Speciale Kotler Forum con Piero Fassino, Alberto Mattiacci, Carlo

Maggio>Giugno ‘15
#Issue
6
Speciale Kotler Forum con Piero Fassino, Alberto
Mattiacci, Carlo Borriello e Mirko Pallera / Camminando
a piedi per l’Italia / San Francisco / Venezia, laguna d’arte
DESTINATION MAGAZINE
il magazine di marketingdelterritorio.info
TESTATA GIORNALISTICA REGOLARMENTE AUTORIZZATA AL PROTOCOLLO N. 26 DEL 17/09/2013 PRESSO IL TRIBUNALE ORDINARIO DI TORINO
In copertina: Riserva di Vendicari, in Sicilia
Sopra: fotografare il tramonto a San Francisco
Direttore Responsabile
Editore
Bruno Caprioli
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Art Director & Grafica
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Hanno collaborato
Alberto Mattiacci
Per contattare l’editore:
Darinka Montico
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Elisa Parrino Rensovich
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2
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DESTINATION MAGAZINE #6
Indice
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“Marketing 3.0”
Kotler e l’Italia / Fassino: la Cultura al centro
Il marketing italiano non si fermi a Kotler
Carlo Borriello vs Mirko Pallera
A piedi tra i sogni
If you are going to San Francisco
I ponti dell’arte a Venezia
I più letti di Marketing del Territorio
21 Doze Green, “Luminous Series B”,
esposto alla Biennale di Venezia
23 Chiesa di San Nicola a Cotronei (Crotone)
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DESTINATION MAGAZINE #6
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“Marketing 3.0”
Di: Bruno Caprioli, Direttore Destination Magazine
Quale marketing
per l’Italia?
A
l Philip Kotler Marketing Forum
di venerdì 15 maggio alla Bicocca a
Milano, al centro dell’attenzione le linee
guida per le strategie di comunicazione
e promozione dei prossimi anni. Il
nuovo approccio umanistico proposto
dal fondatore del marketing moderno
(intervista in esclusiva sul canale youtube di
marketingdelterritorio.info) è sicuramente
un’evoluzione interessante dei modelli
di riferimento che Kotler ha introdotto
negli anni e costantemente rivisto e
aggiornato. Ma pone un problema: il
sistema Italia, almeno dal punto di vista
del destination marketing, è pronto per
mettere in pratica i dettami di Kotler
o, come propone Alberto Mattiacci della
Sapienza, bisogna trovare una via italiana
al marketing territoriale superando la
sudditanza che abbiamo nei confronti degli
anglosassoni in questa materia? Dai lavori
del forum (i cui contributi pubblicheremo
a partire dalla settimana prossima
su
www.marketingdelterritorio.info)
emergerà sicuramente una prima risposta
e verranno fuori spunti di discussione
interessanti. Quello che è certo è che il
Sistema Italia – per le caratteristiche
di
frammentazione
amministrativa,
mancanza di una governance unitaria,
scarsa cultura dell’accoglienza legata
anche alla dimensione delle imprese e per
la difficile gestione delle risorse culturali
– male si adatta a qualsiasi modello
di marketing. A questo si aggiunga che
nei fatti – sempre a livello di sistema
– il turismo ancora non è considerato
veramente una risorsa strategica. Come
sottolinea in questo numero Piero Fassino
in qualità di Presidente Anci “la cultura”
da elemento aggiuntivo deve diventare
elemento centrale e costitutivo dello
sviluppo nazionale. Solo facendo questo
salto di approccio si potranno avere
politiche e strategie nazionali organiche,
che integrino al massimo il ruolo centrale
che i Comuni da anni svolgono in questo
settore. Occorre inoltre dare corpo a un
sistema normativo organico e semplificato,
che consenta di attrarre in modo efficace
investimenti privati perché, in tempi come
gli attuali di risorse pubbliche limitate,
gli amministratori locali debbono poter
puntare sempre di più sulle partnership
pubblico-privato”. Ecco, è a partire dalla
profonda riorganizzazione del sistema
Italia che si potrà poi parlare di modelli e
strategie di marketing innovativi e vincenti.
Come dice Mattiacci, il marketing italiano
non si può fermare a Kotler, perché le
nostre specificità sono veramente troppe.
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DESTINATION MAGAZINE #6
Kotler
N
on capita tutti i giorni, ma
neanche tutti gli anni, di
incontrare l’inventore di una
disciplina, metro di misura e
bilancia dei mondi economici.
Certo, di libri letti e tradotti in
decine e centinaia di lingue ce
ne sono molti, ma Marketing
Management di Philip Kotler è
molto più di un libro: è il testo su
cui poggiano corsi universitari,
convegni, ma anche politiche
economiche locali e globali.
È una materia di studio e uno
strumento di mercato, è teoria
e pratica insieme. E tutto ciò
fondamentalmente grazie a Philip
Kotler, che venerdì 15 maggio
ha deciso di essere a Milano per
un confronto con accademici,
professori, economisti, giornalisti
e pensatori. Per il Philip Kotler
Marketing Forum alla Bicocca
abbiamo voluto essere presenti,
con la nostra attenzione. Non
solo: abbiamo coinvolto Alberto
Mattiacci, Carlo Borriello, Mirko
Pallera e Piero Fassino, chiedendo
il loro parere sul marketing e
sull’Expo appena iniziata. Perché
riteniamo di vivere un momento
storico cruciale per il nostro
Paese, e non c’è alcun dubbio che
il contributo di quante più persone
possibili è fondamentale per dare un
impulso straordinario alla crescita
economica dell’Italia attraverso la
valorizzazione del nostro maggiore
patrimonio. E cioè l’Italia stessa.
