Lo scenario in cui si trovano ad operare le aziende non profit è vario

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Lo scenario in cui si trovano ad operare le aziende non profit è vario e complesso,
come vari e complessi sono gli strumenti, attraverso i quali si instaurano relazioni
con la Pubblica Amministrazione per la fornitura di servizi socio-assistenziali.
In conclusione del precedente capitolo è stata inoltre affermata l’importanza, al fine
di conseguire gli obiettivi di tutela sociale della collettività, dell’adattabilità
all’ambiente degli strumenti attraverso cui dare effettività a tali relazioni, poichè la
comunità esprime i suoi bisogni in maniera mutevole, complessa e diversificata;
condizione necessaria (ma spesso non sufficiente) è stata poi individuata nella
collaborazione tra gli attori e in nella misura in cui questi si faranno promotori di tali
obiettivi.
Alle caratteristiche di questi strumenti è dedicato il presente capitolo, introducendo la
collaborazione come tenore delle relazioni e contesto generale di riferimento per la
loro efficace operatività.
I rapporti che si instaurano tra gli Enti Pubblici e le aziende non profit rappresentano
un elemento di riferimento di grande rilievo per comprendere i condizionamenti e le
opportunità relative allo svolgimento della gestione dei servizi socio-assistenziali.
Secondo alcuni autori413, infatti, il livello dei legami di vario genere e natura con la
Pubblica Amministrazione crea situazioni che vanno dall’elevato condizionamento
alla totale irrilevanza rispetto alle politiche pubbliche.
Sintetizzando molto la realtà, è possibile inquadrare i modelli di interazione tra
soggetti pubblici ed aziende non profit in due principali categorie: lo scambio (e la
concorrenza) e la collaborazione.
Per chiarire meglio gli elementi distintivi che sostanziano questi due concetti appare
utile ricostruire brevemente le posizioni della dottrina in merito alla questione.
Secondo Azzini414, per iniziare, si può affermare il principio secondo cui l’attività
economica è governata da queste due classi di relazioni.
Le relazioni concorrenziali tra istituti sono governate da meccanismi di mercato, con
o senza l’intervento della Pubblica Amministrazione.
413
Cfr. A. Zangrandi, 1996, Uno schema di classificazione delle aziende non profit, in Borzaga C.,
Fiorentini G., Matacena A. (a cura di), Non-profit e Sistemi di Welfare: Il Contributo dell'Analisi
Economica, NIS, Roma, pp. 245-246.
414
Cfr. L. Azzini, 1974, Autonomia e collaborazione tra le aziende, Giuffrè, Milano, cap. 2.
Le relazioni collaborative, invece, sono governate da regole di comportamento
definite
ed
accettate
dagli
istituti
di
primo
livello
(famiglie,
imprese,
amministrazione pubblica) e sono finalizzate direttamente a perseguire l’interesse
particolare ed indirettamente quello pubblico, attraverso “forme intermedie”, capaci
di mediare tra le finalità economiche ed extraeconomiche. Queste si costituiscono in
varie vesti, con lo scopo di prevenire o limitare situazioni di distruzione di ricchezza
(e di concorrenza sleale) e per creare condizioni che rendano più trasparenti ed
uniformi i comportamenti degli istituti; le forme assunte sono poi caratterizzate dalla
“stabilità” e, a volte, anche da un riconoscimento di tipo istituzionale che consente
loro lo svolgimento di una funzione di collegamento e di sintesi delle priorità di
interessi particolari415.
Molte delle complessità nelle relazioni interaziendali, quindi, vengono generate dallo
scambio, mediante il quale si attuano trasferimenti di beni privati a titolo oneroso e si
originano relazioni di prestito ed assicurazione416 e forme di credito417.
Si fa esplicito riferimento, volendo seguire l’impostazione di Masini418, alla forma
dello scambio monetario, che caratterizza le economie di mercato fondate sulla
specializzazione economica e sulla proprietà privata e pubblica, ossia la cessione da
parte di un’azienda (nel caso in questione, privata non profit o for profit) ad un’altra
(pubblica) in cambio di un prezzo419, espresso da una quantità di moneta o di un
credito420. Per valutare poi correttamente il significato di ciascuno scambio, occorre
fare riferimento ai contesti aziendali e a quelli di mercato in cui lo scambio si
415
Cfr. M.A. Massei, 1992, Interesse pubblico e responsabilità sociale, EGEA, Milano, pp. 227-229.
Classi di relazioni altrettanto vaste, tuttavia, si generano con forme differenti dallo scambio, come
relazioni interaziendali di trasferimento di capitale di rischio e di lavoro (legame di partecipazione),
di beni privati a titolo non oneroso (relazioni di liberalità) e trasferimenti impliciti (che corrispondono
alle esternalità nella teoria economica).
417
Varie forme di credito si originano nel caso di non contestuale controprestazione: monetario (se la
controprestazione è il pagamento con quantità di moneta corrispondente al prezzo), oppure in natura
(se l’oggetto della controprestazione è un bene), di funzionamento (se mezzo temporaneo di
regolamento) o di prestito (se corrisponde ad una disponibilità di moneta nel tempo). Nelle
negoziazioni di crediti di prestito, il prezzo è di regola rappresentato dall’interesse. Cfr. G. Airoldi, G.
Brunetti, V. Coda, 1994, Economia Aziendale, Il Mulino, Bologna, pp. 54 e segg.
418
Cfr. C. Masini, 1979, Lavoro e risparmio, UTET, Torino, pp. 72 e segg.
419
Questo indica la quantità di moneta o di credito monetario ceduto, ossia il valore monetario
attribuito alle condizioni di produzione e di consumo acquisite; si può distinguere il prezzo unitario
(riferito all’unità di misura delle condizioni di produzione e di consumo cedute ed acquistate; può
essere il valore unitario di scambio attribuito a tali condizioni) e quello complessivo, il prezzo-costo
(per l’azienda compratrice) e il prezzo-ricavo (per la venditrice). Cfr. G. Airoldi, G. Brunetti, V. Coda,
1994, op. cit., pp. 54.
420
Lo scambio, oltre al prezzo unitario, comprende anche altre condizioni, quali i tempi di consegna e
le condizioni di pagamento, di trasporto, il prezzo complessivo ecc.
416
origina; per avere valutazioni corrette, infatti, questo non deve essere inteso come
accadimento isolato nel tempo e nello spazio, attuato da persone singole, bensì come
anello di una catena421.
La teoria dello scambio è poi direttamente legata alla teoria della moneta, definibile
come mezzo di pagamento univocamente accettato degli scambi ed “unità
numeraria” 422.
Per le condizioni di produzione oggetto di scambio (in presenza di frequenza e
stabilità di comportamenti) si formano poi mercati: mercati dei beni, del credito,
delle assicurazioni.
Spesso, a detta di alcuni autori423, si giunge, erroneamente, ad assimilare tutte le
relazioni economiche a relazioni di scambio monetario, e da ciò ad immaginare che i
valori aziendali siano misurati univocamente partendo da valori monetari
corrispondenti a tali “scambi”.
In merito al tema portante del presente lavoro, l’evoluzione dei rapporti tra aziende
pubbliche e aziende non profit, come detto, fa porre particolare attenzione sull’altro
tipo di relazione tra aziende: la collaborazione.
Secondo il già citato pensiero di Azzini424, ogni azienda non può prescindere del
collaborare con altre e prestare le sua cooperazione per raggiungere i propri scopi, e
le altre aziende accetteranno se ciò possa concorrere al conveniente perseguimento
dei loro fini. Anche secondo altri autori425, lo sviluppo di formule non competitive è
uno strumento di sopravvivenza, per gestire interattivamente le relazioni con soggetti
esterni così da acquisire risorse specifiche e capacità progettuali tali da potersi
misurare con gradi crescenti di complessità.
421
I singoli scambi di un’azienda fanno infatti parte delle complessive combinazioni economiche della
stessa, le singole decisioni sono legati a processi sovraordinati, le condizioni di negoziazione sono
influenzate dalla forma di mercato. Cfr. G. Airoldi, G. Brunetti, V. Coda, 1994, op. cit., pp. 54.
422
Questo permette, nella costruzione dei valori d’azienda (ossia quelli che compongono il reddito di
esercizio ed il capitale di funzionamento), di distinguere i valori numerari (ossia strumento di
regolazione degli scambi, che sorgono per la funzione caratteristica della moneta, quali crediti e debiti
di funzionamento e disponibilità di cassa) da quelli non numerari (che non ineriscono a strumenti di
regolamento, quali costi e ricavi, crediti e debiti di finanziamento). Cfr. E. Cavalieri, 1995 b, Appunti
di economia aziendale, Vol. I, Ed. Kappa, Roma, sezione 1.
423
G. Airoldi, G. Brunetti, V. Coda, 1994, op. cit., p. 252 e segg.
424
Cfr. L. Azzini, 1987, Le "funzioni" del sistema economico delle aziende di consumo e delle aziende
di produzione e le conseguenti relazioni tra di esse, in Amaduzzi Aldo et al., Saggi di ragioneria e di
economia aziendale: scritti in onore di Domenico Amodeo, Cedam, Padova, p. 37.
425
Cfr. E. Cavalieri, 1995, Lo sviluppo dell'impresa, in Cavalieri E. (a cura di), Appunti di economia
aziendale, Vol. II, Ed. Kappa, Roma, pag. 404 e segg.
Questa categoria di relazioni rappresenta dunque lo strumento attraverso il quale
ciascuna delle due parti trovi più agevole il raggiungimento dei propri fini. Questa è
la condizione necessaria, ma non sufficiente, per definire la collaborazione: anche i
rapporti di scambio nascono dal perseguimento dei fini di ogni contraente. Essi, però,
si perfezionano sulla base di un interesse contrapposto426; nelle relazioni di
collaborazione, questo completa la definizione, per quanto i fini siano eterogenei, gli
interessi dei due soggetti sono convergenti o addirittura comuni.
Secondo alcuni autori, tre fenomeni principali caratterizzano, riassuntivamente una
relazione di collaborazione427:
•
la convergenza di interessi, come appena affermato;
•
l’esistenza
di
428
collaborazione
•
condizioni
ambientali
affinché
questa
si
consolidi
in
;
la capacità di gestione della relazione da parte delle aziende con interessi
comuni429.
Alcune precisazioni sono necessarie. Questo tipo di rapporti, al contrario di quanto
vale per lo scambio, sono intesi come relazioni tra due aziende, non come livelli di
razionalità complessiva del sistema economico; la varietà di forme e di utilità che
possono conseguire, inoltre, non ne permette una puntuale descrizione.
Ponendo in atto accordi di tipo cooperativo, l’impresa condivide le competenze
complementari di altre imprese ed è in grado di captare e convogliare meglio gli
426
Quale, ad esempio, il minor prezzo per la P.A. acquirente ed il massimo per l’impresa venditrice.
Cfr. P. Rondo Brovetto, 1996, Le relazioni tra imprese e amministrazioni pubbliche: un modello di
analisi, Egea, Milano, cap. 5.
428
Questo tipo di relazioni è regolato diversamente nei vari sistemi giuridici, producendo significative
diversità nei rapporti di collaborazione. La medesima fattispecie, infatti, può essere considerata una
legittima forma di sostegno alle imprese in un ordinamento, oppure un illecito in un altro. Si pensi alla
concessione a titolo gratuito di un terreno inutilizzato, per la costruzione di uno stabilimento, oppure
si pensi alle comunicazioni tra P.A. titolari di funzioni di regolamentazione ed imprese, che possono
essere completamente libere, oppure devono avvenire solo per iscritto ed essere protocollate.
Fenomeni come quelli elencati influiscono evidentemente sulla gestione delle relazioni del sistema
giuridico entro il quale le forme di collaborazione si sviluppano; non di meno, altri problemi
ambientali vengono rinvenuti nel codice culturale dei soggetti pubblici e di quelli privati, che può
essere simile ed integrare i due, oppure completamente diverso e dividerli.
429
La continuità di relazione è dovuta, oltre che a strumenti di integrazione giuridica e culturale,
anche allo sviluppo della capacità di gestione di queste relazioni, configurando un’evoluzione delle
aziende fra le quali si instaurano. Per le singole aziende pubbliche lo sviluppo di queste capacità è
legata alla percezione dell’utilità che ne consegue e alla reattività al cambiamento; per le imprese
private, è invece legata alla dimensione: per le piccole imprese è una logica che dipende dalle
opportunità e perseguita non sistematicamente, mentre per le grandi imprese, una strategia “non di
mercato”, non competitiva che configuri la funzione “relazioni con l’Amministrazione Pubblica” può
essere considerata una funzione aziendale formalizzata.
427
stimoli ed i condizionamenti esterni, da cui dipende l’efficacia stessa dei progetti di
sviluppo intrapresi. L’impresa, a detta di alcuni430, deve abbandonare i vecchi schemi
di approccio autosufficienti all’ambiente, per andare verso forme di collaborazione di
più ampio raggio, sfruttando tutte le potenzialità della volontaria partecipazione a
progetti o accordi con soggetti autonomi; le relazioni non competitive tra imprese
hanno la funzione economica di organizzare l’esternalità per rendere possibile alle
imprese il conseguimento di “economie accessibili sul terreno della globalità, della
flessibilità tecnologica e dell’interazione con la domanda”.
Tuttavia, l’approccio collaborativo non nega alcuni aspetti positivi della
competizione tipica dello scambio. Borgonovi431, infatti, parla di “competizione
collaborativa”, ossia di una mediazione tra l’approccio competitivo432, necessario
affinché gli attori siano in grado di trovare stimoli e di esprimere energie positive, e
quello collaborativo, per attenuare il rischio dell’implementazione di comportamenti
e strumenti distruttivi delle risorse433.
430
Cfr. E. Cavalieri, 1995, op. cit., pag. 406
Cfr. E. Borgonovi, 1996, Il comportamento economico dell'impresa tra il modello della
competizione concorrenziale e il modello della competizione collaborativa, in Aa. Vv., Il governo
dell'economia e delle istituzioni, Giuffrè, Milano.
432
La tensione competitiva, pur spingendo ogni soggetto a fare meglio e quindi, nell’accettare il
confronto, a definire elementi omogenei di raffronto ed a farsi valutare da terzi sulla base di dati
oggettivi (assumendo le qualità di sistema aperto), è in grado di produrre effetti positivi solo qualora
sussistano determinate condizioni: la presenza di uno Stato che componga i conflitti comuni non
risolvibili nell’ambiente competitivo, un basso grado di interdipendenza tra i soggetti in gioco, un
elevato livello di sostituibilità e riallocazione degli attori incapaci di competere. Cfr. F. Manfredi,
1999, Il paradigma della competizione collaborativa come modello per la gestione dei rapporti tra
soggetti pubblici e privati, in Meneguzzo M. (a cura di), Managerialità, innovazione e governance. La
PA verso il 2000, Aracne, Roma, p. 314-315.
433
La competizione collaborativa, che esce dall’ottica meccanicistica per entrare in quella sistemica,
richiede alla base criteri economici che vengono però definiti anche in base a variabili sociali e di
equilibrio generale; prevale, in questo modello, la massimizzazione del vantaggio individuale in
relazione al livello minimo di accettabilità degli altri soggetti ed attori sociali coinvolti. In questo
modo si esclude la “competizione distruttiva”, per giungere ad un modello all’interno del quale si
premia coloro che sanno meglio organizzare le risorse a disposizione, e si sanziona in minima parte
coloro che si dimostrano incapaci di fronteggiare i problemi ambientali. Il modello di competizione
collaborativa, quindi, si configura come un’evoluzione della logica della convenienza economica a
fronte del rapido cambiamento del sistema istituzionale, all’interno del quale vi è la sempre più forte,
e matura, presenza del privato non profit, il quale è chiamato, oggi più che mai, a contribuire alla
ridefinizione dei processi socio economici e quindi dei ruoli e dei campi di interventi di pubblico e for
profit. Cfr. F. Manfredi, 1999, op. cit., p. 315.
431
Alla luce delle considerazioni sopra svolte, giova ribadirlo, il tenore di queste
relazioni “oscilla”, come un pendolo434, tra logiche di tipo competitivo e logiche di
collaborazione.
Il primo paragrafo, in relazione alla valenza delle ANPdi soggetti strategici nella
fornitura per conto della P.A. di servizi socio assistenziali, analizza il contenuto delle
relazioni tra P.A. ed imprese private e gli schemi di gestione dei servizi pubblici
alternativi alla produzione in economia che si creano in conseguenza di queste, e
delle implicazioni che hanno sul non profit.
Il secondo, invece, nel quadro relazionale descritto, esplicita le caratteristiche degli
strumenti attraverso cui coinvolgere le ANP in questo processo indicato con il
termine generico di “privatizzazione” (cui verrà data specificazione di significato), le
potenzialità ed i limiti di questi.
L’ultimo, infine, cerca di tirare le prime conclusioni sulla direzione intrapresa da
soggetti pubblici e non profit nelle reciproche interazioni.
4.1 Le relazioni pubblico – privato e le formule gestionali
Il tema delle relazioni tra imprese e P.A. è relativamente recente negli studi
economico aziendali, ma, ritengono alcuni autori435, ha un’origine lontana. Esso
trova fondamento primo nelle relazioni tra produzione (legata all’impresa) e
consumo (individuale - dei singoli e delle famiglie, e collettivo - delle formazioni
sociali e delle loro espressioni politiche, le istituzioni pubbliche) della ricchezza, fasi
che si influenzano a vicenda, legati cioè da relazioni di interdipendenza436.
434
Cfr. F. Monteduro, 2002, Il non profit nel sistema sanitario italiano, in Hinna L. (a cura di),
Management in sanità: scenari, strumenti e casi, Aracne, Roma, p. 292.
435
Cfr. P. Rondo Brovetto, 1996, op. cit., p. 3 e segg.
436
Un primo rilancio organico delle relazioni di tipo economico tra imprese ed istituzioni pubbliche si
ebbe in occasione della Grande Depressione degli anni ’30: essa dimostrò che il mercato è un
meccanismo di autoregolazione che però, in presenza di alcune condizioni reali ed alcuni
atteggiamenti psicologici (aspettative pessimistiche sul futuro), può portare al raggiungimento di punti
di equilibrio tramite processi di distruzione della ricchezza accumulata e di abbassamento della qualità
della vita che appaiono inaccettabili per le società moderne. In particolare, in occasione delle crisi
apparve evidente l’importanza dell’interdipendenza tra produzione e consumo nel processo
economico; da qui, nei sostegni ai consumi per conservare il ciclo positivo, traggono origine gli
interventi pubblici di politica economica o di governo dell’economia, sempre più numerosi e
complessi.
Secondo Zangrandi, un primo modo per chiarire il ruolo dell’ente pubblico nei
confronti delle ANP, è quello di mettere in evidenza i concetti di funzione e
servizio437.
La prima rappresenta una responsabilità dell’ente rispetto ad un’area di bisogno, in
cui si evidenzia il ruolo nel coordinare interventi allo scopo di una risposta al dato
bisogno, a fronte del quale esistono adeguate risorse finanziarie appositamente
destinate; al “servizio pubblico” è legata alla produzione tecnica e alla erogazione di
una prestazione definita in quantità e qualità438.
Le funzioni, possono trovare in molti casi una concreta risposta nei servizi pubblici,
ma in altre situazioni l’intervento dell’ente è gestibile solo attraverso un’attività di
coordinamento dei vari soggetti economici (pubblici, privati non profit e for profit,
famiglie) o attraverso la regolamentazione di definiti campi di attività439.
Nel quadro di riferimento tracciato, l’ente pubblico titolare di una funzione è
sovraordinato rispetto al produttore ed erogatore delle prestazioni, venendosi quindi a
manifestare importanti relazioni la cui messa in evidenza è di estremo interesse ai
fini dell’oggetto del presente lavoro. Le aziende non profit, infatti, sono condizionate
437
Infatti, ciascun ente pubblico evidenzia un peculiare profilo di intervento, che deriva direttamente o
indirettamente dalla legislazione, dallo sviluppo delle funzioni pubbliche, dalla storia delle istituzioni
e da altre variabili. In forza di ciò si manifestano due diverse tipologie di competenze: la funzione ed
il servizio. Cfr. A. Zangrandi, 1996, op. cit., pp. 246 e segg.
438
Funzione e servizio hanno caratteristiche tra loro molto differenziate: la funzione si evolve in tempi
lunghi e si sviluppa secondo il ruolo svolto dall’intervento pubblico rispetto a quello privato; come
notato nel primo capitolo, secondo le varie condizioni storiche, sono pubbliche alcuni funzioni che in
altri periodi sono lasciate ad altra regolamentazione, come l’assistenza sociale. Coordinando alcune
considerazioni sparse nei capitoli precedenti, infatti, emerge che questa, nel diciannovesimo secolo,
era considerata strettamente privata (a carico dei nuclei familiari o delle organizzazioni religiose), per
poi essere riconsiderata pubblica (nel progetto contenuto dalla Legge Crispi del 1890);
successivamente si riconosce l’apporto significativo dei privati (con la fase di consolidamento delle
realtà non profit, le leggi sul volontariato e sulle cooperative sociali) e si favorisce l’integrazione degli
interventi in favore di un mix bilanciato di responsabilità (il c.d. Welfare mix). I servizi, al contrario, si
sviluppano in un più breve tempo e le modalità di cambiamento sono frequenti anche in base alle
nuove tecnologie disponibili o a nuove modalità di “costruzione” del servizio. Gli Enti Pubblici
possono essere chiamati a gestire una o più funzioni, od uno o più funzioni e servizi: si hanno enti con
proprie funzioni (come le Regioni e le Province), enti chiamati ad erogare solo servizi (ospedali ed
Asl), oppure enti con servizi e funzioni che si integrano richiedendo la soddisfazione di una funzione
attraverso la predisposizione di servizi (come i Comuni). Il concetto di funzione non può essere
contrapposto a quello di servizio: la prima delinea un’area di competenza nella quale l’ente ha
autonomia di regolamentazione, essendo a tal fine necessaria la definizione di criteri e priorità di
intervento, delle risorse, delle modalità di svolgimento dei servizi ecc. Viceversa, il servizio identifica
una determinata attività posta in essere, la quale necessita di processi di produzione tecnica, di
meccanismi di scambio economico, di governo della domanda, di valutazioni ecc.
439
Il coordinamento permette di trovare schemi di riferimento rispetto ad alcune fondamentali
questioni, quali: (a) le forme organizzative più opportune per gestire funzione e servizio; (b) i sistemi
più idonei per programmare i due; (c) i criteri per gestire il rapporto con la collettività per la funzione
e per i servizi; (d) le caratteristiche distintive dei dirigenti di funzione e dei responsabili di servizio.
dall’operatore pubblico nella misura in cui agiscono queste relazioni, nel senso,
giova ribadirlo, di maggiore autonomia o dipendenza, influendo direttamente sulle
condizioni di economicità.
Le relazioni che si vogliono considerare sono le seguenti440:
(a) relazioni di scambio, acquisti dell’Amministrazione pubblica;
(b) relazioni di scambio, fornitura pubblica di servizi reali alle imprese;
(c) relazioni finanziarie;
(d) relazioni istituzionali;
(e) relazioni di collaborazione;
(f) relazioni informali.
Le relazioni di scambio concernenti l’acquisto di beni e servizi da imprese, da parte
dell’Amministrazione, rientrano nel concetto economico-aziendale di scambio
monetario, come delineato in apertura di capitolo
L’attività di scambio di molte ANP, in alcuni casi, non è soggetta al meccanismo
economico del prezzo, cedendo queste gratuitamente i beni ed i servizi, oppure
prestando un’attività che contribuisce alla realizzazione di un servizio complesso
erogato dall’ente pubblico. In entrambi i casi, comunque, le relazioni instauratesi
sono esplicite, potendo rinvenire una base contrattuale che ne fornisce il contenuto ed
il fine (la realizzazione delle finalità dell’ente pubblico).
Elementi caratteristici della relazione, scaturenti dalla presenza di ANP come
controparte, sono considerati441:
•
le condizioni di cessione dei beni e servizi, non sempre legate al prezzo ed
aventi la P.A. come destinataria442;
440
Cfr. A. Zangrandi, 1996, op. cit. e P. Rondo Brovetto, 1996, op. cit..
Cfr. A. Zangrandi, 1996, op. cit., pp. 248 e segg.
442
I beni o i servizi possono essere ceduti ad un prezzo remunerativo dei costi della produzione,
oppure ad una tariffa non sufficiente a coprire tali costi, oppure, infine, gratuitamente. Il beneficiario
può essere direttamente l’Amministrazione Pubblica, oppure terzi, rappresentando, la P.A., il “terzo
pagante”, come nel caso di molti servizi socio-sanitari prestati ai singoli dal non profit, per conto dei
Comuni responsabili. La determinazione delle condizioni di cessione, se da un lato è direttamente
correlata alle finalità istituzionali dell’ANP e dell’ente pubblico, dall’altro rappresenta sempre
un’importante punto di riferimento, in quanto il meccanismo economico dello scambio consente di
evidenziare chiaramente un legame finanziario, la possibilità di implementare sistemi di valutazione
sulla qualità e sulla gestione. L’assenza dello scambio monetario, per contro, comporta la definizione
di un meccanismo parallelo di finanziamento basato su altri elementi (il costo complessivo, la spesa
storica ecc.) e la necessità di controlli amministrativi. La condizione di “terzo pagante” assunta dalla
P.A. pone necessità aggiuntive, quali la definizione di espliciti criteri di responsabilizzazione
finalizzati al controllo della spesa totale
441
•
le modalità di acquisto da parte della P.A., che possono influenzare il
comportamento individuale della singola ANP443;
•
l’influsso delle finalità proprie delle ANP sui processi di cessione dei beni e
servizi e sulla loro durabilità444 .
Per contro, le peculiarità gestionali delle Amministrazioni Pubbliche445 impongono
caratteri fondamentali ai loro processi di acquisto, quali: vincoli economici
all’utilizzo delle risorse; vincoli giuridici all’utilizzo delle risorse; esigenza di qualità
dei beni, servizi ed opere; dimensioni di alcuni acquisti; obblighi di trasparenza delle
decisioni; obblighi di rendicontazione sull’uso delle risorse; controlli esterni; rapporti
interni al settore pubblico diversi dai controlli446.
443
Le modalità di acquisto della Pubblica Amministrazione assumono grande rilievo, in quanto, come
si vedrà in seguito, oggetto di profonda trasformazione nella ricerca di trasparenza, per mezzo di
procedure formali e dell’economicità, attraverso le definizione dei criteri di scelta e la flessibilità degli
strumenti.Di grande rilievo è la “durata” del rapporto contrattuale con le aziende non profit, in quanto
questa influenza gli elementi strutturali di queste, come gli investimenti, i rapporti col personale ecc.
444
L’influsso delle finalità sui processi di cessione di beni e servizi è legato alla mission della ANP
controparte e dall’esigenza di questa di mantenere una propria specifica identità, riflettendosi sulle
decisioni in merito a quantità, livello dei prezzi e quant’altro.
445
Peculiarità quali l’eterogeneità dei prodotti, l’assenza di un prezzo di cessione dei propri prodotti,
la formalizzazione dell’attività amministrativa,l’interdipendenza tra tempi e ritmi gestionali con quelli
istituzionali ecc, cfr. E. Borgonovi 1996, op. cit., cap. 3.
446
I primi derivano dai vincoli di bilancio e dalle particolari modalità di reperimento delle risorse,
ricavandole, generalmente per la parte preponderante, da altre istituzioni pubbliche (come le Regioni
dallo Stato), oppure dalla cessione dei propri beni e servizi (come i Comuni), che mutano
l’atteggiamento nei confronti dello stesso vincolo (come nel caso di tensioni finanziarie che
irrigidiscono l’uso delle risorse, tipico degli Enti Locali). In merito ai secondi, per molti enti pubblici
esistono meccanismi contabili autorizzativi derivanti da norme, al fine del controllo politico e di
legittimità,e della partecipazione politica. Riguardano la quantità delle risorse, il tempo impiegato
nelle procedure, ecc. Problema principale per il terzo punto risulta l’alta formalizzazione delle
procedure di acquisto, che richiede una qualità dei beni e servizi acquistabili quasi a priori, essendo
poi molto problematico la sostituzione o il risarcimento per la difformità, ovvero il controllo di
qualità; questo pregiudica spesso la gestibilità dei fornitori, ma anche la loro scelta cristallizzando le
preferenze su pochi di questi nel parco di scelta. La quantità di risorse necessarie per alcuni acquisti di
mole ingente (per l’impegno e i tempi di realizzazione, si pensi alle infrastrutture) , poi, in merito al
punto successivo, è spesso resa disponibile solo dalla collaborazione e condivisione tra più
amministrazioni o tra queste ed imprese e dall’uso di strumenti contrattuali e finanziari (come nel caso
delle operazioni di project finance, di cartolarizzazione ecc). Seppur in gradi diversi nei vari sistemi
amministrativi, quart’ultima caratteristica, si pone l’esigenza di imporre regole per la trasparenza al
fine dello scrutinio pubblico sull’operato (da parte dell’opinione pubblica e delle opposizioni di
governo), e per ridurre la discrezionalità negli acquisti, preferendo criteri di selezione oggettivi
esplicitati ex-ante, rispetto a quelli soggettivi. In ordine agli obblighi di rendicontazione, non di rado i
processi di acquisto delle P.A. sono soggette a valutazioni ex-post riguardanti sia il consumo di risorse
che il contributo dell’oggetto dell’acquisto alla realizzazione degli obiettivi. I controlli esterni
consistono nell’attività di supervisione, verifica e sanzione cui sono sottoposti i soggetti pubblici
rispetto alle loro attività, sia in modo formale, in adempimento degli obblighi di legge, che a livello
informale, attraverso il giudizio degli organi di informazione. Infine, ultimo punto, spesso le
procedure di acquisto sono determinati da altre amministrazioni rispetto a quella acquirente. Cfr. P.
Rondo Brovetto, 1996, op. cit., pp. 255 e segg.
Nel complesso e cruciale procedimento di formalizzazione delle procedure di
acquisto447, un ruolo fondamentale viene svolto dalla scelta del tipo di scambio da
attivare, in riferimento alla tipologia giuridica: forniture formali, offerte interne,
subcontraenza, accordi-quadro, concessioni, partenariato448. Tale scelta influisce sui
diversi infatti tipi di contratti, sui margini di azione e vincoli che seguono, nonché
sulle difficoltà gestionali.
Ricorrendo ad una molteplicità di forme organizzative, le amministrazioni pubbliche
producono beni e servizi per cederli all’esterno, configurando il secondo tipo di
relazioni P.A.-imprese, basate sullo scambio monetario in forma più o meno
esplicita: la fornitura di servizi reali alle imprese.
Le particolarità delle aziende pubbliche come controparte in posizione di venditrici
(rispetto al caso precedente) sono numerose; le più importanti, tuttavia, risultano
essere il fine di tutela dell’interesse generale ed il differente rilievo del risultato
economico quale condizione per la vita duratura dell’azienda. Oggetto della fornitura
sono i beni pubblici, i beni meritori e quelli privati449 e, ritengono alcuni autori, i
diritti450.
447
I problemi relativi a questo sono ancora aperti e caratterizzano il dibattito sui principi economici e
le codificazioni giuridiche, soprattutto in relazione alle istituzioni soggette alle regole,
all’identificazione degli scambi soggetti alle regole, alla pubblicità della decisione di acquisto, alla
metodologia della sollecitazione e dell’identificazione dei fornitori, alla valutazione delle offerte ed
infine, al perfezionamento del contratto. Cfr. P. Rondo Brovetto, 1996, op. cit., pp.238 e segg.
448
Per forniture formali si intende il tipico contratto di fornitura tra ente pubblico ed istituzione
privata contro prezzo; con il secondo termine si indica la facoltà offerta ad alcune amministrazioni di
accettare offerte provenienti da imprese appartenenti alla istituzione acquirente o da unità
organizzative al suo interno, come nel caso, ad esempio, dell’acquisto del servizio di trasporto per
portatori di handicap dalla sezione trasporti da parte dell’Ente locale medesimo che gestisce il servizio
sociale. I rapporti di subcontraenza hanno luogo quando un fornitore acquista a sua volta beni e servizi
da altri fornitori nell’ambito delle attività che pone in essere per onorare il contratto. Gli accordiquadro definiscono semplicemente le condizioni alle quali la fornitura avrà luogo se quando l’ente
riterrà opportuno richiederla; le concessioni consistono nel diritto, in capo all’impresa fornitrice, a
sfruttare economicamente un’opera dopo averne effettuato la costruzione, dal punto di vista
economico-aziendale, come corrispettivo allo scambio. Le ultime sono modalità di acquisto che si
manifestano in varie forme, ma che in sostanza si concludono in un accordo di cooperazione, per un
periodo di tempo definito, fra un’amministrazione acquirente ed un’impresa venditrice, per rapporti di
durata ed elasticità contrattuale.
449
Per la disamina delle caratteristiche proprie di ogni categoria e di quelle che le distinguono le une
dalle altre, vedi cap. 1.
450
Oltre a beni e servizi, infatti, le amministrazioni pubbliche possono cedere alle imprese alcuni
diritti, riconducibili, nella varietà di situazioni esistenti, a due grandi categorie: i diritti di fare, in base
ai quali l’impresa che ne gode ha la possibilità di esercitare una certa attività, e quelli di non fare, in
base ai quali l’impresa che ne gode può ridurre i propri costi evitando di impegnarsi in attività alle
quali sarebbe obbligata in assenza dei diritti stessi. Tre ordini di motivi sono alla base della creazione
e cessione di un diritto: gli obiettivi di regolazione, che concernono la creazione di incentivi affinché
l’utilizzo delle risorse comuni della società sia più consono agli interessi collettivi (tipico esempio è la
Nelle relazioni di scambio nelle quali l’amministrazione è venditrice, la fissazione
del prezzo assume caratteristiche particolari, per gli obiettivi che la sottendono, per la
forza negoziale, e per le risorse finanziarie. Il prezzo di cessione viene considerato
non solo rispetto al fine di equilibrio economico, ma anche come strumento di
gestione delle politiche generali451. La fissazione del prezzo, difatti, oltre che basarsi
sulla struttura dei costi dell’amministrazione e quindi sulla determinazione di questo,
hanno un significato politico per molti beni e servizi della P.A., in relazione a
considerazioni di redistribuzione dei redditi452.
Si definiscono poi relazioni finanziarie tra imprese ed amministrazioni pubbliche i
flussi monetari, a vantaggio delle aziende dell’una o dell’altra classe, che hanno
luogo senza una correlata cessione di beni e servizi453. Esse sono classificabili in due
grandi categorie, che determinano un rapporto biunivoco tra il soggetto pubblico ed i
privati: i flussi dalle imprese alle P.A. (basate su imposte e tributi)454 e quelli
cessione del diritto di sfruttamento di risorse naturali, o di inquinamento di aria ed acqua); gli obiettivi
di ottenimento delle risorse, per ovviare a tensioni finanziarie, per ottenere vantaggi economici (come
nel caso dei diritti di passaggio e di trasporto); gli obiettivi di trasferimento delle attività, nel caso di
processi produttivi della P.A. inquadrabili con maggiore convenienza in un quadro istituzionale
“privato” (in questa forma di trasferimento, tuttavia, gli aspetti di collaborazione sono prevalenti). Cfr.
P. Rondo Brovetto, 1996, op. cit., pp. 327 e segg.
451
Come, ad esempio, per modificare il comportamento degli agenti economici (imprese e
consumatori).
452
Per i beni e servizi collettivi, non escludibili e non divisibili, il “corrispettivo monetario” viene
“raccolto” attraverso il sistema tributario, con tasse o imposte; per quelli individuali, escludibili e
divisibili, può essere usato il meccanismo del prezzo di mercato o la tariffa. I meccanismi di
fissazione dei prezzi di uso più frequente possono essere: (a) sulla base dei costi medi: il prezzo è
determinato dal rapporto tra i costi e le quantità che si prevede di cedere; (b) sulla base dei costi
marginali, in cui il costo marginale è dato dal costo aggiuntivo di ogni unità venduta; (c) il peak-load
pricing: con questo meccanismo si determina il prezzo sulla base della somma fra in costo marginale
ed un costo dell’infrastruttura, aggiunto solo quando le vendite hanno luogo nel massimo carico delle
reti.; (d) le tariffe a più parti: determinano il prezzo sulla base dei costi marginali sommati ai costi
dell’infrastruttura, fissati a livello amministrato, non di mercato, per la pubblicità del servizio cui
generalmente sono legati.
453
Cfr. P. Rondo Brovetto, 1996, op. cit., pp.127 e segg.
454
La prima categoria prende origine dalla capacità impositiva della P.A. nei confronti delle imprese; i
sistemi fiscali perseguono principalmente due obiettivi: la provvista di mezzi finanziari per il
funzionamento dell’amministrazione e l’intervento sui processi di produzione e consumo che hanno
luogo all’interno di esse. Le criticità di questo rapporto sono rinvenibili nella progettazione e gestione
dei sistemi fiscali, alla cui efficienza viene affidata la capacità di non avere effetti troppo distorsivi,
quali: la riduzione eccessiva dell’output delle imprese, l’innalzamento eccessivo dei prezzi e
l’evasione, la perdita di legittimazione e la “migrazione” di imprese dal territorio. Nel quadro politico
attuale, di forte tendenza al federalismo fiscale e alla creazione di sistemi regionali, che assegna a
Regioni ed Enti locali autonomia impositiva e finanziaria, la ricerca di un’imposizione ottimale è di
fondamentale importanza per l’equilibrio socio-economico dell’area territoriale.
contrari, dalla P.A. alle imprese (basate sui trasferimenti)455, anche se sul piano
pratico la distinzione tende ad affievolirsi.
Le relazioni finanziarie possono discendere, quindi, da più motivazioni:
•
dalla cessioni di beni e servizi (in via indiretta);
•
dal finanziamento degli investimenti o di particolari fattori produttivi;
•
dal finanziamento di una parte dell’attività.
In molti casi le aziende non profit dipendono finanziariamente dagli enti pubblici,
potendo altresì ricollegare a quest’aspetto altri fenomeni che influiscono
sull’equilibrio economico, come i tempi di pagamento, i vincoli nella utilizzazione
dei fondi (tempi e destinazione). In particolare giova qui riflettere sulle modalità di
determinazione del finanziamento.
Se esistono processi di scambio, infatti, si ha la disponibilità finanziaria collegata alla
quantità e qualità dei servizi erogati e, come detto, la determinazione dei prezzi e
delle tariffe può essere collegata a meccanismi rigidi o negoziali; in questo caso è
necessario incentrare l’attenzione sul controllo della domanda, soprattutto se
l’amministrazione pubblica è terzo pagante rispetto ai beneficiari456.
Le relazioni finanziarie possono svilupparsi anche tramite altre forme. L’ente
pubblico può erogare finanziamenti con vincolo di destinazione per l’acquirente della
risorsa (ad esempio il personale), collegato ad un contratto specifico, oppure per la
realizzazione degli investimenti, con finanziamento una tantum. Nel rapporto con le
aziende non profit, i legami finanziari sono determinanti, sia riguardo al rapporto tra
finanziamento ed entrate totali delle ANP, che per i vincoli connessi all’utilizzo dei
fattori produttivi457.
455
Il flusso contrario, dalla P.A. alle imprese, ha natura eterogenea e si esplicita in forme assai
diverse. Trasferimenti e sussidi, nel complesso, mirano ad obiettivi immediati quali la compensazione
per esternalità positive o rischi economici troppo elevati, l’incentivo a svolgere attività di pubblico
interesse, supportare la ricerca e lo sviluppo, attirare e mantenere imprese in alcune aree geografiche,
innalzare la performance di tutto il territorio ecc. Le diverse forme utilizzabili dall’Amministrazione
possono essere: trasferimenti diretti, riduzione dell’imposizione fiscale, riduzione dei costi delle
imprese ed aumento dei prezzi degli acquisti da parte della P.A., trasferimenti all’intero settore,
sostegni al consumo, interventi sulle modalità di acquisizione e cessione.
456
Cfr. A. Zangrandi, 1996, op. cit., pp. 249 e segg.
457
I vincoli, come detto, possono essere collegati all’acquisizione di determinati fattori produttivi, , in
determinate quantità e qualità. La dipendenza finanziaria dall’ente pubblico condiziona la gestione
della ANP, condizionamento collegato alle caratteristiche del contratto, in particolare all’orizzonte
temporale del finanziamento, alla specificazione delle prestazioni da fornire ecc. Un ulteriore
elemento da considerare ai fini del finanziamento è il rapporto di “opportunità” che può venirsi a
Nel perseguire i propri obiettivi, gli istituti pubblici definiscono in modo formale
vincoli al funzionamento delle imprese e condizioni dell’ambiente nel quale esse
operano. Le relazioni istituzionali, altro tipo di realzione P.A. - imprese sono
strumenti attraverso i quali questi vincoli e condizioni sono espressi, specificati ed
applicati458. In questo caso, l’ente pubblico è in posizione sovraordinata in forza del
soddisfacimento di interessi condivisi dalla comunità di cui sono espressione, che
conferisce loro potere impositivo.
Queste relazioni si dividono in tre categorie:
•
le relazioni che hanno l’obiettivo di creare condizioni ambientali favorevoli
all’attività delle imprese459;
•
quelle che hanno per obiettivo il governo delle strutture dei settori economici460;
•
le relazioni che hanno come obiettivo un comportamento delle imprese più
omogeneo con gli interessi generali della collettività461.
Fondate, quindi, su norme e regolamenti, queste relazioni riguardano molteplici
elementi caratterizzanti le aziende non profit. L’individuazione delle caratteristiche
strutturali si concretizza nella definizione di caratteri di funzionamento minimali che
queste devono possedere, quali l’individuazione di requisiti professionali per gli
operatori o standard architettonici e strutturali per i centri di erogazione. La
definizione delle regole di comportamento è invece connessa a vincoli di vario
genere e natura che le coinvolgono, quali ad esempio le modalità di presa delle
creare nell’accedere ad un finanziamento dell’ente pubblico, in quanto può essere possibile conciliare
la finalità pubblica dell’ente, con quella della ANP che concorre.
458
Cfr. P. Rondo Brovetto, 1996, op. cit., pp. 65 e segg.
459
Quest’attività si estrinseca nella creazione di istituzioni per l’attività economica delle imprese,
dalle più semplici, come le regole di scambio monetario, alla più complesse, quali il funzionamento
dei mercati finanziari o le reti di trasposto aereo, fino alla creazione di vere e proprie agenzie di
sviluppo che si occupano di queste relazioni.
460
Il numero di imprese e le condotte da queste tenute nei diversi settori non sempre corrisponde a
quello che le P.A. ritengono validi per uno sviluppo equilibrato del settore, come il livello di
competizione. Si interviene con la regolamentazione o la deregolamentazione per avere maggiore o
minore concentrazione e concorrenza (sulle infrastrutture, sulle barriere all’ingresso, sulla dimensione
delle imprese ecc.)
461
Si impongono vincoli positivi (obblighi di fare) o negativi (non fare), oppure incentivi alla
modifica del comportamento delle imprese, al fine di evitare danneggiamenti oltre una certa misura
all’interesse della comunità. Le aree maggiormente interessate sono: la sorveglianza sulla concorrenza
tra imprese, i rapporti tra imprese e persone (soprattutto in materia di lavoro), la protezione
ambientale, la responsabilità sociale delle imprese, la cooperazione tra imprese e P.A. ecc. Spesso
questo porta alla creazione di Autorità di vigilanza con poteri di regolamentazione, controllo e
sanzionatori, come, ad esempio, nel campo della concorrenza nel mercato (c.d. Antitrust), nelle
telecomunicazioni, nell’energia, nelle società quotate in borsa, per la privacy, per l’applicazione del
regime fiscale agevolato alle imprese non profit ecc.
decisioni, oppure la gestione di particolari risorse di origine pubblica. L’insieme di
queste relazioni è in genere differenziato in ragione di vari elementi, come il tipo di
servizio erogato, il grado di “pubblicizzazione” della funzione, della “storia”
dell’intervento ecc.
Il penultimo tipo di relazione, i rapporti di collaborazione tra imprese ed
amministrazioni pubbliche, sono, nei loro aspetti economici, solo una delle diverse
forme di collaborazione fra aziende del sistema economico462. Per contro, come detto
in introduzione, la collaborazione è una delle forme più significative nelle quali i
complessivi rapporti fra imprese e P.A. si sviluppano.
Poiché non vi è un limite, se non puramente teorico, alle forme e all’utilità della
cooperazione fra imprese e P.A., non è possibile fornire una descrizione compiuta463.
Gli obiettivi intermedi che l’Amministrazione persegue con i rapporti di
collaborazione possono essere individuati in varie tipologie: il rafforzamento della
singola impresa o di un settore; la realizzazione di un’opera, la prestazione di un
servizio o la produzione in sensi fisico-tecnico di un bene; il semplice mantenimento
di canali di comunicazione; la co-gestione di un’area di attività464.
