sanazionale - 1 - Unità di gestione del rischio ASL3 Genovese

annuncio pubblicitario
2
PRIMO PIANO
9-15 dicembre 2008
CENSIS/ L’indagine annuale fotografa i timori dei cittadini verso un Welfare che perde
Troppe incertezze: gli italiani
In 30 anni la spesa cresce il doppio rispetto al Pil - Servono risposte ai
L
a coperta del Welfare è
sempre più corta e sfilacciata. E gli italiani si
sentono pieni di paure e incertezze e con le «spalle scoperte» di fronte a un Ssn e a un
pacchetto di prestazioni sociali
che sembra abbandonare la
strada dell’«universalismo» (il
vecchio “tutto a tutti”) in favore di interventi spot per degli
specifici bisogni («l’esempio
più eclatante è la social card»).
Un tracollo di fiducia e speranze contro il quale la migliore
ricetta non è né quella di buttare via il Ssn verso improbabili
sistemi importati dall’estero,
né quella di arroccarsi in difesa di inutili «conservatorismi»:
piuttosto è necessario «riarticolare» le coperture del Servizio
sanitario verso i nuovi «bisogni emergenti», a cominciare
dall’assistenza ai non autosufficienti.
A sondare paure «definite e
indefinite» degli italiani, provando a tracciare un bilancio
dei trent’anni del nostro Ssn
con tanto di consigli utili per il
futuro è il nuovo rapporto annuale del Censis (il quarantaduesimo), presentato a Roma
la scorsa settimana. Che, come
al solito, fa la radiografia di
tutto il Paese, in tutte le sue
sfaccettature, scandagliando
Spesa sanitaria pubblica e privata
Le tappe del Servizio sanitario: il bilancio di 30 anni
●
●
●
●
●
●
●
Anni ’70
Arriva il Ssn
Saturazione del numero di tutelati (95%
nel 1976), fine delle mutue;
Pieno potere medico, paziente subordinato;
Avvento del Ssn, copertura universale;
nuove regole (Usl, prontuario terapeutico nazionale, ticket ecc.)
Anni ’80
Cresce la cultura della salute
Mutazione genetica della domanda: dalla cultura della malattia a quella della
salute;
Medico “confessore” che deve ascoltare, dialogare, a volte accettare indicazioni del paziente;
Decollano autocura e automedicazione,
soprattutto dei farmaci
Anni ’90
Tra stili di vita salutari e crisi del Ssn
Responsabilizzazione individuale nella
anche il sistema del Welfare.
Sempre più in crisi d’identità.
E così «cresce tra gli italiani avverte il rapporto del Censis la percezione di non avere più
le spalle coperte come in passato» e si «registrano quote crescenti di bisogni sociali non
coperti, da qui anche la percezione di insicurezza e incertezza». Con una «lenta ma progressiva torsione» verso un modello più prettamente assisten-
●
●
●
tutela della salute: stili di vita salutari,
prevenzione sanitaria e investimento privato;
Crisi e mutamento del Ssn, scandali e
mala-sanità, nuove norme del 1992-’93;
Aziendalizzazione;
Centralità del controllo dei costi della
Sanità
Anni 2000
Cercando nuove tutele nella devolution sanitaria
●
●
●
●
●
Concezione essenziale di salute: essere
attivi e/o assenza di malattie;
Diaspora regionale del Servizio sanitario
nazionale;
Problemi del finanziamento della spesa
sanitaria regionalizzata;
Maggiore attenzione a rischi ed effetti
collaterali dei farmaci;
Elevate aspettative nella ricerca biomedica e in quella farmaceutica
Fonte: elaborazione Censis-Fbm, 2008
ziale, «in cui l’accesso al
Welfare risulta meno universalistico e sempre più soggetto alla presenza di un bisogno specifico».
Rispondere ai nuovi bisogni. Il Censis cita tra gli esempi il progetto dei nuovi livelli
essenziali di assistenza che
sembra non decollare, rimessi
recentemente in discussione
quando erano arrivati in dirittura d’arrivo. Così risposte a bi-
sogni «sempre più pressanti»
(dall’integrazione socio-sanitaria alle cure palliative fino all’attivazione di una rete diffusa
per la non autosufficienza) e la
cui erogazione appariva ormai
come «consolidata e necessaria» sono state di nuovo «ricacciate indietro come avveniristiche e di fatto poco praticabili».
