R. Solarino, Sbagliando s`impara, “Punti dolenti”, Italiano e Oltre, 1

R. Solarino, Sbagliando s'impara, “Punti dolenti”, Italiano e Oltre, 1/98, pagg. 50-51
Quelle della punteggiatura sono -insieme alle doppie, alla separazione tra le parole, alle grafie alternative per sequenze
sonore simili, all’uso delle maiuscole- le difficoltà ortografiche che più disorientano i bambini che cominciano a
scrivere. Ciò avviene, probabilmente, perché in questo tipo di regole ortografiche si mescolano principi di
rappresentazione alfabetica e principi di rappresentazione non alfabetica e questo pone al bambino che impara la
scrittura problemi nuovi rispetto a quelli che ha dovuto affrontare fino a quel momento.
Ci sono infatti due tipi di convenzioni ortografiche. Da un lato ci sono le convenzioni alfabetiche. che riguardano la
comprensione del codice che è alla base della lingua scritta. Per padroneggiare questo livello di convenzioni è
sufficiente aver appreso il sistema di corrispondenze tra suoni e segni grafici utilizzato per la nostra lingua, sapere cioè
che il suono /a/ corrisponde a una certa forma grafica, il suono /b/ ad un’altra e così via.
Diverse sono le regole convenzionali ‘non alfabetiche’, come sono appunto quelle della punteggiatura. Queste regole
non servono per scrivere e leggere in generale (esse potrebbero infatti essere tranquillamente disattese in molti casi, e
ugualmente il significato del messaggio scritto sarebbe comprensibile) ma per altri scopi, che sono stati definiti di tipo
ideografico, alludendo con questo termine ai sistemi di trascrizione grafica che forniscono una immagine riconoscibile
di entità esistenti in natura, che sono legati in qualche modo al significato di quello che designano.
Questo secondo tipo di convenzioni ortografiche introduce differenziazioni di tipo semantico in un sistema che in
generale le nega perché fa sostanzialmente riferimento alla forma sonora delle parole. L’uso della maiuscola per i nomi
propri richiede infatti, per esempio, di considerare la differenza di significato tra, poniamo, angelo e Angelo, brindisi e
Brindisi, l’uso del punto interrogativo contrassegna una domanda rispetto ad un’affermazione, la doppia distingue
coppie di parole con significato diverso (palla e pala, nono e nonno) e così via.
Nasce dunque una contraddizione nel sistema che il bambino si è fin qui costruito (e con molta fatica: il suo punto di
partenza è infatti proprio l’ipotesi che sarà smentita dal suo apprendimento successivo, e cioè che esista un qualche
legame di tipo semantico tra le parole e le cose) e possiamo supporre che parte delle sue difficoltà dipenderanno dal
fatto che ciò che il bambino ha dovuto imparare a trascurare per comprendere la rappresentazione alfabetica (le
differenze di significato) deve essere reintrodotto ora, ma in modo parziale.
I bambini infatti distinguono precocemente le lettere da altri segni che non lo sono, ma questa distinzione iniziale non
comprende nessuna interpretazione chiara sulla funzione dei segni di punteggiatura: perché sono così eterogenei?
Perché alcuni si presentano a coppie, altri da soli? Perché alcuni sono obbligatori, altri (la virgola, il punto e virgola e il
punto, in certi casi) sono segni tra cui è possibile operare una scelta ?
L’unico dato certo per il bambino sembra quello relativo alla regola del ‘ punto e maiuscola’: anch’essa però presenta
un tranello, perché è uno dei pochi casi in cui la punteggiatura è ridondante. Alcuni bambini, infatti, generalizzano
questa coppia di segnali e introducono il punto anche prima dei nomi propri!
I bambini sembrano comunque pronti ad affrontare problemi di punteggiatura e ad elaborare idee sulla sua funzione
solo dopo aver capito la natura alfabetica del sistema di scrittura e quando vengono in primo piano i problemi di
ortografia. Il processo può richiedere parecchio tempo e infatti la metà circa dei bambini dai 7 ai 9 anni non impiega
nessun tipo di punteggiatura o si limita a marcare l’inizio e la fine del testo, cioé i suoi limiti esterni.
Uno dei dati più interessanti sull’uso della punteggiatura nei bambini (E. Ferreiro, “L’uso della punteggiatura nella
scrittura di storie di bambini di seconda e terza elementare”, in M. Orsolini e C. Pontecorvo ( a cura di), La costruzione
del testo scritto nei bambini, La Nuova Italia, 1991, 233-257.)
