PSICOLOGIA DELLA COMUNICAZIONE PROF. PAOLO MODERATO A.A. 2013-14 Libera Università di Lingue e comunicazione IULM Introduzione Il corso di Psicologia della Comunicazione del III anno di IC è articolato in due parti: una scritta, per i frequentanti, costituita da un test a crocette e tre risposte aperte, e una parte orale (per frequentanti e non). Non dare la parte scritta non pregiudica assolutamente l’esito dell’esame orale finale il quale, generalmente, inizia sempre con una domanda a scelta del candidato. Le domande non sono particolarmente specifiche, e danno la possibilità di fare un discorso ampio, a cui il docente si aggancia per la domanda successiva. Tra gli argomenti più gettonati in sede d’esame vi sono sicuramente: l’apprendimento, la comunicazione, l’assertività, l’alleanza terapeutica, la regola 80-20, condizionamento operante vs. classico, rinforzo, penalizzazione, le emozioni, la memoria, la persuasione. Questo è un riassunto di entrambi i libri di testo adottati durante il corso, Interazioni Umane e Interazioni del Comunicare e degli appunti presi a lezione. Il materiale esaurisce completamente ciò che va studiato per l’esame, sia il “parziale” sia l’orale. Scribamates thinking good, feeling better! Pagina 1 La comunicazione • Comunicare deriva dal verbo latino communicare = rendere comune, condividere. • La comunicazione è quindi uno scambio interattivo tra due o più partecipanti, in grado di condividere un determinato significato sulla base di sistemi simbolici e convenzionali di significazione e di segnalazione, secondo la cultura di riferimento. • È costituita da: • una componente verbale; • una componente non verbale. • Jakobson nel 1960 elabora la Teoria della comunicazione verbale, con la quale ha individuato: • un mittente/locutore/parlante, colui che invia il • messaggio al • destinatario/interlocutore, il quale si riferisce al • contesto, l’insieme della situazione generale e delle particolari circostanze in cui ogni evento comunicativo è inserito nel messaggio. • Per poter compiere tale operazione sono necessari: • un codice comune al mittente e al destinatario; • un contatto, allo stesso tempo un canale fisico e una connessione psicologica fra mittente e destinatario, che consente loro di stabilire la comunicazione e di mantenerla. • Secondo Jakobson ai sei fattori della comunicazione corrispondono 6 funzioni: • funzione espressiva/affettiva, che riguarda la capacità di un mittente di manifestare se stesso, di comunicare la sua affettività, i propri stati d’animo, sentimenti ed emozioni; • funzione conativa, che cerca di influenzare il destinatario, imponendogli degli ordini per indurlo a un modo di sentire o di fare, ad assumere un determinato comportamento o a compiere un atto; • funzione fatica, che verifica la funzionalità del canale ma mantiene anche il contatto; • funzione referenziale, che si rivolge al contesto del messaggio e ci permette di riferirci alla realtà, di parlare del mondo e di metterci in rapporto con esso; • funzione metalinguistica, che riguarda direttamente il linguaggio, dà su di esso informazioni e definisce il codice; • funzione poetica, connessa al messaggio e in particolare alla sua struttura formale. • Queste funzioni normalmente non compaiono isolatamente. • Halliday ha elaborato un’altra teoria sulle 3 funzioni fondamentali del linguaggio: • funzione ideativa, esprime l’esperienza che il parlante possiede del mondo reale; • funzione interpersonale, permette l’interazione e definisce le relazioni tra parlante e interlocutore; • funzione testuale, per costruire testi ben formati e adatti alla situazione. La comunicazione NON verbale. • Comprende: gesti, sguardo, prossemica, qualità prosodiche, mimica facciale, etc. • L’importanza degli aspetti non verbali è tale che se vi è incongruenza tra elementi non verbali e verbali, solitamente si tende a dare più credito alla comunicazione non verbale. • Ekman e Friesen hanno individuato le 5 funzioni della comunicazione non verbale: • ripetizione, il gesto ripete il