Salvo Vaccaro Con teoria critica, si suole denominare una corrente di pensiero pluridisciplinare che ha caratterizzato un insieme di pensatori tedeschi del Novecento raggruppati nella cosiddetta Scuola di Francoforte. Formatasi a ridosso dell’ascesa al potere di Hitler, nella Germania degli anni Venti, gli intellettuali che si aggregarono intorno all’Istituto di Ricerca Sociale (Institut für Sozialforschung) conobbero l’esilio nei paesi di democrazia avanzata senza mai più ricongiungersi tutti quanti insieme nel dopo guerra adenaueriano. Tuttavia l’influsso di quel programma di ricerca, battezzato teoria critica dal direttore Max Horkheimer in un saggio-manifesto programmatico del 1937, si è diffuso lungo tutto l’arco del XX secolo sino a lambire il 1968 con celebri testi sui quali si formò la generazione degli anni Sessanta. “Il carattere discorde della totalità sociale nella sua forma attuale, nei soggetti del comportamento critico si sviluppa in contraddizione cosciente, (…) una contraddizione che contrassegna tutti i concetti del modo di pensare critico. (…) Il riconoscimento critico delle categorie che dominano la vita sociale implica al tempo stesso la sua condanna” (Horkheimer 1968, vol. II, pp. 153-154). Duplice è l’asse principale lungo il quale si dirama il ventaglio teorico della Scuola di Francoforte: da un lato, la determinazione di una pratica teorica, radicata nello spessore di un marxismo colto nella sua dimensione peculiare – la critica dell’economia politica – senza sviamenti politici in senso fazioso, che si vuole critica del reale per come esso è: “la spiegazione di ogni accadere come ripetizione” (Adorno, Horkheimer 1947, p. 20), affermano Horkheimer e Adorno equiparando il principio d’immanenza della filosofia borghese con l’apparato mitico di una mimesi 1 senza però la fantasmagoria che la contraddistingueva: “ciò che poteva essere altrimenti, viene livellato” (ib.). Dall’altro, la elaborazione di un pensiero della prassi “tesa a nuove forme sociali” (Horkheimer 1968, vol. II, p. 161) e quindi in grado di informare una profonda e molteplice strategia di trasformazione qualitativa dell’esistenza con “la conseguenza di inasprire la lotta con cui è connessa” (p. 164). Da ciò i numerosi oggetti di analitica critica che comprendono sfere disciplinari quali la sociologia teorica ed empirica, la critica epistemologica, la speculazione filosofica, la ricostruzione storica, la teoria politica e sociale, l’interpretazione psicanalitica, la critica letteraria, le categorie e le pratiche estetiche, l’antropologia mitica e religiosa. Beninteso il fallimento degli intenti politici della Scuola di Francoforte può essere solo parzialmente addebitato alle antinomie paradossali in cui sembrano cadere, secondo il loro primo allievo Jürgen Habermas, i capifila Adorno e Horkheimer; la tragicità del Novecento sconvolge non solo gli intenti programmatici che si modificano man mano che gli autori attraversano gli eventi del secolo breve, ma anche e soprattutto quelle forze-soggetto che di volta in volta, secondo una contingenza storica, avrebbero dovuto ricoprire il ruolo trainante nel processo rivoluzionario. Nel duplice binario viene a costruirsi pertanto una critica argomentata che ambisce alla normatività quale discrimine tra una istanza volontaristica di cambiamento ed una necessità immanente che tuttavia non esclude la singolarità dei soggetti a farsi protagonisti della storia in divenire. L’obiettivo della libertà e della felicità dell’umanità resta sempre al fuoco dell’attenzione con cui si liquida il presente senza regredire nella nostalgia o nella palingenesi attendista. La salvezza è conciliazione perseguita col conflitto. In questo doppio binario vengono tuttavia a emergere ed a stagliarsi in tutta la tragica