Casistica clinica Vol. 98, N. 4, Aprile 2007 Pagg. 232-235 Insufficienza renale acuta in paziente con carcinoma epatocellulare recentemente sottoposto a chemioembolizzazione transarteriosa Emanuele La Spada1, Monica La Spada1, Tiziana Brusca1, M. Elisa Campagna1, Valeria Di Gesaro1, Angela Terranova1, Luigi Sandonato2, Maurizio Soresi1 Riassunto. La chemioembolizzazione per via transarteriosa (TACE) rientra nell’armamentario terapeutico del carcinoma epatocellulare (HCC), tumore ad elevata frequenza e malignità. La metodica è invasiva e, oltre che arrecare disagio al paziente, può provocare complicanze di grado severo. In questo lavoro riferiamo di un episodio di insufficienza renale acuta di tipo funzionale come conseguenza di una TACE in un paziente affetto da HCC, episodio sviluppatosi dopo una settimana circa dall’esecuzione della metodica, alla cui patogenesi hanno, probabilmente, contribuito più meccanismi. Parole chiave. Carcinoma epatocellulare, chemioembolizzazione transarteriosa, insufficenza renale acuta. Summary. Acute renal failure as a complication of transarterial chemoembolization in patient with hepatocellular carcinoma. Transarterial chemoembolization (TACE) is included among the wide therapeutic tools for the treatment of hepatocellular carcinoma (HCC), tumour with high frequency and malignancy. The approach is invasive and, beyond the discomfort for the patient, it is charged by a number of side effects and complications. In this study we report the case of renal acute failure of hypovolemic origin, as a consequence of a TACE in a patient suffering from HCC, occurred after one week of intervention. The different possible mechanisms involved in the pathogenesis of this complication are discussed. Key words. Acute renal failure, hepatocellular carcinoma, trans-arterial chemioembolization. Introduzione La chemioembolizzazione transarteriosa (TACE) è una delle metodiche consigliate dalle linee guida dell’Associazione Europea per lo Studio del Fegato per il trattamento del carcinoma epatocellulare (HCC)1; essa consiste nell’iniettare, in corso di angiografia epatica, un farmaco antiblastico (doxorubicina, epirubicina, mitomicina C, cisplatino o altri) veicolato con un mezzo di contrasto oleoso (lipiodol) direttamente nell’arteria afferente la massa neoplastica. Al termine della lipiodolizzazione si procede all’occlusione del vaso utilizzando polvere di gelfoam o altre sostanze che determinano quindi l’ischemia della regione nutrita dal vaso stesso2. 1 La sua invasività, i suoi effetti collaterali e la sua mortalità rispetto alla chirurgia ed alle altre terapie ablative quali l’alcolizzazione o la termoablazione con radiofrequenza ne hanno, in passato, ridotto l’impiego. Nel 1998, uno studio prospettico randomizzato controllato non ha dimostrato un guadagno statisticamente significativo della sopravvivenza nei pazienti trattati con la chemioembolizzazione; tuttavia gli autori segnalavano una riduzione della crescita tumorale dovuta alla TACE3. Quasi contemporaneamente, un altro studio randomizzato controllato in pazienti trattati con sola embolizzazione senza chemioterapico (TAE) perveniva alle stesse conclusioni, a dimostrazione che l’effetto antineoplastico dipende più dall’ischemia che dal chemioterapico4. Cattedra di Medicina Interna e d’Urgenza; 2Cattedra di Chirurgia Oncologica, Università, Palermo. Pervenuto il 7 novembre 2006. E. La Spada: IRA in paziente con HCC sottoposto recentemente a TACE Si ritiene che il fallimento di tali terapie possa dipendere dal fatto che la procedura riesce a distruggere solo le cellule neoplastiche più fragili, oppure solo quelle nel cuore del nodulo, mentre le cellule periferiche vengono mantenute in vita dal sangue portale del tessuto circostante; pertanto, le lesioni più grosse che hanno più fonti di vascolarizzazione e quindi risultano più difficili da ischemizzare potrebbero essere quelle meno sensibili a tali trattamenti. Recenti lavori di metanalisi lo hanno confermato, dimostrando che in lesioni più piccole la chemioembolizzazione ha una buona percentuale di risposta terapeutica ed un numero di effetti