In riferimento alle ANP, come si chiarirà in seguito, spesso la collaborazione si
instaura sulla base di cooperazione professionale e scientifica, come una relazione
non semplicemente di cessione di un servizio, ma come valorizzazione di specifiche
competenze, anche in senso biunivoco. La cooperazione può riguardare, soprattutto
nei servizi socio-assistenziali, anche il contenuto di un servizio, cui l’azienda non
profit apporta competenze e conoscenze specialistiche, oppure professionalità
mancanti all’interno dell’Ente collaborante (tipico nei servizi di assistenza
all’handicap, alle tossicodipendenze ecc.). Molto spesso la collaborazione viene fatta
sul “bisogno”, intervenendo direttamente sull’individuazione di questo e, in modo
462
Cfr. P. Rondo Brovetto, 1996, op. cit., pp. 347 e segg.
Denominate anche collaborazioni pubblico-privato (CPP), partnership pubblico-privato (PPP) o
reti/networks, fioriscono nei settori sanitario, culturale, socio-assistenziale e public utilities.
464
Procedendo ad alcune semplificazioni, le forme di collaborazione generalmente attuate consistono
nella gestione congiunta delle infrastrutture (spesso attraverso il project financing) e servizi a rete
(non quelli alla persona), nei sistemi di accreditamento e legittimazione dell’impresa (di tipo
istituzionale, cioè trasferendo la legittimazione della P.A., derivante dal consenso popolare,
all’impresa privata tramite questa categoria di relazioni, con un complesso di modalità e strumenti
formali atti a garantire la convergenza con l’interesse pubblico) ed infine nei servizi per lo sviluppo
delle imprese (servizi di consulenza, territoriali ed infrastrutturali).
463
correlato, sulla domanda, ricercando le migliori modalità d’individuazione di questa
e selezionare quella cui destinare i servizi465.
Ultima categoria di relazioni è quella dei rapporti informali. E’ tale qualunque tipo di
rapporto fra P.A. ed imprese che non abbia il carattere della formalità di una
regolazione, di un atto amministrativo, o di uno scambio466.
L’interesse maggiore in queste relazioni è nella situazione in cui è l’impresa ad
essere parte attiva467. La varietà di forme nelle quali le imprese cercano di esercitare
pressione sulle amministrazioni pubbliche, dipende in parte dalla governance del
Possibilità di accordi di
vario genere e natura
relazioni di
collaborazione
relazioni
informali
- definizione caratteri di
funzionamento minimali
- definizione regole di
comportamento
servizi reali alle
imprese
Relazioni
PA - ANP
relazioni
istituzionali
- dipendenza finanziaria
ANP dagli enti pubblici
- modalità di determinazione
del finanziamento
- vincolo di destinazione
delle risorse
- oggetto:cooperazione
professionale e scientifica
- problema:valorizzazione
specifiche competenze
- azione sul “bisogno”
- tutela interesse generale
- prezzo: strumento di
gestione delle politiche
acquisti
della PA
relazioni
finanziarie
- assenza di un prezzo
per servizi delle ANP;
- formalizzazione delle
procedure di acquisto
- limitazioni derivanti
proprie di ANP o PA
Figura 4.1 a: Quadro riassuntivo delle problematiche nelle relazioni tra Pubblica
Amministrazione ed aziende non profit. (Elaborazione propria)
sistema (sia quella formale, che quella informale) ed hanno obiettivi intermedi
finalizzati allo scambio di informazioni (sulle future decisioni della P.A.) e
all’influenza sulle decisioni (per ottenere regolamentazioni di favore o di non
sfavore). Nello specifico, le relazioni informali tra ANP e P.A. sono connesse ad
465
Cfr. A. Zangrandi, 1996, op. cit., pp. 250-251.
Semplificando il discorso, si tratta di relazioni che si creano dove i rapporti istituzionali, che
hanno a disposizione strumenti formali, trovano il loro confine nell’esercitare influenza sul
comportamento sia di imprese private, che della P.A.. Cfr. P. Rondo Brovetto, 1996, op. cit., pp. 395 e
segg.
467
Il caso opposto di notevole interesse viene studiato, invece, nell’ottica della business responsibility,
vedi per. 1.4.
466
accordi di vario genere e natura, tra i quali hanno particolare rilevanza gli accordi
politici e le lobby, che permettono di correlare interessi specifici del terzo settore a
livello istituzionale468.
La figura 4.2 a esprime una sintesi delle problematiche tra PA e ANP finora
descritte.
Gli elementi in precedenza brevemente accennati consentono alcune prime
indicazioni sull’efficacia delle modalità di intervento in un definito campo di attività.
Si è detto, innanzitutto, della natura di “funzione” dell’intervento pubblico, che può
trovare utili risposte in molteplici “servizi”; questi possono essere gestiti
direttamente o realizzati da altri soggetti, sia pubblici che privati, operanti secondo
meccanismi di mercato, con finalità di profitto o non profit.
Il coinvolgimento del terzo settore nella produzione di servizi socio-assistenziali,
quindi, passa attraverso le scelte strategiche dell’Ente, che, all’interno del quadro
delle relazioni descritte, sceglie la forma istituzionale di gestione dei servizi che
consente il raggiungimento dell’economicità.
Seguendo l’impostazione di Rebora e Meneguzzo469, si può considerare una pluralità
di formule gestionali470:
(a) imprenditoriale;
(b) redistributiva;
(c) garantista;
(d) contrattuale;
(e) volontarista.
468
Cfr. A. Zangrandi, 1996, op. cit., p. 252.
Secondo gli autori, la titolarità e competenza per la funzione pubblica vera e propria si può
considerare esclusiva dell’ente pubblico territoriale, ma questo non vale necessariamente per i servizi
ed interventi. Cfr. G. Rebora, M. Meneguzzo, 1990, Strategia delle amministrazioni pubbliche,
UTET, Torino, cap. IV.
470
Questo a seguito della “crisi” del modello classico di gestione, che limitava il conseguimento di
elevati livelli di economicità dei servizi pubblici. Con la dizione modello classico di amministrazione,
si fa riferimento alle modalità organizzative e gestionali tradizionalmente adottate per il
funzionamento delle istituzioni pubbliche, con le seguenti caratteristiche distintive: netta separazione
tra politica ed amministrazione; autonomia e neutralità dell’apparato amministrativo; centralità del
procedimento amministrativo come strumento prevalente di gestione, in parte già trattati nel par.3.2.
Per un approfondimento, cfr. A. Garlatti, 1994, L'impresa pubblica ed il controllo del gruppo locale,
EGEA, Milano, cap. 3.
469
La formula imprenditoriale corrisponde all’adozione di un involucro normativo e
formale nell’azienda pubblica che gestisce il servizio, caratterizzato da flessibilità
organizzativa ed autonomia gestionale e strategica, assimilabile all’impresa pubblica.
La formula redistributiva, invece, corrisponde a quei “contenitori” istituzionali
dell’ente pubblico caratterizzati da elevata flessibilità organizzativa, ma limitata
autonomia gestionale, come ente strumentale dell’istituto pubblico territoriale471.
Alla formula garantista è riferibile la gestione in economia, caratterizzata da rilevante
rigidità organizzativa e limitata autonomia gestionale, sia delle entrate che della
spesa472.
La formula contrattuale si ha quando l’istituto pubblico territoriale affida ad un
organismo di tipo imprenditoriale (anche pubblico) la gestione di un dato servizio a
fronte del quale esso riconosce un corrispettivo economico. Aspetto qualificante
della formula contrattuale è che le risorse finanziarie necessarie all’impresa
contraente per alimentare il rinnovarsi dei propri processi non vengono acquisiti
dall’utenza, ma dall’ente territoriale terzo pagante473.
Infine, la modalità volontarista prevede l’affidamento dell’attività pubblica a soggetti
disponibili ad assumersi gratuitamente l’impegno, mediate forma di accordo o
convenzione che non implichi riconoscimento economico, ma solo a fronte di
assistenza tecnica, erogazione di agevolazioni, strumenti operativi ed altri
supporti474.
Le motivazioni di base all’adozione di queste formule vengono individuate nella
valorizzazione delle capacità imprenditoriali dei privati (e supplire alla carenza di
queste nel pubblico), nella flessibilità delle risorse (che permette, da un lato, di
471
La limitazione dell’autonomia deriva dalla gestione di un budget di spesa determinato da entrate
fisse, non direttamente collegate alle prestazioni fornite; la formula si adatta tipicamente ad attività
erogative, promozionali o di regolazione, come le Authorities. Fondamentale per questa formula è la
definizione della delega di funzioni dall’Ente titolare di queste all’agenzia creata, e dalla verifica dei
risultati.
472
A questa fattispecie sono riconducibili moltissime realtà della P.A., caratterizzate
dall’espletamento di attività certificative e dall’attenzione alla regolarità formale; trova la sua ragion
d’essere nella esigenza di garantire diritti di terzi e l’imparzialità del personale nell’adempimento dei
propri compiti.
473
Tuttavia possono rientrare nella fattispecie anche modalità che comportano la possibilità di
pagamento di un prezzo da parte dell’utenza. Critico di questa formula è la definizione dei contenuti
contrattuali, quali la qualità dei servizi, il controllo, le modalità di rescissione e la durata.
474
Tipico è l’utilizzo di forze ed energie del volontariato, sia individuale, che in formazioni sociali, ed
il fine solidaristico del servizio erogato. È questa la modalità che istituzionale che va assumendo in
tempi recenti un rilievo consistente, anche in relazione alle inefficienze ed intempestività della P.A. in
ambito sanitario e sociale.
liberarne di nuove e metterle a disposizione per la mission, dall’altro, di migliorare
l’efficienza e la tempestività) e nella ricerca di know-how (da interiorizzare).
In relazione alle forme di gestione dei servizi pubblici locali (previste dalla L. 142
del 1990) a disposizione della P.A. locale, si può tracciare un collegamento tra queste
e le formule gestionali appena descritte (figura 4.1 b).
Formule istituzionali di base
Caratteristiche
Imprenditoriale
Flessibilità organizzativa
Autonomia gestionale e
strategica
redistributiva
Strumentalità
Flessibilità organizzativa
Scarsa autonomia
Formalizzazione
Rigidità organizzativa
Affidamento a terzi
Rapporto contrattuale
Esistenza di corrispettivo
garantista
contrattuale
Forme di gestione ex L.
142/90
Azienda speciale
Istituzione
S.p.A.
Consorzio
Istituzione
Gestione diretta in economia
Concessione
Azienda speciale
Convenzione
Consorzio
volontarista
Affidamento a terzi
Assenza di corrispettivo
Figura 4.1 b: quadro di sintesi delle formule gestionali. (Elaborazione su A.Garlatti, 1994, p. 82)
Le varie formule presentate sono state applicate in diverso modo, numero e grado a
seconda del comparto di Amministrazione Pubblica prescelto (prevalentemente
EE.LL. e sistema sanitario nazionale) e dei settori di intervento (prevalentemente
beni culturali e socio-assistenza)475.
Gli Enti Locali, responsabili, come detto, dei servizi socio-assistenziali, sono stati
ampiamente investiti da questa nuova metodologia di gestione dei servizi, seppur in
via sperimentale476 e senza obbligo di “coerenza” tra formula gestionale e tipo di
servizio477.
475
Per il settore socio-assistenziale, nello specifico, si sono attuate prevalentemente la formula
volontarista e contrattuale verso il non profit, quella redistributiva (con la creazione di istituzioni) e in
minor modo quella imprenditoriale (con fondazioni ed aziende speciali) . Queste sono state intraprese
come decisione autonoma degli enti gestori, con la tendenza ad escludere le formule imprenditoriali
per dare maggiore spazio alla presenza pubblica, soprattutto nella programmazione.
476
Nella L. 142/90 non era infatti obbligatorio l’adozione di una forma di gestione diversa da quella
diretta.
477
Alcune formule erano solo “consigliate” per alcuni ambiti di attività, poiché maggiormente adatte
ad alcune tipologie di servizi: quella imprenditoriale per i servizi industriali a rete, e quella
redistributiva per i servizi alla persona (scuola, socio-assistenza, sport, cultura). Con il Testo Unico
del 2001 si introduce formalmente la formula volontarista, prima assente ed attivata spontaneamente
Richiamando le considerazioni di strategia della P.A. cha hanno aperto il discorso
sulle formule gestionali, emerge l’importanza delle strategie di integrazione. Si tratta,
a detta dei precedenti autori, di concepire sempre più la strategia aziendale in termini
di integrazione con altri soggetti, e per definire, in rapporto a ciascuno di essi, il
ruolo e l’atteggiamento da assumere nella prospettiva di orientare le relazioni del
sistema verso una progettualità generale, anche a livello locale, con l’affermarsi di
sistemi multicentrici e di un pensiero strategico in termini interistituzionali478.
L’uso di formule gestionali (sia quella garantista che le altre alternative alla gestione
diretta) influenzano l’economicità sia dell’ente che del non profit, coinvolto tramite
la cessione di servizi ed il finanziamento (formula contrattuale e volontarista), la
gestione di attività complesse (formula redistributiva), la tutela di interessi della
collettività (all’interno dei vertici di aziende miste in base alla formula
imprenditoriale), tramite vari strumenti operativi, cui è dedicato il prossimo
paragrafo.
4.2 Gli strumenti di attuazione delle relazioni pubblico-privato
Prima di procedere all’analisi degli strumenti attraverso cui coinvolgere le aziende
non profit nei servizi di Welfare, ed in particolare quelli socio assistenziali, occorre
procedere ad alcuni chiarimenti.
Il tema della scelta fra le diverse modalità di svolgimento dei pubblici servizi
(specificatamente quelli locali) si presta ad essere esaminato sotto il profilo della loro
“privatizzazione”, termine già usato nel corso del presente lavoro per indicare
genericamente il passaggio dal pubblico al privato. Secondo l’avviso di un cospicuo
gruppo di autori479, a fronte di un largo ricorso all’utilizzazione del termine, i
dagli EE. LL., si scoraggia la gestione diretta in favore della creazione di S.p.a (formula
imprenditoriale).
478
Cfr. G. Rebora, M. Meneguzzo, 1990, op. cit., p. 104; G. Valotti, 2000, La riforma delle autonomie
locali: dal sistema all'azienda, EGEA, Milano, p. 89 e A. Garlatti, 2002, Deregolamentazione e
concorrenza nei servizi pubblici: implicazioni strutturali per l'economia degli enti locali, in Azienda
Pubblica, n. 1-2, p. 53.
479
Ne citiamo solo alcuni: G. Farneti, 1995, La valutazione di economicità delle gestioni pubbliche
locali, in Anselmi L. (a cura di), Privatizzazioni: Come e Perché, Maggioli, Rimini; L. Anselmi, 1995
a, Privatizzazioni: Come e Perché, Maggioli, Rimini e L. Anselmi (a cura di), 1995 b, L'azienda
"comune", Maggioli, Rimini; G. Dossena, 1990, La privatizzazione delle imprese: modalità, problemi
significati che lo stesso può assumere non sono univoci, potendo fare riferimento a
molteplici schemi concettuali.
Un’impostazione generalmente condivisa vede la distinzione tra privatizzazione in
senso ampio (ossia la riduzione del peso del settore pubblico nell’economia che
richiama i concetti di denazionalizzazione, deregolamentazione e i generali
provvedimenti di liberalizzazione dei mercati) e privatizzazione in senso stretto,
concernente l’effettivo trasferimento della proprietà di imprese pubbliche al privato
tramite controvalore al cedente480.
Volendo specificare questi concetti, secondo Dossena481, le modalità attraverso le
quali il processo di privatizzazione può aver luogo sono molteplici e spaziano dalla
trasformazione delle formule di gestione o degli obiettivi assegnati alla proprietà
pubblica, fino al passaggio vero e proprio di questa dall’operatore pubblico a quello
privato; si caratterizzano per la diversa intensità e grado di revocabilità che le
connotano; ciascuna delle diverse tipologie di intervento, poi, è idonea a raggiungere
specifici obiettivi assegnati al processo di privatizzazione, non risultando
“equifungibili in funzione di questi”.
Si possono schematizzare tre diverse “linee” di privatizzazione:
•
privatizzazione indiretta, attraverso numerose modalità che non prevedono il
trasferimento effettivo delle attività pubbliche al privato, pur comportando
alcune modificazioni anche nelle modalità di gestione della proprietà
pubblica482;
e prospettive, EGEA, Milano; R. Arcangeli, 1995, Economia e gestione delle imprese di pubblici
servizi, Cedam, Padova; M. Nieri, 1995, Un nuovo rapporto pubblico-privato nella gestione dei
servizi locali, in Anselmi L. (a cura di), L'azienda "comune", Maggioli, Rimini.
480
Cfr. R. Arcangeli, 1995, op. cit., cap. XV; G. Dossena, 1990, op. cit., cap. 1. Giova ricordare che
secondo questa impostazione, la scelta di privatizzare in senso stretto discende dalla maggiore
efficienza dell’organizzazione privata, per la competizione nel mercato, la presenza di rischio di
gestione e del connesso profitto, stante comunque il limite del grado di concorrenzialità del mercato.
Viene poi precisata anche una specificazione della privatizzazione in senso stretto, detta
privatizzazione “fredda”, che non comporta il trasferimento della proprietà dell’impresa, ma solo la
trasformazione della natura giuridica della proprietà e l’introduzione di obiettivi di tipo privatistico
della gestione.
481
Cfr. G. Dossena, 1990, op. cit., cap.2.
482
Modalità previste per questo processo sono: la deregolamentazione; l’incentivazione di istituzioni
alternative, l’apertura del monopolio pubblico alla concorrenza; la modificazione del metodo di
prelievo del corrispettivo per l’acquisto di beni e servizi; l’allineamento di condotta tra imprese
pubbliche e imprese private; la privatizzazione dei rendimenti pubblici; la privatizzazione “fredda”o
ibridizzazione; la diluizione del controllo e la privatizzazione della forma giuridica. Per un
approfondimento, cfr. G. Dossena, 1990, op. cit., pp. 26-37.
•
privatizzazione funzionale, la quale comporta il trasferimento al privato di un
determinato compito in precedenza assolto dall’operatore pubblico, attraverso
l’esternalizzazione che consente di trasferire, anziché la proprietà, la gestione dei
servizi;
•
la privatizzazione sostanziale, che comporta l’effettivo trasferimento della
proprietà dall’operatore pubblico a quello privato, il quale ne diviene a tutti gli
effetti titolare; comporta, con espressione di efficace sintesi, la sostituzione,
nella qualità di proprietari, dei contribuenti con i futuri azionisti.
Farneti propone anch’esso tre “forme” di passaggio dal pubblico al privato,
parzialmente
coincidenti
con
quelle
precedentemente
esposte483:
l’”aziendalizzazione” dell’ente locale o di sue “parti”; la “delega” di alcune attività
all’esterno; il trasferimento della funzione di “governo” aziendale484.
Lo stesso autore, in aggiunta, integra questa classificazione con due criteri - guida:
(a) il criterio del controllo;
(b) il criterio del mercato.
Secondo il criterio sub (a), si privatizza se si trasferisce parzialmente o totalmente ad
altri soggetti il controllo dell’attività svolta, o anche se si rende autonoma la
medesima attività; sotto il profilo (b), invece, privatizzare significa andare proprio
verso il mercato, proponendosi di determinare condizione di gestione simili a quelli
che contraddistinguono le imprese private, creando nuove condizioni di
competitività485.
483
Esattamente, coincidono le ultime due schematizzazioni, mentre c’è disaccordo sulla prima
tassonomia proposta, in cui Farneti parla di strumenti privatistici di gestione.
484
Con il primo termine si indica l’adozione di strumenti di gestione di tipo privatistico, volendo
privatizzare l’organizzazione, come avvenuto dalla L. 142/90 in poi (cedi par. 3.2.2); l’autore, per
l’appunto, ritiene quest’espressione impropria se riferita solamente alla “riscoperta” dei caratteri di
azienda dell’Ente Locale, poiché da sempre considerato tale dalla dottrina economico-aziendale. Il
secondo termine indica l’esternalizzazione di attività (sia di puro supporto, che quelle istituzionali) da
parte dell’ente in favore di soggetti privati sia con modalità contrattuali basati sullo scambio (appalto,
concessione), che con coinvolgimento di questi attraverso forme societarie o partecipative (azienda
speciale, istituzione, S.p.A.). L’ultimo caso può essere realizzato con la cessione vera e propria
dell’attività con una sua dismissione, o scissione da società di capitali pubblica in favore del privato,
conferendo l’azienda ad apposita società di capitali, successivamente ceduta a terzi (sia in totalmente,
che parti maggioritarie o minoritarie del capitale) con conseguenti scelte di tipo politico (la
valutazione del prezzo, il timing con i mercati finanziari, il procedimento, un eventuale risanamento).
Cfr. G. Farneti, 1995, op. cit., pp. 190-204.
485
Il primo criterio è connesso ai rapporti che si vengono a determinare fra l’attività svolta e l’ente
territoriale, che corrisponde agli aspetti prima considerati; il principio guarda ai modi di essere del
soggetto aziendale, ritenendo che la forma giuridica non abbia autonomo valore. Il secondo è legato ai
rapporti che si vengono a creare fra l’attività svolta e l’ambiente competitivo; l’EE.LL. si trova a
Farneti conclude esprimendo preferenza per la privatizzazione del quadro
competitivo, in cui si devono combinare, per la realizzazione di questa strategia, le
varie
soluzioni
proposte,
curando
particolarmente
la
managerialità
dei
comportamenti, dovendosi muovere sempre meno verso gestioni dirette e molto più,
come detto, verso strategie di integrazione con altri soggetti, verso la holding
comunale.
Nieri, invece, chiarisce la distinzione tra “gestione privata” (cessione dell’attività a
privati) e “gestione privatistica” (tramite azienda dell’ente locale), sempre con
riferimento ai servizi pubblici locali486. Secondo l’autore, la precisazione è
importante proprio alla luce della dicotomia appena citata, tra il senso stretto e quello
ampio in cui interpretare il concetto “privatizzazione”: il primo comprende
sicuramente le forme di gestione di tipo privato, mentre il secondo coincide
perfettamente con quelle privatistiche487.
Rebora e Meneguzzo488, infine, analizzano il processo di privatizzazione,
considerando le funzioni chiave di un soggetto, pubblico o privato, di “produttore di
servizi” e “gestore strategico”, per il quale quest’ultimo ruolo assicura la strategia e
la selezione dei servizi e l’affidamento della responsabilità dei processi di offerta alle
organizzazioni pubbliche e private che svolgono il ruolo di produttori. Il processo di
privatizzazione. Secondo gli autori, si avrebbe privatizzazione in senso pieno con il
passaggio da una relazione che prevede la gestione strategica affidata al pubblico e la
dover perseguire l’economicità in un ambiente operativo difficile per la mancanza di un mercato e per
l’impossibilità, attraverso la misurazione dei ricavi, di valutare l’efficacia dell’attività svolta.
Secondo il criterio del mercato, l’aziendalizzazione è volta all’economicità e al mercato tramite
l’applicazione di metodologie che mirano, per l’appunto, all’equilibrio economico durevole ed
evolutivo; l’esternalizzazione (con strumenti contrattuali), se realizzata in trasparenza, promuove un
allargamento a soggetti privati e crea competitività, favorendo processi di specializzazione che
rendono l’ente più flessibile, riservando, come detto, all’ente la “regia” della rete; il trasferimento
della funzione di governo aziendale, ritiene l’autore, sviluppa effetti positivi solo se non si sostituisce
un monopolio pubblico con uno privato, non essendovi garanzia che la gestione privata sia più attenta
al quadro competitivo, e lasciando all’ente la funzione di monitoraggio.
486
Il primo caso, approfondendo il discorso, si incentra sulla cessione di attività ai privati, realizzabile
attraverso la vendita dell’intera azienda prima erogante (o parte di essa) oppure con
l’esternalizzazione della gestione a terze economie con capitale prevalentemente privato (con
strumenti contrattuali); nel secondo caso, invece, si considera la gestione tramite azienda dell’Ente
Locale, ma con la veste giuridica di società di capitali di tipo privato. Cfr. M. Nieri, 1995, op. cit., pp.
67-73.
487
Rispetto al criterio del controllo proposto precedentemente, invece, considerando forme di gestione
privata, seppur coinvolgendo queste soggetti privati, solo con la cessione si ha una privatizzazione
strictu senso, poiché negli altri casi l’ente locale non perde su tali attività il controllo, più o meno forte
secondo la formula contrattuale prescelta.
488
Cfr. G. Rebora, M. Meneguzzo, 1990, op. cit., pp. 153-155.
produzione eventualmente al privato (con applicazione della formula contrattuale,
che chiamano decentralizzazione, e corrisponde pressoché alla privatizzazione
funzionale) ad una diversa relazione contraddistinta dalla centralità degli organismi
privati quanto a gestione strategica e produzione.
Rispetto agli orientamenti proposti, volendo cercare una loro sintesi che descriva il
più aderentemente possibile ciò che sta accadendo nella realtà, la “via”
maggiormente usata nei servizi socio-assistenziali è una privatizzazione in senso
ampio (secondo la definizione di Arcangeli), indiretta e funzionale (secondo quella
data da Dossena), con gli strumenti dell’aziendalizzazione e dell’esternalizzazione
secondo un’ottica di mercato (secondo la linea di Farneti, in gestione privata,
secondo Nieri), e, conservando gli enti locali la funzione di definizione strategica,
non “piena” (secondo l’impostazione di Rebora e Meneguzzo, escludendo a priori,
per motivi di interesse pubblico, il passaggio della titolarità (della funzione) di questi
alla sfera privata.
Prima di analizzare nel dettaglio gli strumenti di coinvolgimento delle aziende non
profit nella gestione dei servizi socio-assistenziali, occorre una ulteriore precisazione.
Il Comune, nella gestione di questi servizi, come più volte esplicitato, ha
tradizionalmente a disposizione le seguenti alternative: la delega alle Asl,
l’esternalizzazione di servizi ad imprese sociali del non profit, il ricorso al
volontariato, la creazione di aziende sociali, l’accreditamento e il ritorno alla
gestione diretta. Questa categoria di servizi alla persona, a detta di autori impegnati
nel loro studio489, sta attraversando un momento di particolare disequilibrio,
caratterizzato dalla messa in discussione di modalità di gestione sino ad ora ritenute
ottimali490.
489
Cfr. A. Battistella, 2001b, Competizione e forme di gestione in Italia, in Prospettive Sociali e
Sanitarie, n. 14-15, p.3-8
490
La ricerca della forma di gestione ottimale è soggetta ad una molteplicità di opzioni; l’esperienza
sul campo degli autori, tuttavia, ha evidenziato come principale limite la scarsa coerenza tra la scelta
della particolare forma di gestione e le scelte di politica sociale che ne sono alla base; sembra mancare
la convinzione che queste non siano solo degli strumenti tecnici, ma abbiamo un significato valoriale e
di indirizzo delle politiche sociali: l’utilizzo deve essere coerente con le finalità perseguite.
Rispetto al problema delle deleghe, si deve ricordare la complessità che lo che lo avvolge: per molto
tempo e in comuni di piccole dimensioni ha rappresentato il modo per poter affrontare anche problemi
sociali; il ritiro di queste mette gli stessi comuni deleganti in difficoltà per non aver sviluppato
capacità di affrontare queste problematiche. Questo schema è oggetto di ripensamento per due motivi:
la diffusa insoddisfazione dei Comuni rispetto alle scelte organizzative delle Asl, con priorità agli
aspetti sanitari dell’intervento, e il nuovo ruolo assegnato a questi, facendo apparire la delega come
una modalità non garante del ruolo di regista della rete. L’esternalizzazione all’impresa sociale viene
Il grado di coinvolgimento, il ruolo assegnato e le problematiche relative al non
profit, in conclusione, variano a seconda delle modalità di gestione scelte dagli
EE.LL. e dal loro senso di cambiamento.
Le tre sezioni successive analizzano più nello specifico gli strumenti operativi sopra
introdotti, soprattutto valutando le implicazioni per i soggetti non lucrativi. Tali
strumenti sono stati suddivisi con l’obiettivo di far emergere la gradualità del
passaggio dallo scambio alla collaborazione.
L’esternalizzazione, infatti, si basa sul meccanismo dello scambio e viene
contrapposta all’accreditamento (base per i quasi mercati) per il diverso “modo” di
creare concorrenza491: il primo ha l’obiettivo di creare meccanismi competitivi “per il
mercato” con la selezione dei fornitori dei servizi, il secondo crea una competizione
“nel mercato”, mettendo i fornitori in concorrenza tra di loro e valutando
successivamente l’operato. La costituzione di un’azienda sociale permette di creare
relazioni che tendono sempre di più verso la collaborazione, se si consente al terzo
settore di non essere un mero fornitore (l’attuale tendenza). In ultimo, dopo aver
completato l’illustrazione del dibattito sulla dicotomia scambio-cooperazione
presentata ad inizio capitolo, si tenta di chiarire il significato del termine partnership,
che nella sua etimologia richiama il concetto “puro” di collaborazione, ma che di
volta in volta si presta a differenti interpretazioni.
4.2.1 L’esternalizzazione e i quasi-mercati
considerata in piena maturazione: il ricorso alle convenzioni, appalti, e altre modalità contrattuali non
vengono viste come l’unico modo di procedere per fronteggiare la domanda crescente, i costi dei
servizi, la delegittimazione del servizio pubblico, ma uno dei tanti possibili. Il ricorso al volontariato
è in forte crescita, poiché le associazioni si dimostrano sempre più professionalizzate e strutturate, in
grado di garantire servizi con alto grado di specializzazione a basso costo. La creazione di aziende
sociali in diversa forma (istituzione, azienda speciale, consorzio, S.r.l., S.p.A), è anch’essa in crescita,
per la capacità di svincolare l’amministrazione da logiche burocratiche, di separare gestione e politica,
di creare sinergie con gli altri attori del Welfare e di integrare gli interventi. L’accreditamento è, ad
oggi, la forma più dibattuta: mutuata dal settore sanitario e sperimentata rispetto ai servizi residenziali
per anziani dalla L. 328, è soggetta a difficoltà pratiche e di impostazione metodologica, cui si dirà in
seguito. Il ritorno alla gestione diretta, infine, sembra una strada percorsa, almeno a livello di studio,
da molte realtà.
491
Si è adottata quindi l’impostazione di Farneti, nell’approccio alla “privatizzazione” secondo il
criterio del mercato.
La modalità di riduzione dell’intervento pubblico maggiormente utilizzata nella
fornitura di servizi socio-assistenziali è l’esternalizzazione di servizi. Con questo
termine si intende la decentralizzazione di attività in base a formule contrattuali492 di
affidamento a terzi (pubblici o privati), attraverso meccanismi competitivi per la
produzione di servizi493.
Molto in generale, seguendo l’impostazione di Rebora e Meneguzzo, lo sviluppo
della formula contrattuale si esplica attraverso quattro “sottoformule”494; oggetto
della presente sezione è la formula del contracting-out.
S
Produzione
e fornitura
di servizi
Legenda:
S: Stato
C: consumatori
P: imprese private
C
P
S
Risorse
finanziarie
C
Delega di
fornitura
P
prestazione
Fornitura pubblica tradizionale
Contracting-out
Figura 4.2 c: schema di funzionamento della fornitura pubblica tradizionale e del contracting
out. (Fonte: G.P. Barbetta, p. 109)
492
Cfr. G. Rebora, M. Meneguzzo, 1990, op. cit., p. 153-155. Nel quadro definitorio del temine
“privatizzazione” proposto precedentemente, questa modalità può essere fatta rientrare nella
privatizzazione c.d. “funzionale”.
493
Cfr. G.P. Barbetta, 1996b, Sul contracting-out nei servizi sociali, in Borzaga C., Fiorentini G.,
Matacena A. (a cura di), Non-profit e Sistemi di Welfare: Il Contributo dell'Analisi Economica, NIS,
Roma, p. 106.
494
Le formule presentate dagli autori sono: (a) il contracting-out, nel quale l’interlocutore dell’istituto
pubblico è un organismo di tipo imprenditoriale pubblico o privato; (b) il contracting-in, che prevede
l’affidamento della progettazione o gestione dei servizi, e alcuni nuclei omogenei di attività ad altri
istituti pubblici, con modalità di compensazione anche non economiche, o di “scambio istituzionale”;
(c) franchising, ossia il contracting-out “classico” associato alla concessione o meno di una esclusiva
sul servizio; (d) la partnership, nella quale si realizza una joint-venture o comunque un processo di
cooperazione. Cfr. G. Rebora, M. Meneguzzo, 1990, op. cit., cap. V.
Il contracting-in non verrà ulteriormente approfondito poiché non coinvolge i soggetti privati ed in
particolare il non profit;anche il franchising non viene usato per il coinvolgimento del terzo settore ed
il concetto di partnership verrà analizzato dettagliatamente in un sottoparagrafo dedicato, poiché
merita particolari approfondimenti.
Nell’analisi del contracting-out, si è poi soventi distinguere tra contracting-out totale (affidamento
all’esterno di progettazione e gestione dei servizi e dei nuclei di attività) e parziale (limitato alla
gestione dei servizi, riservando all’istituto pubblico il ruolo di programmazione e progettazione
dell’intervento, e di verifica e monitoraggio dei risultati); tra contracting-out secondo logiche
tradizionali di scelta dei potenziali fornitori (attraverso cioè le tipologie di contratti previste dalla
normativa) o secondo una logica di gestione concorrenziale (competitive tendering, formula sviluppata
prevalentemente in UK, che prevede la valutazione obbligatoria delle offerte provenienti dall’interno
dell’ente pubblico ed elaborate direttamente da unità operative) dei potenziali fornitori.
Attraverso questi meccanismi, dunque, l’operatore pubblico conserva la titolarità del
servizio e si fa carico del suo finanziamento (pur restando salva la possibilità di
applicare o fare applicare prezzi a carico degli utenti), ma si libera dei compiti di
gestione diretta che vengono affidati ad altri soggetti495.
Secondo Barbetta496, il vantaggio di un simile modello di fornitura (il cui
meccanismo è rappresentato nella figura 4.2 c, in confronto al modello tradizionale
di fornitura diretta) deriverebbe dalla “competizione per il mercato”, che si avrebbe a
generare tra le imprese private interessate ad esercitare per conto della Pubblica
Amministrazione; proprio questa competizione dovrebbe far emergere il produttore
maggiormente efficiente, riducendo i costi della pubblica amministrazione; risulta da
sé che, affinché questo meccanismo manifesti i suoi effetti positivi, le modalità di
selezione del fornitore (di cui si dirà in seguito) devono rispettare determinate
caratteristiche.
I motivi cha stanno alla base della scelta di esternalizzare i servizi socio-assistenziali
possono ricondursi a diversi ordini di fenomeni: l’aumento della domanda di questi
servizi, la necessità di ridurre il peso finanziario dell’intervento pubblico in campo
sociale, la crisi di legittimazione dell’intervento pubblico497.
In teoria, il ricorso all’esternalizzazione consente, come detto, di ridurre il costo dei
servizi a parità di qualità, oppure ad un miglioramento della stessa498
495
Questa formula trovano generale applicazione in un’ampia gamma di servizi, dalla realizzazione di
infrastrutture pubbliche e gestione dei servizi a rete, allo svolgimento di attività produttive interne
(ristorazione, pulizia, logistica, manutenzione: in questi casi, infatti, la metodologia risulta
particolarmente idonea e funzionale); nel caso dei servizi socio-assistenziali si estende anche all’affido
di servizi “core” (nella forma parziale), come le prestazioni vere e proprie. Nei servizi alla persona,
che recentemente, ripetiamo, hanno visto la tendenza all’esternalizzazione, il decentramento della
fornitura è reso più complesso, rispetto ai servizi ausiliari a quelli istituzionali dell’ente, dalla
difficoltà di specificare con precisione le caratteristiche del bene/servizio da produrre; in questa
tipologia di servizi, infatti, assumono rilievo fondamentale le “relazioni” che si instaurano tra fornitore
ed utente del servizio. Rispetto alle tipologie di fornitori coinvolti le imprese for profit sono chiamate
nelle aree dei beni e dei servizi tecnici, mentre le aziende non profit hanno, per l’appunto, una
funzione assai più importante nei servizi alla persona (sanità ed assistenza).
496
Cfr. G.P. Barbetta, 1996 b, op. cit., pp. 108-110.
497
Una chiave di lettura di questi fenomeni può essere trovata in relazione alla più generale crisi del
Welfare State e alle soluzioni proposte, brevemente riassunte nel capitolo primo del presente lavoro.
498
Questo effetto si riconduce ad una molteplicità di motivi, tra loro interconnessi: il passaggio da un
monopolio pubblico di fornitura (inefficiente) ad una pluralità di fornitori in concorrenza (alla ricerca
di efficienza per competere); la possibilità di realizzare economie di scala da parte dei fornitori privati
(ad esempio, nelle aree di attività in cui vengono impiegati beni strumentali di costo rilevante; il
privato può suddividere il costo degli stessi tra gli utenti e gli enti pubblici finanziatori); la struttura
organizzativa delle imprese private e specialmente le ANP, come detto, tradizionalmente le principali
interessate a concorrere per l’affidamento, che impone attenzione ai costi e contemporaneamente alla
qualità; l’uso più flessibile della manodopera per l’impresa privata, sia con forme di lavoro flessibile
Rispetto a questi vantaggi, la diffusione di pratiche di affidamento di servizi sociali
ad aziende non profit (la tendenza attuale), non necessariamente diventa causa
automatica dell’innesco di meccanismi di risparmio nella spesa pubblica, di
innalzamento della qualità, ed efficienza499: secondo una parte rilevante della
letteratura economica in materia500, infatti, i risultati economici e produttivi di questo
meccanismo sono largamente influenzati dalla strutturazione del processo
contrattuale. La rilevanza del problema assurge, quindi, dalla considerazione delle
problematiche nelle relazioni contrattuali tra enti pubblici e non profit, in quanto, a
seguito della crescita quantitativa delle esperienze di affidamento e nel sostegno di
queste, non ha fatto da contrappeso la maturazione di un moderno sistema di
regolazione dei rapporti tra pubblico e privato501.
Lo strumento giuridico tradizionalmente “abbinato” al contracting-out è il contratto
di appalto, che, per la scelta del contraente, prevede l’indizione di una gara, con varie
modalità, procedure e vincoli, cui partecipano più imprese e, generalmente e
genericamente, vede vincitrice quella che offre le migliori condizioni economiche
per la fornitura502.
Nel nostro paese, tuttavia, la “delega” delle fornitura di servizi socio-assistenziali
avviene attraverso uno strumento particolare: la convenzione503.
(part-time, lavoro temporaneo, collaborazioni coordinate e continuative) che volontario (soprattutto
per le aziende non profit), prima fonte di soluzione contro di rigidità dei costi. Cfr. G.P. Barbetta,
1996 b, op. cit. e L. Fazzi, 1994, Affidamento dei servizi sociali ad agenzie non profit: problemi e
prospettive, in Economia Pubblica, n. 6; Cfr. R. De Hoog, 1993, Potenzialità e limiti del contractingout, in Ascoli U., Pasquinelli S. (a cura di), Il welfare mix. Stato sociale e terzo settore, Franco
Angeli, Milano.
499
Cfr. R. De Hoog, 1990, Competition, negotiation or cooperation. Three models for service
contracting, in Administration & society, n.44.
500
Cfr., ad esempio, N. Rosenbaum, 1981, Government funding and the voluntary sector: impacts
and options, in Journal of Voluntary Action Research, n. 10; P. Terrel e R. Kramer, 1984, Contracting
with nonprofits, in Public Welfare, n. 2 e per una sintesi dei vari contributi, cfr. L. Fazzi 1994, op. cit..
501
Cfr. P. Donati, 1993, Dove va il terzo settore, in Impresa Sociale, n. 10; L. Fazzi, 1993,
Convenzioni tra enti pubblici e servizi sociali senza fini di lucro: istruzioni per l'uso, in Animazione
Sociale, n. 4; G. Rossi, 1993, La legge sulla cooperazione sociale: problemi e prospettive, in Impresa
Sociale, n. 10; S. Pasquinelli, 1993, Stato sociale e terzo settore in Italia, in Stato e Mercato, n. 2.
502
L’appalto può vedere come committenti sia i privati che enti pubblici,ed è disciplinato dal Codice
Civile agli artt. 1665 e segg. ; quando il committente è un soggetto pubblico, invero, essa è in più
punti integrata o sostituita da una vasta e complessa legislazione speciale che interessa l’intero
svolgimento del rapporto, recentemente riformata con principi comunitari. La dottrina più recente
sottolinea anzi la sempre più spiccata autonomia dell’appalto pubblico e ne prospetta la
configurazione come autonomo tipo contrattuale. Cfr. G.F. Campobasso, 1999, Diritto Commerciale,
Vol. 3, Contratti, titoli di credito e procedure concorsuali, UTET, Torino, pp. 38 e segg.
503
L’istituto è stato introdotto dalla legge regionale della Lombardia n. 39/80 e consiste in una
modalità di accesso, per gli enti non profit, alla possibilità di stipulare convenzioni con le odierne Asl:
Questa può essere definita come un contratto instaurato tra l’Amministrazione
Pubblica ed un soggetto privato per la fornitura di un bene o di un servizio il cui
finanziamento viene garantito dalla Pubblica Amministrazione504. Queste operazioni
contrattuali di natura associativa, sin dagli anni ‘80505 venivano redatte sulla base di
una trattativa privata allo scopo di coinvolgere direttamente i fornitori privati
nell’identificazione e nel sostegno dei bisogni a cui gli apparati pubblici intendevano
dare risposta506.
Questo strumento è molto simile all’appalto, almeno per le finalità conseguite, ma se
ne distingue per diversi aspetti non secondari:
•
la flessibilità di “produzione” dei suddetti contratti rispetto all’evoluzione di
particolari forme di domanda sociale e l’assenza di meccanismi di selezione e
valutazione delle offerte (che incide sulla tempestività delle risposte al bisogno);
•
l’indeterminatezza
all’interno
della
quale
viene
presa
la
decisione
dell’affidamento507.
La direttiva CEE 92/50 del 18 giugno 1992, nel coordinare le procedure di
aggiudicazione degli appalti di pubblici servizi ha posto, come vedremo, limiti
l’idoneità al finanziamento veniva ottenuta dimostrando il possesso di requisiti superiori a quelli
richiesti per l’autorizzazione e dava diritto a poster stipulare le dette convenzioni attraverso
l’inserimento dei soggetti privati nella programmazione e organizzazione dei servizi delle Asl stesse.
Cfr. M. Ghidorzi, 2000, Autorizzazione al funzionamento, convenzionamento e accreditamento delle
RSA in Lombardia, in Ghidorzi M. (a cura di), Residenze Sanitarie Assistenziali, Franco Angeli,
Milano. Questo termine, inoltre, non ha una puntuale definizione nell’ambito dell’Ordinamento; ad
esso vengono dati diversi significati: contratto o accordo tra le parti (utilizzato in questa sede); atto
con cui la parti regolano i caratteri generali di futuri contratti; accordi tra enti locali, in via generica
come richiamati dall’art. 24 della L. 142/90; involucro contenente tutti gli elementi di una serie di atti
negoziali e/o provvedimenti con cui la P.A. regola con un privato il soddisfacimento di un proprio
interesse. Cfr. A. Battistella, 1998, Vademecum sull'utilizzo della convenzione tra enti pubblici e
soggetti privati in ambito socio assistenziale, in Prospettive Sociali e Sanitarie n.12-13, p. 9.
504
Cfr. G.P. Barbetta, 1996 b, op. cit., p. 128.
505
L’uso di questo strumento coincide con la fase di “esplosione” del non profit nella fornitura di
servizi e dell’affidamento da parte della P.A.; per contro, come detto, non è seguito un altrettanto
significativo sviluppo dei sistemi di regolazione, che realizzavano per lo più un sovvenzionamento di
attività temporanee, scarsamente strutturate e residuali rispetto all’intervento pubblico; si
instauravano, inoltre, relazioni “clientelari”, in forza del ridotto numero di aziende non profit
specializzate rispetto a determinati ambiti di intervento, che riduceva il fattore competitivo ad aspetto
non rilevante nell’affidamento. Cfr. A. Battistella, 1998, op. cit., p. 6; per un approfondimento sul
tema, cfr. C. Ranci, 1999, Oltre il Welfare State, Il Mulino, Bologna e U. Ascoli, 1999, Il welfare
futuro, Carocci, Roma.
506
Cfr. G.P. Barbetta, 1991, Sui rapporti tra Ente pubblico e imprese senza fine di lucro, in Impresa
Sociale, n. 2.
507
Cfr. L. Fazzi, 1994, op. cit., p. 274; secondo Battistella, inoltre, la scarsa precisione con cui gli enti
pubblici definivano la prestazioni da erogare riduceva la convenzione ad una “delega in bianco” per
abbassare il costo dei servizi senza garanzia di qualità, mancando ogni forma di controllo. Cfr. A.
