tesi definitiva 2 - ART - TORVERGATA OA

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA
"TOR VERGATA"
FACOLTA' DI MEDICINA E CHIRURGIA
DOTTORATO DI RICERCA IN SCIENZE DEL PAVIMENTO PELVICO
XXI CICLO
Studio dell’espressione genica del tessuto connettivo pubo-cervicale nel
colpocele anteriore
Vincenzo Donnarumma
A.A. 2008/2009
Docente Guida/Tutor: Prof. Andrea Luigi Tranqulli
Coordinatore: Prof. Emilio Piccione
Studio dell’espressione genica del tessuto
connettivo pubo-cervicale nel colpocele
anteriore
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Introduzione
Le disfunzioni del pavimento pelvico,
prolasso genitale e incontinenza urinaria, sono
patologie estremamente frequenti la cui prevalenza raggiunge il 50% nella popolazione
femminile di età superiore ai 50 anni ed aumenta con l’età.
La patogenesi è correlata ad uno squilibrio tra le forze dirette dall’interno all’esterno della
cavità addominale che tendono a far erniare i visceri pelvici nello iato genitale e la
resistenza fornita dal pavimento pelvico.
Le sue componenti muscolare e connettivale, fasciale e legamentosa, contribuiscono a
mantenere gli organi pelvici nella corretta posizione.
In particolare un fisiologico tono e una corretta funzione muscolare garantiscono il
supporto agli organi pelvici e la chiusura dello iato genitale in risposta a bruschi aumenti
della pressione endoaddominale.
Le strutture fasciali e legamentose, ancorando i visceri alla parete pelvica, mantengono
gli stessi nella corretta posizione e forniscono resistenza tensile ed elasticità alle pareti
vaginali opponendosi all’erniazione attraverso lo iato genitale.
Un così complesso apparato, cui è affidato il sostegno di tutto il contenuto della cavità
addominale, è tuttavia soggetto ad una altrettanto articolata gamma di possibili insulti
lesivi.
Difatti, insieme con le lesioni dirette, di qualsiasi natura, della componente muscolare e
della sua innervazione e delle componenti connettivali del pavimento pelvico, si possono
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riconoscere fattori ambientali promuoventi le suddette lesioni, come la costipazione,
l’obesità e le patologie polmonari croniche, ed altri predisponenti lo sviluppo delle stesse,
come lo stato menopausale
e una alterata composizione del tessuti connettivo della
fascia endopelvica. (1)
In merito al ruolo della predisposizione genetica alle disfunzioni del pavimento pelvico,
recenti studi epidemiologici hanno evidenziato l’associazione del prolasso genitale con la
sindrome di ipermobilità articolare, l’esistenza di cluster familiari con segregazione
autosomica dominante a penetranza variabile delle disfunzioni del pavimento pelvico e,
mediante ricerche condotte su gemelli monozigoti, l’indipendenza da fattori ambientali
della predisposizione genetica. (2-6)
Oltre alle osservazioni
epidemiologiche,
studi istochimici, immunoenzimatici e
radioimmunologici hanno indagato la presenza di alterazioni del tessuto connettivo della
fascia endopelvica e della parete vaginale.
Questo è composto di componenti fibrillari (collagene ed elastina) e di una componente
non fibrillare (glicoproteine non collegenasiche e proteoglicani) responsabili delle proprietà
meccaniche del tessuto.
Hanno inoltre un ruolo fondamentale per la regolazione dei processi di rigenerazione e
rimodellamento del tessuto che, in tal senso, è caratterizzato da una continua
trasformazione; questa è lenta nelle normali condizioni e accentuata nella gravidanza,
nella menopausa, in corso di terapia ormonale sostitutiva e nel prolasso degli organi
pelvici. (7-11)
Sono state pertanto prodotte evidenze sulla differente rappresentazione quantitativa e
qualitativa del tessuto collagene, sull’accentuata attività di metalloproteinasi, sulla ridotta
attività di inibitori delle metalloproteinasi,
sulla ridotta rappresentazione di elastina,
sull’attività elastolitica e sugli effetti del clima ormonale nei tessuti di pazienti affette da
disfunzioni del pavimento pelvico rispetto a controlli sani.
3
Il tessuto collagene è responsabile della forza tensile del tessuto, quantificabile come il
carico massimo sopportato prima della rottura.
Nella parete vaginale sono prevalenti le fibre di collagene di tipo I, III e V, appartenenti alla
classe dei collageni fibrillari, con diametro compreso tra 10 e 300 nm, costituite da una
struttura a tripla elica di catene alfa polipeptidiche la cui composizione determina il tipo di
collagene e le relative proprietà.
Tra questi le fibre di collagene di Tipo I sono quelle aventi il diametro maggiore, offrono
grande resistenza alla tensione e sono pertanto prevalenti in tessuti quali i legamenti, i
tendini e la cute.
Il collagene di tipo III è formato da fibre di minori dimensioni e di minor forza tensile ed è
predominante nei tessuti che richiedono una maggior elasticità e distensibilità.
Il collagene di tipo V è organizzato in fibre di dimensioni ancora minori cui corrisponde una
ridotta forza tensile e una maggiore elasticità ed è il tipo di collagene meno rappresentato
nei tessuti del connettivo pelvico.
Il collagene di tipo I è copolimerizzato con fibre di collagene di tipo III e di tipo V a formare
fasci di fibre con diametro differente in funzione della quota di ciascun collagene e che
determinano le proprietà biomeccaniche del tessuto.
Studi condotti per determinare alterazioni della quantità e della morfologia del collagene
nel connettivo pelvico di pazienti affette da prolasso hanno prodotto risultati contrastanti
riportando sia un aumento che una diminuzione della quota di collagene.
Inoltre l’impiego di differenti metodi di misurazione dello stesso e l’assenza di informazioni
sul sito di prelievo o della natura istologica del campione rende difficile il confronto tra
questi studi.
Tuttavia il dato prevalente che sembra emergere consiste nella ridotta quantità di
collagene e in un aumento della quota di collagene di tipo III nei prelievi da legamento
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uterosacrale delle pazienti affette da prolasso indipendentemente dall’età e dalla parità
delle pazienti. (10, 12-14)
Tale aumento di collagene di tipo III potrebbe tuttavia rappresentare non il fattore
scatenante la genesi del prolasso ma il risultato del rimodellamento indotto
dall’iperstiramento del tessuto.
Difatti insieme con l’aumento di collagene di tipo III è stato riscontrato un aumento
dell’attività delle metalloproteinasi 9 e tale associazione è tipica del tessuto in corso di
rimodellamento
indotto
da
traumi
e
dall’adattamento
a
un
carico
meccanico
progressivamente maggiore.
Tale considerazione è supportata anche dal rilievo del consensuale incremento
dell’espressione della tenascina, glicoproteina della matrice extracellulare implicata nei
processi di riparazione delle ferite. (15,17)
Il bilancio tra sintesi e degradazione del collagene è importante per il mantenimento
dell’integrità tissutale e dipende dall’equilibrio tra attività di metalloproteasi tissutali (MMP)
e dei loro inbitori, e dall’effetto di regolazione che queste esercitano sul rilascio, sequestro
o attivazione di fattori di crescita, di proteine leganti i fattori di crescita, di recettori di
membrana e di molecole di adesione e comunicazione intercellulare.
Sono state descritte oltre 23 membri della famiglia delle metalloproteinasi e tutte agiscono
degradando una o più d’una delle componenti della matrice extracellulare, seppure con
alcune specificità. (18)
Le collagenasi neutrofila ed interstiziale (MMP-1, MMP-8, MMP-13) sono in grado di
degradare il collagene fibrillare mentre le gelatinasi (MMP2 e MMP9) degradano i
frammenti così prodotti mentre le catepsine acide depolimerizzano la struttura a tripla elica
del collagene e di altre macromolecolecole.
L’azione combinata di questi enzimi permette alle MMP di degradare tutte le componenti
della matrice extracellulare.
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La regolazione dell’attività delle MMP avviene a più livelli, dalla modulazione della
produzione di proenzimi, alla presenza di inibitori tissutale delle metalloproteinasi (TIMP)
che legano e inibiscono l’azione delle MMP.
TIMP 1 e 3 si legano alle MMP 1 e 9, mentre la MMP2 è contrastata da TIMP-2.(19)
Recentemente è stato descritto inoltre un sistema di autoregolazione dell’azione delle
MMP2 attraverso l’inattivazione spontanea in un processo definito di autocatalisi. (9)
Altra proprietà meccanica del tessuto connettivo pelvico è l’elasticità ovvero la capacità di
opporre resistenza meccanica alle forze che agiscono su di esso e di riacquistare la
propria forma originale quando queste forze cessano.
Tale proprietà è determinata dalla quantità e qualità dell’elastina presente.
Questa è un polimero costituito da monomeri di tropo-elastina, uniti da legami cross-link
catalizzati dalle lisil-ossidasi, e depositati su di fibrille proteiche che ne costituiscono
l’impalcatura.
La peculiarità dell’elastina nel compartimento pelvico è duplice: in primo luogo per le
funzioni degli organi pelvici chiamati a resistere a notevoli sollecitazioni meccaniche in
corso di gravidanza e nel parto e capaci di involuzione fino alle dimensioni originali nel
puerperio; in secondo luogo per il metabolismo stesso dell’elastina, il cui turnover appare
pressoché assente nella maggior parte dei tessuti dell’adulto ed è al contrario costante
nell‘apparato genitale femminile. (20-23)
L’importanza dell’elastina è inoltre evidenziata dalla prevalenza e della severità del
prolasso degli organi pelvici nelle sindromi genetiche che alterano la struttura dell’elastina
come la sindrome di Marfan, provocata dalla mutazione del gene della fibrillina-1, e dalla
sindrome cutis laxa, provocata da mutazioni dei geni per l’elastina e la fibulina 5.
Valutazioni della quantità di elastina nei tessuti della fascia endopelvica, ottenute
attraverso dosaggi radioimmunologici della desmosina o valutazioni immunoistochimiche,
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sembrano confermare una riduzione della quantità della molecola a livello di tutti i
compartimenti della fascia endopelvica.(16,17,24,25)
Indagata infine l’attività dell’elastasi neutrofila nelle pazienti affette da incontinenza urinaria
da sforzo, questa è risultata aumentata rispetto ai controlli solo nella fase secretiva del
ciclo mestruale. (26)
Nel complesso tali informazioni delineano un possibile meccanismo patogenetico dei
disordini del pavimento pelvico coincidente con l’alterata omeostasi dell’elastina.
Inoltre la sempre migliore caratterizzazione della struttura dei macroaggregati di elastina,
la scoperta del legame con proteine della matrice extracellulare implicate nei sistemi di
adesione cellulare e di siti di legame per mediatori extracellulari (27-29), ha notevolmente
ampliato gli orizzonti della ricerca scientifica.
Si inizia difatti a comprendere il ruolo dei macroaggregati insolubili della matrice
extracellulare
nella
mediazione
della
funzione
dei
fattori
di
crescita
tissutali,
tradizionalmente attribuito ad altri componenti della stessa matrice come proteoglicani,
proteasi tissutali ed eparansolfato. (30-35)
In particolare sono state ipotizzate le funzioni di legame e di rilascio dei mediatori
extracellulari con possibilità di creare gradienti di concentrazione in relazione alla
particolare composizione del tessuto e dell’attività proteolitica della matrice extracellulare.
I macroaggregati insolubili avrebbero inoltre anche un ruolo nella regolazione della
proteolisi della matrice extracellulare.
In contrasto con la visione classica dei macroaggregati fibrillari della matrice extracellulare
come strutture statiche, responsabili dell’architettura del tessuto connettivo, emerge in
modo sempre più evidente la loro influenza sulla regolazione delle attività cellulari, delle
attività enzimatiche e, attraverso queste, sulla composizione della matrice extracellulare
stessa.
7
In ultima analisi, questi influenzano le caratteristiche del tessuto sia attraverso le proprietà
biomeccaniche intrinseche sia modulando i processi di riparazione
e rigenerazione
tissutale.
A tali speculazioni sono corrisposte negli ultimi anni una serie di conferme sperimentali nei
modelli animali e nell’uomo. (36-41)
Alla luce della grande varietà di vie metaboliche attive nel tessuto connettivo, un’indagine
per la ricerca di fattori predisponesti la genesi del prolasso degli organi pelvici limitata
all’analisi quali-quantitativa delle sole molecole tradotte nel tessuto appare quantomeno
fortemente limitata.
A ciò si aggiunga che il notevole numero di studi istochimici ed immunoenzimatici ha
prodotto risultati a volte contrastanti che, pensiamo, possano essere stati influenzati anche
dalla selezione di diverse tipologie di pazienti e di diversi compartimenti della fascia
endopelvica.
Al contrario il nostro studio ha lo scopo di valutare estesamente l’espressione genica su
campioni di tessuto connettivo pelvico, prelevati da una popolazione omogenea per fattori
di rischio acquisiti, al fine di individuare squilibri dell’attività di trascrizione genica e di
ipotizzare pattern metabolici predisponenti l’insorgenza dei disturbi del pavimento pelvico.
Sono stati pertanto dosati i livelli di mRNA di geni selezionati coinvolti nel metabolismo
della matrice extracellulare e di altri geni codificanti per molecole di adesione sia nei
campioni patologici, provenienti da pazienti affette da colpocele anteriore, che nei
campioni di controllo, provenienti da donne senza evidenza di prolasso genitale, per
individuare, tra i geni in esame, quelli implicati nella genesi dei disturbi del pavimento
pelvico.
Riteniamo difatti che l’indagine dell’attivazione genica rappresenti il primo fondamentale
livello di ricerca, funzionale allo studio del metabolismo del tessuto connettivo e della
patogenesi dei disordini del pavimento pelvico.
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La scelta dei campioni da analizzare è ricaduta sulla fascia pubocervicale, o fascia di
Halban, per l’implicazione della stessa nella patogenesi del colpocele anteriore e, nella
prospettiva di una successiva traslazione in ambito clinico della ricerca, per l’importanza
della sua qualità nella scelta di una chirurgia di riparazione verso una chirurgia sostitutiva
della fascia stessa.
Come precedentemente sottolineato, la distribuzione del tessuto collagene è differente per
tipo e quantità nelle diverse porzioni della fascia endopelvica, con prevalenza del
collagene di tipo I nelle strutture legamentose uterosacrali e cardinali, e di collagene tipo III
nel connettivo vaginale. (42)
Tale difformità è fisiologica e funzionale alle peculiari esigenze di ciascun distretto
anatomico.
