicamente fattibile lo sfruttamento di giacimenti dei quali era nota
l'esistenza, così come l'investimento in nuove tecnologie di ricerca, estrazione e raffinazione dei
giacimenti petroliferi.
Il rincaro delle fonti petrolifere rende inoltre economicamente convenienti lo sviluppo di
motori a bassi consumi ed emissioni, e l'adozione di forme alternative di produzione energetica, ad
esempio da fonti rinnovabili, con l'investimento in tecnologie per la razionalizzazione dei costi
associati.
La riconversione degli impianti di generazione elettrica in particolare potrebbe tanto portare
all'adozione di politiche più "sostenibili", con l'utilizzo di fonti rinnovabili (ad esempio solare, eolico,
idroelettrico, ecc.), quanto alla scelta di sostituti con un maggior impatto ambientale (quali potrebbero
essere il carbone o il nucleare).
Grosse ripercussioni potrebbero aversi anche nel settore dei trasporti basati sul petrolio (auto,
aerei, navi, ecc.), in cui, se non si trovano soluzioni alternative "efficienti", tutto il settore potrebbe
anche essere scosso da una crisi globale.
Implicazioni politiche
Il raggiungimento a breve del picco di Hubbert potrebbe portare a cambiamenti geopolitici
oggi difficilmente prevedibili.
In particolare è da notare che l'area del pianeta che dovrebbe raggiungere più tardi il "picco"
è (come unanimemente riconosciuto) l'area mediorientale. Il mondo si troverà dunque (almeno in una
prima fase) ad essere sempre più dipendente da quest'area, oggi politicamente instabile.
In seguito, l'utilizzo di nuove risorse, potrebbe portare "alla ribalta" altre aree del pianeta oppure
anche essere causa di guerre o instabilità politiche.
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Consapevoli del fatto che prima poi il petrolio finirà, alcuni Paesi come gli Emirati Arabi
Uniti, provvedono ad esempio a investire gli utili derivanti dalla vendita del petrolio, in attività
durature che possano garantire uno sviluppo economico del territorio, anche dopo la sua cessazione.
Critiche e commenti alla teoria
Le principali critiche alla teoria di Hubbert sono sostanzialmente di natura economica, e
dunque non intaccano le basi scientifiche e teoriche del modello, ma speculano intorno alla sua
possibile incompletezza.
In pratica si immagina che in caso di crisi e di prezzi elevati del greggio possano arrivare
"naturalmente" una o più scoperte o un generale affinamento della tecnologia che riesca ad utilizzare
meglio o sostituire il bene petrolio e ne faccia calare il prezzo. Per questo motivo economisti
autorevoli come Michael Lynch del MIT, Leonardo Maugeri e alcuni altri avversano le teorie del
picco petrolifero poiché non contemplano potenziali nuovi metodi per produrre energia. Lynch
afferma che alla base della teoria di Hubbert ci sia una semplificazione eccessiva ed un punto di vista
malthusiano. Secondo Maugeri il rapporto tra le riserve petrolifere accertate e la produzione corrente
è costantemente migliorato, anche se ammette comunque che grosse quantità di queste riserve
difficilmente potranno essere utilizzate a causa di costi elevati o impossibilità tecnica.
Si fa notare inoltre come la domanda petrolifera sia sostanzialmente anelastica ai prezzi,
ovvero che il petrolio sia un bene primario, del quale non si può fare a meno; se a un certo punto gli
investimenti necessari all'estrazione divengono proibitivi, la produzione non cesserà perché
incontrerà una domanda comunque disposta a remunerarli. La teoria di Hubbert poi considera
solamente logiche di mercato, mentre la produzione può essere finanziata in parte dall'intervento
statale o da forme differenti per le quali l'investimento del privato ritorna remunerativo, e solo una
parte dei costi è caricata sul consumatore.
Il Cambridge Energy Research Associates, pur non negando la limitatezza fisica dei
giacimenti petroliferi, afferma che la produzione globale seguirà probabilmente un "plateau ondulato"
per alcuni decenni prima di calare stabilmente.
In risposta a tali posizioni, viene fatto notare che tali assunzioni non confutano la teoria di
Hubbert. Introdurre (ottimisticamente e ipoteticamente) eventuali altre sorgenti di energia, non fa che
uscire dal contesto per cui la teoria di Hubbert è valida, cioè la modellizzazione del flusso estrattivo
di un bene limitato o lentamente rinnovabile rispetto al tasso di consumo. In parole povere, tale
modellizzazione è valida finché qualche elemento non viene a cambiare i presupposti della teoria. Al
momento, non essendo stata ancora scoperta un sorgente dotata di densità energetica e versatilità di
impiego comparabile a quella del petrolio, la teoria rimane valida.
In merito ai sovvenzionamenti statali sulla ricerca di nuovi giacimenti fossili, questo non può
cambiare il sottostante quadro geologico dei giacimenti (che sono in quantità finita), né può quindi
influire sul costo unitario energetico assoluto di estrazione, che si fa via via più sfavorevole man mano
che si è costretti a mettere in produzione giacimenti più piccoli e di minor qualità, traducendosi questo
in costi più elevati e flussi estrattivi ridotti, in presenza - fra l'altro - di una domanda in costante
crescita.
In altre parole, un intervento statale o un eventuale ritrovamento particolarmente fortunato di
giacimenti considerevoli, può modificare la forma della curva di Hubbert, ma non le caratteristiche
fondamentali della teoria e delle sue conseguenze.
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