Battistella, 1998, op. cit., p. 6.
molto precisi all’utilizzo della trattativa privata, rendendo obbligatorio, anche nel
campo dei servizi socio-assistenziali, l’uso della gara di appalto, introducendo
quindi modalità di contrattazione tra imprese pubbliche e non profit assai vicine alla
formula del contracting-out. E’ dunque utile, al fine ci tracciare prospettive e limiti
nell’uso efficace di questo strumento, confrontare le differenze tra le modalità di
convenzionamento, usato prevalentemente nel nostro Paese, e quelle di contractingout, così come utilizzato all’estero.
Il fondamentale problema che viene alla luce, secondo Battistella508, è una sorta di
“dipendenza culturale” degli enti pubblici rispetto al privato sociale: nel nostro
Paese risulta non infrequente la sperimentazione di nuovi servizi con affidamento ad
aziende non profit, con progressivo miglioramento della qualità dei servizi; in
questo caso, però, l’intervento pubblico risulta successivo e limitato al
finanziamento degli interventi, rendendosi invece necessaria, nel convenzionamento,
la continua collaborazione tra pubblico e privato per l’impostazione dei servizi,
collaborazione che in qualche modo contrasta con l’”asettica” formula del
contracting-out509.
Per avvicinare queste due formule, sono necessarie alcune condizioni di base:
(a) la pluralità di concorrenti;
(b) un utilizzo razionale del contracting-out;
(c) capacità di controllo510.
Rispetto alla prima esigenza, per raggiungere l’economicità, come detto, il
contracting-out si basa sui vantaggi della competizione tra fornitori potenziali; in
assenza di tale condizione si sostituirebbe un monopolio pubblico con uno privato.
Occorre quindi valutare la solidità del mercato, attraverso la verifica di tre
presupposti:
•
la sufficiente indipendenza dei concorrenti dall’ente pubblico, sia in termini
economici che gestionali511; in conseguenza di ciò:
508
Cfr. A. Battistella, 1998, op. cit., p. 7.
L’autore continua soffermandosi su due opposte esigenze della P.A.: la necessità di trasparenza ed
imparzialità nella scelta delle imprese cui affidare i servizi, e il bisogno di collaborazione con le
stesse, per cui è necessario delineare un “processo” di convenzionamento per avere trasparenza ed
efficacia (tipici del contracting-out) e supporto tecnico (tipico della collaborazione).
510
Cfr. A. Battistella, 1998, op. cit., pp. 6-9.
511
Questo significa che la commessa pubblica non dovrebbe rappresentare per l’azienda non profit
l’unica o la principale fonte di sussistenza, per evitare dominio o dipendenza dall’ente pubblico. Nel
509
•
l’incidenza della scelta delle procedure competitive, ossia le modalità di
pubblicizzazione ed informazione che garantiscano una pluralità di concorrenti,
affinché si conosca “l’intenzione” del soggetto pubblico e le caratteristiche del
servizio richiesto, al fine di una valutazione di convenienza a concorrere512;
•
l’incidenza della definizione delle condizioni economiche513.
L’utilizzo in modo corretto di questa tecnica, secondo punto, presuppone la
sufficiente competenza tecnica per poter definire l’esistenza ed i limiti dei criteri di
economicità nell’affidamento a terzi, rispetto alla gestione diretta. Sia il momento
della scelta dell’alternativa produzione diretta, che la comparazione delle diverse
offerte, pone la necessità di prestare attenzione non solo agli aspetti economici, ma
anche alla qualità del servizio. Per tale valutazione è necessaria la massima
trasparenza nella definizione delle caratteristiche del servizio e degli standard di
qualità richiesti .
L’ultima condizione, il controllo dell’affidatario del servizio, risulta centrale rispetto
al contracting-out, in assenza del quale si vanificherebbero tutti i vantaggi che tale
strumento può offrire. Tradizionalmente gli enti pubblici non hanno sviluppato
adeguate capacità di controllo sull’operato delle imprese erogatrici (in mancanza
delle predetta definizione di standard ed indicatori), privilegiando controlli
burocratico-formali, incapaci di cogliere la reale qualità del servizio.
Le difficoltà di corretta implementazione dello strumento della convenzione rendono
necessaria l’analisi delle modalità con cui avviene l’accordo tra le parti ed il
confronto con quelle “corrette”, che tengano conto dei vincoli culturali e di mercato
esistenti nella realtà italiana.
A questo fine è utile distinguere due significati del termine convenzione:
(a) in termini statici, riferiti al documento, appena trattati;
(b) in termini dinamici, riferibili al processo, come insieme di atti
funzionalmente collegati514, con cui il soggetto pubblico arriva ad affidare ad
un soggetto privato l’erogazione di un servizio socio-assistenziale.
campo di questi servizi, storicamente, però, la diffusa dipendenza del non profit dai soggetti pubblici è
comprovata, soprattutto dal punto di vista finanziario. Cfr. C. Ranci, 1999, op. cit., capp. 4 e 5.
512
La valutazione si baserà, quindi, sui costi in termini di giornate/lavoro per concorrere alla gara di
appalto; la trasparenza abbassa questi costi e permette una previsione di recupero di questi.
513
La richiesta di risparmi esageratamente elevati rispetto al costo potrebbe infatti escludere le
imprese private di minori dimensioni, che non hanno la “scala” adeguata per concorrere, e quelle che
perseguono la qualità, impossibilitate ad eseguire servizi a basso costo.
L’efficacia
e
l’efficienza
della
scelta
di
esternalizzazione
dipendono
fondamentalmente dal processo di convenzionamento, da quanto più questo si
avvicina al modello teorico del contracting-out.
Questo può essere schematizzato in due momenti fondamentali: la definizione delle
caratteristiche e specifiche tecniche del servizio (le cui problematiche sono state
appena analizzate) e la scelta del contraente, nella quale si manifestano i maggiori
problemi.
Il principale di questi è l’impossibilità di conoscere le reali possibilità di erogazione
di un servizio di qualità da parte dei soggetti offerenti, a causa di “asimmetrie
informative” che sono alla base di legami particolaristici e barriere all’ingresso di
altri fornitori515.
Gli strumenti a disposizione della P.A. per l’individuazione del soggetto contraente
fanno parte della procedura di appalto516, che si presenta in due distinte procedure
meccaniche di gara pubblica517:
(a) pubblico incanto, procedura aperta a tutti;
(b) licitazione privata, in cui si selezionano i concorrenti da ammettere alla gara.
Sono poi previste due procedure negoziali:
(a) l’appalto concorso, in cui si richiede alla rosa selezionata di candidati di
redigere un progetto di servizio sulle specifiche della P.A., con l’indicazione
dei prezzi per l’esecuzione ;
514
Cfr. V. Cerulli Irelli, 1999, Corso di diritto amministrativo, Giappichelli, Torino, p. 434.
I possibili fornitori godono di un vantaggio informativo per: (a) la natura intrinseca dei servizi
socio-assistenziali, per i quali, come detto, risulta difficoltoso stabilire requisiti relazionali oggettivi a
priori; (b) per la separazione tra acquirente-pagatore (la P.A.) e gli utenti (cfr. G.P. Barbetta, 1996 b,
op. cit.). In conseguenza di ciò si creano legami particolaristici e privilegi contrattuali con ANP già
collaboranti con l’Amministrazione, nel tentativo di minimizzare la perdita d’informazione; le stesse
ANP istaurano legami altamente relazionali e sviluppano elevata specializzazione, che fungono da
barriere all’ingresso per altre non profit. Per le problematiche relative a questa insufficienza di
mercato, inoltre, cfr. par. 1.4.
516
Questo si fonda su due presupposti: la definizione, da parte dell’ente pubblico delle caratteristiche
del bene o servizio da acquistare, con la redazione del relativo capitolato di appalto, e la volontà di
ottenere il bene/servizio al minor costo o alle condizioni economicamente più vantaggiose; obiettivo
principale è un’assegnazione trasparente, che dia ai fornitori le stesse opportunità di aggiudicazione.
Cfr. A. Battistella, 1998, op, cit..
517
Le procedure meccaniche consentono di giungere alla scelta del contraente senza interventi di
valutazione delle caratteristiche del bene o servizio offerto, ma solo sulla scorta del prezzo migliore,
ossia attraverso la comparazione dei prezzi offerti. Le altre procedure proposte, appalto concorso e
trattativa privata, al contrario, permettono la scelta del contraente attraverso la valutazione delle
caratteristiche del prodotto/servizio offerto e delle altre condizioni della prestazione, oltre che del
prezzo. Cfr. A. Spadaro, 1995, Le Forniture di Beni e Servizi nella Pubblica Amministrazione,
Maggioli, Rimini, p. 157.
515
(b) la trattativa privata, procedura negoziata, come più volte accennato, per
affidare le gestione a imprese di propria fiducia, con cui si definiscono i
termini del contratto.
Per i servizi di tipo “relazionale”, tuttavia, come detto in precedenza, si utilizzava
esclusivamente la trattativa privata; solo dopo il 1992 con la direttiva CEE 50/92
l’appalto è divenuto oggetto di particolare attenzione anche nell’ambito dei servizi
socio-assistenziali518.
Pubblico Incanto
Presupposti
possibilità di una chiara e
precisa definizione delle
caratteristiche del servizio da
acquistare
• il tipo di servizio può
rendere preminente il fattore
costo
•
Elementi positivi
trasparenza nell’operato
della P.A.
• contenimento dei costi del
servizio
•
Elementi negativi
procedura di
aggiudicazione poco adatta a
servizi con forte
connotazione relazionale
• mancato coinvolgimento
del partner privato nella fase
di identificazione del bisogno
e delle metodologie di
intervento
• procedura rigida, con
conseguente anelasticità del
soggetto privato
• possibilità di
comportamenti opportunistici
dell’aggiudicatario, non
coinvolto nei processi
decisionali
•
Licitazione Privata
Elementi positivi
Presupposti
•
possibilità di una chiara e
precisa definizione delle
caratteristiche del servizio da
acquistare
• esistenza di criteri
condivisi e trasparenti per
l’individuazione dei soggetti
da invitare a gara
518
•
trasparenza nell’operato
della P.A.
• contenimento dei costi del
servizio
• maggiori garanzie per la
P.A. sulla correttezza del
possibile vincitore
Elementi negativi
• procedura di
aggiudicazione poco
flessibile
• mancato coinvolgimento
del partner privato
• creazione di barriere
all’entrata di nuovi soggetti
• rinuncia alla
sperimentazione di
innovazioni dei non invitati
• possibilità di situazioni di
privilegio contrattuale
(continua)
Questa procedura, aspetto rilevante nel rapporto tra pubblico e non profit, non comporta nessun
coinvolgimento del fornitore nel processo che conduce alla identificazione del bisogno, degli obiettivi
e degli interventi, aspetto criticato da dalle aziende non profit, che tradizionalmente svolgono una
fondamentale opera di lettura dei bisogni e di innovazione dell’organizzazione dei servizi.
Appalto Concorso
•
Presupposti
presenza di servizi non
routinari, specialistici, in cui
la definizione delle modalità
organizzative e gestionali
presenti margini di
contrattualità
Elementi positivi
trasparenza nell’operato
della P.A.
• massima apertura
all’innovazione
• possibilità di scelta
dell’offerta economicamente
più vantaggiosa
•
Elementi negativi
procedura di
aggiudicazione più laboriosa
• rinuncia alla puntuale
definizione delle prestazioni
da parte degli operatori
pubblici
•
Trattativa privata
Elementi negativi
procedura di
aggiudicazione poco
trasparente e poco adatta a
mercati concorrenziali
• rinuncia a risparmi
derivanti dalla concorrenza tra
imprese
• creazione di barriere
all’entrata
• rinuncia all’innovazione
Figura 4.2 d: caratteristiche essenziali delle varie procedure di appalto. (Fonte: A. Battistella, 1998, p.
13)
•
Presupposti
che si rientri in uno dei
casi previsti ex art. 7 D.Lgs.
157/95, oppure per importi
inferiori a 200.000€
Elementi positivi
massima discrezionalità
della P.A.
• flessibilità dello strumento
contrattuale
• contenimento del rischio
da asimmetria informativa
•
•
Le difficoltà derivanti da asimmetrie informative dalla scarsa capacità progettuale di
servizi relazionali, in termini generali, possono essere alla base della scelta di una
procedura ristretta519, al fine di controllare a priori i possibili contraenti in base alla
“correttezza”, alla tendenza ad incrementare i propri margini di “guadagno” (anche
indiretto, abbassando la qualità), al fine di sfruttare il vantaggio informativo di cui
godono; oppure di utilizzare la discriminante “forma giuridica del fornitore”
invitando le imprese non profit, che, come detto nel capitolo secondo, godendo di
519
L’appalto concorso è lo strumento che permetta all’ente pubblico di coniugare le esigenze di
trasparenza delle procedure di selezione della controparte privata, con l’esigenza di un confronto con
gli operatori sociali sulle modalità più opportune ed innovative per la gestione del servizio affidato,
usufruendo del bagaglio di esperienze dell’aggiudicatario.
A seguito della legge n. 157 del 1995, di recepimento della direttiva CEE 50/92, la trattativa privata è
ammessa solo nei casi espressamente previsti, ossia laddove si tratti di piccoli importi e di prestazioni
di breve durata, che, se sottoposti a gara, darebbero luogo a lungaggini non commisurati al valore
della commessa. Lo stesso decreto fissa la soglia massima sotto la quale è legittimo operare in
procedure negoziate in 200.000 €. I casi più significativi di deroga (artt. 6-7) riguardano: (a) servizi
che per la loro particolare natura rendono impossibile stabilire precisamente le specifiche dell’appalto;
(b) servizi che per loro natura possono essere eseguiti solo da un particolare soggetto; (c) servizi di
impellente urgenza. Cfr. A. Battistella, 1998, op. cit. e A. Spadaro, 1995, op. cit..
vantaggio comparato rispetto alle imprese private for profit, risolvono più
efficacemente il rapporto fiduciario principale-agente.
Per un’analisi comparativa sintetica delle diverse procedure di scelta, rispetto alle
problematiche di affidamento proposte (caratteristiche del servizio, costi,
trasparenza, coinvolgimento delle ANP nelle fasi progettuali) si veda la figura 4.2 d.
Il rischio di usare lo stesso strumento contrattuale per servizi molto diversi tra di
loro520,
può
far
sfruttare
positivamente
la
flessibilità
del
processo
di
convenzionamento, adattando lo strumento di selezione ed il contenuto della
convenzione secondo la tipologia di servizio da esternalizzare521.
Tipologia di
servizio
Caratteristiche
operative
Contenuto
della convenzione
• Contenuto strutturato, per evitare
• Scarso livello di specializmargini di discrezionalità del
attività routinarie a
zazione del servizio;
soggetto privato;
carattere operativo
• Possibilità di individuare precisi
• Durata
sincronizzata
con
standard qualitativi ed organizzativi.
investimenti dei privati.
• Principale definizione degli
• Difficile o impossibile deter- obiettivi;
minare esattamente il contenuto della • Contenuto destrutturato per
servizi a forte
mantenere flessibilità organizzativa
prestazione;
specializzazione e a
• La qualità dipende dalla del privato;
carattere relazionale
professionalità degli operatori e dalla • Continuo controllo della qualità;
loro capacità relazionale.
• Breve durata ,con rinnovo legato
alla valutazione;
• Può contenere limitati parametri
di riferimento (attività e costi);
• Aspetti organizzativi e gestionali
servizi innovativi o
• Approssimativa definibilità a
emergenti dal continuo confronto
sperimentali
priori dell’oggetto del contratto.
pubblico-privato;
• Possibile ridefinizione in corso
d’opera di obiettivi e strategie.
Figura 4.2 e: relazioni tra tipologie di servizi e tipologie di convenzioni. (Elaborazione propria)
I servizi, a tal fine, si possono raggruppare in tre categorie:
(a) attività routinarie a carattere operativo522;
(b) servizi a forte specializzazione e a carattere relazionale523;
520
Questo deriva dall’imposizione dell’uso dell’appalto per importi superiori a 200.000 €, cui si
associa il corrispondente rischio di anteporre la trasparenza alle reali necessità dell’Ente.
521
Cfr. A. Battistella, 1998, op. cit., p. 12.
522
Si tratta di servizi con scarso livello di specializzazione (mensa, trasporti, pulizia), rispetto ai quali
è possibile prevedere precisi standard qualitativi.
(c) servizi innovativi o sperimentali524.
Per ognuno di questi tipi si può strutturare un’apposita convenzione atta a soddisfare
caratteristiche ed esigenze peculiari, come elencato nella figura 4.2 e.
D’influenza significativa sul rapporto pubblico - non profit525 sono i criteri di
aggiudicazione, recentemente ampliati dal D.Lgs. 157/95, aggiungendo il concetto
dell’offerta “economicamente più vantaggiosa” a quello originario di ”prezzo più
basso”. Questo significa che l’Amministrazione può assegnare l’appalto non al
concorrente che applica il massimo ribasso sul prezzo, bensì a quello che offre un
servizio qualitativamente preferibile, volendo coniugare risparmio e qualità526.
Lo stesso decreto, all’art. 23527, elenca una serie di elementi cui fare riferimento per
valutare l’economicità dell’offerta, su cui si esplica maggiormente l’autonomia
decisionale dell’ente pubblico, potendo assegnare a priori un peso specifico in ogni
criterio, secondo le situazioni. I criteri di uso più frequente risultano: il prezzo; il
radicamento territoriale; la natura imprenditoriale del soggetto privato; l’esperienza
maturata; la professionalità del personale; previsione di efficaci sistemi di
collegamento con l’amministrazione; possesso di strutture adeguate; capacità di
reperire ed utilizzare risorse dal volontariato528.
523
Per questi è difficile, se non addirittura impossibile, definire esattamente il contenuto della
prestazione; la qualità dipende dalla capacità professionale degli operatori, dalla capacità relazionale
ecc.
524
In questo caso l’ente pubblico non è in grado di definire l’oggetto del contratto, se non
approssimativamente.
525
I vincoli imposti alla P.A. nei processi di acquisto di beni e servizi, come detto nel paragrafo
precedente a proposito delle relazioni di scambio, influenzano in modo significativo le relazioni (nel
senso della dipendenza o dell’alterità) con le aziende non profit, poiché impongono anche ad esse
vincoli di comportamento al fine di accedere al mercato e ai finanziamenti.
526
Questo principio si adatta molto bene al caso dei servizi socio-assistenziali, il cui fine ultimo è
quello della soddisfazione del bisogno, non tendenti ad una logica strettamente legata al costo del
servizio.
527
Art. 23. - (Criteri di aggiudicazione): “1. Fatte salve le disposizioni legislative, regolamentari o
amministrative riguardanti la remunerazione di particolari servizi, gli appalti pubblici di servizi di cui
al presente decreto sono aggiudicati in base a uno dei seguenti criteri: a) unicamente al prezzo più
basso; b) a favore dell'offerta economicamente più vantaggiosa, valutabile in base ad elementi diversi,
variabili secondo il contratto in questione, quali, ad esempio, il merito tecnico, la qualità, le
caratteristiche estetiche e funzionali, il servizio successivo alla vendita, l'assistenza tecnica, il termine
di consegna o esecuzione, il prezzo. 2. Nel caso di aggiudicazione ai sensi del comma 1, lettera b), le
amministrazioni aggiudicatrici devono menzionare, nel capitolato d'oneri o nel bando di gara, i criteri
di aggiudicazione di cui si prevede l'applicazione, possibilmente nell'ordine decrescente
d'importanza.”
528
Pur non rappresentando l’unico e fondamentale criterio di scelta, il prezzo riveste rilevanza
essenziale, potendo avere un peso variabile tra il 20% ed il 30%; il secondo criterio, invece, tiene in
considerazione la necessità che il privato conosca la realtà territoriale in cui sarà chiamato a muoversi,
nonché la possibilità di organizzarsi come network e attivare il volontariato presente sul territorio. Il
Esposti sommariamente i caratteri delle procedure di selezione dei fornitori ed
assegnazione delle commesse, rilevanti al fine di far “coincidere” il processo di
convenzionamento con il modello teorico del contracting-out, emergono alcuni
aspetti critici nella relazione tra enti pubblici e aziende non profit in ambito socioassistenziale; l’analisi che segue non è esaustiva di tutte le problematiche, ma
riassume quelle che comportano maggiori difficoltà o che sono oggetto di dibattito,
nonchè riporta alcune soluzioni emerse in sede di discussione529.
Un primo e fondamentale problema è quello del criterio del prezzo più basso,
particolarmente sentito dal non profit, che risente della propensione dell’ente
pubblico ad appaltare servizi a prezzi fortemente competitivi, talvolta anche fuori
mercato, risultando una tecnica improduttiva o fortemente dannosa. Le soluzioni,
come detto, vertono su un più ampio ricorso al criterio dell’offerta economicamente
più vantaggiosa; sulla
limitazione del peso assegnato al prezzo nelle gare; sul
cambiamento delle abitudini e della mentalità dei funzionari addetti alla redazione
dei bandi (forse la sfida più difficile).
Un secondo nodo riguarda il problema delle asimmetrie informative e la difficoltà
per l’ente pubblico di conoscere adeguatamente la qualità dei servizi erogati dalle
aziende non profit. La soluzione proposta va nel senso di un maggiore collaborazione
di tutti i soggetti implicati nel processo di convenzionamento (enti pubblici, privati
for profit e non profit, esistendo per queste ultime anche una forte componente
motivazionale per legger il reale bisogno sociale), secondo due diverse direzioni: la
ricerca di nuove modalità di acquisizione delle informazioni sulla qualità dei servizi
erogati, coinvolgendo i destinatari finali, e il coinvolgimento in sede progettuale dei
criterio successivo è particolarmente rilevante per appalti dimensionalmente elevati o complessi, cui
viene connessa l’affidabilità del partner, sia finanziaria che organizzativa; riguardo al quarto, poi, la
direttiva Cee consiglia di valutare le esperienze maturate negli ultimi tre anni, la dimensione
economica di queste, le tipologie di servizi prestati ecc. diventando quindi fondamentale per le ANP
la predisposizione di efficienti sistemi di rendicontazione. La professionalità del personale viene
considerato uno dei requisiti più importanti, cui dare peso significativo; avendo l’Ente pubblico
numerose difficoltà nella valutazione ex ante, ed ex post, della qualità, potendo invece esprimere la
propria supervisione più su aspetti formali che sostanziali, risulta dunque essenziale un controllo a
priori sulla professionalità del personale impiegato. In merito ai sistemi di collegamento, questo
aspetto risulta importante per garantire la necessaria elasticità degli interventi. Rispetto all’uso del
volontariato si riconosce, infine, particolare valore ai soggetti privati con una maggiore
caratterizzazione solidaristica. Per le cooperative sociali di inserimento lavorativo per persone
svantaggiate (quelle di tipo B ex L. 381/91), poi, è possibile fare alcune distinzioni riguardo ai criteri
di aggiudicazione, dovendo considerare prevalentemente il numero di lavoratori svantaggiati e la
tipologia di operatori svantaggiati impiegati. Cfr. A. Battistella, 1998, op. cit., p. 15 e segg.
529
Cfr. A. Battistella, 1998, op. cit., p. 31 e segg.
soggetti cui verranno affidati i servizi, per concordare linee guida condivise in grado
di limitare comportamenti opportunistici530.
Altro problema è quello dei controlli, la cui difficoltà deriva, è stato ricordato più
volte, dalla complessità della quantificazione o qualificazione del prodotto, dovendo
considerare una grande quantità di variabili, non tutte accessibili da parte dell’ente
controllante. La modalità più efficace, ancora una volta, risulta essere la
collaborazione dei soggetti non profit, in un’opera di autovalutazione della qualità
del servizio offerto, per due ordini di motivi: questi mostrano particolare attenzione
agli aspetti qualitativi del proprio intervento; poi, l’autovalutazione del servizio,
operata in concerto con l’ente pubblico, può venire sviluppata in termini di
“certificazione” sulla qualità dei servizi prestati.
L’ultimo ordine di problemi riguarda la ricerca di nuovi sistemi di affidamento a
terzi dei servizi socio-assistenziali, in ragione del quale si introduce l’altro strumento
oggetto della presente sezione: i quasi-mercati531.
Con
il
termine
quasi-mercato
(o
meccanismo
tipo-mercato)
si
intende
l’organizzazione di un settore produttivo quale risulta da un intervento pubblico di
regolamentazione che, agendo soprattutto sulla struttura degli incentivi sottesi al
comportamento dei produttori e dei consumatori, intende ovviare alle inefficienze del
libero mercato (i fallimenti del mercato, vedi par. 1.1), minimizzando, nel contempo,
quelle connesse con l’intervento pubblico (fallimenti dello Stato, vedi sempre par.
1.1)532. Secondo Le Grand533, due sono le caratteristiche distintive dei quasi-mercati:
530
Uno dei problemi attualmente oggetto di dibattito riguarda il senso degli Albi dei fornitori, presso
cui le associazioni, le cooperative e le imprese private devono iscriversi per poter accedere alle
commesse pubbliche. La criticità è data dalla scarsa capacità dell’attuale sistema di gestione degli
Albi di selezionare i possibili concorrenti. L’iscrizione, secondo ricerche sul campo, solo
un’operazione burocratica, dispendiosa in termini di risorse, ma non in grado di garantire sulle
caratteristiche delle strutture iscritte. Cfr. A. Battistella, 1998, op. cit., p. 32.
531
I fondamentali elementi di deficit dei processi di esternalizzazione che si sono realizzati negli
ultimi anni in Italia sono da attribuirsi soprattutto all’insufficiente grado di efficienza dei sistemi di
finanziamento degli enti fornitori. In effetti, i sistemi di finanziamento esistenti, centrati sul principio
della trattativa privata all’inizio degli anni ’90 e sull’appalto successivamente, non sono riusciti a
promuovere un sistema realmente efficiente di finanziamento dei servizi. Cfr. L. Fazzi, 2000, La
riforma dell'assistenza in Italia e i quasi -mercati, in Economia Pubblica, n. 6, pp. 38-39.
532
Cfr. F. Balassone, 1994, Finanziamento e produzione dei servizi pubblici: il sistema dei quasi
mercati, in Economia Pubblica n. 6, p. 259. In questo senso, continua l’autore, il termine può essere
considerato un sinonimo di concorrenza amministrata, espressione coniata da Enthoven, per indicare
la sua proposta di organizzazione del settore sanitario; la locuzione “quasi-mercato” si deve, invece, a
Williamson, soprattutto in riferimento all’organizzazione interna di un’impresa. Cfr. A. Enthoven,
1988, Theory and practice of managed competition in health care finance, North Holland, Amsterdam
(a) l’abbandono, da parte dello Stato, del doppio ruolo di finanziatore e di produttore
di servizi, per passare ad una funzione di finanziatore-programmatore di questi, la
cui produzione viene affidata ad una pluralità di imprese o enti operanti in
competizione diretta;
(b) la destinazione delle risorse non ai soggetti produttori attraverso un processo di
intermediazione burocratica, ma direttamente agli utenti per mezzo di titoli validi
per l’acquisto o altre forme non monetarie di “espressione di gradimento” del
dato produttore.
Più nel dettaglio, seguendo l’impostazione di Enthoven534, le caratteristiche di una
struttura di quasi-mercato, che mira a costruire concorrenza tra erogatori di servizi,
possono essere così riassunte:
(a) ad ogni cittadino viene data la possibilità di scegliere tra diversi produttori
convenzionati (o agenzie convenzionate intermediarie tra utenti e produttori);
(b) lo Stato fornisce a ciascun cittadino un contributo a parziale copertura del
prezzo da questi pagato (variabile, il primo, secondo il reddito del cittadino);
(c) nel caso di prezzo variabile in funzione delle caratteristiche soggettive del
cliente, i cittadini possono essere raggruppati in classi di “consumo
potenziale” in modo da poter collegare i prezzi ed il contributo governativo
alla classe di ogni soggetto;
(d) i produttori/agenzie convenzionati debbono soddisfare la domanda di
qualunque cittadino e fornire un servizio conforme a standard minimi
prefissati dalla legge535.
e O. Williamson, 1975, Markets and Hierarchies: analysis and Antitrust implications, The Free Press,
New York.
533
Cfr. J. Le Grand, 1990, Quasi markets and social policy, in Studies in decentralization and quasimarkets, working paper n.1, SAUS Publications, Bristol.
534
Vedi note precedenti.
535
La possibilità di scelta tra più produttori mira ad introdurre un elemento di concorrenza che spinga
questi a soddisfare un adeguato rapporto qualità-prezzo. Non rimborsando interamente il prezzo, si
ottiene che la possibilità di scelta fornita agli utenti venga utilizzata tenendo conto anche del costo,
potendo così la concorrenza premiare quei produttori che, a parità di qualità, meglio riescono a
contenere i costi. L’introduzione di classi di consumo potenziale dovrebbe attenuare l’incentivo per i
produttore alla discriminazione degli utenti con minori consumi. L’omogeneità dei servizi offerti da
ogni produttore serve ad impedire che le segmentazioni del mercato conseguenti ad una eventuale
differenziazione del prodotto riducano la concorrenza.
Il quasi-mercato comporta il superamento del monopolio pubblico nei servizi e lo scavalcamento di
una concezione “paternalistica” dell’assistenza, che vede nel cittadino un soggetto costretto a fruire
passivamente dei servizi che non è in grado di selezionare liberamente, e che non può sostituire per
assenza di alternative. Si recupera così il ruolo del cittadini, non più utente (passivo), bensì cliente-
I limiti della teoria esposta si trovano, in estrema sintesi, nella difficoltà di misurare
la qualità di alcuni servizi; nell’eventuale incapacità di offrire una effettiva
possibilità di scelta agli utenti, come nel caso di mercati oligopolistici;
nell’inadeguatezza ad evitare fenomeni di selezione opportunistica degli utenti da
parte di produttori/agenzie; nella complessità del sistema, che potrebbe determinare
costi amministrativi molto elevati, per il controllo di qualità, della concorrenza e
delle caratteristiche del bene/servizio.
Partendo dal presupposto che il cittadino, cardine nel meccanismo tipo-mercato, non
è sempre in grado di scegliere i servizi di cui fruire536, l’assetto dei servizi, come
detto, deve essere regolato in
modo da evitare comportamenti
opportunistici.
esistono
due
conseguire
Al
concezioni
questo
scopo:
per
la
selezione degli enti erogatori che
offrono le migliori garanzie in
relazione alla soddisfazione del
consumatore,
e
S
riguardo
il
Risorse
voucher
finanziarie
Legenda:
S: Stato
C: consumatori
P: imprese private
Scelta fornitore
C
Pagamento con voucher
P
Prestazione
governo
efficiente ed efficace del sistema
nella riorganizzazione di funzioni
Figura 4.2 f: schema di funzionamento di voucher per
l'acquisto di servizi socio-assistenziali. (Fonte: G.P.
Barbetta, 1996, p. 111)
e responsabilità della P.A537.
L’implementazione dei mercati amministrati passa quindi attraverso l’uso di due
strumenti:
consumatore (attivo, con diritto di scelta). Oltre agli obiettivi di aumento della partecipazione dei
fruitori dei servizi, l’introduzione di meccanismi di concorrenza amministrata, nella riforma del
sistema socio-assistenziale, viene considerata come un fattore di razionalizzazione della spesa e di
stimolo della crescita e dell’occupazione. Cfr. F. Balassone, 1994, op. cit., p. 262.
536
Così come i soggetti vicini a questi, cui spesso, per causa di “forza maggiore”, viene delegata la
scelta: si pensi ai malati psichiatrici, oppure ai tossicodipendenti o gli handicappati e le loro famiglie.
537
Sotto il primo profilo, è già stato affermato che un quasi-mercato prevede un pluralismo di
erogatori di servizi, il cui rapporto con i clienti è caratterizzato da asimmetrie informative; secondo la
teoria del vantaggio comparato e per le caratteristiche proprie esposte nel secondo capitolo, le aziende
non profit risolverebbero questo rapporto principale-agente, meritando quindi l’attribuzione di
vantaggi competitivi. Rispetto al secondo profilo, invece, l’efficienza e l’efficacia del meccanismo
dipendono dall’assunzione di cruciali responsabilità dell’ente pubblico nell’esercizio della funzione
regolativa, a garanzia del cittadino compratore, relativamente agli strumenti, alle culture e alle
competenze per amministrare i programmi per i servizi di Welfare. Cfr. L. Fazzi, 2000, op. cit., pp. 44
e segg.
•
i voucher o titoli per l’acquisto, o buoni servizio;
•
i sistemi di accreditamento.
Attraverso un voucher, l’operatore pubblico distribuisce potere d’acquisto, sotto
forma di “buoni” per l’acquisto di beni e servizi, ai cittadini ritenuti idonei a ottenere
la prestazione, spendibili sul mercato per procurarsi i beni/servizi cui ha diritto,
secondo lo schema della fig. 4.2 f.
Il titolo per l’acquisto non impegna l’operatore pubblico in nessuna relazione
contrattuale con i fornitori terzi, ma lascia, come detto, libertà di scelta del fornitore
ritenuto maggiormente idoneo; quest’ultimo otterrà poi dal soggetto pubblico
responsabile della funzione il controvalore monetario del voucher538.
La proposta di introdurre i buoni servizio, secondo Fazzi539, prende corpo
dall’individuazione, come limitazione più cospicua alla creazione di un efficiente
sistema di Welfare mix, di un circolo vizioso collegato all’attuale sistema di
regolazione che parte dalla necessità, per le aziende non profit, di ottenere all’esterno
risorse tali da finanziare l’attività solidaristica e passa attraverso il controllo pubblico
dei flussi di risorse e la mediazione politica dei finanziamenti, per arrivare
all’alterazione dei fini originari delle agenzie solidaristiche. Con l’introduzione dei
voucher, al contrario, le ANP non si troverebbero più in condizione di dover
negoziare i flussi di risorse finanziarie per il funzionamento dell’attività, ottenendo
legittimazione ad operare proprio dai destinatari del servizio, assicurando il matching
tra domanda e offerta. Sempre secondo tale autore, però, l’introduzione di questo
meccanismo richiederebbe, per avere successo, l’esistenza di una serie talmente
articolata e complessa di presupposti operativi da rendere l’implementazione
alquanto difficoltosa540; l’uso dei voucher, conclude l’autore, potrebbe non essere
l’unico sistema per rendere il Welfare mix efficiente, efficace ed equo.
538
L’utilizzo di questo, anziché dell’equivalente in denaro, ha l’obiettivo di vincolare il beneficiario
ad un uso ben preciso dei fondi stanziati dall’operatore pubblico. Poiché tutti i beni e i servizi sono
ugualmente meritori agli occhi del contribuente e dell’operatore pubblico, quest’ultimo si premura di
impedire che il cittadino possa “barattare” il servizio ( di cui ha bisogno) con altri beni che possa
preferire (ma non “meritori”), operazione facilitata dal trasferimento monetario, e più difficoltosa nel
caso dei voucher. Cfr. G.P. Barbetta, 1996 b, op. cit., pp. 110-111.
539
Cfr. L. Fazzi, 1997, Il dilemma dei voucher nella scelta dei servizi sociali, in Rivista Trimestrale di
Scienza dell'Amministrazione, n. 3-4, p. 82.
540
Le argomentazioni in favore di tale malagevolezza vengono individuate nelle condizioni per
esercitare una scelta: (a) l’esistenza della pluralità di alternative che garantisca l’accesso a tutti; (b) la
consapevolezza dei risultati che il cittadino vuole raggiungere ed i mezzi a sua disposizione (non
sempre esistente, soprattutto nel caso di bisogni socio-assistenziali); (c) la disponibilità di
L’accreditamento, cui si è accennato poche pagine fa, è un istituto orientato a
regolare i rapporti tra una pubblica autorità ed alcuni soggetti privati541.
L’obiettivo di questo istituto viene quindi individuato nella regolazione dell’ingresso
nel mercato (sanitario e socio-assistenziale) dei soggetti che intendano erogare
prestazioni per conto dei soggetti pubblici, attivando un processo permanente di
promozione e miglioramento della qualità dei servizi sanitari e socio assistenziali542.
In termini generali esistono due tipi di accreditamento, con dei punti di contatto, ma
diversi e che non devono essere confusi543:
(a) l’accreditamento istituzionale;
(b) l’ accreditamento di eccellenza.
Il primo, cui fa riferimento la normativa italiana544, come detto, regola i rapporti tra il
soggetto pubblico alcuni soggetti privati, rispetto ai quali viene dichiarato il possesso
di requisiti di qualità ed il conseguente diritto ad erogare servizi a carico del SSN o
del Comune accreditante.
Il secondo, invece, consiste in un’attività di valutazione tra pari, sistematica e
periodica, a carattere volontario, gestita direttamente dai professionisti di un servizio,
mirata a mantenere viva la tensione degli operatori verso la qualità, attraverso un
continuo confronto e scambio di esperienze sul modo di operare545. La sua
informazioni, per valutare la possibilità di sfruttamento delle alternative e le differenze tra queste; (d)
la comparabilità delle informazioni; (e) le rigidità dei sistemi di accreditamento (di cui si dirà a
breve),che se eccessive, produrrebbero elevata standardizzazione, incompatibile con la soggettività del
bisogno sociale; (f) la valutazione della qualità dei servizi attraverso il semplice rapporto di
finanziamento, poiché non è sempre detto che l’individuo sia razionale e massimizzi sempre la sua
utilità, allocando efficientemente le risorse; (g) la presenza di barriere all’entrata degli erogatori, che
produrrebbe iniquità.
541
Definito “istituzionale”è stato introdotto in Italia per il settore sanitario a seguito della riforma del
1992, è stato poi proposto dalla legge quadro 328/00 per i servizi sociali e sperimentato per i servizi
residenziali per anziani. Cfr. A. Battistella, 2001 a, L'accreditamento istituzionale: una sfida difficile,
in Prospettive Sociali e Sanitarie n. 21, pp. 1 e segg. e A. Battistella, 2001 b, op. cit., pp. 5 e segg.
542
L’espressione riportata è nasce considerando il dettato del decreto 502/92 e quello della legge
328/00.
543
Cfr. A. Battistella, 2001 a, op. cit., pp. 1.
544
Secondo la definizione del D. Lgs. 502/92 è l’atto attraverso il quale, a conclusione di un
procedimento valutativo, le strutture autorizzate, pubbliche o private, e i professionisti che ne facciano
richiesta acquisiscono la status di soggetto idoneo a erogare prestazioni sanitarie e sociosanitarie per
conto del SSN.
545
Cfr. M.C. Setti Bassanini, 2000, L'accreditamento di eccellenza, in Ranci Ortigosa E. (a cura di),
La valutazione delle qualità nei servizi sanitari, Franco Angeli, Milano. Questo tipo di accreditamento,
di stampo anglosassone, inoltre, è stato sviluppato e utilizzato inizialmente negli Stati Uniti; si può
ritenere che quello istituzionale abbia preso l’avvio da questo, negandone alcuni requisiti
fondamentali ed assumendo quindi una veste del tutto diversa ed autonoma. Negli U.S.A., ad esempio,
la Joint Commission of Accreditation of Health care Organizations (JCAHO) riprende e sviluppa i
caratteristica fondamentale risiede nella finalizzazione ad un processo di
autovalutazione e automiglioramento della qualità; esso, a differenza del primo, non
ha funzione certificatoria del possesso di standard, non essendo quindi alternativo a
quello istituzionale, ma di stimolo al raggiungimento delle massime performance
possibili rispetto ad una data attività546.
Dall’analisi della normativa, emergono due valenze diverse dell’accreditamento
istituzionale547:
•
una “certificatoria”;
•
una “equiparatoria”.
Con il primo termine si fa riferimento al decreto 502/92 che, volendo superare il
precedente modello di finanziamento dei servizi erogati da terzi, ha introdotto un
sistema di valutazione delle strutture riferito al possesso di standard predefiniti. Il
provvedimento definisce l’accreditamento come una procedura obbligatoria per
accedere al mercato e si rifà all’esigenza di definire con precisione le caratteristiche
strutturale e organizzative dei soggetti erogatori, per poter offrire alla collettività
garanzie sull’effettiva qualità delle prestazioni erogate548.
contenuti propri della cultura della qualità. Si tratta di un ente non profit (privato, quindi) nel quale
sono coinvolte le società scientifiche e le strutture che gestiscono o erogano l’assistenza sanitaria (le
Health Maintenance Organizations (HMO), alcune università, società di certificazione, il Department
for Health and Human Services del Governo) sia per conto dei gruppi assicurativi che per il Governo.
L’obiettivo principale è rappresentato da essere uno strumento a disposizione degli erogatori per il
miglioramento della qualità delle attività sanitarie.Tale obiettivo viene perseguito attraverso
l’adesione ad un programma di accreditamento volontario che viene periodicamente aggiornato e
integrato (è il caso dei Performance Measurement Systems o degli indicatori) grazie al contributo
delle strutture cha aderiscono al programma. L’approccio all’accreditamento della JCAHO si fonda su
quattro pilastri: (1) l’adattabilità degli standard che si correlino in modo credibile con gli outcome
positivi per i paziente; (2) un gruppo di sistemi di misurazione evoluto e user-friendly con buon
rapporto costo/efficacia; (3)la capacità di valutare tutti i livelli di erogazione delle cure, dal più
semplice al più complesso; (4) il consenso sui migliori strumenti ed un effettivo coordinamento delle
attività di valutazione tra tutti i più grandi valutatori nei settori pubblico e privato. Cfr. A. Pagano, C.
Rossi, M. Zanetti, 2000, Qualità, accreditamento, certificazione, in CRISP (a cura di), I servizi di
pubblica utilità alla persona, Franco Angeli, Milano, p. 266; per un approfondimento sul tema, cfr. C.
Canali, 2001, Confronto tra modelli di accreditamento nell'esperienza statunitense, in Studi Zancan,
n. 5-6, pp. 188 e segg.
546
Per ulteriori approfondimenti, cfr. C. Favaretti, P. De Pieri, 2001, L'accreditamento dei servizi,
note terminologiche, in Studi Zancan, n. 5/6, p. 97 e segg.; L. Anfossi, 2001, Linee guida e condizioni
per l'accreditamento, in Studi Zancan, n. 5/6, pp. 97 e segg. e Agenzia per i servizi sanitari regionali,
2001, L'accreditamento, in Studi Zancan, n. 5/6, pp. 219 e segg.
547
Cfr. A. Battistella, 2001 a, op. cit., pp. 2 e segg.
548
Il decreto continua riferendosi alla qualità e alla quantità delle prestazioni da garantire ai cittadini,
assegnando alle Regioni la verifica dei requisisti minimi e la classificazione delle strutture erogatrici,
con particolare riguardo all’introduzione e utilizzazione di sistemi di sorveglianza, nonché di
strumenti e metodologie per la verifica della qualità dei servizi e delle prestazioni.
Di fatto, con questo sistema si “certifica” il possesso, in capo ad una determinata
struttura, di alcune caratteristiche che legittimano l’accesso a determinati
finanziamenti pubblici diversificati a seconda del livello di qualità raggiunto. Si
introduce, poi, il concetto di monitoraggio, con una verifica periodica del possesso
dei requisiti.
La valenza “equiparatoria” discende sempre dal decreto 502, che introduce anche la
logica secondo cui ai cittadini deve essere garantita l’equiparazione dei soggetti
pubblici e privati per l’erogazione dei servizi, assicurando loro, in tal modo, la
possibilità di scelta, volendo superare la mera valenza “certificatoria”, parificando i
soggetti erogatori e garantendo agli utenti la libera scelta549.
La legge quadro 328/00 sembra, peraltro, rinforzare questo aspetto competitivo
dell’accreditamento, laddove delinea, come detto, un mercato dei servizi erogati
tramite la corresponsione di buoni servizio liberamente spendibili dagli utenti solo
per i servizi accreditati. La differenza tra le due logiche non risiede in elementi
strutturali, ma nell’orientamento generale del sistema550.
Di fondamentale importanza sono i criteri generali per la determinazione dei requisiti
che le strutture accreditate dovranno possedere in più rispetto a quelle necessarie per
l’autorizzazione al funzionamento. Il D.P.R. 14 Gennaio 1997 individua quattro
finalità cui devono mirare i criteri551, che identificano elementi chiave del sistema:
549
C’è da precisare che questo aspetto è stato interpretato in maniera differenziata dalle normative
regionali: in alcune Regioni questo aspetto è stato preso poco in considerazione rispetto, ad esempio,
al sistema lombardo, cui ha prestato particolare attenzione. Cfr. A. Battistella, 2001 a, op. cit, p. 2.