Sulla scorta delle considerazione sopraesposte, è verosimile che in diverse regioni della
fascia endopelvica siano pertanto attive vie metaboliche diverse responsabili della
produzione e del rimodellamento del tessuto connettivo.
Tale postulato ci ha indotti ad eseguire biopsie della fascia pubocervicale in pazienti affette
da colpocele anteriore e nei controlli sani nonostante la previsione di una maggiore
difficoltà tecnica del prelievo in corso di chirurgia laparotomica.
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2
Materiali e metodi
Criteri per il reclutamento dei soggetti partecipanti allo studio e
raccolta dei campioni
Purificazione dell’RNA totale
Valutazione dei profili di espressione mediante PCR array e
Real- Time PCR
Analisi statistica
L’attività di ricerca è stata articolata in tre momenti distinti:
raccolta dei campioni di fascia pubocervicale dai soggetti partecipanti allo studio;
purificazione dell’ RNA totale dai tessuti recuperati;
valutazione dei profili di espressione mediante PCR Array e Real-Time PCR.
2.1 Criteri per il reclutamento dei soggetti partecipanti allo studio e raccolta dei
campioni
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I soggetti partecipanti allo studio sono stati reclutati presso la Clinica Ostetrica e
Ginecologica dell’Università Politecnica delle Marche, Ospedale materno infantile Salesi di
Ancona, nel periodo di tempo compreso tra il 2007 e il 2008.
Criterio di inclusione dei casi è stato la presenza di colpocele anteriore di stadio
3
secondo POP-Q, associato o meno a prolasso degli altri segmenti vaginali, in pazienti
candidate ad intervento chirurgico di correzione del prolasso vaginale.
Criteri di esclusione dallo studio sono stati:
Anamnesi ostetrica positiva per distocie del parto o per macrosomia fetale (cut off
del peso alla nascita
4000 gr.)
Anamnesi chirurgica positiva per chirurgia sulla fascia endopelvica
Anamnesi ginecologica positiva per dismenorrea intensa (considerata tale se
associata a ricorso di analgesici) o per dolore pelvico cronico
Anamnesi patologica personale positiva per connettiviti e vasculiti, ricorso a terapia
corticosteroidea cronica, obesità (BMI
30 kg/m2), broncopneumopatia cronica
ostruttiva
Anamnesi patologica familiare positiva per connettiviti e vasculiti
Stato premenopausale e menopausa della durata inferiore ad 1 anno
Con il consenso informato della paziente, previa visita uroginecologica e stadiazione del
prolasso utero vaginale secondo POP-Q, sono stati eseguiti prelievi di fascia
pubocervicale dopo esposizione della stessa in corso di cistopessi mediante colporrafia
anteriore.
I campioni dei controlli sono stati prelevati in corso di isterectomia totale laparotomica per
indicazione diversa dal prolasso utero vaginale nella fase precedente la chiusura della
cupola vaginale.
Seguendo tali criteri il campionamento di tessuto pubocervicale è stato eseguito su:
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9 pazienti affette da colpocele anteriore con cistocele
4 pazienti non affette da colpocele anteriore (affette da patologia annessiale e/o
uterina benigna).
Grande attenzione è stata posta alla selettività nel prelievo di tessuto ed in nessun caso
sono stati prelevate biopsie a tutto spessore della parete vaginale.
I campioni, immediatamente dopo il prelievo, sono stati congelati in azoto liquido e
conservati a -80 °C.
Il tempo totale massimo per le procedure è stato di 5 minuti.
2.2 Purificazione dell’RNA totale dai tessuti recuperati
Relativamente a ciascun campione l’RNA totale è stato isolato a partire da tessuto
connettivale (5-10 mg), mediante l’impiego dell’RNeasy Micro Kit (Qiagen).
La liberazione dell’RNA avviene all’interno di dispositivi filtranti centrifughi (forniti con il kit)
attraverso una serie di quattro passaggi che determinano in successione la lisi del tessuto,
la denaturazione dei complessi nucleoproteici, l’inattivazione dell’attività ribonucleasica
endogena e la rimozione di DNA e proteine contaminanti.
Tale metodica combina le proprietà distruttive e protettive della guanidina tiocianato (GTC)
e del -mercaptoetanolo per inattivare le ribonucleasi presenti nell’estratto tissutale.
La GTC, infatti, assieme all’SDS provoca la distruzione dei complessi nucleoproteici ed il
rilascio dell’RNA in soluzione; la diluizione dell’estratto tissutale con un’alta concentrazione
di GTC favorisce la precipitazione delle proteine, mentre l’RNA rimane in soluzione.
L’aggiunta di etanolo provoca la precipitazione dell’RNA che si lega al dispositivo filtrante
della colonna mentre il DNA (digerito per via enzimatica tramite impiego della DNasi I) e le
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altre impurità contaminanti si raccolgono nel fondo della vial attraverso una successione di
lavaggi con uno specifico tampone salino.
L’RNA viene eluito dalla colonna con 14
l di acqua “nuclease free” e raccolto in una
nuova vial.
2.2.1 Analisi spettrofotometrica dell’RNA estratto
Per determinare la concentrazione e la presenza di eventuali contaminanti (proteine,
GTC,
DNA)
nell’RNA
isolato
da
tessuto
è
stata
effettuata
un’analisi
spettrofotometrica: da ognuno degli estratti a disposizione è stata prelevata
un’aliquota di cui, previa opportuna diluizione in acqua sterile, è stata determinata
l’assorbanza a 260nm.
La concentrazione dell’RNA estratto è legata al valore dell’assorbanza secondo la
seguente formula:
[RNA estratto] (
g/ l)=
Abs 260nm X Fattore di diluizione X 0.04
Dove:
0,04= coefficiente di estinzione molare per gli acidi nucleici a singolo filamento.
2.2.2 Verifica dell’integrità dell’RNA estratto
Allo scopo di saggiarne l’integrità, una quantità pari a 1 g di RNA estratto da campioni di
controllo e patologici, implementato del relativo tampone di caricamento (Fermentas)
contenente 0,015% di blu di bromofenolo, 0,015% di xilene, 10% di glicerolo e EDTA 10
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mM viene assoggettato a migrazione elettroforetica sul gel di agarosio all’1% in TBE 1X
(90 mM Tris-Borato e 2 mM EDTA, pH 8,0).
Il gel si allestisce portando ad ebollizione una sospensione di agarosio solido in un
tampone acquoso (nel nostro caso TBE) fino ad ottenere una soluzione limpida; a
quest’ultima, raffreddata a 60°C, si addiziona un volume di bromuro di etidio tale da avere
una concentrazione finale di 0,5 g/ml.
Questo colorante si intercala tra le basi azotate degli acidi nucleici e li rende visibili se
esposto ad una sorgente UV.
La soluzione viene quindi versata all’interno di uno stampo e raffreddandosi dà origine ad
una matrice la cui porosità è determinata dalla concentrazione del polimero stesso nella
soluzione iniziale.
La migrazione elettroforetica avviene all’interno di una vasca fornita di due elettrodi
(catodo e anodo) collegati ad un generatore di corrente.
Al gel, una volta immerso nel tampone di corsa (TBE 1X), viene applicata una differenza di
potenziale di 50-70 V che dà inizio al processo elettroforetico.
Nell’intervallo di pH (7,5-7,8) sia del tampone di corsa che del gel, l’RNA e il DNA risultano
carichi negativamente e migrano dal catodo verso l’anodo con una mobilità elettroforetica
che è condizionata esclusivamente dalle loro dimensioni dal momento che la densità di
carica (quantità di carica per unità di lunghezza) dovuta ai gruppi fosfato rimane costante: i
frammenti più lunghi mostrano maggiore difficoltà al passaggio attraverso i pori del gel
mentre i più piccoli migrano più velocemente.
2.2.3 Reazione di retro trascrizione
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Il processo di retrotrascrizione si svolge grazie all’attività della trascrittasi inversa, enzima
isolato per la prima volta dai retrovirus eucariotici.
Tale enzima è in grado di sintetizzare una molecola di DNA utilizzando come stampo un
filamento di RNA; per questa ragione la trascrittasi inversa può essere considerata una
DNA polimerasi RNA-dipendente.
In generale le DNA polimerasi consentono lo svolgimento della reazione di
polimerizzazione di una catena polinucleotidica complementare ad un singolo filamento di
DNA impiegato come stampo (nella retrotrascrizione il templato è rappresentato da una
molecola di RNA); l’enzima catalizza la formazione di un legame fosfodiesterico tra il
gruppo 3’-OH del deossiribosio relativo all’ultimo nucleotide ed il fosfato in 5’ del dNTP da
aggiungere alla catena.
Nessuna DNA polimerasi nota può iniziare la sintesi di un filamento di DNA ex novo;
questi enzimi infatti possono solo catalizzare l’addizione dei dNTPs ad un filamento
preesistente.
Per tale ragione si rende necessario l’impiego di oligonucleotidi (primers) forniti di
estremità 3’-idrossilate rivolte in direzione del frammento da sintetizzare; i primers
costituiscono un innesco per la polimerasi che può così sintetizzare filamenti di DNA in
direzione 5’
3’.
Una quantità pari a 1,5
g di RNA totale viene sottoposto ad una reazione di
retrotrascrizione mediante l’impiego del kit RT2 First Strand (SABiosciences), secondo le
istruzioni indicate nel seguente protocollo operativo.
Miscela di digestione del DNA genomico
RNA totale
Buffer GE
x l
2 l
42° C per 5 minuti
H2O RNase-free fino ad un volume di 10 l
4°C fino alla fase successiva
15
RT cocktail
Buffer BC3
Buffer P2
Buffer RE3
4 l
1 l
2 l
H2O RNase-free
3 l
L’RT cocktail (10 l) viene aggiunto alla miscela precedente (10 l).
L’intera miscela (20
l) viene riscaldata a 42°C per 15 min, a 95°C per 5 min e
successivamente mantenuta a 4°C. Alla miscela di retrotrascrizione (20
l) vengono
aggiunti 91 l di H2O.
2.2.4 Verifica mediante PCR del cDNA sintetizzato
La tecnica della reazione a catena della DNA polimerasi (Polymerase Chain Reaction),
ideata da Kary Mullis (43) alla metà degli anni '
80, offre la possibilità di produrre un
enorme numero di copie di specifiche sequenze di DNA senza ricorrere al clonaggio.
La PCR sfrutta alcune peculiarità della duplicazione del DNA. La DNA polimerasi impiega
un DNA a filamento singolo come stampo per la sintesi di un nuovo filamento
complementare.
Gli stampi di DNA a filamento singolo sono prodotti per denaturazione della doppia elica
mediante alta temperatura.
Per avviare la sintesi, la DNA polimerasi necessita anche di una piccola regione a doppio
filamento.
16
Quindi il punto di inizio della sintesi può essere specificato fornendo come innesco un
oligonucleotide, il primer complementare allo stampo proprio in quel punto.
La PCR consente quindi di indirizzare la polimerasi a sintetizzare una regione specifica di
DNA. E'
una tecnica così sensibile che può dare un amplificato partendo da una singola
molecola di DNA presente in una miscela o compresa in un filamento più lungo e
consentire poi la visualizzazione su gel d'
agarosio.
Per avere risultati ottimali si può agire su vari parametri fisici e chimici.
La concentrazione consigliata della Taq polimerasi è normalmente compresa tra 1 e 2.5
unità per 100 l di reazione, quella dei deossinucleotidi tra 20 e 200 M.
Una concentrazione troppo elevata di enzima porterebbe alla formazione di prodotti
secondari non specifici; una quantità ridotta consentirebbe invece una scarsa
amplificazione.
E'importante ottimizzare anche la concentrazione di magnesio in quanto può avere effetti
sull'
accoppiamento
dei
primers
con
il
filamento
stampo,
sulla
temperatura
di
denaturazione, sulla specificità dei prodotti, sull'
attività e sulla fedeltà della polimerasi.
Anche la scelta dei primers è guidata da alcune regole: il contenuto in G+C deve essere
del 50% e si devono evitare ripetizioni successive della stessa base che potrebbero
facilitare appaiamenti errati.
Si devono considerare anche le eventuali strutture secondarie e la formazione di dimeri di
primers che influirebbero negativamente sul risultato dell'
amplificazione.
La distanza tra i siti di legame dei primers sui filamenti del DNA deve essere appropriata,
in funzione della capacità di separazione del gel e dell'
attività limite dell'
enzima: non deve
essere inferiore alla lunghezza minima dei frammenti di DNA individuabili nel gel di
separazione utilizzato (44) e nemmeno superiore alla massima lunghezza di sequenza
nucleotidica efficentemente sintetizzata dall'
enzima DNA
polimerasi (circa 2000
nucleotidi).
17
Alla provetta contenente il DNA da amplificare vengono aggiunti i 2 oligonucleotidi che
servono da primer, la DNA polimerasi e una mistura dei 4 nucleotidi precursori.
La DNA polimerasi più usata è la Taq, un enzima inizialmente estratto e purificato dal
batterio termofilo Thermus aquaticus (45) ma ora disponibile in forma ingegnerizzata (46).
Questa miscela di reazione è riscaldata a circa 94°C.
A questa temperatura le doppie eliche si sono completamente separate.
La temperatura viene poi abbassata per permettere ai primers oligonucleotidici di
appaiarsi alle sequenze complementari presenti nelle molecole di DNA.
Questa temperatura di appaiamento (annealing) è un parametro variabile capace di
determinare la specificità della PCR. Per la tappa successiva la temperatura è portata a
72° per consentire all'
enzima termostabile Taq polimerasi di copiare il DNA.
Ripetendo le tre fasi (denaturazione, appaiamento, allungamento) nel tempo (Fig. 2.1), il
processo può essere reso ciclico.
I cicli sono compiuti automaticamente in uno strumento chiamato "termocycler",
programmato per passare alle diverse temperature richieste nei tempi previsti.
Il numero dei cicli dipende dalla concentrazione iniziale del DNA bersaglio e ad ogni ciclo
si ha il doppio delle copie di DNA amplificato (47).
Come tutti i processi biochimici, la duplicazione del DNA mediante PCR non è un
processo esente da errori visto che, nel corso della reazione, vengono prodotte delle copie
non fedeli all’originale.
Può succedere infatti che la DNA polimerasi incorpori nella catena in allungamento
nucleotidi errati; questo accade poiché la Taq polimerasi manca dell’attività esonucleasica
3’ 5’, cioè non può svolgere la funzione di “correzione di bozze” (proofreading).
