13.1 La regolamentazione contrattuale in materia di ricerca e produzione di idrocarburi 13.1.1 Il contratto petrolifero Il contratto petrolifero offre uno dei più significativi esempi di quel particolare tipo contrattuale, proprio del commercio internazionale, che va sotto il nome di state contract (in francese, contrat d’État). Trattasi, infatti, di un contratto concluso tra uno Stato (o un ente pubblico) e un soggetto privato (a volte persona fisica ma, più frequentemente, persona giuridica), avente a oggetto lo svolgimento, da parte del privato, di una particolare attività nel settore petrolifero, cioè la ricerca e la produzione di idrocarburi liquidi e gassosi, nonché le attività di downstream, quali trasporto e raffinazione. Tali attività vengono svolte sulla base di un accordo con il soggetto (Stato o ente pubblico) titolare dei diritti di proprietà e di sfruttamento delle risorse naturali petrolifere. Quale contropartita dell’attribuzione di tali diritti, nei modi e nella estensione previsti dal singolo contratto, il soggetto privato assume l’obbligo di svolgere l’attività petrolifera in conformità dei termini e delle condizioni convenuti con l’altra parte, vincolandosi a investire risorse economiche, tecniche e manageriali necessarie per il migliore sviluppo delle risorse petrolifere oggetto dell’accordo. Come evidenzia, anche storicamente, l’esperienza pratica, questo tipo contrattuale viene concluso per motivi diversi. Tra questi si segnala, almeno in una prima fase, l’assenza di un quadro normativo di riferimento nello Stato controparte o la circostanza per cui è la stessa disciplina giuridica locale a prevedere che l’attività petrolifera sia svolta nel territorio nazionale in base a un rapporto contrattuale con lo Stato oppure con l’ente pubblico preposto dallo Stato a questo settore di attività. Negli ordinamenti giuridici più evoluti, sia di civil law sia di common law, per contro, l’attività di ricerca e produzione di idrocarburi viene svolta dal privato sulla base di un titolo (permesso o mining title, atto di natura amministrativa) conferito dall’autorità locale al privato in base alla disciplina giuridica degli idrocarburi o mineraria in VOLUME IV / ECONOMIA, POLITICA, DIRITTO DEGLI IDROCARBURI generale. Il presente contributo è volto a indagare unicamente la prima delle descritte situazioni, caratterizzata dalla presenza di un rapporto contrattuale tra lo Stato (o l’ente pubblico di un determinato Stato) e il privato. Dalle richiamate caratteristiche del contratto petrolifero deriva il collegamento del tipo contrattuale in esame con la tematica dell’investimento privato nei paesi in via di sviluppo e della sua protezione. Il contratto petrolifero, infatti, si caratterizza per l’imponente mole di investimenti resi necessari dall’elevato grado di rischio dell’attività di ricerca degli idrocarburi; di qui l’esigenza di una effettiva tutela dell’investimento realizzato dal privato. In quanto tale, il contratto petrolifero rientra a pieno titolo nel più ampio genus dei contratti di investimento, oggetto di attenzione da parte della dottrina internazionale con particolare riguardo al problema della protezione dell’investimento privato e degli strumenti internazionali, multilaterali e bilaterali, predisposti dagli Stati per assicurare tale protezione. In quanto di fatto diretto allo sviluppo economico del paese sul cui territorio viene svolta l’attività che ne costituisce l’oggetto, il contratto petrolifero è stato anche inquadrato fra i contratti di sviluppo economico. A tale tipologia contrattuale la dottrina degli anni Sessanta del Novecento ha dedicato particolare considerazione con riguardo, soprattutto, al problema della legge applicabile in ragione delle particolari caratteristiche di questo tipo contrattuale (Hyde, 1963). 13.1.2 Regolamentazione normativa Natura Particolare rilievo assume la natura della regolamentazione cui è assoggettato il contratto petrolifero. Questa varia a seconda dell’ordinamento giuridico dello 847 LA CONTRATTUALISTICA E LA SOLUZIONE DELLE CONTROVERSIE Stato nel cui territorio viene svolta la relativa attività, nonché delle caratteristiche del singolo contratto. In funzione di questi elementi, la relativa disciplina è stata di volta in volta inquadrata nel diritto pubblico o nel diritto privato dello Stato, a seconda che quest’ultimo intervenga quale controparte contrattuale iure imperii (cioè, nell’esercizio di prerogative sovrane per finalità di interesse pubblico) o iure gestionis (cioè, alla stregua di un soggetto privato). In considerazione del fatto che con il contratto petrolifero si determinano la messa a disposizione del privato di una risorsa naturale, patrimonio dello Stato, e il conferimento di diritti di sfruttamento a essa relativi, non sembra che questo tipo contrattuale possa sottrarsi a sua volta, per vari aspetti, alla disciplina pubblicistica con cui lo Stato regolamenta settori fondamentali della propria economia. L’ineguaglianza delle parti in tale tipo di contratto deriva proprio dal fatto che lo Stato (o l’ente pubblico dallo stesso delegato) interviene quale controparte contrattuale nella veste di tutore del pubblico interesse. Di qui l’esigenza di distinguere la disciplina contrattuale relativa ai diritti e obblighi delle parti dal potere regolatore riconosciuto allo Stato a tutela del pubblico interesse sotteso al contratto petrolifero proprio in quanto, per suo tramite, si attua lo sfruttamento di una risorsa naturale che è nel patrimonio dello Stato. Tale distinzione, pur non agevole per la diversità degli ordinamenti giuridici, risulta di fondamentale importanza per stabilire entro quali limiti il contratto petrolifero (come ogni altro contratto concluso con uno Stato), configurandosi come contratto amministrativo, sia soggetto ai principii del diritto pubblico. Il contratto amministrativo La categoria del contratto amministrativo, in quanto contratto di diritto pubblico, ha avuto il suo principale ‘terreno di coltura’ nell’ordinamento francese. Il modello francese, adottato in Egitto a seguito dell’elaborazione del grande giurista al-Sanhuri (1948), è stato successivamente introdotto per il tramite di quest’ultimo paese in molti Stati arabi (Iraq, Siria, Libia, Qatar, Kuwait, Emirati Arabi Uniti, Algeria, Sudan, Libano, Yemen, Tunisia, Marocco e altri ancora). Il codice civile egiziano disciplina una speciale categoria di contratti, la concessione di servizi di pubblica utilità, assoggettati (come gli altri contratti aventi le stesse caratteristiche) a una disciplina giuridica speciale e alla giurisdizione di una corte speciale (il Conseil d’État in Francia, in Egitto e in altri Stati di cultura giuridica francese; l’Administrative Law Chamber in altri Stati arabi). Le condizioni secondo cui ogni sistema giuridico riconosce a determinati rapporti contrattuali natura di contratto di diritto pubblico dipendono in larga misura dalla concezione di interesse pubblico propria di ciascun 848 sistema e dalle garanzie che lo stesso appresta per la sua tutela. Sotto il profilo generale, la nozione di contratto pubblico nei vari ordinamenti evidenzia il potere dello Stato di adottare misure unilaterali ogniqualvolta la tutela del pubblico interesse, così come interpretata dallo Stato, lo richieda. Tra tali misure rientra il potere di modificare le condizioni contrattuali per il sopravvenire di un mutamento delle circostanze, secondo il principio di changing circumstances, richiamato nella risoluzione 25 giugno 1968, n. 16, par. 90, dell’organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (OPEC, Organization of the Petroleum Exporting Countries; v. oltre), sino alla misura estrema della revoca del contratto in presenza di determinate condizioni. In considerazione del possibile assoggettamento del contratto petrolifero ai principii propri del diritto pubblico dello Stato stipulante, il contraente privato ha cercato di porre in essere tutta una serie di condizioni e garanzie contrattuali al fine di ridurre il rischio di intervento dello stesso nell’esercizio dei suoi poteri regolatori a tutela del pubblico interesse (v. oltre). 