è che essa appare in maggiore frequenza e varietà attorno ai frammenti di discorso diretto.
Questo dato dimostrerebbe che i bambini sono precocemente sensibili all’uso testuale della punteggiatura. Per utilizzare
correttamente la punteggiatura è essenziale infatti tener conto non solo di caratteristiche dell’oralità (ritmo, intonazione,
pause), ma anche rispettare regole ‘testuali’ e grammaticali che sono interamente convenzionali. La punteggiatura che
segnala il discorso diretto appartiene a questo tipo di regole, in quanto separa visivamente la narrazione dalla citazione
letterale, identifica il parlante, segnala il cambio del turno: è questa molteplicità di funzioni che spiega la sua precoce
utilizzazione da parte dei bambini.
I segni di punteggiatura più presenti e utilizzati dai bambini sembrano essere, comunque, il punto e la virgola,
probabilmente perché sono quelli che hanno il maggior numero di funzioni.
Le funzioni della virgola, in particolare, sembrano essere in italiano fondamentalmente due. La prima è quella che R.
Simone (“Riflessioni sulla virgola”, in M.Orsolini C.Pontecorvo, La costruzione del testo scritto nei bambini, La Nuova
Italia, Firenze, 1991, 219-231) chiama seriale: indica una sequenza, scandendo unità della stessa natura o dello stesso
peso sintattico, elenchi ecc. (Ho preso il cappotto, il cappello, l’ombrello e gli stivali).
La seconda è quella che lo stesso Simone chiama della virgola ‘che apre e chiude’. Essa segnala che tra ciò che si trova
prima e dopo di essa esiste una continuità di riferimento, come accade con frasi incassate, come in Luigi, se vuole, può
dormire in questa stanza o con apposizioni, come in Napoleone, l’imperatore dei francesi, fu più volte prigionero in
un’isola
I bambini, mentre usano correttamente e pressoché subito la virgola seriale, quella che scandisce unità della stessa
natura o dello stesso peso sintattico, elenchi ecc., usano abbastanza presto ma con qualche incertezza la virgola che
segna i confini di una frase incassata. Spesso ne usano una sola, quella che apre, mentre ‘saltano’ la seconda, quella che
chiude: ciò starebbe a significare che le coppie di segni sono più facili da apprendere dei segni isolati.
La cosa più interessante è però quanto si può osservare a proposito di un’altra funzione della virgola, quella di isolare il
tema di cui si sta parlando. E’ la virgola che si mette per esempio in italiano in frasi con dislocazione del complemento
oggetto a sinistra o a destra, come in Il pane, lo prendo io, o lo prendo io, il pane.
I bambini, che sono molto sensibili alla struttura tematica della frase, mostrano di percepire presto questa funzione della
virgola, e la ‘sovraestendono’ spesso mettendola dopo il soggetto (che, nelle frasi ad ordine ‘normale’ costituisce il
tema), specie quando questo è lungo, accompagnato da aggettivi, complementi ecc. e prima del verbo. Nascono così
errori di punteggiatura come La storia dei popoli antichi, non mi piace per niente.
E’ curioso notare però che lo stesso errore di punteggiatura si trova abbastanza frequentemente in compiti di studenti di
biennio (La situazione in cui si trovano gli italiani in questo periodo, è una situazione di paura, Il timore che possa
accadere qualcosa di veramente grave, ci spaventa, I problemi che assillano la mente di noi ragazzi, sono per lo più di
tipo familiare) e addirittura in testi scritti di studenti universitari! Ciò starebbe ad indicare che il livello pragmatico e
semantico della lingua, di cui la struttura tematica può considerarsi parte, è in un certo modo ‘basico’ e che spesso
prevale sulle convenzioni formali, come può considerarsi la regola che in italiano non vuole la virgola tra soggetto e
predicato verbale.
Non è bene comunque dimenticare che la punteggiatura, che sembra oggi tanto necessaria e naturale, è una
acquisizione tardiva, del XV secolo. Come in tanti altri campi, anche in questo l’educazione ripercorre a tappe forzate
l’evoluzione: non si può, allora, aspettare che il suo apprendimento si prolunghi ben oltre il terzo anno di scuola
elementare?