Normalmente nelle copie di DNA tali errori vengono introdotti con una frequenza di un
nucleotide sbagliato ogni 2 × 104 nucleotidi incorporati.
18
Se l’errore di incorporazione avviene nelle fasi iniziali del processo di amplificazione, si
avrà un maggior numero di copie mutate rispetto a quando la mutazione avviene nel corso
degli ultimi cicli.
Tale inconveniente può essere circoscritto dando inizio alla PCR con un numero elevato di
molecole di DNA stampo; in tal caso il numero di cicli di amplificazione richiesto è minore e
tale sarà anche la quota di errori introdotti nelle copie neo-sintetizzate.
Fig. 2.1 Rappresentazione schematica della
reazione a catena della polimerasi. Nella figura
sono rappresentati 4 cicli di PCR articolati nelle fasi
di (1) Denaturazione a 94°C (2) Annealing a 55°C60°C (45) Estensione a 72°C. Al DNA templato
(linea blu) si appaiano i primers (linea rossa) che
vengono poi estesi dalla Taq Polimerasi (cerchio
verde) per aumentare il numero delle copie della
sequenza bersaglio (linea verde).
Un’aliquota di cDNA, pari a 6 µl della miscela di retrotrascrizione (111 µl) ottenuta al
termine della procedura descritta nel paragrafo precedente, è stata utilizzata come
templato in una reazione di PCR.
Tale analisi è stata realizzata utilizzando dei primers le cui sequenze nucleotidiche sono
qui di seguito riportate e che sono stati progettati in maniera tale da condurre alla sintesi di
amplificati relativi ad una regione del cDNA per la -actina pari a 116 bp.
I primers utilizzati sono i seguenti:
• 5’-ctcttccagccttccttcct-3’ (forward),
19
• 5’-agcactgtgttggcgtacag -3’ (reverse).
La reazione di PCR è stata eseguita in un volume di 25
l contenente buffer 1X
addizionato di Mg2+, 200 M di ciascuno dei quattro dNTPs, 300 nM di ciascuno dei due
primers, 0,02 U/ l di DNA polimerasi Sigma Aldrich (D4585) ed 6
l di cDNA, quale
stampo.
Il saggio di PCR è stato condotto per impiego del termociclatore PCR Express
Thermohybaid con i seguenti parametri di amplificazione:
- denaturazione iniziale a 94°C per 3’
- denaturazione a 94°C per 30’’
- annealing dei primers e polimerizzazione a 56°C per 30’’
35 cicli di amplificazione
- polimerizzazione finale a 72°C per 5’
Per verificare l’avvenuta amplificazione del retrotrascritto si è allestito un gel di agarosio al
2% in TAE 1X (45 mM Tris-Acetato, 1 mM EDTA, pH 8,0) e nel gel di corsa, oltre alle
miscele di PCR, è stato caricato un opportuno marcatore di peso molecolare in grado di
segnalarci se l’amplificato ottenuto era di taglia opportuna.
20
2.3 Valutazione dei profili di espressione mediante PCR array e Real- Time PCR
La Real-Time PCR è una tecnica che consente la simultanea amplificazione e
quantificazione del DNA stampo attraverso il monitoraggio in tempo reale dell’intensità di
fluorescenza che si libera dal prodotto di amplificazione durante la reazione a catena della
DNA polimerasi: questo risulta possibile mediante l’impiego di marcatori fluorescenti il cui
accumulo, a livello del prodotto di reazione, segue la stessa cinetica della PCR.
Il colorante fluorescente, intercalato nel DNA a doppio filamento ed eccitato da una luce
laser, emette energia luminosa ad una specifica lunghezza d’onda.
La luce raccolta ed analizzata da uno spettrografo viene poi convogliata in una telecamera
CCD.
Il detector CCD integra il segnale e lo converte in un dato numerico che viene conservato
dal software gestito da un personal computer interfacciato al termociclatore.
L’ampia disponibilità sul mercato di fluorocromi con diversi spettri di assorbimento ed
eccitazione ha reso possibile lo sviluppo di diverse chimiche di reazione che consentono di
rilevare in modo più o meno specifico i prodotti di amplificazione e possono essere
teoricamente applicate a tutte le strumentazioni disponibili per lo svolgimento di analisi
mediante Real-Time PCR.
I metodi comuni di quantificazione del DNA amplificato mediante Real-Time PCR
includono l'
impiego di molecole fluorescenti che si intercalano in maniera aspecifica al
DNA a doppio-filamento (SYBR Green) (48) e di sonde ad ibridazione, ovvero
oligonucleotidi modificati (marcati con molecole fluorescenti) che, una volta ibridati in
maniera specifica al frammento amplificato del gene di interesse, emettono fluorescenza
(sonde TaqMan).
21
2.3.1 Curva di amplificazione e ciclo soglia
Durante lo svolgimento di una reazione di amplificazione del DNA mediante Real-Time
PCR, la quantità di prodotto che si forma dopo un ciclo termico raddoppia al ciclo
successivo. Misurando l’incremento di fluorescenza, dovuto alla formazione di nuovo
prodotto di reazione, all’avanzare dei cicli, è possibile ricavare la curva di amplificazione
del templato di interesse.
Tale
diagramma
esibisce
un
andamento
tipicamente
sigmoide,
caratterizzato
fondamentalmente da tre fasi:
•
una prima fase in cui al susseguirsi dei cicli di amplificazione non corrisponde un
significativo incremento di fluorescenza; ciò è dovuto al fatto che la quantità di prodotto
amplificato genera un segnale fluorescente che si mantiene al di sotto della soglia di
rilevabilità dello strumento;
•
una fase esponenziale in cui, con l’avanzare dei cicli termici, inizia a diventare
significativo l’incremento di fluorescenza dovuto all’accumulo di prodotto di
amplificazione; in questa fase tutti i reagenti sono nel loro rapporto ottimale di
concentrazione e per questo la quantità di amplificato che si forma risulta direttamente
proporzionale alla quantità di templato iniziale;
•
una fase di plateau in cui l’intensità di fluorescenza non aumenta in maniera
significativa al progredire del numero dei cicli a causa di una ridotta disponibilità dei
substrati consumati nel corso della reazione: la quantità di amplificato che si forma non
è più direttamente proporzionale alla quantità di DNA stampo.
La metodica della PCR “classica” consente di valutare l’entità dell’amplificato nella fase di
plateau assoggettando a migrazione elettroforetica le miscele di reazione a termine del
processo di amplificazione; la tecnica della Real-Time PCR, invece, consente di misurare
22
la quantità di amplificato che si forma durante la fase esponenziale del processo di
amplificazione grazie alla possibilità di monitorare in “tempo reale” l’emissione di
fluorescenza relativa al templato di interesse.
In questa fase, quindi, sarà possibile individuare un ciclo di amplificazione ottimale a cui
corrisponde un valore di fluorescenza che è misura della quantità di prodotto che si è
formato.
Tale ciclo di amplificazione prende il nome di ciclo soglia (Ct) e graficamente corrisponde
al punto in cui la curva di amplificazione interseca la linea di base (Threshold line).
A questa linea virtuale, che distingue la fluorescenza di fondo da segnali imputabili a reali
amplificazioni, corrisponde un valore ben definito di fluorescenza, al di sopra del quale
FLUORESCENZA (RFU)
diventa significativo qualsiasi incremento di fluorescenza (Fig. 2.2).
Ct
CICLI DI AMPLIFICAZIONE
Fig. 2.2 Curva di amplificazione
2.3.2 Efficienza di amplificazione e curva di Melting
Nella messa a punto delle condizioni di reazione negli esperimenti di Real-Time PCR,
sussistono dei passaggi fondamentali quali la produzione di templati puliti e la
progettazione di primers opportuni.
23
In tal senso, nello svolgimento di questo tipo di indagine biologica, risulta di fondamentale
importanza non prescindere da condizioni essenziali quali l’accuratezza e la riproducibilità
degli esperimenti.
Se l’accuratezza è imputabile per gran parte all’operatore che pianifica e realizza
l’esperimento, la riproducibilità dipende essenzialmente dall’efficienza del processo di
amplificazione.
Per determinare il valore di efficienza di amplificazione relativo ad un esperimento di RealTime PCR, si sfrutta la relazione lineare che intercorre tra il valore di Ct e il logaritmo in
base 10 (Log o log10) del numero di copie del templato iniziale.
Pertanto, allestendo miscele di amplificazione con diluizioni seriali del DNA target, è
possibile ricavare per ciascuna un valore di Ct. Interpolando i valori di Ct e del Log del
numero delle copie di templato iniziale è possibile costruire una retta di regressione lineare
(49).
La pendenza ricavata dall’equazione di tale retta può essere direttamente correlata
all’efficienza della reazione di amplificazione mediante la seguente legge:
E = [10(-1/pendenza)] - 1
Tale valore di efficienza solitamente espresso in termini percentuali, da un lato sancisce la
riproducibilità ed esprime l’attendibilità del risultato sperimentale, dall’altro definisce il
range dinamico di linearità della quantità di templato analizzabile con successo, in definite
condizioni sperimentali.
In generale, un valore di efficienza compreso tra 80% e 120% risulta accettabile per lo
svolgimento di esperimenti di Real-Time PCR, assicurando una buona riproducibilità dei
dati, garanzia fondamentale per la standardizzazione della metodica.
Diversi sono i parametri che influiscono sull’efficienza di amplificazione tra cui le condizioni
di reazione (valore di pH, concentrazione dei dNTPs, concentrazione di Mg++), l’efficienza
24
della DNA polimerasi, il numero dei cicli termici, la sequenza dei primers e la loro
concentrazione, la temperatura di annealing.
Negli esperimenti di Real-Time PCR condotti mediante l’impiego di sostanze fluorescenti
che si intercalano in modo aspecifico alla doppia elica del DNA amplificato, al termine del
processo di amplificazione, il software elabora la curva di Melting.
Tale curva fornisce, infatti, importanti indicazioni sulla “purezza” del prodotto di
amplificazione e quindi sull’attendibilità del risultato ottenuto.
La necessità di elaborare la curva di Melting fa riferimento a diverse considerazioni:
1
i coloranti fluorescenti impiegati negli esperimenti di Real-Time PCR (tra i quali il SYBR Green
rappresenta il più utilizzato e quello che consente di operare in condizioni di massima
sensibilità), se intercalati alla doppia elica, emettono una fluorescenza di gran lunga superiore
a quella emessa quando sono liberi in soluzione;
2
il DNA a doppio filamento si denatura con l’incremento della temperatura;
3
a seguito della denaturazione, la molecola intercalante abbandona la doppia elica tornando in
soluzione e ciò determina un decremento della fluorescenza del mezzo di reazione.
La temperatura di Melting (Tm) di un frammento di DNA a doppio filamento si definisce
come la temperatura alla quale, nella miscela di reazione, il 50% del DNA presente è
organizzato a doppio filamento.
Ciascun frammento di DNA a doppio filamento avrà uno specifico valore di Tm che dipende
dalla lunghezza e dalla composizione in basi del frammento in esame.
Quindi, conoscendo la Tm dell’amplicone che si deve quantizzare mediante Real-Time
PCR, è possibile indagare sulla specificità del prodotto di reazione.
La costruzione della curva di Melting è resa possibile impostando, a livello del
termociclatore, lievi incrementi di temperatura (0,5°C) al termine del processo di
amplificazione.
25
In questa maniera, all’aumentare della temperatura, si assiste ad un graduale decremento
della fluorescenza generato dalla denaturazione del prodotto di reazione (DNA a doppio
filamento) e dal conseguente rilascio nel mezzo di reazione del colorante intercalante.
A livello grafico, la Tm è rappresentata da un punto di flesso della curva di Melting (Fig.
2.3).
Riportando in ascissa la temperatura e in ordinata la derivata 1a del rapporto tra l’intensità
di fluorescenza rispetto alla temperatura (-dI/dT), il punto di flesso viene convertito in un
picco: il picco di Melting.
La curva di Melting consente quindi di verificare la presenza di fluorescenza aspecifica
generata da dimeri di primers o da amplificati diversi dall’amplicone di interesse (50) (Fig.
2.4).
26
FLUORESCENZA (RFU)
Tm
TEMPERATURA (°C)
Fig. 2.3 Curva di Melting. A livello grafico i valori di Tm sono rappresentati dai punti di flesso della
curva.
-d (RFU) /dT
A
TEMPERATURA (°C)
-d (RFU) /dT
B
TEMPERATURA (°C)
Fig. 2.4 (A) Rappresentazione della curva di Melting di due diversi amplificati con differenti Tm. (B)
Rappresentazione della curva di Melting, in presenza di un solo amplificato.
27
2.3.3 Quantizzazione e geni housekeeping
La molteplicità dei campi di indagine biomedica in cui tale metodica trova applicazione
rende la Real-Time PCR estremamente versatile; tuttavia, l’analisi dell’espressione genica
risulta il settore di ricerca in cui questa tecnica di biologia molecolare mostra il suo più
ampio impiego.
La Real-Time PCR consente infatti di effettuare una valutazione dei livelli di espressione di
un gene di interesse grazie alla determinazione quantitativa del relativo RNA messaggero,
dopo la sua conversione a cDNA.
I prodotti di amplificazione possono essere quantizzati in modo assoluto o relativo.
La quantizzazione assoluta è basata sulla costruzione di una curva standard in cui
vengono riportati i valori di Ct relativi all’amplificazione di diluizioni seriali di DNA
plasmidico, o altre forme di DNA, contenenti nella loro sequenza nucleotidica l’amplicone
relativo al gene di interesse.
Verificata la coincidenza dei livelli di efficienza di amplificazione tra campioni incogniti e
standard è possibile risalire al numero di copie del prodotto di amplificazione del gene di
interesse presenti nel campione indagato per interpolazione del suo valore di Ct sulla
curva standard di riferimento.
Il metodo di quantizzazione relativa consente invece di valutare le differenze nei livelli di
espressione di un gene tra un campione ed il relativo controllo.
In questo senso tale approccio quantitativo, pur risultando più semplice dal punto di vista
procedurale, non consente la determinazione del numero di copie del prodotto di
amplificazione (relativo al gene di cui si intende analizzare l’espressione), bensì il semplice
confronto tra i cicli soglia di amplificazione del gene in esame tra il campione ed il suo
controllo.
