Lo stress, nuovo male sociale?

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QUADRI DIRETTIVI
Un percorso aperto a tutti
“Lo stress, nuovo male sociale?”
Sintesi
Esiste un legame tra lo stress provocato da offese e/o
maldicenze ed alcuni tipi di disturbi fisici?
Alcune recenti scoperte sembrerebbero dimostrarlo.
Chiara Rossi & Cristian Russotti
Sappiamo che il tempo è poco, ma la tua partecipazione sarebbe preziosa. Perciò se riesci a ritagliarti un
momento potresti inviarci un commento, un suggerimenti o altro e ti preghiamo di rivolgerti a:
Chiara Rossi – UCCB Verona
[email protected] oppure [email protected]
Cristian Russotti – UCCB Sassari
[email protected]
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Approfondimento
Una storia vera
Elysa Yanowitz rimase fedele ai suoi principi anche se ciò le costò il posto (e forse un
caso d’ipertensione). Un giorno un alto dirigente della sua ditta di cosmetici andò a
vedere il banco dei profumi in un grande magazzino di San Francisco, fiore
all’occhiello della compagnia, e ordinò alla Yanowitz, responsabile regionale delle
vendite, di licenziare una delle sue migliori venditrici.
Il motivo? Secondo lui, la donna non era attraente: per usare le sue parole, non era
abbastanza “sexy”. La Yanowitz era convinta che l’impiegata non solo fosse un’ottima
venditrice, ma anche una persona del tutto presentabile; per questo motivo trovò la
richiesta del dirigente infondata e ripugnante. Rifiutò di licenziare la donna.
Poco dopo i capi della Yanowitz cominciarono ad attuare ritorsioni su di lei. Benchè
fosse stata recentemente scelta come responsabile vendite dell’anno, presero a
imputarle un errore dietro l’altro. Lei temette che stessero cercando un pretesto per
licenziarla. In quei mesi così difficili, la donna cominciò a soffrire di pressione alta.
Quando si prese un congedo per malattia, la compagnia la sostituì.
Elysa Yanowitz ha fatto causa al suo ex datore di lavoro. Qualunque sarà l’esito della
vertenza, il caso solleva una domanda: l’ipertensione potrebbe essere in parte
dovuta al modo in cui i suoi superiori l’hanno trattata?
La nocività delle offese
Studi effettuati in Svezia su lavoratori di vari gradi e negli Stati Uniti su dipendenti
pubblici mostrano che chi si trova ai livelli più bassi di un’organizzazione è quattro
volte più esposto ai disturbi coardiovascolari di chi si trova ai vertici della gerarchia. I
lavoratori che si sentono ingiustamente criticati, o i cui problemi non vengono
ascoltati dai capi, presentano un’incidenza di disturbi alle coronarie del 30%
superiore a chi è trattato in modo più corretto.
Nelle gerarchie rigide i capi tendono a essere autoritari: esprimono spesso disprezzo
verso i dipendenti, che a loro volta provano un miscuglio confuso di ostilità, paura e
insicurezza. Gli insulti, che possono essere la routine con superiori dispotici, servono
a riaffermare il potere del datore di lavoro, mantenendo i dipendenti in uno stato di
vulnerabilità e soggezione.
In ambito lavorativo, ogni conversazione con una persona di grado più alto fa
aumentare la pressione più di quanto non accada parlando con un collega di pari
grado.
Prendiamo il modo in cui una persona affronta le offese. In una relazione fra pari, si
può sfidare chi ci ha insultato ed esigere delle scuse. Ma quando l’umiliazione
proviene da chi detiene il potere, i dipendenti in genere reprimono la rabbia,
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reagendo con rassegnata sopportazione. Ma la passività (con relativa tolleranza
all’insulto) autorizza implicitamente il superiore a continuare nello stesso tono.
Le persone che reagiscono agli insulti con il silenzio presentano un forte aumento di
pressione. Se i messaggi umilianti continuano, la persona che non reagisce si sente
sempre più impotente, ansiosa e infine depressa: tutti questi elementi, se protratti
nel tempo, espongono a disturbi cardiovascolari.
La scienza medica ha individuato un meccanismo biologico che collega direttamente
una relazione “tossica” alle malattie di cuore.
