Direzione Medica : Dr. Nicola Giuliani

Congregazione Ancelle della Divina Provvidenza
Ente Ecclesiastico - Istituti Ospedalieri
Opera “DON UVA”
Ospedale “S.MARIA BAMBINA” – Foggia
Dipartimento di riabilitazione – Centro Alzheimer
Direzione Medica : Dr. Nicola Giuliani
IL TRATTAMENTO FARMACOLOGICO NELL’ALZHEIMER
Come ha ottimamente evidenziato il professor Beghi la patologia
alzheimeriana è ampiamente diffusa nel nostro territorio ed i dati epidemiologici
della nostra provincia seguono questo trend e precisamente DIAPOSITIVE SU
DATI POPOLAZIONE NOSTRA Provincia .
Ciò rimarca l’importanza di una diagnosi precoce come chiaramente espresso
dal dottor Carbone per dare luogo ad un tempestivo trattamento farmacologico e
non Il trattamento farmacologico della malattia di Alzheimer ha subito negli
ultimi anni una spinta notevole, infatti una tappa fondamentale per la ricerca
farmacologica sulla malattia di Alzheirner è rappresentato da uno studio in larga
scala pubblicato circa quindici anni fa da Summers su New England Journal of
Medicine dove si mostravano i primi risultati positivi ottenuti con la tacrina
(tetraidro aminoacridina) un inibitore della colinesterasi.
In precedenza numerosi studi avevano utilizzato un altro AchEJ come la
fisostigmina. La fisostigmina come la tacrina aveva dimostrato un chiaro
miglioramento anche se a breve termine dei sintomi cognitivi, attenzione
concentrazione memoria al quale tuttavia si associano gravi effetti collaterali a
carico del sistema colinergico centrale e periferico (si tratta prevalentemente di
sintomi gastrointestinali e sonnolenza e nel caso della tacrina anche di
epatotossicità).
In ogni caso la tacrina e la fisostigmina hanno rappresentato importanti pietre
miliari nella terapia della malattia di Alzheimer avendo confermato l’ipotesi che
un trattamento che avesse potenziato l’attività del sistema colinergico centrale
mediante un incremento a lungo termine dei livelli corticali di Ach avrebbe
anche migliorato il livello cognitivo.
Gli inibitori della colinesterasi sono attualmente i farmaci di elezione per la
malattia di Alzheimer.
Negli ultimi quindici anni a partire da una prima generazione specifica di
farmaci si è sviluppata una seconda generazione di composti a maggiore
selettività corticale e con pochi effetti collaterali.
DIAPOSITIVA CON TUTTI GLI AchEI
Tutti gli AchEI hanno prodotto significativi miglioramenti nelle scale di
valutazione delle funzioni cognitive e non cognitive.
In generale la percentuale di pazienti che hanno dimostrato un miglioramento
varia dal 25% al 50 % mentre nel 25 % dei pazienti non si rileva alcun
miglioramento. (non responder) .
La stabilizzazione del deterioramento cognitivo nei pazienti trattati potrebbe
dipendere sia da un primario effetto protettivo e strutturale sia da un forte
incremento dell’attività colinergica a livello sinaptico .
Il lento ritorno alla curva di deterioramento dopo la sospensione del
trattamento suggerisce meccanismi addizionali e probabilmente secondario a un
ancora sconosciuto effetto del composto.
Gli inibitori della colinesterasi agiscono su trasmettitori corticali e
sottocorticali diversi dall’Ach: i loro effetti su noradrernalina e dopamina sono
di particolare interesse clinico.
Un secondo approccio colinergico oltre agli inibitori della colinesterasi si è
rivolto allo sviluppo di sostanze che incrernentassero il rilascio sinaptico di
Ach. Si tratta degli agonisti muscarinici che stimolano selettivamente i recettori
postsinaptici Ml e degli antagonisti muscarinici che inibiscono i recettori
presinaptici M2.
Non si è arrivati alla produzione di sostanze altamente selettive.
Il principale ostacolo alla loro applicazione è rappresentato dall’elevata
tossicità
colinergica
che
produce
in
particolare
effetti
collaterali
gastrointestinale e cardiaci (sincope) .
Gli AchEI agiscono prevalentemente sulle funzioni cognitive mentre gli
agonisti
muscarinici
sembrano
agire
più
fortemente
sui
sintomi
comportamentali (xanomelina) .
Un secondo approccio, non colinergico, si fonda sugli aspetti patologici tipici
della malattia ed è rivolto a ridurre il deposito di beta amiloide ed il rilascio di
APP amiloidogenico nel cervello.
Da un punto di vista teorico si possono ipotizzare interventi per ridurre
selettivamente la concentrazione extracellulare e il deposito di beta amiloide nel
cervello per rallentare in tal modo il processo di malattia.
