Il profilo economico della Cina oggi.

Silvana Malle
Direttore del Centro Studi Est-Ovest e Integrazione Europea
Dipartimento di Scienze Economiche - Università di Verona
Il profilo economico della Cina oggi
Intervento al convegno della Camera di Commercio di Verona
“VERONA NEL MONDO – REPORT 2007”
3 aprile 2007 – Polo Zanotto
In copertina: una veduta odierna della città di Shangai.
Premessa
La crescita impetuosa dell’economia cinese in questi ultimi anni è un fatto clamoroso che,
da una parte, suscita stupore e ammirazione, e dall’altra, apprensione. La domanda che molti si
pongono è quali sono i fondamentali dello sviluppo cinese e per quanto tempo ancora esso è
sostenibile. In questa ottica, questa relazione discute alcuni aspetti della qualità della crescita
economica cinese, mirando ad evidenziarne la problematicità. Un breve richiamo iniziale al ruolo
della Cina nel commercio internazionale serve da sfondo a questa presentazione.
Un’osservazione preliminare è che, dal Secondo Dopoguerra ad oggi , la crescita del
commercio internazionale ha superato regolarmente e abbondantemente la crescita dell’economia
mondiale. Nel periodo 1990-2004 ad una crescita economica mondiale media annua attorno al
2,2% ha corrisposto la crescita media annua del commercio mondiale di circa il 6%. La crescita del
commercio internazionale è stato, quindi, un fattore trainante della crescita economica. In questo
percorso di progressiva globalizzazione, l’elemento di fondo è stata la liberalizzazione degli scambi
e la crescente apertura delle nostre economie al commercio internazionale. Questa apertura è
stata promossa dalle imprese più dinamiche e favorita dalla capacità di reazione delle imprese in
genere alle sfide dalla concorrenza internazionale. All’accresciuto volume di scambi è corrisposto
un accresciuto sforzo di competitività delle imprese.
In secondo luogo, occorre sottolineare che la maggior parte del commercio internazionale
dei paesi avanzati (OCSE) si svolge all’interno di questo gruppo di paesi. Per quanto riguarda
l’Europa, ad esempio, le esportazioni intra-europee sono una quota più o meno stabile, che si
aggira intorno al 75% (questa percentuale cade a circa il 68% per l’Europa dei 25). Il 7,6% delle
esportazioni extra-europee va all’Asia in cui la Cina rappresenta l’1.6%. Per quanto riguarda le
importazioni, la quota intra-europea è all’incirca del 72% (66% per l’UE). Nella quota residua delle
importazioni, l’Asia rappresenta più del 12%, in cui la Cina conta per più del 4%.
Terzo, in confronto all’Europa, gli Stati Uniti d’America risultano relativamente più aperti al
commercio con l’Asia, che rappresenta il 28% delle esportazioni USA (Cina 4.2%) e il 37.2% delle
importazioni USA (Cina il 14%).
Quarto, il peso della Cina nel commercio mondiale è ancora modesto (6.6% delle
esportazioni mondiali e il 6.1% delle importazioni mondiali, dati 2004) per un valore totale delle
esportazioni cinesi di 593 miliardi di dollari e delle importazioni cinesi di 561 miliardi di dollari
(saldo 32 miliardi di dollari), ma è in crescita. Alcuni paesi avanzati beneficiano della crescita
cinese più di altri. I partners più importanti per la Cina (importazioni cinesi) sono il Giappone,
Taiwan, la Corea del Sud, gli USA e la Germania. Quest’ultima esporta verso la Cina cinque volte
più dell’Italia.
Quinto, l’Italia si è rapidamente aperta alle importazioni cinesi. Nel 2003 per l’Italia la Cina
era al 16° posto dopo i principali partners all’esportazione, in maggioranza paesi europei avanzati,
Stati Uniti e Giappone, e dopo la Russia. Con 4,3 miliardi di dollari USA di esportazioni verso la
Cina, l’Italia contava meno dell’1% delle importazioni cinesi. A fronte di una forse eccessiva
timidezza nell’affrontare il mercato cinese in una fase del ciclo in cui la Cina domanda sopratuo
beni intermedi, l’Italia, tuttavia si è aperta rapidamente alle importazioni dalla Cina. Queste nel
2003 rappresentavano solo 11 miliardi di dollari (appena dopo gli USA) – mentre Germania,
1
Francia, Olanda, Regno Unito, Spagna, Belgio e USA contavano per più di 100 miliardi del valore
delle importazioni. Ma già nel 2005, la Cina è diventata il 4° partner nelle importazioni italiane, pe r
un totale di 17 miliardi di dollari (memento: la Germania importa dalla Cina più di 30 miliardi di
dollari di merci). E’ cresciuto il disavanzo commerciale dell’Italia con la Cina, mentre la Germania
continua ad avere un saldo positivo.
Infine, mentre il forte orientamento dell’Italia verso i mercati dei paesi avanzati riflette in
gran parte una struttura produttiva orientata principalmente verso la produzione di beni di lusso,
occorre anche riflettere sulle opportunit à commerciali ancora non sfruttate nelle grandi economie
emergenti, e in particolare in Cina e sull’esitazione forse eccessiva dell’Italia ad investire in quel
mercato. Gli investimenti diretti all’estero sono spesso una fonte di trascinamento delle
esportazioni mediante la penetrazione di una cultura produttiva che contribuisce alla creazione di
rapporti commerciali più stabili. Sotto questo aspetto, l’Italia è rimasta indietro rispetto ad altri
paesi. L’Italia non figura tra i primi dieci paesi partners per Investimenti Diretti dall’estero in Cina,
tra i quali figurano invece (a parte la diaspora cinese) il Giappone, la Corea, gli USA, Singapore e
la Germania. D’altra parte, l’Italia non brilla sia come fonte, che come destinazione di investimenti
diretti dall’estero (IDE). A fronte di IDE (stocks) in entrata pari al 28.5% del PIL in Francia e del
33.5% del PIL dell’UE, l’Italia attrae solo il 12.4 del PIL. A fronte di IDE all’estero del 40.5% del PIL
in Francia e del 40.7% del PIL nell’UE, l’Italia ha investito solo il 16.6% del PIL all’estero
(UNCTAD, World Investment Report 2006).
Ma, vale la pena di investire in Cina? Alcune imprese lo hanno fatto e altre ne stanno
considerando l’opportunit à, a seconda delle proprie capacit à, potenzialit à e ambizioni, ma anche
rischiando poiché non sono del tutto chiare le prospettive offerte dai nuovi mercati, e, per quanto
riguarda la Cina in particolare, il profilo economico del paese è ancora ostaggio di una visione
politica autoritaria e poco trasparente.
In sostanza, la domanda che ci poniamo tutti, economisti e operatori, è: quanto è solido e
quanto può durare lo sviluppo economico cinese? E’ una domanda difficile alla quale non si
possono dare risposte certe. Ma l’osservazione e la valutazione di alcuni dati fondamentali
macroeconomici e strutturali aiutano a capire, anche se non a prevedere con certezza, il possibile
andamento della crescita. Le proiezioni economiche di medio-lungo periodo si basano non tanto
sui dati correnti quanto sull’individuazione dei punti di forza e di debolezza del paese che
consentono di valutare la capacit à di resistenza dell’economia a shock interni ed esterni.
Questa relazione, quindi, cerca di valutare la qualit à della crescita economica cinese
mediante una discussione critica delle fonti della crescita cinese e delle politiche
macroeconomiche e strutturali che la sostengono. In questo tentativo un forte caveat è costituito
dalla continua dinamica del quadro istituzionale di cui è difficile valutare l’impatto economico.
2
1. Crescita economica
E’ noto che le statistiche economiche nazionali della Cina soffrono ancora di serie lacune.
Su queste non mi diffondo: ma un punto sembra acquisito: mentre in passato vi era ragione di
credere che i tassi di crescita fossero sovrastimati, adesso vi è ragione di credere che siano
sottostimati. La rivalutazione dell’apporto dei servizi al PIL ha portato ad una revisione di circa un
punto percentuale della stima della crescita nel 2005. Ormai la crescita si attesta intorno al 10%
(Tavola 1). L’impetuosa crescita del settore privato dell’economia (industria e costruzioni) parte del
quale è nell’economia sommersa può anche indurre il dubbio che la crescita effettiva sia superiore.
Tavola 1. Tasso di crescita del PIL. Stime e proiezioni 2004-2008
PIL
Tasso di crescita
2004
10.1
2005
10.2
2006
10.6
2007
10.3
2008
10.7
Fonte: dati nazionali e proiezioni OCSE, OECD, Economic Outlook, volume 2006/2, 124.