Di: Claudio Pizzigallo
Fassino: la Cultura al centro
M
entre il governo porta
avanti la riforma del Titolo
V per le competenze turistiche,
uno strumento a disposizione
dei Comuni è costituito dal
Dl 145 “Destinazione Italia”.
In qualità di Presidente dell’ANCI,
che cosa pensa di questo decreto
legge come opportunità di
sviluppo per i Comuni? Di che
strumenti concreti avete bisogno
nell’immediato?
6
La cultura da elemento aggiuntivo
deve diventare elemento centrale
e
costitutivo
dello
sviluppo
nazionale. Solo facendo questo
salto di approccio si potranno
avere politiche e strategie nazionali
organiche, che integrino al massimo
il ruolo centrale che i Comuni da
anni svolgono in questo settore. E si
potrà arrivare ad un utilizzo ottimale
di questo asset fondamentale per il
nostro sistema Paese. Ma per farlo
bisogna sciogliere alcuni nodi, a
partire dal riconoscimento delle
politiche culturali e del turismo
come funzioni fondamentali svolte
dai Comuni.
Occorre inoltre dare corpo a un
sistema normativo organico e
semplificato, che consenta di
attrarre in modo efficace investimenti privati perché, in tempi
come gli attuali di risorse pubbliche
DESTINATION MAGAZINE #6
e l’Italia
limitate, gli amministratori locali
debbono poter puntare sempre
di più sulle partnership pubblicoprivato.
L’Expo
appena
iniziata
è
sicuramente un’opportunità per
mettere in vetrina non solo Milano
ma l’Italia. In tal senso ritiene che
il sistema Paese si sia mosso bene
o si poteva fare di più?
Si può sempre fare di più,
sicuramente. Ma l’organizzazione
dell’Expo dimostra che il nostro
è un Paese che possiede e sa
mettere in campo capacità, risorse
e competenze per preparare e
gestire con successo eventi di
eccezionale rilevanza, proprio come
l’Esposizione Universale di Milano.
A proposito di Expo 2015,
l’Ostensione
della
Sindone,
il nuovo Museo Egizio, il Polo
Reale recentemente ampliato, la
Capitale europea dello Sport, e poi
ovviamente la vicinanza a Milano:
sono questi gli “ingredienti”
del grande successo turistico di
Torino di queste settimane, un
successo costruito con una decina
d’anni di lavoro. Quali saranno
progetti e iniziative principali
per proseguire su questa strada
nel semestre espositivo milanese
ma soprattutto dopo, negli anni a
venire?
Permettetemi di ricordare che
Torino è ormai una delle destinazioni
turistiche più frequentate in Italia e
in Europa. Un risultato che è frutto
di un lungo lavoro. Negli ultimi
vent’anni il capoluogo piemontese
ha fortemente allargato il suo
profilo e le sue vocazioni. L’industria
continua certamente a svolgere
un ruolo importante, ma al tempo
stesso la città è diventata un
centro di eccellenza di molti altri
campi, dalla ricerca all’innovazione,
dall’università alla cultura e,
soprattutto, al turismo per il cui
sviluppo Torino ha investito e
continua a investire modernizzando
le proprie infrastrutture, promuovendo
i
propri
gioielli
storici, architettonici e museali e
proponendosi come palcoscenico
di grandi eventi culturali, sportivi
o, comunque di grande richiamo
per il pubblico. L’Ostensione della
Sindone, appuntamenti sportivi di
rilievo nazionale e internazionale,
il Salone del Libro, mostre ed
eventi di spettacolo: a chi vuole
visitare Torino nei prossimi mesi, la
città offre tanti buoni motivi per
farlo.
Al di là di Torino, che rimane
forse il caso più emblematico per
visione sistemica e composizione
dell’offerta, quali sono secondo
lei, tra gli altri Comuni, i casi
più significativi di un approccio
aggregato
e
funzionale
a
intercettare
flussi
turistici
internazionali tra i visitatori di
Expo?
Ogni territorio ha specificità particolari. Spero che Torino possa
rappresentare un buon esempio.
Sotto: Piero Fassino, sindaco di Torino
e Presidente ANCI
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DESTINATION MAGAZINE #6
Il marketing
italiano non si
fermi a Kotler
CLICCA QUI
PER LA
VIDEOINTERVISTA
Sopra: Philip Kotler tiene un discorso alla Mays Business School,
Di: Alberto Mattiacci
di College Station, Texas nel settembre 2010
I
l marketing italiano soffre
ancora di un complesso
di subalternità verso i guru
anglosassoni del marketing:
una vera e propria sudditanza
culturale piuttosto inopportuna,
che necessita di essere superata.
Facendo brevemente la storia
della disciplina, il marketing e
il management moderni sono
8
invenzioni nate in America pensando alle imprese
americane e ai consumatori americani: in questo
senso, marketing e management hanno certamente
modellato un’intera società.
