Maggio>Giugno ‘15 #Issue 6 Speciale Kotler Forum con Piero Fassino, Alberto Mattiacci, Carlo Borriello e Mirko Pallera / Camminando a piedi per l’Italia / San Francisco / Venezia, laguna d’arte DESTINATION MAGAZINE il magazine di marketingdelterritorio.info TESTATA GIORNALISTICA REGOLARMENTE AUTORIZZATA AL PROTOCOLLO N. 26 DEL 17/09/2013 PRESSO IL TRIBUNALE ORDINARIO DI TORINO In copertina: Riserva di Vendicari, in Sicilia Sopra: fotografare il tramonto a San Francisco Direttore Responsabile Editore Bruno Caprioli Mailander Srl Via Cavour, 21 10123 Torino Coordinamento Editoriale Via Achille Papa, 30 20149 Milano Pietro Martinetti P.IVA 05237020010 Claudio Pizzigallo tel. +39.011.5527311 tel. +39.02.45076459 fax +39.011.5624048 Art Director & Grafica Valeria Righele Per contattare la redazione: Simona Spadaro [email protected] [email protected] Hanno collaborato Alberto Mattiacci Per contattare l’editore: Darinka Montico [email protected] Elisa Parrino Rensovich [email protected] 2 [email protected] DESTINATION MAGAZINE #6 Indice 5 6 8 12 15 18 21 23 “Marketing 3.0” Kotler e l’Italia / Fassino: la Cultura al centro Il marketing italiano non si fermi a Kotler Carlo Borriello vs Mirko Pallera A piedi tra i sogni If you are going to San Francisco I ponti dell’arte a Venezia I più letti di Marketing del Territorio 21 Doze Green, “Luminous Series B”, esposto alla Biennale di Venezia 23 Chiesa di San Nicola a Cotronei (Crotone) 3 DESTINATION MAGAZINE #6 4 “Marketing 3.0” Di: Bruno Caprioli, Direttore Destination Magazine Quale marketing per l’Italia? A l Philip Kotler Marketing Forum di venerdì 15 maggio alla Bicocca a Milano, al centro dell’attenzione le linee guida per le strategie di comunicazione e promozione dei prossimi anni. Il nuovo approccio umanistico proposto dal fondatore del marketing moderno (intervista in esclusiva sul canale youtube di marketingdelterritorio.info) è sicuramente un’evoluzione interessante dei modelli di riferimento che Kotler ha introdotto negli anni e costantemente rivisto e aggiornato. Ma pone un problema: il sistema Italia, almeno dal punto di vista del destination marketing, è pronto per mettere in pratica i dettami di Kotler o, come propone Alberto Mattiacci della Sapienza, bisogna trovare una via italiana al marketing territoriale superando la sudditanza che abbiamo nei confronti degli anglosassoni in questa materia? Dai lavori del forum (i cui contributi pubblicheremo a partire dalla settimana prossima su www.marketingdelterritorio.info) emergerà sicuramente una prima risposta e verranno fuori spunti di discussione interessanti. Quello che è certo è che il Sistema Italia – per le caratteristiche di frammentazione amministrativa, mancanza di una governance unitaria, scarsa cultura dell’accoglienza legata anche alla dimensione delle imprese e per la difficile gestione delle risorse culturali – male si adatta a qualsiasi modello di marketing. A questo si aggiunga che nei fatti – sempre a livello di sistema – il turismo ancora non è considerato veramente una risorsa strategica. Come sottolinea in questo numero Piero Fassino in qualità di Presidente Anci “la cultura” da elemento aggiuntivo deve diventare elemento centrale e costitutivo dello sviluppo nazionale. Solo facendo questo salto di approccio si potranno avere politiche e strategie nazionali organiche, che integrino al massimo il ruolo centrale che i Comuni da anni svolgono in questo settore. Occorre inoltre dare corpo a un sistema normativo organico e semplificato, che consenta di attrarre in modo efficace investimenti privati perché, in tempi come gli attuali di risorse pubbliche limitate, gli amministratori locali debbono poter puntare sempre di più sulle partnership pubblico-privato”. Ecco, è a partire dalla profonda riorganizzazione del sistema Italia che si potrà poi parlare di modelli e strategie di marketing innovativi e vincenti. Come dice Mattiacci, il marketing italiano non si può fermare a Kotler, perché le nostre specificità sono veramente troppe. 5 DESTINATION MAGAZINE #6 Kotler N on capita tutti i giorni, ma neanche tutti gli anni, di incontrare l’inventore di una disciplina, metro di misura e bilancia dei mondi economici. Certo, di libri letti e tradotti in decine e centinaia di lingue ce ne sono molti, ma Marketing Management di Philip Kotler è molto più di un libro: è il testo su cui poggiano corsi universitari, convegni, ma anche politiche economiche locali e globali. È una materia di studio e uno strumento di mercato, è teoria e pratica insieme. E tutto ciò fondamentalmente grazie a Philip Kotler, che venerdì 15 maggio ha deciso di essere a Milano per un confronto con accademici, professori, economisti, giornalisti e pensatori. Per il Philip Kotler Marketing Forum alla Bicocca abbiamo voluto essere presenti, con la nostra attenzione. Non solo: abbiamo