Adorno e la “teoria critica” della Scuola di Francoforte Scheda didattica a cura di A. Bellan Quando sorse, negli anni Venti, la teoria critica si era ispirata all’idea di una società migliore; aveva un atteggiamento critico verso la società, e altrettanto critico nei confronti della scienza... speravamo che sarebbe giunto il tempo in cui questa società avrebbe potuto essere organizzata in vista del bene di tutti... Una volta realizzata la “società giusta” attraverso la rivoluzione dei dominati, quale era stata concepita da Marx, anche il pensiero sarebbe diventato più giusto... Il cammino della società che infino cominciammo a vedere, e quale oggi lo giudichiamo, è completamente diverso. Ci siamo convinti che la società si trasformerà in un mondo totalmente amministrato. Che tutto sarà regolamentato, davvero tutto!... È una tendenza immanente allo sviluppo dell’umanità. Max Horkheimer (1895-1973) pronuncia questo discorso, intitolato La teoria critica ieri e oggi nel settembre 1969. Egli è la guida, l’organizzatore e la mente ispiratrice di un progetto, la “teoria critica della società” e il co-fondatore del primo istituto europeo per la ricerca sociale, l’Istituto per la Ricerca Sociale (Institut für Sozialforschung) fondato nel 1923 a Francoforte. L’obiettivo dell’Istituto e della “teoria critica” era quello di organizzare, sulla base di problemi filosofici attuali, ricerche con il contributo di filosofi, sociologi, economisti, storici e psicologi. Tale Istituto fu anche il primo ente scientifico di impostazione apertamente marxista a venire riconosciuto da un’università. Fra i collaboratori dell’Istituto spiccano i nomi di Erich Fromm (1900-1980, collaboratore dell’Istituto fino al 1938), psicoanalista freudiano, Friedrich Pollock (1894-1970), economista teorico del capitalismo pianificato, Herbert Marcuse (1898-1979), già allievo di Martin Heidegger e, soprattutto, il musicologo e compositore Theodor W. Adorno (1903-1969), il cui percorso filosofico e intellettuale è uno dei più importanti del Novecento. Fra le opere più significative prodotte da questa “Scuola” vanno ricordate la Dialettica dell’illuminismo di M. Horkheimer e Th.W. Adorno (1947), Eclisse della ragione. Critica della ragione strumentale di M. Horkheimer (1947), i Minima moralia. Meditazioni della vita offesa di Th.W. Adorno (1951), Eros e civiltà e L’uomo a una dimensione di H. Marcuse (1955 e 1964) e la Dialettica negativa di Th.W. Adorno (1966). La tesi fondamentale della teoria critica della società è che la modernità ha in se stessa un potenziale di razionalità e di emancipazione che si esprime però solo in forma contraddittoria (“il tutto è il falso”), incompleta o manchevole. La “teoria tradizionale”, cioè il modello di filosofia e di scientificità da Cartesio a Husserl, accetta in modo inconsapevole, trasfigurandoli come eterni, quei rapporti socio-economici che si impongono agli uomini come se fossero un destino ineluttabile o una “seconda natura”, una natura, cioè, in cui la violenza della prima natura appare in forma mistificata e ideologica, e quindi tanto più pericolosa e insidiosa. Compito del filosofo è allora quello di liberare, con i mezzi dell’autoriflessione critica, tale potenziale di razionalità e di emancipazione, onde realizzare una società più giusta. La critica è essenzialmente critica della ragione strumentale, cioè di una ragione che valuta solo la razionalità dei mezzi, ma che non si pone più il problema del significato o del valore dei fini. In sintesi, la “teoria critica” propone un programma di ricerca interdisciplinare aperto alle scienze sociali e alla storia in cui il pensiero divenga consapevole dei propri condizionamenti storicoculturali, non per arrendersi ad essi, ma per riuscire a trasformare razionalmente la società. Tale programma intende riprendere l’indagine sociale di Marx, sbarazzandosi del carattere ortodosso e fortemente incentrato sull’aspetto economico, per estenderla alle numerose discipline di competenza dei suoi componenti. L’accento dell’indagine viene così spostato dalla storia del movimento operaio a una teoria interdisciplinare della società, “in cui la costruzione filosofica non sia dissociata dalla ricerca empirica”. Superato il modello di Marx, si aprono dubbi a proposito della possibilità di emancipazione per mezzo di una rivoluzione, col sospetto che l’ipotetico artefice – il proletariato – si sia ormai integrato nei ranghi del corpo sociale che avrebbe dovuto sovvertire. Dovendo spiegare così non più la necessità del socialismo, ma il suo mancato avvento, la teoria critica dovrà muovere dall’ambito d’indagine della struttura produttiva alla sfera sovrastrutturale della cultura, dove individua il “collante” dell’edificio sociale capitalista, altrimenti destinato a crollare sotto il peso della sua intrinseca irrazionalità. A. Bellan – Schede didattiche di filosofia 2006-07 La teoria critica lotta contro un pensiero rassegnato, la “teoria tradizionale”, che dipinge il mondo con le tinte del mito e che accetta a livello inconsapevole, trasfigurandoli come eterni, i rapporti socio-economici della società capitalistica/totalitaria, che vede delineate come razionali le gravi patologie di cui è vittima e che saranno oggetto dell’indagine dei francofortesi. Il confronto della ricerca sociale con il “mondo culturale” che gli si oppone avverrà seguendo quattro nuclei tematici principali (cfr. La Scuola di Francoforte. La storia e i testi, a cura di E. Donaggio, Einaudi, Torino 2005, pp. XXV-XXXII). 