Quando sono state ideate e implementate – nel secondo
dopoguerra, quando le multinazionali hanno portato
anche qui in Europa la forma dell’impresa americana
– questo ha avuto fino alla metà circa degli anni ‘90 un
grande ruolo nell’insegnarci a fare impresa, creando
il consumismo in Europa con le sue luci e ombre.
DESTINATION MAGAZINE #6
Kotler ha avuto il grande merito
di costruire un’architettura
teorica che ha spinto per molti
anni un modello vincente, ma
se applicata oggi, soprattutto in
Italia, è un fattore di freno.
culturali assolutamente unici: se
ci pensiamo, si è inventato una
cosa che poi è diventata materia
universitaria. In tutto il mondo.
E non so quanti altri pensatori
possono vantare un record di
questo tipo: Einstein per dire non
è che ha inventato una disciplina,
non esiste un corso di teoria
della relatività, e sto parlando di
Einstein, un genio assoluto.
Tuttavia è necessario riconoscere
che quell’epoca è finita, e che
non ci sono più le ragioni di
questa egemonia culturale così
pesante, mentre invece c’è ancora
una grossa inerzia da parte di
tutto un pensiero economico
e di certi manager a evolversi e
affrancarsi da questo pensiero.
Nelle università italiane e non
solo ci sono moltissimi colleghi che
ancora usano i testi di Philip Kotler.
Intendiamoci, Kotler è uno studioso
che vanta dei primati intellettuali e
Detto questo però, va spiegato
che negli anni ‘70 Kotler ha
fatto un’intelligente opera di
assemblaggio di concetti tirati
fuori da altri: marketing mix è
un concetto coniato dal centro
McCarthy, e anche le quattro P,
come la segmentazione della
domanda, la Piramide di Maslow,
sono concetti nati dal pensiero
economico degli anni ‘50.
Kotler ha preso tutta una serie di
buone idee, le ha messe insieme
in un’architettura di pensiero
che funzionava e che soprattutto
era adatta alla struttura e al
modo di agire delle imprese
Sotto: Marketing Management (Edizioni
Pearson) di Philip Kotler e Kevin L. Keller,
un testo fondamentale per chi si occupa di
marketing
americane dell’epoca. Questo è
il passaggio veramente geniale:
è come analizzare il fisico di una
persona e disegnare un abito
su misura. Il successo è stato
immediato perché ha dato ciò
che serviva, nel momento in cui
serviva, consentendo alle imprese
di usarlo con il minimo sforzo
possibile perché era adatto a loro.
Poi il mondo è cambiato, i
consumatori,
le
persone,
le
imprese stesse sono cambiate,
e Kotler di volta in volta ha
adattato il suo modello. Ricordo
che qualche anno fa, nel corso di
un pranzo insieme al Professore,
gli chiesi: “Non sarebbe il caso di
cambiare l’approccio, le 4 P ?”. Lui
mi diede una risposta che suonava
sostanzialmente
come
“caro
collega, io ho 80 anni, credi sia ora
di cambiare tutta l’architettura del
mio pensiero?”.
In Italia, se io vado in una impresa
tipo, una piccola impresa, familiare,
con una forte cultura di prodotto,
se vado a parlare delle quattro P,
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DESTINATION MAGAZINE #6
degli
investimenti
in
brand,
mi arriva una sedia in testa.
La ragione è che il sistema
kotleriano tarato su un modello
di impresa all’americana non va
bene per le realtà dell’impresa
italiana. Noi, infatti, ci troviamo
con un problema enorme che non
è la cultura di produzione, ma la
cultura di mercato. E il sistema
di marketing di Kotler non aiuta a
fare sistema di mercato, perché è
evidente che è un’impostazione
americana.
Kotler
ha
avuto
il grande merito di costruire
un’architettura teorica che ha
spinto per molti anni un modello
vincente, ma se applicata oggi,
soprattutto in Italia, è un fattore
di freno. Il problema è che nelle
università, i professori usano il
libro di Kotler perché è l’unico libro
di marketing che abbiano letto.
E con loro manager importanti di
40-50 anni che hanno fatto carriera
e successo.
In questo senso, ci troveremo
dunque
in
una
dimensione
molto curiosa al Kotler Forum:
celebreremo un personaggio che è
stato un genio in questo settore, in
uno scenario che sta cambiando
i paradigmi per effetto della
digitalizzazione,
avendo
nei
Paesi avanzati una popolazione di
consumatori che sono saturi di
prodotti e hanno un atteggiamento
molto più disincantato verso le cose.
Anche nel destination management
o marketing territoriale, l’Italia può
solo migliorare: il nostro Paese
è ancora molto artigianale. E il
risultato di questo lo vediamo: il
fatto che l’Italia non sia il primo
Paese per flussi turistici in entrata
10
è la certificazione di questo nostro
sbagliato approccio mentale e
culturale, da cui possiamo solo
migliorare. Per prima cosa è
necessario togliere il turismo
dalle mani delle Regioni, che
hanno dimostrato scarsa capacità
gestionale. Il turismo deve essere
affidato a un’agenzia statale con
gente brava, pagata bene, e che
abbia il potere di concepire e
organizzare le offerte territoriali.
Se
fossi
l’allenatore
della
“nazionale” del turismo italiano,
la mia tattica sarebbe eliminare
la devolution della promozione.
Nella fase successiva si ripenserà
a come restituire il potere di agire
localmente, ma ora è urgente creare
dei centri che abbiano un livello di
competenza elevato.
