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Intelligenza sociale
TRATTO DAL LIBRO DI
DANIEL GOLEMAN
INSEGNANTE DI PSICOLOGIA
ALL’UNIVERSITÀ DI HARVARD
“A dieci anni dalla rivoluzione di Intelligenza
emotiva, lo psicologo americano Daniel Goleman
ne compie un'altra: sulla scorta delle scoperte di
una nuova disciplina - le neuro-scienze sociali -,
dimostra come le relazioni interpersonali
plasmino la nostra mente e influiscano sul nostro
corpo. Il cervello è, per sua natura, socievole e le
emozioni sono contagiose come un virus. Proprio
per questo è importante allenare la nostra
intelligenza sociale: solo così possiamo vivere con
pienezza le relazioni d'amore, educare i nostri figli
alla felicità e costruire attivamente il dialogo con
l'altro. Un saggio che analizza le radici delle
solitudini dell'uomo di oggi, sempre più spesso
chiuso in una sorta di autismo tecnologico, per
riscoprire e recuperare i rapporti personali e
affettivi.”
Ma di cosa si parla?
L’Intelligenza Sociale è la capacità di interagire in modo
costruttivo con le persone, creando dei legami consapevoli fondati
sull’ascolto e mettendo in atto delle abilità sociali tali da
consentire un positivo cambiamento nel rapporto con se stessi e
con gli altri.
La caratteristica di partenza dello sviluppo dell’intelligenza sociale
si chiama "empatia", che significa percepire in modo profondo gli
stati d’animo degli altri e i loro sentimenti, negativi o positivi:
tristezza, angoscia, ansia, apatia, delusione oppure felicità ed
euforia. In sostanza, vuol dire mettersi nei panni dell’altro come se
fossero i propri.
Lo stress è sociale
Rielaborazione tratta dal capitolo 16
Una relazione tempestosa accorcia la vita?
Alcuni studi suggeriscono che sia sufficiente contare il numero di persone
importanti nella vita di un individuo per valutarne il grado di salute, ma non
è questo il punto: ciò che conta non è la quantità, bensì la qualità. È molto
più significativo per la salute il tono emotivo delle nostre relazioni che il
numero delle stesse.
I rapporti personali possono essere fonte di angoscia quanto di gioia: in
positivo, la sensazione che chi partecipa alla nostra vita ci sostenga
emotivamente ha un impatto favorevole sulla salute, ed è particolarmente
importante per chi attraversa una condizione di fragilità (es. studio su persone
ricoverate per insufficienza cardiaca).
L’amore sembra fare la differenza dal punto di vista
medico. Le relazioni seguono due strade: possono
proteggerci dalle malattie, oppure peggiorare i danni
dell’età e i disturbi di salute. Oltre agli affetti incidono
anche altri fattori come la vulnerabilità genetica.
Una guerra contro tutti
Sotto stress, le ghiandole surrenali secernono il cortisolo, uno degli
ormoni rilasciati dal corpo in caso di emergenza. Questi ormoni
hanno effetti ad ampio raggio sull’organismo, quali ad esempio
favorire adattamenti a breve termine per sanare ferite fisiche.
In situazioni normali abbiamo bisogno di un livello scarso di
cortisolo; ma se i livelli rimangono troppo alti per lunghi periodi di
tempo, il corpo ne risente in termini di cattiva salute.
il cortisolo stimola l’amigdala, inducendo lo sviluppo anomalo dei
dendriti nella sede della paura e influisce negativamente sulla
capacità delle aree chiave della corteccia prefrontale di regolare i
segnali di paura provenienti dell’amigdala.
Nel collegamento fra stress e salute, i sistemi biologici chiave sono il
sistema nervoso simpatico (SNS) e l’asse ipotalamo-ipofisi-ghiandole
surrenali (asse HPA)
Quando ci troviamo in difficoltà, sia l’SNS, sia l’asse HPA accettano la sfida,
producendo ormoni che ci preparano ad affrontare un’emergenza o una
minaccia. Per far ciò, devono ricorrere agli altri sistemi, fra cui
l’immunitario e l’endocrino, però questo processo indebolisce le strutture
chiave per la salute.
I cambiamenti fisiologici associati agli alti e bassi delle relazioni non
contano poi così tanto. Ma se si protraggono per anni, i “bassi” determinano
livelli di stress biologico che possono accelerare l’insorgere di una malattia o
peggiorarne i sintomi.
Il modo in cui una relazione influenzerà la nostra salute dipende dalla
somma totale di sentimenti positivi o negativi che ci avrà regalato nel corso
dei mesi e degli anni. Più la nostra condizione è fragile più forte sarà
l’impatto sulla salute di un certo rapporto.
La nocività delle offese
Studi effettuati in Svezia su lavoratori di vari gradi e negli Stati Uniti su
dipendenti pubblici, mostrano che chi si trova ai livelli più bassi di
un’organizzazione è quattro volte più esposto a disturbi cardiovascolari di chi
si trova ai vertici della gerarchia. I lavoratori che si sentono ingiustamente
criticati, o i cui problemi non vengono ascoltati dai capi, presentano
un’incidenza di disturbi alle coronarie del 30 per cento superiore rispetto a
chi è trattato in modo più corretto.
