Relazione di un saggio breve Argomento: l’etica dello scienziato Sagredo: estrema temerità mi è parsa quella di coloro che vogliono far la capacità umana misura di quanto possa e sappia operar la natura; dove che, all’incontro, e non è effetto alcuno, in natura, per minimo che è sia, all’intera cognizion del quale possano arrivare i più speculativi ingegni. Questa così vana presunzione d’intender il tutto non può aver principio da altro che dal non aver inteso mai nulla, perché, quando altri avesse esperimentato una volta sola a intender perfettamente una sola cosa e avesse gustato veramente come p fatto il sapere, conoscerebbe come dell’infinita dell’alte conclusioni niuna ne intende. Salviati: concludentissimo è il vostro discorso; in confermazion del quale abbiamo l’esperienza di quelli che intendono o hanno inteso qualche cosa, i quali quanto più sono sapienti, tanto più conoscono e liberamente confessano di sapere poco. (G. Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi, 1632) Galileo: finchè l’umanità continuerà a brancolare nella sua madreperlacea nebbia millenaria, fatta di superstizioni e di venerande sentenze, finchè sarà troppo ignorante per sviluppare le proprie energie, non sarà nemmeno capace di sviluppare le energie della natura che le vengono svelate […] . Io credo che la scienza abbia come unico scopo quello di alleviare la fatica dell’esistenza umana. Se gli uomini, intimiditi dai potenti egoisti, si limitano ad accumulare sapere per sapere, la scienza può rimanere ficcata per sempre, e le vostre nuove macchine non saranno fonte che di nuovi triboli per l’uomo. E quando, con l’andar del tempo, avrete scoperto tutto lo scopribile, il vostro progresso non sarà che un progressivo allontanamento dall’umanità. (B. Brecht, Vita di Galileo, trad. it., Einaudi, Torino 1974) Mobius: nella nostra scienza siamo giunti al limite del conoscibile. Conosciamo alcune leggi esattamente definibili, alcuni rapporti fondamentali tra fenomeni incomprensibili, e nient’altro. Tutto il resto, che è enorme, resta un mistero, impenetrabile all’intelletto. Siamo giunti alla fine del nostro cammino. Ma l’umanità non ci è ancora arrivata. Noi siamo avanzati continuamente, e adesso nessuno ci segue, ci siamo spinti nel vuoto. La nostra scienza è divenuta terribile, la nostra ricerca, pericolosa, le nostre scoperte, letali. A noi fisici non resta che capitolare dinanzi alla realtà. L’umanità non può tener testa alla nostra scienza e rischia di perire per colpa nostra. Dobbiamo revocare il nostro sapere, e io l’ho revocato. Non esistono altre soluzioni. (F. Durrenmatt, I fisici, tra. It., Einaudi, Torino 1972) Nel momento stesso in cui le conoscenze tecniche allargano l’orizzonte del pensiero e dell’azione degli uomini, diminuiscono invece l’autonomia dell’uomo come individuo, la sua capacità di difendersi dall’apparato sempre più complesso e potente della propaganda di massa, la forza della sua immaginazione, la sua indipendenza di giudizio. Al progresso delle risorse tecniche che potrebbero servire ad “illuminare” la mente dell’uomo si accompagna un processo di disumanizzazione. (M. Horkheimer, Eclisse della ragione, trad. it., Einaudi, Torino 1969, pp. 9-10) La pressione esercitata dal potere politico sulla scienza (quando, come scriveva ancora Galileo, “persone ignorantissime d’una scienza o arte abbiano ad essere giudici sopra gl’intelligenti”) ha su di essa effetti devastanti. Soprattutto quando, come avvenne nel Seicento e come è avvenuto anche nel nostro secolo, religioni o ideologie o filosofie vengano concepite come visioni totalizzanti o pietre di paragone per giudicare della verità o della falsità di ogni specie di teoria. (V. Ferrone- P. Rossi, Lo scienziato nell’età moderna, Laterza, Roma-Bari 1994) Uno degli ingredienti più importanti della nostra cultura occidentale è ciò che potei forse chiamare la “tradizione razionalistica”, che abbiamo ereditato dai greci. È la tradizione della discussione critica, della discussione cioè, condotta non per amore di se stessa, ma nell’interesse della ricerca della verità. La scienza greca […] fu uno dei prodotti di questa tradizione e del bisogno di intendere il mondo in cui viviamo; e la tradizione inaugurata da Galileo fu la sua rinascita. Si deve riconoscere che nell’ambito di questa tradizione la scienza è tenuta in pregio per i suoi risultati pratici: ma è tenuta in pregio ancor più grande per il suo contenuto informatico e per la sua capacità di liberare la nostra mente dalle credenze vecchie, dai vecchi pregiudizi e dalle vecchie certezze, e di offrirci, al loro posto, nuove congetture e ipotesi in pregio per la sua influenza liberalizzatrice; come una delle forze più grandi che operino per la libertà umana. (K. Popper, Scienza e filosofia, trad. it., Einaudi Scuola, Milano 2007) A questo punto sorge la questione se il progresso della scienza proceda sempre in maniera del tutto autonoma: c’è il pericolo infatti che il ricercatore persegua – inconsciamente o anche deliberatamente – un determinato scopo, e in tal caso la sua indagine non sarà più autonoma ed esclusivamente scientifica, bensì influenzata e condizionata da interessi concernenti il risultato dell’indagine stessa […]. Da questa insidia nasce la necessità morale, l’obbligo personale, per lo scienziato, di essere sempre attento a non lasciarsi guidare da tali interessi. […] io ritengo che l’unico condizionamento possibile – e necessario – per uno scienziato sia quello di non ledere mai in alcun modo, la dignità umana, perché il tener conto delle norme morali nella ricerca scientifica rappresenta l’unica garanzia per conservare alla scienza la sua specifica dignità. (G. Tristano Oppo, Gli interventi e le responsabilità della scienza, in L’evoluzione della scienza e i suoi rapporti con l’etica, Rotare Youth leadership award, Castevecchio Pascoli, 24-30 marzo 1996) La questione non è se qualcuno debba dire ai ricercatori che cosa fare o che cosa non fare, ma chi impone tali limiti e impartisce le direttive e secondo quali criteri. Per la maggioranza degli scienziati, i cui istituti di ricerca vengono direttamente o indirettamente finanziati con i fondi pubblici, i controllori sono i governi, i quali, per quanto rispettino sinceramente i valori della libera ricerca, non aderiscono certo agli stessi criteri ispiratori di un Planck o di un Rutherford o di un Einstein. (E.J.Hobsbawn, Il secolo breve, trad. it., BUR, Milano 2000, p. 642)