13.1.3 La regolamentazione contrattuale Caratteristiche Le caratteristiche più significative della regolamentazione contrattuale relativa al contratto petrolifero possono essere sintetizzate come segue: • una delle parti contraenti è uno Stato, un Ministero o una entità pubblica, formalmente autonoma, ma agente per conto del governo del proprio paese. È questo il caso delle numerose società di Stato create, a partire dagli anni Cinquanta, dai paesi produttori di petrolio quali la Egyptian General Petroleum Corporation (EGPC), la National Iranian Oil Company (NIOC), la Iraqi National Oil Company (INOC), l’algerina Sonatrach, la Nigerian National Petroleum Corporation (NNPC), la Libyan National Oil Company (LNOC), l’indonesiana Pertamina, l’argentina Yacimientos Petrolíferos Fiscales (YPF), la Pedevesa (PDVSA, Petróleos De Venezuela Sociedad Anónima), la cinese CNOOC e altre ancora; • l’oggetto del contratto consiste in un’attività da condursi in una determinata area del territorio statale per la ricerca e la produzione di idrocarburi, in una con le attività di trasporto, stoccaggio, raffinazione, esportazione e commercializzazione collegate alle attività primarie; • essenziale per lo svolgimento dell’attività oggetto del contratto è l’investimento nel territorio dello Stato, sia in termini di capitali, sia attraverso l’apporto di tecnologie, beni, servizi e capacità manageriali; • tra le parti si instaura un rapporto di lunga durata, in ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI LA REGOLAMENTAZIONE CONTRATTUALE IN MATERIA DI RICERCA E PRODUZIONE DI IDROCARBURI una prima fase di circa cinquanta-sessanta anni e, più recentemente, di non meno di trenta; • la disciplina contrattuale tende ad avere carattere di completezza: il contraente privato, infatti, cerca di regolamentare quanto più possibile sul piano contrattuale il proprio rapporto con lo Stato per limitare possibili interferenze della legge locale; • sono regolarmente presenti particolari clausole relative alla legge applicabile al contratto e alla disciplina della risoluzione delle controversie tramite arbitrato, nell’ottica della migliore protezione del contraente privato contro interferenze della legge e delle corti locali. Per la loro importanza, sia nel quadro degli strumenti contrattuali di protezione degli investimenti, sia per l’evoluzione dei rapporti contrattuali tra le parti, le tematiche relative alla legge applicabile e all’arbitrato meritano una considerazione particolare. Le clausole di legge applicabile e di arbitrato Tra gli strumenti elaborati dalla pratica della contrattazione petrolifera per garantire un’adeguata protezione all’investimento straniero nel settore della ricerca e produzione di idrocarburi, le clausole di legge applicabile e di arbitrato hanno da sempre costituito altrettante condizioni per un felice esito del negoziato tra il soggetto privato e lo Stato destinatario dell’investimento. Trattasi di due previsioni contrattuali tra loro collegate in quanto, come dimostrato dalle decisioni arbitrali in materia (v. cap. 13.3), l’arbitro internazionale ha sistematicamente accettato di dare applicazione alle scelte di legge operate dalle parti, anche laddove, in contrasto con i principii regolatori dei conflitti di legge, oggetto della scelta siano state regole anazionali piuttosto che sistemi giuridici statali (ai quali rinviano, di norma, i sistemi statali di conflitto). A queste due misure di protezione, largamente adottate dalla prassi della contrattazione petrolifera, deve essere aggiunta una serie di ulteriori previsioni contrattuali (v. oltre). Il principio tradizionale in materia di legge applicabile, enunciato dalla Corte Permanente di Giustizia (oggi Corte Internazionale di Giustizia) nel caso relativo ai prestiti serbi e brasiliani del 1929, è, come noto, quello secondo cui i contratti tra Stati e privati sono soggetti al diritto dello Stato parte del contratto. Ciò anche in relazione al fatto che tali contratti, tra cui si iscrivono i contratti petroliferi, trovano normalmente esecuzione nel territorio dello Stato. Si applica pertanto la regola di conflitto costituita dalla lex loci executionis. L’intervento della legge dello Stato destinatario dell’investimento non poteva però soddisfare l’esigenza del privato di garantire al proprio rapporto contrattuale con lo Stato un’adeguata misura di stabilità delle condizioni pattuite e di prevedibilità della loro applicazione nel tempo. Era quindi necessario per il privato rimuovere VOLUME IV / ECONOMIA, POLITICA, DIRITTO DEGLI IDROCARBURI quella che la dottrina francese ha efficacemente chiamato l’aléa de la souveraineté, il rischio, cioè, che lo Stato parte del contratto riassumesse nel corso del rapporto la veste di Stato sovrano per modificare il proprio ordinamento giuridico, alterando a proprio vantaggio (anche se in virtù di provvedimenti di portata generale) le condizioni contrattuali liberamente pattuite con il privato. Di qui la ricerca di tecniche di formulazione di clausole di legge applicabile volte ora a internazionalizzare il rapporto contrattuale, assoggettandolo al diritto internazionale, ora a denazionalizzarlo tramite il richiamo ai «principii generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civilizzate» (Statuto della Corte Internazionale di Giustizia, art. 38, par. 1, c), o ai principii di diritto comuni allo Stato contraente e allo Stato di cui il privato è nazionale (il tronc commun, formulazione adottata dal contratto tra l’Agip Mineraria e la National Iranian Oil Company, del 1958), o, infine, attraverso il congelamento della legge dello Stato alla data di stipula del contratto (freezing of the law, tecnica adottata nel contratto tra l’Agip e lo Stato tunisino negli anni Settanta). In questo quadro di denazionalizzazione del contratto petrolifero si inserisce il richiamo di legge contenuto negli accordi di concessione petrolifera con la Libia (prerivoluzione del 1969), secondo il quale: «The Concession shall be governed by and interpreted in accordance with the principles of law of Libya common to the principles of international law and in the absence of such common principles then by and in accordance with the general principles of law, including such of those principles as may have been applied by international tribunals» (ICCA, 1979). Stante la sua complessa articolazione, non sorprende che tale richiamo sia stato oggetto di divergenti interpretazioni a opera delle tre sentenze arbitrali rese a seguito delle nazionalizzazioni libiche del 1970 (v. cap. 13.3). La scelta dell’arbitrato internazionale come metodo esclusivo di soluzione delle controversie nascenti dal contratto petrolifero ha rivestito storicamente una sostanziale rilevanza. Come nel caso della scelta di un sistema normativo diverso da quello dello Stato parte del contratto, così l’esclusione della giurisdizione delle corti locali ha posto delicati problemi in ragione della conseguente rinuncia da parte dello Stato a prerogative sovrane. Alla tenace resistenza opposta a questo riguardo dagli Stati dell’America Latina in nome della dottrina elaborata nella seconda metà del 19° secolo dal giurista argentino Carlos Calvo, nota come dottrina Calvo (secondo la quale le controversie debbono essere deferite alla esclusiva giurisdizione delle corti locali), si è unito il richiamo da parte degli Stati ai principii del diritto internazionale sull’immunità degli Stati dalla giurisdizione. Al progressivo ridimensionamento di tali principii con l’accoglimento della cosiddetta immunità ristretta (limitata, 849 LA CONTRATTUALISTICA E LA SOLUZIONE DELLE CONTROVERSIE cioè, all’esercizio di prerogative sovrane, con esclusione