550
Considerando unicamente la valenza certificatoria, l’effettivo riconoscimento della possibilità di
scelta in capo all’utente non assume particolare rilievo, essendo l’obiettivo quello di garantire il
raggiungimento di particolari livelli di qualità da parte degli erogatori e di esprimere un giudizio da
parte della P.A.. Assumendo come rilevante l’altra valenza, l’effettività del sistema rende necessaria
l’introduzione di strumenti per l’esercizio della facoltà di scelta, ossia l’introduzione di buoni servizio.
Cfr. A. Battistella, 2001 a, op. cit., p. 1-2.
551
Art. 2 - Definizione dei requisiti: “5. Nella determinazione dei requisiti ulteriori, le regioni si
attengono ai seguenti criteri generali, volti ad assicurare:a) che l'accreditamento della singola struttura
sia funzionale alle scelte di programmazione regionale, nell'ambito delle linee di programmazione
nazionale; b) che il regime di concorrenzialità tra strutture pubbliche e private sia finalizzato alla
qualità delle prestazioni sanitarie e si svolga secondo il criterio dell'eguaglianza di diritti e doveri delle
diverse strutture, quale presupposto per la libera scelta da parte dell'assistito; c) che sia rispettato il
livello quantitativo e qualitativo di dotazioni strumentali, tecnologiche e amministrative correlate alla
tipologia delle prestazioni erogabili, nonché alla classe di appartenenza della struttura; d) che le
strutture richiedenti presentino risultanza positiva rispetto al controllo di qualità anche con riferimento
agli indicatori di efficienza e di qualità dei servizi e delle prestazioni previsti dagli articoli 10, comma
3, e 14, comma 1 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni ed
integrazioni.”
•
i requisiti richiesti, per usufruire del finanziamento pubblico, devono
considerarsi di livello superiore rispetto a quelli della semplice autorizzazione al
funzionamento, che ne è, anzi, presupposto;
•
la parità tra soggetti pubblici e privati e la concorrenzialità tra questi basata sulla
qualità di garanzia verso l’utenza;
•
l’accreditamento, pur concedendo di erogare per conto del SSN, non legittima a
vendere servizi all’ente accreditante, in considerazione del fatto di prendere in
esame le scelte di programmazione regionale;
Prima dell’introduzione dell’accreditamento, il sistema di regolazione dei servizi
residenziali era basato sull’autorizzazione al funzionamento552, differendo da questa,
a detta di alcuni autori553, non per la semplice superiorità degli standard del primo,
ma nella previsione di continuità del controllo sulla sussistenza dei requisiti (e non il
controllo una tantum precedente). L’autorizzazione, come detto sopra, è il livello di
partenza per l’apertura al pubblico, mentre l’accreditamento definisce requisiti più
complessi e articolati, valutati periodicamente; limitandoci a considerare la sola
valenza certificativa di questo, però, i due istituti non si discostano nettamente.
L’accreditamento si differenzia anche dal convenzionamento, che, riepilogando
quanto detto in precedenza, è uno strumento presente da tempo nel nostro
ordinamento, impostato secondo una logica pubblicistica, con i privati chiamati a
fornire servizi per conto del soggetto pubblico, che li selezionava con strumenti tipici
del diritto amministrativo, in base al possesso di requisiti superiori rispetto a quelli di
semplice funzionamento.
Il confronto tra accreditamento e convenzionamento evidenzia come il primo
rappresenti una netta evoluzione del secondo in termini di implementazione di
logiche di valutazione più articolate, ma non per quanto riguarda le modalità di
regolazione del sistema di erogazione554. Questa innovazione comporta alcune
importanti conseguenze in termini di definizione dei criteri di qualità da assumere.
552
Questo è il provvedimento che accerta il possesso di requisiti minimi strutturali, tecnologici e
organizzativi richiesto per l’esercizio da parte di strutture pubbliche e private. Cfr. F. Dalla Mura,
2001, Autorizzazione ed accreditamento, in Studi Zancan, n.2, pp. 157 e segg.
553
Cfr. A. Battistella, 2001 a, op. cit., p. 3.
554
Analizzando i due istituti secondo la valenza certificatoria, non emergono particolari differenze; sul
piano di quella equiparatoria, invece, si evidenziano diversità più marcate, emergenti (1) dalla
uguaglianza tra pubblico e privato quale presupposto per la libera scelta, e (2) dalla funzionalità alle
scelte di programmazione regionale. Rispetto al primo profilo affiora il superamento della logica
La garanzia di elementi qualitativi pone, in capo all’ente un problema di
“certificazione”: la difficoltà è insita nella definizione di strumenti per misurare la
ACCRED. DI
ECCELLENZA
ACCRED.
ISTITUZIONALE
Tipo “puro”
Tipo “misto”
√
quote all’offerta
complessiva + libera
scelta tra questa
meccanismo
concorrenziale di
regolazione del mercato
logica pubblicistica di
regolazione del mercato
valenza equiparatoria
Tipo di
accreditamento
valenza certificatoria
Caratteristiche
possedute
autovalutazione e
automiglioramento della
qualità (tra privati)
stimolo al
raggiungimento delle
massime performance
attestazione (dal
pubblico) del possesso di
requisiti di qualità
diritto ad erogare servizi
a carico dell’ente
pubblico
qualità ed il trade-off tra contenimento dei costi e qualità.
√
√
√
√
alta
alta
√
alta
bassa
√
√
Tipo “ibrido”
alta
media
√
Figura 4.2 g: tabella riepilogativa delle caratteristiche dei sistemi di accreditamento. (Elaborazione
propria)
Considerando sia un modello “puro” (lasciando la regolazione del mercato all’utente
attraverso la libera scelta e i buoni servizio), che uno “misto” (mantenendo il potere
di regolazione ed acquistando sul mercato dei soggetti accreditati determinate quote
di servizi, impedendo la libertà di scelta e il funzionamento del mercato secondo le
pubblicistica, che mette in parità, ora, il soggetto accreditato con quello pubblico nell’erogazione di
servizi. Su questo piano si noterebbero però delle ambiguità del sistema di accreditamento.
Considerando il sistema di regolazione, l’ente pubblico può procedere a due tipi di accreditamento:
(a)l’accreditamento “puro”, lasciando la regolazione del mercato all’utente attraverso la libera scelta e
i buoni servizio, disinteressando rispetto all’esito della competizione; (b)l’accreditamento “misto”,
mantenendo il potere di regolazione ed acquistando sul mercato dei soggetti accreditati determinate
quote di servizi, impedendo la libertà di scelta e il funzionamento del mercato secondo le sue leggi.
Considerando il metodo “puro” (come quello voluto dalla L. 328/00), convenzionamento e
accreditamento sono totalmente differenti, mentre rispetto alla modalità “mista”, l’accreditamento
ripropone in modi diversi la logica del convenzionamento. Rispetto all’accreditamento in funzione
delle scelte di programmazione regionale, emergono rilevanti criticità e discordanze. Accreditare solo
quando è coerente con le possibilità di finanziamento del soggetto pubblico, tipico
dell’accreditamento “misto”, e con le scelte di politica sociale, è in contraddizione con la logica stessa
del sistema, basato ,giova ribadirlo, sulla parità tra erogatori in possesso dei requisiti, ma lo discosta
dal convenzionamento. Per converso, accreditare tutti i soggetti in possesso dei requisiti, per
differenziarsi dal convenzionamento, richiede la definizione di precise modalità di regolazione del
rapporto, al fine di quantificare la spesa e la quantità di servizi erogati, alcuni criteri trasparenti di
scelta oppure strumenti di classificazione degli erogatori per indirizzare l’utenza. Cfr. A Battistella,
2001a, op. cit., pp.4-5.
sue leggi)555, autori impegnati in studi sul campo556, propongono in modello “ibrido”
tra i due stremi, che controlli a monte l’offerta complessiva delle prestazioni con
quote, lasciando poi i singoli utenti indipendenti ad accedere alle strutture
liberamente scelte conseguendo gli obiettivi, prima ritenuti critici, di garanzia della
qualità, di tetti alla spesa, di filtrare gli accessi, di creare competizione tra erogatori.
La figura 4.2 g riassume le caratteristiche dei sistemi di accreditamento presentati.
Per esplicare le proprie qualità, il modello si dovrebbe però avvicinare il più
possibile ad un tipo “puro”, dovendo essere consapevoli che questo istituto, però,
comporta l’introduzione di un nuovo rapporto con l’utente, e nuove modalità di filtro
degli accessi, basate su un “accompagnamento” da parte di professionisti pubblici
per la definizione del bisogno ai servizi, e per la valutazione dell’appropriatezza delle
soluzioni prospettate.
L’introduzione di sistemi di accreditamento rappresenta dunque, per i servizi socioassistenziali, una sfida importante, sia per il cittadino, che per le aziende non profit e
quelle pubbliche. Alla luce delle problematiche esposte557, tuttavia, si avverte il
rischio che questi divengano una “bandiera di innovazione” che nasconde
tradizionali e superate modalità di acquisto dei servizi558.
La legge quadro 328/00 per i servizi sociali, come ripetuto più volte, innova
sostanzialmente la cornice delle forme di gestione di questi, nella logica di risposta
diretta dell’ente pubblico al bisogno del cittadino, organizzata secondo formule
innovative.
Per quanto riguarda l’esternalizzazione di servizi attraverso l’affidamento degli stessi
a soggetti privati, nelle intenzioni della legge soprattutto non profit, si prevede
proprio la formula del contracting-out, considerata di rilevanza tale da aver richiesto
uno specifico atto di indirizzo, emanato con D.p.c.m. del
555
30 marzo 2001559,
L’analisi di questi due modelli è proposta nella nota precedente.
Cfr. A. Battistella, 2001 a, op. cit., p. 6.
557
I temi maggiormente dibattuti in merito all’”importazione” dell’accreditamento nei servizi sociali,
riepilogando, riguardano: la definizione dell’effettivo vantaggio derivante dall’introduzione di servizi
accreditati, l’individuazione di un condiviso modello di accreditamento (stante la presenza di più
modelli concettualmente diversi), il rischio di aumento delle spese sociali, la necessità di introdurre
case manager che guidino il cittadino nella scelta dei servizi da acquistare, la criticità dei sistemi di
valutazione adeguati per l’accreditamento dei soggetti erogatori. Cfr. A. Battistella, 2001 a, op. cit..
558
Cfr. A. Battistella, 2001 b, op. cit., p. 6.
559
Art. 1 - Ruolo dei soggetti del Terzo Settore nella programmazione, progettazione e gestione dei
servizi alla persona: “1. Il presente provvedimento fornisce indirizzi per la regolazione dei rapporti tra
Comuni e loro forme associative con i soggetti del Terzo Settore ai fini dell'affidamento dei servizi
556
prevedendo esplicitamente come fine la regolazione dei rapporti di fornitura tra
Amministrazione e soggetti non profit.
Secondo tale normativa, sinteticamente (vedi fig. 4.2 h), le Regioni sono chiamate a
promuovere l’offerta ed il miglioramento della qualità dei servizi, favorendo
l’utilizzo di forme di valorizzazione delle capacità progettuali ed organizzative e la
co-progettazione560; si fissano i criteri di preselezione dei soggetti presso cui
STATO
Indirizzi
REGIONI
COMUNI
Preselezione
Valutazione sulla base di:
• INDICATORI PROFESSIONALI
• INDICATORI ORGANIZZATIVI
Aggiudicazione
Sulla base del criterio dell’OFFERTA
ECONOMICAMENTE PIU’
VANTAGGIOSA,tramite:
• Indicatori organizzativi
• Indicatori di processo
Figura 4.2 h:affidamento dei servizi sociali. (Fonte: P. Ferrario, 2002 b, p. 7)
acquistare o ai quali affidare i servizi, e quelli per l’aggiudicazione561; l’oggetto
dell’acquisto o dell’affidamento deve essere l’organizzazione complessiva del
servizio o della prestazione e non la mera fornitura di mano d’opera; infine si
previsti dalla legge n. 328 del 2000, nonché per la valorizzazione del loro ruolo nella attività di
programmazione e progettazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali.”
560
Questi consistono nella formazione, qualificazione ed esperienza professionale degli operatori,
esperienza organizzativa maturata nei settori operativi di riferimento.
561
L’aggiudicazione deve avvenire sulla base dell’offerta economicamente più vantaggiosa, tenendo
conto di indicatori organizzativi (contenimento del turnover, qualificazione organizzativa del lavoro,
applicazione dei contratti organizzativi) e di indicatori di processo (conoscenza del territorio); è
esclusa la possibilità di far riferimento al massimo ribasso.
favorisce la co-progettazione potendo indire i Comuni istruttorie pubbliche per la
progettazione di interventi innovativi e sperimentali in cui coinvolgere i soggetti non
Fissazione requisiti minimi strutturali ed organizzativi
STATO
Definizione dei criteri generali
REGIONE
Gestione dei processi
COMUNI
ACCREDITAMENTO
VIGILANZA
AUTORIZZA
ZIONE
(garanzia qual.
minima)
Offerta di servizi
accreditati
Offerta in
regime di
mercato
Feed-back
Offerta di
servizi in
gestione diretta
Offerta di
servizi in
appalto
Offerta sulla base di tariffe
riconosciute agli enti erogatori
da parte dei comuni
scelta
CITTADINI-UTENTI
scelta
Figura 4.2 i: effetto dell'accreditamento sociale sull'offerta complessiva di servizi. (Elaborazione
grafica su P. Ferrario, 2002b, p. 8)
profit.
Considerate le altre forme di gestione proposte dalla legge, secondo alcuni autori562,
queste non hanno eliminato la tradizionale esternalizzazione di servizi, rimanendo, il
contracting-out, la forma più significativa, seppur non la principale563.
Rispetto ad eventuali vincoli normativi, continuano gli autori,
la 328/00 non
introduce particolari innovazioni, evidenziandosi un “favore” per quelle modalità di
562
Cfr. A. Battistella, 2002 a, Contracting out e l.328/00, in Prospettive Sociali e Sanitarie n. 2.
Rispetto al problema di superamento delle gare di appalto, quale potrebbe derivare dal
cambiamento delle modalità di gestione, attraverso l’uso di buoni per l’acquisto e di un sistema di
accreditamento “puro”, e come si vedrà in seguito, un’aziendalizzazione “spinta” dei servizi alla
persona, viene escluso un superamento ope legis del contracting-out: le esperienze e le
sperimentazioni svolte, e quelle in corso, tentano anzi di trovare criteri e linee d’indirizzo più
efficienti per innalzare la qualità dei servizi e il perseguimento del principio di sussidiarietà563,
potendo considerare, oltre a ciò, lo stretto legame tra la capacità di fare “buoni appalti” e la possibilità
di gettare “buone basi” per un accreditamento degli erogatori, essendo operazioni metodologiche
molto simili.
563
gara che garantiscano la libera progettualità dei soggetti privati, come l’appalto
concorso, e ritenendo idonea, per i servizi routinari (vedi retro), la licitazione privata.
Per i criteri di valutazione, le Regioni sono chiamate alla stesura delle regole
regionali per l’affidamento564.
Sul versante della regolazione dei meccanismi tipo mercato, invece, la legge 328/00
non è particolarmente precisa nel fare riferimento ai “titoli per l’acquisto” di servizi,
tanto da ometterne una definizione giuridica; in assenza di tale definizione, le
Regioni hanno adottato nomi diversi, cui corrispondono definizioni diverse565.
Le definizioni generalmente adottate sono quelle di “assegno di cura” e “buono
servizio”
assegno
566
. Volendo semplificare al massimo, l’assegno di dura consiste in un
liberamente
spendibile
dall’utente,
finalizzato
a
riconoscere
economicamente l’attività di cura svolta dalla famiglia o dalla rete di solidarietà
sociale; il buono servizio è di fatto riconducibile ad un ticket spendibile solo per
l’acquisto di determinati servizi. I due strumenti, sembra evidente, non sono
equipollenti ed hanno un impatti differente sul sistema complessivo dei servizi
inibendo, nel primo caso, l’uso dei servizi sociali a vantaggio di interventi meno
professionali, e favorendo, nel secondo, la diversificazione dell’offerta e
l’innalzamento della qualità567.
564
Secondo gli stessi autori, questo potrebbe portare al rischio concreto di diversificazione Regionale
eccessiva, facendo venire meno quell’elemento di omogeneità previsto da una normativa quadro.
565
Cfr. P. Ferrario 2002 b, Dalla legge 328/00 a oggi, in Prospettive Sociali e Sanitarie, n. 6, p. 1.
566
Con il primo termine si intende una provvidenza economica a favore di un utente per casi in cui
l’assistenza possa essere prestata da un “caregiver” familiare, o appartenente a reti di solidarietà, quali
il vicinato o il volontariato, oppure da personale direttamente assunto dalla famiglia e dall’utente. Il
secondo termine, invece, indica una provvidenza economica a favore dell’utente utilizzabile solo per
l’acquisto di specifiche prestazioni erogate da “caregiver” professionali
567
L’introduzione di un sistema di buoni servizio rappresenta, secondo Ferrario (Cfr. P. Ferrario, 2002
b, op. cit., p. 6.), una possibile risposta alla necessità di snellire le procedure di erogazione dei servizi,
lasciando la contrattazione tra soggetto - cliente ed erogatore; in questo caso il mercato viene portato a
diversificare l’offerta, a cercare nuovi bisogni e ad innalzare la qualità. Si tratta di un sistema
complesso che trascina con se, come detto, l’intervento sui sistemi di accreditamento dei soggetti
erogatori. L’introduzione di un sistema basato sugli assegni di cura, invece, punta a riconoscere
l’impegno assistenziale di chi già oggi dà risposte al bisogno di assistenza di un congiunto, e a
impedire che la gravosità dell’impegno porti, nel tempo, alla richiesta di assistenza e cure
professionali. Sempre secondo l’autore, in questo caso si tende a contenere la rilevanza dei servizi
sociali, a favore di una libertà di scelta spesso più teorica che reale, in quanto le famiglie bisognose,
ribadiamo questo aspetto fondamentale del bisogno sociale, non sono in grado di giudicare le
competenze necessarie per individuare le cure e per utilizzare razionalmente le risorse monetarie.
La legge 328/00, all’art. 17, sembra peraltro fare riferimento al solo buono servizio, parlando di titoli
liberamente spendibili presso soggetti accreditati. Cfr. P. Ferrario, 2002 b, op. cit., p. 1. Per un
approfondimento sulle differenze tra i due strumenti, cfr. A. Battistella 2002 a, op. cit., pp. 1 e segg.
La legge di riforma, poi, ha voluto estendere anche ai servizi sociali il sistema di
accreditamento “sociale”; data la complessità di implementazione in quest’area di
servizi568, rispetto a quelli sanitari da cui deriva, viene posta la limitazione ai soli
servizi e strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale. La figura 4.2 i evidenzia
l’effetto che si intende ottenere attraverso questo strumento569.
In ultimo, volendo considerare congiuntamente gli strumenti di contracting-out e di
mercati amministrati, emergono due considerazioni in merito all’efficacia
dell’assetto disegnato (e dell’organizzazione pluralistica ed aperta al mercato) per i
servizi socio-assistenziali: una in positivo, che riguarda la possibilità di accesso dei
cittadini, che hanno a disposizione due percorsi: tramite un’attività di
accompagnamento simile a quella proposta nelle metodologie del case manager
(accesso, precisazione degli obiettivi, individuazione delle unità di offerta, verifica
dei progressi), oppure tramite l’accesso spontaneo all’unità di offerta attraverso l’uso
di titoli per l’acquisto, e una in negativo, ossia il rischio che in nome della possibilità
di scelta dei cittadini, e del ruolo sussidiario della famiglia, si apra una nuova forma
di “abbandono” degli utenti in situazione di bisogno, incapaci, spesso e per carenza
di informazione, di scegliere i percorsi di cura570.
4.2.2 L’azienda sociale
Sempre più Comuni, è utile ripetere il concetto, s’interrogano sulla forma
organizzativa ed istituzionale per la gestione dei servizi sociali, valutando l’ipotesi di
abbandonare la gestione diretta in economia per costituire un’azienda sociale.
568
E’ utile ricordare alcune variabili chiave: i comuni finanziano i servizi sia con fondi regionali, che
con quelli del proprio bilancio; la rete dei comuni (circa 8.100) è molto più estesa e frammentata
rispetto a quella delle Asl (circa 200); l’erogazione di servizi sociali è meno standardizzabile di quella
di servizi sanitaria; la spesa regionale consente maggiore copertura di eventuali “errori”, in termini di
costi, rispetto al bilancio del Comune. Cfr. P. Ferrario, 2002 b, op. cit., p. 8.
569
E’ possibile infatti individuare quattro aree operative coesistenti nell’offerta di servizi sociali:
servizi a gestione diretta dei Comuni; servizi gestiti tramite esternalizzazione in appalto; servizi
finanziati tramite accreditamento; autorizzazione per servizi sociali offerti dal mercato. Le
responsabilità istituzionali sono così suddivise: i Comuni devono gestire i processi di accreditamento,
autorizzazione e vigilanza e corrispondere ai soggetti accreditati le tariffe per le prestazioni erogate; le
Regioni definiscono i criteri per l’autorizzazione, l’accreditamento e la vigilanza; lo Stato fissa i
requisiti minimi strutturali ed organizzativi per l’autorizzazione. Cfr. P. Ferrario, 2002 b, op. cit., p. 8.
570
Cfr. sempre P. Ferrario, 2002 b, op. cit., p. 8.
Da questa scelta emergono importanti opportunità sia per gli Enti Locali, per un
miglioramento nella gestione dei servizi, che, per le aziende non profit, per un
maggiore coinvolgimento, riconoscimento ed intervento sui bisogni. Premesso che
nella costruzione dell’azienda sociale si devono necessariamente rispettare le
peculiarità della situazione locale (e qui sta la flessibilità dello strumento), è pur vero
che dalle scelte operate in merito alla realizzazione di tale agenzia (composizione dei
soci, forma, mezzi e strumenti) dipende l’efficacia del servizi resi e quindi il
perseguimento della mission istituzionale di entrambi i soggetti protagonisti del
presente lavoro.
Questo strumento, in effetti, consente la partecipazione di una pluralità di attori,
dimostrandosi efficace sintesi “operativa” dei principi del Welfare mix, e mezzo cui,
a patto di rispettare alcuni presupposti, come modalità efficaci di partecipazione del
non profit e degli altri soggetti coinvolti e degli strumenti per fare ciò, si può attuare
quella collaborazione indicata come fattore di successo per la realizzazione degli
obiettivi preposti.
Con il termine azienda sociale s’intende la creazione di un soggetto pubblico (o
misto) distinto dall’ente locale o dall’ente pubblico che la costituisce (ad esempio la
Asl), che hanno come finalità l’erogazione di servizi sociali e che presenta al suo
interno una forte componente economico-aziendale571. Il termine azienda, per
l’appunto, richiama i concetti di economicità e quindi di efficacia ed efficienza;
richiama il concetto di aziendalizzazione, prima discusso, senza risolversi
semplicemente in questo, ma come occasione di innovazione gestionale e di
introduzione (non automatica) di strumenti gestionali tipici del privato; non significa,
infine, dar vita ad imprese, nel senso di produzione e vendita di servizi sul mercato,
rimanendo il rapporto con il cittadino-cliente immutato.
Le esigenze alla base della scelta dell’azienda sociale vengono individuate in :
(a) trovare forme di collaborazione tra più Comuni, al fine di superare la scarsità
di risorse, soprattutto quando questi sono di piccole dimensioni;
(b) offrire risposte coordinate con l’Asl;
(c) coinvolgere maggiormente il Terzo Settore.
571
Cfr. R. Montanelli, C. Parente, 2000, La scelta della forma di gestione per i servizi sociali: i quesiti
strategici e le possibili soluzioni, in Longo F. (a cura di), Servizi sociali: assetti istituzionali e forme di
gestione, EGEA, Milano, pp. 25 e segg.
Dai rapporti con questi altri attori (altri Comuni, Asl, Terzo Settore) emerge
l’opportunità di costituire un’azienda sociale, potendo instaurare legami con questi
anche con strumenti alternativi (vedi fig. 4.2 l).
Per quanto riguarda i rapporti intercomunali, bisogna scegliere quanto e come
coinvolgere gli Enti Locali limitrofi. Questi possono essere soci, oppure clienti; è
altresì possibile coinvolgerli con forme meno strutturate quali accordi di programma
e protocolli d’intesa, oppure non coinvolgerli affatto.
Soggetti da
coinvolgere
Non collaborazione
Comuni limitrofi
Collaborazione
Netta separazione
Asl
Tipo di
coinvolgimento
Opzioni disponibili
Coordinamento
•
•
•
Soci
Clienti
Accordi di programma
•
•
•
•
•
Delega di servizi
Azienda mista
Rapporti contrattuali
Equipe di erogazione misti
Accordi di programma o
protocolli d’intesa
Non coinvolgimento
• Consultazione periodica
• Presenza nel CdA
Terzo settore
• Socio
Coinvolgimento
• Fornitore
Figura 4.2 l: rapporti tra Comune ed altri soggetti per la costituzione di azienda sociale e relativi
strumenti.(Elaborazione su Montanelli- Parente, 2000, pp. 30, 31,33)
Per quanto riguarda le Asl, il loro apporto varia a seconda del livello di integrazione
socio-sanitaria voluto; premessa la sconsigliabilità del non coinvolgimento, proprio
al fine dell’integrazione tra sociale e sanitario, la scelta è tra la netta separazione (di
responsabilità di gestione, di finanziamento ecc) ed il coordinamento, attraverso la
delega di servizi, semplici rapporti contrattuali, accordi di programma e protocolli
d’intesa, e la costituzione dei èquipe di erogazione mista.
Riguardo ai rapporti con le aziende non profit, anche qui, le opzioni sono due: il
coinvolgimento (che consentirebbe il passaggio di know-how, condivisione di
obiettivi, la creazione di un rapporto fiduciario) come interlocutore privilegiato nella
fase di programmazione, come socio (scegliendo secondo compatibilità di mission),
come membro del consiglio di amministrazione, come semplice fornitore ed infine,
sebbene l’azienda sociale rappresenti un’opportunità importante di partecipazione del
terzo settore, l’assenza di coinvolgimento.
Istituzione
Azienda
speciale
Natura
giuridica
Organismo
strumentale
dell’E.L.
Ente
strumentale
dell’E.L.
Ordinamento
Diritto
pubblico
Diritto
pubblico
Ente
strumentale
di più
EE.LL.
Diritto
pubblico
Personalità
giuridica
No
Si
Autonomia
Gestionale
Gestionale
Organ.va
Finanziaria
Organi
CdA;
Presidente;
Direttore;
CdA;
Presidente;
Direttore;
Funzionamento
Statuto E.L.
Capitale
sociale
Partecipazione
dei soci
Consorzio
S.r.l.
S.p.A.
Società di
capitali
Società di
capitali
Diritto
privato
Diritto
privato
Si
Si
Si
Statuto
proprio
Gestionale
Organ.va
Finanziaria
Assemblea
consortile;
CdA;
Presidente;
Direttore;
Statuto
proprio
Gestionale
Organ.va
Finanziaria
Assemblea
dei soci;
CdA;
(Collegio
Sindacale)
Statuto
proprio
Gestionale
Organ.va
Finanziaria
Assemblea
dei soci;
CdA;
Collegio
Sindacale
Statuto
proprio
-
-
-
10 000 €
100 000€
-
-
Quote
Quote
Azioni
Figura 4.2 m:Analisi comparata delle caratteristiche strutturali delle diverse forme giuridiche
dell'azienda sociale. (Fonte, F. Longo, 2000, p. 35)
Le forme giuridiche che l’azienda sociale può assumere sono ricollegabili a quelle
previste dalla L. 142/90, le quali comportano uno scorporo dei servizi dal Comune:
istituzione, azienda speciale, consorzio, S.r.l., S.p.A., le cui caratteristiche sono
raccolte nella figura 4.2 m.
In generale, la creazione di un’azienda sociale presenta il vantaggio di individuare e
riunire, in un unico centro di programmazione e di gestione, un ambito omogeneo di
interventi che altrimenti sarebbero frammentati nei vari settori dell’ente locale;
questo dovrebbe contribuire allo snellimento delle procedure, alla creazione di un
maggior senso di appartenenza del personale, semplificare i rapporti con gli utenti572.
Per contro, la maggiore criticità per l’ente locale è riconducibile alla perdita del
572
Cfr. A. Francesconi, 1994, La scelta dei modelli di gestione dei servizi, in Zangrandi A. (a cura di),
Autonomia ed economicità nelle aziende pubbliche, Giuffrè, Milano.
controllo diretto sull’attività ed alla necessità di sviluppare capacità di pianificazione
strategica ex ante e sul controllo dei risultati ex post.
Con riferimento ai vantaggi e limiti delle varie forme giuridiche, questi possono
essere sintetizzati come nella figura 4.2 n.
Azienda
speciale
Istituzione
Vantaggi
•
•
Autonomia
gestionale
rispetto
all’E.L.
•
•
Maggiore
flessibilità
organizzativa
e gestionale;
Proprio
statuto;
Applicabilità
del C.C. al
personale
Consorzio
•
•
•
Possibili
economie di
scala;
Figure
professionali
assenti
nell’E.L.;
Potere
contrattuale
vs. terzi
•
S.r.l.
•
•
•
Limiti
No proprio
•
• Lentezza
statuto;
funzionamento
• No separazione • Definizione
•
assemblea;
dello
statuto
tra politica(grado di
• Composizione
gestione;
•
flessibilità);
interessi
• No contratto di
presenti;
• No
servizio573;
multiproprietà
• No
•
• No
multiproprietà
multiproprietà
Figura 4.2 n: Vantaggi e limiti delle diverse forme giuridiche adottabili
(Elaborazione propria)
S.p.A.
Massima flessibilità
gestionale rispetto
E.L.;
Responsabilizzazion
e sui risultati;
Partecipazione del
pubblico al
risparmio (S.p.A.)
Acquisire
competenze tecniche
Acquisire risorse
finanziarie;
Sviluppare capacità
gestionali e
strategiche;
Resistenza al
cambiamento
per l'azienda sociale.
Merita inoltre una precisazione il tema dell’applicabilità delle diverse forme
giuridiche ai servizi sociali. Dal punto di vista normativo, infatti, i servizi pubblici
locali vengono distinti in servizi a rilevanza imprenditoriale (per i quali i costi di
produzione sono coperti dai ricavi derivanti dalla cessione dei servizi) e servizi privi
di tale rilevanza. I servizi sociali rientrano in questa seconda categoria, per cui è
espressamente prevista la sola forma dell’istituzione.
La dottrina, tuttavia, riconosce, seppur con qualche forzatura, l’applicabilità delle
forme del consorzio e della società a prevalente capitale pubblico574. Si ha però che
servizi che dal punto di vista giuridico appartengono a categorie diverse(industriali e
alla persona), possono essere ricondotti ad un’unica categoria dal punto di vista
economico aziendale, in quanto per questi valgono i medesimi meccanismi di
573
574
Questo esplicita i rapporti con la proprietà, i trasferimenti, i meccanismi di controllo.
Cfr. G. Sanviti, 1995, I modelli di gestione dei servizi pubblici locali, Il Mulino, Bologna.
finanziamento e di relazione tra proprietà e soggetto produttore, potendo quindi
applicare tutte le forme giuridiche previste575.
Con riferimento alle potenzialità di coinvolgimento diretto degli altri attori (altri
Comuni, Asl, aziende non profit), le varie forme giuridiche si atteggiano in modo
diverso, come riportato nella figura 4.2 o; di particolare rilevanza è l’inidoneità
dell’istituzione e dell’Azienda speciale al coinvolgimento societario dei soggetti
pubblici e privati del Welfare locale.
Istituzione
Azienda
speciale
Consorzio
S.r.l.
S.p.A.
Possibilità per
più comuni di
√
√
√
essere
proprietari
Comproprietà
√
√
√
della Asl
Possibilità
delle ANP di
√
√
essere socie
Figura 4.2 o: Potenzialità di coinvolgimento di più comuni, di Asl, di Anp come soci delle aziende
sociali. (Fonte: F. Longo, 2000, p. 41)
Come si vedrà in seguito nell’analisi del caso pratico, ma che ora è utile citare,
proprio l’esigenza di porre sintesi agli interessi dei vari stakeholder istituzionali
nell’organo di governo determina la scelta della forma giuridica576; per quanto
riguarda il non profit in qualità di socio, l’ipotesi viene raramente presa in
575
Abbandonando l’ottica giuridica, in favore di quella economico-aziendale, si può porre l’accento
sui reali meccanismi di funzionamento delle aziende e sulla loro capacità di consentire un efficace ed
efficiente organizzazione delle risorse per il raggiungimento delle finalità istituzionali, le conclusioni
si presentano allora differenti. Analizzando in quest’ottica i servizi imprenditoriali, infatti, si può
affermare che la copertura dei costi tramite la cessione dei servizi può essere raggiunta (e di fatto
questo avviene, si pensi al trasporto locale) anche quando è l’ente locale ad acquistarli, e non
necessariamente quando il servizio viene ceduto sul mercato. Ciò accadrebbe anche per i servizi
dell’azienda sociale, in quanto è il Comune, in qualità terzo pagante, che provvede al finanziamento,
potendo quindi applicare anche le altre forme (azienda speciale, consorzio, forme societarie).Cfr. A.
Garlatti, 1994, op. cit..
576
L’azienda per i servizi sociali di Bolzano, che ha scelto la veste dell’Istituzione, ad esempio, ha
operato tale scelta poiché la rappresentanza dei vari gruppi culturali che compongono il tessuto sociale
e che sono rappresentati all’interno degli organi istituzionali Comunali e Regionali avrebbe fatto
perdere la snellezza decisionale; nel contempo, sempre a fine della detta rappresentanza, serviva uno
stretto collegamento con il Comune; l’Azienda speciale per i Servizi alla Persona e alla Famiglia di
Mantova ha scelto tale forma poiché, forte di un know how gestionale adeguato, ha deciso di
“recidere” i legami con il Comune ed avere autonomia; la futura Società della Salute del Circondario
Empolese-Valdelsa, al contrario, avrà i caratteri del consorzio, per rappresentare gli oltre dieci comuni
fondatori e l’Asl, per un coordinamento unitario.
considerazione, come si vedrà in seguito,per motivi di governance complessiva del
sistema.
Rispetto alle esigenze di carattere gestionale, l’obiettivo principale insito nel
cambiamento della forma di gestione è il maggior grado di flessibilità gestionale e
snellezza decisionale. Tale obiettivo è tanto più raggiungibile quanto più la forma di
gestione consente di (vedi figura 4.2 p)577:
•
introdurre logiche e strumenti di management (controllo di gestione ecc.);
•
godere di forme di autonomia patrimoniale;
•
modificare il rapporto di lavoro dei dipendenti;
•
passare al diritto privato (con impatto sulle logiche di acquisto, di gestione del
personale, sulla contabilità).
introdurre
logiche e
strumenti di
management
godere di
forme di
autonomia
patrimoniale
modificare il
rapporto di
lavoro dei
dipendenti;
Dir. pubblico/
diritto privato
Istituzione
Azienda
speciale
Consorzio
S.r.l.
S.p.A.
•
••
••
•••
•••
√
√
√
√
√
√
√
√
Pubblico o
privato
Pubblico o
privato
privato
privato
pubblico
Quindi:
Flessibilità
gestionale
Figura 4.2 p: grado di flessibilità gestionale delle diverse forme di azienda sociale. (Fonte: F. Longo,
2000, p. 42)
•
••
••
•••
•••
La progettazione di un’azienda sociale risulta complessa ed aggravata nel caso dei
servizi socio-assistenziali per almeno i seguenti motivi578: la prevalente gratuità dei
577
Le linee di riforma delle forme di gestione previste nella L. 142/90, come detto nel par 3.2.3, vanno
nella direzione del superamento dei limiti delle attuali forme giuridiche: l’istituzione dovrebbe
assumere le connotazioni dell’azienda speciale e questa trasformarsi in S.p.A., conferendo maggiore
autonomia.
578
Cfr. F. Longo, 2000 a, La costituzione di un'azienda sociale: progettazione istituzionale,
meccanismi di finanziamento, assetti patrimoniali, in Longo F. (a cura di), Servizi sociali: assetti
istituzionali e forme di gestione, EGEA, Milano, pp. 45 e segg.
servizi, la funzione di terzo pagante del soggetto pubblico; la proprietà deve
conciliare autonomia aziendale ed indirizzo delle politiche sociali; l’assetto
proprietario dell’azienda gestisce servizi i cui clienti non sono necessariamente
istituzionali dell’azienda medesima579; la domanda sociale, di norma supera la
capacità di offerta pubblica: questo impone all’ente titolare della funzione di definire
e programmare le priorità sociali.
In funzione di queste problematiche, premettendo che la scelta della forma giuridica
non esaurisce e risolve le problematiche costitutive, si necessita la definizione di
molteplici elementi:
(a) la corporate governance;
(b) la natura giuridica580;
(c) le relazioni finanziarie e patrimoniali581;
(d) i contratti del personale582;
(e) la scelta del tipo di contabilità generale583;
(f) il percorso attuativo per la costituzione e la gestione del cambiamento.
Sul piano dei rapporti con il non profit rileva, in primo luogo, il primo ordine di
elementi concerne il rapporto tra proprietà ed azienda.
579
Ad esempio, un’azienda sociale partecipata paritariamente da due comuni potrebbe avere per
cliente l’Asl per almeno il 40 % del bilancio ed il restante 60% i due comuni.
580
La natura giuridica di diritto pubblico o privato influenza direttamente la natura dei contratti dei
dipendenti e le logiche di gestione del personale; le procedure di acquisto di beni e servizi, gli schemi
contabili, gli atti e la comunicazione d’azienda, i possibili strumenti finanziari. La reale natura
giuridica dipende spesso dall’orientamento dato dalla forma giuridica scelta (vedi fig. 4.2 5), non
determinando meccanicamente, tuttavia, l’approccio prevalente assunto, influenzato piuttosto dalla
cultura organizzativa esistente e dal livello di consenso nel processo di cambiamento, che legittima
l’introduzione di strumenti privatistici o pubblicistici (come la gestione del personale).
581
Le relazioni finanziarie e patrimoniali tra proprietà ed azienda sociale sono molteplici e complesse
ed intensamente correlate tra di loro. Possono essere raggruppate nelle seguenti logiche: il
finanziamento delle spese correnti (a carico dell’ente titolare della funzione e generalmente
proprietario, attraverso il trasferimento finanziario, oppure il rapporto acquirente-fornitore), la
capitalizzazione (la cui entità influisce sull’autonomia finanziaria di indebitamento) e la gestione di
immobili (come conferimento di capitale, oppure in locazione, con o senza l’onere di manutenzione
straordinaria, che influisce sull’erogazione dei servizi e sulla gestione) ed investimenti; le politiche di
cassa (in autonomia o in subordine alla proprietà, secondo tempi di pagamento e dalle disponibilità
della proprietà).
582
Le problematiche relative ai contratti del personale riguardano l’applicazione di quale contratto,
dovendo scegliere tra quello di provenienza o quello delle aziende sociali e sanitarie;
indipendentemente dalla scelta è necessaria l’introduzione di strumenti di gestione di tipo privatistico.
583
La scelta della contabilità ( tra economico-patrimoniale e finanziaria) corrisponde a riflessioni
strategiche e non solo tecnico-operative, influendo direttamente sull’autonomia (basata sulle
disponibilità patrimoniali) e sulla possibilità di autofinanziamento. Alla scelta, introduzione o
cambiamento, sono legate tre soluzioni organizzative possibili: l’internalizzazione di nuovi
professionisti esperti in contabilità; l’esternalizzazione a soggetti terzi; la consulenza.
Il problema della partecipazione democratica, allargata oltre i confini degli organi
istituzionali al fine di discussione e confronto sulle politiche sociali: i soggetti
portatori di interessi diffusi sono molteplici e la loro composizione necessita di una
pluralità di istituti di partecipazione, quali consulte-forum, tavoli di concertazione,
con funzione consultiva, a monte del processo decisionale degli organi elettivi.
Rispetto ad altre istanze che fanno capo alle relazioni con gli stakeholders (indirizzo
politico, governo aziendale della controllata, monitoraggio del soddisfacimento),
sono a disposizione vari strumenti alternativi tra loro: bilanci annuali e pluriennali
dell’ente proprietario, documenti di progettazione di servizi, piani programmatori e
progetti obiettivo; contratto di servizio, approvazione dei bilanci
e degli atti
fondamentali dell’azienda sociale, il controllo di gestione del gruppo (per il governo
aziendale); l’URP, il difensore civico e la carta dei servizi (per la customer
satisfaction).
Istanze
Partecipazione
allargata
Modello
“istituzionale”
Commissione consiliare
con terzo settore
Modello
“contrattuale”
Forum aperto al Terzo
settore e rappresentanti
degli utenti
Consiglio comunale:
esprime indirizzi per
politiche sociali
Azienda mista
Terzo settore e
volontariato tra i soci
Consiglio comunale:
definisce servizi da
delegare all’azienda
Contratto di servizio
Centralità delle nomine Centralità del contratto
vincolante;
Governo aziendale
fiduciarie
di servizio
Potenziamento ruolo
assemblea dei soci
URP comunale, per
URP aziendale
Forum aperto agli utenti
Feed-back utenti
verificare azienda
Figura 4.2 q: differenti disegni di corporate governance. (Fonte F. Longo, 2000, p. 52)
Indirizzo politico
Consiglio comunale:
programma attività e
approva il bilancio
Un disegno chiaro, coerente ed efficace della corporate governance, secondo
Longo584, deve rispettare i seguenti principi: ogni istanza deve essere rappresentata
prevalentemente in un preciso organo, evitando così ridondanza (il che significa
evitare che il non profit “compaia” innumerevoli volte - nel forum, nella proprietà,
tra i fornitori ecc.); equilibrio tra i poteri (istituzionali e di gestione, ricercato tra la
“voice” degli utenti , del Terzo settore e volontariato, il management e la proprietà);
584
Cfr. F. Longo, 2000 a, La costituzione di un'azienda sociale: progettazione istituzionale,
meccanismi di finanziamento, assetti patrimoniali, in Longo F. (a cura di), Servizi sociali: assetti
istituzionali e forme di gestione, EGEA, Milano, p. 49.
la prevalenza ineludibile di alcune funzioni. Lo stesso autore, senza pretesa di
esaustività, propone uno schema con diversi disegni di corporate governance (fig.
4.2 q).
La strada maggiormente intrapresa può essere assimilata al “modello contrattuale”,
come compromesso tra la centralità dell’ente locale nel governo e la partecipazione
degli altri soggetti, senza arrivare ad un’azienda mista.
In secondo luogo, invece, risulta di fondamentale importanza, anche per il corretto
funzionamento dell’azienda sociale, la scelta dei modelli organizzativi e dei sistemi
operativi585.
La costituzione di un’azienda sociale può essere una importante occasione per
ripensare la struttura organizzativa: sotto questo profilo è rilevante l’esigenza di
integrazione tra i soggetti attori dei servizi sociali. L’azienda nasce infatti come
strumento di integrazione orizzontale di enti eterogenei tra di loro (Comuni ed Asl) e
di integrazione istituzionale tra soggetti con titolarità distinte (ad esempio IPAB,
aziende non profit, oltre quelle già citate); per realizzare operativamente
tale
integrazione, è necessario, per l’appunto, un’attenta progettazione organizzativa e
soprattutto la scelta di accentrare o decentrare (ricorrendo spesso a servizi non profit)
la produzione di servizi secondo la dimensione del bacino di utenza.
La gestione delle complessità interne ed ambientali, inoltre, impone l’affinamento
dei principali sistemi operativi:
•
i sistemi di programmazione e controllo, necessari per pianificare e governare
l’attività delle diverse unità organizzative;
•
i sistemi di gestione del personale, per favorire la crescita professionale degli
operatori, i livelli motivazionali ed il senso di appartenenza aziendale;
•
i sistemi decisionali e la loro formalizzazione, che determinano la geografia di
distribuzione del potere infra-aziendale, incidendo significativamente sugli iter e
sui tempi di gestione;
•
i meccanismi di acquisizione dei fattori produttivi, soprattutto per beni e servizi,
storicamente punto debole degli enti pubblici.
585
Il disegno istituzionale, infatti, è condizione necessaria ma non sufficiente per raggiungere efficacia
ed efficienza nell’intervento di protezione sociale e sanitaria. Cfr. F. Longo, 2000 b, Il funzionamento
di un'azienda sociale: modelli organizzativi e sistemi operativi, in Longo F. (a cura di), Servizi sociali:
assetti istituzionali e forme di gestione, EGEA, Milano, p. 65.
All’interno di questi strumenti, collegando decentramento produttivo e meccanismi
di acquisizione che coinvolgono direttamente le aziende non profit (soprattutto le
autoproduttrici e le imprese sociali), e a fronte delle rilevanti quote di
esternalizzazione, toccando punte dell’80-90 % sul totale della spesa586, si collocano
due formule di particolare importanza:
(a) l’appalto all’esterno, di norma a cooperative sociali, per l’acquisizione dei
fattori produttivi (ad es. il personale) o di prestazioni ausiliarie all’attività
istituzionale (es. pulizie), o, tendenza recente, di servizi complessi;
(b) l’utilizzo di strutture accreditate o convenzionate (ad es. istituti per anziani,
comunità per minori ecc.) gestite spesso da realtà non profit, quali fondazioni,
associazioni ecc.
