Bling Ring Sofia Coppola sta mostrando con il suo ultimo film degli adolescenti di Los Angeles che per emulare le star entrano nelle loro case, rubano e poi vivono come se fossero loro. Le vittime sono star reali. E mi sembra piuttosto evidente che in modo estremamente diplomatico Coppola voglia darci uno spaccato implacabile non “di quello che potrà accadere se”, ma di quello che c’è. Vedendo Bling Ring penso a Marcuse, e a come sia sempre più difficile definire il fenomeno delle emozioni. Nei suoi studi Marcuse affrontava il contrasto tra desideri istintuali e affettivi e l’imposizione di una politica ad adattamento forzato tesa a salvaguardare produttività ed efficienza. Egli era molto critico nei confronti della psicologia americana dell’Io che considerava “revisionista”, poiché asservita ideologicamente al potere politico e permeata di filosofia pseudo razionalista, efficentista e scientista. Accettando questa meccanica la psicologia dell’Io cancellava, secondo lo studioso, il contenuto rivoluzionario della psicoanalisi freudiana, dando luogo ad una pratica terapeutica finalizzata a produrre individui perfettamente adattati al sistema, inteso come contesto sociale, a scapito delle esigenze istintuali e affettive di ciascuno. Giunge dunque il momento di fare luce, sulle cosiddette esigenze istintive. Riprendendo sempre Marcuse, una società che valorizza il possesso delle cose, fino a renderlo il massimo del piacere, finisce per reificare le relazioni. Dunque se da un lato le relazioni finiscono con l’essere, né più né meno, un mezzo per possedere, dall’altro le emozioni (se definite come modificazioni fisiologiche, reazioni comportamentali, valutazioni cognitive, sentimenti soggettivi) diventano l’effetto – o la molla? - di continui passaggi all’atto verso la presa di tutto ciò che è cool e facilmente eccitante (droga, sesso, vestiti, tecnologia di vario tipo …). La relazione tra esseri parlanti perde la sua varietà, la sua ricchezza fatta di un infinito rivelarsi e sottrarsi. Non se ne ha il tempo. Impera la compulsione. Non se ne presta l’attenzione. Mentre si è qua, si può sempre essere là con lo smart phone. Il disagio, che poi è anche quel limite che permette di articolare e di dire, viene eliminato; è facile evadere. Ad esso si sostituisce la frustrazione che diventa rabbia ingestibile che porta ai più svariati passaggi all’atto. Eppure, credo che dietro a questi ragazzi, che sentono come normale lo stile di vita prefigurato, ci sia un senso di profonda tristezza che soggiace tra queste macerie scambiate per montagne incantate. Si tratta di opportunità relazionali e di ascolto, venute a mancare. Si è consolidato l’isolamento senza la carezza, il gioco, la danza, il pudore, l’imbarazzo … senza gioia per l’incontro. La vita diventata così una sequela di bisogni da appagare al di là della relazione, che conforta, muta allora in voragine da placare, senza fondo e sfondo. Questo è l’inizio della guerra tra simili e delle rapine: in queste assenze da placare nell’immediato, senza traccia dell’Altro, che trasfigurano e corrompono l’idea di vitalità. I modelli di una società reificata non possono attecchire così fortemente se è preservata la qualità emotiva e quindi relazionale. In questo scenario le migliori direzioni sono allora quelle che non possono essere istituzionalizzate. Un abbraccio quando il nostro corpo non ci basta, un sorriso anche se ci fa arrossire e la parola quando il silenzio non è abbastanza. 1