degli atti iure gestionis dello Stato), si è unita nel tempo la considerazione che l’immunità dalla giurisdizione è rinunciabile, anche implicitamente, e che l’accettazione dell’arbitrato a opera dello Stato implica una tale rinuncia. D’altro canto, per l’investitore privato l’arbitrato internazionale rappresenta una condizione irrinunciabile sia per sottrarre le controversie nascenti dal contratto petrolifero alle decisioni delle corti locali, percepite come politicamente influenzabili dallo Stato di appartenenza, sia per garantire l’effettiva applicazione delle clausole sulla legge applicabile richiamanti regole anazionali, ritenute accettabili da parte dell’arbitro internazionale, là dove lo stesso richiamo non avrebbe prevedibilmente incontrato il favore del giudice statale. Altre previsioni contrattuali Tra le ulteriori previsioni contrattuali, volte a rafforzare la tutela del privato nei confronti del potere regolatore dello Stato parte del contratto petrolifero, rientrano: • la clausola per cui il contratto ha forza di legge dello Stato (Petroleum Concession Agreement, art. 34, co. 4, concluso nel 1975 dal Ruler dello Sharjah, uno degli Emirati Arabi Uniti); • la clausola di intangibilità, con la quale lo Stato si impegna a non modificare le condizioni contrattuali se non per mutuo accordo (contratto tra l’Agip Mineraria e l’iraniana NIOC del 1958, art. 39; modello mozambicano di production sharing agreement del 2000, art. 30, co. 7, d ed e); • la clausola di stabilizzazione, con la quale lo Stato assume l’obbligo di non emanare leggi o regolamenti contrari al contenuto del contratto petrolifero o, comunque, di non applicarli in danno del contraente privato e in deroga a specifiche garanzie contrattuali, quali quelle in materia fiscale, doganale, valutaria e simili. In taluni casi la stabilizzazione delle condizioni contrattuali è prevista dalla stessa legge, come evidenziano la legge petrolifera del Kazakhstan (l. n. 2350/1995, art. 57), il modello nepalese di production sharing agreement del 1994 (art. 70, co. 1), il codice petrolifero della Costa d’Avorio (l. n. 669/1996, art. 18, lett. m). Le clausole di stabilizzazione nei contratti petroliferi presentano una notevole varietà di formule, in relazione sia ai limiti temporali di tale garanzia, sia alle materie oggetto di garanzia e alle reciprocità a favore dello Stato (Montembault, 2003); • l’obbligo di rinegoziare le condizioni contrattuali in caso di modifica delle circostanze, con possibilità di deferire ad arbitrato internazionale la soluzione dell’eventuale disaccordo, secondo quanto previsto da alcune leggi nazionali (legge petrolifera russa sui production sharing contracts del 1999, art. 18, co. 2) o 850 da vari modelli nazionali di production sharing agreements (modello ivoriano del 1997, art. 36, co. 2; modello cinese del 1992, art. 28, co. 2; modello angolano del 1997, art. 37, co. 4) o di concessione (modello egiziano del 1998, art. 19; Bernardini, 1998). Trattati bilaterali sulla protezione degli investimenti Il contratto petrolifero riveste quindi una importanza fondamentale nel creare le condizioni necessarie per la sua sottrazione al potere normativo dello Stato nel quale si svolge la relativa attività. Forme di protezione sono previste nei trattati bilaterali sulla protezione degli investimenti conclusi dalla grande maggioranza degli Stati dei più diversi sistemi politici, sociali e giuridici, il cui numero ha superato la cifra di 2.400 alla fine del 2005. Questi trattati, Bilateral Investment Treaties (BIT), prevedono l’accesso diretto dell’investitore privato (nel caso, la compagnia petrolifera) ai meccanismi di soluzione delle controversie con lo Stato attraverso arbitrato, in caso di violazione delle garanzie pattuite nel BIT con lo Stato di appartenenza dell’investitore. Tali garanzie riflettono standard di trattamento comunemente riconosciuti, quali: il trattamento fair and equitable; la non discriminazione; il trattamento della nazione più favorita; oltre a tutta una serie di ulteriori garanzie, come quelle relative all’utilizzo di valute liberamente convertibili e alla loro libera trasferibilità all’estero, nonché all’indennizzo dovuto in caso di nazionalizzazione o espropriazione dell’investimento privato. 13.1.4 L’evoluzione del contratto petrolifero Lo sviluppo nel tempo delle relazioni contrattuali tra Stati e privati in materia petrolifera è stato influenzato in modo determinante dall’evoluzione dei rapporti di forza tra le due parti contraenti. Tre sono le fasi in cui, in modo del tutto convenzionale, può essere distinta una tale evoluzione: la fase della concessione petrolifera; la fase della partecipazione dello Stato; la fase della nuova generazione di contratti petroliferi. La concessione petrolifera In una prima fase, localizzabile nel periodo che culmina con la fine degli anni Cinquanta, alla disuguaglianza delle due parti sotto il profilo legale (da un lato, uno Stato sovrano, anche se spesso privo di un sistema giuridico sviluppato; dall’altro, una società petrolifera del mondo industrializzato) fa da contrappeso il potere economico delle compagnie petrolifere – le famose ‘sette sorelle’: British Petroleum (BP), Exxon (già Standard Oil of New Jersey), Gulf, Mobil, Royal-Dutch Shell, Standard Oil of California (SOCal) e Texaco – sostenute ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI LA REGOLAMENTAZIONE CONTRATTUALE IN MATERIA DI RICERCA E PRODUZIONE DI IDROCARBURI sovente dallo Stato di appartenenza (come segnala il caso dell’Anglo-Iranian Oil Company, a protezione della quale nei confronti dell’Iran la Gran Bretagna fece ricorso alla Corte Internazionale di Giustizia agli inizi degli anni Cinquanta). Il ‘contenitore giuridico’ nel quale ha trovato piena espressione questa diversa posizione delle due parti del rapporto (da un lato, uno Stato a sovranità limitata; dall’altro, un privato con pienezza di poteri) è la concessione petrolifera. Come il nome segnala, con il relativo contratto (petroleum concession agreement), lo Stato, in quanto proprietario delle risorse del sottosuolo, concede al privato il diritto esclusivo di ricercare, accertare, sviluppare e produrre idrocarburi, per una durata di oltre cinquanta anni, relativamente a una vasta estensione del territorio nazionale, nonché il diritto di immagazzinare, trasportare, trattare e vendere gli idrocarburi prodotti, il tutto dietro versamento dei corrispettivi previsti dal contratto. Il dato giuridico più rilevante consiste nel passaggio del titolo di proprietà sugli idrocarburi dallo Stato al privato concessionario a bocca di pozzo (at well head), cioè nel punto in cui il prodotto rinvenuto è fisicamente appropriato. Come avremo modo di vedere, dal punto di vista della sovranità dello Stato, questo momento di passaggio della proprietà è meno accettabile del punto di esportazione (point of export) previsto dal Production Sharing Contract (PSC; v. oltre). Obblighi di investimento Limitati obblighi di investimento (espressi come importi da investire nei vari periodi della fase esplorativa), di lavoro (espressi come numero di pozzi da realizzare nel periodo) e di rilascio dell’area oggetto della concessione caratterizzano il rapporto in questa fase. Al concessionario compete, nel rispetto degli obblighi di investimento e di lavoro, la predisposizione di programmi e budget annuali, senza interferenze da parte dell’autorità concedente. Anche l’obbligo di utilizzo del personale locale (essenziale per permettere l’acquisizione delle necessarie professionalità) è normalmente subordinato all’esigenza prioritaria della efficiente conduzione delle operazioni petrolifere. L’obbligo di addestramento di questo personale (training) è rinviato alla fase della produzione commerciale e reso soggetto comunque a varie limitazioni. Piena libertà viene garantita in materia valutaria, dato che il contratto di concessione prevede