coinvolto Alberto Mattiacci, Carlo Borriello, Mirko Pallera e Piero Fassino, chiedendo il loro parere sul marketing e sull’Expo appena iniziata. Perché riteniamo di vivere un momento storico cruciale per il nostro Paese, e non c’è alcun dubbio che il contributo di quante più persone possibili è fondamentale per dare un impulso straordinario alla crescita economica dell’Italia attraverso la valorizzazione del nostro maggiore patrimonio. E cioè l’Italia stessa. Di: Claudio Pizzigallo Fassino: la Cultura al centro M entre il governo porta avanti la riforma del Titolo V per le competenze turistiche, uno strumento a disposizione dei Comuni è costituito dal Dl 145 “Destinazione Italia”. In qualità di Presidente dell’ANCI, che cosa pensa di questo decreto legge come opportunità di sviluppo per i Comuni? Di che strumenti concreti avete bisogno nell’immediato? 6 La cultura da elemento aggiuntivo deve diventare elemento centrale e costitutivo dello sviluppo nazionale. Solo facendo questo salto di approccio si potranno avere politiche e strategie nazionali organiche, che integrino al massimo il ruolo centrale che i Comuni da anni svolgono in questo settore. E si potrà arrivare ad un utilizzo ottimale di questo asset fondamentale per il nostro sistema Paese. Ma per farlo bisogna sciogliere alcuni nodi, a partire dal riconoscimento delle politiche culturali e del turismo come funzioni fondamentali svolte dai Comuni. Occorre inoltre dare corpo a un sistema normativo organico e semplificato, che consenta di attrarre in modo efficace investimenti privati perché, in tempi come gli attuali di risorse pubbliche DESTINATION MAGAZINE #6 e l’Italia limitate, gli amministratori locali debbono poter puntare sempre di più sulle partnership pubblicoprivato. L’Expo appena iniziata è sicuramente un’opportunità per mettere in vetrina non solo Milano ma l’Italia. In tal senso ritiene che il sistema Paese si sia mosso bene o si poteva fare di più? Si può sempre fare di più, sicuramente. Ma l’organizzazione dell’Expo dimostra che il nostro è un Paese che possiede e sa mettere in campo capacità, risorse e competenze per preparare e gestire con successo eventi di eccezionale rilevanza, proprio come l’Esposizione Universale di Milano. A proposito di Expo 2015, l’Ostensione della Sindone, il nuovo Museo Egizio, il Polo Reale recentemente ampliato, la Capitale europea dello Sport, e poi ovviamente la vicinanza a Milano: sono questi gli “ingredienti” del grande successo turistico di Torino di queste settimane, un successo costruito con una decina d’anni di lavoro. Quali saranno progetti e iniziative principali per proseguire su questa strada nel semestre espositivo milanese ma soprattutto dopo, negli anni a venire? Permettetemi di ricordare che Torino è ormai una delle destinazioni turistiche più frequentate in Italia e in Europa. Un risultato che è frutto di un lungo lavoro. Negli ultimi vent’anni il capoluogo piemontese ha fortemente allargato il suo profilo e le sue vocazioni. L’industria continua certamente a svolgere un ruolo importante, ma al tempo stesso la città è diventata un centro di eccellenza di molti altri campi, dalla ricerca all’innovazione, dall’università alla cultura e, soprattutto, al turismo per il cui sviluppo Torino ha investito e continua a investire modernizzando le proprie infrastrutture, promuovendo i propri gioielli storici, architettonici e museali e proponendosi come palcoscenico di grandi eventi culturali, sportivi o, comunque di grande richiamo per il pubblico. L’Ostensione della Sindone, appuntamenti sportivi di rilievo nazionale e internazionale, il Salone del Libro, mostre ed eventi di spettacolo: a chi vuole visitare Torino nei prossimi mesi, la città offre tanti buoni motivi per farlo. Al di là di Torino, che rimane forse il caso più emblematico per visione sistemica e composizione dell’offerta, quali sono secondo lei, tra gli altri Comuni, i casi più significativi di un approccio aggregato e funzionale a intercettare flussi turistici internazionali tra i visitatori di Expo? Ogni territorio ha specificità particolari. Spero che Torino possa rappresentare un buon esempio. Sotto: Piero Fassino, sindaco di Torino e Presidente ANCI 7 DESTINATION MAGAZINE #6 Il marketing italiano non si fermi a Kotler CLICCA QUI PER LA VIDEOINTERVISTA Sopra: Philip Kotler tiene un discorso alla Mays Business School, Di: Alberto Mattiacci di College Station, Texas nel settembre 2010 I l marketing italiano soffre ancora di un complesso di subalternità verso i guru anglosassoni del marketing: una vera e propria sudditanza culturale piuttosto inopportuna, che necessita di essere superata. Facendo brevemente la storia della disciplina, il marketing e il management moderni sono 8 invenzioni nate in America pensando alle imprese americane e ai consumatori americani: in questo