28
Per poter effettuare tale confronto è necessario disporre di uno “standard interno”, di un
riferimento, comune sia al campione, sia al controllo, rappresentato da un gene diverso dal
gene di interesse (GOI), ed espresso costitutivamente nel campione e nel controllo.
Tali geni costitutivi, denominati housekeeping (HKG), sono caratterizzati dal fatto che la
loro espressione segue l’attività trascrizionale della cellula: ne consegue che la quantità di
RNA e quindi di cDNA utilizzato quale templato è ad essa proporzionale (51).
In questo senso, prima di valutare la differenza tra i Ct del GOI nel campione e nel
controllo, è necessario determinare per ciascuno i valori di Ct del HKG.
Calcolati tali valori, si può procedere alla determinazione dell’espressione relativa del GOI
secondo lo schema che segue:
GOI Ct
GOI Ct
campione
controllo
HKG Ct
HKG Ct
S Ct
C Ct
espressione relativa =
2
- ( S Ct - C Ct)
Tale valore, che risulta attendibile a parità di efficienza di amplificazione del GOI e
dell’HKG, esprime dunque l’entità dell’espressione differenziale del gene d’interesse tra il
campione ed il suo controllo.
La valutazione quantitativa dell’espressione dei geni selezionati è stata condotta
utilizzando uno strumento costituito da un termociclatore provvisto di un lettore ottico per
la lettura della fluorescenza.
29
2.3.4 PCR Array
Il nostro progetto di ricerca, volto a valutare nella fascia pubocervicale l’espressione dei
geni specifici per i costituenti della matrice extracellulare e per le molecole di adesione
intercellulare, si è basato su uno studio realizzato mediante PCR Array.
Tale indagine è volta a ricercare alterazioni nell’ espressione genica nelle pazienti affette
da disfunzioni del pavimento pelvico al fine di individuare pattern predisponenti.
L’analisi mediante PCR Array è una tecnologia che permette la simultanea valutazione di
numerosi geni in un singolo esperimento con una capacità informativa significativamente
maggiore dell’analisi separata di singoli o di soli pochi markers.
La tecnica è articolata in 4 steps:
1. sintesi del cDNA (fase precedentemente descritta),
2. allestimento della miscela di PCR,
3. amplificazione e analisi di Melting,
4. raccolta ed elaborazione dei dati.
Per quanto concerne la fase di allestimento della miscela di PCR, un aliquota pari a 102 µl
del cDNA sintetizzato in precedenza viene addizionata a 1275 µl di RT Real-Time SYBR
Green/Fluorescein PCR master mix e a 1173 µl di H2O sterile.
Tale miscela viene quindi trasferita in aliquote da 25 µl all’interno di pozzetti raggruppati in
un supporto solido costituito da una piastra (Figura 2.5 A).
Relativamente ai campioni presi in esame, l’analisi dei profili di espressione genica è stata
condotta a carico dei geni coinvolti nel metabolismo della matrice extracellulare e delle
molecole di adesione cellulare.
30
A tale scopo sono state impiegate piastre contenenti 96 pozzetti prodotte dalla
SABiosciences e indicate con la sigla RT2 Profiler PCR Array System - Human
Extracellular Matrix and Adhesion Molecules PCR arrays (PAHS – 013A).
All’interno di ciascun pozzetto è presente in forma liofilizzata un set di primers per
l’amplificazione di un gene specifico.
(A)
(B)
Fig. 2.5 (A) Immagine relativa ad una piastra PCR Array contenente 96 pozzetti. (B) Rappresentazione
schematica della dislocazione dei pozzetti in cui avviene l’amplificazione dei geni di interesse, dei geni
housekeeping e delle sequenze per il controllo della contaminazione da DNA genomico, dell’efficienza di
retrotrascrizione e di amplificazione mediante PCR.
31
In particolare nelle piastre da 96 pozzetti è possibile esplorare l’espressione di 84 geni di
interesse relativi ad uno specifico pathway (nel nostro caso i geni coinvolti nella
comunicazione intercellulare e nell’interazione tra cellule e matrice extracellulare) e di 5
geni housekeeping, utilizzati per la normalizzazione dei dati sperimentali, indispensabile
per poter effettuare la valutazione dell’espressione genica differenziale nei vari campioni.
Inoltre è possibile valutare la presenza di DNA genomico contaminante il cDNA
sintetizzato, nonché di saggiare l’efficienza dei processi di retrotrascrizione e di
amplificazione mediante PCR (Figura 2.5 B).
L’analisi mediante PCR Array delle piastre relative ai campioni presi in esame è stata
condotta utilizzando iCycler, quale termociclatore accoppiato allo strumento di
acquisizione iQ5 Real-Time PCR Detection System (Bio-Rad).
L’amplificazione ha previsto l’adozione delle seguenti condizioni:
1. denaturazione iniziale a 95°C per 10’
2. denaturazione a 95°C per 15’’
3. annealing dei primers e polimerizzazione a 60°C per 1’
40 cicli di amplificazione
Al termine della reazione di amplificazione l’allestimento delle curve di Melting relative a
ciascun amplificato è stato condotto secondo il seguente protocollo:
1. mantenimento delle miscele a 95°C per 1’
2. mantenimento delle miscele a 55°C per 1’
3. incrementi consecutivi di 0,5°C (da 55°C a 94,5°C) compiuti ogni 10’’.
L’acquisizione della fluorescenza relativa agli amplificati è stata effettuata al termine della
fase 3 di ciascun ciclo termico del processo di amplificazione e al compimento di ogni
singolo incremento relativo alla fase di Melting.
Di seguito viene riportato l’elenco dei geni la cui espressione viene esplorata nella piastra
RT2 Profiler PCR Array System - Human Extracellular Matrix and Adhesion Molecules
PCR arrays (PAHS – 013A), prodotta dalla SABiosciences. I geni vengono rappresentati
32
secondo l’ordine di dislocazione nei pozzetti sulla piastra (Tab. 1), in raggruppamento
funzionale (Tab. 2) e successivamente in elenco dettagliato (Tab. 3).
Tabella 1: Array Layout
ADAMTS1
A01
COL4A2
B01
ECM1
C01
ITGAL
D01
LAMB1
E01
MMP3
F01
SPP1
G01
B2M
H01
ADAMTS13
A02
COL5A1
B02
FN1
C02
ITGAM
D02
LAMB3
E02
MMP7
F02
TGFBI
G02
HPRT1
H02
ADAMTS8
A03
COL6A1
B03
HAS1
C03
ITGAV
D03
LAMC1
E03
MMP8
F03
THBS1
G03
RPL13A
H03
CD44
A04
COL6A2
B04
ICAM1
C04
ITGB1
D04
MMP1
E04
MMP9
F04
THBS2
G04
GAPDH
H04
CDH1
A05
COL7A1
B05
ITGA1
C05
ITGB2
D05
MMP10
E05
NCAM1
F05
THBS3
G05
ACTB
H05
CNTN1
A06
COL8A1
B06
ITGA2
C06
ITGB3
D06
MMP11
E06
PECAM1
F06
TIMP1
G06
HGDC
H06
COL11A1
A07
VCAN
B07
ITGA3
C07
ITGB4
D07
MMP12
E07
SELE
F07
TIMP2
G07
RTC
H07
COL12A1
A08
CTGF
B08
ITGA4
C08
ITGB5
D08
MMP13
E08
SELL
F08
TIMP3
G08
RTC
H06
COL14A1
A09
CTNNA1
B09
ITGA5
C09
KAL1
D09
MMP14
E09
SELP
F09
CLEC3B
G09
RTC
H09
COL15A1
A10
CTNNB1
B10
ITGA6
C10
LAMA1
D10
MMP15
E10
SGCE
F10
TNC
G10
PPC
H10
COL16A1
A11
CTNND1
B11
ITGA7
C11
LAMA2
D11
MMP16
E11
SPARC
F11
VCAM1
G11
PPC
H11
COL1A1
A12
CTNND2
B12
ITGA8
C12
LAMA3
D12
MMP2
E12
SPG7
F12
VTN
G12
PPC
H12
Tabella 2: Functional gene grouping
Cell Adhesion Molecules:
Transmembrane Molecules: CD44, CDH1, HAS1, ICAM1, ITGA1, ITGA2, ITGA3, ITGA4, ITGA5, ITGA6,
ITGA7, ITGA8, ITGAL, ITGAM, ITGAV, ITGB1, ITGB2, ITGB3, ITGB4, ITGB5, MMP14, MMP15, MMP16,
NCAM1, PECAM1, SELE, SELL, SELP, SGCE, SPG7, VCAM1.
Cell-Cell Adhesion: CD44, CDH1, COL11A1, COL14A1, COL6A2, CTNND1, ICAM1, ITGA8, VCAM1.
Cell-Matrix Adhesion: ADAMTS13, CD44, ITGA1, ITGA2, ITGA3, ITGA4, ITGA5, ITGA6, ITGA7, ITGA8,
ITGAL, ITGAM, ITGAV, ITGB1, ITGB2, ITGB3, ITGB4, ITGB5, SGCE, SPP1, THBS3.
Other Adhesion Molecules: CNTN1, COL12A1, COL15A1, COL16A1, COL5A1, COL6A1, COL7A1,
COL8A1, VCAN, CTGF, CTNNA1, CTNNB1, CTNND2, FN1, KAL1, LAMA1, LAMA2, LAMA3, LAMB1,
LAMB3, LAMC1, THBS1, THBS2, CLEC3B, TNC, VTN.
33
Extracellular Matrix Proteins:
Basement Membrane Constituents: COL4A2, COL7A1, LAMA1, LAMA2, LAMA3, LAMB1, LAMB3, LAMC1,
SPARC.
Collagens & ECM Structural Constituents: COL11A1, COL12A1, COL14A1, COL15A1, COL16A1, COL1A1,
COL4A2, COL5A1, COL6A1, COL6A2, COL7A1, COL8A1, FN1, KAL1.
ECM Proteases: ADAMTS1, ADAMTS13, ADAMTS8, MMP1, MMP10, MMP11, MMP12, MMP13, MMP14,
MMP15, MMP16, MMP2, MMP3, MMP7, MMP8, MMP9, SPG7, TIMP1.
ECM Protease Inhibitors: COL7A1, KAL1, THBS1, TIMP1, TIMP2, TIMP3.
Other ECM Molecules: VCAN, CTGF, ECM1, HAS1, SPP1, TGFBI, THBS2, THBS3, CLEC3B, TNC, VTN.