il diritto del concessionario di aprire e mantenere nel paese conti in qualsiasi valuta, nonché di esportare liberamente i ricavi delle proprie attività. Uguale libertà viene garantita al concessionario e ai suoi contrattisti per quanto riguarda l’importazione, in esonero da imposte doganali o simili, di tutti i materiali necessari per la conduzione delle operazioni petrolifere e la loro riesportazione, nonché l’esportazione degli idrocarburi prodotti. VOLUME IV / ECONOMIA, POLITICA, DIRITTO DEGLI IDROCARBURI Come contropartita del complesso di diritti e privilegi riconosciuti con la concessione petrolifera, almeno in una prima fase, il concessionario è tenuto al solo versamento di una quota della produzione, in denaro o in natura (royalty). Soltanto successivamente, per iniziativa del Venezuela (1943), alla royalty si aggiunge il pagamento dell’imposta sul reddito nei limiti, normalmente, del 50% del reddito calcolato in base a un prezzo di riferimento (posted price), secondo il principio dell’equal profit sharing. Tale prezzo è determinato, in questa fase, dalla società concessionaria e corrisponde al prezzo al quale la stessa è disposta a vendere il greggio prodotto. L’importo della royalty costituisce un costo deducibile ai fini del calcolo dell’imposta sul reddito, quest’ultima essendo fissata nell’aliquota onnicomprensiva del 50% del reddito calcolato come sopradetto. L’assenza di ogni controllo da parte dello Stato sull’attività del concessionario e sulla produzione di idrocarburi, nonché l’esclusiva responsabilità riconosciuta al concessionario con riguardo all’attività downstream di commercializzazione, trasporto e raffinazione, caratterizzano questa fase dei rapporti, connotando il contratto di concessione petrolifera come una vera e propria enclave nel sistema giuridico dello Stato concedente, resa quasi impenetrabile da un impressionante apparato di clausole contrattuali di protezione (v. sopra). Per molti decenni, il controllo delle risorse petrolifere mediorientali è stato esercitato in modo praticamente esclusivo dalle compagnie petrolifere come risultato dei rapporti contrattuali conclusi sin dagli inizi del 1900. Queste società, dette anche majors, titolari delle più importanti concessioni petrolifere del Medio Oriente, hanno apportato i necessari capitali, tecnologie e capacità manageriali per la ricerca e la produzione di idrocarburi, ponendo in essere sofisticati rapporti per la commercializzazione e la fornitura di idrocarburi sui mercati dei paesi industrializzati. Peraltro, nella visione di molti paesi produttori l’attività svolta dalle società concessionarie ha gravemente limitato le prerogative sovrane dello Stato, impedendo la piena integrazione dell’industria petrolifera nell’economia nazionale (From concession […], 1973). La partecipazione dello Stato L’indipendenza delle colonie Il punto di partenza della seconda fase dell’evoluzione dei rapporti tra paesi produttori e compagnie petrolifere è determinato dall’accesso all’indipendenza di numerosi Stati, già colonie di potenze occidentali, e dall’azione coordinata di vari Stati produttori di petrolio. Il primo fenomeno copre un arco temporale di oltre un quinquennio, dal 1956 al 1962, con l’indipendenza di Marocco (1956), Tunisia (1957), Congo belga, Congo francese, Costa d’Avorio, Gabon, Ghana, Madagascar, 851 LA CONTRATTUALISTICA E LA SOLUZIONE DELLE CONTROVERSIE Nigeria e Alto Volta, oggi Burkina Faso (1960), Algeria (1962). L’intervento di questi nuovi Stati modifica significativamente l’equilibrio delle forze negli organismi internazionali, in quanto agli stessi viene riconosciuto un potere di voto pari a quello dei paesi industrializzati. Attraverso la posizione espressa in questi organismi e con la stipula di trattati, i nuovi Stati inducono una profonda revisione dei tradizionali principii del diritto internazionale consuetudinario (come il principio per cui pacta sunt servanda), considerati espressione del vecchio ordine economico internazionale, strumentale agli interessi delle vecchie potenze coloniali. I nuovi principii trovano la loro formulazione in varie risoluzioni dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite degli anni Sessanta e dei primi anni Settanta. Tra queste assumono un particolare rilievo quelle che affermano solennemente la «permanent sovereignty over natural resources» (Risoluzioni 14 dicembre 1962, n. 1803-VI, e 25 novembre 1966, n. 2158-XXI), o quelle relative all’instaurazione di un nuovo ordine economico internazionale (Risoluzioni 1° maggio 1974, n. 3201, S-VI e n. 3202, S-VI), o alla definizione dei diritti e dei doveri economici degli Stati nella cosiddetta Carta di Algeri (Risoluzione 12 dicembre 1974, n. 3281XXIX), adottata con l’opposizione dei paesi industrializzati, nonché quella relativa allo sviluppo e alla cooperazione economica internazionale (19 settembre 1975, n. 3362, S-VII). I principii citati affermano, tra l’altro, in modo categorico, il diritto inalienabile di ogni Stato sulle proprie risorse naturali, il diritto di ogni Stato di adottare misure di nazionalizzazione per il pieno recupero di tali risorse, nonché la competenza delle corti nazionali a giudicare secondo le proprie leggi in ordine alle controversie su misure di nazionalizzazione. L’affermazione di tali principii, finalizzata al recupero di una sovranità che strumenti ritenuti espressione del vecchio ordine economico, quale la concessione petrolifera, avevano limitato, è resa possibile anche dalla consapevolezza degli Stati di nuova indipendenza di disporre di risorse energetiche, prime fra tutte le risorse petrolifere, da cui dipende lo sviluppo e il benessere del mondo industrializzato. L’azione dei paesi produttori di petrolio A questa capacità di pressione dei paesi in via di sviluppo si unisce l’azione degli Stati produttori di petrolio riuniti nell’OPEC, creata all’inizio degli anni Sessanta. L’OPEC, nel Declaratory Statement of Petroleum Policy in Member Countries (Risoluzione 25 giugno 1968, n. 16, par. 90), pone i principii base di una politica petrolifera comune, tra cui – prevalenti – quelli relativi alla partecipazione degli Stati nella proprietà delle società concessionarie, al rinegoziato delle condizioni finanziarie dei contratti petroliferi e alla soluzione delle 852 controversie a opera di corti regionali (quindi, non attraverso l’arbitrato internazionale). La suddetta Risoluzione, dopo aver richiamato il diritto inalienabile di ogni Stato di esercitare la sovranità permanente sulle proprie risorse naturali (principio di diritto pubblico universalmente riconosciuto, come ripetutamente affermato dalle risoluzioni dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite), ha fissato, tra l’altro, l’obiettivo dell’acquisizione di una reasonable participation nella proprietà delle società concessionarie sulla base del principio del mutamento delle circostanze (changing circumstances). Con il General Agreement on Participation, firmato a New York il 20 dicembre 1972, vari Stati mediorientali ottengono una partecipazione del 25% nelle concessioni rilasciate in passato alle compagnie petrolifere operanti nel loro territorio e, nel contempo, l’impegno di tali compagnie a trasferire, entro i successivi dieci anni, sino al 51% di partecipazione nelle stesse concessioni. Tale accordo segna, sul piano formale, il termine del controllo esclusivo delle risorse petrolifere a opera delle compagnie del settore e l’entrata in scena dello Stato come compartecipe e associato nella direzione e gestione delle operazioni petrolifere. Infatti, l’acquisizione di una partecipazione da parte dei paesi produttori di petrolio del Medio Oriente doveva dare vita a un rapporto associativo ( joint venture) con le compagnie petrolifere per la gestione congiunta dell’attività petrolifera, senza, tuttavia, modificare l’involucro formale (la concessione petrolifera) attraverso cui tale