collaterali o di mortalità non elevato5,6. Malgrado tali dati, a causa della sua invasività e della possibilità di essere eseguita solo in pochi Centri specializzati, il suo uso rimane relegato a quelle forme di neoplasie ad estensione maggiore, non trattabili con le altre terapie; ciò, come già detto, aumenta la mortalità ed il numero degli effetti collaterali e riduce l’effetto terapeutico. In questo lavoro riportiamo il caso di un nostro paziente affetto da HCC sottoposto a TACE ed esitato in insufficienza renale acuta (IRA). Descrizione del caso Paziente di 66 anni, in discrete condizioni generali, affetto da cirrosi epatica correlata al virus dell’epatite C (HCV), in classe di Child-Pugh B8, per il riscontro ecografico di un lobo caudato particolarmente disomogeneo veniva sottoposto a TC, che evidenziava una formazione ovalare del diametro max di 4,8 cm da riferire ad HCC nel I segmento. Per tale motivo, il paziente si ricoverava presso il nostro Dipartimento di Medicina Interna dove, dopo valutazione insieme ai chirurghi ed ai radiologi, veniva scelta la TACE come migliore opportunità terapeutica. Figura 1. Fegato a morfologia cirrotica. Presenza di formazione ovalare del diametro max 4,8 cm riferibile ad HCC nel I segmento, alimentata da rami dell’epatica sn che origina dalla coronaria omolaterale. 233 Gli esami di laboratorio pre-TACE erano i seguenti: urea 48,0 mg/dl; glicemia 78,0 mg/dl; creatinina 0,79 mg/dl; bilirubina totale 2,31 mg/dl; diretta 1,24 mg/dl; ast 76,0 u/l; alt 37,0 u/l; ggt 58,0 u/l; sodio 136,0 meq/l; potassio 3,4 meq/l; ferro 51,0 µg/dl; ferritina 44,0 ng/ml; attività protrombinica 82 %; proteine totali 7,8 g/dl; albumina 4,3 g/dl; L’arteriografia eseguita per via femorale falliva e pertanto si faceva ricorso ad accesso ascellare sinistro. Rientrato in Reparto dopo la TACE, non è stato segnalato nulla di rilievo, ed in quarta giornata il paziente chiede di essere dimesso, contro il parere dei sanitari. I dati ematochimici sostanzialmente erano immodificati rispetto all’ingresso. Dopo tre giorni, è ritornato alla nostra osservazione in condizioni generali peggiorate, riferendo anoressia, vomito, febbre, emissione di feci ipocromiche ed urine ipercromiche, associate ad una progressiva contrazione della diuresi. All’esame obbiettivo veniva rilevato un addome teso, ittero franco ed ipotensione arteriosa. Ospedalizzato nuovamente, gli esami di laboratorio mostravano un peggioramento rispetto ai primi giorni post-TACE. Si riscontrava, infatti, un incremento degli indici di funzionalità renale (azotemia 134,5 mg/dl e creatininemia 3,57 mg/dl), un aumento dei valori di bilirubina (totale 5,25 mg/dl, diretta 2,9 mg), una riduzione dell’attività di protrombina a 71% e dell’ albumina a 2,1 g/dl, ed infine una anemia (Hb 8,5 g/dl, MCV 88,6 fl, MCH 32,3 pg). È stata eseguita un’ecografia con integrazione del colorDoppler portale e renale. Non sono state riscontrate differenze rispetto all’esame eseguito prima del trattamento, i vasi portali erano pervi e non vi erano segni color Doppler di trombosi venosa o di ischemia renale. Gli indici di resistenza intraparenchimali erano aumentati 0,75 a destra e 0,80 a sinistra. Abbondante ascite. Il paziente veniva pertanto riclassificato ed etichettato come classe C 10 di Child-Pugh. Durante la degenza, vista la presenza di uno stato febbrile, è stata eseguita una paracentesi esplorativa con conta dei bianchi che, però, escludeva una peritonite batterica spontanea; tuttavia il paziente veniva sottoposto a profilassi antibiotica con cefotaxime (2 g/die). È stato rivalutato il quadro di insufficienza renale che ha dato i seguenti risultati: azotemia 140 mg/dl; creatinina 2,7 mg/dl; sodiemia 140 mEq/L; potassemia 5,1 mEq/L; natriuria 69 mEq/L; kaliuria 29,67 mEq/L; creatininuria 73,18 mg/dl; clearance creatinina 21 ml/min; albuminuria 19.7 mg/24h; proteinuria 133 mg/24h). I dati clinici e laboratoristico-strumentali ci hanno indirizzato verso un problema di natura funzionale. Abbiamo allora somministrato soluzione fisiologica (fino a 1,5 litri/die) ed albumina umana (20 g/die) per ripristinare la deplezione della