La formula di ricchezza economica
del nostro Paese presto si modulerà
su due grandi panieri in entrata e
uscita. In uscita noi esportiamo dei
prodotti, dei manufatti, le famose
quattro A dell’export italiano:
alimentare,
abbigliamento,
arredamento
e
automazione
industriale. A questi grandi blocchi
ci si deve aggiungere il chimico
farmaceutico, che in Italia ha
punte di eccellenza mondiale, e le
industrie creative. Noi dobbiamo
puntare moltissime sulle industrie
creative: film, contenuti televisivi,
spettacoli, teatro, cultura, arte.
Il nostro heritage, unico al mondo,
deve essere valorizzato e fare
chiaramente sistema con il turismo.
Dall’altro lato, dobbiamo lavorare
per aumentare i flussi in entrata.
Principalmente di due tipologie: il
turismo e gli investimenti produttivi
stranieri.
Sopra: Alberto Mattiacci, Professore ordinario
di Economia e Gestione delle Imprese alla
Sapienza, Università di Roma
DESTINATION MAGAZINE #6
C’è in questo senso una grande
contraddizione nella schizofrenia
che caratterizza il nostro Paese: da
un lato ci lamentiamo dicendo che
gli stranieri non vengono a investire
in Italia e poi, quando i cinesi
comprano la Pirelli, cioè investono
in Italia non è che comprano la
Pirelli e la portano a Pechino,
tutti a dire “oddio si comprano
l’Italia”. Ben vengano, secondo
me, stranieri che si comprano le
imprese italiane, nel frattempo lo
Stato favorisca il fenomeno delle
start up, la crescita territoriale.
Vanno benissimo anche investitori
stranieri che si comprano la Costa
Smeralda, mica se la portano via:
se la comprassero e investissero
per migliorarla e per migliorare la
capacità attrattiva. Nelle attività
geolocalizzate, l’Italia ha solo
da guadagnarci. Anche perché
spesso gli stranieri hanno un
livello di competenza tecnica e
professionalità di cui noi non siamo
capaci. L’importante è che il lavoro
rimanga qui, perché siamo molto
ombelicali e abbiamo una idea
troppo grande di noi stessi, però
siamo anche il posto dove si vive
meglio nel mondo.
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DESTINATION MAGAZINE #6
P
er costruire il proprio futuro,
una persona o una comunità
devono conoscere il passato
ma anche il presente, il resto
del mondo ma anche se stesse.
Nel
marketing
territoriale
italiano, la costruzione di un
futuro di crescita sembra in
qualche modo azzoppata da una
conoscenza a metà in un certo
senso paradossale: la teoria della
materia, infatti, è legata a modelli
costruiti nel passato e ancorati
a
contesti
socio-economici
angloamericani. In che modo
accademici, studiosi e operatori
possono contribuire a far fare il
salto di qualità necessario per
rendere italiani e attuali i modelli
di riferimento che ci arrivano dal
Regno Unito e dagli USA e su cui,
come sostiene il prof. Mattiacci,
c’è una sorta di attaccamento
poco funzionale al contesto
attuale?
CB: La straordinaria originalità del
nostro Paese, dove da una città
all’altra cambia tutto (talvolta
anche da un quartiere all’altro),
“La straordinaria
originalità del
nostro Paese è la
nostra principale
ricchezza ed
anche il principale
ostacolo”
Carlo Borriello
Carlo Borriello vs
Mirko Pallera
Sopra: Carlo Borriello, Imprenditore ed Esperto di Comunicazione
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Sopra: Mirko Pallera, Fondatore di Ninja Marketing
DESTINATION MAGAZINE #6
è la nostra principale ricchezza
ed anche il principale ostacolo.
Credo che dovremmo procedere
con orgoglio e umiltà al tempo
stesso alla realizzazione di un
Modello Italiano. L’esperienza di
Carpi ad esempio può essere molto
interessante. Mi auguro che questi
lunghi anni di crisi abbiano portato
una consapevolezza diversa sul
valore della “compartecipazione”.
La prima responsabilità è quella
degli imprenditori, penso che
soprattutto le nuove generazioni
debbano e possano operare il
cambiamento epocale che ci
aspettiamo. Il territorio non è
la casa dei competitori ma quel
“sistema” fulcro su cui poggiare le
leve della creatività, della qualità
produttiva,
dell’ingegno.
Per
seconde vengono le istituzioni a cui
non bisogna chiedere soldi ma di
fare il loro lavoro: offrire e garantire
opportunità. Cioè infrastrutture,
facilitazioni, entrature. Informazioni
e studi che siano realmente tali. Per
quest’ultimo il ruolo delle Università
e degli accademici dovrebbe essere
centrale e l’impegno non può più
essere quello di adeguarsi alle
teorie esistenti ma di elaborarne di
nuove ed esclusive commisurate alla
nostra realtà.
MP: Credo che la via possa essere
quella di un mix di modelli e
tecnologie che provengono dal
mondo
anglo-americano
unite
alla cultura e sensibilità tipica dei
nostri territori. La conoscenza
degli strumenti del marketing deve
essere diffusa e portata a tutti gli
operatori del settore, unitamente
alla consapevolezza delle storie
e del valore dei nostri patrimoni,
punto di partenza straordinario per
delle strategie efficaci di content
marketing e storytelling.