attività viene svolta. Secondo le intenzioni dei paesi produttori, da questa partecipazione, con la forma associativa cui essa avrebbe dato vita, sarebbe derivato il potere della società di Stato del paese produttore di partecipare, in ragione della quota così acquisita, ai diritti, agli obblighi e ai profitti derivanti dall’attività petrolifera, nonché il potere di cogestire tale attività attraverso la partecipazione a comitati misti (di direzione, tecnici, operativi), costituiti da rappresentanti di entrambe le parti del rapporto, con peso decisionale proporzionale alla quota di partecipazione. La società di Stato diviene così lo strumento in grado di fare acquisire progressivamente allo Stato le necessarie competenze ed esperienze professionali, tecniche e manageriali per essere in grado di esercitare il controllo dell’attività petrolifera, al fine di assicurare che la stessa sia indirizzata a scopi di pubblica utilità o, quantomeno, non sia al solo servizio degli interessi del soggetto privato. Pur essendo una delle finalità della governmental participation voluta dalla Risoluzione OPEC 25 giugno 1968, n. 16, par. 90, tale obiettivo è stato realizzato solo in minima parte. Salvo poche eccezioni, infatti, la mancanza nelle società di Stato di personale dotato di esperienza tecnica e di capacità manageriali ha impedito di sfruttare pienamente queste nuove opportunità. ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI LA REGOLAMENTAZIONE CONTRATTUALE IN MATERIA DI RICERCA E PRODUZIONE DI IDROCARBURI Le società petrolifere, che hanno deliberatamente tenuto il loro partner governativo all’oscuro delle conoscenze geologiche, finanziarie e commerciali proprie dell’attività petrolifera, hanno pertanto seguitato a lungo a esercitare un ampio potere decisionale e il più pieno controllo sull’attività stessa. Questo risultato poco soddisfacente è stato reso possibile anche dal fatto di avere consentito alla società privata di continuare a predisporre programmi operativi e budget quale operatore della joint venture. Il ruolo dell’organismo in cui lo Stato era rappresentato finiva, quindi, con l’essere limitato alla mera approvazione di tali programmi e budget, con la conseguenza che, in caso di mancata approvazione, l’organismo non sarebbe stato in grado di approvare programmi e budget alternativi senza l’ausilio dell’operatore della joint venture. Proprio alla luce di questi aspetti una sentenza arbitrale del 1975, nel caso Anaconda Company v. Overseas Private Investment Corporation (OPIC), nel settore del rame cileno, afferma che, nonostante la ristrutturazione dei rapporti tramite joint venture, l’effettivo centro decisionale è rimasto nella sede delle case madri occidentali, per cui le operazioni hanno continuato a essere condotte dall’Anaconda come nel passato «through substantially the same practical chain of control as before» («International Legal Materials», 1975). L’esperienza delle joint venture, quindi, è risultata deludente e comunque non rispondente all’esigenza degli Stati di un più pieno recupero ed effettivo esercizio di quella sovranità permanente sulle proprie risorse naturali petrolifere così fortemente proclamata dalle risoluzioni dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. La nuova generazione di contratti petroliferi La ricerca di altri strumenti in grado di meglio soddisfare le richiamate esigenze e l’obiettivo di ottenere più elevati ricavi dall’attività petrolifera condotta sul proprio territorio sollecitano la ricerca e la predisposizione di nuove formule contrattuali. A questa terza fase dell’evoluzione dei rapporti tra compagnie petrolifere e paesi produttori, iniziata in certi Stati alla fine degli anni Sessanta e poi sviluppatasi nel corso degli anni Settanta, contribuiscono anche i processi di nazionalizzazione o di revoca dei contratti petroliferi che intervengono in vari Stati (Libia, Algeria, Kuwait, Iran, Iraq, Venezuela), insoddisfatti dell’azione dell’OPEC – ritenuta troppo moderata e lenta – di recupero del pieno controllo delle risorse petrolifere. Questa evoluzione è contrassegnata dal progressivo abbandono della formula della concessione petrolifera a favore di altri tipi di rapporti contrattuali in cui lo Stato, attraverso l’impresa pubblica designata a tale scopo, diviene parte attiva dell’attività di ricerca e sfruttamento degli idrocarburi. Anche se il contratto di concessione petrolifera continua a trovare applicazione in vari paesi VOLUME IV / ECONOMIA, POLITICA, DIRITTO DEGLI IDROCARBURI (Sharjah, Abu Dhabi, Brasile, Egitto hanno concluso questo tipo contrattuale ancora negli anni Settanta e Ottanta), tale processo di transizione porta alla progressiva adozione di nuovi schemi contrattuali nei quali il titolo minerario, nella piena ed esclusiva titolarità della società di Stato, diviene il punto di riferimento e la ragione d’essere dell’associazione della società privata all’attività petrolifera. La società privata, infatti, dispone pur sempre delle risorse finanziarie, tecniche e manageriali di cui lo Stato ha bisogno in vista del migliore sfruttamento delle risorse petrolifere. Ne consegue il diverso ruolo assegnato alla società petrolifera, non più concessionaria nel rapporto con lo Stato concedente ma contrattista, cioè appaltatore di opere e servizi, per conto della società di Stato. Le più significative tra le nuove formule contrattuali sono: il contratto di riparto della produzione (production sharing contract); il contratto di servizio (service contract), con rischio o senza rischio; il contratto di assistenza tecnica (technical assistance agreement). Di queste diverse formule contrattuali, cui la dottrina ha fatto riferimento come «new generation of petroleum agreements» (Maniruzzaman, 1993), conviene esaminare le caratteristiche e i tratti differenziali rispetto alla tradizionale concessione petrolifera, al fine di valutare in che misura esse abbiano consentito allo Stato un effettivo recupero di sovranità sulle proprie risorse naturali petrolifere. Il contratto di riparto della produzione Tra le nuove formule contrattuali assume particolare rilievo, anche in considerazione della sua notevole diffusione, il production sharing contract. Con la stipula di questo contratto la società straniera viene associata, in via esclusiva, alle operazioni petrolifere da condursi nell’area definita nel contratto, ma non alla titolarità delle risorse minerarie. Quest’ultima, come la titolarità dei diritti esclusivi di ricerca e produzione di idrocarburi e di svolgimento delle attività connesse con l’esercizio di tali diritti, resta in capo alla società di Stato competente per il settore petrolifero. La compagnia petrolifera, contrattista per conto della società di Stato, sopporta il rischio del mancato ritrovamento di idrocarburi. Da questa impostazione consegue che sia la proprietà degli idrocarburi rinvenuti, sia la responsabilità per la gestione della relativa attività sono della società di Stato. L’elemento di maggiore novità introdotto dal PSC, da cui lo schema trae la sua peculiarità, è rappresentato dalla previsione secondo cui la direzione delle operazioni è nelle mani della società di Stato (cosiddetta management clause). La formula adottata a questo riguardo in uno dei primi contratti indonesiani, concluso nel 1968 con l’ente di Stato per gli idrocarburi, Pertamina, recita: «Pertamina shall have and be responsible for the management of the operations and contractor shall be responsible for 853 LA CONTRATTUALISTICA E LA SOLUZIONE DELLE CONTROVERSIE the execution of the works program». Scopo della clausola è di consentire alla parte pubblica di imparare il mestiere, obiettivo da realizzarsi attraverso una stretta interazione tra la Pertamina e il contrattista. Una tale previsione, peraltro, comporta l’esigenza di armonizzare i poteri riconosciuti alla società di Stato, in nome di un recupero di sovranità attraverso il