l`approccio farmacologico al morbo di alzheimer

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Foglio di
informazione
professionale
N.9
1 marzo 1996
L'APPROCCIO FARMACOLOGICO AL MORBO DI ALZHEIMER
Manifestazioni cliniche caratteristiche
La maggior parte dei casi di demenza senile è correlata al morbo di Alzheimer, patologia che colpisce circa il 5% della
popolazione sopra i 65 anni e che è caratterizzata da un progressivo deterioramento dell'intelletto, della memoria, delle
capacità cognitive, del comportamento e delle emozioni (1). L'interesse attorno al morbo di Alzheimer è cresciuto nel
tempo in relazione alla consapevolezza del suo decorso distruttivo ed irreversibile (la durata media si attesta attorno ai 7
anni), della sua alta incidenza e del carico che comporta per i familiari dei pazienti colpiti. L'esordio si manifesta in
modo appena percettibile, con sintomi quali smemoratezza o perdita dell'abilità nel calcolo o nel formulare la
progressione del discorso. Con l'aggravarsi di questi sintomi subentrano anche sensazioni di ansietà, depressione e
frustrazione per la perdita delle funzioni necessarie al mantenimento dell'autosufficienza. Nello stadio più avanzato
prevalgono le alterazioni comportamentali ed emozionali, che compromettono un'atteggiamento sociale adeguato. Il
deterioramento delle funzioni neurologiche produce disturbi nell'andatura e nel coordinamento motorio. Nello stadio
finale il paziente è impossibilitato a muoversi, parlare o pensare, e la morte sopraggiunge in seguito ad infezioni
ricorrenti (2)(3).
Alterazioni biochimiche ed etiologia
Le più comuni alterazioni morfologiche riscontrate in pazienti con morbo di Alzheimer sono la presenza di placche
neuritiche (costituite da proteina amiloide) nell'area corticale, che controlla le funzioni cognitive ed emozionali (3).
Numerosi studi hanno dimostrato un sostanziale deficit di acetilcolina (Ach) nelle regioni colpite da placche (4). È stata
inoltre rilevata, ma in grado minore, perdita di neuroni noradrenergici, GABA-ergici e serotoninergici (5).
L'etiologia del morbo di Alzheimer è sconosciuta. Tuttavia numerose evidenze suggeriscono che la malattia sia causata
da un agente infettivo, probabilmente un virus ad azione lenta (3). Capacità genetiche individuali di controllarne lo
sviluppo assumono una grande importanza nel determinare soggetti più o meno predisposti alla malattia (6).
Il trattamento non farmacologico
L'approccio non farmacologico è stato quello maggiormente utilizzato per questa patologia. Esso consiste nel mantenere
il paziente attivo, assicurandogli un’alimentazione regolare. E’ evidente che l’ambiente ideale per tali pazienti è
rappresentato dal loro domicilio abituale, dove gli aspetti variabili sono ridotti al minimo. Infatti è in un contesto sicuro
e strutturato che la funzioni residue vengono meglio mantenute e stimolate. Al contrario, il contatto con situazioni,
ambienti e persone preposte ad accudirli sempre diversi genera disorientamento e quindi non giova affatto ai pazienti.
Farmaci che aumentano le funzioni colinergiche
Questi agenti farmacologici possono agire da precursori dell'Ach (aumentandone la produzione) oppure inibendo
l'inattivazione dell'Ach oppure stimolando direttamente i recettori colinergici.
Precursori dell'acetilcolina quali la lecitina o la colina (normalmente introdotti con la dieta) sono stati oggetto di studi
che hanno dimostrato che questi agenti apportano scarsi o nulli benefici alle funzioni cognitive compromesse. La loro
inefficacia può essere la conseguenza di un'estesa perdita in neuroni colinergici (7) , incapaci quindi di incrementare la
produzione di neurotrasmettitore.
La scarsa selettività per i recettori centrali ha ostacolato l'utilizzo come farmaci contro la malattia di Alzheimer di agenti
colinomimetici o di inibitori dell'Ach-esterasi classici, quali la fisostigmina.