Le caratteristiche di questi strumenti sono state discusse precedentemente; occorre in
questa sede precisare che le relazioni di fornitura in questione si orientano sempre
più verso l’acquisto di prestazioni socio-sanitarie ed assistenziali complete, rispetto
al quale l’ente pubblico terzo pagante viene chiamato in parte attiva (con la
definizione del target, la selezione dell’utenza, la personalizzazione controllo e
riprogettazione del piano assistenziale). Per l’azienda sociale, quindi, le aziende non
profit che esercitano un a funzione produttiva di servizi rappresentano, in parole
povere, il “braccio operativo”, senza il quale sarebbe difficile rispettare i vincoli di
bilancio ed i contratti di servizio in merito alle prestazioni da erogare.
La regolazione del processo di acquisto-fornitura deve essere esplicitamente
disciplinata da accordi tra le parti mediante protocolli d’intesa, contratti di fornitura o
di conferimento di servizi. Nel caso di un’azienda sociale, infine, la funzione di
acquisto dei servizi/prestazioni può presentarsi distinta in due livelli: nel rapporto tra
gli enti terzi paganti (es. Comuni, Asl) e l’azienda stessa (verosimilmente quando
l’azienda è soprattutto un produttore, ossia una società operativa); nel rapporto tra
azienda e fornitori (ad es. cooperative sociali ed IPAB, verosimilmente quando
l’azienda è soprattutto un istituto di raccordo istituzionale, di programmazione e di
acquisto).
586
Cfr. F. Longo, 2000 b, Il funzionamento di un'azienda sociale: modelli organizzativi e sistemi
operativi, in Longo F. (a cura di), Servizi sociali: assetti istituzionali e forme di gestione, EGEA,
Milano, p. 77.
La costituzione di un’azienda sociale, per raccordare con quanto detto in apertura di
sezione, è un’opportunità per rinsaldare i legami tra PA e ANP, opportunità per
entrambi i soggetti, al fine di una maggiore efficacia istituzionale e soddisfazione dei
cittadini (e dell’interesse pubblico) e per una legittimazione “sul campo”.
Intraprendere questa esperienza è un’opzione crescente, con l’obiettivo guida, oltre ai
precedenti, di portare innovazione un’area di servizi di Welfare in cui gli interventi
erano finora scollegati e le responsabilità frammentate ed incerte. Le aziende non
profit giocano un ruolo cardine: portano capacità di lettura dei bisogni, progettualità
nella strutturazione dei servizi e nella programmazione e consenso della collettività.
4.2.3 La nuova tendenza: la partnership
Nella discussione dei temi precedenti si è fatto spesso ricorso al termine
“collaborazione” e alla “partnership” per definire il “tenore” di differenti situazioni;
sempre più spesso, poi, anche nelle sedi istituzionali si adottano questi termini come
nuovo orientamento della P.A. verso il non profit. La presente sezione cerca di
chiarirne il contenuto e l’applicazione.
Il tema della partnership tra enti pubblici e terzo settore sembra rivestire, oggi più
che mai, importanza nodale nelle politiche sociali e nei servizi socio-assistenziali,
stimolando riflessioni sia dal punto di vista teorico-concettuale, che da quello
strategico-operativo587.
Secondo Valotti, un fronte di grande rilievo strategico per il futuro dell’ente locale
viene attraverso lo “sviluppo di alleanze”. L’opzione strategica fondamentale in
questo senso, continua l’autore, è relativa alla scelta di un disegno di crescita e
consolidamento sostanzialmente autonomo ed indipendente, oppure fondato sulla
deliberata e sistematica ricerca di integrazione e cooperazione con altri soggetti588.
587
Cfr. G. De Robertis, 2002, La partnership possibile, in Prospettive Sociali e Sanitarie n.4, p. 1.
L’autore definisce le “alleanze” come un rapporto continuativo e duraturo, fondato sulla
condivisione di fini ed obiettivi, collegato a valutazioni di convenienza reciproca tra soggetti in gioco,
mirante a rafforzarne la posizione competitiva e a consolidarne i percorsi di sviluppo (cfr. G. Valotti,
2000, op. cit., pp. 111-117). Un’altra possibile definizione è formulata da R. Fiocca e S. Vicari (1987,
Le alleanze interaziendali per l'attuazione di strategie commerciali congiunte, in R. Fiocca (a cura di),
Imprese senza confini: sviluppo e nuove forme di alleanze fra aziende, Etas Libri, Milano, pp. 33-34),
che classificando i rapporti tra imprese secondo tre fondamentali categorie, relazioni, accordi, ed
alleanze, definiscono le prime come lo “scambio di qualcosa” pur mantenendo i contraenti la propria
588
Sul piano giuridico vengono proposte varie alternative e strumenti utilizzabili:
convenzioni, consorzi, unioni, accordi di programma, pur essendo il problema
normativo meno rilevante rispetto ai criteri sottostanti la scelta strategica.
alta
bassa
Stabilità organizzativa
Istituzionalizzazione delle
relazioni
Forme di collaborazione
Associazioni
Semplici 589
Istituti - aziende
di secondo livello 590
Accordi e
Consorzi 591
Associazioni
Complesse 592
bassa
alta
Complessità degli interessi perseguiti
Numerosità degli istituti di I° livello
Figura 4.2 r: classificazione delle forme di collaborazione. (Font: M.A. Massei, 1992, p. 229)
Come più volte ripetuto nel corso del presente lavoro, la P.A. e soprattutto gli Enti
Locali, nel normale operare, intrattengono rapporti di diversa natura con un quadro
assai articolato di soggetti. Le forme di collaborazione con questi, come detto in
identità, i secondi come tipologie di relazioni più strutturate e delimitate per oggetto, tempo e spazio e
le ultime come accordi con dimensione temporale maggiormente “importante” e duratura. Al fine di
una migliore comprensione di questi concetti, si faccia riferimento a quanto detto in apertura di
capitolo, in cui si sostiene che l’approccio “autosufficiente” all’ambiente non sia più sostenibile e che
le relazioni di collaborazione siano indispensabili per lo sviluppo dell’impresa.
589
In queste, gli interessi particolari vengono formalizzati in modo stabile, con una struttura
organizzativa semplice e processi coordinati per la rappresentanza di tali interessi. Stabili e durature,
hanno la finalità di rappresentanza politico-sindacale, di tutela, di fornitura di servizi senza porre in
essere attività economico-imprenditoriali.
590
Questi pongono in essere una propria ed autonoma attività economica coordinata e continuativa, al
fine di raggiungere finalità anche extraeconomiche, potendo essere delegate da parte della P.A. anche
dell’organizzazione e gestione di servizi pubblici. Hanno prevalentemente funzione di indirizzo delle
scelte (produttive, distributive, compositive di interessi ed etiche), di programmazione degli obiettivi e
di controllo sui processi e sugli obiettivi.
591
Questi vengono intesi come forme di mediazione tra interessi particolari, utili a perseguire un
interesse comune, al fine di dare risposte alla complessità di processi produttivi in termini di
differenziazione ed integrazione, e di cooperare nei mercati globali che richiedono competitività in più
aree. Per contro, risulta critica la gestione dell’informazione e la difficoltà di definizione delle
responsabilità specifiche di integrazione e coordinamento.
592
Si tratta di forme intermedie che mediano sia interessi particolari, che generali, in grado di
partecipare concretamente alla soluzione di problemi sociali ed economici del territorio in cui operano
e di fornire servizi agli associati; giocano un ruolo istituzionale nei confronti della P.A., con funzioni
di indirizzo e selezione degli interessi degli associati (accordi con EE.LL. ed imprese, servizi di
commercializzazione, finanziamento con istituti di credito, esperimento di procedure amministrative
ecc.; oppure con strumenti maggiormente innovativi, come la ricerca, le pubbliche relazioni, la
formazione, la comunicazione), nonché di consultazione con gli enti pubblici.
introduzione, vanno a creare “forme intermedie”593 di istituti, classificabili in quattro
tipologie (vedi figura 4.2 r), in funzione della complessità degli interessi tutelati,
della numerosità e diversità degli istituti di primo livello (famiglie, imprese for profit
e aziende non profit, P.A.) e della stabilità ed istituzionalizzazione delle relazioni tra
istituti coinvolti.
L’interazione con altri soggetti può essere poi letta come una particolare forma di
“cooperazione complementare”, ossia come una modalità cooperativa finalizzata ad
obiettivi di efficienza dinamica, che rende possibile l’accesso a nuove risorse e
conoscenze fondamentali per lo sviluppo dell’impresa e fra le sue parti, e non è
riconducibile, come detto, ad un semplice rapporto di scambio o negoziazione594.
Cavalieri595 parla quindi, senza distinzioni di carattere terminologico, di “accordi di
cooperazione”, come forme di relazione contrattuale, ma data la connotazione di
lungo periodo, questi rappresentano ben più di una semplice negoziazione. I partners
di un’alleanza, infatti, non sono entità anonime che operano su un mercato di tipo
walrasiano, essendo i loro rapporti caratterizzati da un’enfasi sulla relazionalità (più
che sulle transazioni), da una condizione di continua reciprocità degli impegni
assunti dalle parti, dalla presenza di accordi impliciti basati su specifiche
procedure596.
Le motivazioni che spingono le imprese a tali attività vengono identificate in:
(a) trasferimento di tecnologia tramite la circolazione delle informazioni;
(b) complementarità tecnologiche;
(c) creazione di economie di scala;
(d) compartecipazione al rischio.
I vantaggi, con specifico riferimento alla gestione dei servizi pubblici, sono
riconducibili ad un miglioramento della qualità dei servizi erogati, del grado di
soddisfazione degli utenti, la riduzione di alcune categorie di costi, un miglioramento
delle capacità organizzative e valorizzazione delle risorse umane, oltre che un
593
Cfr. M.A. Massei, 1992, op. cit., pp. 228 e segg.
Cfr. S. Vaccà, A. Zanfei, 1989, L'impresa globale come sistema aperto di rapporti di coalizione, in
Economia e Politica Industriale, n. 64, p. 12.
595
Cfr. E. Cavalieri, 1995, op. cit., pp. 408 e segg.
596
Le iniziative di cooperazione, continua l’autore, creano tipicamente valore mediante processi di
integrazione verticale (portando la “catena del valore” ad un risultato più competitivo) ed orizzontale
(unendo forze tra loro complementari).
594
generale innalzamento della capacità competitiva e dell’incisività dell’intervento597;
sul piano strettamente economico la ricerca dei vantaggi verte sul perseguimento,
come appena detto, non solo di economie di scala (legate alla dimensione), ma anche
di raggio d’azione (legate alla sinergia) e di transazione (correlate alla riduzione di
costi di gestione dell’interdipendenza)598.
Le forme contrattuali della cooperazione, con generale riferimento alle imprese,
possono essere classificate in base al grado di complessità contrattuale599, come nelle
figura 4.2 s.
Complessità
contrattuale
Forme degli accordi
Meccanismi di
tipo standard
Realizzazione di componenti o
progetti
Accordi di sviluppo
Forme di “equity” comportanti modificazioni sella struttura azionaria
Trascurabile
Bassa
Media
Elevata
Figura 4.2 s: Matrice forme/contenuti degli accordi interaziendali. (Fonte, E. Cavalieri, 1995, p.411)
E’ ormai unanimemente accettato, poi, che per il radicamento della realtà in cui
operano, le aziende non profit rappresentano uno degli attori privilegiati degli enti
locali nella collaborazione per la gestione dei servizi socio-assistenziali e socio-
597
Questi vantaggi assumono rilievo significativo per enti che si trovano a dover gestire una difficile
fase di transizione verso condizioni di maggiore competitività a fronte di evidenti carenze sul piano
strutturale, mentre si creano criticità per enti di piccole dimensioni, in cui c’è maggiore radicamento
storico e culturale delle istituzioni pubbliche locali, differenziazione socio-culturale ed economica
anche tra aree limitrofe, nonché la presenza di aree a bassa densità abitativa; eterogeneità delle
situazioni politiche, scarsa apertura all’esterno e logiche burocratiche. Cfr. G. Valotti, 2000, op. cit.,
p. 112.
598
Cfr. G. Airoldi, G. Brunetti, V. Coda, 1994, op. cit., pp. 380-385.
599
Cavalieri propone quattro forme: meccanismi di tipo standard, realizzazione di componenti o
progetti, accordi di sviluppo, forme di equity. Con meccanismi di tipo standard si intendono accordi
soggetti a bassa incertezza e a meccanismi di governo tipo standard, di breve orizzonte temporale; la
seconda forma prevede la realizzazione di un determinato compito a fronte di specifiche tecniche,
comportando investimenti specifici e problemi di free-riding; gli accordi di sviluppo prevedono ad
oggetto la valutazione di input materiali ed immateriali necessari per la realizzazione della nuova
attività e la necessità di predisporre una certa flessibilità contrattuale per far fronte a gap tra risultati
ed aspettative dei partner, come ai mutamenti ambientali; per forme di equity si intendono le
partecipazioni azionarie, minoritarie o paritetiche, o le joint ventures, che comportano la modifica
della struttura azionaria dei partner o una partecipazione congiunta nella nuova società. Cfr. E.
Cavalieri, 1995, op. cit., p. 411.
sanitari600, aprendo così un dibattito sul problema di quale funzione debba essergli
riconosciuta e di “quale partnership” (ossia, quali strumenti di realizzazione di
questa) debba costruirsi tra i due attori601. Lo sviluppo di questa modalità è ritenuta
una strategia centrale per la gestione e l’innovazione delle politiche sociali, in
aggiunta al lavoro a rete602.
Il concetto che di volta in volta il termine partnership esprime, tuttavia, appare non
sempre chiaro: prima di analizzare gli strumenti attraverso cui si realizza, quindi,
pare opportuno ricorrere a delle precisazioni.
Tale nozione, di stampo anglosassone, deriva, sul piano teorico-concettuale, dal
concetto di collaborazione, contrapposto o mitigante quello di scambio e
competizione, espressi in apertura di capitolo603.
La netta dicotomia competizione-collaborazione, applicata alla realtà, perde gran
parte dei confini, non potendo distinguere univocamente logiche competitive o
collaborative negli strumenti di uso comune.
Gli enti titolari di funzioni pubbliche, infatti, possono agire principalmente in due
modi, nel relazionarsi con i soggetti non profit604:
•
affidare lo svolgimento di servizi mediante convenzioni o altre forme
contrattuali (come esaminato nelle sezioni precedenti);
600
Cfr. A. Matacena, C. Travaglini, 1995, L'evoluzione della presenza del volontariato nelle imprese
cooperative sociali, in Lepri S. (a cura di), Il volontariato nelle cooperative sociali, Centro studi
CGM, Brescia, p. 78.
601
Cfr. A. Battistella, 2000, I problemi aperti dell'interazione pubblico - non profit, in Prospettive
Sociali e Sanitarie n. 15-16, p.2
602
Cfr. capitolo precedente.
603
Sembra quindi utile sintetizzare brevemente i contenuti di tali nozioni. La competizione si basa sul
meccanismo dello scambio monetario (prestazione contro prezzo) e sulle condizioni accessorie che
definiscono il prezzo, oppure la nascita di un credito. Questo meccanismo crea molteplici relazioni
con gli attori esterni (rapporti di fornitura, di prestito, di assicurazione), le cui dinamiche interrelate
influenzano l’economicità dell’azienda. Quando gli scambi diventano abbastanza omogenei per
frequenza e stabilità di comportamenti tra le aziende, si creano i mercati. La collaborazione,
considerata dalla dottrina economico-aziendale, come strumento di sopravvivenza per l’acquisizione
di capacità progettuali e gestionali, per contrastare le complessità ambientali, si basa sulla
condivisione di fini non contrapposti (come nella definizione del prezzo e delle condizioni della
transazione), seppur eterogenei, ma convergenti o addirittura comuni, e di competenze complementari,
cui si deve fornire l’esistenza di condizioni ambientali e la capacità relazionale che la consolidino.
Le relazioni di cooperazione, poi, possono mitigare gli effetti deleteri della competizione, dando vita a
ad un approccio di “competizione collaborativa”.
604
Cfr. G. Rebora, 1997, Le organizzazioni non profit, in Rebora G., Lazzarotti V., De Mattè C. (a
cura di), Letture e casi di economia aziendale: aa. 1997-1998, A. Guerini, Milano, pp. 214-215.
•
porre in atto condizioni che facilitino la formazione e diffusione di tali aziende e
ne consentano la partecipazione attiva ai processi di elaborazione delle politiche
pubbliche, collaborando con i centri di gestione dei servizi.
Secondo la dicotomia sopra esposta, il primo punto sarebbe da ascrivere alla logica
competitiva, mentre il secondo a quella collaborativa.
Nella realtà, queste due modalità si possono sintetizzare in un passaggio da una
competizione tra soggetti ad una competizione tra programmi e progetti integrati di
intervento, in cui il compito principale del soggetto pubblico (in particolare Stato e
Regione), anche alla luce della legge di riforma dei servizi sociali, è quello di
definire i ruoli e le risorse e assicurare sussidiarietà orizzontale (tra i programmi) e
verticale (tra livelli di governo), mentre quello dei soggetti erogatori (Comuni, ma
sempre in misura crescente, soggetti non profit affidatari) è quello di collaborare
attraverso un rapporto di partnership.
Possiamo assumere una definizione di partnership, in modo chiaro, seppur non
esaustivo, come una modalità di rapporto significativo e rilevante tra due o più
soggetti in vista di una finalità comune605, rapporto che riesca a generare sviluppo. Il
concetto è centrato su una dimensione relazionale e progettuale606, superando la
logica di supremazia del pubblico sul privato, entrando in una logica di concertazione
tra pari607.
Se sul piano teorico-concettuale si può, con qualche sforzo, tentare di definire il
contenuto di questo tipo di rapporto, sul piano strategico-operativo la definizione
degli strumenti di attuazione di questo incontra maggiori difficoltà.
Valotti608 propone tre distinte alternative per lo sviluppo di forme di cooperazione
negli Enti Locali:
(a) la soluzione “istituzionale”, ossia fusione ed accorpamento di enti pubblici;
605
Cfr. M. Finizio, 1998, La partnership tra cooperative sociali e pubblica amministrazione: quali
concetti e quali ruoli, in Impresa Sociale, n. 39, pp. 29-30.
606
I rapporti tra partner si fonderebbero sull’azione orizzontale, sulla cultura comune, la condivisione
di valori ed obiettivi, come co-progettazione fondata sulla percezione delle diversità. Cfr. C.
Giordano, M. Misino, 1998, Gestione manageriale e sviluppo per progetti, Liguori, Napoli, p. 241.
607
Cfr. M. Merana, 1997, Garanzie reciproche tra terzo settore ed enti locali, in Animazione Sociale,
n. 12, p. 64.
608
Cfr. G. Valotti, 2000, op. cit., p.114.
(b) la soluzione “contrattuale”, con accordi, convenzioni, programmazione
congiunta e negoziata (patti territoriali; contratti di area, accordi e contratti di
programma), attraverso cui si possono coinvolgere altri soggetti privati;
(c) la soluzione “mista”, ottenuta combinando strumenti di natura istituzionale e
contrattuale, con eventuale creazione di organismo sovracomunali ad hoc,
come accade per le aziende sociali.
Queste forme, fatta eccezione al punto (a), sono alla base del coinvolgimento delle
aziende non profit nella fornitura di servizi.
Come detto in apertura di capitolo, le difficoltà nel definire il contenuto del termine
partnership derivano dall’impossibilità di elencare esaustivamente tutte le modalità
di collaborazione, essendo questa fattispecie aperta; in aggiunta, nel linguaggio
comune si tende ad associare il termine partnership a qualsiasi forma di
coinvolgimento di soggetti terzi da parte della P.A., dall’esternalizzazione di servizi
accessori alla gestione caratteristica, fino alla costituzione di società miste609.
Gli strumenti cui si fa più spesso riferimento, sinteticamente, sono: contratti di
affidamento, concessioni e appalti d’opera; convenzioni e appalti di servizi; S.p.A.
miste e consorzi; strumenti di programmazione negoziata610:
accordi di
programma611 ecc.
Scopo della presente sezione è di chiarire, consci delle approssimazioni necessarie e
delle difficoltà concettuali, quali di questi strumenti possano conseguire gli obiettivi
propri di questa modalità e che quindi vengono usati in senso proprio, e quali no, e in
questo caso, quale sarebbe il concetto più vicino, secondo la definizione di
partnership esposta, riassumibile in due caratteristiche essenziali:
609
Queste considerazioni nascono in conseguenza dei temi trattati nel convegno “Partnership
pubblico-privato per i servizi alle amministrazioni”, tenutosi il 9 Maggio 2003 al Forum P.A., i cui
atti sono in via di trascrizione. Nel convegno, sotto la stessa dizione di partnership, si sono toccati gli
argomenti dei modelli contrattuali di appalto d’opera, di outsourcing di servizi di supporto, di global
service, di scelta del socio privato nelle S.p.A. miste, di esternalizzazione di attività “core”, di
riorganizzazione aziendale a rete degli enti locali.
610
Con questo termine si intende una serie di strumenti che perseguono forme di cooperazione tra
istituzioni pubbliche di diverso livello e tra istituzioni pubbliche e soggetti privati, secondo prassi
concertative tra le parti sociali ed economiche, con approccio bottom up, mediante il quale il livello
locale disegna l’intervento e ne chiede il sostegno all’amministrazione pubblica competente al
finanziamento. Cfr. C. Cuccurullo, 1999, Innovazione e sviluppo locale: prospettive dall'esperienza
italiana, in Meneguzzo M. (a cura di), Managerialità, innovazione e governance. La PA verso il 2000,
Aracne, Roma, p. 265 e segg.
611
E’ questo lo strumento contrattuale attraverso cui vengono adottati i piani sociali di zona ex L.
328/00 (redatti congiuntamente con gli attori non profit) e i piani per l’infanzia ex L. 285/97.
•
finalità comuni e logica progettuale per sviluppo comune;
•
concertazione paritaria tra gli attori.
Non volendo entrare troppo nello specifico dei singoli strumenti, per non far perdere
lo scopo dell’analisi, si propone la figura 4.2 t612, che, a seconda dello strumento
giuridico tenta di accostare una definizione teorico-concettuale e ricondurla ai due
paradigmi dello scambio e della collaborazione.
partnership
partnership
S.p.A. e
Consorzi
misti
esternalizza
zione
Program.ne
negoziata e
Accordi di
programma
esternalizza
zione
Contratti
Convenzione e
Appalti d’opera
Appalto di
Concessioni
servizi
esternalizza
zione
Definizione
teoricoconcettuale
Gestione
in
economia
Produzione
diretta
Strumenti
giuridici
No
No
No
Si
Si
Si
No
No
No* 613
No
Si
Si
finalità comuni e
logica
progettuale
di sviluppo comune;
concertazione
paritaria tra gli
attori
Definizione
dottrinale di
scambio
scambio
collaborazione collaborazione
scambio/collab
orazione
Uso comune del
partnership
partnership
partnership
partnership
termine
Figura 4.2 t: quadro d'insieme delle diverse accezioni di partnership. (Elaborazione propria)
L’effettiva valutazione di convenienza in merito allo sviluppo di forme di
cooperazione, secondo alcuni autori, infine, non può prescindere dalla combinazione
di diversi criteri: di ordine strategico, come più volte ripetuto (coerenza tra disegno
di medio-lungo termine ed evoluzione del ruolo e funzioni dell’ente); di ordine
economico (riduzione dei costi nel breve e equilibrio economico-finanziario nel
medio-lungo termine); di ordina politico-sociale (mantenimento della capacità di
612
Occorre precisare che lo strumento della gestione in economia viene proposto solo come termine di
paragone, non rientrando, ovviamente affatto nel concetto di partnership.
613
Sulla base delle analisi contenute nelle sezioni precedenti, si individuano alcuni “spiragli” per una
embrionale collaborazione tra pubblico e non profit. Questa riguarda la potenzialità degli strumenti
dell’appalto concorso e, nei casi di servizi innovativi e altamente specializzati, della convenzione, che
possono coinvolgere maggiormente le ANP nelle fasi progettuali.
tutela degli interessi); di impatto sull’offerta di servizi (maggiori prestazioni o di
maggiore qualità) e di ordine organizzativo (creazione di opportunità professionale
ed ambiti di lavoro più qualificanti per i dipendenti)614, ma soprattutto dalla ricerca
di elementi innovativi di gestione e dalle capacità progettuali e realizzative tipiche
del non profit.
4.3 Prime conclusioni: i problemi aperti dell’interazione pubblico-non profit
Il dibattito sul significato del ricorso ai soggetti non profit di tipo produttivo per
l’erogazione di servizi socio-assistenziali e socio-sanitari è stato incentrato
prevalentemente su due temi: quale ruolo questi soggetti debbano assumere nella
realizzazione delle politiche sociali, e con quali strumenti e procedure si possa
garantire la qualità dei servizi esternalizzati.
Rispetto al primo argomento il confronto si inquadra sul riconoscimento in capo alle
aziende non profit della “contitolarità”
dei servizi, al pari degli enti pubblici,
dibattito caratterizzato da notevole ambiguità, soprattutto sul significato della
“titolarità”, potendo essere intesa secondo la sussidiarietà, oppure come “in
alternativa”, nel tentativo di creare mercati dei servizi sociali in cui i cittadini
possano esercitare il proprio diritto di scelta. Questo potrebbe portare ad
incongruenze normative sugli strumenti appena descritti (si pensi agli appalti), e sulla
stessa logica di gestione dei beni collettivi della P.A.
La definizione degli strumenti giuridici per l’affidamento dei servizi, secondo punto,
è fondamentale per gli aspetti sopra considerati, poiché permette un passo importante
verso la costruzione di un nuovo sistema di relazioni tra pubblico e non profit,
garantendo la tutela di soggetti che più degli altri sono orientati ad offrire servizi di
qualità, ed esplicitamente promossi dalla legge quadro 328/00. Il miglioramento di
questi strumenti dovrebbe essere guidato dalla consapevolezza che ogni scelta sia
rivolta alla ricerca di maggiori prestazioni qualitative ed efficacia nei servizi, e che la
riduzione dei costi non può essere perseguita con la riduzione del costo del singolo
servizio, ma con altre strategie, quali l’integrazione, lo sviluppo di reti si aiuto-aiuto,
614
Cfr. G. Valotti, 2000, op. cit., p. 117.
la compartecipazione al costo delle prestazioni, con i buoni servizio, con
l’introduzione di case-manager e così via615.
Con il nuovo assetto dei servizi sociali, come precedentemente affermato (con
riferimento alla legge 328/00 ed altre prima di questa, si pensi al processo di riforma
delle autonomie locali, oppure alla legge fiscale sul non profit L. 460/97), sono stati
introdotti strumenti (teoricamente) efficienti per la gestione (delle relazioni per il
coinvolgimento del non profit e) dei servizi socio-assistenziali e socio-sanitari; la
loro efficacia nel far ciò, tuttavia, si ritiene passi attraverso la corretta applicazione di
questi ed attraverso la capacità di curare gli aspetti (minimi, ma) maggiormente
problematici espressi in questo capitolo, capacità stimolata, a modesta opinione, più
dallo spirito di carpire l’opportunità, che non di perpetrare pedissequamente
l’adempimento.
La corretta applicazione dello strumento dell’esternalizzazione passa attraverso
l’accesso delle ANP alla co-progettazione dei servizi e attraverso l’incentivazione
della progettualità dei privati ed il confronto tra questi in sede di gara; prima di
questo, tuttavia, i correlati processi di convenzionamento ed appalto devono essere
migliorati nella fase di selezione dei contraenti attraverso la migliore definizione dei
criteri di aggiudicazione, improntati non al prezzo minimo, bensì alla vantaggiosità
(per prezzo, ma anche per qualità) dell’offerta complessiva, al fine di valorizzare
l’apporto delle ANP, e non di comprometterne l’operatività o di favorire legami
particolaristici per “inerzia amministrativa”. Pur rimanendo questa la forma
prevalente di affidamento a terzi, nuove prospettive, come detto, si aprono con i
mercati amministrati, fronte sul quale le ANP riescono a garantire un effettivo
matching tra domanda ed offerta: il corretto uso di questo passa attraverso la “cultura
dell’accreditamento” per stimolare la ricerca continua della qualità e continuità dei
rapporti con l’Amministrazione ed i cittadini, ossia dalla “specializzazione” del
sistema rispetto alla tradizionale e “conservativa”convenzione e all’autorizzazione.
L’azienda sociale è un’importante opzione per la snellezza gestionale e flessibilità
degli interventi per gli Enti Locali responsabili dei servizi socio-assistenziali, nella
misura in cui si riescono a leggere le peculiarità della situazione locale e a
“rifletterle” nell’architettura interna, soprattutto nell’istaurazione dei rapporti con il
615
Cfr. A. Battistella, 2000, op. cit..
non profit, fattore che consente a questo di essere veramente incisivo e non
“imbrigliato” nella burocrazia e all’amministrazione di garantire accettabili livelli di
spesa e di oneri (diretti, la spesa pro-capite, e indiretti, la qualità del servizio) per i
cittadini.
La correttezza di applicazione degli strumenti appena descritti può essere riassunta,
poi, attraverso l’orientamento generale alla partnership tra P.A. e aziende non profit,
definita però non come tutta una serie più o meno articolata di atti attraverso cui
l’ente pubblico “si accaparra” servizi operando in supremazia, bensì come tutte
quelle modalità in cui entrambi gli attori riescono a perseguire, attraverso una logica
di sviluppo progettuale comune, comuni finalità in un clima di paritaria
concertazione, ossia “tra pari”. Tale approccio riesce ad incorporare nel rapporto quel
“qualcosa in più” (apportato soprattutto dalle ANP, che non si sentirebbero più un
mero strumento), forse individuabile nella percezione degli effettivi benefici alla
“crescita” (alternativamente nella positività della somma dell’esito del gioco), che la
distingue dall’esternalizzazione e dal semplice scambio di mercato.
I temi più “caldi”, tuttavia, restano quelli relativi non agli strumenti, bensì
all’ambiente “culturale” generale che caratterizza il rapporto pubblico-non profit.
A supporto di tale affermazione, sembra efficace riportare i risultati di una
rilevazione empirica, con oggetto le percezioni sia di personale operante nelle
organizzazioni non profit che di funzionari della Pubblica Amministrazione
responsabili delle relazioni e delle politiche in collaborazione con questi soggetti616.
Dalle interviste, in estrema sintesi, emergono nette discordanze di opinioni e
comportamenti tra due soggetti chiamati ad intervenire “braccio a braccio” sui
bisogni sociali, ma che sembra abbiano subito percorsi di crescita culturale e di
linguaggio divergenti. Sui temi delle logiche di collaborazione617, dell’autonomia e
616
L’indagine è stata realizzata in Trentino Alto Adige, Veneto, Friuli e Lombardia nel 1995. Cfr. L.
Fazzi, 1996, La privatizzazione dei servizi socio assistenziali in Italia: i primi effetti di una riforma
"ibrida", in Rivista Trimestrale di Scienza dell'Amministrazione, n. 1, pp. 60 e segg.
617
Il primo tema toccato dalle interviste è stato quello delle logiche di collaborazione, che vedeva
concordi sia soggetti pubblici che privati, sull’obbligatorietà del “passo”, ma non in vista della bontà
finale del prodotto, per l’emergenza di determinate problematiche, e quindi temporaneo, provvisorio
ed occasionale. Le motivazioni si sono però rilevate divergenti: per l’incapacità culturale e progettuale
della P.A. e per l’”effetto calamita” dei finanziamenti sulle ANP, che vivono il rapporto con i soggetti
pubblici in modo fortemente contraddittorio.
supervisione618, della contrattazione619 e delle strategie per affrontarla620, infatti, si
riscontrano orientamenti differenti da cui originano le “resistenze” al cambiamento.
A conclusione dello studio, la soluzione proposta dagli autori è una serie di strategie
per modificare i frameworks culturali che costituiscono l’origine delle difficoltà di
collaborazione efficace ed efficiente tra i due soggetti. Le azioni sul settore pubblico,
e sul non profit per la “convergenza” sono riassunte nella figura 4.3 a.
L’analisi empirica proposta (e le relative azioni correttive) risale al 1995. A quasi
otto anni di distanza, pur trovando generale condivisione, non pochi dei problemi
allora considerati “aperti” rimangono ancora tali: la “istituzionalizzazione” del ruolo
di questo, soprattutto, tema discusso nei capitoli precedenti, come “produttore” di
servizi, (oggetto del disegno di legge sull’impresa sociale e dei tentativi di riforma
della disciplina giuridica generale del terzo settore, al fine di darne maggiore
centralità e legittimazione); quello della partecipazione delle ANP nei processi
decisionali pubblici, correlato al tema precedente, per una coerente attuazione del
principio di sussidiarietà; quello delle agevolazioni fiscali come “motore”
618
La diversità di opinioni caratterizza anche il secondo tema trattato, ossia il significato di
autonomia e supervisione. Secondo Fazzi, solo se questi due termini vengono accettati e valorizzati
con complementarità di intenti e procedure, sono in grado di spiegare le potenzialità connesse ad una
interazione tra soggetti pubblici e non profit. Per i soggetti pubblici il primo termine ha il significato
di “sapersela cavare”, di “risolvere i problemi da soli”, potendo questo significare che l’autonomia del
non profit viene vista come il non ulteriore aggravio degli oneri amministrativi; per il terzo settore, al
contrario, il termine si abbina a flessibilità, non interferenza nelle scelte strategiche, riduzione dei
controlli burocratici e snellimento delle procedure amministrative. Analoghe contraddizioni anche per
il termine supervisione: controllo formale (non sulle prestazioni) per i primi, creare le condizioni più
favorevoli allo svolgimento dei propri compiti per i secondi. Tutto questo mette in luce la distanza tra
le due mentalità e l’estraneità degli uni ai problemi degli altri.
619
La terza sezione concerneva il tema dei sistemi di contrattazione, come i contratti di convenzione.
Funzionari pubblici accolgono favorevolmente questi strumenti, vedendo in loro un segnale positivo
di chiarificazione dei rapporti reciproci ed un argine alle pretese economiche delle agenzie non profit,
che senza un minimo criterio di rendicontazione dei costi sfuggirebbero totalmente al controllo
amministrativo. Si dimostrano scettici i soggetti non profit, soprattutto per il ruolo di valorizzazione
delle sinergie pubblico-privato, rimanendo secondari gli aspetti qualitativi a confronto con il vincolo
di bilancio degli enti pubblici. I contratti vengono visti, sì, come principi cui attenersi, ma solo in linea
di massima; la “dominanza” degli enti pubblici influisce però sui processi decisionali delle aziende
non profit, che sentono di doversi adattare ai primi, e non viceversa. L’autore, per descrivere questo
fenomeno, usa il termine di “colonizzazione culturale”.
620
Successivamente è stato sottoposto il tema delle strategie da adottare per stringere rapporti
contrattuali. I soggetti pubblici si basano innanzitutto su rapporti fiduciari, come difesa dagli oneri di
ricerca di partner efficaci ed efficienti, creando così barriere all’entrata. I dirigenti e coordinatori di
aziende non profit, invece, sembrano preferire rapporti informali per conoscere le preferenze dei
decisori pubblici, al fine di proporre progetti “appetibili” sul piano delle preferenze e disponibilità
pubbliche. Nello studio si assimila questo rapporto come “il suggello di un patto con il quale in
cambio di risorse […] non […] recuperabili da altre fonti si rinuncia a quello scostamento rispetto ai
disegni della razionalità politico-amministrativa”.
dell’autonomia dalla P.A. ed infine la capacità di controllo dell’Amministrazione
Pubblica e rendicontazione delle ANP, come base per una cultura della responsabilità
e del “rendere conto”.
Azioni di modificazione dei frameworks culturali
Sul settore pubblico
•
Sul non profit
adottare una “soluzione statutaria” del settore •
favorire la partecipazione ai processi decisionali
non profit, sancendo formalmente il ruolo e
pubblici, per sradicare la convinzione che il settore
l’autonomia di questo, come cornice all’interno
pubblico
del quale siano privilegiati il confronto, il
strumentalizzazione del non profit;
dibattito, la mediazione;
•
•
•
•
sempre
pronto
alla
formare la dirigenza di questi soggetti per
riorganizzare gli uffici pubblici in funzione di un
aumentarne l’autonomia imprenditoriale, come
coordinamento complessivo e di una maggiore
autoconsapevolezza delle proprie risorse;
armonicizzazione
concedere maggiori
di
progetti
e
piani
di •
agevolazioni
fiscali per
intervento;
allentare
Razionalizzare le procedure di affidamento alle
finanziamenti pubblici e premiare l’introduzione
agenzie non profit, per non burocratizzare anche
di migliori sistemi di rendicontazione su cui
queste;
scegliere i soggetti più meritevoli in base alla
rinforzare i controlli sull’operato delle ANP, per
trasparenza nella spesa del denaro pubblico;
sviluppare una cultura della responsabilità;
•
sia
•
il
“cordone
ombelicale”
dei
aderire non solo alle preferenze pubbliche, ma
contrastare la cultura di tipo tecnico-giuridico dei
anche
funzionari pubblici e formare i politici (per il
sviluppando sistemi di mercati amministrati o veri
ruolo di decisori che ricoprono) sul confronto
e propri mercati dei servizi sociali;
con il non profit.
•
a
quelle
private
dei
consumatori,
creare maggiore fiducia con la realizzazione di
fondi per l’avviamento di nuove iniziative e
l’abbattimento di barriere all’entrata.
Figura 4.3 a: azioni di modificazione dei frameworks culturali di pubblica amministrazione e non
profit. (Elaborazione propria).
La definizione di questi elementi (istituzionalizzazione, ossia “pari dignità”; presenza
nei processi decisionali, ossia partecipazione; minor condizionamenti finanziari,
ossia autonomia, seppur bilanciati dal controllo per la pubblicità dei fini, ossia la
condivisione di responsabilità) potrebbe segnare il compimento del passaggio dei
rapporti tra aziende non profit dallo scambio alla collaborazione.
Una semplice spiegazione del vantaggio può essere ancora data con la teoria dei
giochi, nel caso di giochi ripetuti tendenzialmente all’infinito: la strategia di
cooperazione è quella che massimizza i payoffs dei concorrenti.
5. La rendicontazione nelle aziende non profit
Molti dei “temi caldi” del rapporto tra sfera pubblica e non profit, in esplicito
riferimento a quanto detto a termine del precedente capitolo (quali la
“istituzionalizzazione”
del
ruolo
produttivo
di
quest’ultimo;
quello
della
partecipazione delle ANP nei processi decisionali pubblici per una coerente
attuazione del principio di sussidiarietà; quello delle agevolazioni fiscali come
“motore” dell’autonomia dalla P.A. ed infine la possibilità di un controllo efficiente
dell’Amministrazione Pubblica), possono avere come filo conduttore la necessità
dello sviluppo di regole e strumenti di rendicontazione nelle ANP, come base per una
cultura della responsabilità e del “rendere conto”.
Tale capacità di rispondere alle istanze degli interlocutori aziendali permette infatti di
provare la solidità dell’operato e del perseguimento della missione di un’azienda non
profit (legittimando un ruolo produttivo e d’interlocutore della P.A. nel
perseguimento dell’interesse pubblico), di documentare la capacità di far fronte
durevolmente alle condizioni di sopravvivenza e crescita nel tempo (per la detta
“istituzionalizzazione”), e di uscire quindi dall’autoreferenzialità (permettendo la
continua verificabilità di quanto appena detto da parte degli stakeholder),
legittimando, e potendo costatarne le basi, l’attribuzione di vantaggi (fiscali e
normativi) rispetto alle imprese lucrative.
Anche per le realtà non profit, in quanto aziende, inoltre, emerge l’importanza di
ricorrere ad adeguati strumenti informativi che possano costituire un valido supporto
sia per orientare le scelte gestionali (configurando una dimensione strumentale di
questi) mezzi, sia per verificare il successo nel perseguimento delle finalità sociali
(dimensione finalistica).
Il sistema informativo e la rendicontazione in generale dovrebbero quindi garantire,
in accordo con quanto sostenuto da numerosi autori621, da un lato, un’informazione
621
Ne citiamo solo alcuni: cfr. G. Marcon, M. Thieghi, 2000, Sistema informativo e misurazioni
economiche nelle aziende non profit, in A. Zangrandi (a cura di), Aziende non profit. Le condizioni di
sviluppo, Egea, Milano; A. Pavan, E. Mulas, 2000, Strumenti contabili per il governo e lo sviluppo
interna, in grado di favorire un adeguato controllo dell’equilibrio economicofinanziario e della mission, e dall’altro, un’informativa esterna, che sappia dare conto
alla collettività dell’uso delle risorse (materiali ed immateriali, “economiche” o
altruistiche) che quest’ultima mette a disposizione delle ANP.
Considerata l’eterogeneità che caratterizza il settore non profit, gli aspetti che
maggiormente influenzano la rendicontazione ed il sistema informativo sono
strettamente legati alla particolare finalità assunta. Tra questi si possono citare:
•
la necessità di individuare specifici parametri per il controllo dei risultati
gestionali (vista la minore rilevanza del profitto, cfr. par. 2.4) e istituzionali che
impattano sulla sfera del “sociale”;
•
l’assenza di una netta distinzione tra la fase di creazione della ricchezza e quella
della sua distribuzione, in quanto questa tende ad essere distribuita nel momento
stesso in cui viene generata;
•
un prezzo (eventuale, peraltro) del servizio o bel bene fornito che non può essere
considerato espressivo del risultato economico della gestione, poiché fortemente
influenzato da aspetti sociali622.
In tale contesto, considerata l’assenza di una precisa finalità collegata alla
massimizzazione del risultato economico, la scarsa incisività dei meccanismi di
controllo del mercato e la presenza di risorse disponibili gratuitamente, sussiste il
forte rischio di una scarsa attenzione verso la massimizzazione del valore economico
creato rispetto al capitale investito, la riduzione dei costi operativi e l’efficiente
utilizzo delle risorse disponibili; per contro, non si dovrebbe pervenire allo sperpero
di tali risorse. Le prevalenti finalità di tipo non strettamente economico non sono
infatti, di per se stesse, in grado di assicurare la sopravvivenza nel tempo di
delle aziende non profit, in Manfredi F., Zangrandi A. (a cura di), Aziende non profit.
Dall'eterogeneità all'economicità, Egea, Milano; M. Andreaus, 1996 a, Le aziende non profit: circuiti
gestionali, sistema informativo, bilancio d'esercizio, Giuffrè, Milano; A. Propersi, 1999, Le aziende
non profit: i caratteri, la gestione, il controllo, Etas Libri, Milano.
622
L’attività economica, nondimeno, appare caratterizzata dalla disponibilità e dall’impiego di risorse
umane e finanziarie senza vincolo di remunerazione monetaria; per le ANP, accanto ad una missione
di natura etica e sociale, è possibile individuare molteplici obiettivi, espliciti o impliciti, che si
integrano in forme diverse con quelli dell’organizzazione e che sono legati alle diverse categorie di
stakeholder che partecipano direttamente o indirettamente alla gestione in qualità di finanziatori (che
non si aspettano e non pretendono una remunerazione monetaria delle risorse apportate), sostenitori o
associati (che prestano la loro opera gratuitamente, con motivazioni di autorealizzazione,
appartenenza, di immagine e soddisfazione ecc. Cfr. A. Pavan, E. Mulas, 2000, op. cit., pp. 57-58.
un’organizzazione, in mancanza di un corretto rapporto tra ricchezza impiegata e
risultati conseguiti623.
Tenuto conto di ciò, il sistema informativo, oltre che permettere la redazione dei
tradizionali strumenti contabili, dovrebbe permettere l’applicazione di particolari
criteri di analisi in relazione alle differenze tra le varie realtà non profit, sia in termini
di definizione normativa, che di mission; dovrebbe inoltre caratterizzarsi per la
disponibilità di informazioni e dati analitici ulteriori, onde agevolare la redazione di
un rendiconto “istituzionale”, ovvero di un documento qualitativo e quantitativo in
grado di riassumere, anche attraverso una serie sistematica di opportuni indicatori, i
risultati sociali raggiunti dalla gestione.
Il sistema informativo e gli strumenti di rendicontazione aziendali devono dunque
risultare strumenti modellati sul fabbisogno informativo che caratterizza un data
azienda, e, secondo Matacena624, deve essere creata coerenza tra tali strumenti e le
finalità istituzionali perseguite (la mission), le strategie d’intervento e la struttura
organizzativa; questo “modellamento” risulta nelle ANP maggiormente difficoltoso
rispetto alle for profit, poiché per le prime assai meno omogenei appaiono gli
obiettivi finalizzanti l’azienda625.