controllo pubblico sull’attività petrolifera condotta nel territorio nazionale, con la responsabilità contrattuale del contrattista di condurre le operazioni sul campo. Come è stato sottolineato: «If not handled wisely and carefully, such a structure may lead to immense frustration on the part of the foreign partner» (Machmud, 2000). La durata del PSC è normalmente molto inferiore a quella della concessione petrolifera (circa 30 anni). Il termine inizia con una fase esplorativa (4 o 6 anni, rinnovabili), seguita da una fase di sviluppo e produzione in caso di scoperta commerciale (20 anni, prorogabili di altri 10 anni a opzione del contrattista). Obblighi minimi di spesa e impegni di lavoro (sismica e numero minimo di pozzi) sono previsti per la fase esplorativa a carico del contrattista. Quanto alla disponibilità delle risorse finanziarie, il PSC prevede che il contrattista debba provvedere a tutti i fondi necessari per la conduzione delle operazioni, sopportando il rischio della perdita del proprio investimento nel caso in cui l’attività non porti a un ritrovamento di idrocarburi in quantità commerciali. Ove le operazioni conducano a una scoperta commerciale, così come definita contrattualmente, a far tempo dall’inizio della produzione commerciale il contrattista avrà diritto a due diverse quote della produzione disponibile, destinata l’una a rimborsarlo dei costi di esplorazione e di sviluppo sostenuti per la conduzione delle operazioni, inclusi spesso gli interessi maturati sugli investimenti di sviluppo (quota-parte denominata cost oil), e l’altra a garantirgli una redditività del proprio investimento (quota-parte denominata profit oil). La quota riconosciuta a titolo di profitto intende remunerare anche il rischio assunto dall’investitore nella fase di esplorazione e sviluppo. La proprietà della quota di idrocarburi spettante al contrattista passa al punto di esportazione (point of export), così qualificandosi i diritti del contrattista non quali diritti minerari (come nel caso della concessione), ma solo come diritti economici. Ognuna delle due parti dispone e commercializza liberamente la propria quota della produzione totale. La proprietà di tutti i beni importati per la conduzione delle operazioni passa nella proprietà della società di Stato, il relativo costo rientrando tra le voci oggetto di rimborso tramite cost oil. Nello schema indonesiano tasse e royalty non gravano sul contrattista proprio per l’assenza di profitti nel paese e di proprietà degli idrocarburi a bocca di pozzo, come è invece previsto nel contratto di concessione 854 petrolifera. A partire dal 1976, al fine di soddisfare l’esigenza delle società statunitensi di documentare alla propria autorità fiscale le tasse sul reddito pagate all’estero, il PSC indonesiano prevede che la quota di prodotto di spettanza della Pertamina includa gli importi pagati da quest’ultima per conto del contrattista a titolo di fiscalità, per i quali viene fornita regolare ricevuta. Il PSC concluso il 18 novembre 1997 tra la Repubblica del Kazakhstan e un consorzio di società internazionali (tra cui l’Agip) prevede un prelievo alla fonte del 30% a titolo di profit tax. Definita nella sua struttura dal Presidente della Pertamina (all’epoca denominata Permina), Ibnu Sutowo, e inaugurata nel 1966 con un contratto concluso con il consorzio IIAPCO (Independent Indonesian American Petroleum COmpany), la formula contrattuale in oggetto ha trovato applicazione in molti altri Stati a partire dagli anni Settanta. Il PSC concluso in Indonesia dall’Agip nel 1968 prevede a favore del contrattista una quota della produzione pari al 40% all’anno a titolo di cost oil e una quota pari al 35% del restante 60% a titolo di profit oil. Il PSC concluso dalla Exxon in Angola nel 1998 prevede la quota del 50% come cost oil e la divisione del profit oil all’80% per Sonangol e al 20% per il contrattista. Altri PSC prevedono un diverso riparto percentuale della produzione in funzione sia delle prospettive minerarie dell’area contrattuale, sia dell’abilità e del potere negoziale del privato investitore. Così, in alcuni di questi contratti la quota di produzione di spettanza dello Stato è crescente in funzione dell’aumento del tasso di rendimento del contrattista prima delle tasse (pre-tax rate of return), come prevede il formulario di contratto allegato alla legge del 26 marzo 1982 della Repubblica di Liberia. Il PSC indonesiano ha rappresentato il modello di contratto petrolifero adottato in Malaysia e in Cina. In tutti e tre i paesi il governo partecipa attivamente nella conduzione delle operazioni petrolifere al fine di controllare e ottimizzare i benefici derivanti dallo sfruttamento di una risorsa considerata strategica per questi paesi. Tutti e tre i paesi hanno società di Stato per gli idrocarburi molto ben strutturate, alle quali si deve un’industria petrolifera nazionale attiva, sia nelle operazioni upstream sia in quelle downstream. Questo è stato anche il risultato dell’utilizzo del PSC, sia come strumento per la formazione professionale del personale, tale da consentire un effettivo controllo dell’attività petrolifera, sia come fonte di importanti investimenti di capitale. Mentre i modelli indonesiano e malese sono simili, il PSC cinese contiene vari elementi di differenziazione. Così, con riguardo alla management clause, il modello cinese prevede un comitato di direzione misto ( joint management committee), che segue da vicino la conduzione delle operazioni piuttosto che limitarsi, come negli altri modelli, a impartire generiche linee guida. Il PSC ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI LA REGOLAMENTAZIONE CONTRATTUALE IN MATERIA DI RICERCA E PRODUZIONE DI IDROCARBURI cinese rappresenta una formula ibrida, nella misura in cui royalty e tasse sono parti integranti del contratto in contrasto con lo schema tipico. Sia in Malaysia sia in Cina, poi, la società di Stato tende ad acquisire una partecipazione nel contratto, trasformandosi da partner senza rischio in co-associato nel PSC (Machmud, 2000). Attualmente il PSC è la formula contrattuale prevalente in numerosi Stati asiatici (Bangladesh, Birmania – oggi Myanmar –, Cina, Filippine, India, Indonesia, Laos, Malaysia, Mongolia, Nepal, Pakistan, Sri Lanka, Vietnam), in paesi già membri dell’Unione Sovietica (Azerbaigian, Kazakhstan, Federazione Russa, Turkmenistan, Ucraina, Uzbekistan), in paesi del Medio Oriente (Giordania, Iraq, Israele, Oman, Qatar, Siria, Yemen), dell’America Centrale e Meridionale (Antille Olandesi, Colombia, Cuba, Ecuador, Perù, Trinidad e Tobago) e in alcuni Stati europei (Albania, Croazia, Malta, Romania) e africani (Algeria, Angola, Repubblica del Congo, Costa d’Avorio, Eritrea, Etiopia, Ghana, Guinea, Kenya, Liberia, Libia, Mozambico, Nigeria, Sudan, Tanzania, Togo, Tunisia, Uganda, Zambia). Alcuni di questi Stati prevedono, come formule alternative, il contratto di concessione e il contratto di servizio. Altri Stati seguitano tuttora ad adottare il modello del contratto di concessione (Tailandia, Nicaragua). Rispetto allo schema originario di PSC, molti Stati hanno introdotto delle varianti al fine di soddisfare aspirazioni nazionali e di armonizzare questo nuovo tipo contrattuale con il proprio sistema giuridico. Infine, in altri Stati, ancora poco soddisfatti di talune condizioni contrattuali, si discute della revisione di tali condizioni (così nella Federazione Russa con riguardo al PSC in vigore per l’area di Sakhalin). La flessibilità della formula contrattuale e l’equo bilanciamento delle posizioni delle due parti del rapporto sono tra le ragioni del successo del PSC. Questo spiega come la stessa formula abbia potuto essere adottata per progetti nel settore petrolifero non limitati alla ricerca e produzione di idrocarburi liquidi, ma relativi anche alla costruzione e gestione di impianti. Tale è il caso dei rapporti contrattuali con i