Si potrebbe intervenire bloccando l’elaborazione di beta amiloide o
rallentando la secrezione o il deposito di forme amiloidogeniche di APP.
L’elaborazione e la secrezione di APP potrebbe essere modificata inibendo
selettivamente una o più proteasi implicate ( alfa, beta o gamma secretasi).
Una terza via farmacologica agisce sugli eventi che sono probabilmente
secondari al processo di malattia mediante estrogeni antiossidanti e agenti
antinfiammatori. Nelle donne dopo i 79 anni di età il rischio relativo di malattia
di Alzheimer risulta triplicato e che anche una menopausa precoce può
rappresentare un fattore di rischio di incidenza.
Sembra pertanto confermata l’idea che il rischio di sviluppare la malattia di
Alzheimer sia genere dipendente mentre si pongono nuovi interrogativi sulla
possibilità che una menopausa precoce e una terapia sostitutiva estrogenica
influenzino il processo di malattia stesso.
Diversi studi hanno dimostrato che i neuroni del sistema nervoso sono dotati
di recettori intranucleari di estrogeni ad alta affinità: l’effetto degli estrogeni sul
cervello rifletterebbe quindi una azione diretta dell’ormone sulle cellule nervose
che stimolano la produzione di NGF la sintesi di Ach e il rilascio di APP.
L’azione degli estrogeni a livello cerebrale può avere importanti effetti sul
comportamento sessuale ed influenzare lo sviluppo neurale e anche
l’architettura delle connessioni.
Alcuni di questi effetti potrebbero rivelarsi protettivi e preventivi o anche
terapeutici. Di particolare interesse dal punto di vista clinico è il potenziamento
dell’attività colinergica esercitato dagli estrogeni quando somministrati in
associazione con gli inibitori dalla colinesterasi.
Lo studio più lungo, di quasi 40 anni sul processo di invecchiamento
nell’uomo è lo studio longitudinale Baltimora del National Istitute of Aging che
comprende 2000 soggetti ai quali sono stati somministrati sia farmaci
antinfiammatori non steroidei sia estrogeni.
Lo studio MA comprende circa 500 donne che hanno seguito terapia
sostitutiva estrogenica per un periodo di 16 anni.
Solo il 4% di questi soggetti ha sviluppato la malattia rispetto al 10% di quelli
che non sono stati sottoposti a ERT che corrisponde ad una riduzione del rischio
superiore al 50 % .
Due studi multicentrici sono attualmente in corso negli Stati Uniti su 1200
donne trattate per la durata di un anno con Premarin e 8000 donne trattate con
estrogeni. Questi protocolli potranno fornire informazioni più chiare sugli effetti
specifici degli estrogeni nella demenza e sulla possibile azione neuroprotettiva.
Studi retrospettivi suggeriscono che un trattamento con estogeni per un certo
numero di anni dopo la menopausa può ridurre nelle donne il rischio di
sviluppare la malattia di Alzheimer.
TRATTAMENTO CON ANTIOSSIDANTI
Si è ipotizzato che le lesioni istopatologiche corticali tipiche della malattia di
Alzheimer siano una conseguenza dello stress ossidativo e dell’accumulo di
radicali liberi che incrementano i livelli di perossidazione lipidica con un
conseguente danno nelle membrane neuronali.
In uno studio in doppio cieco di Sano è stato condotto per due anni un
protocollo multicentrico su 341 pazienti affetti da malattia di Alzheimer di
grado moderato severo.
Il risultato principale dello studio è che il trattamento con selegilina e vitamina
determina un ritardo nei principali outcome di progressione della malattia
(istituzionalizzazione, decadimento funzionale nelle attività di base della vita
quotidiana, demenza severa e morte) .
L’associazione delle due sostanze non ha mostrato un effetto additivo. La
prestazione ai test cognitivi non migliorava in alcuno dei gruppi in trattamento.
Tuttavia il ritardo di diversi mesi nell’istituzionalizzazione rappresenta un
cambiamento significativo nella vita dei pazienti e dei caregiver.
TRATTAMENTO ANTINFIAMMATORIO
Sono molteplici i segni di un processo infiammatorio legato alla patogenesi
della malattia di Alzheimer ( attivazione della microglia attivazione a cascata di
protcine di complemento citochineproteine dei difesa poriteasi inibitori delle
proteasi e peptidi amiloidi associati a placche neuritiche) .
Se l’infiammazione è veramente parte del processo di malattia il trattamento
antinfiammatorio
potrà
sia
prevenire
l’insorgenza
sia
rallentarne
la
progressione. Controversi risultati raggiunti fino ad ora rendono necessario
protocolli cimici controllati e multicentrici per verificare se i dati
epidemiologici riflettano un effetto protettivo dei farmaci antinfiammatori .