senso, marketing e management hanno certamente modellato un’intera società. Quando sono state ideate e implementate – nel secondo dopoguerra, quando le multinazionali hanno portato anche qui in Europa la forma dell’impresa americana – questo ha avuto fino alla metà circa degli anni ‘90 un grande ruolo nell’insegnarci a fare impresa, creando il consumismo in Europa con le sue luci e ombre. DESTINATION MAGAZINE #6 Kotler ha avuto il grande merito di costruire un’architettura teorica che ha spinto per molti anni un modello vincente, ma se applicata oggi, soprattutto in Italia, è un fattore di freno. culturali assolutamente unici: se ci pensiamo, si è inventato una cosa che poi è diventata materia universitaria. In tutto il mondo. E non so quanti altri pensatori possono vantare un record di questo tipo: Einstein per dire non è che ha inventato una disciplina, non esiste un corso di teoria della relatività, e sto parlando di Einstein, un genio assoluto. Tuttavia è necessario riconoscere che quell’epoca è finita, e che non ci sono più le ragioni di questa egemonia culturale così pesante, mentre invece c’è ancora una grossa inerzia da parte di tutto un pensiero economico e di certi manager a evolversi e affrancarsi da questo pensiero. Nelle università italiane e non solo ci sono moltissimi colleghi che ancora usano i testi di Philip Kotler. Intendiamoci, Kotler è uno studioso che vanta dei primati intellettuali e Detto questo però, va spiegato che negli anni ‘70 Kotler ha fatto un’intelligente opera di assemblaggio di concetti tirati fuori da altri: marketing mix è un concetto coniato dal centro McCarthy, e anche le quattro P, come la segmentazione della domanda, la Piramide di Maslow, sono concetti nati dal pensiero economico degli anni ‘50. Kotler ha preso tutta una serie di buone idee, le ha messe insieme in un’architettura di pensiero che funzionava e che soprattutto era adatta alla struttura e al modo di agire delle imprese Sotto: Marketing Management (Edizioni Pearson) di Philip Kotler e Kevin L. Keller, un testo fondamentale per chi si occupa di marketing americane dell’epoca. Questo è il passaggio veramente geniale: è come analizzare il fisico di una persona e disegnare un abito su misura. Il successo è stato immediato perché ha dato ciò che serviva, nel momento in cui serviva, consentendo alle imprese di usarlo con il minimo sforzo possibile perché era adatto a loro. Poi il mondo è cambiato, i consumatori, le persone, le imprese stesse sono cambiate, e Kotler di volta in volta ha adattato il suo modello. Ricordo che qualche anno fa, nel corso di un pranzo insieme al Professore, gli chiesi: “Non sarebbe il caso di cambiare l’approccio, le 4 P ?”. Lui mi diede una risposta che suonava sostanzialmente come “caro collega, io ho 80 anni, credi sia ora di cambiare tutta l’architettura del mio pensiero?”. In Italia, se io vado in una impresa tipo, una piccola impresa, familiare, con una forte cultura di prodotto, se vado a parlare delle quattro P, 9 DESTINATION MAGAZINE #6 degli investimenti in brand, mi arriva una sedia in testa. La ragione è che il sistema kotleriano tarato su un modello di impresa all’americana non va bene per le realtà dell’impresa italiana. Noi, infatti, ci troviamo con un problema enorme che non è la cultura di produzione, ma la cultura di mercato. E il sistema di marketing di Kotler non aiuta a fare sistema di mercato, perché è evidente che è un’impostazione americana. Kotler ha avuto il grande merito di costruire un’architettura teorica che ha spinto per molti anni un modello vincente, ma se applicata oggi, soprattutto in Italia, è un fattore di freno. Il problema è che nelle università, i professori usano il libro di Kotler perché è l’unico libro di marketing che abbiano letto. E con loro manager importanti di 40-50 anni che hanno fatto carriera e successo. In questo senso, ci troveremo dunque in una dimensione molto curiosa al Kotler Forum: celebreremo un personaggio che è stato un genio in questo settore, in uno scenario che sta cambiando i paradigmi per effetto della digitalizzazione, avendo nei Paesi avanzati una popolazione di consumatori che sono saturi di prodotti e hanno un atteggiamento molto più disincantato verso le cose. Anche nel destination management o marketing territoriale, l’Italia può solo migliorare: il nostro Paese è ancora molto artigianale. E il risultato di questo lo vediamo: il fatto che l’Italia non sia il primo Paese per flussi turistici in entrata 10 è la certificazione di questo nostro sbagliato approccio mentale e culturale, da cui possiamo solo migliorare. Per prima cosa è necessario togliere il turismo dalle mani delle Regioni, che hanno dimostrato scarsa capacità gestionale. Il turismo deve essere affidato a un’agenzia statale con gente brava, pagata bene, e che abbia il potere di concepire e organizzare