complessità del Novecento i nodi storici riflessi teoreticamente di una realtà ben diversa da come il marxismo classico l’aveva rappresentata; la teoria critica se ne rende così consapevole sino a emendare il marxismo ai limiti della sua deriva eretica, facendo refluire la durezza dei dati storici sulle categorie 2 analitiche e interpretative da cui si alimenta l’agire politico e la pratica teorica. La biografia intellettuale ed esistenziale dei principali autori della Scuola di Francoforte – Max Horkheimer (1895-1971), Theodor Wiesengrund Adorno (1903-1969), Walter Benjamin (1892-1940), Herbert Marcuse (1898-1979), ma citiamo altresì Franz Neumann, Leo Löwenthal, Karl Wittfogel, Friedrich Pollock, Erich Fromm – intreccia in modo vertiginoso una riflessione teorica e un rispecchiamento storico sino a rendere quasi indiscernibile l’apporto originale di ciascuno di essi con le traiettorie storiche che dalla prima guerra mondiale arrivano alla società dello spettacolo transitando attraverso il secolo del genocidi – la tragedia della shoah innanzitutto, per cui “scrivere una poesia dopo Auschwitz è un atto di barbarie” – i totalitarismi (fascismo, nazismo e comunismo reale sovietico), la sconfitta dell’ipotesi rivoluzionaria con il conseguente declino del marxismo sovversivo ed emancipatore, la riscossa, armata e nucleare, delle democrazie alleate e vittoriose nell’immane secondo conflitto mondiale, l’accelerazione industriale del pianeta e la sua gestione amministrata da una burocrazia anonima e impersonale. Da tali aspetti fenomenologici, la teoria critica si alimenta allora per ristrutturare la cassetta degli attrezzi di un pensiero proteso ad un cambiamento senza aver più a disposizione i punti cardinali di orientamento della modernità: la dissoluzione del soggetto rivoluzionario che sembra scomparire sia nei paesi dove la trasformazione urgerebbe maggiormente, sia in quel paese che pretende di averla realizzata con esiti contraddittori quando non deneganti; la burocratizzazione della vita politica e sociale, già intravista lucidamente da Max Weber, che sembra aver smarrito l’aura di autenticità riconciliata tra spirito e vita, tra sé e mondo, al punto da degradare l’impegno politico a mero servizio in formazioni partitiche pigliatutto (O. Kircheimer) in cui si massifica e si ossifica la tensione ad una democrazia realmente partecipativa; l’industrializzazione delle economie che apporta una riorganizzazione delle società in modo da lasciare spazi meramente residuali e marginali ad una coltivazione dell’esistenza non funzionalizzata coercitivamente 3 alle esigenze del profitto e dell’accumulazione della ricchezza in spregio alla qualità della vita nella sua intima singolarità non annichilita; la spettacolarizzazione incipiente della vita quotidiana, sospinta dalle nuove tecnologie di massa che alimentano un consumo di beni e prodotti culturali ridotti a merci in maniera così ossessiva da esautorare addirittura lo spazio di un pensiero autonomo e disincantato, inadatto a sopravvivere senza pensare a ciò cui viene indotto a pensare. La lettura di questi elementi, presenti nel cuore europeo in diverse forme sia al tempo dei totalitarismi che successivamente nelle democrazie industriali, e che erano già leggibili per quegli intellettuali ebrei sfuggiti all’antisemitismo genocida e rifugiatisi negli Stati Uniti, viene collocata al centro del nucleo teorico della modernità, non al suo esterno come se fosse un accidente della storia; ne scaturisce una riflessione profonda e ambivalente che riconduce quelle che sarebbero potute apparire come patologie del contemporaneo in momenti fisiologici di una razionalità originata dai lumi. Nel capolavoro della teoria critica, Dialettica dell’illuminismo di Max Horkheimer e Theodor W. Adorno, stesa