La crescita ufficiale attuale e prevista è quindi superiore a quella del quindicennio
precedente (Tavola 2), manifestando quindi un’impressionante sostenibilit à di lungo periodo.
Tavola 2: Prodotto interno lordo della Cina, 1988-2003
Tasso di crescita
PIL
PIL p.c.
1988-1993
8.9
7.5
1993-1998
9.8
8.8
1998-2003
8.0
7.2
Fonte: China, OECD Economic Surveys, OECD, 2005
Altre economie asiatiche hanno avuto in passato alti tassi di crescita per un lungo periodo In
Giappone il PIL quadruplicò dal 1970 al 1985 . Prima del 1997, anno della crisi finanziaria Asiatica,
Tailandia, Malesia, Indonesia, Filippine, Singapore e Corea del Sud hanno avuto una crescita dell’ 812% del PIL tra la fine degli anni ottanta e la prima met à degli anni ‘90.
Ciò che impressiona in Cina è l’apparente sostenibilit à di lungo periodo dell’alto tasso di
crescita, anche se marcata da fasi di rallentamento ma non di collasso nel 1989-1990 (crisi successiva
ai sollevamenti popolari di Tien An Men) e nel 1997-1999 (contagio della crisi asiatica). A fronte
dell’apparente maggiore robustezza dei fondamentali della crescita in Cina in confronto con altre
economie asiatiche, occorre però considerare il diverso peso delle fonti di crescita in Cina e la loro
sostenibilit à in tempi medio -lunghi.
3
2. Fonti della crescita dal lato della domanda: investimenti, esportazioni nette, consumi
2.1. La domanda interna di investimenti
La crescita in Cina è caratterizzata da un forte contributo degli investimenti, mentre solo di
recente comincia ad osservarsi un debole aumento della domanda di consumo interna. Il tasso di
investimento sul PIL è sempre stato alto e continua ad essere superiore al 40%. Il maggiore fattore di
crescita a partire dalla fine degli anni 90 è stato l’aumento degli investimenti. Secondo le stime del
Fondo Monetario Internazionale (FMI), in questo periodo crescono fortemente il volume di capitale
necessario a produrre un’ unit à di prodotto (rapporto capitale/prodotto) e l’intensit à di capitale rispetto al
lavoro (rapporto capitale/lavoro) (IMF Country Report on China, Novembre, no.05/411, 2005). Cresce
anche, sebbene sulla base dei dati ufficiali precedenti la revisione del PIL, il tasso di investimento sul
PIL, mentre diminuisce la (stima della) produttività marginale del capitale. Diminuisce, anche se rimane
significativo, il contributo della produttivit à totale dei fattori (PTF), mentre cala il contribut o
dell’occupazione sulla crescita. Con la crescita dell’intensit à di capitale, diminuisce l’efficienza degli
investimenti.
Questi fenomeni sembrano essere il prodotto di due tendenze contrastanti: da una parte, grazie
all’espansione dell’economia privata, cresce la produttività in questo comparto produttivo, d’altra parte, la
capitalizzazione stessa dell’industria riduce il ritmo di deflusso di manodopera dall’agricoltura rallentando
l’ammodernamento (e la crescita della produttività) di questo comparto. Congiuntamente, parte delle
grandi spese di investimento finanziate dalle banche di stato a favore dell’industria di stato sono frutto di
decisioni non economiche e di spreco che si riflettono nella crescita periodica dei crediti in sofferenza
delle banche, come è discusso oltre nella sezione relativa al sistema bancario.
E’ possibile che le conclusioni del FMI siano rivisitate alla luce delle nuove stime del PIL che
portano a ridurre il tasso di investimento sul PIL nel 2004 dal 51.2% al 43.8%. Ma resta il fatto che la
crescita cinese è ancora fortemente dipendente dall’investimento di capitale piuttosto che dall’ aumento
di efficienza. Mentre dal punto di vista macroeconomico la sostenibilità del tasso di investimento
sembra garantita dall’alto tasso di risparmio (entrambi sono superiori al 40% del PIL), lo sperpero di
risorse che alimenta la crescita getta un’ombra sul miracolo cinese e segnala potenziali fragilit à di
questo modello di crescita.
2.2 Il contributo degli Investimenti Diretti dall’Estero (IDE)
Alla crescita cinese a partire dagli anni 90, quando vennero formate Zone Economiche
Speciali sulle regioni costiere e adottata una politica di tassazione preferenziale, hanno contribuito in
misura sostanziale gli IDE. Per molti anni la produttività delle imprese con investimento straniero ha
superato di gran lunga la produttività delle imprese cinesi, in particolare delle grandi imprese di stato
e, fino a pochi anni fa il 70% delle esportazioni cinesi proveniva da questo tipo di imprese.Lo stock di
IDE accumulati in Cina si è progressivamente accresciuto nel tempo e continua a crescere.
L’afflusso di IDE in Cina cresce ancora in termini assoluti anche se cade in relazione al PIL dal 6%
all’inizio degli anni 90 al 3½% dopo il 2000. Rispettivamente in ogni anno dal 2000 al 2003 gli IDE in
USD ammontano a 40,7bn, 46,9bn, 52,7bn e 53,5bn. (OECD 2005 China). Nel 2006 il valore degli
IDE è salito a USD 69 miliardi (BOFIT, 3/ 19.1.2007) il che rappresenta il 6% degli IDE a livello
mondiale (inferiore di due punti percentuali rispetto al 2005).
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Circa un quarto di questi investimenti è costituito dal reinvestimento dei profitti (retained
earnings) che cresce soprattutto nel settore industriale. Escludendo gli IDE provenienti da Hong
Kong, e quelli provenienti dai “paradisi fiscali” nei quali probabilmente sono riciclati anche capitali
cinesi per godere dei vantaggi fiscali riservati ad investimenti stranieri, i più importanti investitori
diretti in Cina sono Giappone, Corea, Stati Uniti e Taiwan (China,OECD Economic Surveys,
OECD, 2005).Questi paesi sono anche i partners più importanti nelle importazioni cinesi, con
quote rispettivamente del 16.8%, 11.1%, 8% e 11.4% (World Fact Book, CIA, 2005).
E’ possibile che l’apporto di IDE diminuisca negli anni avvenire a seguito sia della probabile
crescita del costo del lavoro, sia dell’unificazione delle imposte sui profitti, che è stato un requisito
per l’entrata della Cina nell’OMC. Esiste ancora una forte discriminazione tra imprese cinesi cui si
applica un tasso del 33% sui profitti e imprese straniere a trattamento privilegiato che pagano tra il
10-15% a seconda del tipo di trattamento di cui godono. Il problema che si pone alle autorit à cinesi
è quello di fissare un tasso di imposta che non scoraggi le imprese straniere dal reinvestimento dei
profitti e non causi un decremento delle entrate fiscali dovuto alla minore tassazione delle imprese
cinesi. E’ da notare che, anche con il trattamento privilegiato, le imprese a capitale straniero
contribuiscono all’erario una somma complessiva per imposte varie pari al 3.6% del PIL (Dati 2003
in China,OECD Economic Surveys, OECD, 2005), cioè circa il 20% degli introiti fiscali, a fronte di
un gettito totale d’imposta sul reddito e sui profitti di 4.1% del PIL e all’introito delle imposte su beni
e servizi pari all’11.1% del PIL (Tavola 3.4 in IMF 2005,36).
2.3. la domanda estera e il contributo delle esportazioni nette alla crescita
Nonostante l’ apprezzamento effettivo della moneta cinese in questi ultimi anni, l’avanzo della
bilancia delle partite correnti continua a crescere. Da un avanzo di 69bn USD nel 2004, la Cina è
passata ad un avanzo di 161bn USD nel 2005, cioè dal 3.6% all’ 8.3% del PIL (OECD, Economic
outlook 2006). Il peso maggiore in questo sviluppo è quello dell’avanzo della bilancia commerciale che
è più che triplicato dal 2004 al 2006, arrivando a 176.4bn USD (Tavola 3). Si noti che il deficit degli
Stati Uniti con la Cina era stimato complessivamente tra gennaio e novembre 2005 al di sopra del
100bn USD (BOFIT 1/2006). Il deficit della bilancia commerciale USA (prodotti soltanto) è salito nel
2006 a più di 230 miliardi di dollari nel 2006, l’ammontare più elevato verso un singolo paese e pari a
circa il 28% del deficit dell’intera bilancia commerciale (USA Census Bureau 2007).