volemia efficace e solo dopo espansione di quest’ultima abbiamo somministrato furosemide (fino a 50 mg/die) per sostenere la diuresi. Inoltre, visto l’ulteriore calo dei valori di emoglobina (6,6 g/dl) in terza giornata era stata eseguita una emotrasfusione con due sacche di emazie concentrate. Tali provvedimenti hanno condizionato un lento, ma graduale miglioramento dei parametri di funzionalità renale (creatinina 1,26 mg/dl) e della diuresi (fino a 1800 ml/die), in 7 giorni. Nonostante la somministrazione di liquidi avesse determinato un iniziale incremento dell’ascite e del peso corporeo (da un valore iniziale di 60,8 kg a 63,7 kg), la terapia sortiva graduale effetto, ottenendo un calo ponderale (peso corporeo alla dimissione di 58,5 kg) ed una riduzione dell’ascite. Il paziente veniva dunque dimesso in condizioni cliniche generali migliorate con l’indicazione a sottoporsi a periodici controlli ematochimici e strumentali. 234 Recenti Progressi in Medicina, 98, 4, 2007 Discussione Il carcinoma epatocellulare (HCC) rappresenta la principale causa di morte dei pazienti cirrotici (44%); è la prima complicanza della malattia a svilupparsi, seguita dall’ascite, dall’ittero, dai sanguinamenti gastrointestinali7 ed è la quinta più frequente causa di cancro nel mondo8. Costituisce da solo più del 5% di tutte le neoplasie maligne con un numero stimato di casi annui compreso tra 500.000 e 1.000.0008. L’elevata mortalità ad esso associata e le difficoltà che si incontrano nell’impostare un adeguato trattamento sono da ricondurre a diversi fattori: in primo luogo, l’HCC è solitamente associato alla cirrosi, che è una limitante nella scelta delle opzioni terapeutiche; in secondo luogo, è usualmente asintomatico negli stadi iniziali ed inoltre ha una forte tendenza alla diffusione in sede intravascolare epatica e biliare. Per tali motivi, viene frequentemente identificato in stadio avanzato9 e solo il 30% dei pazienti con HCC diagnosticato precocemente è candidabile ad opzioni terapeutiche potenzialmente curative quali la resezione chirurgica, il trapianto di fegato, l’ablazione percutanea, mentre la rimanente quota viene indirizzata verso trattamenti palliativi10. Tra questi ultimi, la TACE è una procedura recentemente riconsiderata, anche se è una metodica invasiva e presenta effetti collaterali severi, compresa una mortalità che può giungere fino al 5%5,6. La chemioembolizzazione riduce però significativamente il tasso di mortalità; infatti la sopravvivenza, sempre a 2 anni, è significativamente più alta nei pazienti trattati (41%) rispetto ai non trattati (27%)6. Le dimensioni della neoplasia costituiscono la più importante determinante del successo terapeutico in quanto si è osservato una sopravvivenza a 3 anni del 100% in pazienti con HCC <2 cm contro una sopravvivenza del 16% in quelli con HCC >5 cm10. La percentuale di pazienti responsivi a 6 mesi dal trattamento è del 35% (range 16-61%)6. Fra le complicanze si annoverano alcuni casi di insufficienze epatica correlabili con la necrosi del tessuto non neoplastico limitrofo, sepsi (colecistiti, ascessi epatici), emorragie intestinali, ulcere gastriche o duodenali, pancreatiti. È frequente anche una pancitopenia da chemioterapico5. Il tasso medio di eventi avversi è del 5,6% con un range compreso tra 011,12 e 50%3. Il tasso di mortalità entro i 30 giorni successivi al trattamento varia dallo 0 al 10% a seconda delle casistiche4,11-14. La mortalità, tuttavia, risulta estremamente bassa negli studi che hanno utilizzato procedure terapeutiche selettive (segmentali o subsegmentali), rispetto a quelle non selettive e la scelta della selettività dipende dalle dimensioni della neoplasia5. Gli effetti collaterali minori, quasi sempre presenti, sono legati alla sindrome post-embolizzazione comprendente: febbre intermittente, dolore addominale, nausea, vomito, inappetenza, senso di pienezza addominale e alterazioni degli indici epatici. Questi sintomi normalmente si risolvono spontaneamente in un paio di settimane15 e possono essere trattati con antipiretici e idrocortisone. La TACE nell’8,6% espone a gravi rischi di sviluppare