significato della parola (es. dare indicazioni stradali); • contraddizione, il comportamento non verbale contraddice il significato della parola (es. tono sarcastico); • complementarietà, il comportamento non verbale conferma quello verbale; • accentuazione, il comportamento non verbale serve a dare sostegno alla comunicazione verbale (es. testa e mano sottolineano quello che dico); • regolazione, mimica facciale, gesti, sguardi servono a regolare lo scambio sociale e il flusso comunicativo. Scribamates thinking good, feeling better! Pagina 2 • Ricci-Bitti e Cortesi individuano le macro-categorie dei segnali non verbali: 1. comportamento spaziale, l’uomo vive in un ambiente fisico con il quale è in continui rapporti di interscambio ed è filogeneticamente adatto a modelli di vita in piccoli gruppi. • Da qui nasce la prossemica di Hall, ovvero l’uso dello spazio personale e sociale e la percezione dello stesso da parte dell’uomo. Hall individua 4 zone/spazi per l’interazione sociale: zona intima, zona personale, zona sociale, zona pubblica. Hall individua inoltre tre tipi di organizzazione spaziale: • spazio pre-ordinato, con limiti fissi e visibili (es. ordinamenti architettonici della città, divisione degli spazi abitativi); • spazio semi-ordinato, ordinamento degli oggetti mobili; • spazio informale, distanza mantenuta negli incontri con gli altri. • La disposizione spaziale è molto importante in relazione ai rapporti interpersonali: l’orientamento indica rapporti di collaborazione (a lato), gerarchia (faccia a faccia) e intimità. • Il contatto fisico, presente in tutti gli animali, compreso l’uomo. La sua concezione varia da cultura a cultura ed è strettamente legato ala situazione. • Vicinanza-Distanza è la distanza che persone mantengono fra di loro nei rapporti interpersonali. Varia da cultura a cultura, dalla situazione e dal rapporto instaurato tra i due partecipanti alla comunicazione e può indicare rapporti gerarchici. • La postura, è la posizione che il corpo assume come forma immediata di adattamento all’ambiente. Si esprime con la tensione o il rilassamento dei muscoli ed è fortemente influenzata dallo stato emotivo del soggetto. È il primo elemento che trasmette informazioni su noi stessi. 2. comportamento motorio-gestuale/movimenti del corpo, sono i gesti, cioè qualunque azione che invia un segnale visivo a uno spettatore. Per diventare gesto, un atto deve essere visto da un’altra persona e comunicarle qualche informazione. Ekman e Friesen hanno classificato i segnali non verbali/gesti in: • emblemi, segnali emessi intenzionalmente con un significato specifico che può essere direttamente tradotto in parole e addirittura ripetere o sostituire il contenuto della comunicazione verbale (es. saluto); • illustratori, sono quei movimenti fatti con le mani che normalmente vengono realizzati nel corso della comunicazione verbale. Il loro scopo è illustrare ciò che si sta dicendo, ampliando e completando il discorso; • indicatori dello stato emotivo/affect display, ansia e tensione producono mutamenti riconoscibili nei movimenti dell’individuo; • regolatori, controllano il flusso della comunicazione e indicano se l’ascoltatore è interessato o meno a ciò che dice il parlante; • gesti di adattamento/adaptors, rappresentano un modo di soddisfare e controllare bisogni, motivazioni ed emozioni che riguardano le situazioni in cui l’individuo si trova. Sono segni abituali e inconsapevoli. 