Il sistema territoriale italiano
ha caratteristiche articolate e
ricche di opportunità: paesaggio,
beni artistici stratificati in
migliaia di anni, grande varietà
geomorfologica
e
culturale,
enogastronomia di primissimo
livello
mondiale,
eccellenze
artigianali e imprenditoriali. Il
territorio, per citare l’intervento
del prof. Mattiacci alla Bicocca,
è indubbiamente una risorsa
strategica per le imprese, private
e pubbliche. Che cosa manca
ancora per uno “sfruttamento”
pieno e completo ma anche
sostenibile e programmabile a
medio-lungo termine?
CB: La consapevolezza della straordinaria unicità e forza che ogni
territorio rappresenta. La scarsa
capacità di analisi specifiche e
conseguentemente l’impossibilità
di costruire modelli a cui riferirsi
con progetti su misura. In sostanza
manca il Modello Italiano anche se
poi abbiamo tutti davanti agli occhi
Eataly. Dietro questo straordinario
fenomeno c’è l’intuizione di valori,
progetti e prodotti. Un’esperienza
che potrebbe essere estesa ben
oltre il food (che pure già da solo
sarebbe una leva eccellente).
MP: Manca la sensibilità al marketing
e al design, soprattutto da parte
degli
amministratori
pubblici.
Ogni luogo potrebbe (e dovrebbe)
essere un brand, l’Italia è un grande
brand! Questi asset dovrebbero
essere gestiti con il massimo delle
professionalità creative, strategiche
e tecnologiche. Ci sono ovunque
professionisti capaci di realizzare
grandi cose, il problema sta nella
committenza: assessori, presidenti
di associazioni di promozione e
sviluppo territoriale. Certe decisioni
dovrebbero essere prese dagli
esperti, non dai politici.
Expo 2015. L’Esposizione Universale è un modello con oltre
un secolo di esistenza, e questo
potrebbe in qualche modo pesare
sul suo successo. Tuttavia, per
l’edizione milanese è stato
costruito un progetto industriale,
culturale e sociale orientato
al futuro, fin dallo scopo
annunciato nel motto di Nutrire
il Pianeta. Può questa Expo
Milano rappresentare e costituire
un nuovo modello tanto per il
prodotto mondiale Expo quanto
per il sistema Italia?
CB: Senza nulla togliere alla rilevanza
dell’Expo non nutro grande fiducia
su questo tipo di operazione se
riferito al sistema Italia. E questo
per tre motivi: 1) il modello Expo
per sua natura dovrebbe giungere
alla fine di un percorso ben
strutturato in cui ogni territorio
mostra e offre il meglio di sé in
modo globale. Sappiamo che non è
così. 2) La dimensione dell’evento
tende a schiacciare inevitabilmente
ogni forte originalità dentro la
globalizzazione sia culturale che
commerciale che lo caratterizza. 3)
Più che di una “vetrina” universale il
nostro sistema ha bisogno di progetti
concreti e misurati ai mercati
con i quali vuole e trova senso ad
interagire. Quella strada non passa
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DESTINATION MAGAZINE #6
se non del tutto casualmente per
l’Expo. Ritorniamo all’esempio di
Eataly, la sua forza è stata quella
aprire non solo a Torino, ma a New
York, Tokyo, Roma...
MP: È una grande opportunità,
se è stata sprecata, lo vedremo
nei prossimi mesi. Quando hanno
annunciato il concept dell’Expo,
mi sono esaltato all’idea di vedere
Sopra: veduta delle Dolomiti, patrimonio Unesco
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realizzata la prima smart city.
Non ci sono stato ancora e non
ho seguito molto la vicenda, ma
non credo che le aspettative
siano
state
mantenute.
Il
modello per il futuro è innovare
costantemente, mantenendo le
forti radici che ci legano al passato.
Un salto di coscienza e di sensibilità
che migliora la società, favorito dalle
nuove opportunità tecnologiche.
“Ogni luogo potrebbe
(e dovrebbe) essere
un brand, l’Italia è un
grande brand!”
Mirko Pallera
DESTINATION MAGAZINE #6
A piedi
tra i sogni
“WALKABOUT” FA RIFERIMENTO
AI CAMMINI CHE GLI ABORIGENI
NELL’OUTBACK AUSTRALIANO
PERCORRONO IN ETÀ ADOLESCENZIALE
PER RICONNETTERSI CON LE LORO
ORIGINI ANCESTRALI
Di: Darinka Montico
H
o
vissuto
15
anni
letteralmente in giro per
il pianeta: Stati Uniti, Canada,
Malesia, Tailandia, Laos, Australia,
Nuova Zelanda, Inghilterra, Spagna,
Hong Kong. Sempre lavorando e
sempre adattandomi alle situazioni
che il mondo mi presentava. Finché
ho deciso di riconnettermi al mio
piccolo mondo, alle mie origini,
scoprendo il mio Paese e per una
volta imponendo le mie passioni
e facendo in modo che il mondo
si adattasse a me. Senza fretta.
Quando è stato il momento di
dare un nome al mio progetto,
ho pensato a “walkabout”, con
riferimento ai cammini che gli aborigeni nell’Outback
australiano
percorrono
in
età
adolescenziale
per riconnettersi con le loro origini ancestrali.