Gli insulti, che possono essere la routine con superiori dispotici, servono a
riaffermare il potere del datore di lavoro, mantenendo i dipendenti in uno
stato di vulnerabilità e soggezione. Poiché il loro stipendio e la sicurezza del
loro impiego dipendono dal capo, i lavoratori tendono a sviluppare pensieri
ossessivi nei confronti delle loro interazioni, interpretando ogni scambio
negativo come portatore di disgrazie.
In generale, in ambito lavorativo, ogni conversazione con una persona di
grado più alto fa aumentare la pressione più di quanto non accada parlando
con un collega di pari grado.
Il modo in cui una persona affronta le offese.
offese
In una relazione tra pari, si può sfidare chi ci ha insultato ed esigere delle
scuse. Ma quando l’umiliazione proviene da chi detiene il potere, i
dipendenti reprimono la rabbia, reagendo con rassegnata sopportazione.
Le persone che reagiscono agli insulti con il silenzio presentano un forte
aumento di pressione.
Di solito cerchiamo di non frequentare le persone che non ci piacciono,
ma molte esperienze inevitabili della nostra vita appartengono a una
categoria “mista”: a volte ci fanno stare bene, a volte malissimo. Le
relazioni ambigue richiedono un grosso impegno emotivo da parte
nostra; ogni interazione è imprevedibile, forse potenzialmente esplosiva,
ed esige una percentuale maggiore di vigilanza e sforzo.
La catena causale
Gli scettici obiettano che potrebbero entrare in gioco fattori molto diversi
nella correlazione tra relazioni stressanti e problemi di salute. Alcuni
ricercatori hanno continuato a tentare di individuare un legame biologico
ben preciso, distinguibile dalle altre ragioni.
Da un esperimento effettuato da Cohen si è visto che più si socializza, più si
diventa resistenti al raffreddore. Sembra un controsenso: la possibilità di
ammalarci aumenta frequentando un maggior numero di persone, MA
contatti sociali intensi accentuano le sensazioni positive e limitano quelle
negative, abbassando il cortisolo e stimolando la funzionalità immunitaria
sotto stress. Paradossalmente le relazioni, che potrebbero esporci al virus,
sembrano proteggerci dal rischio di contrarlo.
Fra i vari tipi di stress, quello peggiore è diventare oggetto di aspre critiche
e non poter far nulla per difendersi.
Essere valutati minaccia il “sé sociale”, il modo in cui ci vediamo attraverso
gli occhi degli altri. La percezione del nostro status e valore sociale deriva
dal complesso dei messaggi che riceviamo dagli altri sull’impressione che
hanno di noi. Le minacce relative al nostro status agli occhi altrui hanno
una grande forza dal punto di vista biologico.
Sentirsi inermi aiuta lo stress.
Le minacce sono percepite nel modo peggiore se la persona non può far
nulla per rimediarvi. Quando una minaccia persiste indipendentemente da
ogni nostra azione, il cortisolo sale alle stelle.
Quando la fonte di stress sembra impersonale, le esigenze fondamentali di
accettazione e appartenenza non risultano minacciate. Quando si tratta di
stress impersonali, il corpo compensa l’inevitabile picco di cortisolo nel
giro di 40 minuti circa. Ma se la causa è un giudizio sociale negativo, il
cortisolo rimane in circolo per il doppio del tempo, impiegando più di un
ora per tornare a livelli normali.
Il cervello sociale opera una distinzione importantissima fra dolo
accidentale e intenzionale, e reagisce in modo più netto se le intenzioni
sembrano malevole.
La chiave per gestire le turbolenze della via bassa si trova nei meccanismi
cerebrali della via alta. L’area prefrontale sinistra regola una serie di
circuiti nelle aree inferiori del cervello che determinano la resilienza allo
stress. Maggiore è l’attività dell’area prefrontale sinistra (rispetto alla
destra), più siamo in grado di sviluppare strategie cognitive finalizzate alla
regolazione emotiva e più velocemente ci riprendiamo a livello emotivo.
Ciò a sua volta influisce sui tempi di normalizzazione dei livelli di
cortisolo.
Una vita relazionale all’insegna della sicurezza fornisce alle persone le
risorse interne per riprendersi da contrattempi emotivi e perdite.
La tensione si ripercuote sulla salute e sul benessere di una persona.
Attraverso una serie di studi si è dimostrato che gli effetti di uno
stress continuo arrivano a influire sull’espressione dei geni nelle
cellule immunitarie, essenziali per combattere le infezioni e curare le
ferite.
Lo stress continuo sembra avere un impatto anche sul DNA. Altri
ricercatori, compiendo studi genetici sul DNA di alcune madri che
accudivano figli malati cronici, scoprirono che più a lungo erano
gravate da questo peso, più invecchiavano a livello cellulare. (La
percentuale di invecchiamento fu determinata misurando la lunghezza dei
telometri dei globuli bianchi delle madri.)
L’intelligenza sociale collettiva può offrire un’alternativa al peso
soverchiante dell’accudimento. caso di Philip Simmons
Grazie per l’attenzione!
Silvia Sarzanini
Elisabetta Rossi
Rossana Macagno