Non si può, infatti, pensare di
deospedalizzare la Sanità - avverte ancora il Censis - senza
1978
1980
133.048
203.383
Uscite correnti per la Sanità
(mln euro)
6.527
10.711
Spesa delle famiglie per servizi sanitari
(mln euro)
1.224
2.073
874.834
958.761
42.917
50.492
6.928
8.705
Uscite correnti per la sanità/Pil (%)
4,91
5,27
Spesa delle famiglie
per servizi sanitari/Pil (%)
0,92
1,02
Prezzi correnti
Pil ai prezzi di mercato
(mln euro)
A prezzi 2007
Pil ai prezzi di mercato
(mln euro)
Uscite correnti per la Sanità
(mln euro)
Spesa delle famiglie per servizi sanitari
(mln euro)
* Reale 1978-2007, per le % sul Pil è calcolata la differenza assoluta
Fonte: elaborazione Censis su dati Rssp, Osmed e Istat
«rendere disponibili e visibili
servizi territoriali tarati sui nuovi bisogni socio-sanitari».
Come uscirne, dunque? Per
fronteggiare questa situazione
non serve né il «catastrofismo
di chi giudica da buttare a mare il nostro sistema di tutele
magari in nome di improbabili
modelli stranieri più efficienti
da impiantare ex-novo, né il
conservatorismo di chi urla
sempre e comunque al taglio
del Welfare». A trent’anni dalla costituzione del Servizio sanitario nazionale, uno dei pilastri del sistema di Welfare,
l’Italia può ancora vantare un
grado di copertura rispetto ai
grandi rischi «assolutamente invidiabile»: è però ormai indispensabile una «riarticolazione
delle coperture rispetto ai bisogni insorgenti, restituendo agli
italiani - aggiunge ancora il
Censis - la certezza di avere le
CHECK UP SU CONSUMI E ABITUDINI NELL’USO DEI MEDICINALI
«I
l rapporto tra italiani e farmaco
sembra avviato verso una nuova
maturità, in termini di consapevolezza
e capacità di fruizione». Per il Censis
non ci sono dubbi: la bandiera dell’appropriatezza, tanto agognata in Sanità,
sembra già sventolare nel pianeta dei
farmaci dove si registra - spiega il
rapporto annuale - «una gestione tendenzialmente appropriata», come dimostrano del resto i dati dell’Osservatorio nazionale sull’impiego dei medicinali che confermano una «certa stabilità nelle scelte di consumo».
Questa stabilità dei consumi farmaceutici si inserisce in un contesto nel
quale il bene farmaco sembra acquisire sempre «maggiore credito», conquistato «peraltro dalla pluralità di funzioni sociali che svolge e dal rapporto
soggettivo, quasi intimo, che le persone nella quotidianità costruiscono con
esso». È infatti l’80% degli italiani a
ritenere che il farmaco contribuisca
alla possibilità di convivere con le
patologie a lungo decorso (quota cresciuta di quasi il 26% rispetto al
2002). È, poi, il 76% (+15,7% rispetto
al 2002) a condividere l’importanza
del contributo del farmaco al miglioramento della qualità della vita e infine
è quasi il 54% a ritenere importante il
contributo del farmaco alla sconfitta
delle malattie mortali (+14% rispetto
al 2002).
«La fiducia riposta nei farmaci cresce - aggiunge ancora il Censis - e si
nutre in un rapporto che rispetto alle
generazioni precedenti risulta essere
connotato da una maggiore sicurezza,
confidenza e competenza». Il 54% dei
cittadini ritiene infatti di avere maggiore capacità rispetto ai propri genitori
di raccogliere informazioni utili per la
loro corretta assunzione; oltre il 52%
si attribuisce una maggiore dimesti-
Un rapporto «maturo» con i farmaci
Generazioni a confronto
La farmaco-dipendenza
Rispetto ai propri genitori le attuali generazioni nel rapporto con i farmaci hanno maggiore:
Capacità di raccogliere informazioni utili per la 54,7
lorocorretta assunzione
Consapevolezza nella scelta di quando e come uti- 52,1
lizzarli
Conoscenza dei rischi di una eccessiva assunzione
51,3
e degli effetti collaterali
Fiducia nella loro efficacia
45,5
Capacità di dialogare con i medico sui farmaci
44,7
Tendenza ad assumerli per migliorare prestazioni 40,3
Fonte: indagine Censis-Fbm, 2008
A chi attribuisce la responsabilità della dipendenza
da farmaci della/delle persona/e farmaco-dipendenti che conosce?