Così, del resto, è stato anche per me: ho camminato da
Palermo a Baveno, un piccolo paese sul Lago Maggiore,
dove sono nata e dove ho la mia famiglia. Procedendo a zig
zag, percorrendo a piedi circa 3000 km, da sola, senza
un euro in tasca e con una scatola nella quale inserivo, man
mano che procedevo, una serie di fogli cui le persone che
incrociavano il mio cammino affidavano i propri sogni. Il
mio, di sogno, era sconfiggere il nulla – come Atreyu
nella “Storia Infinita” – stimolando le fantasie della gente.
Dopo sette mesi di cammino, sono arrivata a casa: sempre
senza soldi, ma con un bagaglio di valore inestimabile,
fatto di sogni e di tanti nuovi amici. A quel punto, ho
voluto assicurare il mio capitale, per non rischiare di
15
DESTINATION MAGAZINE #6
Immagini, parole, sogni: in ogni
viaggio questi elementi si uniscono
per formare un’esperienza in grado
di connettere un individuo al mondo
che lo circonda e il mondo agli
individui che lo attraversano.
di come mi ci sono completamente
immersa, seguendo la filosofia
pragmatica
del
cammino
e
dell’amore. Oltre alle parole, oltre ai
sogni, ho voluto inserire 16 pagine a
colori in cui ho raccolto le fotografie
degli scorci paesaggistici più
suggestivi e in un certo senso
rappresentativi della quotidianità
del Bel Paese. Mi piace considerare
Walkaboutitalia come il risultato
di una ricerca antropologica
sui sogni degli italiani, quello
che vorrebbero e non hanno,
disegnando in un certo senso un
ritratto lucido di denuncia sociale.
Le immagini, le parole e i sogni,
però, non sono mai abbastanza.
Non per me, almeno, che dopo aver
terminato la stesura del mio libro
ho sentito il bisogno di raccogliere
nuovi sogni, di conoscere nuovi amici
e ritrovare quelli dell’anno scorso in
un nuovo viaggio in giro per l’Italia.
Ho deciso di promuovere il mio
libro con un secondo percorso
lungo il nostro Paese, ma cambiando
qualcosa. Quest’anno sarò quindi
dotata
di
una
meravigliosa
bicicletta in bambù, fatta su
misura per me dai giovani artigiani
di Carrus Cicli, a Savona: una nuova
avventura, nel corso della quale
parteciperò a festival, fiere, convegni
e incontri nelle librerie di tutta Italia.
Sopra: suggestivo tramonto a Reggio Calabria
Nella pagina precedente: copertina del libro
Walkaboutitalia, edito da Edizioni dei Cammini
perdere anche solo un giorno di
questo viaggio ai confini tra realtà
e fantasia. Ho scritto un libro con
lo stesso nome del mio progetto
– Walkaboutitalia, per una casa
editrice che si chiama proprio
Edizioni dei Cammini – la cui uscita
è stata decisa in concomitanza con il
Salone del Libro di Torino. In quelle
16
pagine ho descritto in modo intimo
e personale cosa mi ha spinta a
partire, le paure che mi bloccavano
e che passo dopo passo svanivano,
l’incredibile ospitalità con la quale
sono venuta a contatto diretto
facendomi ospitare ogni giorno da
chiunque incontrassi. Un libro che
parla della bellezza dell’Italia e
Il mio nuovo viaggio parte dal
Salone di Torino, poi verso Bologna
per partecipare al festival Itaca
e poi risalirò verso il Friuli per
aggregarmi al giro d’Italia in 80
librerie organizzato dai ragazzi di
Letteratura Rinnovabile e dal mio
editore Edizioni dei Cammini, questa
DESTINATION MAGAZINE #6
nuova casa editrice esclusivamente
dedicata a chi viaggia a piedi: il mio
libro è infatti parte di una collana
di cui fanno parte camminatori
celebri come Dave Kunst, il
primo uomo a farsi il giro del
mondo a piedi, e David Le Breton.
Ogni viaggio è fatto di immagini,
parole e sogni, ma anche di
strade. E dopo mesi trascorsi a
raccontare il mio ultimo viaggio,
non posso resistere alla tentazione
di rimettermi in movimento.
Sotto: un arcobaleno sullo Stretto di Messina
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DESTINATION MAGAZINE #6
If You are going
to San Francisco
Di: Elisa Parrino Rensovich
Sopra: l’iconico Golden Gate Bridge
C
i sono vari modi di definire San
Francisco. Si dice che sia la più
europea delle città USA, si dice che
ci si lasci il cuore, si dice che sia una
città speciale, intensa e suggestiva.
Senza dubbio è stata ed è il centro
dei maggiori cambiamenti culturali
che hanno segnato l’America negli
ultimi decenni.
Non si può non rimanere colpiti
dal fascino di questa città. Twiggy
la paragonò a un amalgama tra
Londra e Parigi. Ma a differenza dei
discendenti europei, la rinomata
cordialità degli abitanti di questa
città è stata più volte raccontata
da scrittori e autori che qui sono
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transitati. È famosa una
citazione di Mark Twain:
“I have always been rather
better treated in San Francisco
than I actually deserved” (sono
sempre stato trattato meglio
di quello che mi meritavo, a San
Francisco).
L’eco non troppo lontana della
rivoluzione dei figli dei fiori si
ode ancora tra le colline del Golden
Gate Park. Con i suoi 4 km² è il parco
cittadino più grande d’America, più
vasto di Central Park a New York.