La percezione dei sentimenti
negativi
Il legame tra principale
immaginazione? Forse.
tirannico
(stressor)
e
disturbi
fisici
è
una
pura
Tuttavia le scoperte di un’analisi fatta su 208 studi relativi a 6153 individui,
sottoposti a fattori di stress quali rumori intensi e molesti (gradino più basso) e
confronto con persone altrettanto moleste (gradino più alto), dimostra che legami
esistono. Fra i vari tipi di stress, quello sicuramente peggiore è diventare oggetto di
aspre critiche e non poter fare nulla per difendersi.
Sentirsi inermi aumenta lo stress. Studi fatti sul cortisolo dimostrano che le minacce
sono percepite nel modo peggiore se la persona non può fare nulla per rimediarvi.
Quando una minaccia persiste indipendentemente da ogni nostra azione, il cortisolo
sale alle stelle. E’ la stessa situazione di chi, ad esempio, è vittima di pregiudizi
maligni. Relazioni costantemente critiche, respingenti o moleste mantengono l’asse
HPA (Ipotalamo-Ipofisi-Surrene dei sistemi neuroendocrini) in uno stato di
iperattività costante.
Quando la fonte di stress sembra impersonale, come un antifurto fastidioso che non
possiamo bloccare, le esigenze fondamentali di accettazione e appartenenza non
risultano minacciate. Il corpo compensa l’inevitabile picco di cortisolo nel giro di 40
minuti o poco più. Ma se la causa è un giudizio sociale negativo, il cortisolo rimane in
circolo per il doppio del tempo.
Gli studi di “brain imagining” chiariscono quali parti del cervello reagiscono
energicamente a una percezione di sentimenti malevoli. Il cervello sociale opera una
distinzione importantissima fra dolo accidentale e intenzionale, e reagisce in maniera
più netta alle intenzioni malevoli.
Sembra che questa scoperta possa aiutare i medici alle prese con il disturbo posttraumatico da stress: aiuterebbe a comprendere perché catastrofi di intensità
analoga provochino più spesso sofferenze durature se la persona sente che il suo
trauma è dovuto alle decisioni intenzionali di qualcuno, anziché a un evento casuale
in natura. Uragani, terremoti e altre catastrofi naturali causano meno vittime del
disturbo post-traumatico da stress rispetto ad atti intenzionali come lo stupro e
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l’abuso fisico. Le conseguenze del trauma, come ogni stress, peggiorano se la vittima
si sente presa di mira nella sua individualità.
In conclusione
E’ necessario chiarire comunque che una certa dose di stress (eustress) è
considerata una reazione positiva da parte dell’organismo. Senza stress non
esisterebbe il genere umano, è l’eustress che ci ha aiutati e ci aiuta a trovare
soluzioni nuove ai problemi che si pongono. Infatti, anche se oggi è usato
frequentemente come termine negativo, in sé lo stress è una risposta fisiologica
normale e, nella storia dell’evoluzione della specie e in quella individuale, positiva.
A livello europeo è stato stipulato un Accordo che, per la prima volta, dà una
definizione di stress, concordata bilateralmente e vincolante, in modo specifico
mirata allo stress di origine lavorativa: lo stress sul lavoro (workplace stress). L’art.
3 di questo accordo cita: “lo stress è uno stato, che comporta disturbi e disfunzioni di
natura fisica, psicologica o sociale e crea effetti sugli individui che si ritengono
incapaci di colmare le lacune con i propri requisiti o le aspettative riposte su di loro”.
Lo stress in ambiente di lavoro non trova esclusivamente fonte sul piano delle
dinamiche interpersonali, ma può provenire da diversi fattori anche di natura
meramente fisico-tecnica, come ad esempio: condizioni di rumore costante e diffuso,
clima ambientale interno non temperato, luce non sufficiente o inadeguatamente
abbagliante, ecc.
La cosa importante è che lo stress non venga sottovalutato. E’ vero che si tratta di
un campo nuovo dove anche il sindacato sta muovendo i primi passi, però è
fondamentale che ognuno di noi sia consapevole di che cosa si tratta e di quali rischi
comporta. Assieme troveremo le soluzioni pratiche.
Verona, 29 Agosto 2008
Chiara Rossi & Cristian Russotti
Bibliografia:
- Daniel Goleman “Intelligenza sociale” pp 227/241, 2006 Milano, ed. RCS Libri spa;
- Fiba Cisl Regionale Toscana e Veneto “Uno, due, tre, oops”, pp 97/106, 2008 Pomezia Roma ed. Società Tipografica Romana srl.
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