Alla personalità di questo individuo
74,7
(ansiosa, ipocondriaca ecc.)
Ai medici che prescrivono i farmaci
11,7
con troppa leggerezza
Alle industrie farmaceutiche
10,1
che inducono il consumo di farmaci
Alle carenze di altri ambiti di offerta
3,5
Fonte: indagine Censis-Fbm, 2008
Così è cresciuta la spesa farmaceutica
chezza e consapevolezza nella scelta
di quando e come utilizzarli; più del
51% sostiene di avere, rispetto ai genitori, maggiore conoscenza dei rischi
di un eccessivo consumo e degli effetti collaterali; mentre il 45,5% e il
44,7% affermano di avere, rispettivamente, maggiore fiducia nell’efficacia
dei farmaci e maggiore capacità di
dialogare con il medico sui farmaci da
prendere.
Il “fai da te” in caso di disturbi
percepiti come lievi figura dunque ormai come una pratica acquisita da larga parte degli italiani «ed esercitata
attraverso pattern comportamentali
sempre più responsabili e consapevoli». Infatti, in relazione alle reazioni
iniziali alla malattia, esiste una cesura
netta tra comportamenti attuati in risposta ai sintomi gravi e lievi. In caso
di sintomi gravi, oltre il 73% degli
italiani consulta subito il medico di
medicina generale, mentre è molto più
articolato il set di comportamenti reattivi in caso di sintomo percepito come
lieve: il 47,6% tenta infatti di curarsi
“da solo”, stando a casa, controllando
l’alimentazione e con il riposo. E questa quota cresce al crescere dell’età
degli intervistati e anche del titolo di
studio. «Il rapporto con il farmaco
finisce dunque - avverte ancora il Cen-
sis - per rappresentare il terreno privilegiato della soggettività matura, della
capacità delle persone di utilizzare
con oculatezza sia le informazioni selezionate che le esperienze effettuate,
per scegliere il medicinale terapeuticamente più adatto». È questo il nucleo
essenziale dell’automedicazione, «ciò
che l’ha resa così radicata e degna di
fiducia da parte dei cittadini»: in presenza di piccoli disturbi gli italiani,
una prima volta fanno una vera e propria ricognizione delle informazioni
per individuare il farmaco più adatto,
lo provano e, poi, se ha dato risultati
soddisfacenti, se e quando il disturbo
ritorna, lo riutilizzano riducendo i tempi di risposta e di guarigione.
Oggi più di un italiano su due è in
grado di definire correttamente il profilo dei farmaci generici-equivalenti,
laddove però quote ancora consistenti
della popolazione nutrono qualche difficoltà a fornirne una descrizione puntuale. «La fruttuosa sinergia tra medico, farmacista e cittadino - spiega il
rapporto - che ha prodotto l’aumento
dei consumi di farmaci generici/equivalenti non rappresenta dunque l’unica evidenza dell’adozione da parte degli italiani di un atteggiamento positivo nei confronti degli equivalenti che
si esprime dunque anche qualora il
paziente operi in solitudine la scelta
del farmaco».
Ma il Censis lancia anche un allarme sul fatto che una relazione «improntata sulla confidenza e l’iperfamiliarizzazione» può rappresentare una
pericolosa «zona di confine» dove
«l’equilibrio tra consapevolezza e responsabilizzazione, superficialità e
iperconsumo risulta essere in molti
casi labile».
PRIMO PIANO
9-15 dicembre 2008
3
la sua natura «universale» a favore di interventi di tipo assistenziale
L’INTERVENTO
si sentono traditi dal Ssn
Come sconfiggere
la grande paura
nuovi bisogni - E la devolution può far crescere le differenze
CARLA COLICELLI *
e incidenza sul Pil, 1978-2007
1990
2000
2005
2006
2007
Var. % *
701.352 1.191.057 1.428.375 1.479.981 1.535.540
–
41.672
67.575
96.141
101.349
102.290
–
9.553
24.373
27.269
27.982
28.608
–
1.216.209 1.423.428 1.486.132 1.513.493 1.535.540
75,5
72.263
80.759
100.028
103.644
102.290
138,3
14.459
24.919
26.884
27.743
28.608
312,9
5,94
5,67
6,73
6,85
6,66
1,76
1,36
2,05
1,91
1,89
1,86
0,94
tra gli anni considerati
spalle coperte rispetto a tutti i
rischi che travalicano la capacità individuale e familiare di
fronteggiarli». Questo è un nodo cruciale non solo per il modello sociale, ma per il futuro
delle comunità, «perché solo la
capacità del Welfare di generare tra gli italiani la sensazione
di essere adeguatamente tutelati può stimolare la voglia diffusa di tornare a rischiare per costruire benessere individuale e
collettivo».