Le molteplici piste ciclabili sono
una risorsa vitale per la città e per
i suoi cittadini che la attraversano
DESTINATION MAGAZINE #6
A destra: curiosi incontri a Haight-Ashbury, la
strada culto della rivoluzione dei figli dei fiori
“Sono sempre
stato trattato
meglio di
quello che mi
meritavo, a
San Francisco”
tagliando
lungo
gli
itinerari
disegnati dalle sequoie, l’albero
della California. Il parco ospita due
dei principali musei cittadini: il
DeYoung Museum e L’Accademy
of Science, uno, spazio d’arte
contemporanea, l’altro, il museo di
scienze naturali. A fianco del museo
di arti contemporanee si trova
il giardino botanico giapponese,
una passeggiata che vale la pena
concedersi tra i meravigliosi fiori
di loto e i prati verdeggianti del
giardino. Dirigendosi verso ovest
si arriva al Pacifico, che bagna la
spiaggia di Ocean Beach.
L’ingresso orientale del parco
invece guarda sulla famosa HaightAshbury, la strada culto, teatro
tra il ’67 e il ’68 della rivoluzione
dei figli dei fiori. Una rivoluzione
non solo musicale ma origine di una
nuova cultura, la Beat Generation che
nei romanzi, nelle canzoni, nei suoi
riti, ha raccontato le inquietudini,
le ribellioni, la sete di libertà di una
generazione di americani.
I ragazzi della Beat Generation si
ritrovavano al Caffè Vesuvio a
North Beach, che ospita la comunità
italiana da quando, nella seconda
metà dell’Ottocento, il primo nucleo
di pescatori genovesi costruì uno
dei quartieri più celebri della città
di oggi, il Fisherman Wharf. Qui al
molo, affacciato su Alcatraz, dove
fino a tarda primavera si spiaggiano
i leoni marini, si trovano inoltre due
delle stazioni della cable car, il tram
che taglia le colline del quartiere di
Russian Hill e arriva in centro città
nella piazza di Powell street.
Di qui a bordo di uno dei classici tram
o passeggiando si percorre Columbus
street: il pranzo è da Home Made
Company, dove ci si può sedere e
gustare un ottimo piatto di pasta
fatta in casa. Tappa obbligata è
nello storico Saloon all’incrocio tra
Broadway street e Columbus street,
per concedersi una birra e due
salti. All’altro lato della strada, ecco
la Citylight Book, la libreria più
famosa del mondo, un tempo casa
editrice e luogo simbolo dei poeti
della Beat Generation. Di qui, per
arrivare in downtown, si attraversa
Chinatown, l’enclave cinese tra
le più sviluppate delle metropoli
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DESTINATION MAGAZINE #6
A sinistra: surfisti a Ocean Beach
Sotto: il Sentinel Building meglio conosciuto
come Columbus Tower
degli Stati Uniti. Una volta arrivati
su Market street ci si dirige verso la
parte sud della città, tra Mission e le
case colorate di Castro. È qui, sotto la
collina di Twin Peaks, che nel 1972
Harvey Milk (interpretato al cinema
da Sean Penn) iniziò l’ascesa verso
il City Hall: Milk è stato il primo
americano omosessuale a diventare
sindaco di una città. Castro è ancora
oggi il quartiere LGBT, in cui vive la
comunità gay più grande del mondo;
il quartiere con i suoi colori e la sua
effervescenza è anche il principale
luogo dove divertirsi in città, tra
bar, gallerie d’arte e numerosi club.
Mission è invece il quartiere “in” per
eccellenza, cuore pulsante cittadino,
centro del fermento che prende vita
fra le sgargianti mura degli edifici,
tradizionale casa della comunità
latina della città. Se al Golden Gate
Park tra bici, scorci sulla baia e surf
pulsa la vita di San Francisco, un
altro parco, Dolores Park, è nel
weekend il luogo di incontro della
geek generation contemporanea.
È qui che si ritrovano i giovani
esponenti della rivoluzione high
tech che fanno di San Francisco la
capitale globale dell’innovazione.
Tra queste strade ci sono alcuni dei
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ristoranti migliori della città, tra cui
la famosa pasticceria Tartine, che val
bene la tediosa fila per assaggiare i
cornetti, le eclair alla crema o il pane
country, sfornato ogni pomeriggio.
Altro classico cibo di quest’area è il
burrito, da abbinare con guacamole
e chips; una delle migliori taquerie è
Cancun su Mission street, mentre al
Techio de Lolinda si può gustare un
margarita con la vista sull’orizzonte
della città.
Il nostro Frisco Tour si conclude
sull’oceano, a Bakers Beach, luogo
ideale per le passeggiate attraverso
i sentieri del Presidio Park da dove
è possibile attraversare il Golden
Gate Bridge. Non è un caso se questa
città è così amata dalle persone
che la attraversano. Al tramonto, la
luce riflette un colore indescrivibile
mentre cala un’atmosfera surreale;
un cielo vellutato si apre davanti agli
occhi e le porte di una dimensione
alternativa si spalancano. Con
una spinta positiva costante che
arriva da ogni stimolo che questa
città offre, si infonde nel profondo
una scintilla di coraggio, l’idea che i
sogni a volte possono diventare
realtà.