Sono poi le finalità istituzionali perseguite dalla singola ANP a determinare gran
parte del fabbisogno informativo specifico, ferma restando l’esigenza di adeguata
informazione sulle dinamiche economiche e finanziarie della gestione e sulla
composizione del patrimonio aziendale.
623
L’assenza del profitto quale principale finalità non deve essere vista come mancanza di un
finalismo economico: l’applicazione di criteri e principi di razionalità economica prescinde infatti
dalle motivazioni specifiche alla base della costituzione dell’istituto economico, rappresentando,
viceversa, la condizione indispensabile e strumentale per il raggiungimento delle proprie finalità. Cfr.
A. Pavan, E. Mulas, 2000, op. cit., p. 58.
624
Cfr. A. Matacena, 1998, Un sistema informativo logico per gli attori del terzo settore in Italia. Atti
del convegno: Quale futuro per il Terzo Settore, in Nonprofit, n. 4, p. 9.
625
In altri termini, posta la strumentalità dell’azienda rispetto alle finalità perseguite attraverso la
medesima, si può osservare che nelle aziende for profit la strumentalità si concretizza nell’obiettivo
operativo di realizzare un aumento del valore economico da distribuire tra coloro che
determinano/governano/guidano l’attività e si assumono il rischio della sua incertezza. Per le aziende
non profit, invece, la strumentalità si concretizza con l’obiettivo operativo di aumentare l’utilità per
determinati gruppi di soggetti tramite la distribuzione del valore contestualmente alla sua creazione.
Ciò è peraltro reso evidente dalla diversa e più complessa nozione di equilibrio dinamico per le ANP,
inteso, alla luce delle considerazioni svolte nel cap. 2 del presente lavoro, non come obiettivo cui
tendere, ma come condizione per l’efficace perseguimento della mission istituzionale., Cfr. E.
Borgonovi, 1994, Dalla storicizzazione dei fini e dalla flessibilità dei mezzi. Il contributo delle
aziende non profit al progresso economico e sociale, in Aa.Vv. - AIDEA., L'elasticità dell'azienda di
fronte al cambiamento, CLUEB, Bologna, p. 203.
Alla luce delle considerazioni di carattere economico-aziendale e in conseguenza
dell’attenzione dovuta anche e soprattutto agli aspetti etici e sociali,
626
informativo nelle ANP dovrebbe essere più ampio che nelle altre aziende
l’obbligo
.
E’ pertanto possibile esplicitare una prima separazione (in quanto usata
implicitamente finora) fra i bisogni informativi, discernendo l’ambito dell’azione
“istituzionale” (o “sociale” o “etica”) da quelli relativi agli aspetti finanziari,
economici e patrimoniali. Per i primi è possibile affermare una “varietà”, potendo
essere questi diversi da azienda ad azienda, ed una “variabilità” nel tempo, secondo
le strategie e la struttura organizzativa; i secondi riguardano la necessità di
investigare sulla capacità di tendere agli obiettivi istituzionali nel rispetto degli
equilibri economico-finanziari, e produrranno varietà e variabilità nel tempo627.
Agli strumenti attraverso cui soddisfare il fabbisogno informativo (riassumendo: sia
esterno – verso gli interlocutori aziendali –, che interno – per la gestione e la verifica
della missione; in ottica sia economico-patrimoniale, che istituzionale) delle ANP è
dedicato il presente capitolo.
Il primo paragrafo si concentra sulla rendicontazione di tipo economico: le
peculiarità gestionali delle aziende non profit richiedono profondi adattamenti alle
logiche di interpretazione ed agli schemi di rappresentazione tradizionalmente
impiegati per l’analisi dei flussi economici prodotti dai circuiti operativi.
Il paragrafo successivo, invece, si incentra sugli aspetti della rendicontazione sociale:
l’acquisizione della consapevolezza di una dimensione sociale prevalente su quella
economica (in rapporto, la seconda rispetto alla prima, di mezzo a fine) nelle ANP e
la sua rilevanza anche in termini di sistema informativo richiede, come detto, che
venga
valutata la priorità dell’aspetto “istituzionale” rispetto alle tradizionali
“misurazioni economiche” degli effetti attesi/prodotti attraverso le operazioni di
gestione, se si accetta che “il fondamento del sistema informativo è collegato […]
626
Cfr. G. Marcon, M. Thieghi, 2000, op. cit., p.77-78.
Riassumendo, da quanto premesso in relazione alla necessità di soddisfare i fabbisogni informativi,
si osserva: (a) l’inefficacia informativa, sotto il profilo istituzionale, di parametri economici, quali il
reddito o il risparmio, e finanziari, come l’avanzo od il net cash; (b) l’assenza di indicatori atti a
permettere il raffronto tra le performance istituzionali ottenute da ANP diverse, e la conseguente
“varietà” degli indicatori; (c) la carenza di singoli indicatori atti ad esprimere in via sintetica il livello
di efficacia istituzionale di una data ANP, e la conseguente necessità di ricorrere ad un sistema di
indicatori; (d) la necessità di adattamento degli indicatori alle modificazioni dell’assetto strategico od
organizzativo e la conseguente “variabilità” degli indicatori stessi.
627
alla sua idoneità a soddisfare le esigenze conoscitive interne ed esterne, con la
massima efficacia ed efficienza”628.
5.1 La rendicontazione economica
Obiettivo della presente sezione è lo sviluppo e una prima definizione di regole per la
rendicontazione economica nelle ANP, volendo proporre criteri e modelli di
accountability629 generalmente applicabili ai soggetti del terzo settore.
Il sistema informativo aziendale può essere inteso come un insieme coordinato di
elementi, quali dati grezzi ed informazioni, risorse umane e tecnologiche tra loro
interagenti, che renda disponibile le conoscenze funzionali alla verifica del rispetto
del criterio di economicità; tale strumento, giova ripeterlo, dovrà in particolare
consentire di tenere sotto controllo l’efficacia delle azioni svolte, l’efficienza
nell’utilizzo delle risorse, nonché il grado di raggiungimento delle condizioni di
equilibrio economico, finanziario e monetario. Considerando la centralità degli
stakeholder che a vario titolo partecipano alla gestione delle aziende non profit,
questo deve fornire indicazioni sul livello di soddisfazione di questi e dei beneficiari
delle attività svolte (vedi figura 5.1 a).
Oggetto del prosieguo del discorso, tuttavia, saranno esclusivamente gli aspetti
economico-finanziari.
Il perseguimento di tali finalità informative rende da un lato inefficace il ricorso a
modelli contabili di tipo finanziario, tipici delle imprese pubbliche; dall’altro, pare
inadeguata l’adozione acritica degli strumenti di controllo di immediata derivazione
dal mondo delle imprese for profit, date le particolari caratteristiche strutturali delle
ANP. Sembra allora opportuno, viceversa, “utilizzare i gradi di libertà disponibili,
data l’assenza di normative cogenti, per definire un sistema contabile che dia la
628
Cfr. L. Marchi, 1988, I sistemi informativi aziendali, Giuffrè, Milano.
Il termine inglese accountability esprime, meglio dell’italiano rendicontazione, l’attitudine che
deve essere condivisa dalle aziende non profit, indipendentemente dal quadro normativo, di informare
la pubblica opinione sia sulle modalità di acquisizione ed utilizzo delle risorse, sia riguardo al regolare
rispetto degli obblighi civilistici, statuari e tributari, sia rispetto all’efficacia ed all’efficienza
dell’amministrazione delle risorse in oggetto per il perseguimento degli scopi istituzionali. Cfr. C.
Travaglini, 1999, Lo sviluppo di regole per la rendicontazione per le aziende del terzo settore, in
Matacena A. (a cura di), Aziende non profit: scenari e strumenti per il terzo settore, EGEA, Milano,
pp. 81 e segg.
629
massima enfasi ai risultati economici, ai consumi di risorse e all’efficacia dell’azione
svolta e che costituisca […] un agile strumento che, al prezzo di un contenuto grado
di imprecisione, consenta la motivazione, il coinvolgimento ed il controllo di tutti i
gruppi nei quali si articola la struttura organizzativa”630.
La corretta definizione di un sistema informativo, allora, serve per sviluppare
compiutezza ed analiticità nel quadro gestionale delle ANP ed originare una
comunicazione aziendale (e quindi un bilancio di esercizio) che sia rappresentazione
veritiera e corretta della gestione nel rispetto degli obblighi civilistici e tributari.
La definizione di un sistema informativo contabile di un’azienda è poi un momento
importante per orientare le procedure di rilevazione, rappresentazione e
comunicazione dei fatti aziendali, e per introdurre una particolare interpretazione
della rendicontazione e della programmazione e del controllo in quella particolare
azienda; come detto in apertura di capitolo, il sistema informativo deve essere
definito in base agli obiettivi conoscitivi e deve essere adeguato alle caratteristiche
Dimensione econ.-finanziaria
Misura e controllo del
raggiungimento degli
equilibri econ. e fin.
della gestione
Contabilità generale
(partita doppia) e
rilevazione di impegni
e accertamenti,
Bilancio di esercizio
Dimensione dell’efficienza
Misura e controllo del
grado di equilibri
efficienza nell’utilizzo
delle risorse
Contabilità generale
integrata in via
extracontabile (f.p.
“gratuiti”),
Indicatori rendimento
Sistema informativo
Dimensione dell’efficacia
Verifica del grado di
raggiungimento degli
obiettivi primari
(etica), di efficienza e
di efficacia
Budget,
Analisi degli
scostamenti,
Valutazione di impatto
Dimensione degli stakeholder
Misurare e controllare
il soddisfacimento
delle attese
Analisi di mercato,
questionari di customer
satisfaction,
Indicatori di efficacia e
di impatto sociale
Figura 5.1 a: obiettivi e strumenti del sistema informativo nelle ANP. (Adattamento da A.
Pavan, E. Mulas, 1999, p.60)
630
Cfr. A. Pavan, E. Mulas, 2000, op. cit., p. 59.
dell’azienda (mission, governance e strategia) in cui è inserito, mantenendo
l’equilibrio tra opposte esigenze di dettaglio e semplicità, nonché di uniformità per
tutte le non profit e specificità per le particolari situazioni; non può prescindere,
infine, dalla normativa civilistica e tributaria e fornire le informazioni previste per i
relativi adempimenti obbligatori.
I modelli teorici e pratici sono molteplici e non ancora pienamente condivisi, quindi
l’esposizione prescinde dall’avere obiettivi di esaustività e completezza.
Prima di presentare i criteri generali per la rendicontazione, appare utile trattare
brevemente la regolamentazione del sistema informativo-contabile per le ANP.
Tali norme possono essere classificate secondo l’origine civilistica (dipendente dalla
forma giuridica dell’organizzazione come definita nel Codice Civile); tributaria
(dipendenti dalla configurazione dell’organizzazione e dalle attività poste in essere,
per l’imposizione dei redditi ed il loro accertamento); o normative speciali (derivanti
dallo status dell’organizzazione). Dalla loro analisi emerge in generale l’assenza
(salvo alcune eccezioni quali, ad esempio, le cooperative sociali) di regole
predeterminate e di norme generalmente accettate per la formazione ed il contenuto
dei bilanci per gli enti non profit complessivamente intesi; non si rileva uniformità di
obblighi civilistici631 (peraltro in disposizioni laconiche); le disposizioni tributarie632,
631
La normativa civilistica pone una distinta regolamentazione del sistema informativo-contabile per:
(a) associazioni e fondazioni: si prescrive l’obbligo annuale di convocazione dell’assemblea per
l’approvazione del bilancio (art. 20, senza peraltro specificare ulteriormente nulla su questo e sulla
contabilità); per disposizione statutaria (e non per obbligo informativo) possono trovare spazio norme
sulla gestione; (b) comitati per la raccolta pubblica di fondi: si afferma il vincolo di destinazione del
patrimonio allo scopo ideale e la responsabilità dei componenti del comitato, senza prevedere forme di
rendicontazione, né un sistema informativo ad essa finalizzato (artt. 39 e ss.); (c) cooperative: per
effetto della loro condizione di società commerciali, si applica il corpus normativo organico sulla
contabilità, bilancio e liquidazione delle società di capitali (art. 2516).
632
La normativa tributaria pone una specifica regolamentazione per: (a) enti non commerciali senza
attività commerciale: questi non hanno obblighi contabili a fini tributari; (b) enti non commerciali con
attività commerciale: viene imposta contabilità separata per le attività commerciali632 (distinte dalla
gestione istituzionale); La distinzione è interpretabile aziendalmente nella necessità di rilevare
separatamente operazioni attinenti a circuiti gestionali distinti, dovendo contabilizzare: ricavi e
proventi tributariamente commerciali (separatamente da quelli istituzionali) e costi ed oneri
tributariamente commerciali (distintamente da quelli istituzionali e promiscui, imputati poi
proporzionalmente secondo coefficienti); (c) enti non commerciali associativi (associazioni che
svolgono attività politiche, sindacali e di categoria, religiose ed assistenziali, culturali, sportive
dilettantistiche ecc., che acquisiscono un particolare status tributario per l’attività di promozione
sociale, svolta attraverso la facilitazione alla partecipazione dei soci alle attività, che viene distinta
dalla ordinaria cessione di servizi tipici a soggetti che non partecipano alla vita associativa): il
godimento delle agevolazioni è subordinato all’obbligo di approvazione di un rendiconto economico e
finanziario secondo le disposizioni statutarie (a tutela di coloro che entrano in contatto con
l’associazione, soci o meno, non disciplinando, però, le modalità ed i contenuto della contabilità),
impongono modesti obblighi informativi (eccetto che per le ONLUS) solo al fine di
accordare agevolazioni fiscali e godere di una particolare posizione (quindi con
carattere “volontario”), mentre le disposizioni speciali633 sono più orientate verso la
funzione di controllo, che di comunicazione. Gli scarsi obblighi variano poi
notevolmente a seconda della forma giuridica, dell’attività svolta o dello status
dell’organizzazione.
Nelle ANP si nota la contemporanea presenza di attività istituzionali tipizzanti e di
attività accessorie volte a garantire condizioni produttive e ad acquisire risorse
aggiuntive per le stesse attività istituzionali; si ha la compresenza di più livelli e
relazioni di scambio (nei confronti di esterni, membri, organismi associativi, ) e,
ricordiamo, l’assenza del risultato gestionale come indicatore sintetico di efficace ed
efficiente gestione. Da ciò deriva quindi la necessità di valutare i risultati economici
delle gestioni parziali ed i connessi indicatori di risultato, oltre al quadro sintetico; si
dovrà rendicontare sulla provenienza delle risorse e sulla loro destinazione tra le
funzioni in cui può essere suddivisa l’intera attività. Complessivamente, quindi, il
sistema dovrà garantire informazioni per634:
•
la rendicontazione sulla regolarità rispetto alle norme, all’efficacia sugli obiettivi
e l’efficienza nell’utilizzo delle risorse;
•
l’adempimento degli obblighi civilistici, statuari e tributari;
affermando un valore autonomo della rendicontazione e sanzionando comportamenti di incompleta
trasparenza; (d) cooperative sociali: queste godono, se rispettati determinati oneri (quali il versamento
del 3% degli utili, della devoluzione del patrimonio netto di liquidazione ai fondi mutualistici,
dell’indistribuibilità delle riserve e della limitata remunerazione del capitale e del prestito sociale),
dell’esenzione dall’imposta sui redditi sugli utili accantonati a riserva indivisibile e di una serie di
agevolazioni minori sulle imposte dirette ed indirette; (e) le ONLUS: vengono imposti obblighi di
scritture contabili e obblighi formali per godere dello status, analizzati in dettaglio nel seguito del
presente lavoro; (f) raccolte pubbliche di fondi: intraprese da ONLUS ed enti non commerciali, si
definiscono oneri di rendicontazione il cui adempimento è condizione per l’esclusione dei fondi
raccolti dall’imposizione tributaria.
633
La normativa speciale riferita alle ANP pone alcune norme specifiche per: (a) organizzazioni di
volontariato: si impone l’obbligo di formazione del bilancio (dal quale devono risultare i beni, i
contributi e i lasciti ricevuti) e le modalità di approvazione dello stesso bilancio da parte
dell’assemblea; (b) organizzazioni non governative: devono redigere i bilanci analitici dell’ultimo
triennio, secondo uno schema definito dal Ministero degli Esteri, documentando la regolare tenuta
della contabilità. Il sistema informativo contabile è quindi volto a consentire la rendicontazione alla
P.A. delle risorse destinate alla cooperazione allo sviluppo; (c) cooperative sociali: essendo società
cooperative a tutti gli effetti, si applica la normativa per le società di capitali e quindi un bilancio
formato da stato patrimoniale, conto economico e nota integrativa. Cfr. C. Travaglini, 1999, op. cit.,
pp. 94-101.
634
Cfr. C. Travaglini, 1999, op. cit., pp. 101-102.
•
la separata evidenziazione di attività e valori derivanti da relazioni di scambio
con condivisione istituzionale con membri, da servizi gratuiti verso beneficiari o
commerciali verso clienti esterni, dalle attività produttive a quelle erogative;
•
la verifica delle condizioni di equilibrio economico, finanziario e patrimoniale;
•
la valutazione dei risultati di gestioni particolari (attività commerciali,
manifestazioni, particolari iniziative o servizi);
•
l’integrazione di dati monetari con indicatori non monetari di attività ed efficacia;
•
la programmazione, preventivamente, e la rendicontazione ed il controllo,
consuntivamente635.
Nelle aziende non profit, secondo Travaglini, è poi possibile individuare alcuni
criteri generali per la corretta rendicontazione, i quali permettono di definire lo
sviluppo di modelli adeguati alle diverse realtà. Seppur di parvenza banale, questi
possono essere considerati pre-condizioni di uno schema in un campo in cui non
sono stati ancora definiti modelli e regole comunemente accettati; tra i vari principi
che l’autore espone, si possono citare: rilevanza ed autonomia della rendicontazione
contabile;
sistematicità
rendicontazione
sulla
di
rilevazione
situazione
e
periodicità
complessiva
di
dell’azienda
rendicontazione;
non
profit;
rendicontazione separata dei rapporti con soci e non soci; dichiarazione dei criteri di
rendicontazione applicati; verifica indipendente o revisione delle scritture contabili;
integrazione dei valori monetari con quelli non monetari; informazione dei compensi
monetari e non, erogati ad amministratori; completezza dell’informazione636.
635
Secondo Tieghi, inoltre, oltre che coerente con le strategie e la governance dell’azienda, il sistema
informativo dovrebbe essere anche: (a) proporzionato alle esigenze e alle effettive disponibilità delle
risorse; (b) modulare, consentendo una eventuale realizzazione progressiva; integrato, per ricercare le
massime sinergie fra i singoli sottosistemi che lo compongono; (c) flessibile, in modo da adattarsi
all’evoluzione delle attività gestionali o della struttura organizzativa; automatizzato, per sfruttare le
opportunità delle tecnologie informatiche; (d) caratterizzato da un’architettura lineare, così da
esplicitare chiaramente i rapporti di interconnessione tra i diversi moduli componenti; (e) orientato
all’utente, potendo permettere lo sfruttamento sia agli operatori che agli utilizzatori; (f) adeguato al
soddisfacimento delle esigenze interne che di quelle esterne. Cfr. G. Marcon, M. Thieghi, 2000, op.
cit., p. 85.
636
Nella descrizione dell’autore, una prima classe di criteri affermano la rilevanza e l’autonomia della
piena, completa e corretta rendicontazione contabile per le ANP, quale requisito necessario per la
trasparenza e la correttezza, e l’indipendenza dalla regolamentazione tributaria, nonchè per
l’adempimento della responsabilità degli amministratori nei confronti degli stakeholders. Questo si
basa, poi, sulla sistematica, cronologica ed integrale rilevazione di ogni operazione (seppur gli
obblighi tributari la richiedano solo per alcuni proventi od oneri), abbinata alla periodica redazione di
sintesi strutturate sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’azienda. Una seconda
classe prevede che la rilevazione e la classificazione delle risorse siano primariamente basate con il
criterio della provenienza da soggetti ed aree gestionali (per i proventi), e quello della destinazione
Gli scopi e le funzioni indicati, dovrebbero ottenersi attraverso strumenti tecnicocontabili molto simili a quelli in uso nelle realtà for profit:
•
il piano strategico637;
•
il budget d’esercizio638;
•
il sistema contabile639;
alla funzioni gestionali (per gli oneri); successivamente, la comunicazione della complessiva
situazione dell’azienda sia composta almeno dai tre documenti fondamentali: un “rendiconto”
gestionale, un prospetto delle attività e passività ed una nota integrativa dei due (i termini usati sono
volutamente poco precisi, poiché le tematiche e le specificazioni verranno affrontate in seguito). Una
terza classe di criteri prevedono la comparazione dei valori di più periodi, al fine di interpretare
l’andamento dell’azienda; se l’ANP, nel proprio assetto istituzionale, vede la presenza di soci,
associati o aderenti con diritti e condizioni differenziate rispetto a soggetti estranei al rapporto
associativo, sarà utile rilevare separatamente le transazioni verso le due categorie di soggetti. Un’altra
classe prevede la dichiarazione dei principi e regole per la rendicontazione (anche se non vi sia
obbligata), nello statuto, in regolamenti e resa disponibile per darne opportuna informazione; inoltre, i
documenti costituenti la rendicontazione vengano resi pubblici, anche in assenza di specifici obblighi
giuridici, in forza dell’obbligo morale di dare piena informazione alla pubblica opinione sull’utilizzo
delle risorse, specie se in presenza di agevolazioni. E’ poi auspicabile, oltre una certa dimensione,
l’attività di revisione da un organo di controllo indipendente, istituzionale od esterno, per la verifica
del rispetto delle normative, delle procedure relative al sistema informativo e al modello di
rendicontazione. La quinta classe di criteri afferma l’integrazione tra valori monetari espressi nella
rendicontazione nelle varie arre e funzioni gestionali e valori non monetari relativi a progetti ed
attività; si richiede inoltre la comunicazione di tutti i compensi e le utilità non monetari erogati ad
amministratori/dirigenti/dipendenti, oltre al contratto collettivo applicato ai dipendenti. Si auspica,
infine, la piena e corretta informazione sull’appartenenza a gruppi di aziende non profit o a legami tra
dirigenza ed altre aziende collegate. Ulteriore classe è quella che richiede, in nota integrativa, ogni
informazione necessaria per completare il contenuto informativo e permettere una piena comprensione
dell’attività. Cfr. C. Travaglini, 1999, op. cit., pp. 103-106.
637
Il piano strategico, inteso quale documento output finale del processo di pianificazione strategica
(Cfr. R. Anthony, W.D. Young, 1992, Controllo di gestione per gli enti pubblici e le organizzazioni
non profit, Mc Graw-Hill, Milano), è lo strumento con cui si definiscono la missione da perseguire, le
azioni e i mezzi atti a realizzarla. L’introduzione di un processo di pianificazione strategica nelle ANP
consente una maggiore comprensione del fine e di valori aziendali, così da favorire l’interazione ed il
coinvolgimento dei diversi soggetti in esse impegnati, la definizione dei risultati attesi, l’orientamento
dei comportamenti individuali verso gli obiettivi aziendali.
638
Sulla base di questo si può costruire il budget d’esercizio, strumento operativo di breve termine per
il prossimo periodo amministrativo, con due finalità: la verifica preventiva della convenienza e della
fattibilità tecnica, economica e finanziaria di iniziative e progetti; la possibilità di guidare e finalizzare
l’azione degli individui, favorendo la convergenza di molteplici interessi, attraverso la
responsabilizzazione sui risultati. Questo strumento si rivela particolarmente significativo nelle ANP
“erogative”, secondo la definizione di Capaldo (cfr. P. Capaldo, 1996, Le aziende non profit tra stato
e mercato, in Aa. Vv. - AIDEA (a cura di), Le Aziende non profit tra Stato e mercato, CLUEB,
Bologna), in cui i proventi vincolano le spese: l’articolazione del budget deve allora assicurare il
governo della dinamica delle spese rispetto al limito dei proventi. E’ opportuno, inoltre, articolare il
budget per gruppi aziendali, aree di attività o progetti e attribuire allo stesso il carattere autorizzativo
della spesa (così da conferire relativa autonomia ai responsabili); la predisposizione di questo
strumento è infine fondamentale per la verifica, a scadenze brevi, delle condizioni di gestione, per la
valutazione di efficacia delle azioni aziendali.
639
Il controllo delle condizioni di gestione e la valutazione di efficacia delle azioni aziendali può
essere effettuata sulla base dei un sistema contabile, tenuto con il metodo della partita doppia. La
usuale logica contabile avvia la rilevazione quantitativa durante l’esercizio, nel momento in cui si
•
il bilancio di esercizio;
Negli usuali prospetti che compongono il bilancio (stato patrimoniale, conto
economico e nota integrativa) sono quindi sintetizzati i risultati delle operazioni
svolte nell’esercizio, pianificate nel budget secondo le linee strategiche e rilevate in
contabilità generale. A questi si possono poi aggiungere il rendiconto finanziario di
liquidità ed allegati quali la relazione dell’organo di governo, quella dell’organo di
controllo interno, l’eventuale relazione di certificazione.
In tal modo si verrebbe a configurare un sistema coordinato di documenti volto ad
informare sui risultati che l’ANP ha saputo conseguire sul piano gestionale640, ed una
serie di allegati esprimenti considerazioni a valutazioni nell’ottica degli esiti
gestionali e sul grado di attendibilità del bilancio stesso. Tutti i documenti, infine,
dovrebbero essere regolati e coordinati da una comune logica conoscitiva di
riferimento, in modo da permettere la composizione in chiave sistemica in
quell’unicum che è il bilancio stesso641.
Il ruolo di principale mezzo di informazione esterna assolto dalla rendicontazione
contabile e del suo principale strumento che è il bilancio di esercizio, è
particolarmente rafforzato nelle ANP, per le quali i fini di interesse generale, la
presenza di agevolazioni, la centralità della pubblica fiducia impongono una assoluta
trasparenza sulle attività e sull’utilizzo delle risorse acquisite642.
verifica una variazione numeraria certa o assimilata; l’indagine causale conduce poi alla
individuazione dell’aspetto economico dell’operazione e a considerazioni circa la competenza a
formare il reddito del periodo (Cfr. G. Ferrero et al., 1995, Contabilità e bilancio di esercizio, Giuffrè,
Milano e P. Onida, 1970, La logica e il sistema delle rilevazioni quantitative d'azienda, UTET,
Torino). Si suggerisce, in aggiunta a questa, la rilevazione delle fasi di impegno delle spese e
accertamento delle entrate, da articolarsi per progetti, unità organizzative e attività, in stretta
connessione a quanto previsto per il budget, quando questi non vengano assunti contestualmente alla
liquidazione o riscossione del relativo importo. Tali rilevazioni sono finalizzate a due ordini di
obiettivi informativi: da un lato, a presidiare le condizioni di equilibrio economico e finanziario
rispetto a quanto previsto in sede di budget, e dall’altro, di verificare, in corso d’esercizio, lo stadio di
sviluppo e l’attuazione di progetti/attività previsti (così gli impegni indicano che le attività sono in
fase di contrattazione; il giroconto ai debiti verso i fornitori indica che i fattori produttivi sono già stati
acquisiti; il mancato impegno che il progetto non è stato neppure avviato). Il piano dei conti di
contabilità generale dovrà quindi accogliere, accanto a quelli tradizionali, due serie di conti aperti ai
valori numerari presunti attivi e passivi:accertamenti ed impegni riferibili a progetti/attività (Cfr. A.
Pavan, E. Mulas, 2000, op. cit., p. 63 e segg.).
640
Come si vedrà nel paragrafo successivo, la considerazione di documenti extra contabili, in aggiunta
e in ampliamento di quelli appena analizzati, permette anche la corretta informazione sugli aspetti
istituzionali, che, giova ribadirlo, per la categoria delle aziende non profit risultano preponderanti a
quelli economico-patrimoniali.
641
Cfr. G. Marcon, M. Thieghi, 2000, op. cit., pp. 91-92.
642
Cfr. C. Travaglini, 1999, op. cit., pp. 82-83.
Anziché soffermarsi sui criteri di redazione, è forse più opportuno volgere
l’attenzione a considerare l’ipotesi di sfruttare, come detto in apertura di paragrafo, i
“gradi di libertà” concessi in materia contabile, ed adottare una struttura di bilancio
che favorisca il facile apprezzamento delle capacità dell’organizzazione di perseguire
le proprie finalità istituzionali: si ritiene opportuno, cioè, adottare schemi che, da un
lato, rendano agevole l’analisi delle attività svolte e la comprensione dei risultati
conseguiti, mentre dall’altro, attraverso opportune rielaborazioni, favoriscano il
confronto e la correlazione tra valori economici, patrimoniali e finanziari.
Ciò è reso ancora più importante dal fatto che, come spesso ripetuto nel corso del
presente lavoro, nelle realtà non profit il risultato d’esercizio esprime in modo non
significativo l’andamento della gestione ed il raggiungimento degli obiettivi.
Articolato e complesso è invece il discorso per quanto concerne il conto economico:
la mancata finalizzazione alla massimizzazione dei profitti e del reddito prodotto per
le ANP priva questo documento della funzione di quantificazione ed illustrazione del
reddito attribuibile al periodo643.
Al conto economico, dunque, spetta la funzione di esporre le modalità attraverso cui
l’azienda ha prodotto, acquisito e consumato-distribuito ricchezza (attraverso
l’analisi del valore aggiunto); a tal riguardo notevole importanza dovrà essere
attribuita all’esame dei componenti economici direttamente connessi con il
perseguimento dei fini istituzionali.
In relazione alla forma, appare preferibile quella scalare, che permette di esplicitare
grandezze economiche intermedie idonee a rappresentare i predetti processi di
produzione/acquisizione, consumo/distribuzione di ricchezza. La classificazione dei
valori più idonea al fine sembra essere quella secondo il criterio della destinazione,
643
La funzione varierà da azienda ad azienda, non solo in base alla finalità da questa perseguite, ma
anche in base ai circuiti gestionali all’uopo attivati; in sostanza, il risultato gestionale evidenziato nel
conto economico potrà variamente configurarsi, assumendo definizioni cui è connaturato un
significato economico aziendale più o meno preciso (“risparmio/deficit”, “avanzo/disavanzo di
esercizio”, lo stesso “risultato gestionale” ecc.). Emergono quindi due interrogativi: il primo riguarda
l’esigenza di monitorare l’aspetto economico delle attività non profit, mentre il secondo, discendente
da una risposta affermativa al primo, concerne i principi di rilevazione. In merito alla prima questione,
è già stato affermato che la verifica dell’economicità è comunque un aspetto fondamentale per le
ANP, poiché strumentale (anche se non obiettivo finale) alle attività istituzionali, quindi questa merita
sempre di essere monitorata; sul secondo punto si può notare che il principio della competenza
economica (che permette di attribuire un risultato al periodo attraverso la contrapposizione di ricavi
del periodo e di costi afferenti, nel for profit) deve essere applicato, nel caso delle aziende non profit,
in maniera differente. Nello specifico, il risultato del periodo emerge dalla contrapposizione di
proventi ed oneri tra loro non correlabili, rilevati al momento della loro manifestazione.
evidenziando i risultati parziali delle diverse aree gestionali644 (quella istituzionale o
tipica, quella promozionale e raccolta fondi, la gestione patrimoniale, la gestione
finanziaria e quella straordinaria)645, come riportato nella figura 5.1 b.
Conto Economico
1
2
3 (1-2)
4
5
6 (3-4-5)
7
8
9 (7-8)
10 (±6 ±9)
11
12
13 (11-12)
14
15
16 (14-15)
17 (±10 ±13 ±16)
Anno
x
Anno
x+1
Proventi dell’attività di base
Costi diretti dell’attività di base
Margine dell’attività di base
Costi strutturali
Costi discrezionali
Risultato dell’attività di base
Proventi della gestione accessoria
Costi dell’attività accessoria
Risultato della gestione accessoria
Risultato della gestione istituzionale
Proventi della gestione promozionale e raccolta fondi
Costi della gestione promozionale e raccolta fondi
Risultato della gestione promozionale e raccolta fondi
Proventi della gestione patrimoniale
Costi della gestione patrimoniale
Risultato della gestione patrimoniale
Risultato operativo
18
19
20 (18-19)
21
22
23 (21-22)
24
Proventi della gestione finanziaria
Costi della gestione finanziaria
25(±17±20±23-24)
Risultato complessivo
Risultato della gestione finanziaria
Proventi della gestione straordinaria
Costi della gestione straordinaria
Risultato della gestione straordinaria
Imposte e tasse
Figura 5.1 b: schema di conto economico per aree gestionali. (Fonte: A.Pavan, E. Mulas, 2000, p.
72).
Meno problematico è l’esame dello stato patrimoniale, che mantiene la funzione di
rappresentare la composizione quali-quantitativa del patrimonio aziendale in un dato
istante di tempo.
644
Secondo Travaglini, all’interno di ogni area gestionale, poi, si possono trovare una pluralità di
proventi ed oneri riferiti ad oggetti molto diversi, tanto da vanificare una chiara rappresentazione della
gestione dell’azienda non profit. In questi casi, sarebbe preferibile l’individuazione di progetti
all’interno delle funzioni ed alla comunicazione di oneri e proventi suddivisi per progetti. Il progetto
rappresenta un aggregato di operazioni più limitato dell’area gestionale o della funzione, in relazione
necessaria ed univoca con un’area gestionale ed una funzione svolta, magari da rappresentare in
schede di progetto in allegato alla nota integrativa. Per un efficace utilizzo dei progetti per l’esercizio
della programmazione e controllo della ANP, occorre inoltre individuare, per ogni progetto, un
responsabile e definire livelli obiettivo di proventi e/o oneri ed indicatori di verifica della
performance. Cfr. C. Travaglini, 1999, op. cit., p. 109-110.
645
Cfr. A. Pavan, E. Mulas, 2000, op. cit., pp. 72-73.
In merito al contenuto, considerando le caratteristiche delle ANP,
si potrebbe
adottare un criterio di liquidità, essendo in tal modo possibile formulare con facilità
una valutazione della situazione di equilibrio finanziario646.
Stato Patrimoniale
Attivo
Anno Anno
x
x+1
A IMMOBILIZZAZIONI
I Immobilizzazioni immateriali
a.
Spese di impianto e di ampliamento
… …
… …
II Immobilizzazioni immateriali
a.
Terreni e fabbricati
… …
… …
III Immobilizzazioni finanziarie
a
Partecipazioni
b
Crediti
Passivo
A
PATRIMONIO NETTO
I
II
III
IV
Fondo di dotazione
Riserve patrimoniali
…
Risultato del conto economico
B
FONDI PER RISCHI E ONERI
1
…
…
Fondi per le attività istituzionali
…
…
Totale patrimonio netto
Totale f.di per rischi e
oneri
C
DEBITI ESIGIBILI OLTRE
L’ESERCIZIO SUCCESSIVO
1
Trattamento di fine rapporto
2
3
Mutui passivi
…
… …
Totale immobilizzazioni
B
ATTIVO CIRCOLANTE
I
II
Rimanenze
Crediti
III
IV
V
Attiv. fin. che non costit. immob.ni
Disponibilità liquide
Ratei e risconti attivi
Totale attivo circolante
TOTALE ATTIVITÀ'
Anno Anno
x
x+1
Totale deb. mediolungo termine
D
DEBITI ESIGIBILI ENTRO
L’ESERCIZIO SUCCESSIVO
1
2
Debiti verso fornitori
Debiti verso banche
3
…
Totale deb. esigibili entro es. succ.
E
RATEI E RISCONTI PASSIVI
TOTALE PASSIVITA’
Figura 5.1 c:Schema sintetico di stato patrimoniale. (Fonte: A.Pavan, E. Mulas, 2000, p. 74)
Di fronte a complessità crescenti, un’altra ipotesi plausibile è quella suggerita da
Travaglini647, da combinare alla precedente: l’informazione viene fornita
classificando le poste patrimoniali in base all’area gestionale (tipica o accessoria) a
cui si riferiscono. Si può infine usare il criterio proposto da Marcon e Tieghi648:
organizzare il documento separando gli elementi patrimoniali attivi, diversi dalle
liquidità, sulla base del fatto che essi siano l’esito di circuiti gestionali connessi
646
Cfr. A. Pavan, E. Mulas, 2000, op. cit., p.73.
Cfr. C. Travaglini, 1999, op. cit., p. 108.
648
Cfr. G. Marcon, M. Thieghi, 2000, op. cit., p. 95.
647
all’acquisizione o all’impiego delle risorse, e presentare gli elementi passivi in base
alla loro provenienza soggettiva, distinguendo le passività dal patrimonio netto, e di
infine separando, all’interno di queste macro classi gli eventuali fondi o le eventuali
riserve che fossero stati specificatamente destinati al perseguimento degli scopi
istituzionali della ANP. Per quanto concerne la forma, si ritiene generalmente
preferibile quella contabile (vedi figura 5.1 c).
Il rendiconto finanziario649 di liquidità ha la funzione di illustrare, come noto, in
un’opportuna sintesi, le modalità attraverso cui l’azienda ha generato e impiegato
liquidità, evidenziando opportunamente la provenienza delle fonti e la destinazione
degli impieghi, costituiti da flussi monetari verificati nel periodo, ossia le modalità
attraverso cui la ANP ha saputo fronteggiare il vincolo di costante solvibilità imposto
dalla condizione di equilibrio finanziario-monetario. La peculiarità che deve
soddisfare è l’organizzazione del documento, il quale dovrebbe essere strutturato in
modo da determinare le fonti e gli impieghi in base ai circuiti gestionali attivati
dall’azienda, permettendo la distinzione tra flussi connessi al perseguimento delle
attività istituzionali dai rimanenti, e distinguendo flussi “correnti” da quelli
“extracorrenti”. In tal modo si dovrebbe evidenziare il grado di autonomia e
dipendenza dell’azienda nel perseguimento dell’equilibrio finanziario e si
permetterebbe di evidenziare la tendenziale stabilità/instabilità di tale equilibrio.
Assai importante è il ruolo svolto dalla nota integrativa, che ha la funzione solita di
fornire conoscenze aggiuntive sui valori e sui risultati contenuti nello stato
patrimoniale e nel conto economico.
Nello specifico delle aziende non profit, l’attività di queste è caratterizzata
dall’utilizzo di risorse reali e monetarie senza vincolo di remunerazione e dalla
cessione di beni e servizi a titolo gratuito o a prezzi inferiori a quelli di mercato:
emerge quindi con chiarezza la necessità di integrare le informazioni sintetiche dei
due prospetti con quelle più analitiche di natura fisico-tecnica e qualitativa – numero
di utenti, numero di volontari, ecc. – espressive di volumi di attività altrimenti non
percepibili da parte di terzi esterni all’azienda, oltre che l’illustrazione dei principi
contabili, e quelle esplicative delle voci di rendiconto finanziario, conto economico e
649
Cfr. G. Marcon, M. Thieghi, 2000, op. cit., pp. 92 e segg.
stato patrimoniale650 ed altre informazioni rilevati: le schede di eventuali progetti, la
mission istituzionale e la natura giuridica, l’eventuale affiliazione a federazioni e
gruppi del non profit e la dichiarazione delle relazioni con gli altri soggetti del
gruppo.
Matacena651 propone, sul tema del bilancio degli enti non profit, un modello valevole
per le ONLUS (la cui disciplina è stata riassunta brevemente nel paragrafo 2.2),
categoria “fiscale” in cui cercano di rientrare gran parte delle aziende senza scopo di
lucro, indipendentemente dall’assetto giuridico assunto, per usufruire di particolari
trattamenti tributari.
Il legislatore fiscale, come “prova” per elargire tali agevolazioni e a pena di
decadenza da queste, impone l’obbligo, entro quattro mesi dalla chiusura
dell’esercizio annuale, di redigere un documento che rappresenti la situazione
patrimoniale, economica e finanziaria (D. Lgs. 460/97, art. 25, p.to 1, lett. a)652).
Appare evidente, a detta dell’autore, che i documenti sopra richiamati (rendiconto
finanziario, conto economico e stato patrimoniale) siano oggettivamente conformi
all’obbligo imposto653, soprattutto se la loro forma, contenuto e modalità espositiva
siano adeguati allo scopo informativo perseguito. Il legislatore, continua Matacena,
introduce quindi il principio di adeguatezza informativa, la quale, a suo parere,
dipende dalla rispondenza delle informazioni offerte dai documenti contabili
richiamati alle finalità di controllo amministrativo ed anche gestionale, motivando
inoltre necessari adattamenti654.
650
Cfr. A. Pavan, E. Mulas, 2000, op. cit., p.74.
Cfr. A. Matacena, 2000, Finalismo aziendale e sistema informativo delle aziende non profit, in
CRISP (a cura di), I servizi di pubblica utilità alla persona, Franco Angeli, Milano, pp. 55 e segg.
652
Art. 25. “[…] 1. Le organizzazioni non lucrative di utilita' sociale (ONLUS) diverse dalle societa'
cooperative, a pena di decadenza di benefici fiscali per esse previsti, devono: a) in relazione
all'attivita' complessivamente svolta, redigere scritture contabili cronologiche e sistematiche atte ad
esprimere con compiutezza ed analiticita' le operazioni poste in essere in ogni periodo di gestione, e
rappresentare adeguatamente in apposito documento, da redigere entro quattro mesi dalla chiusura
dell'esercizio annuale, la situazione patrimoniale, economica e finanziaria della organizzazione,
distinguendo le attivita' direttamente connesse da quelle istituzionali, con obbligo di conservare le
stesse scritture e la relativa documentazione per un periodo non inferiore a quello indicato dall'art 22.”
653
Il documento previsto, inoltre, dovrebbe essere l’esito di scritture contabili cronologiche e
sistematiche atte ad esprimere con compiutezza ed analiticità le operazioni poste in essere in ogni
periodo di gestione.
654
Tale adeguatezza si persegue attraverso il pieno rispetto dei principi di chiarezza, veridicità e
correttezza (che sostanziano la clausola generale informante il bilancio di esercizio civilisticamente
previsto) e dei principi di redazione e dei criteri di valutazione civilisticamente imposti (per un
approfondimento sul contenuto dei principi di redazione del bilancio civilistico, cfr. F. Ranalli, 1996,
Il bilancio di esercizio, Aracne, Roma). Ovviamente, sempre a detta di tale autore, proprio il pieno
651
Le esigenze di adattamento derivano dalle specificità di processo/prodotto/mercato
proprie delle ONLUS, rispetto alle imprese for profit e mutualistiche e sono volte ad
assicurare l’adeguata informazione655 ricercata.
Stato patrimoniale
Attivo
Passivo
A) Attivo fisso
I) Immobilizzazioni immateriali (collegate a:)
a) Attività istituzionali
b) Attività connesse
c) Attività promozionali e raccolta fondi
d) Attività a uso promiscuo
e) Funzionamento dell’ente
II) Immobilizzazioni materiali (collegate a:)
a) Attività istituzionali
b) Attività connesse
c) Attività promozionali e raccolta fondi
d) Attività a uso promiscuo
e) Funzionamento dell’ente
III) Immobilizzazioni accessorie
B) Attivo circolante
I) Rimanenze
II) Crediti
III) Disponibilità accessorie
IV) Ratei e risconti
V) Disponibilità liquide
A) Patrimonio netto dell’ente
I) Fondo di dotazione dell’ente
II) Apporti all’ente
III) Riserva per scopi dell’ente
IV) Risultato del periodo
B) Passività da terzi
I) Fondi per rischi ed oneri
II) Tfr
III) Debiti
IV) Ratei e risconti
V) Esigibilità liquide
Figura 5.1 f: esempio di schema di stato patrimoniale per le ONLUS. (Fonte: A. Matacena, 2000, p.
70)
Le figure 5.1 f, g, ed h, rappresentano gli schemi sintetici dei documenti contabili
richiamati, ma, a differenza di quelli precedentemente proposti, costruiti su esplicito
riferimento al bilancio civilistico ed adattabili per tipologia, dimensione e grado di
complessità organizzativa delle ONLUS e migliorati nel grado di utilizzabilità
informativa, e nelle modalità espositive656.
rispetto della chiarezza, veridicità e correttezza motiverà i necessari adattamenti (in parte richiamati
sopra) nella forma e nei valori contenuti, dei documenti richiamati qualora essi si conformino a quanto
previsto dagli artt. 2424 (contenuto dello stato patrimoniale) e 2425 (contenuto del conto economico)
del C.C. e a quanto generalmente condiviso dalla prassi dominante per i rendiconti finanziari ex
principi contabili CNDC e CNR.
655
L’informazione, tra l’altro, risponde solo ad obblighi civilistici, visto che la stessa non subisce
alcun vincolo fiscale (come invece accade per le imprese for profit), in quanto l’uso a fini fiscali di
detta informativa è funzionale solo alla verifica del rispetto dei vincoli imposti per godere delle
agevolazioni previste.