Tabella 3: Gene Table
Position
UniGene
RefSeq
Symbol
A01
Hs.643357
NM_006988
ADAMTS1
A02
Hs.131433
NM_139025
ADAMTS13
A03
Hs.271605
NM_007037
ADAMTS8
A04
Hs.502328
NM_000610
Description
Gene Name
ADAM metallopeptidase with
thrombospondin type 1 motif, 1
ADAM metallopeptidase with
thrombospondin type 1 motif, 13
ADAM metallopeptidase with
thrombospondin type 1 motif, 8
C9orf8/DKFZp434C2322
CD44
CD44 molecule (Indian blood group)
CDW44/CSPG8
Arc-1/CD324
C3-C5/METH1
ADAM-TS8/METH2
A05
Hs.461086
NM_004360
CDH1
Cadherin 1, type 1, E-cadherin
(epithelial)
A06
Hs.143434
NM_001843
CNTN1
Contactin 1
F3/GP135
A07
Hs.523446
NM_080629
COL11A1
Collagen, type XI, alpha 1
CO11A1/COLL6
A08
Hs.101302
NM_004370
COL12A1
Collagen, type XII, alpha 1
COL12A1L
A09
Hs.409662
NM_021110
COL14A1
Collagen, type XIV, alpha 1
UND
A10
Hs.409034
NM_001855
COL15A1
Collagen, type XV, alpha 1
FLJ38566
A11
Hs.368921
NM_001856
COL16A1
Collagen, type XVI, alpha 1
447AA/FP1572
A12
Hs.172928
NM_000088
COL1A1
Collagen, type I, alpha 1
OI4
B01
Hs.508716
NM_001846
COL4A2
Collagen, type IV, alpha 2
DKFZp686I14213
B02
Hs.210283
NM_000093
COL5A1
Collagen, type V, alpha 1
COL5A1
B03
Hs.474053
NM_001848
COL6A1
Collagen, type VI, alpha 1
OPLL
B04
Hs.420269
NM_001849
COL6A2
Collagen, type VI, alpha 2
DKFZp586E1322/PP3610
EBD1/EBDCT
B05
Hs.476218
NM_000094
COL7A1
Collagen, type VII, alpha 1
(epidermolysis bullosa, dystrophic,
dominant and recessive)
B06
Hs.654548
NM_001850
COL8A1
Collagen, type VIII, alpha 1
C3orf7
B07
Hs.695930
NM_004385
VCAN
Versican
CSPG2/DKFZp686K06110
B08
Hs.591346
NM_001901
CTGF
Connective tissue growth factor
CCN2/HCS24
B09
Hs.445981
NM_001903
CTNNA1
B10
Hs.476018
NM_001904
CTNNB1
B11
Hs.166011
NM_001331
CTNND1
Catenin (cadherin-associated protein),
alpha 1, 102kDa
Catenin (cadherin-associated protein),
beta 1, 88kDa
Catenin (cadherin-associated protein),
delta 1
CAP102
CTNNB/DKFZp686D02253
CAS/CTNND
34
B12
Hs.314543
NM_001332
CTNND2
Catenin (cadherin-associated protein),
delta 2 (neural plakophilin-related armrepeat protein)
GT24/NPRAP
C01
Hs.81071
NM_004425
ECM1
Extracellular matrix protein 1
ECM1
C02
Hs.203717
NM_002026
FN1
Fibronectin 1
CIG/DKFZp686F10164
C03
Hs.57697
NM_001523
HAS1
Hyaluronan synthase 1
HAS
Intercellular adhesion molecule 1
(CD54), human rhinovirus receptor
BB2/CD54
Integrin, alpha 1
CD49a/VLA1
C04
Hs.707983
NM_000201
ICAM1
C05
Hs.696076
NM_181501
ITGA1
Integrin, alpha 2 (CD49B, alpha 2
subunit of VLA-2 receptor)
Integrin, alpha 3 (antigen CD49C, alpha
3 subunit of VLA-3 receptor)
Integrin, alpha 4 (antigen CD49D, alpha
4 subunit of VLA-4 receptor)
Integrin, alpha 5 (fibronectin receptor,
alpha polypeptide)
C06
Hs.482077
NM_002203
ITGA2
C07
Hs.265829
NM_002204
ITGA3
C08
Hs.694732
NM_000885
ITGA4
C09
Hs.505654
NM_002205
ITGA5
C10
Hs.133397
NM_000210
ITGA6
Integrin, alpha 6
CD49f/ITGA6B
C11
Hs.524484
NM_002206
ITGA7
Integrin, alpha 7
FLJ25220
C12
Hs.171311
NM_003638
ITGA8
Integrin, alpha 8
Integrin a8
Integrin, alpha L (antigen CD11A (p180),
lymphocyte function-associated antigen
1; alpha polypeptide)
Integrin, alpha M (complement
component 3 receptor 3 subunit)
Integrin, alpha V (vitronectin receptor,
alpha polypeptide, antigen CD51)
Integrin, beta 1 (fibronectin receptor,
beta polypeptide, antigen CD29 includes
MDF2, MSK12)
Integrin, beta 2 (complement component
3 receptor 3 and 4 subunit)
Integrin, beta 3 (platelet glycoprotein IIIa,
antigen CD61)
BR/CD49B
CD49C/GAP-B3
CD49D/IA4
CD49e/FNRA
D01
Hs.174103
NM_002209
ITGAL
CD11A/LFA-1
D02
Hs.172631
NM_000632
ITGAM
D03
Hs.436873
NM_002210
ITGAV
D04
Hs.707987
NM_002211
ITGB1
D05
Hs.375957
NM_000211
ITGB2
D06
Hs.218040
NM_000212
ITGB3
D07
Hs.632226
NM_000213
ITGB4
Integrin, beta 4
CD104
D08
Hs.536663
NM_002213
ITGB5
Integrin, beta 5
FLJ26658
D09
Hs.521869
NM_000216
KAL1
Kallmann syndrome 1 sequence
ADMLX/HHA
D10
Hs.270364
NM_005559
LAMA1
Laminin, alpha 1
LAMA
LAMM
CD11B/CR3A
CD51/DKFZp686A08142
CD29/FNRB
CD18/LAD
CD61/GP3A
D11
Hs.200841
NM_000426
LAMA2
Laminin, alpha 2 (merosin, congenital
muscular dystrophy)
D12
Hs.436367
NM_000227
LAMA3
Laminin, alpha 3
E170/LAMNA
E01
Hs.650585
NM_002291
LAMB1
Laminin, beta 1
CLM
E02
Hs.497636
NM_000228
LAMB3
Laminin, beta 3
LAMNB1
E03
Hs.609663
NM_002293
LAMC1
Laminin, gamma 1 (formerly LAMB2)
LAMB2
E04
Hs.83169
NM_002421
MMP1
E05
Hs.2258
NM_002425
MMP10
E06
Hs.143751
NM_005940
MMP11
E07
Hs.1695
NM_002426
MMP12
E08
Hs.2936
NM_002427
MMP13
E09
Hs.2399
NM_004995
MMP14
E10
Hs.80343
NM_002428
MMP15
E11
Hs.546267
NM_005941
MMP16
Matrix metallopeptidase 1 (interstitial
collagenase)
Matrix metallopeptidase 10 (stromelysin
2)
Matrix metallopeptidase 11 (stromelysin
3)
Matrix metallopeptidase 12 (macrophage
elastase)
Matrix metallopeptidase 13 (collagenase
3)
Matrix metallopeptidase 14 (membraneinserted)
Matrix metallopeptidase 15 (membraneinserted)
Matrix metallopeptidase 16 (membraneinserted)
CLG/CLGN
SL-2/STMY2
SL-3/ST3
HME/MME
CLG3
MMP-X1/MT1-MMP
MT2-MMP/MTMMP2
MMP-X2/MT-MMP2
35
E12
Hs.513617
NM_004530
MMP2
F01
Hs.375129
NM_002422
MMP3
F02
Hs.2256
NM_002423
MMP7
F03
Hs.161839
NM_002424
MMP8
F04
Hs.297413
NM_004994
MMP9
F05
Hs.503878
NM_000615
NCAM1
F06
Hs.514412
NM_000442
PECAM1
F07
Hs.89546
NM_000450
SELE
F08
Hs.82848
NM_000655
SELL
F09
Hs.73800
NM_003005
SELP
F10
Hs.371199
NM_003919
SGCE
Matrix metallopeptidase 2 (gelatinase A,
72kDa gelatinase, 72kDa type IV
collagenase)
Matrix metallopeptidase 3 (stromelysin 1,
progelatinase)
Matrix metallopeptidase 7 (matrilysin,
uterine)
Matrix metallopeptidase 8 (neutrophil
collagenase)
Matrix metallopeptidase 9 (gelatinase B,
92kDa gelatinase, 92kDa type IV
collagenase)
MMP-7/MPSL1
Neural cell adhesion molecule 1
CD56/MSK39
Platelet/endothelial cell adhesion
molecule (CD31 antigen)
Selectin E (endothelial adhesion
molecule 1)
Selectin L (lymphocyte adhesion
molecule 1)
Selectin P (granule membrane protein
140kDa, antigen CD62)
Sarcoglycan, epsilon
Secreted protein, acidic, cysteine-rich
(osteonectin)
Spastic paraplegia 7 (pure and
complicated autosomal recessive)
Secreted phosphoprotein 1 (osteopontin,
bone sialoprotein I, early T-lymphocyte
activation 1)
Transforming growth factor, betainduced, 68kDa
CLG4/CLG4A
MMP-3/SL-1
CLG1/HNC
CLG4B/GELB
CD31/PECAM-1
CD62E/ELAM
CD62L/LAM-1
CD62/CD62P
DYT11/ESG
F11
Hs.111779
NM_003118
SPARC
ON
F12
Hs.185597
NM_003119
SPG7
G01
Hs.313
NM_000582
SPP1
G02
Hs.369397
NM_000358
TGFBI
G03
Hs.164226
NM_003246
THBS1
Thrombospondin 1
THBS/TSP
G04
Hs.371147
NM_003247
THBS2
Thrombospondin 2
TSP2
G05
Hs.169875
NM_007112
THBS3
Thrombospondin 3
TSP3
G06
Hs.522632
NM_003254
TIMP1
TIMP metallopeptidase inhibitor 1
CLGI/EPA
G07
Hs.633514
NM_003255
TIMP2
TIMP metallopeptidase inhibitor 2
CSC-21K
G08
Hs.701968
NM_000362
TIMP3
TIMP metallopeptidase inhibitor 3
(Sorsby fundus dystrophy,
pseudoinflammatory)
HSMRK222/K222
G09
Hs.476092
NM_003278
CLEC3B
C-type lectin domain family 3, member B
DKFZp686H17246/TN
G10
Hs.143250
NM_002160
TNC
Tenascin C (hexabrachion)
HXB/TN
G11
Hs.109225
NM_001078
VCAM1
Vascular cell adhesion molecule 1
CD106/DKFZp779G2333
G12
Hs.2257
NM_000638
VTN
Vitronectin
V75/VN
H01
Hs.534255
NM_004048
B2M
Beta-2-microglobulin
B2M
H02
Hs.412707
NM_000194
HPRT1
Hypoxanthine phosphoribosyltransferase
1 (Lesch-Nyhan syndrome)
HGPRT/HPRT
H03
Hs.523185
NM_012423
RPL13A
Ribosomal protein L13a
RPL13A
H04
Hs.544577
NM_002046
GAPDH
Glyceraldehyde-3-phosphate
dehydrogenase
G3PD/GAPD
H05
Hs.520640
NM_001101
ACTB
Actin, beta
PS1TP5BP1
H06
N/A
SA_00105
HGDC
Human Genomic DNA Contamination
HIGX1A
H07
N/A
SA_00104
RTC
Reverse Transcription Control
RTC
H08
N/A
SA_00104
RTC
Reverse Transcription Control
RTC
H09
N/A
SA_00104
RTC
Reverse Transcription Control
RTC
H10
N/A
SA_00103
PPC
Positive PCR Control
PPC
H11
N/A
SA_00103
PPC
Positive PCR Control
PPC
H12
N/A
SA_00103
PPC
Positive PCR Control
PPC
CAR/CMAR
BNSP/BSPI
BIGH3/CDB1
36
2.3.5 Raccolta ed elaborazione dei dati
L’analisi dei dati al termine della reazione di amplificazione e dell’allestimento delle curve
di Melting è stata condotta mediante l’impiego del software iQ5 Optical System, Version
2.0 (Bio-Rad).
Negli esperimenti relativi ai campioni presi in esame la threshold è stata posizionata
sempre al medesimo valore di fluorescenza (= 100).
Tale procedura ha consentito di determinare per ciascun gene il valore di Ct. Sono stati
considerati non attendibili (negative calls) tutti i segnali a cui corrispondeva un valore di
ciclo soglia pari a N/A o maggiore di 35.
In merito all’analisi di Melting sono stati considerati attendibili gli amplificati con un picco
simmetrico rispetto al proprio asse mediano, con una base non superiore a 4-5°C, che sul
grafico descrivesse una punta (spike) e la cui temperatura non fosse inferiore a 77°C.
Successivamente per ciascuna piastra è stato verificato che:
•
il Ct relativo all’amplificato di controllo per la contaminazione da DNA genomico
(GDC) fosse N/A o
•
35,
la differenza tra la media dei Ct relativi agli amplificati di controllo dell’efficienza
della retrotrascrizione (RTC) e la media dei Ct relativi agli amplificati di controllo
dell’efficienza della PCR (PPC) fosse
•
il Ct medio relativo agli amplificati di controllo dell’efficienza della PCR (PPC) fosse
Relativamente ai campioni presi in esame, per ciascun gene è stato determinato il
Ct,
adottando la beta actina quale housekeeping.
37
Per calcolare l’espressione relativa di ciascun gene in un campione rispetto al suo
controllo è stata applicata la formula 2-
Ct
secondo le modalità descritte in precedenza.
2.3.5 I primer impiegati nello studio
Dopo aver elaborato i risultati ottenuti mediante PCR Array, i geni che risultavano
avere profili d’espressione alterati nei patologici rispetto al controllo sono stati
singolarmente indagati mediante Real-Time PCR.
A questi geni è stato aggiunto uno ulteriore, la Fibulina 5 Dance (FBLN-5) non
presente nelle piastre usate in questa indagine.
Per ottenere templati utili alla valutazione quantitativa mediante Real-Time PCR
dell’espressione del gene prescelto, sono stati sintetizzati i cDNA corrispondenti a
partire dagli RNA purificati come precedentemente descritto.
La reazione di retrotrascrizione, eseguita utilizzando il kit M-MLV RT Promega, è una
procedura articolata in 2 steps:
1. al campione di RNA totale (2 g) vengono aggiunti i nonameri random quali
primers (0,1 g/ l) e la soluzione, del volume finale di 15 l, viene incubata a
70°C per 5’ e poi posta in ghiaccio.
2. vengono quindi aggiunti alla soluzione un enzima inibitore delle ribonucleasi
(25 U), un opportuno tampone, la miscela di dNTP (acronimo di
deossiribonucleotiditrifosfato) (10 mM) e da ultimo l’enzima della trascrittasi
inversa M-MLV (200 U) in un volume finale di 25 l; tale miscela viene quindi
incubata a 37°C per 60’ e infine la temperatura viene abbassata a 4°C.
38
Il cDNA, ottenuto in tal modo, è stato quindi utilizzato quale stampo nelle analisi
mediante Real-Time PCR condotte al fine di validare i dati precedentemente ottenuti.
Nello studio condotto sono stati utilizzati i seguenti primers:
5’-CTCTTCCAGCCTTCCTTCCT-3’(forward),
5’-AGCACTGTGTTGGCGTACAG-
3’(reverse) per lo studio dell’mRNA relativo al gene della
-actina (ACTB), 5’-
GACACGTGAGCTTCAGCATTG-3’(forward) e 5’-AAAGGTGACCTGGACGATCA3’(reverse) per lo studio dell’mRNA relativo al gene dell’integrina
3 (ITGB3) e 5’-
GAAGGAAGAACGCCAGCTC-3’ (forward) e 5’-GGAAGGCAGATTTGGTTCAG-3’
(reverse) per lo studio dell’mRNA relativo al gene della proteina della matrice extracellulare (ECM1).
Per ridurre ulteriormente la possibilità di falsi positivi, attribuibili alla amplificazione di
DNA genomico contaminante nella preparazione del cDNA, i primers sono stati
costruiti
utilizzando
il
software
Primer3
disponibile
on-line
(http://frodo.wi.mit.edu/cgibin/primer3/primer3_www.cgi) a partire dalla CDS (coding
sequence) dell’RNA messaggero maturo depositata in GeneBank (NM_001101.3,
NM_004425, NM_006329.3 e NM_000212 rispettivamente per la ACTB, per ECM1,
per la FBLN5 e per la ITGB3).
Tutti i primers da noi costruiti sono stati testati prima in PCR classica per la loro
specificità nell’amplificare il tratto di interesse e poi in Real-Time PCR per verificarne
l’efficienza.
39
2.3.6 La composizione delle miscele di reazione e il dosaggio dei geni
Nello studio di Real-Time PCR sono state allestite miscele di reazione di 25 l (in
triplicato per ciascun campione) contenente:
o 12,5 l di iQTM Sybr Green Super Mix (BIORAD)
o 1 l di cDNA quale stampo
o Primer specifici ad una concentrazione finale di 200nM e di
300nM rispettivamente per lo studio dei geni di interesse e della
-actina.
L’espressione relativa dei GOI (ECM1, ITGB3, FBLN5) rispetto al controllo (ACTB) è stata
calcolata come descritto in precedenza (rif. 2.3.3).
In questo studio l’indagine di Real-Time PCR è stata da noi condotta tramite l’impiego del
termociclatore iCycler accoppiato allo strumento di acquisizione iQ5 Real-Time PCR
Detection System (Bio-Rad).
2.4 Analisi Statistica
Tutte le analisi statistiche sono state condotte usando GraphPad Prism Software version
5.00 for Windows (GraphPad Software, San Diego, CA, USA).
Tutti i valori sono stati espressi come valore medio ± Deviazione Standard.
Le differenze nei valori di espressione genica tra gruppo di controllo e gruppo patologico
sono state considerate statisticamente significative se, dopo l’interpretazione con test di
Mann-Whitney, la probabilità (p) risultava inferiore al valore di 0.05.