Dalla mutue alla devolution. Un primo importante indicatore del rapporto tra evoluzione del sistema sanitario e domanda di salute nel Paese arriva sicuramente dall’andamento
della spesa sanitaria sia pubblica che privata: sul primo fronte
negli ultimi trent’anni si è assistito a una crescita del valore
reale pari al 138,3%, doppia
rispetto all’incremento del Pil
(risultato invece nel periodo
1978-2007 pari al 75,5 per cento). Ma la vera esplosione si è
registrata nella spesa delle famiglie, con un incremento nel periodo considerato di ben il
312,9 per cento. All’aumento
consistente della spesa pubblica registratosi nel corso degli
anni Ottanta (nel 1978 l’incidenza delle uscite correnti per
la Sanità sul Pil era pari al
4,91%, mentre all’inizio degli
anni ’90 rappresentava il
5,94%, un punto percentuale in
più dunque), è seguita la stabilizzazione nella seconda metà
del decennio degli anni Novanta (nel 2000 la proporzione spesa sanitaria pubblica/Pil era pari al 5,67%) con una successiva nuova visibile accelerazione
a partire dal 2000.
Questo andamento della spesa è un chiaro indicatore di una
serie di tappe strategiche, cominciato dall’addio alle mutue
sancito nel 1978 per arrivare
alla devolution sanitaria. In pratica un’“era glaciale”. Da una
parte oggi emerge un paziente
sicuramente autonomo e responsabile, capace di confrontarsi con il medico e di utilizzare informazioni tratte da più
fonti per praticare forme di autocura circoscritte alle malattie
percepite come meno gravi. Si
affermano concezioni essenzialistiche di salute, per raggiungere le quali gli stili di vita salutari contano, ma non bastano, perché occorre dare maggiore attenzione, a esempio, ai fattori
ambientali e genetici. Dall’altra con l’avvento della devolution si apre un nuovo capitolo,
con una sfida durissima sulle
implicazioni economiche e finanziarie, e una «forte vertenzialità», senza però riuscire a
scalfire le differenze regionali
radicate nella vicenda nazionale, che appaiono anzi sempre
più profonde. In questo scenario diventa cruciale la partita
del finanziamento, «alla luce
anche della evidente disparità
regionale dei servizi sanitari».
La devolution dà infatti «visibilità - spiega il Censis - a una
differenziazione che ha radici
antiche ma allo stesso tempo
sembra creare i presupposti per
un suo ulteriore approfondimento, che si inscrive in un
contesto più generale di incertezza e precarietà sociale tale
da produrre ansie individuali e
collettive che impattano in modo significativo anche sulla dimensione della salute». Insomma, così si rischia di andare di
male in peggio.
Marzio Bartoloni
RISULTATI D’ECCELLENZA PER IL NOSTRO SISTEMA DI DONAZIONE
Trapianti, modello vincente di servizi efficienti
I
l sistema trapianti, fiore all’occhiello del
nostro Servizio sanitario, è certamente merito della capacità organizzativa del Cnt. Ma
all’origine di quello che è un modello vincente e affermato a livello internazionale - 21
donatori effettivi per milione di persone nel
2006 - c’è soprattutto, secondo il Censis, il
buon funzionamento della rete dei servizi. Il
progressivo riequilibrio dell’assistenza tra
ospedale e territorio, che ha favorito il recupero del ruolo d’elezione dei nosocomi, dedicati
ad acuzie, medicina d’urgenza e chirurgia
d’alto livello, ha infatti lasciato spazio alle
cure altamente specialistiche. E «si sono creati i presupposti - si legge nel Rapporto Censis
- per lo sviluppo di attività di trapianti e
donazione d’organi».