nell’esilio americano durante gli anni della guerra, è alla ragione stessa da cui muovono le istanze emancipatrici dell’umanità che vengono imputate altresì le arroganze della stessa razionalità manipolatrice che prolunga il disegno scientifico del dominio dell’uomo sulla natura inaugurato appunto agli albori del moderno. In ciò rivive quel mito dall’Illuminismo ripudiato, ma mantenuto nella sua totalità quale matematizzazione del mondo naturale e sua riduzione a calcolo razionale. Allora “il pensiero, nel cui meccanismo coattivo la natura si riflette e si perpetua, riflette, proprio in virtù della sua coerenza irresistibile, anche se stesso, come natura immemore di sé, come meccanismo coattivo” (Adorno, Horkheimer 1947, p. 47). Critico allora diviene quel comportamento umano che, nell’individuazione dei gangli nevralgici del nesso identitario tra razionalità e reale con cui si costruisce il mondo a immagine e somiglianza dei poteri forti, adotta in sé le precauzioni autocritiche che gli dovrebbero consentire di controllare la propria potenza recuperando una misura nelle forme in cui tratta i materiali del pensare. Tale misura è 4 l’interruzione, di derivazione nietzscheana, della memoria ereditata quale prolungamento di una logica identitaria che andrebbe radicalmente negata, salvando in essa solo ciò che serba in sé le tracce di una salvezza che viene tradita nell’attimo in cui riproduce la medesima logica pur sotto mutate spoglie: “il pensiero dialettico è il tentativo di spezzare il carattere coattivo della logica coi suoi stessi mezzi” (Adorno 1951, p. 145). La teoria critica condensa quindi in sé un sofisticato movimento del pensare attraverso cui si intende riformulare un potere del sapere non più violentatore del proprio oggetto di conoscenza, destituendone il padrone, il soggetto borghese, mimato dal suo storico antagonista. Il nuovo stile del pensiero, pegno della mutuazione estetica, abbraccia senza soffocare ciò che viene rovesciato come non-identico del mondo, senza che tale operazione significhi la reiterazione del segno con cui la logica cattura le proprie prede assoggettandole sotto le proprie categorie ipotecarie. Nell’interstizio difficile tra vita e concetto, entrambe sottoposte alla negazione delle rispettive determinazioni che le ipostatizzerebbero in una unità di senso coattiva perché escludente, viene individuato quel campo di tensione della dialettica negativa che dovrebbe aprire un orizzonte in cui ciò che non è ancora può accadere non in quanto proveniente da una alterità letteralmente metafisica e perciò altrettanto mitica, bensì in quanto possibilità discontinua di un movimento storico-materiale immanente di una libertà riconciliata con un pensare non totalizzante. (Cfr. anche Consumo produttivo, Critica dell’ideologia, Psicoanalisi della cultura, Film studies, Materialismo culturale, Music studies, Politica culturale) Autorità, Aura, Critica dell’ideologia, Cultura di massa, Dialettica negativa, Famiglia, Industria culturale, Industria dell’intrattenimento, 5 Moderne, Omologia strutturale, Scuola di Francoforte, Società dei consumi, Uomo ad una dimensione, Visione del mondo. http://www.theory.org.uk/ctr-ador.htm http://www.popcultures.com/theorists/adorno.html http://vos.ucsb.edu/browse.asp?id=948 http://www.uta.edu/huma/illuminations http://www.carbon.cudenver.edu/~mryder/itc_data/postmodern.html http://www.wbenjamin.org/walterbenjamin.htm Adorno, T. W., Horkheimer M., 1947, Dialektik der Aufklärung, Amsterdam, Querido; trad. it. 1974, Dialettica dell’Illuminismo, Torino, Einaudi. Adorno, T. W., Horkheimer M., a cura, 1956, Soziologische Exkurse, Frankfurt, Europäische Verlagsanstalt; trad. it. 1966, Lezioni di sociologia, Torino, Einaudi. 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