La tacrina (Cognex - Parke Davis), un inibitore centrale reversibile della acetilcolinesterasi, l'enzima che degrada
l'Ach, è il primo farmaco approvato negli Stati Uniti ed in Francia per il trattamento della demenza correlata al morbo di
Alzheimer, ma non sembra rappresentare il farmaco ottimale, in quanto ha dimostrato di fornire un modesto beneficio in
una percentuale minoritaria di pazienti; inoltre il suo profilo tossicologico non è chiaro. La percentuale definitiva di
pazienti che hanno mostrato benefici clinici senza accusare effetti collaterali è attorno al 12% (8). Fra gli effetti
indesiderati vi sono dis turbi epatici e manifestazioni a carico dell’apparato gastrointestinale legate alla attività
colinergica della sostanza. La tacrina non altera la natura progressiva della malattia e la continua perdita di neuroni
colinergici può vanificare ogni vantaggio terapeutico derivante dal farmaco (9). Rimane ancora da verificare se al
progresso delle funzioni cognitive corrisponde un effettivo miglioramento della qualità della vita dei pazienti trattati.
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Altre terapie farmacologiche
Sono numerosi i farmaci utilizzati per il loro effetto placebo in pazienti con demenza senile, ma nessun principio attivo
ha dimostrato di rallentare il graduale deterioramento delle funzioni cognitive e/o di migliorare l'abilità dei pazienti nel
portare a termine le loro attività quotidiane (10). Vasodilatatori del distretto cerebrale quali la nimodipina o i cosidetti
agenti nootropici trovano più utili applicazioni su altri versanti della terapia farmacologica (ad esempio la nimodipina
viene impiegata contro il vasospasmo cerebrale nei pazienti con emorragia subaracnoidea). Le potenziali capacità degli
"stimolatori del metabolismo"
(fosfatidi cerebrali e simili) di generare progressi nello apprendimento e
memorizzazione non si traducono in reali benefici clinici per il paziente colpito da Alzheimer. Accanto ai farmaci
somministrati per incidere sulle funzioni cognitive vanno ricordate quelle sostanze che influiscono unicamente sul
comportamento, che sono i farmaci più prescritti a questo tipo di pazienti. Si tratta di neurolettici, benzodiazepine,
carbamazepina, antidepressivi quali la fluoxetina ed altri, utili per brevi periodi e spesso già a basse dosi per trattare gli
stati di agitazione che accompagnano la malattia e che rendono più difficoltosa la gestione del paziente (11).
Conclusioni
Secondo la FDA, “la tacrina è il primo agente che abbia effetto sui sintomi devastanti della malattia. Non ne rappresenta
la cura, ma fornisce un certo sollievo ai pazienti ed ai loro familiari” (12). In Francia l'uso della tacrina è attualmente
riservato alle divisioni ospedaliere di neurologia, psichiatria e geriatria e le sue indicazioni di registrazione sono:
trattamento sintomatico del morbo di Alzheimer in forma lieve e moderata. La limitazione della prescrizione del
farmaco allo specialista rappresenta una cautela che potrebbe venir meno dopo che gli effetti tossici a carico del fegato
saranno chiariti e quantificati (13).
Nel nostro Paese, la richiesta di registrazione del farmaco è incappata in un giudizio negativo della CUF, la quale
evidenzia che la somministrazione della tacrina è gravata da pesanti effetti collaterali e che quindi il rapporto rischiobeneficio non è favorevole.
Gli altri farmaci potenzialmente indicati nella demenza senile, cioè gli agenti nootropici, la fosfatidilserina, i fosfatidi
cerebrali, la colina e i suoi analoghi, la nimodipina ecc., non sono prescrivibili a carico del S.S.N. in quanto non esiste
sufficiente documentazione a supporto della loro efficacia terapeutica in questa patologia.
Dott.Riccardo Roni - Servizio Farmaceutico dell’Ospedale di Bolzano
Si ringrazia il Centro documentazione sul farmaco dell’Ospedale S.Chiara di Trento
Riferimenti bibliografici:
(1) Steel & Feldman. Geriatrics 1979, 34:79-88. (2) Adams & Victor. Principles Of Neurology 2nd ed. (3) Schneck. Am J Psichiatry
1982, 139:165-173. (4) Davies & Maloney. Lancet 1976, 2:1403. (5) Deakin. Br Med J 1983, 287:1323-1324. (6) Kilpatrick. J
Neurol. Neurosurg.Psichiatry 1983, 46:421-425. (7) Johns. Psychopharmacol.Bull 1983, 19:185-197. (8) Knapp. JAMA 1994,
13:955-991 “A 30-week randomized controlled trial of high-dose tacrine in patients with Alzeheimer’s disease”. (9) Prod.Info
Cognex, 1995. (10) La Lettre Médical 1986 (101). (11) Cooper. Drug Treatment Of Alzheimer disease. Archieves of Internal
Medicine 1991, 151:245-249. (12) FDA Mailgram 13/3/1991. (13) Prescrire International, June 1995.
N.B. Si ricorda che l’argomento è stato trattato sinteticamente nella scheda verde 95.11.16.
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