A monte dell’exploit a cui i cittadini hanno
assistito tra il 1999 e il 2007 (in numeri assoluti si è passati dai 2.162 ai 3.043 interventi),
insomma, c’è una maggiore disponibilità di
strutture, “liberate” da incombenze inappropriate passate al territorio (cronicità e prevenzione) e inserite in attività di procurement
favorite dall’efficienza (dove più dove meno)
delle singole Regioni. A fare da traino, prima
l’Emilia Romagna e più di recente la Toscana, dove «è decisamente più alta la quota di
donatori segnalati negli ospedali più piccoli,
in virtù di un modello di assistenza che permette di ottimizzare le risorse sul territorio,
limitando i trasferimenti dei pazienti critici
anche grazie a un sistema di telemedicina e
dunque garantendo una gestione razionale delle risorse».
Faro guida è il modello spagnolo, che si
basa sulla figura del coordinatore locale e
prevede la corrispondenza tra centri di donazione e reparti di terapia intensiva. Dotazione
finanziaria, strutturale e tecnologica sono le
tre chiavi del successo, la cartina di tornasole
di un sistema regionale trapianti che funzioni
I donatori effettivi nel mondo
Paese
Totale
Pmp *
Spagna
1.509
33,8
Usa
8.022
26,9
Austria
202
24,8
Francia
1.441
23,2
Italia
1.224
20,8
Germania
1.259
15,3
Svezia
137
15,1
Canada
468
14,1
Polonia
496
13,0
Paesi Bassi
200
12,3
Danimarca
62
11,4
Svizzera
80
10,7
633
10,5
22
1,0
Regno Unito
Romania
* Per milione di abitanti
Fonte: elab. Censis su dati Irodat (International registry of organ donation and transplantation)
davvero: non a caso, nelle Regioni più deboli
su questo triplice fronte i dati su donazioni e
interventi calano a picco. E ancora una volta,
purtroppo, la maglia nera va al Meridione.
Che nel 2007 ha registrato una media di 27,5
donatori pmp contro la media nazionale di
37,3. Il ritardo cronico delle amministrazioni
del Sud, dunque, ancora una volta si riflette
sulla disponibilità effettiva di prestazioni in
loco per i loro cittadini.
Nord e Sud sono invece accomunati dal
Donatori segnalati nel 2007
Donatori
Tasso per
segnalati
mln ab.
Nord-Ovest
593
37,9
Nord-Est
466
41,6
Centro
573
49,7
Sud e Isole
571
27,5
Italia
2.203
37,3
Fonte: elab. Censis su dati Cnt
Opinione sulla “fine vita”
%
Il malato o il familiare più prossimo ha diritto a scegliere quan- 49,9
do interrompere la terapia
I medici devono continuare le
cure sino a che c’è la possibilità 35,4
di mantenere il malato in vita
No sa
14,7
Testamento biologico
Favorevole
68,0
Contrario
17,9
Non sa
14,1
Fonte: indagini Censis-Fbm, 2007 e
2008
gap nell’efficienza della comunicazione e nella mancanza di informazioni corrette, a partire
dalla costante sovrapposizione tra definizioni
tecniche come “morte clinica” e “morte encefalica”. Quest’ultima messa addirittura in discussione solo pochi mesi fa. Una confusione
che si riverbera sull’aumento dei “no” a donare, malgrado l’apertura dichiarata dei cittadini
su temi affini come il testamento biologico.
B.Gob.
I
l rapporto annuale del Censis
sulla situazione del Paese, presentato al Cnel il 5 dicembre,
segnala quest’anno l’affacciarsi
all’orizzonte di una nuova metamorfosi sociale, dopo quella della ricostruzione post-bellica, centrata su alcune prospettive inedite del terzo millennio. L’anno
che sta per concludersi, il 2008,
sta incidendo, infatti, sulla società e sulla politica italiana con
una segnatura particolare, determinata principalmente dall’emergere di una “grande paura”, la
paura della recessione, che si aggiunge alle tante piccole paure
della modernità, ma anche dalle
sfide poste dal necessario riequilibrio territoriale ed economico,
che non ha precedenti.
Superare positivamente la crisi significa, allora, affrontare con
responsabilità i drammi indotti
dalla globalizzazione dei mercati, e lo spaesamento delle comunità territoriali e professionali,
puntando alla valorizzazione dei
bisogni sociali autentici ed essenziali, alla qualità dell’offerta di
servizi, a sani rapporti di solidarietà sui territori. Anche nell’ambito del Welfare e della Sanità la
situazione è a
un punto di
svolta. Tra grandi e piccole paure, dai dati del
Censis risulta
che gli italiani
temono soprattutto di non riuscire a mantenere il proprio tenore di vita (71,1%) e di non avere
i mezzi per far fronte alle cure
mediche personali o di un familiare (62,2%), specie se si è donna (68,1%), se si vive nel Sud
(68,8%) e se si è famiglia a basso reddito (76,4%). Le spese sanitarie private per visite mediche
specialistiche sono considerate irrinunciabili dall’85,8% degli italiani, più di ogni altra spesa.