Tavola 3: Il settore esterno: stime e proiezioni OCSE (miliardi USD)
Commercio estero
Esportazioni
Importazioni
SALDO
Crescita vol.export
Crescita vol. import
2004
655.8
606.5
49.3
24.1
21.2
2005
836.9
721.1
124.8
23.8
13.6
2006
1046.5
870.1
176.4
22.0
19.0
Fonte: OECD Economic Outlook 80 database.
5
2007
1270
1066
205
17.0
19.0
2008
1540.3
1306.0
234.3
18.0
19.0
Con un volume totale di commercio con l’estero di circa il 64 % del PIL (2005), la Cina si
configura come un’economia ad alta apertura di mercato, il cui peso sul commercio internazionale
continua a crescere. Come accennato nella premessa, la Cina conquista crescenti quote di mercato in
Europa e negli Stati Uniti. Alla robusta crescita delle esportazioni tra il 2002 e il 2005 (di circa tre volte)
si accompagna anche una forte crescita delle importazioni (di 2.23 volte) a beneficio in larga misura
della Corea e di Taiwan il cui avanzo commerciale con la Cina riflette il ruolo importante negli
Investimenti Diretti dall’Estero (IDE) giocato da questi paesi.
E’ interessante notare che la struttura delle esportazioni cinesi si sta diversificando
geograficamente. Sebbene il Nord America, l’UE e il Giappone rimangano le maggiori destinazioni delle
esportazioni cinesi, queste crescono più rapidamente verso altre destinazioni (America Latina, Africa e
Europa dell’Est): del 32% verso il 20% (Gennaio-Agosto 2006). E’ altresì degno di nota che le imprese
esportatrici cominciano ad emanciparsi dall’ importazione di beni intermedi e ad aumentare il proprio
approvigionamento in Cina (World Bank Office, Beijing, Quarterly update on China, November 2006).
Questi due sviluppi indicano che la crescita cinese diventa gradualmente meno dipendente dalla
crescita dei paesi avanzati e dal loro apporto tecnologico. Ma questo non necessariamente implica che
saldo positivo tra esportazioni ed importazioni rappresenti necessariamente un danno per i paesi
avanzati. In realt à, grazie alla forte domanda interna, le importazioni sia d i beni capitali che di beni di
consumo sono aumentate nel 2006 più velocemente che nel 2005 (Tavola 3).
2.4 la domanda interna di beni di consumo
Comincia a contribuire alla crescita la domanda di consumo interna. A sostegno di questo
sviluppo vi è la crescita dei redditi, in particolare relativa ai ceti urbani.
Resta robusta la crescita del settore delle costruzioni residenziali che trascina la domanda di
beni durevoli. Benché la Cina resti un paese a basso PIL p.c. (circa il 16% di quello degli Stati Uni), la
crescita economica ha prodotto un aumento di ricchezza e di redditi a disposizione delle famiglie. Con
la crescita dei redditi disponibili nelle aree urbane del 10% nel 2005 e di un ulteriore 10% nei primi nove
mesi del 2006, le spese di consumo al dettaglio sono aumentate del 12% in termini reali nel 2005 e del
13% nel terzo trimestre del 2006 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (BOFIT 2006/4 e
World Bank, 2006).
E’ da notare che in Cina le spese di consumo al dettaglio sono utilizzate come una proxi della
domanda di consumo e che i conti nazionali tendono a sottostimare di 2-4 punti percentuali il consumo
delle famiglie rispetto alle indagini per campione (household surveys). La forte crescita economica
implica, dunque, una crescita dei consumi, anche se questa è lenta e meno dinamica della domanda di
investimento. Crescono finalmente anche i redditi delle zone rurali (11.4% nel 2006 (primi nove mesi),
grazie anche alle rimesse degli emigranti interni al paese (dalle zone rurali alle zone urbane)
trascinando un aumento di spesa in consumi (9.3% nella prima met à del 2006), anche se il divario di
reddito tra zone urbane e zone rurali resta forte (vedi sotto).
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3. Qualità della crescita economica
3.1 Alto costo della crescita e eccesso di capacità
Da quanto esposto sopra, la crescita economica della Cina è il risultato di un forte tasso di
investimento che continua ad accrescersi (più rapidamente della domanda di consumi) e del saldo
positivo della bilancia commerciale con l’estero che è aumentato velocemente dopo l’entrata della Cina
dell’OMC (Organizzazione Mondiale del Commercio) nel 2001. Contribuisce, ma ancora debolmente,
alla crescita del PIL anche la crescente domanda interna di consumo a riflesso dell’aumento dei redditi
reali soprattutto urbani, ma anche rurali.
Una prima considerazione, sulla base di queste osservazioni, è che la crescita economica
cinese è costosa e poco efficiente. Lo spreco di risorse è dovuto soprattutto alla cattiva gestione delle
imprese di stato che godono di facili finanziamenti (vedi sotto) e allo sforzo di ogni governo regionale di
dotarsi di capacit à produttiva che ne garantisca l’autosufficienza economica e di mantenere in vita le
proprie imprese anche se inefficienti. Entrambi questi fattori riflettono ambizioni politiche che trovano
giustificazione nel contesto di partito-stato che ancora caratterizza la Cina e nelle distorsioni nell’uso
delle risorse provocate da organi amministrativi centrali e locali nella loro logica di potere. Un eccesso
di capacit à, anche dovuto alla mancata integrazione del mercato interno, si manifesta in vari settori,
dall’industria automobilistica, del cemento, ferro, alluminio all’industria dell’acciaio.
Una conseguenza pesante, e potenzialmente pericolosa, di questo modo di governare è che lo
spreco di risorse limita la capacit à di spesa da parte del governo centrale e dei governi provinciali e,
quindi, la capacit à di affrontare in maniera più risoluta il problema delle disuguaglianze tra città e
campagne e tra zone costiere e le province interne e occidentali più arretrare che alimentano flussi
migratori legali e illegali e insostenibili discriminazioni sociali.
3.2 Disagi nelle zone rurali
I contraccolpi sociali di una crescita tumultuosa sono gi à percepib ili nelle campagne. Cresce il
risentimento contro i modi e i costi di urbanizzazione.
Vi è crescente disagio nelle zone rurali per il modo in cui vengono urbanizzate zone agricole a
favore di nuovi insediamenti produttivi e residenziali, e assegnate le rendite dell’incipiente
urbanizzazione China, (OECD Economic Surveys, China, 2005). Questi fenomeni, sebbene localizzati
nelle regioni a maggiore espansione, potrebbero trascendere in disordini difficilmente controllabili.
Crescono la corruzione e il risentimento popolare. Con un rapporto da 1 a 10 tra il valore della terra in
zone rurali comparata a quella urbana, secondo un rapporto ufficiale (Financial Times, 01.03.2006)
l’incentivo ad appropriarsi a basso prezzo della prima per l’urbanizzazione è forte tra i funzionari
pubblici.
Stime ufficiali portano il numero di dimostrazioni da 10,000 nel 1994 a 70,000 nel 2004. In gran
parte, queste sono dovute alla reazione popolare contro autorit à locali che non compensano l’esproprio
della terra a fini di riconversione urbana neanche in misura minima o garantendo un’altra fonte di
reddito (BOFIT 4/2006). Inoltre, il sistema collettivo di assegnazione della terra ai singoli che non
godono di diritti di propriet à ma solo di usufrutto per quanto di lungo periodo, con duce ad un
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risarcimento per esproprio, qualora questo avvenga, non ai singoli, ma alla collettivit à di villaggio che
eventualmente ridistribuisce i compensi all’interno della comunit à, oppure assegna nuovi appezzamenti
di terra non necessariamente di pari produttività agricola. La possibilit à di schemi di risarcimento ai
singoli attraverso l’assegnazione di pensioni minime é stata considerata, ma non è chiaro quale è il
livello di amministrazione che potrebbe o dovrebbe sopportarne gli oneri.
3.3 Disuguaglianza dei redditi
Nel frattempo cresce la disuguaglianza dei redditi. Le differenze regionali espresse in PILp.c.
sulla base di PPP (purchasing power parities) vanno da 1 a 9 (OECD 2002). Mentre Shanghai ha un
PIL p.c. in PPP equivalente a quello della Corea del Sud, quello del Tibet è equivalente al Camerun. E’
ancora forte la differenza tra redditi urbani e rurali, questi ultimi in media arrivano a circa 30 euro al
mese, mentre i redditi urbani raggiungono circa 100 euro al mese. Il coefficiente Gini per la Cina è
stimato a 0.45, un livello considerato dall’ONU al limite delle condizioni di stabilit à sociale (BOFIT
Weekly, 44/3.11.2006).