le offerte territoriali. Se fossi l’allenatore della “nazionale” del turismo italiano, la mia tattica sarebbe eliminare la devolution della promozione. Nella fase successiva si ripenserà a come restituire il potere di agire localmente, ma ora è urgente creare dei centri che abbiano un livello di competenza elevato. La formula di ricchezza economica del nostro Paese presto si modulerà su due grandi panieri in entrata e uscita. In uscita noi esportiamo dei prodotti, dei manufatti, le famose quattro A dell’export italiano: alimentare, abbigliamento, arredamento e automazione industriale. A questi grandi blocchi ci si deve aggiungere il chimico farmaceutico, che in Italia ha punte di eccellenza mondiale, e le industrie creative. Noi dobbiamo puntare moltissime sulle industrie creative: film, contenuti televisivi, spettacoli, teatro, cultura, arte. Il nostro heritage, unico al mondo, deve essere valorizzato e fare chiaramente sistema con il turismo. Dall’altro lato, dobbiamo lavorare per aumentare i flussi in entrata. Principalmente di due tipologie: il turismo e gli investimenti produttivi stranieri. Sopra: Alberto Mattiacci, Professore ordinario di Economia e Gestione delle Imprese alla Sapienza, Università di Roma DESTINATION MAGAZINE #6 C’è in questo senso una grande contraddizione nella schizofrenia che caratterizza il nostro Paese: da un lato ci lamentiamo dicendo che gli stranieri non vengono a investire in Italia e poi, quando i cinesi comprano la Pirelli, cioè investono in Italia non è che comprano la Pirelli e la portano a Pechino, tutti a dire “oddio si comprano l’Italia”. Ben vengano, secondo me, stranieri che si comprano le imprese italiane, nel frattempo lo Stato favorisca il fenomeno delle start up, la crescita territoriale. Vanno benissimo anche investitori stranieri che si comprano la Costa Smeralda, mica se la portano via: se la comprassero e investissero per migliorarla e per migliorare la capacità attrattiva. Nelle attività geolocalizzate, l’Italia ha solo da guadagnarci. Anche perché spesso gli stranieri hanno un livello di competenza tecnica e professionalità di cui noi non siamo capaci. L’importante è che il lavoro rimanga qui, perché siamo molto ombelicali e abbiamo una idea troppo grande di noi stessi, però siamo anche il posto dove si vive meglio nel mondo. 11 DESTINATION MAGAZINE #6 P er costruire il proprio futuro, una persona o una comunità devono conoscere il passato ma anche il presente, il resto del mondo ma anche se stesse. Nel marketing territoriale italiano, la costruzione di un futuro di crescita sembra in qualche modo azzoppata da una conoscenza a metà in un certo senso paradossale: la teoria della materia, infatti, è legata a modelli costruiti nel passato e ancorati a contesti socio-economici angloamericani. In che modo accademici, studiosi e operatori possono contribuire a far fare il salto di qualità necessario per rendere italiani e attuali i modelli di riferimento che ci arrivano dal Regno Unito e dagli USA e su cui, come sostiene il prof. Mattiacci, c’è una sorta di attaccamento poco funzionale al contesto attuale? CB: La straordinaria originalità del nostro Paese, dove da una città all’altra cambia tutto (talvolta anche da un quartiere all’altro), “La straordinaria originalità del nostro Paese è la nostra principale ricchezza ed anche il principale ostacolo” Carlo Borriello Carlo Borriello vs Mirko Pallera Sopra: Carlo Borriello, Imprenditore ed Esperto di Comunicazione 12 Sopra: Mirko Pallera, Fondatore di Ninja Marketing DESTINATION MAGAZINE #6 è la nostra principale ricchezza ed anche il principale ostacolo. Credo che dovremmo procedere con orgoglio e umiltà al tempo stesso alla realizzazione di un Modello Italiano. L’esperienza di Carpi ad esempio può essere molto interessante. Mi auguro che questi lunghi anni di crisi abbiano portato una consapevolezza diversa sul valore della “compartecipazione”. La prima responsabilità è quella degli imprenditori, penso che soprattutto le nuove generazioni debbano e possano operare il cambiamento epocale che ci aspettiamo. Il territorio non è la casa dei competitori ma quel “sistema” fulcro su cui poggiare le leve della creatività, della qualità produttiva, dell’ingegno. Per seconde vengono le istituzioni a cui non bisogna chiedere soldi ma di fare il loro lavoro: offrire e garantire opportunità. Cioè infrastrutture, facilitazioni, entrature. Informazioni e studi che siano realmente tali. Per quest’ultimo il ruolo delle Università e degli accademici dovrebbe essere centrale e l’impegno non può più essere quello di adeguarsi alle teorie esistenti ma di elaborarne di nuove ed esclusive commisurate alla nostra realtà. MP: Credo che la via possa essere quella di un mix di modelli e tecnologie che provengono dal mondo anglo-americano unite alla cultura e sensibilità tipica