quali la Royal Dutch Shell e la Exxon, due delle major, hanno accettato di collaborare con il Qatar nello sviluppo e nella messa in produzione di importanti riserve di gas naturale. Stando alle informazioni ricavabili dalla stampa specializzata, il progetto della Shell prevede la costruzione del più grande impianto mai realizzato per la produzione di Gas To Liquids (GTL) a Ras Laffan (Qatar), sulla base di un integrated development and production sharing agreement. Il progetto prevede un investimento da parte della Shell di circa 5.000 miliardi di dollari per lo sviluppo delle riserve di gas naturale e la costruzione di un impianto di GTL in grado di fornire 140.000 barili al giorno di prodotti GTL. L’accordo ha per oggetto sia l’upstream che il downstream del progetto, con l’impegno VOLUME IV / ECONOMIA, POLITICA, DIRITTO DEGLI IDROCARBURI della Shell di applicare prescrizioni rigorose a tutela dell’ambiente, della salute e della sicurezza. Il riparto della produzione tra il Qatar, titolare delle risorse naturali, e la Shell, contrattista, viene definito equo, con un soddisfacente ritorno per entrambe le parti. Anche il progetto Exxon in Qatar, relativo anch’esso a prodotti GTL, viene attuato in base a un PSC concluso nel 2004. L’investimento a carico della Exxon è stimato in 7.000 miliardi di dollari, per una produzione di 154.000 barili al giorno. Il contratto di servizio Con il contratto di servizio la società di Stato mantiene la titolarità esclusiva dei diritti minerari sull’area oggetto del contratto e la proprietà degli idrocarburi rinvenuti e prodotti nell’area. La società privata, direttamente o per il tramite di una sua controllata, agisce come appaltatore dei lavori (general contractor) in nome e per conto della società di Stato, e, in tale veste, conduce tutte le operazioni necessarie per l’esplorazione, lo sviluppo e la produzione degli idrocarburi, dietro versamento di un corrispettivo predeterminato ( flat fee) o commisurato al quantitativo di produzione nel periodo di riferimento. Il compenso può essere graduato in funzione delle dimensioni della scoperta, dell’ammontare del capitale di rischio investito e di altri fattori. Il soggetto privato non ha, pertanto, la qualità, le prerogative e i diritti di un concessionario o di un associato, il suo ruolo essendo limitato a quello di un contrattista. Ne consegue che programmi e budget per l’attività da sviluppare in ciascun anno di vigenza del rapporto, pur se predisposti dal contrattista, debbono essere approvati dalla società di Stato. La pratica distingue due tipi di contratto di servizio: con rischio e senza rischio. Nel contratto di servizio con rischio si richiede al contrattista di finanziare integralmente l’attività di ricerca di idrocarburi e quella, successiva, di sviluppo dei depositi rinvenuti nell’area contrattuale. Questo finanziamento interviene con assunzione del rischio del mancato ritrovamento di idrocarburi (solitamente greggio) in quantità commerciali. Solo in quest’ultimo caso, infatti, l’ammontare di tutti i costi sostenuti sino a tale data è considerato come un prestito concesso dal contrattista soggetto a rimborso da parte della società di Stato. Il rimborso avviene, di norma, in denaro ed è il contratto a fissare l’importo e la scadenza (normalmente trimestrale) delle rate di ripagamento. I costi di produzione, invece, sono rimborsati direttamente dalla società di Stato in valuta locale, dietro fatturazione. In aggiunta al rimborso dei costi, il contrattista ha diritto di percepire, a titolo di remunerazione dei servizi resi, ulteriori importi calcolati secondo quanto previsto in ciascun contratto di servizio. Vari contratti di servizio prevedono il diritto del contrattista di prelevare quantitativi di greggio, valorizzati al prezzo di mercato 855 LA CONTRATTUALISTICA E LA SOLUZIONE DELLE CONTROVERSIE (definito nel contratto), in luogo dei pagamenti in denaro a lui dovuti dalla società di Stato. La formula con rischio è stata adottata negli anni Sessanta e Settanta nei contratti di servizio conclusi, tra l’altro, in Iran, Iraq, Nigeria e Venezuela. In una fase successiva, questa formula contrattuale ha permesso ad alcuni Stati di conseguire condizioni di maggiore favore: è questo il caso dei contratti di servizio conclusi in Iran e Birmania, come pure in Brasile in base al contratto modello della Petrobras del 1976. La distinzione tra il PSC e il contratto di servizio con rischio non è agevole, anche in considerazione delle varianti introdotte da ciascun paese nei diversi schemi. Essenzialmente, essa risiede nel modo di pagamento di quanto dovuto al contraente privato. Mentre il PSC prevede l’accesso diretto a una quota di produzione in natura, nel contratto di servizio il contrattista è ripagato in denaro, salvo l’opzione di prelevare un quantitativo di greggio di valore equivalente. Altri contratti di servizio sono senza rischio, in quanto il contrattista non è obbligato a finanziare a proprio rischio le operazioni di ricerca e di sviluppo degli idrocarburi e viene remunerato con un compenso prefissato. In base a questo contratto, la società privata mette a disposizione della società di Stato personale qualificato, la propria esperienza e il proprio know how ai fini della conduzione delle operazioni di ricerca, sviluppo e produzione di idrocarburi sulla base di programmi e budget fissati dalla società di Stato. Anche in questo tipo di rapporto contrattuale il contrattista può avere accesso a determinati quantitativi di produzione, solitamente in base a un separato contratto di vendita. Vari contratti di servizio sono stati conclusi negli ultimi anni da società del gruppo italiano Eni. Tra questi si richiamano i più significativi. Buy back service agreements. Sono contratti stipulati in Iran con la NIOC tra la fine degli anni Novanta e l’inizio del 2000, per una durata di 4-5 anni per la fase di sviluppo e di 6-7 anni per la fase di recupero degli idrocarburi. È prevista l’approvazione di programmi e budget da parte di un Joint Management Committee (in cui entrambe le parti sono rappresentate) che decide all’unanimità (salvo meccanismi volti a superare eventuali stalli decisionali). Il rimborso degli investimenti (sino a un determinato importo) e il pagamento del compenso ( fee) è a carico dei ricavi generati dalla vendita di una quota (sino al 60%) degli idrocarburi prodotti, mentre il rimborso dei costi operativi e delle tasse sul reddito interviene direttamente. Viene anche previsto il diritto del contrattista di acquistare dalla NIOC una quota della produzione. Service contract. È stato concluso nel 2000 con la Nigerian Petroleum Development Company, titolare della oil petroleum licence n. 91 e dei successivi oil mining leases, e prevede lo sviluppo di due campi già 856 scoperti. Gli investimenti relativi sono finanziati attraverso il greggio disponibile o, se questo non è sufficiente, con fondi a carico del contrattista. L’intera produzione è di proprietà dello Stato, ma il contrattista viene rimborsato dei propri costi (sia di capitale sia operativi) con una quota di produzione (cost oil) e remunerato per i servizi resi con altra quota della residua produzione (profit oil), secondo le percentuali contrattualmente stabilite. Le operazioni sono condotte sotto la direzione di un Management Committee paritetico, il quale decide all’unanimità (salvo, in caso di contrasto, l’intervento di un esperto indipendente). Quanto alla fiscalità, la società di Stato corrisponde la petroleum profit tax, nonché la royalty, mentre a carico del contrattista è l’imposta sul reddito. Operating agreement. Questo contratto, concluso nel 1997 con la Corpoven in Venezuela, prevede che la società dell’Eni, quale operatore, debba provvedere a rendere disponibili gli investimenti e il know how necessari per l’attuazione del progetto relativo alla riabilitazione di certi bacini di idrocarburi, nonché allo