3. comportamento mimico/espressioni del volto, è il complesso dei segni con cui il volto si esprime (è infatti la principale area della comunicazione non verbale); può comunicare informazioni o emozioni. • Ekman e Friesen definiscono ostentatori di affetti i segnali non verbali che esprimono uno stato emotivo (display rules), culturalmente appresi: • de-intensificare l’indizio visivo di una certa emozione, mostrare un leggero spavento quando invece si prova una paura terribile; • aumentare l’intensità, azione opposta alla precedente (avere una paura moderata e simularla enorme); • sembrare indifferente, mostrare una espressione neutra mentre si prova un’emozione; Scribamates thinking good, feeling better! Pagina 3 • mascherare l’emozione provata, avere paura e ostentare sicurezza (si finge un’altra emozione che non si prova). • Fu Darwin uno dei primi a studiare le espressioni del volto. Sosteneva che la mimica delle espressioni non è acquisita tramite cultura del proprio gruppo di appartenenza ma vale per tutti gli esseri umani poiché frutto dell’evoluzione. L espressioni del volto sono quindi in stretta connessione con le risposte che l’organismo dà in situazioni particolari. • Dalla teoria di Darwin, deriva quella di Ekman e Friesen, secondo cui effettivamente ci sono dei movimenti muscolari facciali tipici per ciascuno stato emozionale primario; si tratterebbe di movimenti innati, appresi per via ereditaria. Esistono quindi delle emozioni universali: gioia, paura, tristezza, rabbia, disgusto, sorpresa. 4. comportamento visivo, è la parte fondamentale dell’espressione globale del volto. Comunica l’atteggiamento interpersonale, serve per instaurare rapporti, captare informazioni relative alle reazioni dell’interlocutore. È strettamente connesso alla comunicazione verbale. • È stato dimostrato che esiste una correlazione tra tratti della personalità e l’uso dello sguardo: le persone estroverse ne fanno un uso maggiore mentre quelle introverse guardano poco e non direttamente. Comunicazione e Cultura. • La comunicazione è un processo che richiede all’emittente e al ricevente di avvicinare e condividere i propri campi percettivi. • In un contesto interculturale, le differenze che caratterizzano un individuo sono ancora più marcate. • Le variabili del processo di comunicazione di cui la cultura determina in una certa misura i valori sono: • la percezione del mondo, cioè quei processi interiori attraverso i quali gli stimolo dell’ambiente esterno vengono selezionati. Gli elementi più importanti che influenzano la percezione del mondo sono: • credenze, le nostre convinzioni che qualcosa sia vero; • valori, ciò che è “buono” e ciò che è “cattivo”; • atteggiamenti, gli stati psicologici che predispongono a comportarci in un certo modo; • organizzazione sociale, il modo in cui la cultura organizza se stessa e le sue istituzioni influenza gli individui e il loro modo di percepirsi. i processi verbali: il modo in cui parliamo ma anche l’attività di pensiero e di associazione • del significato delle parole che usiamo; • i processi non verbali: gesti, espressioni del volto, sguardi, postura. Si dividono in tre categorie: • comportamenti non verbali, cioè tutti i comportamenti legati al corpo; • concetto del tempo, è l’attitudine verso il passato, il presente e il futuro; • uso e organizzazione dello spazio, cioè elementi prossemici. Scribamates thinking good, feeling better! Pagina 4 Assertività • Deriva dal latino “assessere” = asserire, affermare con convinzione e tenacia che che si sostiene. • Concetto che viene sviluppato soprattutto in USA (primi studi anni ’50), strettamente legato alla cultura anglosassone più che a quella latina. • I primi studiosi tracciano il concetto di assertività ritenendo che un bambino che nell’infanzia ha subito molte punizioni per i suoi comportamenti sociali, svilupperà da adulto una personalità inibita, con tendenza a sviluppare ansia e depressione. • Questi studi portano a elaborare il concetto di inibizione reciproca: l’impossibilità della contemporanea esistenza di due emozioni contraddittorie. Da ciò si è arrivati al concetto di comportamento anassertivo, cioè un’incapacità di esprimersi in modo adeguato o sufficiente e un’incapacità di distinguere il comportamento passivo, aggressivo o assertivo. Questa incapacità viene definita inabilità e può essere: • primaria, quando non è stato appreso determinato tipo di comportamento a causa di mancati rinforzi o modelli inadeguati; • secondaria, quando i soggetti non sanno emettere determinati comportamenti perchè hanno avuto condizionamenti di tipo avversivo. • Entrambe stanno alla base