dei nostri territori. La conoscenza degli strumenti del marketing deve essere diffusa e portata a tutti gli operatori del settore, unitamente alla consapevolezza delle storie e del valore dei nostri patrimoni, punto di partenza straordinario per delle strategie efficaci di content marketing e storytelling. Il sistema territoriale italiano ha caratteristiche articolate e ricche di opportunità: paesaggio, beni artistici stratificati in migliaia di anni, grande varietà geomorfologica e culturale, enogastronomia di primissimo livello mondiale, eccellenze artigianali e imprenditoriali. Il territorio, per citare l’intervento del prof. Mattiacci alla Bicocca, è indubbiamente una risorsa strategica per le imprese, private e pubbliche. Che cosa manca ancora per uno “sfruttamento” pieno e completo ma anche sostenibile e programmabile a medio-lungo termine? CB: La consapevolezza della straordinaria unicità e forza che ogni territorio rappresenta. La scarsa capacità di analisi specifiche e conseguentemente l’impossibilità di costruire modelli a cui riferirsi con progetti su misura. In sostanza manca il Modello Italiano anche se poi abbiamo tutti davanti agli occhi Eataly. Dietro questo straordinario fenomeno c’è l’intuizione di valori, progetti e prodotti. Un’esperienza che potrebbe essere estesa ben oltre il food (che pure già da solo sarebbe una leva eccellente). MP: Manca la sensibilità al marketing e al design, soprattutto da parte degli amministratori pubblici. Ogni luogo potrebbe (e dovrebbe) essere un brand, l’Italia è un grande brand! Questi asset dovrebbero essere gestiti con il massimo delle professionalità creative, strategiche e tecnologiche. Ci sono ovunque professionisti capaci di realizzare grandi cose, il problema sta nella committenza: assessori, presidenti di associazioni di promozione e sviluppo territoriale. Certe decisioni dovrebbero essere prese dagli esperti, non dai politici. Expo 2015. L’Esposizione Universale è un modello con oltre un secolo di esistenza, e questo potrebbe in qualche modo pesare sul suo successo. Tuttavia, per l’edizione milanese è stato costruito un progetto industriale, culturale e sociale orientato al futuro, fin dallo scopo annunciato nel motto di Nutrire il Pianeta. Può questa Expo Milano rappresentare e costituire un nuovo modello tanto per il prodotto mondiale Expo quanto per il sistema Italia? CB: Senza nulla togliere alla rilevanza dell’Expo non nutro grande fiducia su questo tipo di operazione se riferito al sistema Italia. E questo per tre motivi: 1) il modello Expo per sua natura dovrebbe giungere alla fine di un percorso ben strutturato in cui ogni territorio mostra e offre il meglio di sé in modo globale. Sappiamo che non è così. 2) La dimensione dell’evento tende a schiacciare inevitabilmente ogni forte originalità dentro la globalizzazione sia culturale che commerciale che lo caratterizza. 3) Più che di una “vetrina” universale il nostro sistema ha bisogno di progetti concreti e misurati ai mercati con i quali vuole e trova senso ad interagire. Quella strada non passa 13 DESTINATION MAGAZINE #6 se non del tutto casualmente per l’Expo. Ritorniamo all’esempio di Eataly, la sua forza è stata quella aprire non solo a Torino, ma a New York, Tokyo, Roma... MP: È una grande opportunità, se è stata sprecata, lo vedremo nei prossimi mesi. Quando hanno annunciato il concept dell’Expo, mi sono esaltato all’idea di vedere Sopra: veduta delle Dolomiti, patrimonio Unesco 14 realizzata la prima smart city. Non ci sono stato ancora e non ho seguito molto la vicenda, ma non credo che le aspettative siano state mantenute. Il modello per il futuro è innovare costantemente, mantenendo le forti radici che ci legano al passato. Un salto di coscienza e di sensibilità che migliora la società, favorito dalle nuove opportunità tecnologiche. “Ogni luogo potrebbe (e dovrebbe) essere un brand, l’Italia è un grande brand!” Mirko Pallera DESTINATION MAGAZINE #6 A piedi tra i sogni “WALKABOUT” FA RIFERIMENTO AI CAMMINI CHE GLI ABORIGENI NELL’OUTBACK AUSTRALIANO PERCORRONO IN ETÀ ADOLESCENZIALE PER RICONNETTERSI CON LE LORO ORIGINI ANCESTRALI Di: Darinka Montico H o vissuto 15 anni letteralmente in giro per il pianeta: Stati Uniti, Canada, Malesia, Tailandia, Laos, Australia, Nuova Zelanda, Inghilterra, Spagna, Hong Kong. Sempre lavorando e sempre adattandomi alle situazioni che il mondo mi presentava. Finché ho deciso di riconnettermi al mio piccolo mondo, alle mie origini, scoprendo il mio Paese e per una volta imponendo le mie passioni e facendo in modo che il mondo si adattasse a me. Senza fretta. Quando è stato il momento di dare un nome al mio progetto, ho pensato a “walkabout”, con riferimento ai cammini che gli aborigeni nell’Outback australiano percorrono in età adolescenziale per riconnettersi con le loro origini ancestrali. Così, del