Mentre la frattura sociale provocata dalla crescita disordinata rischia di provocare reazioni,
anche politiche, di imprevedibile impatto, altri disequilibri di carattere eminentemente economico ed
istituzionale non devono essere sottovalutati in un’ottica di medio periodo.
3.4. Bassa spesa sociale
Il tasso di spesa pubblica consolidata sul PIL (27.4%) è al di sotto della media dei paesi OECD
(44.5%) e di tutti i paesi dell’OECD esclusa la Corea e il Messico, secondo uno studio dettagliato che
include anche spese straordinarie di bilancio e sussidi alle imprese (Challenges for China’s Public
Spending. Toward Greater Effectiveness and Equity, “China in the Global Economy (series)”, OECD,
2005).
Il ruolo della spesa pubblica nell’economia appare debole, e soprattutto distorto, quando ne
siano considerate le destinazioni prioritarie. Mentre le spese di bilancio sono cresciute ad un tasso del
17% dal 1998 al 2004, le spese di capitale e la spesa amministrativa sono cresciute, rispettivamente
del 20% e del 28,5 %, contando nel periodo 1998-2003 per più del 50% dell’ incremento di spesa
pubblica totale.
Nel 2003 la somma di queste due voci sulla spesa totale è arrivato a circa il 37%. In confronto, le
spese per le pensioni e altre forme di assistenza sociale costituiscono meno dell’11% della spesa, che
equivale a circa il 2.2% del PIL . La percentuale di spesa per istruzione, sanità, cultura e scienza arriva a
circa il 19% del bilancio di spesa (3.7% del PIL) meno di un quinto della spesa media tra i paesi
dell’OCSE. Benché il livello di alfabetizzazione in Cina sia alto se paragonato a molte economie
emergenti, la sfida che si pone al paese è quella di elevare il livello di istruzione obbligatorio, ancora
limitato a 9 anni di scolarità (riforma introdotta nel 1995), e di ridurre gli squilibri all’accesso nelle regioni
meno avanzate e tra i meno fortunati nelle città. Poiché l’istruzione è finanziata per la maggior parte
dagli enti locali, le regioni più povere (anche considerati i trasferimenti) hanno minori disponibilità e
rischiano di regredire ulteriormente in capitale umano. Gli immigranti illegali nelle città non hanno diritto
ad alcun servizio pubblico, incluse le scuole per i propri figli.
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Data la difficolt à in Cina, come in altri paesi, di modificare drasticamente le destinazioni di
spesa, è auspicabile che un aumento, in termini assoluti e relativi, delle spese sociali possa essere
finanziato dall’aumento di introiti fiscali senza che questo penalizzi i ceti più deboli e/o le imprese più
efficienti.
3.5. Bassi introiti fiscali
La Cina ha avviato una serie di riforme sulla tassazione, ma si muove ancora con gradualit à
forse eccessiva limitandosi spesso alla sperimentazione locale, piuttosto che progredire decisamente
verso un sistema contributivo più efficace e più equo. Le nuove statistiche sulla crescita pubblicate nel
2006, infatti, mettono in luce ancora più chiaramente rispetto ad analisi la debolezza del sistema fiscale
cinese. Statisticamente, le entrate fiscali, esclusi i fondi straordinari di bilancio, complessive nel 2004
cadono infatti dal 19.4% al 16.6% del PIL (FAN Gang and He Liping, Bigger than Italy? “Global Source,
China Monthly Report” 2006). Considerando che circa un terzo delle entrate provengono da pagamenti
per la sicurezza sociale e fondi di bilancio straordinari dei governi locali, le cui assegnazioni di spesa
sono definite per legge, la flessibilit à di bilancio in Cina appare alquanto limitata e certamente
inadeguata ai bisogni potenziali di spesa di un’ economia in forte crescita e con gravi disparità di
reddito individuali, sociali e regionali.
Le riforme in questa area riguardano l’IVA (Imposta sul Valore Aggiunto) per la quale è in corso
un esperimento nel nord-est del paese che dovrebbe portare alla transizione dall’imposta sulla
produzione a quella sul consumo. Nell’ IVA adesso applicata non vi sono crediti d’imposta sui beni
capitali. I servizi, inclusi quelli finanziari, sono ancora esclusi dall’IVA. Alcuni servizi sono soggetti ad
un’imposta sugli affari. Restano diversificati i tassi di imposta sui profitti d’ impresa di cui continuano ad
avvantaggiarsi (in linea di principio) le imprese finanziate da capitale straniero, che pagano imposte
inferiori o sono esonerate dal pagamento di imposta. Esiste un’imposta sul reddito delle persone con
tassi marginali d’imposta differenziati, il cui gettito è però insignificante, benché si applichi anche redditi
minimi. Restano a livello locale una miriade di imposte, tasse e obblighi di tipo quasi feudale e arbitrarie
sui redditi agricoli che il governo intende abolire, con il rischio però che si trovino in difficoltà gli
organismi amministrativi locali ai quali compete, come già rilevato, la maggior parte di spesa per
l’istruzione e la sanit à .
3.6. Ingegneria fiscale e opacità dei conti pubblici
I governi locali non sono autorizzati a ricorrere al credito esterno bancario o sotto forma di
emissioni obbligazionarie e che abbiano una libert à di imposizione fiscale molto limitata.
Mentre questo sistema offre in linea di principio la garanzia di tenere sotto controllo la spesa
decentrata, esso conduce anche a forme di ingegneria fiscale poco trasparenti e, di fatto, perverse,
quali la creazione e/o intermediazione di imprese pubbliche che possono accedere al credito bancario.
Quale sia l’effettivo indebitamento pubblico delle amministrazioni locali di fatto non si sa. Ciò mette in
dubbio la fondatezza dei dati sull’indebitamento pubblico della Cina.
9
4. Gestione macroeconomica
La gestione macroeconomica di bilancio in Cina è formalmente prudente e piuttosto
conservatrice, essendo ispirata soprattutto all’obiettivo di contenimento delle spese sociali. La Cina è
riuscita a contenere a lungo il deficit al di sotto del 3%,ed a raggiungere l’equilibrio di bilancio del 2004
e, persino un saldo positivo negli anni successivi (Economic outlook, OECD Volume 2006/2, No.80,
December e Country Report on China , IMF November, No.05/411, 2005)
4.1 Sostenibilità del debito pubblico: dati ufficiali e sfide incombenti
Con un debito estero di 270bn USD pari al 14% del PIL (a fronte di riserve in moneta estera
1000 bn USD) e un debito interno ufficiale di circa 24% del PIL (dal quale sono però escluse
passivit à potenziali accumulate in aree del settore pubblico), la Cina si colloca tra le economie
emergenti più solide, essendosi anche guadagnata nel 2005 il credit rating A (sesto livello) sul
debito estero a lungo termine da parte di Fitch , pari a quello del Cile e della Corea del Sud (BOFIT
42/2006)
Nell’ottica della sostenibilit à della crescita, tuttavia, occorre non trascurare che, come richiamato
sopra, gli equilibri di bilancio in Cina nascondono una struttura sia degli introiti che della spesa pubblica
poco compatibili con le sfide che si pongono ad un paese in rapida modernizzazione: in particolare il
superamento degli squilibri sociali che la crescita tumultuosa rischia di aggravare e il miglioramento
dell’efficienza dei meccanismi di mercato soprattutto finanziari.
4.2. La sfida demografica
Sotto il primo aspetto, occorre ricordare che la Cina è un paese in rapido invecchiamento
(Tavola 4) come emerge nel confronto con altre grandi economie emergenti.