dell’ansia, e la primaria genera la secondaria. • Assertività è la qualità di chi è in grado di far valere i propri diritti pur rispettando quelli degli altri, in accordo con il principio di reciprocità. • L’assertività può essere definita come lo stile comunicativo che caratterizza un individuo socievole, sicuro di sè, aperto al confronto, capace di affermare i propri diritti nel pieno rispetto di sè e degli altri, con comportamenti adeguati alla situazione. • L’assertivo: • sviluppa consapevolezza di sè come persona; • decide in prima persona cosa fare e cosa no; • rispetta sè stesso e gli altri; • crede nelle proprie opinioni, pensieri e sentimenti; • riconosce i propri limiti. • Gli elementi dell’assertività sono quindi: • espressione, la persona assertiva è quella che pensa e sente in modo chiaro e diretto, la sua comunicazione non verbale è coerente con ciò che afferma; • contesto, essere assertivi significa dare una risposta adeguata al contesto senza mai prevaricare (aggressivo) o subire passivamente (passivo); • scelte, la persona assertiva ha di fronte a sè scelte e sa scegliere; • obiettivi, la persona assertiva ha chiaro l’obiettivo che si trova dietro le relazioni che si intrecciano con il mondo esterno perciò assume un atteggiamento che gli consente di perseguirlo; • serenità, la persona assertiva è serena perchè è libera di seguire i propri desideri vs. passivo e aggressivo = frustrazione -> rabbia • considerazione di sé e degli altri, l’assertivo ha buona considerazione di sè e degli altri, perciò accetta complimenti e critiche; • diritti propri e altrui, l’assertivo è consapevole dei propri diritti e di quelli altrui e li difende assumendosi la responsabilità del proprio comportamento -> accetta un rifiuto, compie un sacrificio per un amico. Sono diritti: l’autonomia di giudizio, il rispetto di sè, il cambiare opinione, apprendere con tentativi ed errori, autonomia emotiva, spontaneità, sapere di non sapere, autonomia dei punti di vista e chiedere quindi spiegazioni, libertà di scelta; • responsabilità, l’assertivo parla in prima persona singolare e non si nasconde dietro voci di corridoio; afferma con certezza una teoria e non gira intorno alle cose. • Non si nasce assertivi, ma si può imparare a esserlo riconoscendo ed esprimendo le emozioni, prendendo consapevolezza, risolvendo in modo positivo e non ansiogeno i problemi. Scribamates thinking good, feeling better! Pagina 5 • Gli obiettivi dell’assertività sono: • riconoscere le emozioni; • manifestare le emozioni per avere maggiore conoscenza di sè; • consapevolezza dei diritti della persona, per rispettare se stesso e gli altri; • disponibilità ad apprezzare se stesso e gli altri = accrescere la propria autostima; • capacità di auto-realizzarsi perchè per affrontare i problemi bisogna costruire un’immagine positiva di se stessi. • Il concetto di assertività si trova al centro di un continuum che vede ai poli passività e aggressività: • il passivo dipende dagli altri e ha come obiettivo ottenere la benevolenza di coloro che lo circondano, evitando qualsiasi forma di conflitto; • l’aggressivo dipende dagli altri ma deve poterli gestire. Il suo obiettivo è il successo personale e non esita a utilizzare metodi coercitivi. Apprendimento • Dal momento della nascita, tutta la vita rappresenta un apprendimento, attraverso cui gli uomini tramandano la cultura e la civiltà. L’apprendimento avviene in modo semplice e continuo, attraverso interazioni a diverso livello di complessità con l’ambiente che li circonda e l’importanza e la complessità dell’apprendimento umano aumentano man mano che si sale lunga la scala filogenetica. • L’apprendimento implica un organismo che apprende, e tale organismo è il prodotto di processi genetici (apprendimento = visione interazionale). Inoltre, data l’incostanza e la variabilità dell’ambiente da una generazione all’altra, il processo di apprendimento garantisce la stabilità e la continuità dell’evoluzione della specie. • La definizione classica di apprendimento risale a