resto, è stato anche per me: ho camminato da Palermo a Baveno, un piccolo paese sul Lago Maggiore, dove sono nata e dove ho la mia famiglia. Procedendo a zig zag, percorrendo a piedi circa 3000 km, da sola, senza un euro in tasca e con una scatola nella quale inserivo, man mano che procedevo, una serie di fogli cui le persone che incrociavano il mio cammino affidavano i propri sogni. Il mio, di sogno, era sconfiggere il nulla – come Atreyu nella “Storia Infinita” – stimolando le fantasie della gente. Dopo sette mesi di cammino, sono arrivata a casa: sempre senza soldi, ma con un bagaglio di valore inestimabile, fatto di sogni e di tanti nuovi amici. A quel punto, ho voluto assicurare il mio capitale, per non rischiare di 15 DESTINATION MAGAZINE #6 Immagini, parole, sogni: in ogni viaggio questi elementi si uniscono per formare un’esperienza in grado di connettere un individuo al mondo che lo circonda e il mondo agli individui che lo attraversano. di come mi ci sono completamente immersa, seguendo la filosofia pragmatica del cammino e dell’amore. Oltre alle parole, oltre ai sogni, ho voluto inserire 16 pagine a colori in cui ho raccolto le fotografie degli scorci paesaggistici più suggestivi e in un certo senso rappresentativi della quotidianità del Bel Paese. Mi piace considerare Walkaboutitalia come il risultato di una ricerca antropologica sui sogni degli italiani, quello che vorrebbero e non hanno, disegnando in un certo senso un ritratto lucido di denuncia sociale. Le immagini, le parole e i sogni, però, non sono mai abbastanza. Non per me, almeno, che dopo aver terminato la stesura del mio libro ho sentito il bisogno di raccogliere nuovi sogni, di conoscere nuovi amici e ritrovare quelli dell’anno scorso in un nuovo viaggio in giro per l’Italia. Ho deciso di promuovere il mio libro con un secondo percorso lungo il nostro Paese, ma cambiando qualcosa. Quest’anno sarò quindi dotata di una meravigliosa bicicletta in bambù, fatta su misura per me dai giovani artigiani di Carrus Cicli, a Savona: una nuova avventura, nel corso della quale parteciperò a festival, fiere, convegni e incontri nelle librerie di tutta Italia. Sopra: suggestivo tramonto a Reggio Calabria Nella pagina precedente: copertina del libro Walkaboutitalia, edito da Edizioni dei Cammini perdere anche solo un giorno di questo viaggio ai confini tra realtà e fantasia. Ho scritto un libro con lo stesso nome del mio progetto – Walkaboutitalia, per una casa editrice che si chiama proprio Edizioni dei Cammini – la cui uscita è stata decisa in concomitanza con il Salone del Libro di Torino. In quelle 16 pagine ho descritto in modo intimo e personale cosa mi ha spinta a partire, le paure che mi bloccavano e che passo dopo passo svanivano, l’incredibile ospitalità con la quale sono venuta a contatto diretto facendomi ospitare ogni giorno da chiunque incontrassi. Un libro che parla della bellezza dell’Italia e Il mio nuovo viaggio parte dal Salone di Torino, poi verso Bologna per partecipare al festival Itaca e poi risalirò verso il Friuli per aggregarmi al giro d’Italia in 80 librerie organizzato dai ragazzi di Letteratura Rinnovabile e dal mio editore Edizioni dei Cammini, questa DESTINATION MAGAZINE #6 nuova casa editrice esclusivamente dedicata a chi viaggia a piedi: il mio libro è infatti parte di una collana di cui fanno parte camminatori celebri come Dave Kunst, il primo uomo a farsi il giro del mondo a piedi, e David Le Breton. Ogni viaggio è fatto di immagini, parole e sogni, ma anche di strade. E dopo mesi trascorsi a raccontare il mio ultimo viaggio, non posso resistere alla tentazione di rimettermi in movimento. Sotto: un arcobaleno sullo Stretto di Messina 17 DESTINATION MAGAZINE #6 If You are going to San Francisco Di: Elisa Parrino Rensovich Sopra: l’iconico Golden Gate Bridge C i sono vari modi di definire San Francisco. Si dice che sia la più europea delle città USA, si dice che ci si lasci il cuore, si dice che sia una città speciale, intensa e suggestiva. Senza dubbio è stata ed è il centro dei maggiori cambiamenti culturali che hanno segnato l’America negli ultimi decenni. Non si può non rimanere colpiti dal fascino di questa città. Twiggy la paragonò a un amalgama tra Londra e Parigi. Ma a differenza dei discendenti europei, la rinomata cordialità degli abitanti di questa città è stata più volte raccontata da scrittori e autori che qui sono 18 transitati. È famosa una citazione di Mark Twain: “I have always been rather better treated in San Francisco than I actually deserved” (sono sempre stato trattato meglio di quello che mi meritavo, a San Francisco). L’eco non troppo lontana della rivoluzione dei figli dei fiori si ode ancora tra le colline del Golden Gate Park. Con i suoi 4 km² è il parco cittadino più grande d’America, più vasto di Central Park a New York. Le