656
L’adattamento è stato ottenuto, continua Matacena, attraverso il miglioramento delle modalità
espositive di stato patrimoniale e conto economico (una più precisa classificazione per destinazione e
finanziaria dello stato patrimoniale e una più rispondente classificazione per natura dei componenti
Lo stesso decreto 460 del 1997, poi, impone anche di distinguere, all’interno
dell’attività complessiva, quella “direttamente connessa a quella istituzionale” (art.
25, p.to 1, lett. b)657.
Conto economico
A) Valore delle attività (tra cui:)
1. a) proventi delle attività istituzionali
1. b) proventi delle attività connesse
(da 2 a 4 come C.E. ex art. 2425 CC)
5. Proventi delle attività promozionali (contributi:)
5. a) contributi da Stato e/o Enti Pubblici
5. b) contributi da aziende for profit
5. c) contributi da privati
Totale
B) Oneri delle attività
(da 6 a 13 come C.E. ex art. 2425 CC)
14. Oneri diversi di gestione (tra cui:)
14. a) costi degli organi dell’ente
14. b) Rimborsi ai membri degli organi dell’ente
Totale
Differenza tra valore ed oneri delle attività (A - B)
C) Proventi accessori ed oneri accessori/ finanziari
15. Proventi accessori
16. Oneri accessori
17. Oneri gestione finanziaria
Totale
Differenza (A - B ± C)
D) Proventi ed oneri “eccezionali ed infrequenti”
18. Plusvalenze (ordinarie e straordinarie)
19. Minusvalenze (ordinarie e straordinarie)
20. Sopravvenienze ed insussistenze “attive”
21. Sopravvenienze ed insussistenze “passive”
Totale
Differenza (A - B ± C ± D)
22. Imposte e tasse del periodo
23. Risultato del periodo
Figura 5.1 g: esempio di schema di conto economico per le ONLUS. (Fonte: A. Matacena, 2000, p.
70)
del conto economico) e della tipologia di rendiconto (di tipo cash, previsto dai principi di generale
accettazione), nonchè attraverso la specializzazione degli stessi, funzionale alla tipologia ed alla
dimensione delle singole ONLUS. Questo consente un più ampio e articolato esame della situazione
patrimoniale (attraverso un’analisi orizzontale delle poste attive e passive di stato patrimoniale), di
quella finanziaria e monetaria (attraverso un’analisi verticale dello stesso stato patrimoniale e del
rendiconto finanziario) e della situazione economica (approfondendo sull’efficienze e la produttività
della gestione caratteristica e di quella globale).
657
Art. 25. “[…] b) in relazione alle attivita' direttamente connesse tenere le scritture contabili
previste dalle disposizioni di cui agli articoli […]; nell'ipotesi in cui l'ammontare annuale dei ricavi
non sia superiore a lire 30 milioni, relativamente alle attivita' di prestazione di servizi, ovvero a lire 50
milioni negli altri casi, gli adempimenti contabili possono essere assolti secondo le disposizioni di cui
al comma 166 dell'articolo 3 della legge 23 dicembre 1996, n. 662”.
Tale distinzione è collegabile: alla verifica del vincolo di non prevalenza delle
attività connesse rispetto a quelle istituzionali – riscontro del mantenimento del
finalismo solidaristico; al parametro di controllo di questo vincolo, rappresentato da
rapporto proventi connessi/costi complessivi caratteristici da mantenersi al massimo
uguale a 0.66 (due terzi)658, elementi conformanti il controllo della cosiddetta
trasparenza gestionale, ma non direttamente riscontrabili dai documenti sopra
esposti.
Rendiconto finanziario dei flussi di liquidità
Descrizione
Entrate correnti derivanti da:
Attività istituzionali
Attività connesse
Attività promozionali e raccolta fondi
Funzionamento dell’ente
A. Totale entrate correnti
Uscite correnti derivanti da:
Attività istituzionali
Attività connesse
Attività promozionali e raccolta fondi
Funzionamento dell’ente
Attività accessorie
Gestione finanziaria
B. Totale uscite correnti
C. Net cash generato/assorbito dalla gestione corrente (A – B)
+ Entrate derivanti da acquisizione di finanziamenti non a breve
- Uscite derivanti da rimborso di finanziamenti non a breve
+ Entrate derivanti da smobilizzo di attivo fisso
(sviluppate sulla base della classificazione delle attività prevista per le entrate correnti)
- Uscite derivanti da acquisto di attivo fisso
(sviluppate sulla base della classificazione delle attività prevista per le uscite correnti)
D. Net cash globale generato/assorbito
Figura 5.1 h: esempio di schema di rendiconto finanziario per le ONLUS. (Fonte: A. Matacena,
2000, p. 71)
La soluzione proposta da Matacena è il collegato sviluppo del conto economico delle
attività complessive verso una struttura a Margine Operativo Lordo (MOL), ad
658
Art. 10. “Organizzazioni non lucrative di utilita' sociale – […] 5. Si considerano direttamente
connesse a quelle istituzionali le attivita' statutarie di assistenza sanitaria, istruzione, formazione, sport
dilettantistico, promozione della cultura e dell'arte e tutela dei diritti civili, […], nonche' le attivita'
accessorie per natura a quelle statutarie istituzionali, in quanto integrative delle stesse. L'esercizio
delle attivita' connesse e' consentito a condizione che, in ciascun esercizio e nell'ambito di ciascuno
dei settori elencati alla lettera a) del comma 1, le stesse non siano prevalenti rispetto a quelle
istituzionali e che i relativi proventi non superino il 66 per cento delle spese complessive
dell'organizzazione.”
esempio tra gli allegati della nota integrativa (vedi figura 5.1 i), secondo cui è
prevedibile che siano soddisfatte le condizioni imposte dal D.Lgs. 460/97.
Come detto precedentemente, poi, la valutazione dell’economicità della ANP non
può essere fatta usando semplicisticamente i criteri sviluppati per le aziende for
profit: la contrapposizione tra proventi ed oneri di periodo per le non profit viene
fatta con un criterio di competenza non in senso tipico, ma in senso temporale (vedi
note dietro).
Non essendo i valori necessariamente intermediati dallo scambio di mercato, infatti,
si hanno immediati effetti sul significato attribuito all’equilibrio economico: un
risultato gestionale positivo non è necessariamente segno di una gestione
economicamente soddisfacente (eccesso di valore prodotto rispetto a quello
consumato), ma può semplicemente segnalare una sovrabbondanza di proventi
rispetto alle capacità operative della ANP.
In quest’ambito, la presenza di misure di performance (quali indicatori di risultato, di
processo, di consenso sociale, accanto a quelli monetari comuni nel for profit e quelli
di efficacia659) appare tanto più importanti quanto minore è il livello di scambio
economico presente nelle relazioni tra ANP e beneficiari-destinatari660.
Conto economico al MOL
Descrizione
Attività
istituzionali
Proventi
± (2,3 come C.E. ex art. 2425 CC)
+ (4 come C.E. ex art. 2425 CC)
+ Contributi
= Valore delle attività
- Costi diretti
- Costi fissi diretti
= Margine sui costi diretti
- Costi di funzionamento dell’ente
= Differenza tra valore e oneri attiv. compl.
± Proventi ed oneri accessori
- oneri di gestione finanziaria
± Proventi ed oneri “eccezionali ed
infrequenti”
- Imposte e tasse
= Risultato di periodo
Aree di attività
Attività
Attività
connesse promozion.
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
*
Totale
*
*
*
*
**
*
*
***
*
****
*
*
*
*
*****
Figura 5.1 i: esempio di schema di conto economico al “MOL” per le ONLUS. (Fonte: A. Matacena,
2000, p. 74)
659
660
Cfr. R. Anthony e W.D. Young, 1992, op. cit..
Cfr. C. Travaglini, 1999, op. cit., p.110-111.
Equilibrio econ. e fin.
INDICATORI
Efficacia
Efficienza
INDIC. DI RISULTATO
INDIC. DI PROCESSO
Clienti-beneficiari
INDICATORI DI
CONSENSO
Figura 5.1 l: relazioni causali tra gli indicatori. (Fonte: A. Pavan, E. Mulas,
2000, p.75)
Questi indicatori, di diversa natura, sono tra loro correlati a sistema: è così probabile
che un indicatore di processo, che testimonia l’inefficiente utilizzo delle risorse, sia
accompagnato da misure di cattiva qualità dei servizi, e conseguentemente da
insoddisfazione di utenti e stakeholder, producendo conseguenze sul profilo
finanziario ed economico reddituale (vedi figura 5.1 l)661.
In tal senso, poi, l’azienda non profit deve risultare efficace ancor prima che
efficiente, poiché il livello di raggiungimento dei fini istituzionali è la principale
espressione della convenienza a mantenere in vita l’azienda stessa662.
L’efficacia può essere definita come la capacità di un’azienda di raggiungere gli
obiettivi prefissati in sede di programmazione; nel processo produttivo è
rappresentata, in un dato momento, dal rapporto che esiste tra gli output del processo
e quelli obiettivo che potenzialmente questo consente di ottenere663.
661
Cfr A. Pavan, E. Mulas, 2000, op. cit., p. 75.
Cfr. S. Arduini, 1999, Gli indicatori di efficacia nelle aziende non lucrative, in Matacena A. (a
cura di), Aziende non profit: scenari e strumenti per il terzo settore, EGEA, Milano, p. 129 e segg.
663
Questo concetto si discosta nettamente da quello di efficienza. Secondo una definizione ormai
“classica” per l’economia d’azienda, l’efficienza è un indicatore del modo in cui i processi produttivi
o erogativi sono attivati. Questa è determinata dal rapporto tra output ottenuto e fattore impiegato,
ossia il livello quantitativo del “prodotto” per ciascuna unità di input impiegato; indica inoltre anche il
livello di oneri sostenuti per la produzione. I principali indicatori di efficienza sono rappresentati,
quindi, dai rendimenti e dai costi. In conclusione, la differenza tra efficienza ed efficacia può essere
così schematizzata:
Efficienza = output effettivi / input effettivi
Efficacia = output effettivi / output desiderati
Cfr. S. Arduini, 1999, op. cit., p. 129 e segg.
662
Nelle realtà non profit il concetto di efficacia assume determinate caratteristiche. E’
innanzitutto tendenzialmente “relativo”, nel senso che l’azienda può risultare tale con
riferimento ad uno specifico obiettivo, ma non rispetto ad un altro, ancora più
accentuato nelle ANP che lavorano per progetti.
Un
secondo problema riguarda la definizione stessa di efficacia. L’indicatore
generico attraverso cui questa si misura, risulta essere:
Output ottenuti
Output programmati
I principali problemi che si riscontrano nella pratica applicazione di tale quoziente
riguardano :
•
la quantificazione dell’output ottenuto (se l’oggetto non ha materialità, come
un servizio)664;
•
la definizione dell’output-obiettivo665.
Alcuni autori propongono poi di misurare l’output delle ANP in termini di qualità di
beni e servizi prestati, così come percepita dai beneficiari. In termini del tutto
generali, la qualità può essere considerata come un indicatore di efficienza, potendo
essere misurata mediante la valutazione del rapporto (qualità = rendimenti/costi);
diviene però un valido indicatore di efficacia allorché la soddisfazione dei beneficiari
avviene solo se vengono rispettati determinati standard qualitativi e se il livello della
prestazione è considerato accettabile666.
La meta che una ANP si prefigge di raggiungere, poi, non necessariamente è
rappresentata da un dato volume di beni o servizi; essa può, al contrario,
predeterminare il numero di beneficiari, o la quantità di prestazioni da erogare a
664
Per servizi erogati non immediatamente quantificabili in termini fisici o di valore, esiste sempre
una qualche misura di volume delle attività svolte dall’azienda, potendo essere quantificati sia
mediante espressioni, monetarie e non, (ad esempio fondi devoluti a favore di terzi beneficiari; il
numero di pasti giornalieri forniti da una mensa), sia con il ricorso a variabili “dummy”,
rappresentative dell’effetto che l’utilizzo di beni e servizi produce sui beneficiari (ad esempio, il
numero di pazienti guariti per un’azienda sanitaria, in luogo del volume delle prestazioni erogate).
665
Il problema di definizione di questi è ricollegabile al processo di programmazione aziendale, e dei
piani operativi, che hanno il compito di specificare accuratamente e in maniera facilmente
interpretabile gli obiettivi, pluriennali e annuali, e di quantificarli e renderli misurabili, per poi
assegnare strumenti e mezzi, strategie e tattiche per il loro conseguimento.
666
Alcuni indicatori di qualità vengono ravvisati nei “tempi di evasione” rispetto a quelli medi; la
frequenza nella erogazione (per prestazioni continuative); il tasso di abbandono del servizio da parte
della clientela; il livello di affollamento rispetto a situazioni do ottimale erogazione; il numero di
reclami rispetto al numero di utenti. Cfr. S. Arduini, 1999, op. cit., p. 134 e segg.
ciascuno di essi; può, inoltre, prescegliere l’obiettivo di erogare beni e servizi senza
superare un determinato valore degli oneri medi per utente, cercando quindi di
sostenere un ammontare minimo di oneri; oppure servire, in un dato periodo di
tempo, un certo numero di soggetti e così via.
In conseguenza di ciò, per le aziende non profit che assumono il carattere di imprese
si hanno gli indicatori espressi nella figura 5.1 m.
Generici indicatori di efficacia per le imprese non profit
Quantità di beni/servizi totali effettivi
Quantità di beni/servizi totali programmati
Quantità di beni/servizi totali effettivi per utente
Quantità di beni/servizi totali programmati per utente
Oneri medi effettivi
Oneri medi programmati
Numero di utenti effettivi
Numero di utenti programmati
Oneri totali effettivi
Oneri totali programmati
Figura 5.1 m: indicatori generici di efficacia per le ANP. (Fonte: S. Arduini, 1999, p.137)
Tali indicatori, peraltro, sono piuttosto generici; al fine di individuare quozienti
significativi delle condizioni più specifiche per le ANP, occorre una “tipizzazione”
delle numerose aziende del terzo settore. In particolare, utilizzando la classificazione
proposta da Capaldo667, si possono distintamente analizzare le problematiche di
misurazione dell’efficacia di:
•
aziende di erogazione, distinguendo all’interno associazioni e fondazioni;
•
imprese sociali, con esplicito riferimento alle cooperative sia di tipo A (gestori di
servizi socio-sanitari), che di tipo B (di reinserimento di lavoratori
svantaggiati)668.
Allo scopo di valutare l’efficacia dell’operato delle aziende non profit con carattere
produttivo orientate verso il “mercato”, si suggeriscono alcuni indicatori per le
667
Vedi par. 2.4 del presente lavoro, e cfr. P. Capaldo, 1996, op. cit..
Non saranno invece oggetto di specifica analisi le aziende autoproduttrici, in quanto la loro attività
è principalmente rivolta al soddisfacimento dei bisogni dei soggetti che le costituiscono, i quali
rappresentano gli unici destinatari dei processi di produzione ed erogazione.
668
imprese sociali669, contenuti nella figura 5.1 n, che per tale fine si distinguono da
quelli utili ad associazioni670 e fondazioni671.
Indicatori di efficacia per le imprese sociali
Obiettivo
Numero di lav. svantaggiati che hanno ricevuto una formazione
Numero complessivo di soggetti svantaggiati
Numero di lav. svantaggiati collocati nel mondo del lavoro
Numero complessivo di soggetti svantaggiati
Numero di lav. svantaggiati impiegati all’interno della cooperativa
Numero complessivo dei dipendenti
inserimento
lavorativo e
formazione
(Coop.Soc.
tipo B)
Remunerazione annualmente corrisposta ai soggetti svantaggiati
Remunerazione media annua del mercato
Tariffe applicate ai servizi erogati
Prezzi “privati” dei servizi erogati
Erogazione di servizi
(Tipo A)
Figura 5.1 n: Indicatori di efficacia per le imprese sociali e relativo scopo in relazione agli
obiettivi. (Elaborazione propria).
669
Le cooperative che offrono opportunità di lavoro a soggetti svantaggiati perseguono almeno uno
dei due obiettivi: la formazione ed inserimento di questi nel mondo del lavoro, la creazione di
opportunità di impiego all’interno della stessa cooperativa, consentendo ai beneficiari di ricevere una
remunerazione tendenzialmente in linea con quelle di mercato per analoghi settori. Con riferimento
alla cooperative che erogano servizi socialmente utili si può calcolare lo spread tra le tariffe
dell’azienda e i prezzi di mercato per servizi analoghi. I fini dell’impresa sociale possono essere molto
variegati, sia a seconda del servizio erogato, che della prevalenza o meno del carattere mutualistico
rispetto all’obiettivo solidaristico, potendo distinguersi, sotto quest’ultimo aspetto, somiglianze con le
ANP autoproduttrici (prevalente la mutualità, come nelle classiche cooperative) o, all’opposto, con le
associazioni (se prevalente è la solidarietà). Questo origina un diverso range di indicatori utilizzabili.
Cfr. S. Arduini, 1999, op. cit., pp. 141-142.
670
Caratteristica distintiva di tali organizzazioni è rappresentata dalla tendenziale gratuità dei beni e
servizi erogati, volti alla soddisfazione della situazione di indigenza di soggetti esterni. Il
raggiungimento di tale scopo ideale è il principale fine dell’azienda. Spesso gli associati che
programmano l’attività non sono portatori di adeguate competenze, incidendo questo sulla
realizzabilità degli obiettivi programmati e dovendo, quindi, misurare anche gli oneri sostenuti rispetto
a quelli programmati. Ulteriore problema è quello del free-riding dei destinatari, che porta ad un
consumo superiore alla effettiva necessità. Queste problematiche comportano che: (a) l’associazione
debba usare anche indicatori di efficienza, per ridurre gli “sprechi”; (b) l’efficacia deve misurarsi
anche nella capacità di diffondere i valori di cui l’azienda è portatrice per raccogliere risorse
monetarie necessarie per la sopravvivenza. E’ inoltre opportuno distinguere l’aleatorietà dei contributi
da terzi, per verificare la “stabilità” dei finanziamenti. Infine, il grado di efficacia si può misurare
anche attraverso il rapporto tra volontari ed utenti rispetto ad uno standard accettabile che assicuri una
certa qualità e “vitalità”. Cfr. S. Arduini, 1999, op. cit., pp. 138-140.
671
Caratteristica distintiva delle fondazioni è la presenza di un patrimonio finalizzato a scopi ideali,
come la sovvenzione di attività di assistenza e beneficenza. In forza di questo, il problema è
rappresentato dalla preservazione del capitale cercando di ottenere, dai fondi investiti, flussi di reddito
congrui e spendibili (al netto delle imposte e degli oneri di mantenimento della fondazione) rispetto al
target di risorse necessarie. Spesso la fondazione sostiene progetti a carattere pluriennale, dovendo
quindi confrontare il valore attuale netto (VAN) dei redditi da patrimonio rispetto agli oneri futuri
attesi dal progetto, ed utilizzare un adeguato tasso di attualizzazione che comprenda anche il rischio.
Cfr. S. Arduini, 1999, op. cit., pp. 140-141.
L’esauriente utilizzo degli indicatori di efficacia, tuttavia, non può prescindere da
un’analisi accurata dell’ambito operativo della singola ANP, nonché delle
caratteristiche distintive dei beni e servizi che questa eroga. Molteplici altri possono
essere gli indici utilizzabili, a seconda degli aspetti considerati rilevanti; in ogni caso,
l’analisi risulta significativa solo se i risultati sono affidati non ad un unico
quoziente, ma ad un sistema di questi in modo coordinato.
5.2 La rendicontazione sociale
Secondo alcuni autori672, il tema della rendicontazione sociale delle strutture non
profit è destinata, in un futuro ormai prossimo, ad assumere una valenza ed
un’importanza notevole sia nel processo di legittimazione sociale di tali aziende “sul
mercato” (inteso come società civile), sia come strumento di marketing per la
“raccolta fondi”, attività che necessita di trasparenza e di rendicontazioni precise
nell’ambito del rapporto con i propri stakeholder, e che si differenzia nel significato
rispetto a quanto si può rilevare nelle aziende for profit.
Il bilancio sociale, strumento principe673 della rendicontazione “istituzionale” (o
“etica, o “sociale”674), non costituisce tuttavia una novità675, almeno se riferito alle
imprese for profit; il fatto recente consiste nel leggere la validità e l’utilità di questo,
e più in generale della rendicontazione sociale, nel contesto delle strutture non profit,
dove “l’unico bilancio che abbia un peso ed una sostanza è proprio il bilancio
672
Cfr. L. Hinna, 2000, Il bilancio di missione. La rendicontazione contabile e sociale nelle strutture
non profit, in Rivista Italiana di Ragioneria e di Economia Aziendale luglio/agosto, p. 358.
673
Cfr. L. Hinna , 2002 b, Spinte al cambiamento manageriale nelle strutture sanitarie, in Hinna L. (a
cura di), Management in sanità: scenari, strumenti e casi, Aracne, Roma, cap. 1.
674
Cfr. G. Marcon, M. Tieghi, 2000, op. cit., pp. 96.
675
Introdotto negli anni settanta in Francia, dove a seguito di grandi tensioni sindacali fu gestito come
strumento di comunicazione verso i dipendenti delle imprese, approda poi in Germania dove si erano
registrate le prime esperienze già a partire dagli anni trenta; introno al 1980, infine, divenne oggetto di
osservazione da parte di alcuni importanti studiosi di economia d’azienda e scienziati della
comunicazione (Cfr. A. Hinna, 2002 b, op. cit., p. 413). Tra i contributi dei primi autori che si
dedicarono al tema, ricordiamo: A. Matacena, 1984, Impresa e ambiente: il bilancio sociale, CLUEB,
Bologna; F. Superti Furga, 1977, Note introduttive al bilancio sociale, in Sviluppo e Organizzazione,
n. 44; F. Vermiglio, 1984, Il bilancio sociale d’impresa nel quadro evolutivo del sistema di impresa,
Grafo Editor, Messina. Seguono poi: P.E. Cassandro, 1989, Sul cosiddetto bilancio sociale
dell’impresa, in Rivista Italiana di Ragioneria ed Economia aziendale, n. 7/8; A. Pasini, 1988, Il
bilancio sociale, in Amministrazione e finanza, n. 16; G. Rusconi, 1988, Il bilancio sociale d'impresa,
Giuffrè, Milano; O. Gabrovec Mei, 1993 a, Il bilancio sociale, in Amministrazione e finanza, n. 6.
declinato in chiave sociale e in relazione alla missione che la struttura non profit si è
data”676.
Il tema della rendicontazione sociale è trasversale a quello dell’”etica ed
economia”677, che ha attraversato, quest’ultimo, una successiva distinzione: si va
dall’etica dell’impresa, che viene legata ai codici etici dell’azienda; all’etica
nell’impresa, caratterizzata dalla divulgazione di questo concetto come valore
organizzativo; all’etica nella conduzione dell’impresa, intesa come interpretazione ed
attuazione di tale codice da parte dei managers, che essendo appunto etico, si pone
nello spazio tra norma e comportamento.
In questo terreno si radica poi la stakeholder theory678, “teoria dei partecipanti
dell’azienda”, la quale sostiene la necessità, per l’impresa, di soddisfare ogni
partecipante, coinvolgendo non solo l’azionista, il dipendente, il fornitore, il cliente,
il management, bensì l’intero “contesto sociale”: tutti questi portatori di interessi
esigono un “rendicontazione”, indipendentemente dal carattere non profit, pubblico,
o for profit dell’azienda, come condizione di “esistenza” a pieno titolo nell’ambiente.
Occorre inoltre aggiungere che la rendicontazione esclusivamente contabile di
carattere strettamente economico trasmette valori ed informazioni percepibili solo da
alcuni degli stakeholder, ossia quelli che hanno un legame economico con l’azienda,
“escludendo” tutti gli altri portatori di interessi extra-economici, ma certamente
sociali.
Si passa così a dover contabilizzare un nuovo elemento negli schemi di bilancio,
ossia la fiducia679 degli stakeholder, espressa non più solamente dai risultati
economici (quelli espressi nell’ultima riga del conto economico a scalare, la “bottom
676
Cfr. L. Hinna, 2000, op. cit., p. 360.
Tra i vari autori che hanno composto il quadro sul tema, ne ricordiamo solo alcuni: V. Coda, 1989,
Etica e impresa: il valore dello sviluppo, relazione presentata al seminario interdisciplinare su Etica
ed Impresa svoltosi presso il CIS, Rocca di Valmadrera, 24 giugno; O. Gabrovec Mei, 1993 b,
Economia ed etica nei valori dell’impresa, in Scritti in onore di Carlo Masini, Tomo I, Egea, Milano;
G. Rebora, 1981, Comportamento d’impresa e controllo sociale, ETAS Libri, Milano; F. Manni,
1994, Responsabilità sociale e informazione esterna d’impresa: problemi, esperienze, e prospettive di
bilancio sociale, Giappichelli, Torino; M.A. Massei, 1992, Interesse pubblico e responsabilità
sociale, EGEA, Milano; G. Rusconi, 1997, Etica e impresa. Un’analisi economica aziendale,
CLUEB, Bologna.
678
Cfr. T. Donaldson, E. Preston Lee, 1994, Stakeholder Aziendali, in Sviluppo ed Organizzazione,
18.
679
La principale complessità nel fare ciò deriva non solo dalla intangibilità di questo elemento
dell’attivo patrimoniale, quanto dalla natura di sommatoria di elementi intangibili che compongono la
fiducia: valori, atteggiamenti, rispetto delle regole, governance, onestà, etica, in sintesi, il consenso
dell’opinione pubblica.
677
line”), bensì anche da quelli ambientali e sociali (addivenendo ad un approccio “su
tre righe” di un ipotetico conto economico, cioè “triple bottom line”)680, segnando un
progressivo allargamento del concetto di accountability, da modulare sulla domanda
della società civile, non sulla disponibilità a rendicontare delle imprese681. La
rendicontazione sociale nasce quindi come tentativo di superare i limiti di quella
economica, affiancandola a quella ambientale e sociale; il suo compito è quello di
“spostare” il contenuto del concetto di valore da tre a quattro elementi: per gli
azionisti, i dipendenti, l’impresa, ed ora, anche per la società (vedi figura 5.2 a).
Dalla RESPONSABILITA’ solo ECONOMICA alla
AZIONISTI
RESPONSABILITA’ SOCIALE
AZIONISTI
SOCIETA'
responsabilità
sociale
VALORE
PER
DIPEN
IMPRESA
responsabilità
economica
DIPENDENTI
one bottom line
IMPRESA
triple bottom line
Dalla RENDICONTAZONE ECONOMICA alla RENDICONTAZIONE SOCIALE
Figura 5.2 a: dal triangolo del valore al quadrilatero del valore. (Fonte: L. Hinna, 2002, p.
75)
In tale contesto la rendicontazione dell’impegno sociale, finisce per essere un fattore
competitivo dell’azienda, con valenza diversa a seconda del tipo di azienda, ma
comunque positivo682.
In linea generale, per le imprese for profit, la pubblicazione di un bilancio sociale è
riconducibile ad un triplice ordine di motivi:
•
la consapevolezza che l’attività d’impresa produce effetti sociali che la
contabilità economica generale non riesce a cogliere e rappresentare;
680
Cfr. Commissione delle Comunità Europee, 2001, Libro verde “Promuovere un quadro europeo
per la responsabilità delle imprese”, Bruxelles, p. 19.
681
Cfr. L. Hinna, 2002 b, op. cit., p. 71
682
Cfr. L. Hinna, 2000, op. cit., p. 361-362.
•
la convinzione che la riclassificazione dei dati di bilancio può mettere in
evidenza significativi effetti sociali dell’attività d’impresa;
•
una visione d’impresa come centro di convergenza di vari gruppi di soggetti.
Ciò nonostante, la massimizzazione del profitto rimane sempre il meccanismo
principale di orientamento dell’attività imprenditoriale ed il reddito si configura
come fine e miglior strumento di valutazione del perseguimento dei fini aziendali683.
Da queste considerazioni deriva che la rendicontazione sociale si pone a
completamento ed integrazione del bilancio di esercizio, il quale, se redatto in
maniera trasparente, rimane lo strumento di fondamentale informazione dei risultati
aziendali raggiunti. In quest’ambito il bilancio sociale può essere visto come sistema
contabile e descrittivo che tratta dei costi e dei ricavi non direttamente afferenti alla
gestione caratteristica, raccontando i comportamenti sociali dell’impresa, aldilà di
quello che essa scambia sui mercati dei prodotti e servizi.
Gli scopi per cui viene genericamente redatto vengono individuati in: pubbliche
relazioni (per dare un’immagine positiva dell’impresa); strategia sociale (ossia come
strumento per verificare i risultati raggiunti in relazione alle attese degli stakeholder);
difesa documentata (contro atti di accusa che minano la sopravvivenza dell’impresa);
miglioramento delle relazioni industriali. In relazione a questi, i contenuti
usualmente rendicontati sono: il valore aggiunto prodotto e/o distribuito; condizioni
di vita o lavoro dei dipendenti; impatto sull’ambiente; rapporto con consumatori e
clienti; rispetto dei diritti dell’uomo; trattamento delle emarginazioni e delle
minoranze; comportamenti corretti nelle pratiche di affari e con i pubblici poteri;
impatto socio-economico-culturale sulla comunità circostante.
In relazione ai contenuti ed alla struttura, si possono evidenziare diversi modelli di
bilancio sociale.
Rispetto ai contenuti, Rusconi, in una classificazione poi ripresa da Andreaus,
propone una distinzione tra i diversi strumenti informativi utilizzabili, precisando che
questi non sono nettamente separabili, essendo i bilanci sociali strumenti compositi,
ed il loro “peso”: l’elenco delle spese sociali; l’inventario sociale; l’analisi dei
683
Cfr. A. Propersi, 1999, op. cit., pp. 14-16.
programmi; gli indicatori
sociali standardizzati; il
bilancio socio-economico
calcolo
del
valore
aggiunto)684.
Massei, invece, inquadra
questi
strumenti
Risorse dedicate
(analisi costi-benefici e/o
Bilancio sociale
Analisi costi-benefici
Informazioni sociali ed indicatori
Budget e programmi sociali
Descrizione azioni sociali
nell’ambito della tutela
dell’interesse pubblico in
ottica di relazione PA-
Grado di intensità della responsabilità sociale
Figura 5.2 b: gli strumenti di misurazione dell'interesse pubblico.
(Elaborazione su M.A. Massei, 1992)
imprese. L’autrice, seppur
con differente tassonomia rispetto alla precedente ma sostanzialmente in accordo per
quanto riguarda i contenuti, ritiene che strumenti di misurazione della responsabilità
sociale siano: la descrizione delle azioni sociali; il budget e i programmi sociali;
informazioni sociali ed indicatori; analisi costi-benefici; bilancio socio-economico685.
684
Il primo modello viene definito come la “proposta più semplice”, in quanto vengono contemplate
solamente le spese sostenute dall’azienda nell’ambito del proprio ruolo sociale; in alcune
configurazioni, queste possono essere collegate al conto economico per indicare costi sostenuti senza
corrispondenti impegni contrattuali e giuridici, rimanendo comunque un mero elenco di iniziative
prese, senza considerazioni né di efficacia, tanto meno di efficienza. L’inventario sociale è un modello
più completo del precedente, consistendo in una rappresentazione dettagliata delle conseguenze sociali
derivanti dall’attività aziendale, realizzati tramite varie unità di misura e modalità espositive; i dati
non vengono tuttavia collegati tra loro, complicando l’operazione di sintesi e la comparabilità.
L’analisi dei programmi raccoglie valutazioni fatte su specifici obiettivi, facilitando il calcolo
dell’efficienza e dell’efficacia. Il quarto modello rappresenta una serie di dati statistici relativi ai
risultati sociali conseguiti in determinate aree e quindi risulta assimilabile a quello per obiettivi, ma se
ne differenzia per la sistematizzazione e standardizzazione di voci e misure, facilitando la
comparabilità. Il bilancio socio-economico ha lo scopo principale di giungere ad un dato complessivo
sul risultato aziendale, fornendo una valutazione socio-economica dell’intera gestione; i contenuti
possono assumere differenti configurazioni a seconda della complessità e soggettività delle
valutazioni: (a) calcolo del valore aggiunto; (b) presentazione di analisi quantitative costi-benefici.
Cfr. M. Andreaus, 1996 a, op. cit., pp. 222 e segg. ; G. Rusconi, 1988, op. cit., p. 55.
685
I primi due sono consequenziali l’uno all’altro, poiché la descrizione è condizione necessaria per la
progettazione del budget; sono modalità per intervenire nelle aree di interesse pubblico indicate dalle
amministrazioni, soprattutto quando queste non dispongono di un adeguato sistema diretto di
misurazione degli effetti esterni. Si distinguono tre modalità di intervento: la descrizione non
formalizzata delle azioni sociali rispetto al rapporto tra risorse disponibili e risultati ottenuti;
l’indagine sulla “percezione del bisogno” (rispetto a quanto indicato dalla P.A.) per rilevare standard
di aspettative della comunità su cui basare i programmi; progettazione, coordinamento e realizzazione
di autonomi programmi sociali (massima discrezionalità). Il terzo strumento viene considerato un
affinamento dei precedenti, ampliando l’oggetto di rilevazione agli effetti esterni causati dalle imprese
a vantaggio e svantaggio della comunità e della qualità della vita; non impone di per sé delle decisioni,
ma fornisce elementi al processo decisionale o interpreta risultati conseguiti. Le informazioni sociali
Tali strumenti sono poi classificabili secondo il grado di intensità di responsabilità
sociale cui assolvono e a seconda delle risorse da dedicare per adempiere a tale
funzione come nella figura 5.2 b.
Uno dei temi maggiormente dibattuti in merito al contenuto del bilancio sociale, sia
in ambito for profit che non profit, è la predisposizione di bilanci socio-economici, il
cui scopo è quello di reinterpretare i risultati economici dell’azienda al fine di far
emergere gli aspetti sociali della gestione. La soluzione da più parti proposta, è
quella di evidenziare la ricchezza prodotta e quella distribuita ai vari interlocutori
dell’azienda, costruendo un prospetto per l’analisi economica del valore aggiunto
(VA)686, partendo dallo schema di conto economico e reinterpretando in chiave
possono assumere diverse forme (quantitativa o descrittiva, neutrale o valutativa) e scopi: lo sviluppo
di informazioni sugli effetti sociali del comportamento d’impresa, stabilire obiettivi e standard,
misurare l’efficacia degli sforzi profusi. L’analisi costi-benefici consiste in un processo di valutazione
e di selezione degli impieghi alternativi capaci di perseguire un livello di razionalità decisionale
maggiore rispetto ai processi di negoziazione politica e sociale (Cfr. E. Borgonovi, R. Dellamano,
1983, L'analisi costi-benefici, Fondazione Smith Kline, F.Angeli, Milano, p. 21); è uno strumento
particolarmente utile per confrontare le alternative piuttosto che per giudicare in termini di
massimizzazione del vantaggio di un intervento rispetto ad un altro; inoltre, è utilizzato soprattutto
nelle decisioni riguardanti l’allocazione delle risorse tra aree di interesse pubblico, correlando gli
effetti di specifici programmi sociali alle risorse impiegate, misurando in termini economici l’utilità
dei programmi selezionati (cfr. M.A. Massei, 1992, op. cit., p. 181 e segg.). Nella letteratura l’ultimo
strumento, il bilancio socio-economico, è uno strumento contabile che ha lo scopo di rendere
trasparente le informazioni quali-quantitative sulle azioni poste in essere dall’impresa per seguire la
responsabilità sociale (Cfr. D. Votaw , P. Sethi, 1973, The corporate dilemma, Prentice-Hall,
Englewood Cliffs, N.J.; N. Jacoby, 1973, Corporate power and social responsibility, MacMillan, New
York; S. Salvemini, 1978, A che punto siamo con il bilancio sociale?, in Sviluppo e Organizzazione,
n. 47; J. Bonal, 1982, Il bilancio sociale dell'impresa, in L'impresa e l'ambiente, prospettiva del
management ambientale, Etas Libri, Milano; A. Matacena, 1984, op. cit.). Essendo inoltre uno
strumento di informazione per la presa di decisioni di natura sociale (Cfr. E. Cavalieri, 1981, Aspetti
sociali dell'informazione, in Rivista Italiana di Ragioneria e di Economia Aziendale, n.3, p.118), esso
costituisce un momento di sintesi dei valori economico finanziari diretti e derivati dal processo di
valorizzazione degli effetti sociali, processi condotti con metodologie diverse, anche allo scopo di
comparare i risultati di diversi periodi amministrativi (Cfr. F. Superti Furga, 1977, op. cit., p. 22; L.
Selleri, 1982, Il bilancio d'esercizio d'impresa in un ambiente in profondo cambiamento, in Rivista dei
Dottori Commercialisti, n.4, p. 873). Per un approfondimento, cfr. M.A. Massei, 1992, op. cit., cap. 5.
686
Non esiste una definizione univoca di valore aggiunto. Si possono inizialmente distinguere due
logiche di interpretazione: una prima, utile ai fini del presente lavoro, considera tale grandezza
economica in ottica sociale, atta a misurare i risultati gestionali in una logica di ricerca del consenso
basata su rapporti partecipativi; un’altra che la considera in ottica esclusivamente economica (cfr. M.
Andreaus, 1996 a, op. cit., p. 160). La definizione maggiormente diffusa è quella che vede tale
aggregato come la “maggior ricchezza” che scaturisce dalla gestione dell’azienda, ossia come
differenza tra il valore dei beni e servizi che l’azienda acquista all’esterno (input) ed il valore dei beni
e servizi che l’azienda colloca sul mercato al termine del ciclo produttivo (output) (cfr. G. Airoldi, G.
Brunetti, V. Coda, 1994, Economia Aziendale, Il Mulino, Bologna). Altri definiscono il VA come quel
valore creato esclusivamente dall’attività dell’impresa e dei suoi dipendenti, misurato dalla differenza
tra il valore di mercato dei beni prodotti ed il costo dei beni e dei materiali acquistati da altri
produttori, ossia ciò che essa addiziona ai beni e servizi consumati dopo l’acquisto sul mercato, per
effetto della trasformazione (Cfr. A. Matacena, 1984, op. cit.).
sociale i risultati economici687. Tale riclassificazione , inoltre, migliorerebbe la
capacità informativa (soprattutto nel caso di “imprese sociali”, vedi capitoli
precedenti) di tale conto, facendogli assumere un ruolo di strumento strategico di
comunicazione688.
Trattandosi però di una reinterpretazione della tradizionale informazione economica,
essa rientra comunque nell’ambito di quest’ultima, e non di quella sociale: la dottrina
economico aziendale tende quindi, prevalentemente, a non far coincidere il bilancio
sociale con tale riclassificazione689. L’analisi del valore aggiunto non va pertanto
confusa con il bilancio sociale, ma al più può costituire una valida base di partenza
per la costruzione di tale documento690.
Partendo da tali presupposti, le varie remunerazioni corrisposte ai differenti
interlocutori non sono più viste come un costo, bensì come una distribuzione della
ricchezza creata. Lo schema di calcolo di questo aggregato, utile per interpretare
calcoli algebrici691, può essere rappresentato come nella figura 5.2 c692.
687
Per approfondimenti sul conto economico a valore aggiunto, cfr. M. Andreaus, 1996 a, op. cit., pp.
159-196; A. Matacena, 1984, op. cit., pp. 135-159; G. Rusconi, 1988, op. cit., pp. 64-66; O. Gabrovec
Mei, 1984, Il valore aggiunto d’impresa, Libreria Goliardica, Trieste .
688
Cfr. G. Marcon, M. Tieghi, 2000, op. cit., p. 98.
689
Alcuni degli autori che aderiscono a tale impostazione sono già stati citati, e a questi si rimanda:
Andreaus, Rusconi, Cassandro, O. Gabrovec Mei.
690
Cfr. M. Andreaus, 1996 a, op. cit., p. 160.
691
Le determinazioni del VA derivano da flussi informativi mutuati dalla contabilità generale,
potendo quindi, come detto, operare riordinando la classi di valori contenuti nei prospetti di Conto
Economico (C/E), integrati dai flussi informativi sulla destinazione del risultato scaturenti dalla
Relazione sulla gestione. Valgono infatti le seguenti relazioni:
[1] VA = VGP – CI
[2] VA = Σ remunerazione degli interlocutori interni
dove: VGP = valore globale della produzione
CI = consumi intermedi
Il risultato della trasposizione degli elementi di C/E e di riparto del reddito sono due distinti prospetti:
quello di determinazione del valore aggiunto [1] e quello di riparto del VA [2], tra loro equivalenti.
Tale equivalenza viene dimostrata dalle seguenti relazioni algebriche che esprimono la
determinazione del reddito e il sui riparto:
[3] R. Car. – (CI + RP + RPA + RCC) ± CO. Acc. e Str. - AMM = U
[4] U = Div + Acc. Ris. + DL + IR
dove : R. Car. = ricavi caratteristici
CO.Acc. Str.= componenti accessori e
CI = consumi intermedi
straordinari
RP = remunerazioni del personale
AMM = ammortamenti
RPA = remunerazione della PA
Div = dividendi
RCC = remunerazione del capitale di credito
Acc. Ris. = accantonamenti a riserva
IR = imposte sui redditi
DL = distribuzioni liberali
Congiungendo a sistema le due relazioni ed operando le necessarie trasposizioni si ottiene la seguente
uguaglianza, la quale esprime l’equivalenza numerica tra il va determinato nei due prospetti:
(R. Car. – CI) ± CO.Acc. e Str. - AMM = RP + RPA + RCC + Acc. Ris. + Div + DL
sezione di determinazione = sezione di riparto
Cfr. O. Gabrovec Mei, 2002, Bilancio sociale e valore aggiunto, in Hinna L. (a cura di), 2002 c, Il
bilancio sociale, Il sole 24 ore, Milano, pp. 373 – 375.
Negli ultimi anni, per completare infine il quadro di riferimento sulla
rendicontazione sociale in ambito for profit, si nota un grande sviluppo di studi
AMBIENTE
(inputs)
AZIENDA
(permutatore)
AMBIENTE
(outputs)
Valore delle risorse che
l’azienda acquista
dall’ambiente
(materie prime e servizi)
Attività di trasformazione che
accresce il valore delle risorse
acquisite
Valore delle risorse che
l’azienda cede all’ambiente
(merci e servizi)
Valore Aggiunto Lordo
AMMORTAMENTI E
QUOTE AI FONDI RISCHI
Valore Aggiunto Netto
Ricchezza distribuibile
INTERESSI
PASSIVI
TRIBUTI
RETRIBUZIONI
BENEFICI
SOCIALI
NETTI
INTEGRAZ.
SALARIALI,
SERV. VARI
UTILE
D’ESERC.
Finanziatori
P.A.
Dipendenti
Collettività
Soci/Associati
Potenziam.
azienda
Interlocutori aziendali
Figura 5.2 c: formazione del valore aggiunto e sua distribuzione, schema esemplificativo. (Fonte:
M. Andreaus, 1996, p. 162)
692
La parte superiore della figura rappresenta il ciclo di produzione che dà luogo alla creazione di
valore aggiunto. La particolarità del processo di determinazione consiste nella collocazione degli
ammortamenti “a valle” della determinazione dell’output, ma non della ricchezza distribuibile:
mancando in dottrina una precisa posizione circa la collocazione di questa voce nello schema (da una
parte, considerata come parte integrante del VA, come ricchezza da destinare ad autofinanziamento,
oppure, diversamente, come costo correlato con l’utilizzo di un fattore produttivo a fecondità ripetuta),
si opta quindi per una collocazione fuori dei costi relativi ad input di beni e servizi, ma a monte della
determinazione della ricchezza distribuibile. La parte inferiore dello schema evidenzia invece il
processo di distribuzione della ricchezza prodotta, evidenziando i maggiori interlocutori dell’azienda,
collegando a questi le voci di conto economico che derivano direttamente dal rapporto intercorrente
con la stessa azienda (di lavoro, di finanziamento, di compartecipazione, ecc.) i quali, anziché essere
considerati costi d’esercizio, vengono considerate come distribuzione della ricchezza. Cfr. M.
Andreaus, 1996 a, op. cit., pp . 162-165.
teorici ed applicazioni del bilancio sociale d’impresa, che ha comportato lo sviluppo
di principi, regole e modelli di redazione, per lo più su base volontaria693; possono
quindi essere presentati in maniera estremamente sintetica diverse strutture di
bilancio sociale.