40
3
Risultati
Analisi spettrofotometrica e valutazione dell’integrità dell’RNA
estratto
Verifica mediante PCR del cDNA sintetizzato
Risultati PCR Array
Risultati Real-Time PCR
Analisi statistica
41
3.1 Analisi spettrofotometrica dell’RNA estratto
Al fine di verificare la qualità e determinare la concentrazione dell’RNA isolato secondo le
modalità descritte in precedenza è stata effettuata un’analisi spettrofotometrica.
Dallo spettro di assorbimento relativo è possibile ricavare i valori di assorbanza a
lunghezze d’onda di 230, 260 e 280 nm, utili sia per calcolare la concentrazione degli acidi
nucleici in soluzione sia per verificare la purezza dell’RNA estratto.
In figura 3.1 è riportato lo spettro di uno dei campioni analizzati; come si può notare l’RNA
non presentava contaminazioni di natura proteica, infatti:
•
a 260 nm si osserva il massimo valore di assorbanza,
•
e non si riscontrano picchi di assorbimento nell’intorno di 280 nm (imputabili ad
aminoacidi aromatici) che sono indicativi di una contaminazione da proteine.
Una conferma ulteriore di tali risultati è stata ottenuta calcolando i seguenti rapporti:
1. assorbanza a 260 nm/assorbanza a 280 nm = 1,9,
2. assorbanza a 260 nm/assorbanza a 230 nm = 1,7.
Il numero puro risultante da entrambi i rapporti deve essere compreso nell’intervallo 1,72,1.
Relativamente al primo rapporto qualsiasi valore inferiore indica la presenza di
un’eventuale contaminazione da proteine.
Per quanto concerne il secondo rapporto, un basso quoziente depone a favore di una
contaminazione da guanidina tiocianato, che potrebbe interferire con le applicazioni
successive.
I valori relativi ad entrambi i parametri sono risultati di fatto compresi nell’intervallo teorico,
testimoniando così la purezza dell’RNA ottenuto dall’estrazione.
42
Considerando che 1 unità di assorbanza a 260 nm equivale a 40 g/ml di RNA è stato
possibile calcolare la concentrazione dell’acido nucleico in soluzione.
Fig. 3.1 Spettro di assorbimento (210-400 nm) dell’RNA estratto
43
3.2 Verifica dell’integrità dell’RNA estratto
Allo scopo di indagare sull’integrità dell’RNA totale estratto, un’aliquota di RNA totale è
stata assoggettata ad elettroforesi su gel di agarosio.
Avvenuta la migrazione, il gel, dopo colorazione con bromuro di etidio, viene posto al
transilluminatore, assoggettato ad irraggiamento UV e fotografato (Fig.3.2).
Dall’analisi degli rRNA si è stabilita l’integrità dell’RNA estratto; infatti le bande relative ai
ribosomiali da 28S e 18S, rispettivamente di taglia 4,8 e 1,8 kb, erano presenti nel giusto
rapporto 2:1, a favore dell’rRNA da 28S.
Non era inoltre evidenziabile lo smear in corrispondenza degli esemplari ribonucleici a
basso peso molecolare, confermando che l’RNA si era mantenuto integro nel corso del
suo isolamento.
4,8 kb
Fig. 3.2 Campione di RNA totale estratto da tessuto, caricato
su gel di agarosio all’1% in TBE 1X e sottoposto ad
elettroforesi Sul gel è stato caricato 1
1,8 kb
g di RNA totale. A
margine della foto sono indicate le taglie corrispondenti agli RNA
ribosomiali da 28S (4,8 kb) e 18S (1,8 kb)
44
3.3 Verifica mediante PCR del cDNA sintetizzato
Allo scopo di verificare la qualità del cDNA sintetizzato secondo le modalità descritte in
precedenza, quest’ultimo è stato impiegato quale templato per un’amplificazione mediante
PCR di una sequenza nucleotidica di 116 bp corrispondente alla beta actina. L’immagine
relativa al gel di agarosio dopo elettroforesi della miscela di amplificazione mostra la
presenza dell’amplificato di interesse (Fig.3.3).
Standard ( bp)
200
Beta
actina
Fig. 3.3 Elettroforesi su gel di agarosio. Prodotto di
amplificazione del cDNA investigato, relativo alla beta actina
100
Amplificato
da 116 bp
45
3.4 Risultati PCR Array
I risultati ottenuti dalle analisi mediante PCR Array, condotti su 3 campioni di controllo e 5
patologici, sono riassunti nelle tabelle e nei grafici seguenti.
Fig. 3.4 Rappresentazione 3D dei profili di espressione relativamente ai 96 geni presenti su piastra
Nella tabella seguente sono riportati i geni (sia up- che down-regolati) la cui espressione
risultava variata nei campioni patologici rispetto ai controlli (Tab. 3.1).
46
Fold Difference
T Test
Fold Up- or DownRegulation
Test Sample
Control Sample /Control Sample
p value
Test Sample /Control
Sample
-2,31
AVG Ct
Symbol
(Ct(GOI) - Ave Ct (HKG))
Test Sample
ADAMTS1
5,97
4,76
0,43
0,2613
CD44
3,33
3,50
1,13
0,6891
1,13
CNTN1
6,16
5,81
0,79
0,4628
-1,27
COL11A1
12,28
10,21
0,24
0,1212
-4,20
COL12A1
2,32
2,63
1,24
0,5483
1,24
COL14A1
2,60
3,09
1,41
0,2705
1,41
COL15A1
5,03
5,90
1,83
0,1182
1,83
COL16A1
3,57
3,44
0,91
0,7746
-1,10
COL1A1
2,45
2,98
1,44
0,2519
1,44
COL5A1
3,95
3,62
0,79
0,5648
-1,26
COL6A2
3,78
3,77
1,00
0,9909
-1,00
COL7A1
8,71
8,20
0,70
0,1149
-1,43
VCAN
7,56
9,04
2,79
0,1007
2,79
CTNNA1
3,04
2,70
0,79
0,1892
-1,27
CTNNB1
3,46
2,77
0,62
0,1336
-1,62
CTNND1
6,07
5,65
0,75
0,4949
-1,33
ECM1
5,53
7,23
3,25
0,0425
3,25
FN1
1,09
2,00
1,88
0,0380
1,88
ICAM1
5,89
6,09
1,15
0,7655
1,15
ITGA1
3,99
4,08
1,06
0,7949
1,06
ITGA2
9,35
8,31
0,49
0,3236
-2,05
ITGA3
6,22
6,05
0,89
0,8114
-1,12
ITGA6
5,06
4,31
0,60
0,0991
-1,68
ITGA8
4,53
4,76
1,18
0,7592
1,18
ITGB1
1,89
1,75
0,91
0,6973
-1,10
ITGB2
6,95
6,99
1,03
0,9089
1,03
ITGB3
6,93
8,26
2,52
0,0014
2,52
ITGB4
6,62
6,10
0,70
0,5328
-1,43
KAL1
8,15
8,32
1,13
0,8266
1,13
LAMA2
5,59
5,92
1,26
0,4114
1,26
LAMA3
5,94
6,34
1,32
0,1665
1,32
LAMB1
4,86
4,27
0,66
0,0472
-1,51
LAMC1
2,22
2,11
0,93
0,6839
-1,08
MMP11
8,86
9,22
1,28
0,4874
1,28
MMP14
6,58
6,17
0,75
0,4886
-1,33
MMP16
7,76
7,42
0,79
0,5684
-1,26
PECAM1
6,55
4,75
0,29
0,3834
-3,49
SELP
5,75
4,75
0,50
0,1102
-2,01
SGCE
4,10
3,54
0,68
0,1424
-1,47
SPARC
2,27
2,77
1,41
0,4545
1,41
SPG7
7,88
6,40
0,36
0,0257
-2,79
SPP1
9,60
9,57
0,98
0,9714
-1,02
TGFBI
4,90
5,28
1,30
0,5121
1,30
THBS2
4,22
3,97
0,84
0,6670
-1,19
THBS3
8,47
8,66
1,14
0,7342
1,14
TIMP1
0,54
0,79
1,19
0,1149
1,19
47
TIMP2
3,84
3,51
0,79
0,3135
-1,26
CLEC3B
3,85
4,46
1,52
0,3860
1,52
VCAM1
5,75
5,68
0,95
0,8625
-1,05
B2M
0,00
-0,64
0,64
0,3059
-1,55
HPRT1
6,55
5,57
0,51
0,0394
-1,97
RPL13A
1,95
0,96
0,50
0,1151
-1,98
GAPDH
0,98
1,11
1,09
0,5710
1,09
ACTB
0,00
0,00
1,00
N/A
-1,00
Tab.3.1 Elenco dei geni sia up- che down-regolati nei campioni patologici rispetto ai controlli
L’espressione di un determinato gene è stata considerata significativamente alterata solo
se, una volta normalizzata rispetto alla -actina, il rapporto tra l’espressione nel patologico
e l’espressione nel controllo risultava maggiore o uguale a 2 (geni up-regolati) o inferiore o
uguale a 0,5 (geni down-regolati). Applicando tale cut-off sono stati pertanto messi in
evidenza 9 geni di cui 3 up-regolati e 6 down-regolati (Fig. 3.5).
Fig. 3.5 Risultati PCRarray in campioni normali e patologici
Profilo d’espressione di geni codificanti per molecole d’adesione della matrice extracellulare. I valori sono
stati normalizzati rispetto alla -actina. L’orientamento della freccia indica l’up-regolazione (freccia su) o la
down-regolazione (freccia giù) del gene
48
3.5 Risultati Real-Time PCR
L’attendibilità dei risultati ottenuti mediante l’analisi PCR Array è stata verificata,
prendendo in esame un numero più elevato di campioni (4 controlli e 9 patologici),
utilizzando la Real-Time PCR. Nell’ambito dei 9 geni, a carico dei quali era stata rilevata
un’alterazione nell’espressione nei campioni patologici rispetto ai controlli, sono stati
selezionati 2 geni (ITGB3 e ECM1) per la valutazione mediante Real-Time PCR.
A questi è stato aggiunto un terzo, la fibulina 5 dance (FBLN-5) non presente nelle piastre
precedentemente usate per questa indagine.
Le analisi di Real-Time PCR successivamente condotte hanno confermato i dati ottenuti
mediante la tecnica del PCR Array e hanno consentito una valutazione quantitativa più
accurata delle alterazioni nell’espressione preliminarmente osservate per ITGB3 e ECM1.
I risultati ottenuti, riportati nelle tabelle 3.2 e 3.3, evidenziano un aumento dell’espressione
a carico dei geni ECM1 e ITGB3.
Il gene FBLN-5 è risultato invece down-regolato con un decremento della sua espressione
pari all’84%.
49
CONTROLLI
ECM1
ITGB3
FBLN-5
Campione 1
Campione 2
Campione 3
Campione 4
Ct medio
6,65
7,07
6,92
6,80
6,86
8,04
8,27
8,11
8,17
8,14
6
5,07
5,57
//
5,55
PATOLOGICI ECM1 ITGB3 FBLN-5
Campione 1
Campione 1
Campione 3
Campione 4
Campione 5
Campione 6
Campione 7
Campione 8
Campione 9
Ct medio
5,03
6,10
5,22
5,45
6,20
4,74
4,94
6,20
5,35
5,47
6,78
5,7
7,43
6,62
7,35
5,95
7,05
6,25
6,68
6,65
6,30
6,51
8,13
7,30
8,12
10,50
9,23
9,61
8,30
8,22
Tab.3.2 Valori di Ct per i geni presi in esame nei campioni di controllo e in quelli patologici
GENI
ECM1
ITGB3
FBLN-5
ESPRESSIONE RELATIVA
(PATOLOGICI/CONTROLLI)
2,62
2,82
0,16
Tab.3.3 Espressione relativa dei tre geni analizzati mediante Real-Time PCR
50
3.6 Analisi statistica
L’analisi statistica condotta sui risultati ottenuti mediante Real-Time Pcr ha dimostrato che
differenze di espressione tra campioni di controllo e campioni patologici sono
statisticamente significative per quanto riguarda i geni FBLN-5 e ITGB3 (* p< 0.05).
Non statisticamente significativa (p= 0,06) è risultata invece essere la differenza nei livelli
di espressione tra campioni di controllo e campioni patologici per ECM1.
8
9
7
8
6
7
*
b)
6
5
Ct medio
Ct medio
a)
5
4
4
3
3
2
2
1
1
0
0
Controlli
Controlli
Patologici
12
*
10
Ct medio
c)
Patologici
8
6
4
2
0
Controlli
Patologici
Fig. 3.6 Espressione di ECM1(a), ITGB3 (b) e FBLN-5 (c)
Ct medio di ECM1(a), ITGB3 (b) e FBLN-5 (c) in campioni patologici e di controllo
51
4
Discussione
La selezione delle pazienti è stata condotta rigorosamente al fine di ridurre i fattori di
confondimento nel confronto tra i campioni patologici e quelli dei controlli.
I gruppi in esame sono risultati omogenei per età, BMI, parità e peso dei neonati.
Inoltre, al fine di evidenziare l’effetto della componente genetica nella patogenesi del
prolasso genitale abbiamo utilizzato
stringenti criteri di esclusione delle pazienti,
precedentemente enunciati.
In particolare, differentemente dagli altri studi presenti in letteratura sull’espressione
genica a livello del tessuto connettivo pelvico (25,39,41,88), sono state arruolate
esclusivamente
pazienti in stato menopausale, definito sulla base del criterio clinico
dell’amenorrea da almeno un anno.
Riteniamo che questa scelta rappresenti un punto di forza dello studio perché riduce
l’influenza del clima ormonale estrogenico sull’espressione genica.
Recettori estrogenici sono stati descritti nelle cellule del tessuto connettivo e delle cellule
muscolari a livello del trigono vescicale, dell’uretra, della mucosa vaginale, del muscolo
elevatore dell’ano e dei legamenti utero sacrali, e contribuiscono al mantenimento del
52
sistema di supporto del pavimento pelvico aumentando la sintesi o riducendo la catalisi del
collagene e di altre componenti della matrice extracellulare. (52)
Numerosi studi hanno evidenziato un aumento del mRNA per il collagene di tipo I e III in
corso di terapia ormonale sostitutiva. (9,53,54)
In uno studio randomizzato controllato in doppio cieco, dopo somministrazione di
estradiolo 2 md p.o. die per sei mesi, in donne con incontinenza urinaria da sforzo,
Jackson ha individuato su biopsie vaginali una riduzione della quantità di collagene, con
inalterato rapporto tra i tipi I e III, a fronte di un aumento dei collageni con cross-link
immaturo di nuova sintesi.