Tavola 4: popolazione per fasce d’età, Brasile, India e Cina
Demografia
popolazione
et à media (anni)
et à attiva (%)
0-14 anni
Brasile
186 milioni
28
68%
26%
India
1,080 milioni
25
64%
31.2%
Cina
1,306 milioni
32
71%
21.4%
Fonte: “The World Fact Book”, CIA, 2006
Secondo uno studio della Banca Mondiale, la percentuale di popolazione al di sopra dei 60
anni (et à pensionabile per gli uomini, mentre quella delle donne è di 55 anni) salir à dall’attuale
11% al 28% nel 2040. Attualmente solo il 25% (200 milioni di persone) della popolazione lavorativa
ha diritto ad una pensione. Di questi il 15% è composto da impiegati pubblici, il 30% da agricoltori
e il 55% da occupati nelle imprese. La gestione dei contributi pensionistici che prima spettava ai
livelli bassi dell’amministrazione (municipalit à e citt à) è portata gradualmente a livello delle
provincia per consentire una redistribuzione più facile. Ma in mancanza di un sistema nazionale, i
differenziali restano forti tra regioni ricche e regioni povere. Nel 2003 solo 7 milioni di cittadini sono
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registrati in schemi di pensione volontari. Si prevede che la politica delle nascite fin qui seguita in
Cina porter à ad un carico comparativamente maggiore sui giovani che tra non molto dovranno
essere in grado di provvedere non solo al sostentamento dei genitori ma anche a quello dei nonni
(BOFIT” 32/2005)
Una forte solidariet à delle famiglie e un alto tasso di risparmio (legato anche alla mancanza di
supporti pubblici) hanno consentito finora la permanenza di forme di assistenza economica intrafamigliare che a lungo sono state un aspetto emblematico della cultura orientale. L’urbanizzazione e il
progressivo cambiamento dei modelli di vita, tuttavia, rischiano di condurre nel tempo ad un
allentamento di questi vincoli di solidariet à. Occorre, quindi, che il governo cinese avvii presto politiche
di assistenza sociale per le fasce più disagiate, e questo compito è reso comparativamente più difficile
dalla struttura demografica del paese.
4.3 Mercati poco trasparenti
Sotto il secondo aspetto – miglioramento dei meccanismi di mercato – occorre richiamare i modi
di funzionamento del mercato del credito e del mercato dei capitali che alimentano la crescita
eccessiva degli investimenti e della capacit à produtt iva con il rischio di riprodurre fenomeni di larghi
crediti prima in sofferenza e poi inesigibili già sperimentati in passato, e di provocare bolle speculative
nei mercati azionari che sono ancora poco trasparenti ed esposti ad interferenze pubbliche. In passato
l’accumulazione di crediti bancari non esigibili è stata stimata attorno al 30-60% del PIL, rendendo poco
credibile la stima ufficiale del debito pubblico. Con la crescita impetuosa degli ultimi anni si è verificato
in Cina il fenomeno del growing out of debt, che però deve essere apprezzato con molta cautela (vedi
sotto). Il recente, e non imprevedibile, collasso dei mercati azionari è anch’esso rivelatore di disfunzioni
che dovrebbero essere rapidamente riparate per proteggere i piccoli investitori da ondate speculative e
impedire che ondate di sfiducia intacchino negativamente i sentimenti favorevoli al mercato sui quali si
è fortemente basata l’espansione economiche dell’ultimo decennio. Di queste disfunzioni attuali e
potenziali tratta la sezione che segue.
5. Il settore finanziario
L’eccessivo livello di investimento e la sua bassa efficienza discussi sopra trovano le loro cause,
principalmente, in un assetto istituzionale e amministrativo e in comportamenti che faticano ad adattarsi
alle necessit à e all’etica di un’economia di mercato. Ma contano anche scelte di politica economica di
breve periodo che difficilmente saranno sostenibili alla luce dei loro temibili effetti secondari di cui un
esempio è la difficile gestione del tasso di cambio, di cui si tratta nell’ultima parte di questo articolo.
Nel passaggio dall’ economia pianificata all’economia di mercato, il bilancio cinese si è liberato
dell’onere di finanziare direttamente gli investimenti. Così come in altre economie in transizione, sono
stati creati istituti di credito commerciali di stato.
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A queste istituzioni statali è stato affidato il compito di finanziare, con crediti a medio e lungo
termine, le imprese di stato e, in linea di principio, le imprese “non di stato”, come pudicamente è stato
definito il settore adesso riconosciuto, più o meno chiaramente, come privato. La trasformazione ha
portato alla creazione di quattro grandi Banche di Stato settoriali, Agricultura, Industria e Commercio,
Costruzioni, e Estero (Banca di Cina), che hanno una posizione dominante sia nell’attrazione dei
depositi, sia nell’erogazione del credito. Insieme con altre banche pubbliche (Joint-Stock Banks e City
Commercial Banks), il settore finanziario pubblico controlla i ¾delle attivit à (assets).
In questo la Cina si differenzia da altre economie di mercato emergenti, compresa la Russia,
poiché è mancata la privatizzazione degli istituti bancari. Le grandi banche statali finanziano le più o
meno grandi imprese statali e, dato anche il meccanismo di nomina politica dei dirigenti, le politiche di
credito sono soggette a controlli e influenze delle autorit à di governo centrale e locale. Le banche meno
grandi estendono anche credito al settore “non di stato”, ma alle piccole e medie imprese private
manca quasi del tutto l’accesso al credito.
5.1 Fonti di finanziamento degli investimenti
Quasi la met à degli investimenti fissi proviene dall’autofinanziamento delle imprese che è in
crescita. Al secondo posto come fonti di finanziamento sono le banche (Tavola 5).
Tavola 5: Fonti di finanziamento degli investimenti in Cina, percentuali 1999-2004
Fonti
Stato
Credito bancario
Obbligazioni
Capitale estero
Autofinanziamento
Altro
1999
7,1
22,9
1.2
7,6
45,3
15,9
2000
7,0
23,9
0,8
6,2
44,8
17,3
2001
7,2
22,2
0,5
5,5
46,3
18,3
2002
7,5
22,8
0,5
5,2
45,8
18,3
2003
5,5
23,5
0,3
4,8
47,5
18,4
2004
4,2
20,4
0,3
4,3
51,3
19,5
Fonte: IMF 2005, cit.
Il credito ufficiale è erogato soprattutto alle imprese di stato che sono comparativamente meno
efficienti e, di regola, a (bassi) tassi di interesse fissati dalla Banca Centrale. Si noti che il tasso di
interesse è stato mantenuto a lungo molto basso, proprio per evitare che aumentasse ancora di più il
volume di credito in sofferenza, per l’inadempienza delle grandi imprese di stato e per la reticenza a
non rinnovare loro il credito di fronte a pressioni politiche.
5.2 Basso livello della gestione del rischio nel credito bancario e facile ricorso alla
ricapitalizzazione bancaria
Il risultato di queste politiche, insieme con una regolamentazione finanziaria (credit rating)
arretrata e non adeguata agli standard internazionali ha portato in passato all’accumulazione di crediti
non esigibili, e alla necessit à ricorrente di ricapitalizzazioni bancarie finanziate dallo stato.
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Le ultime tra queste, una realizzata nel 2004, a favore della Banca di Cina e della Banca delle
Costruzioni, è costata USD 45bn e un’altra nell’aprile 2005 a favore della Banca dell’ Industria e del
Commercio è costata 15bn USD. Dal 1998 l’apporto cumulativo dello stato (incluso quello delle State
Assets Management Companies (vedi sotto) alla ricapitalizzazione bancaria è stato pari al 17% del PIL
nel 2004. L’OECD (Economic Surveys, China 2005) stima che questo apporto salirebbe almeno al 30%
del PIL 2004 qualora fossero incluse le stime ufficiali del credito non esigibile. Sulla base di queste
considerazioni, il debito pubblico totale (interno ed estero) arriverebbe a più di 50% del PIL, un livello
certamente sostenibile ai tassi di crescita cinesi, ma meno brillante di quanto appare dai dati ufficiali.
Sono stati anche utilizzati schemi di separazione dei crediti non esigibili dalle banche, affidandoli
a società (sempre statali) di gestione del credito (State Assets Management Companies, S AMCs) create
ad hoc e destinate a scomparire una volta terminato il compito loro affidato. Queste società, anch’esse
statali, sono incaricate, tramite la vendita (soggetta a restrizioni) di propri titoli, di recuperare almeno
parte del valore del credito in sofferenza. In cinque anni dal 1999 è stato recuperato solo il 20% del
valore dei crediti trasferiti (al loro valore di registro originario) – un valore molto basso rispetto
all’esperienza di altre economie asiatiche, e non è chiaro come siano state utilizzate queste somme. Il
pericolo che le SAMCs tendano a diventare istituzioni di copertura e che la riconversione dei crediti
avvenga tramite altre istituzioni pubbliche compiacenti affiora da conversazioni con alcuni dirigenti. Un
ulteriore pericolo è che non vi sia chiarezza sui costi di questi schemi per il bilancio dello stato. Infatti
solo la ricapitalizzazione diretta dello stato appare nel bilancio (12% del PIL 2004) mentre il restante 5%
(tramite le SAMCs) non appare come voce di spesa pubblica.