Il modello di redazione del bilancio sociale di Comunità e Impresa si articola in
cinque sezioni: mission e vision aziendale in relazione ai rapporti con la società e la
cultura d’impresa; il calcolo della distribuzione del valore aggiunto; la mappatura
degli stakeholder significativi e delle interazioni strategiche con l’impresa; il budget
sociale;la valutazione della qualità sociale (VQS)694. Momento centrale e qualificante
di questo tipo di bilancio è la mappatura degli stakeholder e l’influenza nella vita
dell’azienda,
utilizzando
criticamente
diversi
schemi
di
valutazione
del
comportamento d’impresa nei confronti dei vari interlocutori.
Il bilancio sociale proposto dal GBS (gruppo di studio sul bilancio sociale) si
compone, invece, di tre parti distinte ma strettamente interrelate:
693
•
l’identità dell’azienda;
•
il calcolo e la distribuzione del valore aggiunto;
•
la relazione sociale695.
Cfr. G. Rusconi, 2002, Impresa, accountability e bilancio sociale, in Hinna L. (a cura di), Il
bilancio sociale, Il sole 24 ore, Milano, pp. 248-249.
694
La prima sezione comprende l’analisi delle caratteristiche e dei confini territoriali dell’area socioeconomica direttamente influenzata dall’azione imprenditoriale; la definizione di valori di fondo,
identità culturale, obiettivi strategici e struttura organizzativa dell’impresa; nella seconda si include
anche l’analisi dell’entità e della destinazione degli investimenti; la mappatura degli stakeholder viene
fatta al fine di valutare in quantità e qualità gli effetti su questi dell’attività d’impresa; nel budget
sociale si delineano impegni e connessi investimenti rilevanti ai fini sociali decisi nel piano strategico
aziendale; la valutazione della qualità sociale (VQS), consiste nel rating sociale (vedi oltre, nelle
pagine finali) attribuibile all’impegno sociale in comparazione con organizzazioni analoghe. Cfr. A.
Martinelli, 2002, Il modello Comunità e impresa: stakeholder e responsabilità sociale, in Hinna L. (a
cura di), Il bilancio sociale, Il sole 24 ore, Milano, pp. 409-412.
695
La prima parte si incentra sulla scelta degli obiettivi, sul modo di realizzarli, sui rapporti con gli
stakeholder, che definiscono l’identità aziendale. Elementi che stabiliscono tale identità sono l’assetto
istituzionale, i valori di riferimento, le strategie e le politiche. La seconda parte, nei contenuti e nei
concetti, è quella proposta precedentemente nel seguente lavoro con lo scopo di ancorare il bilancio
sociale ai dati contabili. L’ultima parte è dedicata alla descrizione dei risultati connessi all’attività
aziendale, analizzati sotto tre dimensioni: gli obiettivi da conseguire, quelli realmente conseguiti,
quello che i destinatari ritengono di aver ottenuto. Questa relazione ha contenuto definito e può essere
divisa in due sezioni: nella prima si descrivono gli obiettivi proposti, le norme di comportamento e gli
stakeholder destinatari, nonché quelli in prevalente rilievo; nella seconda vengono presi in
considerazione gruppi di stakeholder e per ciascuno viene definito un minimo comune contenuto di
informazioni: politiche perseguite, collegate a risultati programmati, missione e valori, le aspettative
avvertite e il grado di soddisfazione degli interlocutori. Oltre alle informazioni comuni, possono poi
esserne fornite altre, variabili da gruppo a gruppo, al fine di completare il quadro. Cfr. F. Vermiglio,
2002, Il modello GBS, in Hinna L. (a cura di), Il bilancio sociale, Il sole 24 ore, Milano, pp. 464-469.
Lo stesso GBS indica poi i principi696 che presiedono alla formazione del bilancio
sociale e che garantiscono completezza e attendibilità alle informazioni in esso
contenute, nonché la trasparenza del procedimento seguito per la sua redazione, in
riferimento alla sfera dell’etica, alla dottrina giuridica e alla prassi della professione
contabile.
Il modello IBS (Istituto Europeo per il Bilancio Sociale) è volto alla gestione dello
sviluppo sostenibile, e si fonda sugli standard GBS (ampliati ed articolati da altri
due principi697). Si basa su un
processo di redazione articolato in diverse fasi
(introduzione metodologica, identità, rendiconto di valore, relazione sociale, sistema
di rilevazione, proposta di miglioramento, attestazione di conformità procedurale),
tutte volte al miglioramento delle prestazioni sociali nei confronti degli interlocutori
aziendali698.
696
I principi alla base sono: Responsabilità (identificazione preventiva di a chi rendere conto),
Identificazione (esplicitazione dell’identità aziendale), Trasparenza (del procedimento di redazione),
Inclusione (dar voce a tutti gli interlocutori), Coerenza (congruenza tra obiettivi, scelte, politiche e
valori), Neutralità (imparzialità nelle informazioni), Competenza di periodo, Prudenza, Comparabilità
Comprensibilità, chiarezza ed intelligibilità, Periodicità e ricorrenza, Omogeneità (dei dati monetari),
Utilità (rispetto delle aspettative), Significatività e rilevanza (dei fatti riportati), Verificabilità
dell'informazione, Attendibilità e fedele rappresentazione, Autonomia delle terze parti (incaricati di
realizzare parti del bilancio sociale). Cfr. GBS, 2001, Principi di redazione del bilancio sociale,
Adnkronos Comunicazione S.p.A., Roma.
697
Tali principi continuità aziendale e misurabilità del grado di soddisfazione dei soggetti interni ed
esterni all’organizzazione
698
Nel giugno del 2001 l’IBS definisce il PRO.G.RE.S.S., un meta-processo in grado di canalizzare le
azioni dell’impresa volte al miglioramento delle proprie performance economiche, sociali ed
ambientali e, latamente, all’aumento della qualità delle proprie prestazioni. Questo definisce un
percorso coordinato, trasversale e multidisciplinare di attività finalizzate alla promozione del
cambiamento, in ottica di miglioramento verso una gestione economicamente e socialmente
responsabile; il percorso, infine, è monitorato e rendicontato a cadenza periodica attraverso il
documento del bilancio sociale. Le fasi si articolano nel seguente modo: (1) introduzione
metodologica: raccoglie i principi generale o postulati da osservare nella formulazione del bilancio
sociale; (2) identità: in questa sezione emergono tutti i tratti distintivi dell’impresa, descrivendo il
modo di essere e di proporsi sul mercato (attraverso: cenni storici, contesto di riferimento, valori,
missione, assetto istituzionale ed organizzativo; disegno strategico, piano programmatico, scelte
qualificanti); (3) rendiconto di valore: è la sezione che collega il bilancio sociale a quello di esercizio,
con l’espressione del valore aggiunto e degli indicatori di efficienza ed efficacia; (4) relazione sociale:
esprime i vari aspetti dello “scambio” sociale tra impresa e stakeholder, al fine di mostrare l’apporto
complessivo dell’attività d’impresa; ne sono oggetto l’analisi della gestione, sviluppo e valorizzazione
di ogni singolo interlocutore (risorse umane, soci/azionisti, clienti, fornitori, Stato ed Autonomie
Locali, collettività - persone, ambiente, media, comunità virtuale) per mezzo di indicatori statistici
che permettano il monitoraggio dell’interscambio, della coerenza con missione e valori e delle
aspettative degli interlocutori; (5) sistema di rilevazione: processo in itinere che verifica il
comportamento d’azienda secondo il giudizio degli stakeholder; la metodologia utilizzata segue la
prassi in uso nello svolgimento delle ricerche socio-economiche attraverso metodiche integrate qualiquantitative o con metodi di indagine; (6) proposta di miglioramento: parte conclusiva del processo,
sulla scorta dei risultati della rilevazione sugli stakeholder, il vertice d’impresa indica gli orientamenti
di miglioramento per la futura gestione; questa lega il bilancio sociale alla filosofia dei sistemi di
In una recente pubblicazione, Hinna699 propone una mappa logica (figura 1.5 d) utile
per cogliere le sfumature tra (la rendicontazione e) il bilancio economico e le varie
forma di (rendicontazione e) bilancio sociale .
Per le aziende non orientate al profitto, al contrario che per le for profit, la
rendicontazione sociale assumerebbe il carattere di indispensabilità700, poiché queste
trovano nel bilancio di esercizio, sintesi della rendicontazione economica, fatto di
“cifre” e “parole” per rappresentare i “fatti della gestione” (risultato in senso
economico, patrimoniale e finanziario) che per effetto di questa si sono venuti a
creare701, limiti oggettivi ad una rappresentazione chiara, veritiera e corretta dei
risultati ottenuti e delle azioni intraprese per raggiungerli.
Nell’impostazione del bilancio sociale, come detto in introduzione di capitolo, di una
ANP si devono infatti rispettare le tipicità di questi enti in quanto finalizzati a
produrre utilità sociale702; i fatti e la informazioni quali-quantitative sulle attività
sociali svolte dalla struttura non profit costituiscono, quindi, il risultato della gestione
caratteristica che la rendicontazione deve esprimere.
qualità; (7) attestazione di conformità procedurale, in analogia alla revisione del bilancio di esercizio
(vedi oltre). Cfr. R. Marziantonio, 2002, Il modello IBS di bilancio sociale: gestione responsabile per
lo sviluppo sostenibile, in Hinna L. (a cura di), Il bilancio sociale, Il sole 24 ore, Milano pp. 499 e
segg. .
699
Cfr. L. Hinna, 2002 b, op. cit., p. 9.
700
Cfr. A. Hinna, 2002, Il bilancio di missione: il bilancio sociale delle organizzazioni non profit, in
Hinna L. (a cura di), Il bilancio sociale, Il sole 24 ore, Milano, p. 421 e segg.
701
Cfr. L. Hinna, 2000, op. cit., p. 364 e O. Gabrovec Mei, 1999, Il linguaggio contabile, itinerario
storico e metodologico, Giappichelli, Torino.
702
Nelle ANP, infatti, il patrimonio è spesso assente, come nel caso delle associazioni; essendo non
profit, come detto nei capitoli precedenti, “manca” anche un “profitto” (i termini sono appositamente
virgolettati, poiché su questi sono necessari approfondimenti e distinzioni rispetto al significato
letterale o di uso corrente, per cui si rinvia al capitolo 2) e se questo c’è, è uno strumento della
gestione, non un obiettivo principale. Conseguentemente, non solo il bilancio delle cifre, ma anche
quello delle “parole” che spiega i principi adottati per determinare il risultato, perde gran parte
dell’importanza usualmente attribuitagli, assumendo invece grande rilevanza la rendicontazione dei
fatti realizzati, poiché in assenza di altri indicatori significativi questo diviene indicatore di
performance. Per le ANP non è il risultato economico della gestione, bensì quello della gestione
caratteristica raccontato mediante i fatti e informazioni quali-quantitative sulle attività svolte a
causa/per merito delle finalità sociali che l’azienda non profit si è posta di perseguire. Inoltre, negli
stakeholder prevale nettamente l’interesse alla conoscenza di aspetti sociali della gestione, rimanendo
quella sugli aspetti economici una “curiosità, uno strumento per realizzare il fine. Come non si
mancherà di dire in seguito, la rendicontazione sociale affianca quella economico-patrimoniale,
completandone la “potenza informativa”. A differenza delle imprese for profit, nelle non profit non
esiste un rischio di concorrenza tra iniziative sociali e finalità economiche della gestione che
potrebbero “insospettire” e scontentare uno stakeholder economico interessato al suo dividendo,
poiché in queste aziende si misura dapprima l’efficacia nell’erogazione di servizi o di risorse
finanziarie, poi eventualmente con il reddito. Per effetto delle finalità di utilità sociale, quindi, la
rendicontazione economica non riesce a cogliere tutti gli aspetti della gestione caratteristica, in quanto
“sociale”. Cfr. L. Hinna, 2000, op. cit., p. 364-365.
Nell’utilizzo di “parole” e “cifre”, queste ultime assumono un ruolo subordinato ed
esplicativo dei fatti, risultando la situazione opposta a quella del bilancio di esercizio:
da ciò deriva che per le ANP quella sociale è l’unica forma di rendicontazione
capace di descrivere la sua attività, e non “un’altra” forma come succede per le
imprese for profit; questo può essere inteso come un “qualcosa” che l’organizzazione
fa per comprendere e comunicare come e quanto sia stata capace di realizzare la
Rendicontazione
Sociale
Tipo di
rendicontazione
Economica
Strumento
Bilancio
tradizionale
Bilancio
ambientale
Bilancio/Rapporto Sociale
Bilancio di Missione (non profit)
Forma
Dettata dalla
norma
Prassi
consolidata
Prassi non ancora consolidata
Destinatari
Shareholder e
stakeholder
economici
Ambientale
Sociale
Qualità, Etica,
Sicurezza, Sostenibilità
Altri stakeholder (anche se divisi per categoria
sociale)
Partecipanti all’impresa
Figura 5.2 d: le rendicontazioni: schema di sintesi (Fonte: L. Hinna, 2003)
propria missione.
Da questo deriva la definizione di “bilancio di missione”703 per le aziende non profit,
strumento necessariamente caratterizzato da contenuti, sistemi di rilevazione, e
modalità di rappresentazione assolutamente nuovi, il cui fine è quello di comunicare
la mission perseguita, rendicontare i risultati conseguiti e le azioni poste in essere per
raggiungerli ed infine dimostrare la coerenza tra gli elementi detti.
703
Questa espressione è stata per la prima volta utilizzata, in occasione della proposta di bilancio delle
fondazioni bancarie, nel 1996 (cfr. L. Hinna, 1996, I sistemi di rappresentazione e di controllo delle
attività realizzate: una proposta di bilancio per gli enti conferenti, in ACRI, Primo rapporto sulle
fondazioni bancarie, ACRI, Roma), “migrata” poi nel mondo accademico (in occasione del Convegno
di Taormina del giugno 1997 sul bilancio sociale, organizzato dalla Accademia Italiana di Economia
di Azienda, e ad opera di autorevoli studiosi: cfr. G. Bruni, 1997), e nel mondo delle Fondazioni (cfr.
L. Hinna, 1998, Il bilancio di missione come strumento di rendicontazione sociale delle fondazioni, in
ACRI, Terzo rapporto sulle fondazioni bancarie, ACRI, Roma).
Va poi chiarito che il termine “bilancio” potrebbe essere potenzialmente fuorviante,
in quanto il documento in oggetto non è di tipo strettamente contabile, coesistendo in
esso informazioni qualitative che esprimono - volendo continuare ad usare la
terminologia appena adottata - valori e fatti, e dati quantitativi, le cifre, derivanti da
un sistema di indicatori, utilizzato per monitorare le attività istituzionali, ed una
selezione di valori finanziari, economici e patrimoniali. Il documento appare quindi a
“schema aperto” e, pur essendo pienamente integrato nel sistema di bilancio
tradizionale, appare dotato di una propria autonomia. Emerge il tal modo uno spirito
in larga parte “descrittivo”, nel quale dati di tipo quantitativo assolvono alla duplice
funzione di:
•
permettere la misurazione di grandezze necessarie alla comprensione ed alla
valutazione delle situazioni e dei fatti descritti;
•
raccordare il documento stesso con quelli contabili704.
Tipologia di
Informazione
Valori
etici
identità
Fatti
Bilancio di
Missione
gestione
Contenuti
Missione
Settori d’intervento
Linee di azione
Assetto giuridico
istituzionale
Valori
Organi
Modello operativo
Assetto organizzativo
Processi primari
Attiv. di raccolta
fondi
Gest. del patrimonio
Altro
Iniziative/progetti
realizzati
Cifre
Stakeholder coinvolti
risultati
Rendicontazione
economica
Altro
Figura 5.2 e: bilancio di missione e tipologie di informazioni rendicontate. (Fonte: A. Hinna,
2002, p. 423)
704
Cfr. G. Marcon, M Tieghi, 2000, op. cit., p. 103.
Secondo Matacena, attraverso cifre, fatti e valori etici, il bilancio di missione può
garantire, sia all’interno che all’esterno dell’azienda, la trasparenza amministrativa,
quella gestionale e quella istituzionale705, derivando da queste una logica di
rappresentazione e classificazione delle informazioni finalizzata a dimostrare come
l’azienda in oggetto, una volta dichiarata la propria missione, sia stata capace di
creare valore, rimanendo coerente nei valori etici, nella scelta del sistema di governo,
nell’organizzazione dei processi primari ed infine nei risultati ottenuti. A tal fine A.
Hinna propone uno schema generale di classificazione delle informazioni contenute
in questo (figura 5.2 e).
La particolare configurazione del soggetto economico, come più volte ricordato706,
nonché la centralità che la pubblica fiducia assume per la sopravvivenza e lo
sviluppo delle aziende non profit, motivano il ricorso ad uno documento pensato ad
hoc, che assolva ad una valenza sia interna che esterna.
La rendicontazione interna tende a favorire l’identificazione tra aspettative del
personale e finalità istituzionali dell’azienda, nonché di supporto agli organi
decisionali per il controllo dell’impresa. In questo quadro, del bilancio di missione
sembra spesso sottovalutato il ruolo fondamentale che svolge nella presa di decisioni
e di “facilitatore” del sistema di relazioni tra l’area “aziendale” e quella
“istituzionale”, permettendo la verifica degli obiettivi dichiarati e la coerenza con la
missione, del posizionamento rispetto alle aspettative degli stakeholder, della
performance dei soggetti “gestori”.
La rendicontazione esterna è legata alla conquista e al mantenimento della
condizione di legittimità, rendendo controllabili i comportamenti posti in essere. Dal
vincolo di non distribuzione degli utili derivano alcune caratteristiche organizzativogestionali, nate dal particolare rapporto di agenzia che le contraddistingue: la
mancanza di interessi proprietari diventa un limite per la salvaguardia del patrimonio
e dei fini istituzionali.
Le ANP, pur avendo molti stakeholder mancano di un efficace sistema di controllo
sull’operato del management. In questo contesto appare evidente come uno
705
Cfr. A. Matacena, 1998, op. cit..
Ricordiamo che delle tre componenti del diritto di proprietà (controllo dell’impresa, disposizione di
una quota degli utili, facoltà di trasferire gli utili), al soggetto economico dell’azienda non profit
rimane solo il diritto di controllo.
706
strumento di rendicontazione sociale finalizzato alla massima trasparenza sulla
gestione, oltre che sui risultati, possa assumere, in taluni casi, un valore di “garanzia
alternativa” o “strumento di controllo” per la collettività di riferimento707.
In riferimento a questo strumento possono inoltre essere enucleate due diverse
valenze: una di comunicazione, e l’altra di rendicontazione.
Il bilancio di missione permette all’ANP di raccontare se stessa, di comunicare i
propri valori di riferimento, gli obiettivi ed i risultati raggiunti. Per raggiungere
appropriatamente tutti gli interlocutori aziendali (che hanno rapporti sia economici,
ma anche extra-economici), questo deve
utilizzare codici semantici e canali di
comunicazione idonei ad innescare un vero e proprio processo comunicativo, per
“massimizzare” la possibilità di comprensione degli elementi informativi. Per far ciò,
punto di partenza della costruzione non è solo un vettore di obiettivi, tra cui la
trasparenza, ma anche di destinatari da raggiungere; in secondo luogo, occorre uscire
da uno schema di mera trasmissione di informazioni, per passare ad una bidirezionalità modificando lo schema dal semplice reporting ad una relationship708.
Nel processo di comunicazione aziendale, infine, bisogna tener conto delle
specificità della tipologia di azienda in questione, in merito alle finalità, ai contenuti,
al valore dell’attività. Nelle ANP, infatti, lo scopo del bilancio di missione è quello
promozionale di azioni finalizzate al bene della collettività; i contenuti sono
altamente trasparenti, poiché, inversamente che nelle imprese for profit709, la
parzialità dell’informazione non “paga”, potendo piuttosto pregiudicare l’attività;
l’attività di comunicazione non è opzionale, ma strumentale al reperimento di mezzi
finanziari.
La valenza principale, in ogni modo, rimane quella di strumento di rendicontazione.
Dalle considerazioni finora svolte, il bilancio di missione, più che come semplice
707
Cfr. A. Hinna, 2002, op. cit., p. 428 – 432.
Inoltre, il “render conto” in via generale (accountability), fare reporting agli stakeholder in via
specifica, e creare una relazione biunivoca, attraverso la comunicazione, con gli stessi (stakeholder
relationship) sono concetti che hanno un comune denominatore: il bilancio sociale nelle sue varie
forme. Si pensa, invero, che la comunicazione economica sia rendicontazione in senso stretto (cioè
codificata e predeterminata), mentre la comunicazione sociale sia solo comunicazione (cioè più libera
nella forma). In realtà quest’ultima deve intendersi come un tipo vero e proprio di rendicontazione
che deve rispondere ad esigenze particolari di accountability, pur non essendo soggetta ad una
codificazione univocamente accettata. Cfr. A. Hinna, 2002, op. cit., p. 424 – 425; per un
approfondimento, cfr. anche L. Hinna, 2002 c, op. cit., cap. 1.
709
Nelle imprese for profit, ad esempio, non viene generalmente rivelata la strategia competitiva, per
non avvantaggiare i concorrenti, perdendo il vantaggio acquisito.
708
documento, quindi, deve essere inteso come risultato di un processo di
rendicontazione, necessario per una continua dialettica con i propri stakeholder,
potendo quindi essere inteso, come precedentemente detto, quale processo a doppio
senso, ossia una relationship710.
Il processo di creazione di una relazione con i propri interlocutori, seguendo
l’approccio del Copenaghen Charter711, si adatta perfettamente alla logica operativa
del bilancio di missione ed evidenzia come si colloca questo nella procedura, il cui
schema di base è riportato nella figura 5.2 f.
710
Secondo L. Hinna, questo è un processo che dovrebbe coinvolgere più soggetti, tutti ugualmente
attivi, quasi fossero partner dell’attività; i vari tipi di bilancio sociale, in quest’ambito, sarebbero gli
strumenti di comunicazione, verso i quali le strutture non profit dovrebbero essere maggiormente
interessate. Sempre secondo lo stesso autore, nella realtà italiana questi soggetti sono spesso distratti
in materia di comunicazione e sono maggiormente attenti verso i risultati, ritenendo che sia
automatica la divulgazione delle informazioni sui risultati ottenuti. Questa “automaticità” non è spesso
tale, e quindi comunicare si rivela tanto importante quanto realizzare. Cfr. L. Hinna, 2000, op. cit., pp.
366-367.
711
Questo documento, presentato da un gruppo di lavoro misto composto da esperti di società
internazionali di revisione nell’ambito della Terza Conferenza Internazionale su contabilità etica e
sociale, auditing e reporting tenutosi dal 14 al 16 Novembre 1999 a Copenaghen, organizzato
dall’ISEA (International Institute of Social and Ethical Accountability), schematizza appunto il
processo di costruzione di una relazione con gli stakeholder. Il processo si articola in otto fasi distinte:
(1) decisione dell’alta direzione di creare una relazione con gli stakeholder: il top management decide
di gestire un rapporto duraturo ed articolato con questi, e di non lasciarlo più al caso, sintomo di
grande maturità manageriale; (2) identificazione degli stakeholder chiave: ossia quelli che
effettivamente permettono con il loro consenso la legittimazione ad esistere dell’impresa, necessario
per identificare i fattori critici di successo ed i valori ai quali sono sensibili, potendo distinguerli
secondo gradi di interesse ed influenza; (3) costruzione di un dialogo permanente, attraverso la scelta
di opportuni canali e strumenti per creare un struttura “stakeholder oriented”; (4) individuazione degli
indicatori, al fine di comunicare i risultati ottenuti in relazione ai fatti non espressi in termini
meramente economici, aprendosi però un dibattito sui principi contabili da adottare, soprattutto per le
imprese for profit, cercando di uscire dalla semplice riclassificazione del conto economico mostrando
il valore aggiunto prodotto, essendo questo. Come già detto, pur sempre una rendicontazione in chiave
economica che trova limiti di applicazione nel non profit; (5) monitoraggio, della performance e della
coerenza tra strutture e valori, per non uscire “fuori tema”; (6) identificazione di azioni di
miglioramento, attraverso budget ed obiettivi specifici; (7) predisposizione, verifica e pubblicazione
del resoconto: il bilancio di missione si colloca proprio in questo punto, come risultato di una
predisposizione, di una verifica esterna, e della pubblicazione; (8) consultazione degli stakeholder
(feed-back), attraverso vari strumenti per gestire quello flusso di ritorno: interviste ed incontri con gli
opinion leaders, opuscoli e questionari allegati al bilancio per raccogliere giudizi, utilizzo di focus
groups. Cfr. L. Hinna, 2000, op. cit., p. 367 e segg.
Idea di creare uno
stakeholder reporting
Approvazione
del Top
management
Consultare gli
stakeholder riguardo
performance, valori e
target di
miglioramento
Preparare,
verificare e
pubblicare il
resoconto.
Identificare
stakeholder
chiave, fattori
critici di successo
e valori
Il processo
dello
stakeholder
reporting
Obiettivi,
budget e piano
d'azione per il
miglioramento
Monitorare
performance e
soddisfazione con i
valori della
compagnia
Dialogo con gli
stakeholder
Determinare
indicatori chiave,
adattare sistemi di
management
dell'informazione
Figura 5.2 f: il processo di creazione di una stakeholder relationship (Copenaghen Charter).
(Fonte: L. Hinna, 2002, p. 90)
Il processo di formazione del bilancio di missione si accomuna con quest’ultimo per
alcuni elementi fondamentali, ossia lo scopo (assicurare all’azienda una bilanciata e
sostenibile creazione di valore, sia interno che esterno, per tutti gli stakeholder); il
metodo di management (basato sul dialogo e sui valori, avente il fine di creare e
gestire una efficace rete di relazioni tra gli stakeholder); il rapporto dialettico (al fine
di verificare che mission, vision e valori rispecchino aspettative, domanda e valori
degli stakeholder chiave); valenza strategica (raccogliere le informazioni riguardanti
opportunità e conflitti); il feed-back (al fine di assicurare che valori ed aspettative
siano “inglobate” nella missione e nei valori dell’azienda stessa).
Linee guida
1)
2)
3)
4)
5)
6)
7)
8)
9)
verifica del livello
gerarchico
creazione di un
gruppo di lavoro
informazione alla
struttura
analisi interna
definizione della
gerarchia delle
informazioni
identificazione
degli stakeholder
chiave
up-dating sulle
best practices
definizione delle
linee guida
taratura del
documento
Rapporto di
missione
1)
2)
3)
4)
5)
6)
Recupero dei
contenuti linee
guida
Definizione dei
contenuti di base
Raccolta delle
informazioni sulle
attività svolte
Formazione di
schede
informative per
attività
Definizione e
segmentazione
degli stakeholder
Definizione dei
canali di
comunicazione
Bilancio di
missione
1)
2)
3)
4)
Analisi del
modello
org./gestionale
Definizione di
un portafoglio di
indicatori
Riclassificaz.
risultati per
destinazione di
stakeholder
Predisposizione
questionari per
coinvolgimento
degli
stakeholder
Social
Audit
Linee
Programm.
miglioramento
Pubbli
cazione
Figura 5.2 g: processo di formazione del bilancio di missione. (Fonte: A. Hinna, 2002, p. 440)
Il processo di costruzione di un bilancio di missione può essere articolato nelle
seguenti fasi712, come descritto nella figura 5.2 g .
•
712
Definizione delle linee guida713.
Cfr. A. Hinna, 2002, op. cit., pp.438 e segg.
La costruzione del documento “linee guida” sottende poi allo svolgimento di una serie di attività,
non tutte cronologicamente correlate, sinteticamente esprimibili in: (a) verifica del livello gerarchico
al quale si colloca il tema del bilancio di missione, ossia del grado di “convinzione” del top
management nell’intraprendere il progetto; (b) creazione di un gruppo di lavoro, e, conseguentemente,
il riconoscimento di un leader, la scelta di un modus operandi, delle funzioni di supporto, del
calendario dei lavori, degli obiettivi di ciascuna fase ecc.; (c) informazione alla struttura
dell’iniziativa, momento di formazione per fornire a tutti un minimo di conoscenza sul progetto,
attraverso seminari interni, distribuzione del materiale sul tema, ecc.; (d) analisi interna, ossia
valutazione di “fattori chiave” volti a: constatare il posizionamento strategico dell’azienda; scegliere il
processo di definizione e costruzione del bilancio di missione; individuare punti di forza e di
debolezza, le opportunità e le minacce (SWOT analysis); individuare del gap tra l’esistente ed il
necessario relativamente alla documentazione prodotta; determinare la valenza “dominante” (ad
esempio di controllo di gestione, di legittimità sociale, di raccolta fondi). Questi fattori fanno capo a
diverse aree di indagine: la mission; i valori; gli obiettivi strategici; la storia, le iniziative attuate ed i
successi ottenuti; il modello di governance; l’organizzazione interna e le risorse umane; i processi
qualificanti; le attività; i destinatari delle attività; il funding mix; (e) definizione della gerarchia delle
informazioni, potendo scomporre queste in ordine espositivo da quelle fondamentali, che trovano
sintesi massima nella missione, fino all’unità di informazione minima (per progetto, per iniziativa
ecc.) alla quale dovrà essere riferito il sistema di contabilità sociale (fatti e cifre); (f) identificazione
degli stakeholder chiave, in base al quale scegliere il target del bilancio di missione, il livello di
713
In questo documento vengono definite le valenze che il bilancio di missione deve
assumere ed i fattori critici di successo, potendo trarre da questo processo anche
benefici indiretti sotto il profilo gestionale ed organizzativo, ossia carpirne le
valenze esterne: la verifica degli obiettivi istituzionali e del posizionamento
strategico, una spinta alla pianificazione, il coinvolgimento dell’organizzazione e
la spinta motivazionale, il controllo di gestione e la tenuta della contabilità. In
definitiva, il Documento linee guida ha lo scopo di fornire all’alta direzione le
informazioni per valutare l’opportunità di avviare il processo di costruzione del
bilancio di missione; per la definizione della strategia di rendicontazione sociale
(documento
ad
uso
interno,
rapporto
o
bilancio
di
missione);
per
l’individuazione del target; per la modalità di gestione del progetto (partecipativa
o in outsourcing) ed infine per i tempi di realizzazione.
•
Stesura del rapporto di missione714.
Questo è sostanzialmente autonomo rispetto al bilancio di missione, essendo un
documento in cui si espongono “i fatti attraverso le parole”, riorganizzando
questi rispetto alle valenze esterne concordate, nonché rispetto alle diverse
categorie di stakeholder individuati con i metodi precedentemente esposti.
•
Stesura del bilancio di missione715.
approfondimento delle informazioni rendicontate, la definizione del “linguaggio” più opportuno. Utile
a tal fine è una matrice a doppia entrata attività-stakeholder a cui collegarne una seconda che unisce il
grado di interesse a quello di influenza, come prescritto nel Copenaghen Charter; (g) up-dating sulle
best practices, breve analisi delle esperienze italiane ed estere più recenti e significative sulla materia,
al fine di fare benchmarking; (h) definizione delle linee guida per la stesura del bilancio di missione,
termine delle fasi precedenti e in cui confluiscono tutte le informazioni di queste, base per quelle
successive; (i) taratura del documento da parte degli organi di vertice, prendendo nota di spunti di
riflessione e suggerimenti.
714
Le fasi attraverso cui si può arrivare a tale risultato si sostanziano in: (a) recupero dei contenuti del
documento “linee guida”, ossia riformulazione di alcuni temi oggetto di considerazione nella fase
precedente (mission, manifesto dei valori, inventario delle attività realizzate, mappatura attivitàstakeholder, ecc.) ; (b) definizione dei contenuti di base, sulla base delle informazioni rilavate e a
seconda che si tratti di un rapporto o di un bilancio; (c) raccolta delle informazioni sulle attività svolte,
con studio dettagliato delle iniziative/progetti, cercando di cogliere gli elementi di successo, di
valutarne i risultati e la coerenza con la missione dichiarata; (d) formazione di schede informative per
attività, sintetizzando le informazioni precedenti sulla base del target individuato, al fine di far
apprendere quanto è stato fatto, le valenze di ciò e di far scoprire i propri interessi al riguardo
(potendo poi successivamente alimentare depliant, siti internet ecc); sulla base di queste viene poi
costruito il rendiconto generale delle attività svolte; (g) definizione e segmentazione degli stakeholder,
“oggettivizzati” rispetto alla prima parte del processo, resi parte delle informazioni del medesimo
processo. Si compone perciò un portafoglio di interlocutori da relazionare con le iniziative e con i
settori di intervento, formando un primo sistema di “contabilità dei fatti”; (h) definizione dei canali di
comunicazione, e nel caso, una nuova riclassificazione degli stakeholder in base ai canali attraverso
cui possono essere raggiunti. Il fine di questa fase è la massimizzazione dell’efficacia del progetto; (i)
(eventuale) pubblicazione del rapporto di missione.
Si compone qui il documento nel quale confluisce lo stato delle conoscenze
acquisite nel corso del progetto; ai fatti del rapporto, precisamente, verranno
affiancate le cifre prodotte da questi. Si notano, però, differenze fondamentali tra
rapporto e bilancio: la forma, poiché il bilancio contabilizza secondo un modello
di accountability (e non racconta semplicemente); il contenuto, poiché dichiara
anche informazioni concernenti il sistema di governo e la gestione
dell’organizzazione, oltre che i risultati ottenuti; i sistemi di rilevazione, poiché
necessita di un sistema di rilevazione contabile per il calcolo degli indicatori e
per la contabilizzazione dei “fatti” secondo differenti driver coerenti con i valori,
la missione e i settori di intervento (mentre il rapporto è supportato solo da
schede di attività).
Chiarito il processo attraverso il quale si forma il bilancio di missione, si rende ora
necessaria l’analisi dei contenuti e degli strumenti, nonchè dei suoi spazi ed i suoi
limiti, del bilanciamento tra i diversi elementi informativi, tra loro coordinati ed
integrati a sistema.
Dapprima emerge, tuttavia, il quesito se queste tipologie di informazioni debbano
trovare posto nel bilancio “tradizionale”, come afferma una parte autorevole di
autori716, come un’esplosione della nota integrativa e della relazione sulla gestione,
oppure debbano alimentare un documento separato. Altri autori717 sostengono che la
715
Le fasi per la costruzione di tale documento possono così sinteticamente riassumersi: (a) analisi del
modello organizzativo/gestionale, al fine di rintracciare la coerenza tra queste, i valori, e la mission.
Elementi da prendere in considerazione possono essere: il modello di governance, l’assetto giuridico,
la struttura organizzativa e i meccanismi di coordinamento, le risorse umane (e la loro gestione),
processi gestionali particolarmente significativi (ad esempio: procedure di selezione delle iniziative,
sistemi di monitoraggio dei progetti, ecc.); (b) definizione di un portafoglio di indicatori: momento
fondamentale di costruzione del bilancio di missione, si individuano indici per il controllo della
performance aziendale, al fine di offrire una dimensione dei “fatti”, attraverso l’utilità sociale
prodotta, il grado di soddisfazione dei bisogni e così via. Questi possono essere economici e non , ma
specifici dell’azienda e correlati alla mission, all’attività esercitata, ai soggetti cui questa è rivolta; (c)
riclassificazione dei risultati per destinazione di stakeholder: essendo costoro i soggetti principali cui
il processo è rivolto, emerge l’opportunità di riclassificare attività e risultati conseguiti per
destinazione e portatori di interessi; (d) predisposizione di un questionario per coinvolgimento degli
stakeholder: con questo si offre all’organizzazione l’opportunità di rivisitare gli obiettivi di medio
periodo, metodologie operative e strumenti di comunicazione; (e) pubblicazione, divulgazione,
evento: oltre alla fase materiale di pubblicazione, infatti, può essere maggiormente incisiva la gestione
di un “evento” , come un momento di legittimazione, da realizzare nello stile dell’organizzazione e
con le modalità più consone alla tradizione dei rapporti tra azienda e territorio.
716
Tra gli altri, cfr. P.E. Cassandro, 1989, op. cit., p. 291; S. Terzani, 1987, Responsabilità sociale
dell’azienda, in Saggi di Economia Aziendale, scritti in onore di Domenico Amodeo, CEDAM,
Padova; N. Persiani, 1992, Alcune riflessioni in materia di informazione sociale d’impresa, in Analisi
Finanziaria, n. 8, pp. 58-59.
717
Cfr. L. Hinna, 2000, op. cit., p. 372.
separazione delle informazioni contabili da quelle sociali non sia in realtà un
“problema”, ma una questione di pesi ed armonie grafiche; quello che preme sarebbe
più l’autonomia informativa, aldilà della collocazione: l’importante sarebbe la scelta
del linguaggio e della forma più accessibili alle categorie di stakeholder. Sempre
secondo tali autori, poi, l’impostazione del bilancio di missione di una azienda non
profit dovrebbe discendere dal “peso”, dalla priorità dei valori sui fatti e sulle cifre.
Nelle realtà for profit, la priorità di rendicontazione segue una logica decrescente di
importanza di cifre, fatti e valori; per le non profit, invece le priorità si rovesciano
diventando prima quelle dei valori, poi quelle dei fatti e solo in ultimo quelle delle
cifre. Ossia: sono i valori aggreganti quelli che ispirano i fatti gestionali ed i
comportamenti ai quali conseguono le cifre, che, nel contesto di relazione con gli
stakeholder assumono rilevanza marginale.
Gli strumenti a disposizione delle ANP per realizzare un bilancio di missione
possono essere:
•
per la rendicontazione economica, quella delle “cifre”, come già detto, lo
strumento è il bilancio di esercizio;
•
per quella dei “valori”, strumento cardine è il “manifesto dei valori”;
•
per la rendicontazione dei “fatti”, lo strumento è costituito dalla “filigrana”, il cui
compito è quello di incrociare le attività svolte e le differenti categorie di
stakeholder718.
Il manifesto dei valori può essere visto come il mission statement delle ANP; tale
dichiarazione della missione deve esplicitare, in maniera chiara e concisa ciò che
l’azienda vuole fare e come intende conseguirlo, comunicando tale “piano” ai suoi
stakeholder in modo tale da consentire un riscontro in sede di rendicontazione. Il
“come” si intende raggiungere la missione andrà poi coniugato con i valori specifici
della struttura, potendo questi essere declinati in maniera differenziata da realtà e
realtà; questo è l’aspetto che deve correttamente essere comunicato, quello che
riscuote la legittimità sociale. La difficoltà insita in questo strumento non è la
realizzazione, quanto piuttosto l’efficace, semplice ed in equivoca “trasmissione”
agli interlocutori.
718
Questi tre strumenti compongono l’informativa minima anche nella metodologia di
rendicontazione sociale proposta dal gruppo SocialMetrica, di cui si dirà successivamente.
La “filigrana” (o matrice attività-stakeholder, vedi figura 5.2 h), invece, consiste in
una matrice a doppia entrata dove da un lato si identificano i vari stakeholder
interessati all’attività della struttura non profit, distinguendoli e classificandoli per
livello di interesse (interni - esterni, diretti – indiretti, pubblici – privati, ecc.), e
dall’altra si individuano le iniziative promosse.
Settori d’intervento/attività
Stakeholder
A
B
C
N
x
x
A
Persone fisiche
x
B
x
x
C
x
x
A
Persone giuridiche
x
x
B
x
x
C
x
x
A
…
x
x
B
x
C
Figura 5.2 h: matrice stakeholder-attività, o "filigrana". (Elaborazione grafica su A. Hinna, 2002, p.
449)
Logicamente, non tutte le attività interessano a tutti gli interlocutori; la filigrana,
pertanto, finisce per essere una guida alla lettura del bilancio di missione e permette a
ciascuna categoria di stakeholder di individuare le attività che più interessano, senza
perdere però l’opportunità di avere una visione d’insieme di tutta l’attività svolta e
dei soggetti coinvolti. All’incrocio di righe e colonne di dovrà cercare di quantificare
gli effetti di tali attività per mezzo di opportuni indicatori, ovviamente attraverso
riferimenti di pagina, legando così i fatti della gestione con la lettura degli stessi da
parte degli stakeholder di riferimento.
I due strumenti riportati sono poi contenitori aperti, non strutturati, che ciascuna
azienda può coniugare differentemente per trovare il livello ottimale di
comunicazione con i propri interlocutori719.
Si dovrà poi parlare di bilanci di missione, al plurale, diversi gli uni dagli altri a
seconda della tipologia di organizzazioni (ad esempio, seguendo la classificazione
adottata nel presente lavoro: autoproduttrici, di erogazione ed imprese sociali, oppure
in riferimento ad altre tassonomie)720.
719
Cfr. L. Hinna, 2000, op. cit., p. 374-376.
Alcune discriminanti possono essere individuate ne: lo scopo mutualistico o altruistico (soprattutto
per le aziende public benefit, in riferimento ai problemi del rapporto di agenzia precedentemente
esposti, il bilancio di missione ha valenza di strumento di rendicontazione e garanzia alternativa per la
720
Fase successiva alla predisposizione del bilancio di missione è quella della verifica
esterna
(social
audit721),
722
“autoreferenzialità”
,
indispensabile
soprattutto
quando
per
uscire
il
dalla
documento
trappola
è
della
predisposto
autonomamente dalla struttura interna. Nella prassi esistono diverse forme di audit:
•
il consulente esterno723, che aiuta la predisposizione logica del bilancio di
missione e, contemporaneamente, esamina le informazioni, sia quelle da inserire,
che quelle da scartare, nell’ottica, comunque, di rendicontare fatti e valori nella
maniera più completa possibile (social evaluator);
•
il rating sociale, di uso soprattutto negli USA per aziende sanitarie e imprese che
operano nel largo consumo, dove associazioni di consumatori sottopongono ad
una valutazione “non richiesta” il comportamento delle varie strutture, poco
intrapreso in Italia724;
collettività di riferimento); la tipologia delle fonti di finanziamento (per le c.d. donative, ossia quelle
finanziate attraverso attività di funding, e non attraverso la vendita di beni e servizi, si avverte il
problema della trasparenza completa nell’informazione circa il corretto uso dei mezzi raccolti e del
mantenimento del rapporto fiduciario alla base della donazione); le categorie di beni e servizi offerti
(per le ANP che offrono “beni pubblici”, soprattutto se finanziate dalla P.A., si pongono problemi di
accountability di particolare rilevanza). Cfr. A. Hinna, 2002, op. cit., p. 432-436.
721
E’ opportuno, su questo tema, procedere a precisazioni terminologiche. L’uso del termine social
audit, infatti, è diverso nel mondo anglosassone, rispetto a quello fatto in Italia. Nel primo, quindi,
viene usato in senso ampio, comprendendo l’intero processo di comunicazione con gli stakeholder (si
veda il già citato Copenaghen Charter), in cui la fase di revisione/verifica esterna rappresenta soltanto
(con l’elaborazione e la pubblicazione) una delle fasi che compongono il processo di rendicontazione
sociale. In Italia, differentemente, sta ad indicare solo la fase di revisione di un soggetto esterno, in
autonomia rispetto all’elaborazione e pubblicazione del bilancio sociale/di missione. Altro aspetto
fondamentale che differenzia gli approcci di rendicontazione internazionali da quelli nazionali
concerne la focalizzazione dell’attenzione sul processo di gestione delle complesse e molteplici
relazioni che si instaurano tra l’impresa e gli stakeholder. A livello internazionale il documento finale
è considerato semplice conseguenza del processo di gestione delle relazioni con gli interlocutori
aziendali, per cui è irrilevante definirne forma e contenuto. In Italia, diversamente, il dibattito è
incardinato sulla corretta determinazione della forma espositiva e dei meccanismi tecnico-contabili di
redazione del bilancio sociale/di missione, al fine di fornire adeguatezza rispetto alla descrizione della
complessa realtà aziendale. Cfr. B. Auci, 2002, Il social audit: uno strumento di rendicontazione
sociale, in Hinna L. (a cura di), Il bilancio sociale, Il sole 24 ore, Milano, pp. 273-281.
722
Cfr. L. Hinna, 2000, op. cit., p. 370.
723
Cfr. E. Mayo, 1996, Social auditing for voluntary organizations, NEF, Londra.
724
Il rating (nella sua accezione generale) rappresenta la valutazione effettuata da un’agenzia di
informazioni commerciali sull’entità del rischio insito in ogni investimento, sia esso effettuato con
capitale di credito o con capitale di rischio; consiste in una metodologia di classificazione delle
imprese sulla base di criteri economico-finanziari e strategico-gestionali, costituendo uno strumento
informativo sintetico ed un efficiente mezzo segnaletico, al fine di ridurre l’asimmetria informativa. Il
rating etico, in particolare, è definito come un giudizio sintetico su un titolo, oggetto di possibile
investimento, effettuato in base a criteri di responsabilità sociale ed ambientale. Le più accreditate
società di rating sociale sono: KLD (Kinder, Lynderberg, Domini – USA), EIRIS (Ethical Investment
Research and Information Service – UK), ARESE (Analylses et Recherches Sociales sur les
Enterpripses – FRA), Avanzi (ITA). Cfr. B. Auci, 2002, op. cit., pp. 314-316; per un sistema proposto
per l’Italia, cfr. F. