in ricordo di Beppe Nardulli (1948 - 2008) È prematuramente mancato Giuseppe (Beppe) Nardulli. Non aveva ancora compiuto sessant’anni; era titolare di una cattedra di fisica teorica all’Università degli Studi di Bari, sede in cui si è prevalentemente svolta la sua attività scientifica, didattica e organizzativa. Sono molti i campi della fisica teorica ai quali Beppe Nardulli ha dato importanti contributi, dalla fisica delle alte energie alla meccanica statistica delle reti neurali e allo sviluppo di algoritmi per il riconoscimento delle immagini. Fra i circa duecento lavori scientifici dei quali Nardulli è autore, molti sono considerati come testi di riferimento per vari temi di ricerca. In fisica delle alte energie, fin dall’inizio della sua attività Nardulli ha studiato processi di diffusione profondamente anelastica, la spettroscopia mesonica, i decadimenti degli iperoni, proponendo metodi per determinare parametri fondamentali del Modello Standard come la massa dei quark. Risultati di rilievo, ottenuti in particolare durante gli anni ‘90 in collaborazioni che hanno coinvolto, insieme ad altri, Raoul Gatto a Ginevra, Roberto Casalbuoni a Firenze e Ferruccio Feruglio a Padova, hanno riguardato i sistemi adronici comprendenti quark massivi. Da ricordare è il contributo alla Chiral Heavy Quark Effective Theory, teoria che descrive decadimenti degli adroni con un singolo quark beauty in adroni leggeri. Questa teoria consente di mettere in relazione un gran numero di processi differenti, contribuendo in modo sostanziale alla semplificazione della loro descrizione: risultati di grande importanza per il programma di fisica di esperimenti eseguiti negli ultimi anni alle cosiddette B-factory. Questi studi si sono svolti nell’ambito di progetti dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, della cui Sezione di Bari Nardulli è stato autorevole ricercatore e coordinatore del gruppo di fisica teorica per sei anni. 92 < il nuovo saggiatore il nostro mondo Un altro tema al quale Nardulli ha profondamente contribuito riguarda il diagramma di fase della materia di quark in condizioni di grande densità. Quando la densità barionica supera alcuni valori critici, la materia nucleare può presentarsi in varie fasi con caratteristiche estremamente peculiari. Ad esempio, in alcune condizioni di densità e di massa dei quark individuate da Nardulli la materia nucleare può organizzarsi in strutture cristalline con vario tipo di simmetria spaziale. Le implicazioni fenomenologiche di tali studi riguardano sistemi astrofisici come il nucleo di quark di stelle di neutroni. La meccanica statistica delle reti neurali è stata investigata da Beppe Nardulli con la mente rivolta alle applicazioni. Le capacità di apprendimento e classificazione delle reti, infatti, possono essere utilizzate in campi differenti: sono da ricordare le ricerche sull’utilizzo di reti neurali nella ricostruzione di jet in collisioni fra protoni, come quelle che si produrranno al Large Hadron Collider del CERN di Ginevra, o nella identificazione della particella di Higgs. In tutt’altro campo, le reti sono state studiate per ricostruire immagini biomedicali o individuare ordigni nascosti, nell’ambito di iniziative di Fisica Applicata promosse con determinazione e lungimiranza, come il Centro di Eccellenza TIRES dell’Università di Bari per le applicazioni biomediche, o il progetto dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare per lo sviluppo di tecniche di individuazione di mine antiuomo nei teatri di guerra. Per promuovere la ricerca scientifica e le relazioni fra ricercatori di varie istituzioni Nardulli si è impegnato nell’organizzazione di congressi internazionali, come quelli realizzati a Martina Franca, Conversano e Bari, eventi che hanno rafforzato la considerazione per le istituzioni scientifiche pugliesi. Questa attività scientifica ed organizzativa è stata affiancata da una intensa attività didattica, testimoniata dai numerosi corsi tenuti all’Università, dal gran numero di studenti che hanno seguito le sue lezioni e dai molti che, sotto la sua guida, si sono laureati, hanno conseguito il dottorato in Fisica e si sono avviati nell’attività di ricerca. In particolare, è da ricordare il testo di Meccanica Quantistica redatto in italiano e di uso corrente fra gli studenti di Fisica. Beppe Nardulli apparteneva a una generazione che considerava l’impegno civile come un dovere e una responsabilità. In particolare egli era molto sensibile alle sue responsabilità come scienziato, e conseguentemente si è sempre impegnato a mettere a disposizione le sue competenze per battaglie di alta ispirazione. Nel 1982 ha contribuito (assieme a Carlo Bernardini, Francesco Calogero, Paolo Cotta-Ramusino, Roberto Fieschi, Francesco Lenci, Carlo Schaerf e molti altri) a fondare l’Unione Scienziati Per Il Disarmo (USPID), un’associazione che ancora oggi è impegnata a fornire informazioni e analisi su vari aspetti della proliferazione nucleare, del controllo degli armamenti e del disarmo. Dell’USPID egli è stato anche Segretario Generale dal 1988 al 1995. Nello stesso spirito Nardulli è stato autorevole membro delle Conferenze Pugwash – una associazione fondata nel 1957 sotto lo stimolo del Manifesto Einstein-Russell scritto nel 1955 per mettere in guardia contro i pericoli delle armi termonucleari – delle quali egli ha portato a Bari la 57a Conferenza Internazionale nell’ottobre 2007. Queste sue iniziative per la pace e il disarmo non si sono sviluppate solo al di fuori dell’università. Era infatti ferma opinione di Beppe Nardulli che esse dovessero trovare cittadinanza ufficiale anche all’interno dell’accademia, e a questo scopo egli ha proposto e contribuito a realizzare nel 1989 un’iniziativa che all’epoca era quasi unica in Italia: il Centro Interdipartimentale di Ricerche sulla Pace dell’Università di Bari (CIRP-UniBa). Il CIRP, che è tuttora attivo e che Nardulli ha anche diretto, promuove ricerca e formazione sui temi della pace e del disarmo. In particolare a partire dall’anno accademico 1995-96 egli è stato promotore e direttore di numerose edizioni del Corso di Perfezionamento in Politiche e Tecnologie della Pace e del Disarmo, una iniziativa che nel corso degli anni ha contribuito a formare qualche centinaio di studenti. Pietro Colangelo e Nicola Cufaro Università di Bari Domenico Brini (1923-2008) Laureatosi in Fisica a Bologna, nel 1947, fin dall’anno seguente tenne incarichi nella Facoltà di Scienze della stessa Università. Assistente ordinario nel 1952, libero docente nel 1959, divenne professore di prima fascia di Fisica Sperimentale a Bologna nel 1970, passando poi alla Cattedra di Fisica Medica. Nel 1959 fondò il gruppo BoRiSpa (Bologna Ricerche Spaziali), che diresse fino al 1969 quando creò il laboratorio TESRE (Tecnologie e Studio delle recensioni Radiazioni Extraterrestri) del CNR, di cui mantenne la direzione sino al 1978. Fu direttore dell’Istituto di Fisica A. Righi nel 1976-1977; direttore dell’Istituto di Geofisica nel 1981-1982. È autore di un testo di Fisica Generale 1, e (con O. Rimondi e P. Veronesi) di una guida alla risoluzione di problemi di fisica. Gli anni dal 1948 al 1958 dedicati dapprima alla ricostruzione dell’Istituto di Fisica dopo i disastri della guerra, videro l’avvio alla ricerca, rivolta alle scariche elettriche nei gas, alla radiazione cosmica, a tecniche emergenti per rivelare particelle con contatori a scintillazione, con nuove tecniche di elettronica rapida e ad esperimenti di elettrodinamica quantistica. Si deve a Brini la nascita, alla fine degli anni ’50, nell’area bolognese dell’attività spaziale dedicata alla studio della radiazione X e gamma di origine cosmica, studi che richiedevano di operare al limite o al di fuori dell’atmosfera terrestre utilizzando rivelatori montati su vettori spaziali quali palloni sonda o stratosferici, razzi o satelliti. Si dovevano progettare e realizzare esperimenti atti a funzionare in quota, in un ambiente ostile in termini di temperature e pressioni, senza il diretto contatto dello sperimentatore e con risorse limitate in termini di massa ed energia elettrica. Ulteriori difficoltà consistevano nella realizzazione di apparecchiature per la trasmissione e ricezione dei dati: dal 1960 fu avviata una serie di lanci pionieristici (il primo dalla terrazza dell’Istituto di Fisica). L’attività e i collegamenti internazionali si intensificarono e, dai voli a carattere principalmente tecnologico, si arrivò a quelli per lo studio del fondo atmosferico e cosmico primario dei raggi X fra 20 e 200 keV e poi allo studio di sorgenti galattiche di raggi X come la pulsar della Crab. L’eccellenza dell’attività scientifica e tecnologica del BoRiSpa ottenne un riconoscimento internazionale da parte della NASA che approvò la proposta di accogliere a bordo del satellite americano OSO-6 il rivelatore Solar X-ray Spectroheliograph interamente realizzato a Bologna, di cui Brini era il Principal Investigator. Fu il primo esperimento italiano accettato dalla NASA a bordo di un suo satellite. Negli anni ’80 Brini ritornò all’Istituto di Fisica, dove avviò nuove ricerche con risvolti importanti per la Fisica Sanitaria. Dopo l’incidente di Chernobyl mise a punto un metodo puramente fisico, alternativo alla procedura di tipo chimico, lunga e complessa, per la determinazione della concentrazione di 90Sr in matrici ambientali. Così lo ricorda una sua ex-dottoranda, oggi ricercatrice: “posso dire che lo sento ancora oggi come un vero e proprio ‘maestro’, capace di trasmettere ai suoi allievi quel rigore scientifico che lo distingueva nell’affrontare i problemi e nel cercare delle soluzioni adeguate”. Franco Casali, Guido Di Cocco, Sergio Focardi, Giorgio Giacomelli, Giuseppina Maltoni, Maria Pia Morigi Dipartimento di Fisica, Università di Bologna H. Karttunen, P. Kroger , H. Oja, M. Poutanen and K. J. Donner (Editors) Fundamental Astronomy - forth edition (Springer-Verlag, Berlin, Heidelberg, New York, 2003); pp. 479 (The fifth edition of this volume was published in 2007). This textbook, suitable for a university first course in astronomy, is the outgrowth of a long and outstanding astronomical tradition in Finland, and the result of an extensive collaborative effort, which included also teaching and interaction with many people. Anybody who has taught such a course knows how difficult it is to reconcile within a limited space the striking diversity and the immense amount of information of the subject matter with the need of a firm understanding of its physical and mathematical foundations; this book strikes with ease and wisdom a successful compromise. An important asset of the book is its figures: hundreds of black and white images, graphs and tables and 36 colour plates, all with clear legends. Some figures are quite illuminating, like 7.2, the planetary orbits as seen from the Earth, 3.1, the scintillation of the star Sirius, Plate 2 with the distorted setting Sun and 7.5, the librations of the Moon. Its 19 chapters include, besides the main text, short summaries, more advanced items singled out by an asterisk, worked-out examples, appendices devoted to mathematical background and the theory of relativity, a collection of numerical tables, and exercises with their solutions (the student might have used more). Correctly, bibliography is limited to important textbooks (first names of the authors are missing and few recent books are mentioned). All relevant concepts are introduced and explained in some detail, in well-thought didactical sequences. Mathematics is not shunned, but developed only to the extent necessary for an understanding of physical concepts. A great effort in helping the reader to achieve a rational understanding from first principles is apparent; for example, I have appreciated the way how Kepler’s problem is presented and the discussion of degeneracy of elementary particles. Chapter 3 gives a good introduction to instruments; in the book advanced topics are not shunned, as, for instance, synchrotron radiation, the “butterfly” pattern of sun spots, the X-ray bursters and the asteroid populations. An eager reader, however, may be somewhat deluded by the lack of adequate discussion of hot recent topics. This is of course a difficult compromise, but I would suggest three criteria: the novelty should usher a deep qualitative change, it should not be ephemeral and, possibly, should be easily anchored to elementary principles. Extrasolar planets and the cosmological use of high red-shift supernovae are two examples which in my view are treated too summarily; the second topic would stress two basic problems of cosmology, the measurements of distances and the need to be ready to accept peculiar “laws of physics” which hold only for the Universe. I hope a fifth edition is in the making and will help students and scientists in keeping up with the fast pace of astronomy. I highly recommend this book for class use; but, of course, it will be useful for professionals as well. Bruno Bertotti S. Esposito ed E. Recami (a cura di) E. Majorana – Appunti inediti di fisica teorica (Zanichelli Editore, Bologna 2006); pp. 552; Euro 41,80 Esposito e Recami hanno fatto un ottimo lavoro nella sistemazione di questi quaderni inediti di Ettore Majorana. Si tratta di appunti ad uso personale, non tanto didattico, quanto di aiuto per la preparazione di elaborazioni future. Per essere personali hanno in generale un elevato grado di accuratezza anche formale, come si addice ad una persona che notoriamente pubblicava poco, solo dopo aver raggiunto la (presunta) perfezione. Il significato di un simile documento va molto al di là della curiosità bibliografica per la riscoperta di un inedito. Quando ho sfogliato per la prima volta questo libro, ho pensato vol24 / no3-4 / anno2008 > 93 subito a una raccolta di disegni di Michelangelo che tengo nella mia biblioteca. Gli studi sulle varie posizioni della mano, con cui Michelangelo cercava di affinare le sue tecniche rappresentative proprio nel momento in cui forse gli turbinava nella mente l’idea dei due indici che si toccano nell’atto della creazione, è l’equivalente di questa enorme mole di appunti, con cui il giovanissimo Majorana si preparava ad affrontare la sua breve e travagliata, ma intensissima vita di scienziato. Il fatto poi che non ci sarebbe stato tempo per ideare la Cappella Sistina che forse aveva in mente, accresce l’interesse per il materiale pubblicato. Quest’idea comparativa mi ha poi fatto compagnia durante tutta la lettura del libro. Quali tipi di bozzetti guidano il pensiero e l’elaborazione metodologica del giovane Majorana che affina i suoi strumenti logicomatematici per curiosare sulla struttura del mondo, proprio nel momento magico in cui l’indagine fisica sul microcosmo arriva alla soglia dei 10–13 cm (cioè del nucleo atomico) ed oltre? Ci sono elaborazioni parziali, a volte geniali e sempre meticolose, di problemi di calcolo combinatorio, algebra matriciale, dinamiche strambe che poi interpreteranno nuovi eventi naturali (naturali nella struttura, ma a volte strambi nei modelli interpretativi), addirittura tabelle di potenze di numeri, che erano evidentemente utilissime al Nostro per fare rapidamente calcoli orientativi, anche se oggi, in età di computer, suonano obsolete e destano una certa tenerezza. Gli appunti, che sono stuzzicanti e interessanti in sè, visti in questa prospettiva possono suggerire pensieri più generali, sui meccanismi con cui dalla condizione necessaria ma non sufficiente della completa padronanza del mezzo tecnico, si arriva all’opera d’arte quando scocca la scintilla del genio. Non ho dubbi sul fatto che i pochi lavori pubblicati da Ettore Majorana (e in particolare quello sulla teoria simmetrica dell’elettrone e del positrone) abbiano diritto ad essere equiparati a un’opera d’arte; e questo punto ne suscita subito un altro: del perchè non siano riconosciuti come tali dal sentimento comune, mentre tutti (o almeno tutte le persone colte) conoscono ed amano la Cappella Sistina. È una questione culturale che potrebbe essere mutata in un tipo più adulto di società, dotata di un tipo più intelligente di scuola, oppure sono (il Giudizio Universale e la scoperta dell’antimateria) due prodotti del genio strutturalmente diversi e incommensurabili fra loro? Come piccola guida (assolutamente personale e non motivata) alla lettura del vastissimo materiale, potrei citare i seguenti punti, che mi hanno colpito in modo particolare, e fanno riflettere fra l’altro sulla vastità degli interessi che bisogna coltivare per arrivare alle frontiere della conoscenza, e sulle connessioni misteriose che la logica matematica trova fra cose ed eventi apparentemente molto diversi. Paragrafi 1.25 (Errore medio nella determinazione della probabilità di un evento mediante un numero finito di prove) e 1.30 94 < il nuovo saggiatore (Se i figli dei medesimi genitori tendano ad appartenere allo stesso sesso). Elaborazioni di meccanica probabilistica, ed applicazioni che forse meriterebbero più commenti (io per esempio non ho capito perchè l’autore assume che il parametro a dell’equazione 1.254 debba essere in generale positivo: sotto quali condizioni si può dire che statisticamente nascono più maschi che femmine?). Questo tema sembra un pò eccentrico rispetto al resto, e mi ricorda, per associazione di idee, Fibonacci, che studia la statistica della riproduzione dei conigli, e trova la sua famosa serie. Paragrafo 1.31 (La similitudine dei grilli). Una metafora sulla propagazione del calore. Paragrafo 2.21 (Momento di inerzia della terra). Un esercizio di meccanica celeste. Paragrafo 3.11 (La curva del cane). Un delizioso esercizio di cinematica: anche qui è interessante sia il problema di geometria analitica in sè, che la sua metafora. Paragrafi 4.25 (Funzioni sferiche con spin s=1), 4.29 (Funzioni sferiche con spin, parte II) e 5.7 (Funzioni sferiche con spin s=1/2). Sono tutte variazioni sul tema della teoria quantistica del momento angolare, tema fondamentale della fisica nucleare teorica, che oggi è stato fortemente standardizzato, ma non sostanzialmente semplificato. Si notino in particolare le connessioni fra i problemi di invarianza rotazionale in meccanica celeste (al succitato paragrafo 2.21) e in microfisica (al paragrafo in esame): il passaggio dal linguaggio classico al linguaggio quantistico non distrugge la riconoscibilità della forte identità fra i due problemi. Gualtiero Pisent A. Pascolini (Editor) The Scientific Legacy of Bruno Rossi. A Scientific Colloquium in Honour of Bruno Rossi on the 100th Anniversary of his Birth, Padova – Venezia, September 16 – 17, 2005 (Imprimenda, Università degli studi di Padova, 2006); pp. VII + 109 In the fall of 1931 the then existing Italian Royal Academy whose president, at the time, was Guglielmo Marconi, organized in Rome an international Scientific Conference. Enrico Fermi and his group, in the now legendary Physics Institute building of Via Panisperna, had already started the nuclear physics experiments which made them famous around the globe. All world leading nuclear and cosmic ray physicists of the time, including Robert Millikan and Arthur Compton convened in Rome. Fermi invited Bruno Rossi to give the opening lecture on the “hot topic” of the day: the cosmic radiation phenomenon, then still mysterious. Rossi first sentence was: “ The most recent experiments have revealed facts so strange that we are led to ask ourselves whether the penetrating (cosmic) radiation is fundamentally different from all other radiation we know…” Bruno Rossi did not believe in Millikan’s “atom-birth” origin of cosmic rays and he proved his point with convincing arguments and the clarity which characterized his speeches throughout his whole life. This opening lecture was all it took to turn Millikan into a fierce enemy for life. When this happened Rossi was 28 years old! Much has changed since then. We know a lot more about the nature and origin of cosmic rays although still a lot remains to be understood. Given time and money today’s scientists could just move from one international conference to the next all year round. Scientists with the calibre of Compton or Fermi are harder to find than one would expect, given the exponential growth of physicists since the thirties. But the most unlikely event to happen today, I believe, is that for an opening lecture at an international meeting a 28 year old scientist is invited! To celebrate the man and the scientist but also to describe the science and the way of doing it in those days at the University of Padova Physics Department (still operating now in the same building Rossi built in the few years he was its Head before leaving Italy, forced by fascist discrimination laws) this interesting and precious book has been published. The ten contributions are from well-known scientists and cover the state of the art of some of the Physics themes in which Professor Rossi contributed most, as well as personal reminiscences, episodes and anecdotes of both the early days in Italy and his mature life at MIT told by his close friends. All authors are well known, competent physicists and good writers. Each one of them has expertise in at least one of the fields of physics in which Bruno Rossi has been a scholar and a teacher. Most of them spent some of their professional lives with him either in Italy or in the US. One thing all have in common: a great respect and affection for their friend and/or teacher Bruno. Anyone interested in the history of physical discoveries, the life and adventures of experimental physicists of the past or, more specifically, in Bruno Rossi and cosmic rays, should buy and read this book. However to this reviewer one missing contribution shines for its absence, i.e. the contribution of Riccardo Giacconi, the man who probably was his closest collaborator for longer than anyone else. Together they shared the discovery of extrasolar X-rays, put in orbit Uhuru, the first X-ray satellite, and opened the new window of X-ray Astronomy for us all. These discoveries led to a Nobel price to Giacconi shortly after Rossi left us. One can speculate on the possible reasons why Giacconi has not contributed to the book. Perhaps the simplest reason is the real one: that story deserves a much thicker book. Giorgio G. C. Palumbo R. A. Ricci (Editor) Flashes of Physics in Italy. A collection of scientific papers in memory of Carlo Castagnoli (Società Italiana di Fisica, Bologna, 2007); pp. XIV + 648; Euro 40.00 Mi accingo a scrivere la recensione a questo libro con una certa apprensione, conscio di avere un profondo “bias” personale. Dico questo perchè il Professor Carlo Castagnoli, 45 anni fa, fu mio relatore di tesi e non è facile rimanere obiettivi nei riguardi dei propri maestri per i quali si è provato rispetto, reverenza, ammirazione ma anche timore. Terminato il secondo conflitto mondiale, per una strana combinazione, in un paese in ginocchio sia economicamente che culturalmente, la fisica italiana riprese con inaspettato vigore trainata da personaggi di profondo valore, di indomita volontà e, spesso anche di carattere non convenzionale. Nel campo della fisica cosmica basti ricordare Amaldi, Occhialini, Puppi e, naturalmente Castagnoli. I fisici di allora si sentivano, e in diversa misura erano, allievi di Fermi. Il rispetto per gli “apprendisti stregoni” come li definì un famoso libro dell’epoca, era diffuso tra la gente. Proveniva dalle nefaste esplosioni di Iroshima e Nagasaki, che avevano consolidato nella mente dell’uomo della strada il concetto che gli scienziati fossero divisi in due: i fisici e quelli che avrebbero voluto fare fisica. Il lancio dello Sputnik e la conseguente conquista dello spazio contribuirono ad ampliare il dominio della fisica. A terra l’energia nucleare e l’elettronica confermarono che l’intero cosmo è dominio della fisica. Noi studenti di allora crescemmo nella convinzione che la comprensione del mondo, cioè tutto quanto si potesse sapere, fosse a portata di mano. La figura del vecchio Einstein capellone era diventata un simbolo rappresentativo di un mito. Carlo Castagnoli, a tutti noi, apparve, fin delle prime lezioni, una vera forza della natura. Potrei dilungarmi con aneddoti legati a quella che fu, per me, più una avventura naturalistica che una tesi di fisica. Personalmente sono stato testimone della nascita degli esperimenti di fisica cosmica sotto il monte dei Cappuccini, a Torino, sotto la galleria del Monte Bianco a Courmayeur e nel laboratorio della Testa Grigia a Cervinia. Tutte creazioni di Castagnoli i cui risultati seguiva e discuteva con noi all’alba o a tarda notte costringendoci a rinunciare a ore di sonno, lui insonne e sempre pronto a “fare fisica”. Negli anni ’60 crebbero, in Italia, i Gruppi CNR diventati laboratori prima e poi istituti. Il Gruppo Italiano di Fisica Cosmica (GIFCO) che li accorpava comprendeva: lo studio della fisica dei raggi cosmici e neutrini in laboratori sotterranei, guidato da Castagnoli a Torino; il gruppo di ricerche spaziali, di Occhialini a Milano; un gruppo di radiazione cosmica e ricerche spaziali con a capo Galli e Brini a Bologna, il gruppo di Frascati: razzi e palloni e astrofisica teorica di Gratton e infine il gruppo di Scarsi a Palermo. A Torino Castagnoli iniziò anche un gruppo di astrofisica teorica , capeggiato da Alberto Masani, astronomo anomalo per il tempo che addestrò e istruì pochi ma validi ricercatori che, come si usava dire, si fecero onore. Ma gli interessi di Castagnoli non si limitarono a questi, che peraltro rimasero i più importanti sempre. Castagnoli si rivolse alla fisica dell’atmosfera, dei mari, dell’ambiente. Tutti temi oggi di grande attualità. E curò le relazioni con INFN e con il CNEN (ora ENEA). Fu in vari consigli di amministrazione, presidente della SIF, in vari comitati CNR. Il titolo del “suo” Istituto, che tale non solo lo sentiva lui ma lo consideravano anche gli altri, fu esplicativo: ”Cosmogeofisica”. Difficile essere più completi. Da non trascurare un altro pregio, impossibile comprimerlo in un acronimo! Carlo Castagnoli, se ben ricordo, non padroneggiava la lingua inglese, la conosceva ma ad un livello alquanto elementare. Non amava viaggiare all’estero e aprì le porte dei suoi laboratori molto più spesso a scienziati sovietici che americani. Lo spirito del gruppo era però molto internazionale e per anni per lunghi periodi sostarono a Torino scienziati di fama. Penso a Kurt Sitte per esempio. Alcuni anche rimasero, come il boliviano Oscar Saavedra che ancora è professore all’Università. “Chi lavora mangia” mi disse un giorno quando, in visita dall’estero, dove avevo trovato lavoro, lo ringraziai per il compenso ricevuto per il seminario che avevo tenuto. Questa un’altra caratteristica tipica dell’uomo. Attento ai problemi della scuola secondaria personalmente curava i rapporti con i professori di fisica, i seminari, le lezioni di aggiornamento. Veniamo al libro in esame. Consiste in una raccolta di pubblicazioni non solo di Castagnoli ma di pubblicazioni significative di suoi amici e discepoli per evidenziare in quante direzioni si diramassero i suoi interessi. Da questa raccolta emergono i suoi interessi scientifici, la varietà degli argomenti, la complessità delle trattazioni. Le brevi introduzioni a capo di ogni articolo riprodotto sono di chiarimento. Le traduzioni in inglese mirano a rendere il volume accessibile ad un pubblico internazionale. Questa monumentale (più di 600 pagine) raccolta rende giustizia allo scienziato? Forse in parte si, certamente le foto, quasi tutte inedite, inserite qua e là, ci dicono qualcosa anche sull’uomo. Nei miei ricordi una persona travolgente, facile all’arrabbiatura di fronte alla burocrazia, intollerante di fronte alla stupidità, con uno spiccato senso dell’umorismo ma senza troppa pietà per i perdenti. I tempi sono mutati rapidamente, anch’egli, come molti, non trovò facile adeguarsi. Uomo moderno nelle idee e con visione per la fisica ma che non prese mai la patente di guida. Gli eventi in parte travolsero il gruppo, molti se ne andarono per raggiunti limiti di età. Non sono rimasti in molti a portare avanti la tradizione. Sicuramente oggi non esistono più personaggi simili, poliedrici condottieri dotati di abilità politiche ed organizzative che avevano la saggezza di sparire per due ore a metà pomeriggio, dopo una furiosa discussione, i tempi le stimolavano, per ritornare freschi e agguerriti in istituto. Un pomeriggio, incuriosito, lo seguii. Carlo Castagnoli lasciato l’istituto accigliato e furioso a grandi passi era andato alcuni isolati più in la ed era entrato in un cinema a vedere un film di cow boy e indiani. Al ritorno da un viaggio in India dove aveva partecipato ad una conferenza sulla radiazione cosmica ci raccontò, con il sorriso sulle labbra, che, in una università di cui non ricordo il nome, aveva visto una lapide commemorativa di un professore definito “costruttore di dighe e poeta”. L’espressione sul suo viso mi fece supporre che, forse, gli sarebbe piaciuto essere ricordato così. Giorgio G. C. Palumbo C. Rossetti - Rudimenti di meccanica quantistica (Levrotto & Bella, Torino, 2008); pp. 1015; Euro 55,00 Rossetti ha tenuto i corsi di Metodi Matematici e Istituzioni di Fisica Teorica al Corso di Laurea in Fisica dell’Università di Torino dal 1968 a oggi. Se pensiamo che una “generazione” di studenti di fisica vuol dire quattro anni ci rendiamo conto di quante generazioni di ragazzi hanno imparato il rigore didattico e si sono presi grandi paure rispettivamente partecipando ai suoi corsi e presentandosi ai suoi esami. Come testimonianza personale posso dire che sono stato a lungo in commissione d’esame con Rossetti, era un professore temuto, ma far bene il suo esame era motivo di orgoglio sano. Posso dire di più; quando uno studente veniva da me a chiedere la tesi in termodinamica di non equilibrio, come prima selezione per escludere i parolai presi dalla mistica di Prigogine e pronti a mettere un termine dissipativo nell’equazione di Schrödinger prima ancora di aver imparato a vol24 / no3-4 / anno2008 > 95 lavorare, ponevo come precondizione l’aver fatto l’esame di Rossetti e preso un bel voto. Buona regola, infatti il mio miglior laureato, che è stato una ragazza, Giovanna Tinetti, al nostro colloquio mi aveva confessato che era orgogliosa di saper trovare il modo di calcolare integrali con ogni tipo di trucco alla stessa velocità di Rossetti e ho pensato: “una buona educazione, questa fa per me” e non ho sbagliato, ora è professore a Londra. La didattica è una cosa seria, il talento non viene fuori dal nulla, come le rose che se son rose fioriranno, viene dal duro lavoro formativo, dall’apprendimento degli strumenti matematici di base, all’uso del linguaggio della meccanica quantistica non relativistica, che non è poco. Partendo di qui il ragazzo potrà in seguito decollare verso i cieli della cromodinamica e della stringa. Ma all’università deve sapere dov’è l’officina in cui può trovare l’atomo di idrogeno, la teoria dello scattering, il concetto di osservabile quantistica, di stato asintotico, di metodo perturbativo. “Rudimenti di Meccanica Quantistica” è forse per i fisici torinesi un libro di nostalgia. Per gli studenti nuovi è un testo di consultazione esteso a un dominio ben delimitato, l’opposto del saggio tuttologico. Penso che la precisa delimitazione del dominio degli argomenti trattati, tema sul quale ho avuto delle discussioni con Rossetti in corso d’opera, sia stata una giusta scelta; poi l’abbondanza degli approfondimenti e dei dettagli può essere vista con confidenza. Si sa chiaramente cosa si vuole e cosa si compra. Ho molto apprezzato l’impostazione epistemologica, altro argomento di discussioni con l’autore, che è classica, ortodossa. E infine, da antibourbakista quale sono, mi sembra che sia un contributo gratificante, alle pagine 9931000, l’”Elenco degli Scienziati Citati”, con cenni biografici. Il progresso della scienza non è scandito dai teoremi ma, come dice Lucrezio, è esperienza della mente che procede. E questo procedere è attaccato al lavoro di uomini intelligenti e alla loro fatica. I confini essendo quelli della meccanica quantistica non relativistica, da questo testo vengono esclusi alcuni domini dell’astrofisica di altissima densità e temperatura, o la cosmologia del big bang, che richiedono ulteriori strumenti. Tuttavia il materiale incluso è molto grande e il bello è che i problemi sono trattati con rigore, dalla esposizione logica del formalismo di partenza, ai calcoli che si debbono fare con padronanza del dettaglio, fino alle stime numeriche finali. A me sembra che un paragone giusto sia quello di un negozio con tanti scaffali nei quali lo studente può trovare gli argomenti di ricerca a cui accedere imparando il valore della completezza di un buon manufatto. Alcuni esempi. Parto dalle Appendici, dove si trovano condensate in cento pagine nozioni essenziali usualmente riposte in vari libri di analisi: gli spazi L2, le equazioni differenziali lineari, i polinomi ortogonali, le funzioni sferiche di Bessel, gli spazi vettoriali lineari. 96 < il nuovo saggiatore Molti libri di fisica teorica se la cavano assumendo che il lettore conosca tali cose, oppure che si arrangi a studiarsele in altri libri o corsi accessori; qui invece ci sono a portata di mano. Centoventi pagine sono dedicate alla teoria dell’urto, si parte dalla trattazione rigorosa del formalismo di base, ma poi andando avanti si trovano tante estensioni al mondo fisico, dalla sezione d’urto per collisione di meteoriti sulla terra, all’effetto RamsauerTownsend, alla formula di Dyson, che apre la porta a formulazioni generalissime della teoria dello scattering. L’approssimazione semiclassica è approfondita e implica quaranta pagine; sui metodi di approssimazione c’è una trattazione estesa, le ottanta pagine del capitolo 13. Sono anche succulenti il capitolo sul moto di una particella in un campo elettromagnetico esterno (cap 15) e quello, abbastanza inusuale, su insiemi puri e miscele (cap 16). Molto completo il capitolo 6, sui problemi unidimensionali, che contiene in pratica tutti quelli risolubili esattamente. Quindi, riassumendo, questo libro educa al lavoro del fisico teorico, insegna a usare gli strumenti dell’arte e infine ti porta a capire come mai la meccanica quantistica ha avuto tale importanza nel mondo moderno, a partire dagli inizi del Novecento. Luigi Sertorio G. F. Bassani and The Council of The Italian Physical Society (Editors) Ettore Majorana Scientific Papers on the occasion of the centenary of the birth (SIF, Bologna - Springer, Berlin, Heidelberg, New York, 2006); pp. 284; Euro 61,95 L’opera omnia e le ultime intuizioni di Ettore Majorana. L’iniziativa della Società Italiana di Fisica di onorare Ettore Majorana nel centesimo della nascita pubblicandone l’opera omnia in versione originale e in traduzione inglese ha definitivamente consegnato il grande fisico, prematuramente e misteriosamente scomparso nel 1938 a soli trentun anno e sei mesi, alla storia universale della scienza. I commenti bilingue scritti per ogni lavoro da fisici italiani particolarmente esperti di ciascun settore non solo evidenziano la genialità innovativa di Majorana in quegli anni di impetuoso sviluppo della meccanica quantistica, ma rivelano anche quali importanti conseguenze le intuizioni di Majorana hanno avuto su alcuni fondamentali sviluppi della fisica nella seconda metà del ‘900. Grande merito di questa edizione va al Presidente uscente Franco Bassani e al Consiglio di Presidenza della SIF, curatori del volume, ai colleghi Arimondo, Cabibbo, Guerra, Inguscio, Majani, Mantegna, Minardi, Radicati di Brozolo, Robotti, e Sasso che hanno scritto i commenti, alla redazione che ha curato le traduzioni degli 11 lavori di Majorana, e a Preziosi e Recami che hanno recuperato gli appunti e curato l’edizione della lezione inaugurale di Majorana all’Università di Napoli. L’opera omnia porta a compimento le azioni intraprese a metà degli anni sessanta per restituire ad Ettore Majorana il posto che si merita tra i grandi della fisica. Due azioni in particolare: la nascita nel 1963, ad opera di Nino Zichichi, del Centro Ettore Majorana di Erice, la cui fama straordinaria ha molto contribuito alla conoscenza di Majorana in settori lontani dalla fisica teorica, e la pubblicazione de “La vita e le opere di Ettore Majorana”, curata nel 1966 da Edoardo Amaldi per l’Accademia Nazionale dei Lincei, della quale è parzialmente riprodotta nel presente volume la nota biografica. Sebbene il nome di Majorana sia oggi definitivamente associato a diversi concetti e oggetti della fisica teorica atomica e nucleare, e vi sono particelle, forze, modelli, coefficienti, risonanze e curve che portano ufficialmente il suo nome, molti suoi contributi sono stati apprezzati in ritardo e forse solo parzialmente, essendo stati pubblicati in italiano o in tedesco, quando ormai la grande fisica, costretta dalle dittature fasciste che infestavano l’Europa continentale, emigrava in terre di lingua inglese. Nel suo ottimo commento al sesto articolo Massimo Inguscio spiega bene come alcuni straordinari progressi della fisica atomica degli ultimi decenni, quali la spettroscopia di doppia risonanza, l’intrappolamento degli atomi, la condensazione di Bose-Einstein e il laser atomico, debbano molto al lavoro di Majorana. Un esempio per tutti è il concetto o, meglio, il problema della “lacuna di Majorana” (Majorana hole) che, Cornell, Wieman e Ketterle hanno dovuto risolvere per realizzare la condensazione di Bose-Einstein, come hanno esplicitamente ricordato a Stoccolma nel ricevere il premio Nobel per la Fisica 2001. Vorrei qui soffermarmi su un aspetto della personalità scientifica di Majorana, rimasto in ombra a causa della sua morte prematura e forse dai suoi timori di avventurarsi in terreni dominati, allora, dalla filosofia idealista che tacciava i fisici di elettricisti. Eppure Ettore era amico e collega di Giovanni Gentile Jr., col quale scrisse il primo articolo, e fu Giovanni che nel 1942 curò la pubblicazione postuma su Scientia dell’ultimo lavoro di Majorana dal Fig. 1 Ettore Majorana (1906-1938): Il valore delle leggi statistiche nella fisica e nelle scienze sociali (1942); Adolphe Quetelet (1796-1874): Essai de physique sociale (1835-). titolo, straordinario per quei tempi “Il valore delle leggi statistiche nella fisica e nelle scienze sociali”. Merito di Rosario Mantegna avere riportato questo lavoro all’attenzione degli economisti, traducendo l’articolo in inglese per la rivista internazionale Quantitative Finance (2005), traduzione ora riprodotta e commentata nel presente volume. Mantegna ha inoltre discusso estesamente questo lavoro su Europhysics News (2006) e, naturalmente, al 3° Workshop dell’International School of Complexity di Erice del 2006, apparendo le considerazioni postume di Majorana come prolegomeni all’attuale fisica della complessità. In quell’occasione proposi un suggestivo confronto tra Ettore Majorana e il grande matematico belga dell’800, Adolphe Quetelet (fig. 1). Entrambi, nei loro trent’anni, giunsero all’intuizione che le leggi statistiche della fisica fornissero il paradigma per comprendere e descrivere le dinamiche sociali. Quetelet secondo la meccanica classica di Laplace, del quale era stato allievo; Majorana secondo la meccanica quantistica di Heisenberg. Mentre però la meccanica classica è perfettamente deterministica e la descrizione statistica sarebbe misura della nostra ignoranza, la meccanica quantistica con l’indeterminazione di Heisenberg implica la descrizione statistica quale misura della nostra conoscenza. In questo senso la meccanica quantistica, ovvero la matematica che la governa, fornisce, secondo Majorana, lo strumento adatto a studiare quantitativamente le dinamiche sociali, ossia di sistemi di oggetti complessi che comunicano tra loro, si adattano e compiono scelte. Laplace, intuendo la possibilità di una teoria statistica della meteorologia, ci avverte però: “La regolarità che l’astronomia ci rivela nei moti delle comete esiste indubbiamente in tutti i fenomeni. La curva descritta da una semplice molecola d’aria o di vapor acqueo è regolata in modo altrettanto certo quanto le orbite dei pianeti: la sola differenza tra queste è quella introdotta dalla nostra ignoranza. La probabilità è relativa in parte a questa ignoranza e in parte alla nostra conoscenza” (Essai philosophique sur les probabilités, 1814). In quel tempo la visione statistica del mondo vivente si faceva strada ad opera di celebri scienziati inglesi come Thomas Malthus, Charles Babbage e Charles Darwin e di un altro illustre matematico belga del tempo, Pierre François Verhulst, ideatore dell’equazione logistica. A quella visione fa esplicito riferimento Quetelet nel suo Essai de physique sociale (1835): «La partie la plus curieuse du travail sera, je crois, la théorie de la population. Je suis parvenu à la transporter entiérement dans le domaine des sciences exactes au moyen de deux thèorèmes dont l’un m’appartient. J’ai soumis ma théorie à l’épreuve de l’experience et le résultats calculés s’accordent parfaitement avec les résultats observés. Je ne fais au fond que montrer que ce qui est admis par les principaux économistes et ce qui se trouve si bien exposé dans les ouvrages de Malthus peut s’énoncer d’une manière plus précise et se formuler de la manière la plus élégante ». Quel « je crois » rivela nel giovane Quetelet, come in Majorana, il timore che si prova di fronte a un’intuizione rivoluzionaria. Così in una lettera a Van de Weyer del 1834: «Je crois avoir réalisé en partie ce que j’ai dit depuis longtemps sur la possibilité de faire une mécanique sociale comme l’on a une mécanique céleste; de formuler les mouvements du corps sociale comme on a formulé les mouvements des corps célestes et d’en reconnaître toutes les propriétés et les lois conservatrices ». La statistica, si sa, si nutre di medie e fluttuazioni, e della teoria di Quetelet furono spesso recepite soltanto le medie, con molta ironia: l’uomo medio è privo di qualità, noioso e inutile, come Der Mann ohne Eigenschaften di Robert Musil. Certamente l’uomo non è un punto materiale. Gradualmente e con ottime ragioni la psicologia ha cominciato a considerare l’essere umano come un sistema cognitivo adattabile e un processore di informazioni. Una statistica sì, ma di oggetti individualmente complessi. E qui si innesta il discorso di Majorana: “Una differenza sostanziale si potrebbe invece scorgere nel carattere matematicamente definito delle leggi statistiche della fisica a cui fa riscontro quello chiaramente empirico delle leggi statistiche sociali; ma è plausibile attribuire l’empirismo delle statistiche sociali ... alla complessità dei fenomeni che essi considerano, per cui non è possibile definire esattamente le condizioni o il contenuto della legge.” Occorre dunque una modellizazione plausibile di un qualsivoglia sistema complesso affinché le sue leggi statistiche acquistino carattere matematicamente definito. “Naturalmente – avverte Majorana – anche le leggi statistiche note alla meccanica classica e riguardanti sistemi complessi, conservano la loro validità secondo la meccanica quantistica.” E conclude: “Se è così, come noi riteniamo, le leggi statistiche delle scienze sociali vedono accresciuto il loro ufficio che non è soltanto quello di stabilire empiricamente la risultante di un grande numero di cause sconosciute, ma sopratutto di dare della realtà una testimonianza immediata e concreta. La cui interpretazione richiede un’arte speciale, non ultimo sussidio dell’arte di governo.” L’ultimo scritto di Majorana si chiude dunque con un auspicio che l’arte del governo tragga beneficio dalla (futura) capacità degli scienziati di quantificare le dinamiche sociali. Se tale prospettiva appariva utopica in tempi di dittature imperanti, essa appare oggi un’inderogabile necessità a fronte del drammatico medioevo che incombe, fatto di cambi climatici, minacce alla biodiversità, penuria di risorse vitali, crolli finanziari, migrazioni, epidemie, insomma il verificarsi di circostanze che già occupavano le menti di Malthus e Darwin, Quetelet e Verhult, molto derisi dai sapienti di un tempo, aristotelici, idealisti o pragmatici che fossero. Questi problemi riguardano sistemi complessi, e solo la moderna scienza della complessità può dare di questa realtà “una testimonianza immediata e concreta”, e proporre soluzioni secondo quella “arte speciale” che dovrebbe costituire “non ultimo sussidio dell’arte di governo”. Oggi anche i governanti meno responsabili (non ne mancano purtroppo) comprendono che bisogna fare qualcosa. L’OCSE ha recentemente costituito un Forum della Complessità con lo scopo di mettere intorno a un tavolo gli studiosi di quell’arte speciale e i consiglieri di coloro che decidono le sorti politiche (e non solo) del pianeta. Il primo workshop del Forum sarà tenuto a Erice con l’auspicio che Ettore Majorana illumini le loro menti! Vorrei concludere con un’altra citazione di Majorana dal suo ultimo lavoro:“Dobbiamo invece rilevare che il principio pragmatista di giudicare le dottrine scientifiche in base alla loro utilità non giustifica in alcun modo la pretesa di condannare l’ideale di unità della scienza che si è rivelata più volte un efficace stimolo al progresso delle idee”. Sotto il paradigma della complessità molte discipline diverse trovano metodologie comuni e soprattutto una visione scientifica unitaria. Al di là dell’utilità che può avere ogni piccolo passo avanti tecnologico, è il solo progresso delle idee generato da quella visione unitaria della scienza che può recare duraturo beneficio al genere umano. Tra i vari romanzi costruiti intorno alla scomparsa di Majorana v’è quello di una visione pessimistica del futuro che l’avrebbe spinto al suicidio. Ma il suo ultimo scritto Ettore Majorana ci tramanda un messaggio di speranza nella scienza del quale dovremmo fare tesoro. Giorgio Benedek vol24 / no3-4 / anno2008 > 97 F. Guerra and N. Robotti Ettore Majorana, Aspects of his Scientific and Academic Activity (Edizioni della Normale, Pisa, 2008); pp. XII + 116; Euro 24,00 Questa breve e densa monografia mantiene in pieno le promesse contenute nel titolo. Essa infatti è dedicata prevalentemente ad una ricostruzione puntuale dei percorsi scientifici di Ettore Majorana e dei suoi tentativi di sviluppare una vita accademica, adeguata al livello dei risultati ottenuti nelle sue ricerche. Gli aspetti più personali, così come la vicenda della sua scomparsa, sono volutamente descritti solo in modo molto indiretto. Ci sono alcune caratteristiche generali di questo libro che vanno messe in evidenza. Innanzitutto i contenuti sono basati esclusivamente su fonti primarie, fornite dalla letteratura scientifica dell’epoca e da numerosi documenti originali di archivio, di cui alcuni inediti. Una larga parte dei documenti utilizzati sono allegati al libro, e sono riprodotti splendidamente, rendendoli fruibili al lettore, che può verificare personalmente le analisi sviluppate nel testo. Un altro aspetto importante di quest’opera è che gli autori non sono solo studiosi di storia, ma entrambi fisici, e quindi in grado di illustrare e interpretare con cognizione di causa il significato fisico dei lavori di Majorana. Il libro percorre le varie tappe della vita scientifica e accademica di Majorana, a partire dagli anni della formazione nei licei Massimo e Tasso di Roma e nell’Università di Roma. La tesi di laurea sul decadimento a costituisce un notevole progresso rispetto alla teoria di Gamow, ma è notevole il fatto che, prima di laurearsi, lo studente Majorana trascuri di dare esami per dedicarsi a un importante lavoro sul modello statistico degli atomi, lavoro che solo molto più tardi sarà riconosciuto e fatto proprio da Fermi. Nel periodo fino alla libera docenza Majorana frequenta “liberamente l’Istituto di Fisica di Roma”, lavorando intensamente sulla interpretazione di linee spettroscopiche, sulla teoria del legame chimico e sulla teoria relativistica di particelle con spin arbitrario, manifestando anche una precisa volontà di pubblicare e far conoscere i propri risultati. C’è poi il soggiorno all’estero, principalmente a Lipsia da Heisenberg, durante il quale Majorana viene definitivamente consacrato come uno studioso di livello internazionale attraverso i suoi lavori sulla struttura nucleare. Seguono anni di silenzio, a partire dal suo ritorno a Roma fino al concorso per una cattedra di Fisica Teorica a Palermo, concorso terminato con la sua chiamata per chiara fama all’Università di Napoli. Qui termina la sua vicenda nota. La sua scomparsa è analizzata brevemente, sempre alla luce dei documenti (anche in questo caso ci sono importanti inediti), ma con quale spirito lo si capisce da quanto gli autori dicono nell’introduzione: “Noi non conosciamo quali siano le sue decisioni alla fine del Marzo 1938, ma rispettiamo le sue motivazioni e ci 98 < il nuovo saggiatore asteniamo da illegittime intrusioni in questi delicati argomenti”. In conclusione, da questo libro la figura di Majorana esce sotto una nuova luce: uno studioso interessato a far conoscere i suoi risultati e a inserirsi nella carriera accademica, a interagire con i colleghi, sui quali, grazie alle sue capacità scientifiche, esercita probabilmente anche una profonda influenza. Si conferma uno scienziato con una grande vastità di interessi (spettroscopia, fisica nucleare, teoria dei campi, equazioni relativistiche, teoria dei gruppi), ma si configura in modo molto più chiaro la sua attualità e soprattutto il suo grande spirito anticipatore. A questo proposito sono molto istruttivi i programmi dei corsi che Majorana, nella sua qualità di libero docente, propone, senza peraltro mai ottenere da parte della Facoltà la possibilità di tenerli, nei tre anni accademici a partire dal 1933; l’ultimo programma, in particolare, ha il titolo “Elettrodinamica quantistica”. In conclusione, la lettura di questo libro stimolerà il lettore a farsi la sua personale opinione sul “caso Majorana”, ma questa volta basata esclusivamente sui documenti esistenti. Mauro Giannini A. Bettini Introduction to Elementary Particle Physics (Cambridge University Press, 2008); pp. 442 This textbook by Alessandro Bettini is very interesting. Apart from what is written on the back cover of the volume about its originality (“while most texts on this subject emphasise theoretical aspects, this textbook contains examples of basic experiments, before going into the theory”), its structure is nicely configured so as to enrich and highlight the contents themselves which span a wide range of introductory notions on elementary particle physics in a comprehensive way. With the intent to “introduce” the reader to the attractive world of elementary particle physics, nevertheless the author all throughout goes deep to the roots of the various questions addressed in his description of the Standard Model that governs today the theory of fundamental interactions. Avoiding useless (and heavy) details, he always comes straight to the point and gives the essential. He has a talent to render complicated things as simple and clear as possible. His phrasing is very agreeable and effective. He has been capable to write a “conceptual” book, giving immediate answers to many intriguing questions the students often ask. He picks appropriate examples, makes rigorous statements about key notions, describes the historical evolution in the understanding of physical phenomena, quotes correct and exhaustive references, gives warnings about delicate and sometimes misleading terminology. The many numerical examples, problems and exercises introduced together with their accurate solutions are extremely useful, explanatory and enlightening. The choice to introduce in many occasions reliable Internet reference material is very topical and beneficial for a young-people public. Instead of reproducing here the table of contents, let us just make a brief list of topics addressed in this book that cannot but capture the reader’s interest: symmetries, and in particular parity (which is always a little tricky to understand); resonance formation and production; virtual effects and vacuum fluctuations; the top quark distinction with respect to all other quarks (why there are no top hadrons); the subtle difference between the electric charge and the colour charges (and its drastic consequences); the precise drawing and meaning of Feynman diagrams (showing, in particular, the details of colour lines); the attractive or repulsive nature of colour forces; the various contributions to hadron masses; helicity, chirality and their diversity; the theoretical origin of antiparticles; the construction of the CKM matrix and the CP violation issue; the neutral flavouredmeson (K°, D°, B°) oscillations; the peculiarities of charged and neutral weak currents (in particular, neutral currents between coloured quarks), the role of right-handed neutrinos, the problem of neutrino mixing and oscillation. Everything all along the various chapters of the book is written in a lively way, thanks to a wise interplay between history, experiment, theory, vision (and only a few basic formulae and key plots). To conclude, Bettini provides the reader with a deep insight of the main steps which have brought to the present formulation of the Standard Model, with its essential ingredients, its limits and open questions. His description is fluent and appealing. With the eyes of a highly skilful and cultured experimentalist, the accurate selection of subjects he presents to us denotes his passion for subnuclear physics, the beauty of which he never fails to point out. We should simply wait for a second volume. Luisa Cifarelli scelti per voi Il mesone Bs Orologi campione Viene dato normalmente per scontato che, nella fase iniziale di formazione dell’Universo, materia e antimateria fossero presenti in ugual quantità. Da questo discende una domanda abbastanza naturale sulle cause che hanno determinato il prevalere della materia e la scomparsa dell’antimateria. La spiegazione che viene data normalmente è legata all’ipotesi che la forza nucleare debole, a differenza delle altre interazioni fondamentali, agisca in modo differente sulla materia e sull’antimateria. Un tale comportamento antisimmetrico, normalmente spiegato come violazione di CP, non è giustificato nell’ambito del modello standard e richiederebbe teorie alternative. Recenti risultati legati allo studio del decadimento del mesone Bs, sembrano indicare che questa è la situazione. Il mesone Bs è formato da un quark strano e da un antiquark del tipo bottom; esso oscilla, ad un ritmo frenetico, tra questa configurazione e quella della sua antiparticella costituita da un quark bottom e da un antiquark strano. Due gruppi sperimentali, comunemente denominati CDF e D-zero, studiando all’acceleratore Tevatron del Fermilab interazioni prodotte dalla collisione di protoni con antiprotoni hanno reso disponibile un numero tale di eventi da permettere una analisi dell’insieme dei dati sperimentali dai quali appare una violazione di CP maggiore di quanto possa essere accettato restando nell’ambito del modello standard. Presumibilmente una risposta definitiva si potrà avere non appena avrà inizio il programma sperimentale del nuovo acceleratore, LHC, nel laboratorio del CERN di Ginevra. Infatti uno degli esperimenti, denominato LHC-b è stato progettato per studiare i decadimenti dei mesoni contenenti quark bottom. Nel giro di un paio di mesi, tale apparato dovrebbe dare una risposta priva di ambiguità sui modi del decadimento del mesone Bs. Comunque, secondo gli autori che hanno condotto l’analisi dei dati sperimentali di CDF e D-zero, la probabilità che esista la violazione di CP è del 99,7%. Il problema che deve affrontare chi progetta orologi di elevata precisione è la mancanza di orologi altrettanto precisi da permetterne la calibrazione. Lo sviluppo degli orologi al cesio ha permesso di ridurre, durante gli ultimi quaranta anni, l’incertezza sistematica dovuta a tutte le perturbazioni note da 10−12 a 5×10−16. L’opinione generale è che ulteriori miglioramenti nella precisione non siano possibili, il limite essendo dovuto al fatto che gli orologi al cesio utilizzano una transizione la cui frequenza è nella regione delle microonde. Gli orologi atomici, destinati nel tempo a sostituire quelli al cesio, utilizzano transizioni tra i livelli di energia di atomi e di ioni. Infatti, assumendo che la precisione nelle misure delle frequenze di transizione non dipenda dai valori della frequenza, la precisone dell’orologio risulta proporzionale alla frequenza di transizione. Poichè le frequenze nel campo dell’ottica sono maggiori di un fattore 100000 rispetto a quelle delle microonde, si può stimare che gli orologi basati sulle transizioni ottiche hanno la possibilità di risultare assai più precisi degli orologi al cesio. Il confronto fra due orologi, funzionanti l’uno con ioni di Al e l’altro con ioni di Hg, ha permesso di misurare il rapporto delle due frequenze con una precisione di 5,2×10−7. I due orologi utililizzano un singolo ione che è tenuto da campi elettrici all’interno di una trappola, in modo da realizzare al meglio delle possibilità la situazione ideale di una singola particella in quiete, senza perturbazioni esterne. A questi livelli di precisione, il contributo agli errori include anche quello dovuto alla gravitazione, perchè una differenza di quota di 1 cm fra i due orologi si traduce in un effetto di 10-18. Quando gli orologi fra cui effettuare il confronto sono situati in edifici lontani non si può far uso di comunicazioni radio ma occorre impiegare trasmissione in fibra ottica. Orologi atomici, funzionanti con singoli ioni intrappolati, raggiungono la massima accuratezza essendo gli ioni poco soggetti alle perturbazioni, mentre orologi atomici, che impiegano decine di migliaia di atomi neutri, hanno il vantaggio di segnali di intensità maggiore. Esitono numerosi candidati per New Scientist , 22 marzo 2008, p. 10 Erratum Nella rubrica Il Nostro Mondo del Nuovo Saggiatore, Vol. 24, n. 1-2, nell’articolo “La Società Europea di Fisica alla Frontiera delle Sfide del XXI secolo”, pubblicato a p. 88, la didascalia della figura riporta per errore “Società Italiana di Fisica” invece di “Società Europea di Fisica”; ce ne scusiamo con i lettori e con l’autore. una nuova generazione di orologi atomici e probabilmente in futuro il secondo verrà ridefinito per mezzo di uno di questi. Science, vol 319, 28 marzo 2008, p.1768 Lenti gravitazionali e materia oscura L’unico modo per mettere in evidenza la presenza di materia oscura si basa sulla utilizzazione dell’effetto gravitazionale. Esso consiste nell’incurvare raggi luminosi che nella loro propagazione dalla sorgente al nostro punto di osservazione passano nelle vicinanze di ammassi di materia oscura. In pratica, l’immagine delle galassie, osservate in questo modo, risulta leggermente modificata, dando così la prova dell’esistenza di una massa, non altrimenti osservabile. Il programma di ricerca è stato condotto utilizzando un telescopio di 3,6 metri che nasce da una collaborazione tra Francia, Canada e Università delle Hawaiii, installato sul vulcano Mauna Kea delle Hawaii, a 4200 metri di quota. Questo strumento è dotato di Megacam, la più grande camera CCD esistente al mondo, costituita da 40 rivelatori CCD per un numero complessivo di 18400×18400 sensori. L’alta quota offre un’atmosfera più limpida e secca, un cielo più scuro, un maggior numero all’anno di notti serene e, cosa più importante, immagini più nitide grazie alla bassa turbolenza atmosferica sulla vetta della montagna. Il vulcano Mauna Kea, situato a Big Island (Hawaii), è il miglior sito di osservazione dell’emisfero settentrionale della Terra. In alcuni anni di lavoro sono state osservati quasi due milioni di galassie, in tre regioni del cielo: l’analisi statistica delle immagini ottenute ha messo in evidenza l’esistenza di strutture con dimensioni fino a 270 milioni di anni luce. Le informazioni sperimentali hanno permesso di ottenere i valori di due parametri necessari per definire la struttura generale dell’Universo: la densità di materia e il grado di strutturazione dell’Universo. Dall’analisi dei dati, l’Universo risulta non molto strutturato né molto diffuso. I nuovi valori ottenuti risultano in buon accordo con le osservazioni della radiazione di fondo eseguite dal satellite WMAP. Il successo fin ora ottenuto è un incentivo a continuare l’analisi dei dati di Megacam con l’obiettivo di studiare in tre dimensioni le strutture gia trovate. La Recherche, aprile 2008, p. 8 a cura di Sergio Focardi vol24 / no3-4 / anno2008 > 99