Hilgard e Bower: l’apprendimento è un cambiamento del comportamento di un soggetto di fronte a una data situazione per il fatto che quella situazione sia stata sperimentata ripetutamente, ammesso che il cambiamento non sia dato da tendenze innate alla risposta, maturazione o stati temporanei del soggetto (droghe, fatica, etc.). • Anche dalla psicologia cognitivista l’apprendimento è definito come l’insieme di quei cambiamenti relativamente stabili nel comportamento che sono la conseguenza delle passate esperienze. Questi cambiamenti hanno quindi funzione adattiva. Apprendimento e cambiamento. • Apprendimento significa cambiamento: poiché il processo di apprendimento non è direttamente osservabile, deve essere osservato il cambiamento. Vi sono due modi: • confrontando la prestazione di un soggetto in due tempi diversi, tra i quali viene fatta agire una variabile che si ipotizza possa produrre il cambiamento atteso; • confrontando la prestazione di almeno due gruppi di soggetti, uno sperimentale (composto da individui che abbiano interagito con la variabile) e l’altro di controllo (composta da soggetti che invece non abbiano fatto analoga esperienza). • Altro aspetto importante dell’apprendimento è la sorgente del cambiamento: il cambiamento avviene lungo una dimensione temporale, ma ciò non implica che la causa del cambiamento sia il trascorrere del tempo. La sorgente del cambiamento va ricercata nell’ambiente. • Ci sono però dei cambiamenti comportamentali che non hanno come sorgente l’interazione ambientale ma sono, invece, tendenze innate alla risposta, maturazione o stati temporanei del soggetto. • Vi sono poi cambiamenti che, pur non costituendo apprendimento, ne rappresentano le premesse, e sono i fenomeni di: • assuefazione/abituazione, è la diminuzione della risposta al ripetersi dello stimolo; Scribamates thinking good, feeling better! Pagina 6 • sensibilizzazione, è l’aumento della risposta al ripetersi di uno stimolo, che fa sì che le reazioni siano quindi più forti ed evidenti. • Sia l’assuefazione che la sensibilizzazione si instaurano e si estinguono rapidamente, fatto che consente di perdere la tesaurizzazione delle esperienze che non hanno valore adattivo, o che addirittura possono essere dannose. L’apprendimento come meccanismo adattivo. • Il primo a mettere in luce il valore adattivo dell’apprendimento è stato Darwin nella sua Teoria dell’evoluzione delle specie. • Per Darwin l’apprendimento è uno dei due meccanismi che assicurano la sopravvivenza dell’organismo e quindi il suo adattamento ai cambiamenti dell’ambiente: • apprendimento; • selezione delle caratteristiche che consentono alla specie di adattarsi alle variazioni macroscopiche e di più lungo periodo dell’ambiente. Avviene attraverso la sopravvivenza degli individui che posseggono i caratteri che meglio consentono di vivere in quell’ambiente. • Tra le interazioni che casualmente un organismo può instaurare con l’ambiente, verranno selezionate quelle che sono seguite da conseguenze positive/adattive per l’organismo. Queste acquisizioni, trasmesse poi alle generazioni successive, danno luogo all’evoluzione culturale della specie. • Nella concezione darwiniana, l’adattività sta quindi nel meccanismo di selezione: i cambiamenti possibili sono opera del caso e non tutti i cambiamenti sono egualmente probabili. Il caso crea le condizioni affinché possa realizzarsi la scoperta di una nuova funzione stimolo che provoca una risposta o favorisce l’emissione di un comportamento, fra questi, quelli che risultano adattivi vengono selezionati in base alle conseguenze generate dall’interazione ambientale. I parametri di misura. • Il comportamento è un elemento dinamico che non si può fissare per comodità di osservazione, va però misurato e perciò quantificato. • La modificazione del cambiamento, cioè la variabile dipendente, deve essere infatti di natura quantitativa, altrimenti sarebbe impossibile misurarla. • In psicologia i parametri di misurazione del comportamento sono: • ampiezza, è una misura quantitativa (es. quanta saliva nel condizionamento classico); • latenza, indica il tempo che intercorre tra la presentazione di uno stimolo e la comparsa di una risposta; • velocità, misura la stessa cosa ma nel modo inverso; • durata, lunghezza del periodo di tempo durante il quale un comportamento viene attivato; • frequenza, quantifica la probabilità che una risposta si verifichi in una certa unità di tempo ed è quindi il periodo elettivo per la misura dei comportamenti liberamente emessi nell’ambiente. Evidenzia con immediatezza i cambiamenti avvenuti sia nel breve che nel lungo periodo e specifica l’”ammontare” del comportamento attivato, dandone una precisa stima quantitativa; • numero tentativi o prove, indica quante volte un compito o esercizio vengano ripetuti prima che un soggetto li abbia appresi e sia in grado di padroneggiarli. Scribamates thinking good, feeling better! Pagina 7 Lo studio sperimentale dell’apprendimento. • L’apprendimento va considerato come un fenomeno unitario, non ne esistono diversi tipi. • Nello studio dell’apprendimento vengono utilizzate determinate metodologie, cioè una serie di dispositivi per produrre il fenomeno a cui il ricercatore è interessato, chiamate paradigmi, il cui denominatore comune è quello di produrre e ottenere una modificazione del comportamento. • All’interno del paradigma vengono studiati i processi dell’apprendimento compiendo alcune operazioni. • Il metodo sperimentale è caratterizzato dal fatto che si manipolano le variabili per raggiungere alcune conclusioni. Tali manipolazioni sono le operazioni, i risultati che si manifestano nel comportamento sono invece i processi. Le interazioni rispondenti - Pavlov e il condizionamento classic. paradigma sperimentale di Pavlov è noto come condizionamento • Il classico/rispondente/pavloviano. • Quello di Pavlov è un tipico esempio di serendipità, cioè di una scoperta casuale avvenuta mentre il ricercatore studia un altro fenomeno: Pavlov stava infatti studiando l’attività digestiva dei cani attraverso la secrezione salivare, che raccoglieva e misurava man mano che veniva prodotta introducendo nella bocca dell’animale della polvere di carne o soluzione acida. • La risposta di salivazione al contatto con questi elementi è per l’animale una risposta involontaria e automatica, frutto dell’evoluzione. Per tale ragione viene chiamata risposta incondizionale. • Pavlov notò che l’animale iniziava a salivare alla vista del cibo e addirittura all’apparire dell’uomo che glielo portava, una risposta non innata. L’effetto dello stimolo poteva essere compreso solo sulla base dell’esperienza individuale del cane: uno stimolo originariamente insignificante aveva assunto per lui un nuovo significato, quello di anticipazione della comparsa del cibo. • Decide così di fare un esperimento in cui al cane vengono presentati in successione, per un certo numero di volte, due stimoli: uno è la carne -> risposta della salivazione elicitata automaticamente (stimolo incondizionale), l’altro è un suono o una luce, che non ha alcun effetto sulla salivazione (stimolo neutro/indifferente). I due stimoli vengono presentati all’animale affamato in sequenza e a intervalli irregolari per un certo numero di giorni. Controllando tutte le variabili, Pavlov voleva provare che uno stimolo originariamente indifferente/neutro potesse acquisire la capacità di elicitare la stessa risposta di un altro stimolo. • Dopo un certo numero di accoppiamenti, lo stimolo originariamente neutro ora produceva salivazione = condizionamento. • Gli elementi dell’esperimento pavloviano quindi sono: • SI - Stimolo Incondizionale, sempre in grado di provocare una risposta specifica da parte dell’organismo. È una risposta innata, naturale, non soggetta all’esperienza individuale ma neanche sganciata completamente dall’ambiente. L’SI viene anche chiamato rinforzo; • SC - Stimolo Condizionale, uno stimolo in partenza neutro (SN) che associato a quello incodizionale, dopo un certo numero di presentazioni, riesce a svolgere la stessa funzione dello stimolo incondizionale; • RI - Risposta Incondizionale, è quella specifica prodotta da uno stimolo incondizionale (cibo = stimolo incondizionale -> salivazione = risposta incondizionale); • RC - Risposta Condizionale, la risposta allo stimolo condizionale (stimolo condizionale = luce, che inizialmente era stimolo neutro -> risposta condizionale = salivazione) Pavlov usò tecniche differenti per studiare le relazioni temporali nel condizionamento: • • SC si sovrappone a SI = i due stimoli vengono presentati simultaneamente (= si sovrappongono completamente) oppure SC precede SI (= sovrapposizione parziale); Scribamates thinking good, feeling better! Pagina 8 • SC e SI non si sovrappongono = lo SI inizia al termine dello SC, con intervallo più o meno lungo. Produce il condizionamento quando è sufficientemente lungo -> condizionamento di traccia; • SI viene presentato prima dello SC: crea un condizionamento poco efficace chiamato condizionamento retrogrado; • è possibile abbinare lo SC a un nuovo stimolo neutro con l’obiettivo di far diventare quest’ultimo uno SC = condizionamento di secondo ordine. Si potrebbe passare a condizionamenti di ordine superiore ma è poco duraturo. I riflessi condizionati in ottica evoluzionista. • Ci sono due classi di risposte naturali che possono essere condizionate in modo pavloviano a stimoli neutri: • riflesso difensivo, risposta che l’organismo produce in reazione a uno stimolo potenzialmente nocivo, che quindi tende a evitare. Tale stimolo viene definito avversivo; • riflessi consumatori, catene diverse di comportamenti diretti verso un oggetto o un altro organismo, con valore di sopravvivenza per il singolo o la specie (es. alimentazione). • Tutti gli organismi sono in grado di modificare il proprio comportamento per adattarlo alle modificazioni ambientali, in genere attraverso meccanismi innati. La funzione adattiva della reazione condizionale consiste nel preparare l’essere vivente a un evento che si produrrà nel futuro, sempre ai fine della sua sopravvivenza. • Un riflesso condizionale deve sempre essere basato su un riflesso incondizionale biologicamente o psicologicamente più forte. • Un es. del valore adattivo del condizionamento è l’effetto Garcia: l’apprendimento dell’avversione per un sapore. Le interazioni operanti - Skinner e il condizionamento operante/ricompense e punizioni. • L’uso finalizzato delle conseguenze, cioè la somministrazione di ricompense e punizioni, è stato studiato già filosofi ed educatori come Locke e Ignazio di Loyola. L’analisi sperimentale risale però al ‘900 con Skinner, che si rifece ai precedenti studi di Thorndike. Tale analisi è conosciuta con il nome di condizionamento operante. • Thorndike iniziò i suoi esperimenti collocando un gatto dentro una gabbia problema dalla quale poteva uscire solo agendo sul meccanismo della porta, oltre la quale si trovava del cibo. Il gatto era libero di emettere una serie di comportamenti, alcuni dei quali portavano casualmente all’apertura della porta. Ripetendo più volte questa esperienza, il gatto arrivava sempre più velocemente all’uscita. Thorndike non rilevò la presenza di un ragionamento: il miglioramento graduale era imputabile all’apprendimento di un’associazione tra la situazione stimolo e la risposta corretta. • Per Thorndike, quindi, l’apprendimento è costituito da una connessione S-R tra alcuni aspetti della situazione stimolo (es. la leva per aprire la porta della scatola) e lo specifico movimento che fa aprire la porta. Tale connessione si stabilisce solo se la risposta produce un certo effetto sull’ambiente: se l’effetto è soddisfacente o piacevole, la connessione S-R si consolida, il comportamento viene impresso e si ripresenterà in una situazione analoga; al contrario, nel caso di un effetto insoddisfacente o spiacevole, la connessione si indebolisce, l’apprendimento non si fissa e la risposta tende a decadere = Legge dell’effetto. • Tale legge non enuncia però una possibile relazione tra S-R. Secondo Skinner, infatti, vi sono diverse classi di