molteplici piste ciclabili sono una risorsa vitale per la città e per i suoi cittadini che la attraversano DESTINATION MAGAZINE #6 A destra: curiosi incontri a Haight-Ashbury, la strada culto della rivoluzione dei figli dei fiori “Sono sempre stato trattato meglio di quello che mi meritavo, a San Francisco” tagliando lungo gli itinerari disegnati dalle sequoie, l’albero della California. Il parco ospita due dei principali musei cittadini: il DeYoung Museum e L’Accademy of Science, uno, spazio d’arte contemporanea, l’altro, il museo di scienze naturali. A fianco del museo di arti contemporanee si trova il giardino botanico giapponese, una passeggiata che vale la pena concedersi tra i meravigliosi fiori di loto e i prati verdeggianti del giardino. Dirigendosi verso ovest si arriva al Pacifico, che bagna la spiaggia di Ocean Beach. L’ingresso orientale del parco invece guarda sulla famosa HaightAshbury, la strada culto, teatro tra il ’67 e il ’68 della rivoluzione dei figli dei fiori. Una rivoluzione non solo musicale ma origine di una nuova cultura, la Beat Generation che nei romanzi, nelle canzoni, nei suoi riti, ha raccontato le inquietudini, le ribellioni, la sete di libertà di una generazione di americani. I ragazzi della Beat Generation si ritrovavano al Caffè Vesuvio a North Beach, che ospita la comunità italiana da quando, nella seconda metà dell’Ottocento, il primo nucleo di pescatori genovesi costruì uno dei quartieri più celebri della città di oggi, il Fisherman Wharf. Qui al molo, affacciato su Alcatraz, dove fino a tarda primavera si spiaggiano i leoni marini, si trovano inoltre due delle stazioni della cable car, il tram che taglia le colline del quartiere di Russian Hill e arriva in centro città nella piazza di Powell street. Di qui a bordo di uno dei classici tram o passeggiando si percorre Columbus street: il pranzo è da Home Made Company, dove ci si può sedere e gustare un ottimo piatto di pasta fatta in casa. Tappa obbligata è nello storico Saloon all’incrocio tra Broadway street e Columbus street, per concedersi una birra e due salti. All’altro lato della strada, ecco la Citylight Book, la libreria più famosa del mondo, un tempo casa editrice e luogo simbolo dei poeti della Beat Generation. Di qui, per arrivare in downtown, si attraversa Chinatown, l’enclave cinese tra le più sviluppate delle metropoli 19 DESTINATION MAGAZINE #6 A sinistra: surfisti a Ocean Beach Sotto: il Sentinel Building meglio conosciuto come Columbus Tower degli Stati Uniti. Una volta arrivati su Market street ci si dirige verso la parte sud della città, tra Mission e le case colorate di Castro. È qui, sotto la collina di Twin Peaks, che nel 1972 Harvey Milk (interpretato al cinema da Sean Penn) iniziò l’ascesa verso il City Hall: Milk è stato il primo americano omosessuale a diventare sindaco di una città. Castro è ancora oggi il quartiere LGBT, in cui vive la comunità gay più grande del mondo; il quartiere con i suoi colori e la sua effervescenza è anche il principale luogo dove divertirsi in città, tra bar, gallerie d’arte e numerosi club. Mission è invece il quartiere “in” per eccellenza, cuore pulsante cittadino, centro del fermento che prende vita fra le sgargianti mura degli edifici, tradizionale casa della comunità latina della città. Se al Golden Gate Park tra bici, scorci sulla baia e surf pulsa la vita di San Francisco, un altro parco, Dolores Park, è nel weekend il luogo di incontro della geek generation contemporanea. È qui che si ritrovano i giovani esponenti della rivoluzione high tech che fanno di San Francisco la capitale globale dell’innovazione. Tra queste strade ci sono alcuni dei 20 ristoranti migliori della città, tra cui la famosa pasticceria Tartine, che val bene la tediosa fila per assaggiare i cornetti, le eclair alla crema o il pane country, sfornato ogni pomeriggio. Altro classico cibo di quest’area è il burrito, da abbinare con guacamole e chips; una delle migliori taquerie è Cancun su Mission street, mentre al Techio de Lolinda si può gustare un margarita con la vista sull’orizzonte della città. Il nostro Frisco Tour si conclude sull’oceano, a Bakers Beach, luogo ideale per le passeggiate attraverso i sentieri del Presidio Park da dove è possibile attraversare il Golden Gate Bridge. Non è un caso se questa città è così amata dalle persone che la attraversano. Al tramonto, la luce riflette un colore indescrivibile mentre cala un’atmosfera surreale; un cielo vellutato si apre davanti agli occhi e le porte di una dimensione alternativa si spalancano. Con una spinta positiva costante che arriva da ogni stimolo che questa città offre, si infonde nel profondo una scintilla di coraggio, l’idea che i sogni a volte possono diventare realtà. DESTINATION MAGAZINE #6 I ponti dell’arte a Venezia Di: Pietro Martinetti I n quella città-opera d’arte che