1. La critica di scienza, metafisica e filosofia e la polemica contro il positivismo. La teoria critica rifiuta l’idea che accomuna approcci teorici molto diversi (empirismo logico, storicismo, antropologia filosofica, filosofia della vita, esistenzialismo, fenomenologia), e cioè la giustificazione dello stato di cose (politico, economico, sociale) esistente. Questa incapacità di andare oltre tale stato di cose deriva dal deficit di riflessività di tali approcci, cioè dalla scarsa consapevolezza del nesso genetico che lega il sapere agli interessi che orientano la conoscenza, in particolare quello verso la scomparsa dell’ingiustizia e l’emancipazione. 2. Il connubio tra marxismo e psicanalisi, che identifica nella sfera pulsionale collettiva l’anello mancante fra il condizionamento socio-economico e l’agire politico. Erich Fromm identifica nella stuttura libidica collettiva una forma di masochismo verso il potere che opprime, che definirà come il carattere masochistico autoritario. A questo tema le indagini di Horkheimer e Marcuse affiancheranno lo studio della funzione della famiglia, che la vede artefice di un imprinting fondamentale, quello dell’educazione alla rassegnazione e all’ubbidienza, che sarà indispensabile al successo del carattere masochistico proprio dell’ordinamento borghese. 3. La critica dell’arte e della cultura di massa, che vede Adorno esaminare come l’estensione a tutte le forme culturali del feticismo delle merci abbia mutato l’opera d’arte, riducendone la fruizione alla sfera del consumo e individuandone gli effetti alienanti descritti come una forma di regressione a un infantilismo che inibisce ogni desiderio di una libertà felice. Paradigma di questo tradimento della promessa racchiusa nell’arte, è l’ascolto “distratto” della musica leggera – in particolare il jazz – e di quella classica confezionata a fini surrettiziamente pubblicitari. Da qua il rifiuto delle tesi sul potenziale emancipativo della cultura di massa, la quale viene anzi definita da Adorno come industria culturale. 4. La critica dell’economia politica e la diagnosi del totalitarismo, non più inteso come sviluppo completo del capitalismo monopolistico (come per Neumann e Kirchheimer), ma che vede, secondo la teoria del capitalismo di Stato di Pollock e la teoria del racket di Horkheimer, un’istanza politica (lo stato autoritario) porre tutte le contraddizioni, potenzialmente esplosive, sotto il controllo di una burocrazia legata all’industria e ai partiti, disinnescandole in maniera definitiva. Si apre così la prospettiva di un mondo completamente amministrato, integralmente organizzato in modo razionale, spostando così l’oggetto d’indagine dell’Istituto da una teoria della rivoluzione mancata a una teoria della civiltà mancata. Lo sviluppo di queste riflessioni verrà poi completato, aprendo nuove strade interpretative, in Dialettica dell’illuminismo. Oltre la Scuola di Francoforte: J. Habermas. Habermas (1929) ha tentato infine di risolvere il problema epistemologico in cui si imbatte la teoria critica della società e ogni pensiero che voglia essere radicalmente critico: quello del valore di verità della critica. Se il teorico critico non fonda i suoi discorsi nelle dimostrazioni scientifiche (come afferma programmaticamente la teoria critica), a quale titolo pretende di dire cose vere? Si tratta di un’obiezione che fu rivolta a suo tempo anche a Marx: le convinzioni degli altri sono sempre ideologiche, cioè dettate da interessi particolari, mentre la critica dell’ideologia si autoconvalida come legittima e vera. Secondo Habermas il valore di verità della teoria critica può invece essere assicurato creando opportune condizioni di comunicazione. Per lui la comunicazione è un rapporto sociale già di per sé diverso dagli altri, perché non teso al conseguimento di scopi, ma orientato alla comprensione reciproca. Questo naturale orientamento alla comprensione può essere potenziato mettendo gli interlocutori in quella che egli chiama la situazione comunicativa ideale, cioè un contesto in cui ciascuno ha eguali opportunità di argomentare, il dialogo è alla pari e non prevale uno solo perché è più potente, più ricco o più colto. Secondo Habermas, per creare le condizioni ideali di dialogo è sufficiente mettersi d’accordo preventivamente sulla necessità di puntare esclusivamente a comprendersi. A. Bellan – Schede didattiche di filosofia 2006-07