Nel contempo sono state approvate riforme che mirano ad aumentare l’efficienza del credito
bancario mediante una parziale liberalizzazione dei tassi di interesse e della gestione delle attivit à
finanziarie (Financial Times 01.03.2006; OECD Economic Surveys, China, 2005). Ad esempio, alcune
banche sono state autorizzate a vendere direttamente al pubblico una piccola parte dei crediti non
esigibili, ma non è risolto il nodo ombelicale che lega le banche di stato alla politica e agli interessi di
parte, e la mancanza di una procedura seria dei fallimenti costituisce un serio ostacolo alla
riconversione del credito.
Un indice di questo malessere di fondo del sistema bancario cinese è che la redditivit à delle
banche cinesi resta alquanto inferiore, non solo agli standard internazionali, ma anche a quelli di altre
economie asiatiche di mercato emergenti, come Singapore, Malesia e Tailandia (OECD Economic
Surveys, China, 2005)
5.3. Partecipazione di investitori stranieri
E’ possibile, ma ancora aperto a dubbi, che un certo miglioramento possa verificarsi con la
partecipazione di investitori stranieri nella gestione di alcune banche, come previsto dai requisiti di
accessione nell’OMC. Ad esempio, un consorzio di investitori guidati dalla Citigroup statunitense ha
acquistato recentemente l’86% della Guandong Development Bank nella Cina del Sud, una banca
con crediti in sofferenza per il 22% del credito totale. La Citigroup ha ottenuto il controllo del 20%.
Questo consorzio include quattro grandi società cinesi olt re a una partecipazione del 5% dell’IBM
(BOFIT 47/2006). Poiché gli investitori stranieri complessivamente non possono controllare più del
25%, resta da vedere se queste quote saranno utili a stimolare una gestione migliore dei crediti.
13
5.4. Mercato azionario e obbligazionario e interferenza dello stato
Né funzionano bene finora, a contrappeso di un settore bancario ancora in fase di lento
aggiustamento, il mercato azionario e quello obbligazionario entrambi caratterizzati da una forte
presenza pubblica.
Solo recentemente sono state immesse nel mercato quote azionarie appartenenti direttamente
allo stato e prima non commerciabili. Il mercato azionario è segmentato. Le modalità più importanti per
numero sono le azioni di tipo A e quelle di tipo B. Le azioni denominate A sono riservate ai soli cittadini
cinesi e, attualmente, a pochi autorizzati investitori stranieri. In origine erano emesse da compagnie
relativamente piccole, e con bassi standards di contabilità e pubblicità. Le azioni denominate B e le cui
società emittenti dovevano uniformarsi agli standards internazionali di contabilità, prima del 2001, erano
accessibili solo a investitori stranieri. Adesso sono accessibili anche agli investitori cinesi. Nonostante
questi sviluppi che avrebbero dovuto portare alla confluenza di questi due tipi di azioni in un unico tipo,
restano le distinzioni tra azioni A e azioni B. A tutt’oggi nella borsa di Shanghai, più di 800 azioni
societarie sono quotate nella denominazione A, e solo 50 nella denominazione B. Alcune sono quotate
in entrambi i segmenti. E’ interessante notare che i valori degli scambi delle azioni A, benché i relativi
standards di contabilità fossero inferiori, sono stati nel tempo molto superiori e più dinamici degli altri,
attraendo principalmente i risparmi di piccoli investitori cinesi.
Ad accedere ai listini di borsa sono quasi unicamente le imprese statali mentre anche il mercato
obbligazionario resta sottosviluppato anche perché ne sono praticamente escluse le imprese non statali.
Le grandi banche di stato, esclusa la Banca dell’Agricoltura con crediti inesigibili pari al 24% del credito
totale e la cui ricapitalizzazione costerebbe circa 100 miliardi di USD (BOFIT 4, 26.1.2007), sono state
quotate in borsa a partire dal 2005. Le prime sono state la Banca delle Costruzioni, quotata sul mercato
di Hong Kong, e la Banca di Cina. Nel 2006 è stata quotata simultaneamente nelle borse di Hong Kong
e Shanghai la Banca dell’Industria e del Commercio con un’OPA pari al 17% delle azioni (22 miliardi di
USD) (BOFIT 43, 27.10.2006). In tutti questi casi, trascinato dalla domanda, il valore delle azioni è salito
rapidamente rispetto al valore iniziale di quotazione.
La mancanza di investitori istituzionali rende i mercati azionari cinesi opachi, più facilmente
esposti all’irrazionalità di un mercato poco informato ( China in the World Economy. The Domestic
Policy Challenges, OECD 2002) e non ha facilitato, come pure era nelle intenzioni esplicite delle
autorità, il miglioramento della corporate governance. Inoltre, l’entusiasmo con il quale le famiglie
cinesi hanno cominciato ad investire in azioni usando i risparmi prima depositati nei conti bancari,
nonostante non vi siano stati notevoli miglioramenti nei requisiti di contabilità e trasparenza delle
società quotate in borsa, giustifica la preoccupazione che molti, e non necessariamente ricchi,
cittadini cinesi possano incorrere perdite importanti in forti sbandamenti di mercato, quale quello
avvenuto recentemente e che ha portato ad una perdita di più di 100 miliardi di euro nel giorno 27
febbraio scorso (BOFIT 9, 2.3.2007).
5.5. Eccesso di capacità
Il risultato di una forte presenza e interferenza pubblica nei mercati finanziari è che imprese
inefficienti anche di grandi dimensioni continuano a coesistere con imprese private in espansione il cui
contributo alla crescita è diventato di primaria importanza e la cui efficienza è di gran lunga superiore
(OECD, China, 2005). Il sistema produttivo cinese è costipato per un eccesso di capacit à produttiva
alimentata da investimenti che potremmo definire “pubblici”.
14
A lungo, il governo ha cercato di salvare le unit à produttive inefficienti favorendo o imponendo
mergers and acquisitions (M&A) con imprese efficienti, invece di introdurre una sana legislazione sui
fallimenti. La recente approvazione di una legge sui fallimenti è un passo sulla giusta via. Sar à
necessario osservare attentamente come si svolger à la sua applicazione: un processo
necessariamente esposto a rischi di interpretazione e pressioni politiche nel contesto di un apparato
giudiziario non indipendente.
Il continuo sperpero di risorse è favorito dalla crescita dei risparmi e dei depositi bancari a
garanzia dei quali vi è il convincimento che le banche di stato sono troppo grandi per fallire. Come gi à
accennato sopra, il livello di risparmio è altrettanto alto che il livello di investimento. Nel 2005 lo stock di
depositi è cresciuto del 18% (a fronte di una crescita del credito del 13%) grazie soprattutto ai
comportamenti sia delle famiglie, i cui depositi sono cresciuti più rapidamente, di quelli delle imprese,
anch’essi in crescita. Mentre l’alto livello di risparmio famigliare è una caratteristica delle economie
asiatiche e della scarsa protezione sociale di cui gode la popolazione (risparmio precauzionale) - e
l’aumento dei depositi riflette l’aumento dei redditi reali a disposizione – crescenti depositi da parte
delle imprese riflettono non solo la buona congiuntura economica, ma anche la reticenza a distribuire i
profitti agli azionisti che riflette una corporate governance sui generis della Cina.
5.6. Distorsioni nell’ allocazione del credito. Il credito informale
Restie a condividere i profitti con i propri azionisti, le imprese cinesi preferiscono accantonare
per investire. La mancanza di una protezione adeguata delle degli azionisti di minoranza facilita questo
tipo di gestione dei profitti. Accanto all’autofinanziamento le imprese private ricorrono al credito
informale, una fonte non indifferente di risorse finanziarie, e abbastanza comune nei paesi orientali. Il
credito informale rappresenta circa il 30% delle risorse finanziarie delle PMI nelle aree costiere più
sviluppate, e più del 70% nelle aree occidentali meno sviluppate. I fondi possono essere prestati da
individui, imprese o organizzazioni finanziarie illegali. Alcune forme di credito informale, che in futuro
potrebbero emergere come banche private, sono monitorate dalla Banca Centrale. I tassi di interesse
applicati sono alquanto superiori ai tassi ufficiali. Arrivavano al 12% nel 2004 in alcune province del
sud, secondo un rapporto della Banca Centrale (OECD Economic Surveys, China, Volume 2005/13,
September 2005, 144), quasi tre volte il tasso di interesse ufficiale.
In sostanza, la maggior parte del credito ufficiale erogato dalle grandi banche di stato finanzia le
imprese di stato, alcune delle quali hanno anche accesso al finanziamento di borsa. Queste sono le
imprese comparativamente meno efficienti: sulla base di dati industriali risulta che la produttivit à totale
dei fattori (PTF) delle imprese sotto il controllo diretto dello stato è meno della met à della PTF delle
imprese private. Minore, oppure meno diretto, è il controllo dello stato, migliore è la performance delle
imprese (OECD, China, cit., 98). Benché nel settore industriale più del 50% del valore aggiunto sia
ormai imputabile alle imprese private, il ruolo ancora rilevante delle imprese di stato e la dipendenza di
queste imprese dal credito ufficiale e dal finanziamento di borsa, in un contesto di bassa trasparenza
dei conti e delle decisioni sia di produzione che di erogazione del credito, costituisce un elemento di
fragilit à del sistema economico cinese.
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6. Surriscaldamento dell’economia e politica monetaria
L’economia cinese cresce rapidamente in condizioni di apparente stabilit à. L’inflazione misurata
con il deflattore del PIL che era salita al 6.9% nel 2004 è scesa al 3.8% nel 2005 e continua a scendere
(OECD Economic Outlook. No.80). Questo sviluppo positivo è favorito da forti aumenti di produttivit à
del lavoro in un contesto in cui la crescita dei salari che si sta manifestando avviene solo gradualmente.
Ma il contenimento dell’inflazione è dovuto anche all’uso di strumenti diretti di controllo monetario, del
credito e del tasso di cambio cui i cinesi continuano a fare ricorso.
A garanzia della stabilit à macroeconomica, la Cina ha condotto a lungo e con una certa abilit à
una politica monetaria di stabilizzazione dei prezzi ancorata al mantenimento del tasso di cambio con il
dollaro. Ancora oggi, sfidando la pressione sul cambio che proviene dal saldo positivo della bilancia
commerciale e della bilancia dei pagamenti, la gestione del tasso di cambio mira a mantenere parit à
che, da una parte, favoriscono le esportazioni e, dall’altra limitano la crescita delle importazioni, in
particolare di beni sostitutivi di prodotti interni non concorrenziali (prodotti primari).
6.1 Deprezzamento del dollaro e sottovalutazione della moneta cinese
A seguito della caduta del dollaro dopo il 2001 che, dato l’ancoramento della moneta al dollaro,
ha trascinato il deprezzamento dello yuan cinese e condotto a pressioni de-stabilizzatrici derivanti dal
forte avanzo della bilancia commerciale, la Banca Centrale ha reagito con una politica di sterilizzazione
delle entrate di capitale che si è tradotta nell’aumento delle riserve in valuta. Al mantenimento di parit à
giudicate da molti irrealistiche e insostenibili, ha fatto seguito a partire dal 2000 un’entrata di capitali a
carattere speculativo (anche se per canali informali, poiché la Cina non ha liberalizzato il movimento di
capitali). L’eccesso di liquidit à, anche se in gran parte sterilizzato dalla Banca Centrale, ha contribuito
al surriscaldamento dell’economia attraverso la crescita degli investimenti, ma anche, come notato
sopra, attraverso la crescita dei redditi a disposizione, e quindi della domanda di consumi.
Cercando di contrastare le spinte inflazionistiche la Banca Centrale cinese ha reagito dapprima
con misure dirette (aumento delle riserve bancarie e limiti all’erogazione del credito). In seguito le parit à
del tasso di cambio sono state aggiustate su un basket di monete internazionali ed è stata allagata,
ancorché modestamente, la banda di oscillazione del cambio.
6.2 Limiti dei meccanismi di trasmissione monetaria
Il prudente percorso di aggiustamento della Banca Centrale deve essere valutato nel contesto di
mercati imperfetti e vischiosi che rendeno ancora inefficace e potenzialmente pericoloso il ricorso a
meccanismi di trasmissione monetaria tradizionali.
Un aumento dei tassi di interesse, data la forte sinergia tra credito bancario e grandi imprese di
stato di bassa efficienza o anche in perdita, avrebbe potuto produrre un effetto microeconomico
indesiderato – un probabile aumento dei crediti bancari non esigibili – e un effetto macro, altresì
indesiderato, di rafforzare l’afflusso di capitale speculativo in un contesto di bassi tassi di interesse
internazionali. Anche l’ emissione di certificati di deposito della Banca Centrale è stata usata con
moderazione per il timore che un forte aumento avrebbe trascinato l’aumento dei tassi di interesse.
16
L’aumento delle riserve obbligatorie ha avuto poco effetto, poiché le grandi banche di stato
detenevano comunque riserve in eccesso. Ed è difficile quantificare e qualificare l’effetto di limiti
all’erogazione del credito. Dal punto di vista quantitativo, il surriscaldamento dell’economia non è stato
evitato, ma forse avrebbe potuto essere peggiore in mancanza di limiti (BOFIT, 47/2006 nota che alla
fine del 2006 si è verificato un rallentamento della crescita degli investimenti).
Fatte queste premesse, tuttavia, occorre ricordare che, da un punto di vista qualitativo, il rischio
di una restrizione del credito non accompagnata da un miglioramento della gestione del rischio del
credito è che si verifichi una politica di adverse selection, e cioè che diminuiscano i crediti alle imprese
efficienti a vantaggio delle imprese meno efficienti ma protette. Gli eventuali effetti negativi di questi
comportamenti si materializzano solo nel tempo con il mancato o parziale rimborso dei crediti erogati
alla scadenza pattuita e/o restano celati nell’aumento di nuovi crediti. Anche dopo la ricapitalizzazione
delle grandi banche di stato che ha portato ad una sensibile riduzione ufficiale dei NPL (non performing
loans= crediti non esigibili) prima della loro quotazione in borsa, non si conosce l’effettivo ammontare
dei crediti in sofferenza accumulati nel periodo di surriscaldamento dell’economia. E’ lecito, tuttavia,
avere dei dubbi sull’effettiva performance di queste banche e, forse, lo scossone del mercato di
Shanghai nel febbraio scorso è anche un riflesso di questi sentimenti.
6.3 Aumento e consistenza delle riserve in valuta
A seguito degli sviluppi successivi al 2001, la Banca Centrale cinese detiene attualmente un
ammontare impressionante di riserve in moneta forte (più di 1000 miliardi USD), avendo superato il
Giappone già nel 2006. Si stima che il 70% di queste riserve (la cui composizione non è pubblicata) sia
costituito da obbligazioni denominate in dollari, il che costituisce, teoricamente, un rischio potenziale
non solo per la Cina, ma anche per i mercati finanziari internazionali.
In larga parte l’accumulazione di titoli di stato stranieri è riflesso della debolezza dei mercati
(titoli) finanziari cinesi e, per converso, un segno importante della solidit à finanziaria dell’economia
statunitense. Ma l’accumulazione di riserve in valuta è anche dovuta a incertezze politiche sulle
necessit à e sui tempi del percor so di liberalizzazione che la Cina deve ancora affrontare. Vi è
mancanza di chiarezza sulle prospettive di liberalizzazione del movimento di capitali, sull’ opportunit à di
diversificazione degli strumenti finanziari da mettere a disposizione del pubblico e sul numero e tipo di
investitori istituzionali che sarebbero in grado di gestirli. E’ auspicabile che la liberalizzazione del
settore bancario e l’entrata di banche straniere secondo i requisiti dell’accessione al WTO avvenuta nel
2001 contribuiscano al progresso del settore finanziario in Cina. Ma il progresso promette di essere
distante nel tempo e la strada riservata alla banche straniere irta di ostacoli e con prospettive di profitto
non chiare (BOFIT 4/2005)
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6.4 Incertezze sulla politica del cambio
L’atteggiamento con il quale la Banca Centrale cinese si è mossa sulla politica del tasso di
cambio nel 2005 sotto la pressione di grandi paesi importatori è anch’esso indice di grande cautela,
possibilmente anche a riflesso di effetti contrastanti che una liberalizzazione (floating) potrebbe avere
sui diversi mercati. Una delle preoccupazioni emerse in conversazioni con le autorit à di governo è che
la probabile rivalutazione del tasso di cambio successiva al floating colpirebbe, mediante l’accresciuta
competitivit à dei prodotti agricoli importati, maggiormente i redditi delle zone rurali (il cui divario con i
redditi urbani si è gi à palesemente accresciuto (BOFIT 4/2006) Un timore associato a questa possibilit à
è che masse di contadini si riversino sulle citt à aggravando i problemi e i costi di urbanizzazione, anche
se è ancora in corso il sistema di permessi di residenza ( hukou) inteso a scoraggiare questi movimenti.