sviluppo, produzione, trasporto e trattamento della produzione sulla base di un master development plan approvato all’atto della stipula del contratto. Gli investimenti sostenuti, inclusi gli interessi, sono rimborsati in denaro, in aggiunta al versamento trimestrale di un compenso per l’attività svolta (service fee). Tutta la produzione è di proprietà della società di Stato. Il contratto di assistenza tecnica Come suggerito dalla sua denominazione, questo tipo contrattuale prevede la prestazione di servizi da parte del contraente straniero, spesso limitati a specifiche fasi dell’attività petrolifera, dietro corrispettivo di importi in denaro prefissati e senza che a carico del contrattista gravi il rischio del mancato ritrovamento di idrocarburi. La posizione assunta dalle società di Stato nella gestione delle risorse naturali petrolifere costituisce una delle novità più significative introdotte dalle nuove formule contrattuali. Anche se molte delle condizioni pattuite nei nuovi schemi riflettono quelle tipiche del contratto di concessione petrolifera, la circostanza che firmatario del contratto non sia lo Stato ma la società di Stato comporta rilevanti effetti giuridici sulla protezione dell’investimento privato. Lo Stato, infatti, non potrà essere chiamato a rispondere direttamente per eventuali inadempienze contrattuali, né potrà attribuirsi alle clausole di intangibilità e di stabilizzazione contenute nel contratto lo stesso valore giuridico derivante dall’assunzione del relativo obbligo da parte dello Stato (v. sopra). Al risultato di riportare alla responsabilità contrattuale dello Stato eventuali inadempimenti della società di Stato, come pure eventuali interferenze dello stesso nell’esecuzione del contratto, tendono varie forme di garanzia che lo Stato può avere rilasciato in occasione ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI LA REGOLAMENTAZIONE CONTRATTUALE IN MATERIA DI RICERCA E PRODUZIONE DI IDROCARBURI della conclusione del contratto. Tra queste rientra l’approvazione per legge del PSC, secondo le previsioni di taluni sistemi giuridici, come in Azerbaigian (Bati, 2003). Per altro verso, gli effetti utili che sul piano dell’equilibrio economico sarebbero derivati da una clausola di stabilizzazione accettata dallo Stato sono realizzati con la previsione, in vari contratti, dell’obbligo della parte pubblica di compensare il contrattista per le conseguenze economiche derivanti da misure adottate dallo Stato in violazione di garanzie di stabilizzazione contrattualmente pattuite (così in contratti conclusi con società di Stato di paesi già membri dell’Unione Sovietica). Il dato caratterizzante la più recente evoluzione dei rapporti contrattuali relativi all’attività di ricerca, produzione, trattamento e commercializzazione è offerto dalla posizione assunta da molti Stati in sede di attribuzione di diritti minerari petroliferi. È ormai largamente diffusa la pratica per cui la società che vuole acquisire un contratto per la ricerca e produzione di idrocarburi nel territorio di determinati Stati deve presentare un’offerta in busta chiusa all’autorità competente, dichiarando di accettare il modello di contratto predisposto a questo scopo dallo Stato ospite. Le prospettive di successo nell’acquisizione del contratto sono basate unicamente sugli impegni di spesa e di lavoro offerti in sede di gara, con l’aggiunta eventuale, se così richiesto, del pagamento di importi in denaro (bonuses) a determinate scadenze. I model forms per i vari tipi contrattuali (PSC o contratti di servizio) sono ormai molto diffusi in paesi appartenenti alle più varie aree geopolitiche e alle più diverse culture giuridiche. Un esempio di questa più recente evoluzione è offerto dal bando di gara con cui l’algerina Sonatrach, nel 2004, ha sollecitato offerte per l’attuazione di un progetto integrato (da realizzare in associazione con la stessa Sonatrach) di esplorazione, sviluppo, liquefazione e commercializzazione di gas naturale da campi situati nella regione di Gassi Touil, sulla base di un contratto di riparto della produzione (PSC), non negoziabile, della durata di 30 anni. Il contratto prevede una fase di sviluppo e produzione di idrocarburi finanziata per il 65% dal contrattista e per il 35% dalla Sonatrach, nonché due fasi di esplorazione di nuovi campi finanziate al 100% dal contrattista. Le decisioni sono prese all’unanimità da un management board nel quale le due parti hanno uguale rappresentanza, rimettendo a un terzo indipendente la soluzione di eventuali disaccordi. Le attività di liquefazione del gas naturale e di commercializzazione del Gas Naturale Liquefatto (GNL) sono realizzate da due diverse società, cui partecipano la Sonatrach e il contrattista con quote differenti a seconda della società. Il contrattista viene rimborsato dei costi sostenuti e remunerato per i propri investimenti e per l’attività svolta con una quota della produzione di greggio, VOLUME IV / ECONOMIA, POLITICA, DIRITTO DEGLI IDROCARBURI di GNL, di gas naturale o di altri prodotti risultanti dal processo di liquefazione, la restante parte della produzione restando di proprietà della Sonatrach. L’imposta sul reddito del contrattista derivante dalla remunerazione contrattuale è pagata dalla Sonatrach, a cui carico è anche la royalty sulla produzione di idrocarburi. Il contratto è regolato dalla legge algerina e la soluzione delle controversie è rimessa all’arbitrato internazionale in base al Regolamento arbitrale della United Nations Commission on International TRAde Law (UNCITRAL). 13.1.5 Conclusioni Joint venture, production sharing contract e service contract rappresentano altrettanti stadi di un processo attraverso il quale gli Stati in via di sviluppo hanno cercato di conseguire un più ampio controllo delle proprie risorse naturali e maggiori ricavi dall’attività petrolifera, recuperando nel contempo quella piena sovranità sulle proprie risorse petrolifere che l’istituto della concessione aveva gravemente limitato. Tra l’altro, a differenza di quanto normalmente previsto per la concessione petrolifera (v. sopra), i nuovi tipi contrattuali sono di regola assoggettati alla legge statale nel cui territorio viene condotta l’attività petrolifera, trovando così soddisfazione uno degli obiettivi dell’azione degli Stati volta al recupero di sovranità. È questo anche il portato di nuovi strumenti internazionali, primo tra tutti la Convenzione di Washington del 1965 sulla risoluzione delle controversie tra Stati e privati in materia di investimenti, i quali richiamano la legge dello Stato quale regolatrice dell’investimento privato. La dottrina parla, a questo riguardo, di rilocalizzazione della legge applicabile nel sistema giuridico dello Stato ospite. Per contro, l’arbitrato internazionale continua a costituire il metodo normale di risoluzione delle controversie tra le parti, anche attraverso il richiamo della menzionata Convenzione di Washington in materia di investimenti. Pur con questi correttivi, non sembra possa affermarsi che l’obiettivo dell’effettività del controllo da parte dello Stato sullo sfruttamento delle proprie risorse sia stato sempre e ovunque conseguito. Tale controllo dipende, infatti, in larga misura, dalla capacità degli Stati di rendere disponibili risorse professionali adeguate a seguito dell’attuazione di seri programmi di preparazione del proprio personale. Per contro, dal punto di vista del soggetto privato i nuovi schemi contrattuali possono risultare accettabili (come dimostra, del resto, la loro diffusione), nella misura in cui l’investimento sia ragionevolmente garantito e permanga l’accesso a una quota di produzione di idrocarburi, a un costo accettabile, al fine di garantire la continuità nelle forniture del proprio mercato di sbocco. 857 LA CONTRATTUALISTICA E LA SOLUZIONE DELLE CONTROVERSIE Bibliografia citata Bati A. 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