è Venezia, le biennali si intrecciano in un dialogo tra discipline; arte e architettura si alternano anno dopo anno, mentre a settembre il molo del Lido è sempre aperto per accogliere il cinema contemporaneo. In questo 2015 in cui è l’Albero della Vita dell’Expo, il faro che smuove diplomazie, segreterie e palinsesti degli eventi italici, la 56esima Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia ha anticipato di un mese il tradizionale opening e vernissage dell’assalto alla Laguna del mondo dell’arte globale. Per 6 mesi, di qui a novembre ai giardini e all’Arsenale il filo conduttore del nigeriano Okwui Enzewor, che legge un presente oscuro ma colmo di speranza ed energia e ha lasciato perplessità e nasi storti, si interroga su tutti i futuri del mondo, All the Worlds Future. E quali sono i futuri dell’arte? del doman non vi è certezza, ma quello che è sicuro è che nella cartografia dell’arte di oggi è l’ascesa della street art. Tanto nel mercato, dove un Bansky (il misterioso pittore che denuncia le contraddizioni del sistema) vale milioni di euro, quanto nella disponibilità delle città, i comuni e i privati mecenati, a dirimere della call perché le fantasie, i mondi, i personaggi degli street artist diventino il pubblico decoro che mette in atto una rigenerazione estetica dei quartieri e degli spazi della socializzazione. hanno creato una hall of hame, un’opera collettiva, un ponte con Arte di frontiere. New York Graffiti, la prima mostra dedicata ai graffiti che nel 1984 Francesca Alinovi allestì in Italia. La frontiera è il setting Proprio a Venezia, nell’ambito della galassia degli eventi collaterali che trasformano ogni angolo, hangar, palazzo storico in uno spazio in cui val ben farci dell’arte, la mostra The Bridges of Graffiti è una sorta di omaggio alla pittura di strada. Succede che i pionieri dei graffiti Boris Tellegen, Doze Green, Eron, Futura, Mode2, SKKI ©, Jayone, Todd James, teach Zero-T 21 DESTINATION MAGAZINE #6 del background dove nacquero i graffiti a New York, quelle zone oscure ai margini di Manhattan, sospese e condivise, dagli attici di Park avenue ai condomini di Harlem, tra passanti ferroviari e zone industriali, ma anche il luogo fisico dell’esposizione, San Basilio a Venezia. La mostra trova spazio in un hangar di mille metri quadrati messi a disposizione dall’Autorità Portuale e concessi all’Associazione Inossidabile mentre la Fondazione de Mitri si è occupata della curatela. Il ponte dei graffiti connette anche i due livelli espressivi dell’esposizione: le fotografie di Martha Cooper e Henry Chalfant che mostrano le immagini di una New York “spaccata” dai graffiti e i muri dove gli artisti hanno dipinto, figurativamente. Proprio il passaggio tra queste due forme di graffiti, la parte più figurativa contro il vandalismo spray come espressione di una firma, uno scarabocchio, è la ragione per la quale a San Basilio, come in tante città del mondo e d’Italia la street art sta diventando l’espressione di una partnership pubblico – privato della committenza. E nei futuri dell’arte è destinata a portare la pittura da ieri a domani. A sinistra: Zero-T, “A Bag Full Of Cans & Partners”, 2015 Nella pagina precedente: Boris Tellegen, “Issues”, 2014 22 DESTINATION MAGAZINE #6 I più letti di Cotronei, il Comune calabrese con progetti da 5 milioni per il turismo MiBACT, 500 giovani per digitalizzare il patrimonio culturale Stampa estera e turismo: un autogoal nell’anno di EXPO e Giubileo? Cotronei è un Comune della Calabria con soli 5400 abitanti, ma in grado di mettere a punto 3 progetti per turismo e cultura per cui ora chiede al governo un finanziamento da 5 milioni di euro nel rispetto del decreto “Destinazione Italia”. “Merito di programmazione, di una macchina amministrativa che funziona e di dipendenti comunali disponibili” ha detto il sindaco Belcastro. È partita la seconda fase della selezione ministeriale del MiBACT rivolta ai neolaureati per un corso di formazione di un anno. Fino a fine maggio, cinquecento giovani laureati saranno selezionati nelle attività di inventariazione e di digitalizzazione del patrimonio culturale italiano, presso gli istituti e i luoghi della cultura statali presenti sul territorio nazionale. È intelligente, nell’anno di Expo, privarsi di un alleato strategico per la promozione del nostro Paese? La domanda (retorica) sorge spontanea dopo che il Presidente dell’Associazione Stampa Estera in Italia Tobias Piller ha espresso preoccupazione per la decisione del Governo di non mantenere i propri impegni a sostegno dell’Associazione, tra cui l’utilizzo della sede. Il “Viaggio Lento” nel Pollino per ritrovare se stessi nella natura Sardegna, lavoro e cooperazione contro lo spopolamento del territorio Treni vecchi e lenti, da Siena una buona notizia per il turismo slow 23 DESTINATION MAGAZINE #6 24