insufficenza renale acuta (IRA). Le condizioni fisiopatologiche che possono essere responsabili di tale complicanza sono diverse: a) il radiocontrasto utilizzato può determinare nefrotossicità e ciò è più frequente in caso di deplezione di volume plasmatico; per tale motivo, in base a studi recenti, viene raccomandata una buona idratazione prima dell’intervento; b) la sindrome post-embolizzazione include un corteo di segni e sintomi come febbre, nausea, vomito, inappetenza, che possono ridurre la volemia efficace, meccanismo che può essere responsabile del danno renale funzionale; c) l’instaurarsi di un’insufficienza acuta epatica, secondaria ad una necrosi epatica massiva, può essere responsabile di un’insufficienza funzionale renale; d) infine, un infarto renale si può avere per le possibili embolie post-intervento. Infatti non abbiamo sottoposto il paziente a biopsia renale per le scadenti condizioni cliniche; tuttavia non ci sono state evidenze laboratoristiche-strumentali di infarto renale. Riteniamo che nel nostro paziente il danno nefrotossico diretto del radiocontrasto sia stato marginale; pensiamo invece che la sindrome post-embolizzazione e la riduzione di volemia efficace abbiano contribuito allo svilupparsi dell’IRA. A supporto di quest’ipotesi vi sono le seguenti considerazioni: a) il paziente prima della TACE era in classe B8 di Child e proprio la classe B e la presenza di diabete costituiscono due dei maggiori fattori di rischio di IRA post TACE16; b) la mancanza di cilindri composti nelle urine, che sono frequentemente presenti nei soggetti con necrosi tubulare da radiocontrasto; c) l’assenza di segni ecocolorDoppler e clinici di trombosi renale; d) la buona risposta alla terapia infusionale che aveva lo scopo di aumentare la volemia; e) i tempi di comparsa dell’insufficienza renale (giorni e non ore); Come riportato in letteratura, abbiamo continuato a espandere la volemia finché il valore di creatininemia è sceso sotto 1,5 mg/dl; questo valore è considerato importante al fine di distinguere i soggetti che hanno IRA reversibile; infatti, in un 33 % dei casi essa evolve verso forme di insufficienza renale cronica16. L’IRA post-TACE è una complicanza temibile, che va trattata urgentemente, in quanto – se non riconosciuta – può portare a morte il paziente; la sua incidenza è dell’8,6% dopo la prima seduta ed aumenta del 65% per ogni seduta successiva. Le categorie a maggiore rischio sono i cirrotici in classe B di Child-Pugh e i diabetici16. E. La Spada: IRA in paziente con HCC sottoposto recentemente a TACE Non esistono chiare indicazioni sulla sua prevenzione, ma dai dati della letteratura appare necessario eseguire un assiduo monitoraggio della funzionalità renale post-trattamento a 3-6-9 giorni, per poter intervenire precocemente all’instaurarsi di una alterazione degli indici di funzionalità renale (creatininemia 1,5 mg/dl), specialmente nei soggetti a rischio16. L’IRA post-TACE può essere di natura pre-renale o da necrosi tubulare acuta: la diagnosi differenziale va posta precocemente per decidere il tipo di trattamento. Nel nostro caso, le dimensioni della lesione (>3 cm), la classe B di Child, l’incremento dell’ascite dopo trattamento, le condizioni cliniche generali, costituivano segni da non sottovalutare, perché indicatori iniziali di un possibile deficit di volemia efficace e quindi di possibile IRA; la dimissione volontaria del paziente ha impedito la diagnosi precoce; tuttavia – in questi casi – va raccomandato lo stretto controllo della funzionalità renale anche a domicilio. Bibliografia 1. Clinical management of hepatocellular carcinoma. Conclusions of the Barcelona-2000 EASL Conference. Bruix J, Sherman M, Llovet MJ, Beaugrand M, Lencioni R, Burroughs AK, et al. for the EASL Panel of Experts on HCC. J Hepatol 2001; 35: 42130. 2. Mazzanti R, Pinzani M, Zignego AL, et al. Effect of recombinant human γinterferon on advanced hepatocellularcarcinoma. In: Gentilini P, Dianzani MU, eds. Pathophysiology of the liver. Amsterdam: Excerpta Medica 1988; 227-35. 3. Pelletier G, Ducreux M, Gay F, et al. 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