Presentazione 50° Rapporto CENSIS – venerdì 2 dicembre 2016
Sono davvero lieto di porgere il benvenuto al Presidente del Censis De Rita, ai
suoi collaboratori, a tutti i partecipanti a questa presentazione.
Siamo giunti alla cinquantesima edizione del Rapporto Censis sulla situazione
sociale del Paese.
Un percorso lunghissimo, accompagnato da un successo straordinario.
L’autorevolezza consolidata, tuttavia, non ha fatto mai venir meno l’umiltà
degli inizi.
Ovvero la capacità di guardare sempre da vicino la realtà così com’è, fuori da
schemi ideologici o preconfezionati.
Di osservare e descrivere la società italiana, i comportamenti delle persone,
delle famiglie, delle imprese, delle città e dei borghi, delle istituzioni a tutti i livelli.
La prima cosa che voglio dire è, perciò, un sincero grazie al dottor De Rita, al
Censis, per il suo lavoro professionale, eccezionale e continuo.
Lo dico non solo come Presidente facente funzioni del CNEL, ma lo dico
anche come piccolo imprenditore, come uno che ha fatto sempre lavoro e battaglie
nelle Associazioni di categoria, che ha sempre creduto al rilievo dell’azione culturale
e di analisi.
Conoscere e capire, per poi decidere e fare.
Ho voluto rileggere, nei giorni scorsi, le pagine introduttive del 1° Rapporto del
Censis, e quindi ripercorrere brevemente la storia di questo importante strumento.
Il 23 novembre del 1966, esattamente cinquant’anni fa, l’Assemblea del CNEL
deliberava di procedere annualmente all’esame della situazione sociale del Paese, e
affidava al CENSIS l’incarico della redazione del Rapporto annuale.
Del Comitato referente facevano parte autorevolissime personalità: Campilli,
Andreatta, Coppini, Petrilli, Mario Romani.
1
Dopo poco più di un’anno, in questa Aula veniva presentato e discusso il 1°
Rapporto del CENSIS.
Nell’Introduzione del Documento si richiamavano le linee di base del lavoro,
che mi sembrano ancora di grande attualità e valore:
“Se è vero che le società in rapido sviluppo sono caratterizzate dalla crescente
complessità dei loro processi di evoluzione, è altrettanto vero che non sempre esse
riescono ad avere coscienza di detta complessità.
In questo senso – proseguiva il Rapporto – l’Italia di oggi è un caso estremamente
significativo, quasi esemplare. Il nostro Paese sta infatti attraversando un periodo di
profonda evoluzione della sua realtà economica, delle sue strutture sociali, del suo
sistema di atteggiamenti e comportamenti culturali”.
L’impegno per svelare, e per potenziare l’autocoscienza, l’autoconsapevolezza,
di tutta la nostra società italiana è sempre stato una delle principali linee guida del
Rapporto, lungo le sue 50 edizioni.
La mia esperienza mi porta a dirvi oggi che il nostro Paese ha vissuto, dopo la
guerra, i suoi momenti migliori, la sua consapevolezza più intensa, quando più forte è
stata la coesione sociale.
Quando la grande maggioranza degli italiani si è ritrovata intorno ad obiettivi
comuni.
Lo ha ricordato di recente anche il Presidente Mattarella:
“ in un quadro caratterizzato da forti conflitti e instabilità la costruzione della
coesione sociale è una componente inderogabile…lo Stato vive e si rinnova, nella
fiducia dei cittadini…”.
In occasione delle celebrazioni per il 70° della Repubblica italiana, il
Presidente Mattarella ha aggiunto che il bisogno più grande che ha l’Italia oggi è:
recuperare interamente il senso del vivere insieme” perché “le grandi sfide di oggi si
possono affrontare e governare soltanto ricercando e trovando politiche comuni e
impegni condivisi”.
2
Faccio mie queste parole così chiare perché sono convinto che ogni sforzo di
necessario cambiamento debba essere sostenuto da un maggior impegno di coesione,
di condivisione e di fiducia.
Noi italiani, per la nostra storia comune più bella, non saremo capaci di più
competizione e delle necessarie innovazioni, senza un impegno delle Istituzioni e
della politica per una più consapevole coesione sociale.
In un breve saggio di pochi anni fa il dottor De Rita ammoniva sul pericolo di
una “vocazione suicida delle nostre Istituzioni” e denunciava “il tradimento di coloro
che dovrebbero farle vivere, presi solo da personali problemi di potere e di
immagine”.
Pochi giorni fa, in un recente Seminario qui al CNEL, il dottor De Rita ci ha
ricordato la funzione decisiva delle Istituzioni, che non devono avere il compito di
dividere, ma hanno piuttosto quello di essere “giunture di snodo”, decisive per la
crescita e la coesione sociale.
Il nostro è un Paese di pluralismo sociale, territoriale e istituzionale antico.
Valorizzare tutto questo pluralismo è, a mio parere, la grande strada per
riprendere la crescita e lo sviluppo.
Non voglio dirvi quale sia il mio pensiero sul ruolo, e la funzione del CNEL
I fatti parlano da soli. Un cammino enorme è stato fatto, anche a volte con
errori che l’esperienza dovrebbe, però, portare a correggere.
Questa è stata la posizione di tutte le maggiori Categorie produttive italiane:
aggiornare l’Istituzione, anche alla luce di alcune insufficienze, perché si possa
contribuire al lavoro che ancora c’è da fare.
Meuccio Ruini, che fu Presidente dell’Assemblea Costituente, e che fu poi il primo
Presidente del CNEL, disse chiaramente che questa Istituzione “ha una funzione
intermedia; non giunge alla decisione che spetta ad altre sfere e organi; ma la sua
3
funzione non è meramente di studio; è piuttosto di preparazione: è come un ponte fra
i due momenti dell’esame e dell’azione”.
Lascio a tutti Voi valutare se, oggi, servano o no dei ponti, per unire una
società frammentata e divisa, per collaborare alla coesione sociale.
Ho fiducia che, ancora una volta, ci sia in questo Paese la consapevolezza, che gli
italiani sappiano reagire democraticamente.
E, in tal senso, concludo richiamando la straordinarie parole di De Gasperi
Il 14 giugno del 1946, svolgendo anche la funzione di Capo provvisorio dello Stato,
ebbe a dire: “Uno solo è l’artefice del proprio destino: il popolo italiano che creerà
nella Costituente una Repubblica di tutti, una Repubblica che certo si difende, ma
che non perseguita; una democrazia equilibrata nei suoi poteri, fondata sul lavoro,
ma giusta verso tutte le classi sociali; riformatrice ma non sopraffattrice e,
soprattutto, rispettosa della libertà della persona, dei Comuni, delle Regioni”.
Grazie al CENSIS di averci sempre aiutato a capire, a non mortificare, anzi a
valorizzare questa grande Italia plurale.
Grazie ancora, davvero, Dottor De Rita di essere qui in quest’Aula, per la
cinquantesima volta.
La parola a Lei e ai Suoi collaboratori.
Vi ascolteremo con grande attenzione e interesse.
4