La terapia con estradiolo aumentava anche l’attività delle collagenasi MMP2 e MMP9 e la
concentrazione dei prodotti di degradazione del collagene. (55)
Questi dati depongono per un ruolo degli estrogeni nel turnover del tessuto connettivo del
pavimento pelvico che viene espletato attraverso la modulazione dell’espressione genica.
Considerato ciò in aggiunta al dato epidemiologico della maggiore incidenza del prolasso
uterino in età avanzata, abbiamo voluto selezionare esclusivamente pazienti che, per lo
stato menopausale, avessero livelli di estrogeni costantemente bassi.
I campioni provenienti da tali pazienti sono stati analizzati attraverso un kit per PCR Array
precostituito.
Abbiamo voluto ampliare la selezione dei geni indagati procedendo al’analisi mediante
Real-time PCR dell’espressione di FBLN5 sulla scorta delle nuove acquisizioni sul ruolo
della fibulina 5 nell’elastogenesi (36-38), per l’associazione di mutazioni del gene con
alterazioni della composizione e delle proprietà del tessuto connettivo (56,57), e per
l’associazione, riscontrata nell’uomo, tra ridotta espressione del gene e debolezza della
parete dell’aorta prossimale. (58)
I risultati ottenuti nel nostro studio hanno evidenziato differenze nell’espressione di nove
geni, per tre dei quali queste sono statisticamente significative.
53
Riportiamo di seguito, per ciascuno di essi, le funzioni e le implicazioni nel metabolismo
del tessuto connettivo pelvico.
ITGB3
Il gene ITGB3, situato sul locus 17q21.32, codifica per l’integrina 3, conosciuta anche
come glicoproteina piastrinica IIIa, GP3A o GPIIIa, appartenente alla superfamiglia delle
integrine.
Queste sono recettori di membrana cellulare che riconoscono principalmente ligandi della
matrice extracellulare e ligandi delle membrane cellulari ma anche, in misura minore,
alcuni ligandi liberi.
Nell’uomo sono presenti 19 subunità
fino a 24 eterodimeri
Le subunità
e
e 8 subunità
che si combinano tra loro a formare
transmembrana.
sono totalmente distinte e non presentano omologie di sequenza
aminoacidica mentre l’identità di sequenza tra le subunità
è di circa il 30% e tra le unità
di circa il 45% a significare che le famiglie dei geni si sono evolute per duplicazione
genica.
Un’analisi genetica condotta su 24 specie di vertebrati ed invertebrati ha inoltre
evidenziato che la struttura delle subunità
e
è stata conservata in molte specie nel
corso dell’evoluzione.(59)
Le subunità 3 formano eterodimeri con le proteine IIb e V.
Il complesso IIb 3 è espresso in modo selettivo nelle piastrine, riconosce come ligandi il
fibrinogeno, il vVW, la trombospondina, la vitronectina, la fibronectina e il plasminogeno, e
svolge una funzione fondamentale nel processo di aggregazione piastrinica, mentre la
mutazione dello stesso è responsabile della tomboastenia di Glanzmann.
Il complesso V 3 è al contrario diffusamente distribuito e, identificato inizialmente come
recettore per la vitronectina, ha successivamente dimostrato di agire legando molte altre
54
molecole della matrice extracellulare compresi il fibrinogeno, la fibronectina, la
trombospondina, la laminina e il collagene.
L’analisi della struttura cristallografica delle integrine umane IIb 3 e V 3 mostra sul sito
di legame extracellulare un’architettura complessa cui contribuiscono entrambe le catene
e
con due domini ciascuna, la presenza di siti di adesione metallo-ioni dipendenti
(MIDAS) su entrambe le catene e la presenza all’interfaccia tra le due catene di un sito di
legame per la sequenza oligoaminoacidica arginina-glicina-acido aspartico (RGD).
Il sito per tale sequenza aspecifica affianca pertanto siti di legame per specifiche proteine
che, una volta impegnati dai ligandi, subiscono un cambiamento conformazionale con
passaggio da una forma aperta attiva ad una forma chiusa inattiva.
Le code intracitoplasmatiche delle integrine umane sono costituite da brevi catene
polipeptidiche ancorate ai filamenti di actina citoscheletrici mediante diverse proteine come
la talina, la vincolina e le proteine ERM (acronimo di ezrina, radixina, moesina) leganti
l’actina.
Tale connessione con il citoscheletro appare essenziale per molte, se non per tutte, le
funzioni dei recettori integrina.
Questi agiscono come tensocettori che possono avvertire e trasmettere i cambiamenti
delle forze meccaniche che agiscono nella matrice extracellulare e, attraverso una grande
varietà di sistemi di trasduzione del segnale, influenzano le caratteristiche cellulari come la
proliferazione, l’apoptosi e la sopravvivenza, l’adesione, la forma e la polarità, la motilità,
l’espressione genica e la differenziazione. (60)
Modelli animali costituiti da topi con gene-knockout hanno evidenziato che particolari
integrine presentano specifiche funzioni.
In particolare l’assenza della proteina
3 favoriva l’angiogenesi e la crescita tumorale,
favoriva la guarigione delle ferite e potenziava i processi infiammatori e l’aterosclerosi,
suggerendo che il complesso V 3 in condizioni normali contrasta questi processi. (61-63)
55
Studi genetici sull’uomo hanno evidenziato come l’espressione della subunità
3 sia
implicata nella progressione tumorale ed è stata correlata al rischio di metastatizzazione in
pazienti affetti da melanoma, adenocarcinoma colico e da adenocarcinoma mammario.
Inoltre l’integrina V 3 è risultata implicata nella progressione del carcinoma prostatico per
i suoi effetti sulla angiogenesi, sopravvivenza e invasività tumorale: studi in vitro hanno
dimostrato che
V 3 facilitava l’adesione e la migrazione cellulare attraverso la matrice
extracellulare e la migrazione trans endoteliale. (64)
La degradazione della matrice extracellulare e il rimodellamento tissutale sono fenomeni
importanti per la progressione tumorale e coinvolgono le metalloproteinasi della matrice,
in particolare le metalloproteinasi 2 (MMP2), che, essendo in grado di degradare il
collagene tipo I, predominante nella matrice extracellulare, e il collagene tipo IV, principale
costituente delle lamine basali, accentuano il potenziale di metastatizzazione tumorale.
(65)
Le integrine V 3 sono risultate implicate nel metabolismo della MMP2 nelle linee cellulari
di carcinoma mammario in cui, favorendo i processi autocatalitici corresponsabili della
maturazione alla forma attiva delle metalloproteinasi, aumenterebbero l’attività proteasica
nella matrice extracellulare agevolando l’invasività tumorale. (66)
In linee cellulari di melanoma è stata inoltre dimostrata la possibilità di induzione
dell’espressione della MMP2 da parte dei macroaggregati della matrice extracellulare
attraverso il legame con i recettori
V 3.
A conferma di ciò il legame del recettore con la vitronectina e la somministrazione di
anticorpi diretti verso V 3 determinava un aumento della secrezione di MMP2. (67)
Il reperto della iperespressione della proteina
3 non è stata precedentemente segnalata
al di fuori dell’ambito della ricerca oncologica o di studi in vitro, mentre la progressiva e
sempre maggiore caratterizzazione delle funzioni della molecola ha evidenziato il suo
ruolo nei processi di fibrosi associata all’infiammazione. (68)
56
Allo stato attuale delle conoscenze, considerando la presenza dell’
connettivi della fascia endopelvica
e le implicazioni della stessa
V 3 nei tessuti
molecola nel
metabolismo della matrice extracellulare nelle linee cellulari tumorali in vitro, il
coinvolgimento dell’ V 3 nel rimodellamento del tessuto connettivo in presenza di
prolasso degli organi pelvici è plausibile.
E’ utile ricordare che alcuni autori avevano indagato l’espressione delle MMP2 e delle proMMP2 nelle pazienti affette da prolasso con risultati contrastanti.
In particolare Jackson aveva riscontrato un aumento della quota di pro-MMP2, di MMP2 e
di MMP9 nell’epitelio vaginale di otto donne in pre-menopausa rispetto a 10 controlli.
Altri autori hanno successivamente confermato parzialmente tali dati.
Gabriel attraverso studi di immunoistochimica ha rilevato una maggiore quantità di MMP2
nei legamenti utero sacrali di 17 donne affette da prolasso rispetto a 18 controlli mentre
Phillips ha evidenziato un aumento della pro-MMP2 nei tessuti vaginali di 14 donne affette
da prolasso mentre non ha riportato differenze nella concentrazione di MMP-2, MMP-9 e
TIMP-2. (1, 10, 69)
Per contro Moalli non ha riscontrato differenze nelle concentrazioni di MMP2 e di
proMMP2 in 62 donne premenopausali e postmenopausali su biopsie vaginali di pazienti
con prolasso vaginale di stadio superiore al secondo rispetto a pazienti con prolasso
vaginale di grado inferiore.
Analogamente Chen non ha riscontrato variazioni dell’espressione di mRNA per MMP2 in
biopsie di pareti vaginali su 7 donne con prolasso genitale. (42,70)
A prescindere dal carattere controverso dei risultati, occorre affermare che il dato isolato
sulla presenza o assenza di una aumentata attività o di espressione genica relativa alle
metalloproteasi non può essere indicativo di una predisposizione al prolasso pelvico.
Un’aumentata attività potrebbe difatti non essere all’origine della debolezza del tessuto
connettivo ma espressione del rimodellamento indotto dalle sollecitazioni meccaniche.
57
Le integrine, essendo sensibili alle forze meccaniche incidenti sulla matrice extracellulari,
potrebbero pertanto essere implicate in tale processo.
Altro importante ruolo attribuito alle integrine è la mediazione dell’interazione tra TGF-β1 e
cellule bersaglio, tra cui i fibroblasti.
TGF-β1 è implicato nell’omeostasi dei tessuti embrionali ed adulti dove partecipa alla
regolazione della proliferazione di cellule epiteliali, endoteliali, di cellule del sistema
immunitario e di fibroblasti.
Nei processi di riparazione tissutale e di fibrosi il TGF-β1 è considerata la principale
citochina pro-fibrotica che media la risposta infiammatoria, determina l’iperproduzione e
l’organizzazione di componenti della matrice extracellulare, aumenta l’attività degli inibitori
tissutali delle metalloproteinasi (TIMP) e riduce la sintesi di proteasi. (71-74)
Tutte le integrine della serie
V, compresa Vβ3, sono state correlate all’attivazione della
sua forma inattiva (latent TGF-β) che avviene attraverso la proteolisi e la perdita delle
latent TGF-β binding proteins (LTBP), dotate di una sequenza RGD.
Tale azione
è esplicata nello spazio intercellulare da enzimi quali le MMP2, MMP3,
MMP9, MMP13, plasmina, attivatori tissutali del plasminogeno, elastasi e catepsine, ed è
stata dimostrata anche in tessuti umani normali. (75)
Sono stati postulati due meccanismi attraverso cui le integrine possano favorire la
conversione a forma attiva della latent TGF-β.
Il primo prevede la cooperazione con le MMP di membrana o della matrice extracellulare.
Il complesso latent TGF-β- TGFβ1, riconosciuto dalle integrine attraverso il sito per la
sequenza RGD, verrebbe portato in prossimità della membrana cellulare favorendo
l’attività delle proteasi, MMP2 e MMP9 nel caso delle integrine Vβ3.
Il secondo meccanismo proposto non prevede l’azione di proteasi ma sarebbe mediato dal
cambiamento conformazionale nella latent TGFβ - TGFβ1, indotto dal legame con le
58
integrine, che favorirebbe il rilascio di TGFβ1 o la sua presentazione al recettore specifico
sulla membrana cellulare. (76)
Evidenze sperimentali dimostrano che nei fibroblasti l’espressione delle integrine Vβ3 e
Vβ5, attivatrici di
latent TGFβ, è bassa nel derma normale ma aumenta in caso di
sclerosi sistemica.
La loro iperespressione determina inoltre la transizione dei fibroblasti verso fibroblasti
contrattili fibrogenici. (77)
FBLN-5
Il gene FBLN-5 codifica per la proteina fibulina 5, appartenente alla famiglia delle fibuline.
Le fibuline sono proteine della matrice extracellulare i cui membri partecipano
preminentemente alla formazione e alla stabilizzazione delle membrane basali e delle fibre
di elastina.(78,79)
Le fibuline vengono trascritte da cinque distinti geni, ciascuno allocato su un cromosoma
distinto.
Sebbene rappresentino una piccola famiglia di proteine, la loro diversità genetica e
biologica è significativamente aumentata per effetto di splicing dell’mRNA che incrementa
notevolmente il numero potenziale delle fibuline prodotte.
Dal punto di vista strutturale le fibuline contengo ripetizioni di sequenze EGF-like leganti
ioni calcio (cbEGF-like) e una porzione globulare C terminale condivisa da tutti i membri
della famiglia.
La famiglia delle fibuline può essere inoltre suddivisa in due gruppi sulla base delle
dimensioni e della presenza o assenza di domini funzionali addizionali.
59
Le fibuline 1 e 2, che costituiscono il primo gruppo, hanno peso molecolare maggiore e
un’organizzazione più complessa, mentre le fibuline 3, 4 e 5, appartenenti al secondo
gruppo, hanno dimensioni minori e struttura più semplice.
La fibulina 5 è una glicoproteina costituita da 448 aminoacidi
e contiene sei domini
cbEGF-like in serie, il primo dei quali è legato ad un inserto proteico ricco in prolina
contenente la sequenza RGD riconosciuta dalle integrine.
La fibulina 5 interagisce con proteine solubili e della matrice extracellulare, il cui elenco è
in continua evoluzione, attraverso tre distinti meccanismi.
Il primo è effetto della sequenza RGD con cui, solo la fibulina 5 tra le fibuline, si lega alle
integrine Vβ3,
Vβ5 e 9β1. (36)
Tale sequenza è conservata nella fibulina 5 di molte specie, mammifere e non, a suggerire
un ruolo di rilievo nella biologia della molecola.
Il secondo prevede il legame tra proteine nei domini cbEGF-like, con gli ioni calcio che
concorrono a stabilizzare il legame tra le molecole.
Con tale meccanismo la fibulina 5 si lega con la tropoelastina, con la proteina legante
l’elastina, con la latent TGF 2 e con la proteina EMILIN1 (elastin microfibril interfacelocated 1).