Mentre le valutazioni sul regime di cambio in Cina sono numerose e contrastanti, la politica della
Banca Centrale sembra ispirata a un prudente conservatorismo di fronte ai vincoli posti dal governo
all’azione e alle politiche della Banca Centrale e alla luce della debole integrazione dei mercati interni
sia dei prodotti che del lavoro e del capitale. L’ancoramento del tasso di cambio a monete straniere può
essere visto anche come elemento di freno all’arbitrio della politica governativa che resta ancora quella
di uno stato/partito.
Il rifiuto della rivalutazione del renmimbi, sotto le spinte protezionistiche di comparti dei mercati
occidentali e speculative dei mercati finanziari internazionali può essere interpretato come il segno
della priorit à conferita alla stabilit à economica e sociale rispetto ai rischi di un ulteriore divario tra
campagne e citt à. Ma i costi di questa politica nel lungo periodo possono essere pesanti in termini di
distorta allocazione delle risorse.
La strada scelta dalla Cina per uscire dall’impasse di un tasso di cambio che si deprezzava
insieme con la moneta di riferimento, il dollaro, come accennato sopra, è stata quella di differire una
drastica liberalizzazione e di ancorare (decisione presa il 21 luglio 2005) il renminbi ad un paniere di
monete che riflette la struttura del commercio estero cinese, il debito con l’estero, gli investimenti diretti
stranieri e i trasferimenti in conto corrente. Questa misura era già stata presa in considerazione in
passato, ma la sua realizzazione sempre differita. Il paniere d à peso relativamente maggiore al dollaro,
all’euro, allo yen giapponese e al won coreano, ma contiene anche il dollaro di Singapore, la sterlina
britannica, il ringgit della Malesia, il rublo russo, il dollaro australiano, il baht tailandese e il dollaro
canadese. I pesi delle diverse monete non sono stati rivelati. Secondo la Banca Centrale, il remimbi
non è ancorato al paniere, benché si tenga conto dei movimenti delle valute estere (BOFIT 32/2005).
Il 23 settembre 2005 la Banca Centrale ha annunciato l’allargamento della banda di oscillazione
della moneta cinese dall’+/- 1.5% al +/-3% nei confronti di tutte le monete del paniere escluso il dollaro.
Il mercato monetario è stato parzialmente liberalizzato concedendo alle banche cinesi di fissare
liberamente i tassi di cambio nella compravendita di monete straniere, escluso il dollaro. Per
quest’ultimo è stata allargato lo spread dei valori di compravendita. Queste misure hanno condotto ad
un modesto, ma graduale, apprezzamento nominale della moneta cinese. Rispetto al dollaro, questo
era meno dell’1% a distanza di 8 mesi dal nuovo regime di cambio, mentre il tasso di cambio effettivo
era aumentato dell’8% dal marzo 2005 alla fine dell’anno (BOFIT 32/2005) Al momento dell’abbandono
dell’ancoramento al dollaro il tasso di cambio era di 8.28 yuan per un USD. Secondo gli ultimi
rilevamenti (marzo 2007) la moneta cinese si è apprezzata di quasi il 7% nei confronti del dollaro: il
corso attuale è di 7.74 yuan per un USD (BOFIT 10/9.3.2007). Ciò non ha impedito che il saldo del
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commercio con l’estero continui a crescere grazie alle forti differenze di produttivit à tra la Cina (9 -10%)
e i paesi importatori (UE al 2%).
Il controllo del cambio comporta il ricorso a strumenti diretti di controllo sui movimenti di capitale
a carattere speculativo, benché le autorit à cinesi abbiano dato segni non molto tempo fa’ di volere
intraprendere la strada della liberalizzazione. Nuove disposizioni riducono la possibilit à delle banche,
sia cinesi che straniere, di indebitarsi all’estero, fissando quote molto inferiori ai livelli di indebitamento
raggiunti. Mentre è aumentata la quantit à di moneta straniera (USD 50,000 contro USD 20,000 un anno
fa’) che un cittadino cinese può ottenere senza un permesso preliminare sono stati rafforzati i
regolamenti e i controlli diretti a impedire che la moneta straniera detenuta da residenti cinesi sia
convertita in yuan. Questo però difficilmente riesce ad impedire che continui l’afflusso di valuta per vie
illegali. L’economia cinese, pertanto, resta ancora esposta al rischio di surriscaldamento.
Conclusione
La crescita della Cina economica è tumultuosa, disordinata e ancora fortemente dipendente
dall’alta domanda di investimenti. Un eccesso di capacit à produttiva è foriera di pericoli che potrebbero
materializzarsi qualora la crescita dell’economia mondiale e, in particolare, quella degli Stati Uniti
subiscano contraccolpi improvvisi. La domanda interna di consumo è ancora bassa, per quanto in lenta
crescita. Al rischio di implosione, si accompagna il pericolo di una continua distorsione nell’allocazione
delle risorse dovuta al controllo del tasso di cambio che non favorisce l’aggiustamento dell’economia ai
prezzi internazionali. Anche se gli indicatori economici fondamentali segnalano una crescita sostenibile,
l’opacit à dei conti nazionali , il mancato aggiustamento delle politiche tributarie e di spesa sociale alle
necessit à del mercato, la poca trasparenza delle decisioni politiche e il funzionamento problematico del
comparto finanziario presentano delle sfide non trascurabili alla continuit à del percorso di
modernizzazione in atto. Si tratta di sfide di ordine socio-politico ed economico che la Cina dovr à
affrontare in tempi brevi.
La prima sfida è quella di ridurre i costi della crescita. Il tasso di investimento è eccessivo in
rapporto al tasso di capitale/prodotto, distorto a favore di grandi imprese di stato e fonte di sperperi di
risorse in un paese che resta ancora relativamente povero in termini di redditi pro-capite.
La seconda sfida è quella di aumentare l’equit à e l’efficienza della spesa pubblica aumentando,
in un bilancio che cresce, ma modestamente, se paragonato al tasso di crescita economia, le spese
per istruzione e sanit à e inserendo una prospettiva di medio -lungo termine capace di affrontare gli
effetti dell’invecchiamento della popolazione sulla spesa per le pensioni. Questa sfida comporta anche
la ristrutturazione del fisco che consenta di dare un maggior peso alle imposte dirette e allarghi la base
di imposta sia per le imposte dirette che per l’IVA.
Un’altra sfida è quella di evitare che la divaricazione della crescita dei redditi per regioni e
gruppi sociali che sta conducendo ad una crescente disuguaglianza tra redditi urbani e redditi delle
zone rurali sfoci in disordini sociali di imprevedibile impatto. Questo implica, da una parte, una
maggiore liberalizzazione del mercato del lavoro, dei prodotti e del capitale che ne favorisca la
circolazione, e dall’altra, riforme dei diritti di propriet à che tutelino direttamente e adeguatamente le
famiglie e le fasce di popolazione più deboli esposte all’esproprio di terra agricola a fini di
urbanizzazione.
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La più grande sfida, tuttavia, è quella di mantenere la stabilit à economica in una fase
tumultuosa di crescita. Questo comporta una riesamina seria, e riforme strutturali adeguate, dei costi
della crescita in Cina e dei canali di finanziamento. Buona parte del surriscaldamento proveniente dalla
domanda di investimento è dovuto all’eccessiva liberalit à con la quale le grandi Banche di Stato
finanziano progetti di bassa efficienza. L’incapacit à della Banca Centrale di controllare il credito
attraverso gli ordinari strumenti monetari riflette non solo la mancanza di indipendenza, ma anche la
lentezza di riforme strutturali nel settore finanziario che è un settore comparativamente ad alto rischio.
Mancano strumenti finanziari adeguati e investitori istituzionali che normalmente sono di sostegno nelle
operazioni di assorbimento della liquidit à in canali extra -bancari. In questo ambito, la presenza pubblica
che resta dominante non è di buon auspicio.
Infine, la Cina deve considerare l’opportunità, i tempi e i modi di una progressiva
liberalizzazione del movimento dei capitali che faciliterebbe la transizione da un tasso di cambio
ancorato a monete forti alla gestione di un cambio di mercato (managed floating) in relazione
all’equilibrio dei conti con l’estero. Una maggiore chiarezza sulla strategia che il governo intende
adottare in questo ambito potrebbe ridurre l’afflusso di liquidit à anche a carattere speculativo e
moderare sia la pressione delle spinte inflazionistiche che le tensioni sul tasso di cambio.
Bibliografia
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