comportamento: • rispondente, tutte le risposte, condizionate o incondizionate, che sono elicitate da stimoli conosciuti -> Pavlov Scribamates thinking good, feeling better! Pagina 9 • • • • • • operante, tutte le risposte che sono emesse più o meno indipendentemente da stimoli identificabili. Il comportamento opera quindi sulle condizioni ambientali, generando conseguenze -> Skinner Skinner fece un esperimento con un apparato sperimentale, la Skinner Box: una gabbia in cui si trova un operandum (una leva) collegato con un meccanismo di erogazione di conseguenza che dispensa cibo o una sorgente di stimolo negativa. Un topo affamato viene posto nella gabbia e, generalmente dopo 15 minuti di esplorazione, preme casualmente sulla leva che eroga del cibo. Ricomincia a curiosare e ripreme la leva. Le pressioni divengono sempre più frequenti. Viene poi aggiunto un altro elemento: in alcuni periodi di tempo la leva non dà il cibo e ciò viene segnalato da una luce all’interno della gabbia. La luce ha quindi solo una funzione di segnale di ciò che si andrà incontro. Per Skinner non si può spiegare un comportamento di questo genere con il condizionamento pavloviano perché ogni riduzione del comportamento a una formulazione stimolo-risposta soffre di una grave omissione, senza contare che l’interazione tra organismo e ambiente è incompleta se non include l’azione dell’ambiente sull’organismo dopo che una risposta è stata data. Il comportamento rinforzato ha maggior probabilità di ripresentarsi in futuro. La situazione sperimentale di Skinner è quindi caratterizzata da 3 elementi: • l’operante, classe di risposte tra loro funzionalmente simili che dipendono dalle stesse conseguenze (es. tutte le risposte di pressione della leva con una data forza); • le conseguenze, sono quelle che seguono tale classe di comportamento e che ne alterano la probabilità di comparsa, aumentando e diminuendone il ritmo di emissione rispetto al livello operante/linea di base, detta baseline, cioè la frequenza con cui la classe di comportamento si presenta normalmente in una data situazione (es. prima che lo sperimentatore metta in azione il meccanismo di somministrazione delle conseguenze); • lo stimolo discriminativo, è presente quando un operante è seguito da determinate conseguenze (es. luce) Questi tre elementi costituiscono quella che viene definita contingenza a tre termini: il rapporto di dipendenza funzionale che si stabilisce in modo naturale, o artificialmente, tra questi tre elementi. Le conseguenze del comportamento. • Un rinforzatore è un evento-stimolo che ha come effetto quello di rafforzare, cioè rendere più o meno probabile un comportamento. • I rinforzatori si classificano in: • rinforzatore negativo, uno stimolo che rafforza un comportamento mediante la sua rimozione (es. allontanamento da luce forte, da dolore); • rinforzatore postivo, uno stimolo che rafforza la classe di risposte (es. buon voto, complimento); • rinforzatore primario/naturale, stimoli, che già in natura, posseggono la funzione rinforzante. Sono chiamati primari perchè sono legati ai bisogni primari, le necessità che devono essere soddisfatte affinché non si verifichi una sofferenza dell’organismo (es. acqua, cibo, aria). Gli stimoli che tendono a mantenere o a ripristinare l’equilibrio omeostatico sono rinforzatori primari positivi, quelli che tendono ad alterarla o peggiorarla, invece, sono rinforatori primari negativi. Un evento-stimolo, quindi anche rinforzatore, non è di per sè negativo o positivo, può esserlo o diventarlo solo in funzione del contesto in cui si presenta; • rinforzatore condizionato/secondario, sono i rinforzatori che che gli organismi incontrano nel corso della loro vita e quindi del loro apprendimento e hanno acquisito nel tempo la loro funzione rinforzante. Sono “secondari” perchè ci si riferisce a quei bisogni che non hanno base fisiologica ma che si costruiscono nel corso della vita (es. educazione, cultura, anche cibo perché è frutto di gusti); Scribamates thinking good, feeling better! Pagina 10