Ci si rende conto d’altra parte
che sono i propri comportamenti
quelli che più incidono sulla salute, e continuano per questo motivo a calare tra gli italiani i fumatori e i bevitori, secondo quella
che il Censis chiama una «normalizzazione virtuosa della routine quotidiana». Virtù accompagnata però da fenomeni di trasgressione, circoscritti ma non
per questo meno gravi, come
l’abuso e lo sballo da alcol e
stupefacenti, originati dalla difficile condizione giovanile e dal
disorientamento generale del momento.
Di fronte a un italiano più sobrio, anche nei consumi sanitari,
e consapevole dell’importanza
crescente del bene salute, le politiche di Welfare e quelle sanitarie incontrano le stesse difficoltà
che si hanno nelle politiche generali: saper leggere gli avvenimenti in un quadro complessivo e
riconoscerne in tempo i rischi e i
possibili rimedi, fare attenzione
alla coesione sociale, alle iniquità e alle condizioni delle fasce
più deboli di cittadini, ricostruire
il tessuto locale della solidarietà
e dei servizi, coinvolgere tutti i
soggetti pubblici e privati e tutte
le reti di mutuo-aiuto per la salvaguardia del bene salute. Il capitolo Welfare e Sanità del Rapporto
Censis 2008 scandaglia con cura
tutte queste piste di lavoro, che
lo scadere dei 30 anni di vita del
Servizio sanitario nazionale rende più urgenti da attuare. Dalla
non autosufficienza alla tutela
dell’infanzia, dagli adolescenti a
disagio agli immigrati emarginati, sono ormai tante le tipologie
di utenti e di bisogni che non
trovano copertura adeguata.
La vicenda della revisione
dei Lea, rimessi in discussione
in dirittura di arrivo sulla base di
valutazioni economiche, pesa
fortemente su bisogni pressanti
e penalizzanti e su rischi difficilmente affrontabili con gli strumenti tradizionali. Il Libro Verde sul futuro del modello sociale italiano, «La vita buona nella
società attiva», del luglio 2008,
è un chiaro segnale di una volontà forte di riforma e di miglioramento da parte del Governo.
Ma non è facile individuarne la
capacità di incidere sulla sostanza delle cose, in una situazione
di contraddizioni pesanti nei processi di negoziazione tra Stato e
Regioni, nei
Piani di rientro
come nel futuro federalismo
fiscale. La devolution ha dato visibilità a
una differenziazione che ha radici antiche e allo stesso tempo
sembra creare i presupposti per
un suo ulteriore approfondimento in un contesto generale di
incertezza e precarietà. Eppure
casi di eccellenza, come quello
dei trapianti, mostrano come
non sia impossibile far interagire sistemi di offerta già adeguati
e in qualche caso di grande eccellenza e piccoli centri, utilizzando nel contempo le possibilità offerte da una buona comunicazione pubblica e dalle reti di
terzo settore e volontariato della
donazione. La fruttuosa sinergia
tra medico, farmacista e cittadino nella diffusione dei farmaci
generici/equivalenti è un altro
esempio da seguire, che ha contribuito a rafforzare un atteggiamento di nuova responsabilità
sociale nei confronti dei consumi sanitari e in particolare farmaceutici, da parte degli utenti.
Una «autogestione moderata», come ha concluso il Forum
per la ricerca biomedica nelle
sue ultime indagini di settore. Il
gap tra la domanda di servizi
per la prima infanzia e la relativa offerta costituisce invece un
esempio in negativo, che trova
compensazione solo nelle risorse spontanee delle famiglie e nel
sacrificio delle tante madri che
lavorano o vorrebbero lavorare.
Come pure la previdenza sanitaria complementare, che stenta a
decollare, mentre potrebbe costituire una risorsa molto utile per
integrare i finanziamenti pubblici dei servizi con formule di tipo
mutualistico.
Le cure considerate
«irrinunciabili»
* Vice-direttore Censis
Scarica