Da ultimo, attraverso la porzione C-terminale la fibulina 5 interagisce con l’enzima LOXL1
(lysyl oxidase-like 1).(80,81)
La fibulina 5 svolge un ruolo fondamentale nel processo di produzione delle fibre di
elastina.
Queste si compongono di una porzione centrale amorfa costituita di molecole elastina e di
un’impalcatura periferica di microfibrille.
La molecola precursore dell’elastina, tropoelastina, interagisce con altre molecole di
tropoelastina a temperature fisiologiche e forma macroaggregati insolubili in un processo
definito coacervazione.
60
Questo è ritenuto funzionale alla concentrazione e all’allineamento dei monomeri di
tropoelastina che, sottoposti a crosslink catalizzati dalle lisil ossidasi (LOX), vengono
organizzati in una struttura fibrillare dotata di proprietà elastiche.
La coacervazione di per sé tuttavia non è in grado di giustificare il processo di
assembramento e le differenti forme di elastina presenti in diversi tessuti.
La morfogenesi dell’elastina è invece guidata attraverso la deposizione della tropoelastina
su un’impalcatura di microfibrille proteiche costituite principalmente da fibrilline 1 e 2 ed è
difatti alterata in modelli animali (topi con gene knockout) mancanti dei geni delle fibrilline
1 e 2. (82)
Il passaggio finale del cross-linking è catalizzato dalle LOX, famiglia di lisil ossidasi
costituita da LOX e LOXL (LOX like) 1, 2,3 e 4, secrete dalle cellule fibrogeneniche quali i
fibroblasti e le cellule muscolari lisce.
Topi mancanti dei geni delle LOX e LOXL1 presentano difetti dell’elastogenesi
o
dell’omeostasi dell’elastina incompatibili con la vita. (83,84)
Analogamente,
topi
con
gene
Knockout
per
la
fibulina
5
presentano
difetti
dell’organizzazione delle fibre di elastina che si traducono in un fenotipo più lieve e che si
traduce in un’accentuata lassità cutanea, in degenerazione enfisematosa dei polmoni e in
rigidità delle pareti arteriose dovute alla disorganizzazione delle fibre di elastina. (36,37)
Secondo il modello della “linea DANCE” proposto da Hirai, la fibulina 5 si legherebbe alla
fibrillina 1 sulle microfibrille dell’impalcatura delle fibre di elastina e , attraverso il legame
con le integrine con la sequenza RGD fungerebbe da ponte tra microfibrille e cellule
fibrogeniche consentendo la deposizione di tropoelastina e la successiva coacervazione.
L’enzima LOXL legato al frammento C terminale della fibulina 5 troverebbe quindi delle
condizioni idonee per procedere al crosslink dei monomeri di tropoelastina per formare
elastina fibrillare matura.
61
Lo stesso autore evidenzia inoltre come forme troncate della fibulina 5, estratte in
concentrazioni maggiori da topi di età avanzata rispetto a quelli giovani, non sono in
grado di legare le microfibrille e la fibrillina 1 e di promuovere la formazione di fibre di
elastina, pur mantenendo la possibilità di legare e coacervare la tropoelastina. (85)
Mutazioni dei geni della fibulina 5 nella specie umana sono state riscontrate in patologie
genetiche caratterizzate da disorganizzazione delle fibre di elastina, responsabili della rara
sindrome Cutis laxa, sia nella forma autosomica dominante che recessiva.
La forma dominante della Cutis laxa deriva dalla ripetizione in tandem di una sequenza di
22Kb compresa tra l’introne 4 e l’esone 9.
Questa variazione genica si traduce nella trascrizione di un mRNA mutante della
lunghezza di 2.7Kb, più lungo di quello selvatico (2.2Kb) di 483 nucleotidi, e nella sintesi di
una FBLN-5 dalla funzionalità alterata.
Questa mutazione, anche in condizione di eterozigosi, sembrerebbe essere sufficiente a
predisporre il soggetto all’insorgenza della patologia. (56)
La forma recessiva della patologia è stata invece associata ad una mutazione missense
nel quarto dominio cbEGF-like risultante nella sostituzione della serina 227 con un
aminoacido prolina. (57)
Almeno altre sette mutazioni missense nel gene FBLN-5, per cui il cambiamento in un
codone dell’mRNA determina l’inserimento nel polipeptide di un aminoacido diverso da
quello specificato nel codone selvatico, sono state riscontrate nella Degenerazione
maculare età correlata, tipo 3. (86)
Ciò rende inverosimile che la ridotta espressione della fibulina 5 registrata sia riconducibile
a mutazioni del gene e induce a pensare piuttosto ad alterazioni della regolazione
dell’espressione del gene o a modificazioni post-trascrizionali.
Oltre alle sopra citate proprietà strutturali, la fibulina 5 ha ruolo di mediazione nei
meccanismi di comunicazione intercellulari e tra cellule e matrice extracellulare.
62
Studi recenti hanno per esempio dimostrato che Il gene della fibulina 5 è, nei fibroblasti e
nelle cellule endoteliali, un gene target del TGFβ che ne amplifica l’espressione.
Inoltre, rispetto ai tessuti normali, l’espressione di mRNA del FBLN-5 è drasticamente
downregolata nella maggior parte dei tumori umani, in particolare nelle neoplasie
metastatiche del rene, della mammella, dell’ovaio e del colon, suggerendo che la
downregolazione
dell’espressione
di
FBLN5
possa
partecipare
nei
processi
di
progressione tumorale. (80,87)
Oltre a tali evidenze presenti nella letteratura delle scienze di base, riportiamo i risultati di
tre studi di recentissima pubblicazione che hanno valutato l’espressione dell’mRNA della
fibulina 5 in ambito uroginecologico.
Takacs ha studiato l’espressione del gene su campioni a tutto spessore della parete
vaginale in 10 donne affette da colpocele anteriore di III grado rilevando una marcata
riduzione rispetto ai controlli sani. (41)
Analogamente Soderberg ha riscontrato una riduzione dell’espressione di FBLN-5 su
biopsie vaginali parauretrali di 15 donne affette da prolasso rispetto a 14 controlli sani.(39)
Per contro Klutke, studiando l’espressione dei principali geni coinvolti nel metabolismo
dell’elastina in campioni di legamento uterosacrale di 31 donne affette da isterocele e su
29 donne sane, ha rilevato, accanto ad un downregolazione delle LOX e a fronte di una
ridotta quantità di elastina nei casi patologici, una iperespressione del gene FBLN-5. (25)
Inoltre, in una valutazione dell’espressione genica con tecnica microarray su campioni di
legamenti uterosacrali di donne con e senza prolasso utero-vaginale, Brizzolara ha
indagato 32878 geni con il sorprendente risultato di non evidenziare differenze significative
nei geni implicati nel metabolismo del collagene e dell’elastina o di altre molecole della
matrice extracellulare ad eccezione della trombospondina 1.
Insieme con questa, l’autrice segnala una maggiore espressione di endoperossidosintasi
piastrinica, del fattore 3 di attivazione della trascrizione e di interleuchina 6. (88)
63
ECM1
Il gene ECM1 è formato da 10 esoni che si estendono per circa 5 kb sul 1q21.
Sono noti tre differenti prodotti di splicing: ECM1è la proteina trascritta dall’intero gene e
consiste in un polipeptide di 540 aa; ECM1b è il prodotto dopo splicing dell’esone 7 ed è
formata da 415 aminoacidi; ECM1c presenta un esone 5a aggiuntivo, posto all’interno
dell’introne 5, e codifica per un polipeptide di 559 aminoacidi.
L’omologia del gene
è del 79.8% rispetto a quella del ratto e, come in questo,
l’espressione è stata dimostrata nei cheratinociti di molti organi umani tra cui il cuore, il
cervello, il polmone, il pancreas, il fegato, l’ovaio e la placenta. (89)
Mutazioni del gene ECM1 sono responsabili della Lipoido-proteinosi (LiP), nota anche
come "ialinosi cutanea e mucosa'
'
, caratterizzata dal punto di vista istologico da un
deposito diffuso di materiale simil-ialino e dall'
interruzione/duplicazione della membrana
basale localizzata attorno ai vasi sanguigni e nella giunzione dermo-epidermica.
Uno studio di caratterizzazione delle interazioni proteiche ha evidenziato che la proteina
ECM1 interagisce con altre componenti della matrice extracellulare, ed in particolare con l
la metalloproteinasi 9.
E’ stato inoltre dimostrato in vitro un effetto inibitorio di concentrazioni crescenti di ECM1
sull’attività delle metalloproteasi 9. (90)
L’iperespressione di ECM1 riscontrata nei campioni patologici del nostro studio potrebbe
pertanto rappresentare un meccanismo di autoregolazione dell’attività proteolitica MMP9dipendente nella matrice extracellulare.
La metalloproteasi 9, al pari della metalloproteasi 2, è una gelatinasi responsabile della
degradazione dei frammenti dei collageni tipo III e tipo I e dell’elastina e, per queste sue
proprietà, la sua azione è stata studiata nel prolasso degli organi pelvici.
Studi immunoistochimici e con Real-time PCR non hanno evidenziato aumenti della sua
attività. (10,41,69,70).
64
5
Conclusioni
Come per altri tessuti connettivi quali il tessuto cartilagineo e quello osseo, la stabilità del
connettivo pelvico è frutto di un equilibrio tra processi di produzione e degradazione della
matrice extracellulare che vengono accentuati in corso di riparazione tissutale dopo insulti
meccanici o stimoli infiammatori.
A tale metabolismo partecipano la componente cellulare e le molecole presenti nella
matrice extracellulare in modo articolato, complesso e ancora lontano dall’essere
compreso appieno.
Partendo da tale presupposto abbiamo voluto indagare l’espressione dei gene attualmente
associati al metabolismo della matrice extracellulare al fine di individuare differenze nei
livelli di trascrizione genica e di ipotizzare profili di espressione predisponenti l’insorgenza
dei disturbi del pavimento pelvico.
Il nostro studio è il primo che ha impiegato la tecnica PCR Array per valutare estesamente
ed in modo mirato l’espressione di geni specifici per le molecole della matrice
extracellulare e di adesione cellulare sul tessuto connettivo pelvico.
Grazie a tale approccio abbiamo potuto confermare il dato, contradditorio nella letteratura,
dell’ipoespressione del gene FBLN5 e sono stati individuati due geni iperespressi, ITGB3
65
e ECM1, mai precedentemente segnalati nella letteratura scientifica relativa al tessuto
connettivo pelvico.
Le attività delle proteine codificate dai questi geni sono, schematicamente ed in estrema
sintesi, riportate di seguito:
La fibulina 5 promuove l’elastogenesi (36,37)
L’integrina 3 incrementa l’attività proteolitica delle metalloproteinasi 2 (59)
Le metalloproteinasi 2 aumentano la quota disponibile di TGF (67)
L’integrina 3 favorisce il legame di TGF sulla superficie cellulare che, a sua volta,
induce nei fibroblasti un aumento dell’espressione di FBLN5 (68)
L’integrina 3 partecipa all’elastogenesi cooperando con la fibulina 5 (77)
ECM1 iperespresso contrasta l’attività delle metalloproteinasi 9 (84)
I risultati ottenuti, FBLN5 ipoespresso
e ITGB3 ed ECM1 iperespressi nelle pazienti
affette da colpocele anteriore, sono plausibili in relazione all’ipotesi che una ridotta
capacità di rimodellamento del tessuto connettivo, e più specificatamente della
componente di elastina, sia un fattore predisponente la genesi del prolasso.
Inoltre è possibile ipotizzare un modello di sequenza meccanicistica degli eventi
sopracitati:
iniziale ipoespressione di FBLN5: riduzione della produzione di elastina
iperespressione di ITGB3 compensatoria: tentativo attraverso l’integrina
3 (in
forma di etero dimero con V) di sopperire alla riduzione di fibulina 5 nel processo
di elastogenesi
conseguente aumento dell’attività delle metalloproteinasi 2 con accentuazione della
lisi dei componenti della matrice extracellulare e aumento della quota libera di
TGF
66
iperstimolazione dei fibroblasti da parte di TGF : tentativo di upregolazione
compensatoria dell’espressione di FBLN5
Parallelamente, l’iperespressione di ECM1 e la conseguente riduzione dell’attività delle
metalloproteinasi 9 potrebbe essere espressione di un meccanismo di regolazione della
proteolisi tissutale.
In letteratura sono presenti studi sull’AMD (acronimo di Age-related macular de
generation) (86) e sulla recessive cutis laxa. Queste due patologie derivano da mutazioni
di diversa natura che si verificano sul doppio filamento del DNA. Nello specifico, l’AMD
deriva da una mutazione missenso per cui il cambiamento in un codone dell’mRNA
determina l’inserimento nel polipeptide di un aminoacido diverso da quello specificato nel
codone selvatico.
La recessive cutis laxa deriva invece dalla ripetizione in tandem di una sequenza di 22Kb
compresa tra l’introne 4 e l’esone 9. Questa variazione genica si traduce nella trascrizione
di un mRNA mutante della lunghezza di 2.7Kb più lungo di quello selvatico (2.2Kb) di 483
nucleotidi e nella sintesi di una FBLN-5 dalla funzionalità alterata. Questa mutazione,
anche in condizione di eterozigosi, sembrerebbe essere sufficiente a predisporre il
soggetto all’insorgenza della patologia.
In questo studio la ridotta espressione della FBLN-5 nei patologici rispetto ai controlli
(-84%) potrebbe suggerire un alterato meccanismo di splicing dell’mRNA o una minore
efficienza del complesso enzimatico coinvolto nella trascrizione del gene oppure entrambi i
fattori.
Pertanto, oltre alla evidente necessità di confermare i risultati ottenuti su una casistica più
ampia, possibili linee di sviluppo della ricerca potrebbero essere indirizzate:
a determinare la quantità e la presenza di forme anomale di fibulina 5 nel tessuto
connettivo pelvico
67
all’estensione dello studio di espressione a geni trascurati nello studio concluso
a meglio definire i meccanismi di regolazione dell’espressione di FBLN5
Relativamente a quest’ultimo punto, la ricerca futura potrebbe essere orientata
verso due distinti filoni. Da un lato l’indagine dei polimorfismi nella regione
promotrice del gene per verificare la loro eventuale associazione con i livelli di
espressione della FBLN-5; dall’altro, lo studio, in termini di mRNA, dei geni coinvolti
nel meccanismo di trascrizione del gene per la fibulina 5 dance.
68
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