DESTINATION MAGAZINE #6
I ponti dell’arte
a Venezia
Di: Pietro Martinetti
I
n quella città-opera d’arte che è
Venezia, le biennali si intrecciano
in un dialogo tra discipline; arte e
architettura si alternano anno dopo
anno, mentre a settembre il molo del
Lido è sempre aperto per accogliere
il cinema contemporaneo.
In
questo 2015 in cui è l’Albero della
Vita dell’Expo, il faro che smuove
diplomazie, segreterie e palinsesti
degli eventi italici, la 56esima
Esposizione Internazionale d’Arte
di Venezia ha anticipato di un
mese il tradizionale opening e
vernissage dell’assalto alla Laguna
del mondo dell’arte globale.
Per 6 mesi, di qui a novembre
ai giardini e all’Arsenale il filo
conduttore del nigeriano Okwui
Enzewor, che legge un presente
oscuro ma colmo di speranza ed
energia e ha lasciato perplessità
e nasi storti, si interroga su
tutti i futuri del mondo, All the
Worlds Future. E quali sono i
futuri dell’arte? del doman non vi è
certezza, ma quello che è sicuro è
che nella cartografia dell’arte di
oggi è l’ascesa della street art.
Tanto nel mercato, dove un Bansky
(il misterioso pittore che denuncia
le contraddizioni del sistema)
vale milioni di euro, quanto nella
disponibilità delle città, i comuni e i
privati mecenati, a dirimere della
call perché le fantasie, i mondi,
i personaggi degli street artist
diventino il pubblico decoro che
mette in atto una rigenerazione
estetica dei quartieri e degli spazi
della socializzazione.
hanno creato una hall of hame,
un’opera collettiva, un ponte con
Arte di frontiere. New York Graffiti,
la prima mostra dedicata ai graffiti
che nel 1984 Francesca Alinovi allestì
in Italia. La frontiera è il setting
Proprio a Venezia, nell’ambito della
galassia degli eventi collaterali
che trasformano ogni angolo,
hangar, palazzo storico in uno
spazio in cui val ben farci dell’arte,
la mostra The Bridges of Graffiti è
una sorta di omaggio alla pittura
di strada. Succede che i pionieri dei
graffiti Boris Tellegen, Doze Green,
Eron, Futura, Mode2, SKKI ©,
Jayone, Todd James, teach Zero-T
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DESTINATION MAGAZINE #6
del background dove nacquero i
graffiti a New York, quelle zone
oscure ai margini di Manhattan,
sospese e condivise, dagli attici
di Park avenue ai condomini di
Harlem, tra passanti ferroviari e
zone industriali, ma anche il luogo
fisico dell’esposizione, San Basilio a
Venezia. La mostra trova spazio in
un hangar di mille metri quadrati
messi a disposizione dall’Autorità
Portuale e concessi all’Associazione
Inossidabile mentre la Fondazione
de Mitri si è occupata della curatela.
Il ponte dei graffiti connette
anche i due livelli espressivi
dell’esposizione: le fotografie di
Martha Cooper e Henry Chalfant
che mostrano le immagini di una
New York “spaccata” dai graffiti
e i muri dove gli artisti hanno
dipinto, figurativamente. Proprio
il passaggio tra queste due forme
di graffiti, la parte più figurativa
contro il vandalismo spray come
espressione di una firma, uno
scarabocchio, è la ragione per la
quale a San Basilio, come in tante
città del mondo e d’Italia la street
art sta diventando l’espressione di
una partnership pubblico – privato
della committenza. E nei futuri
dell’arte è destinata a portare la
pittura da ieri a domani.
A sinistra: Zero-T, “A Bag Full Of Cans &
Partners”, 2015
Nella pagina precedente: Boris Tellegen,
“Issues”, 2014
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I più letti di
Cotronei, il Comune calabrese con
progetti da 5 milioni per il turismo
MiBACT,
500
giovani
per
digitalizzare il patrimonio culturale
Stampa estera e turismo: un autogoal nell’anno di EXPO e Giubileo?
Cotronei è un Comune della Calabria
con soli 5400 abitanti, ma in grado
di mettere a punto 3 progetti per
turismo e cultura per cui ora chiede
al governo un finanziamento da
5 milioni di euro nel rispetto del
decreto
“Destinazione
Italia”.
“Merito di programmazione, di
una macchina amministrativa che
funziona e di dipendenti comunali
disponibili” ha detto il sindaco
Belcastro.
È partita la seconda fase della selezione ministeriale del
MiBACT rivolta ai neolaureati per
un corso di formazione di un anno.
Fino a fine maggio, cinquecento
giovani laureati saranno selezionati
nelle attività di inventariazione
e di digitalizzazione del patrimonio culturale italiano, presso gli
istituti e i luoghi della cultura
statali presenti sul territorio
nazionale.
È intelligente, nell’anno di Expo,
privarsi di un alleato strategico
per la promozione del nostro
Paese? La domanda (retorica) sorge
spontanea dopo che il Presidente
dell’Associazione Stampa Estera
in Italia Tobias Piller ha espresso
preoccupazione per la decisione
del Governo di non mantenere
i propri impegni a sostegno
dell’Associazione, tra cui l’utilizzo
della sede.
Il “Viaggio Lento” nel Pollino per
ritrovare se stessi nella natura
Sardegna, lavoro e cooperazione contro lo spopolamento del territorio
Treni vecchi e lenti, da Siena una
buona notizia per il turismo slow
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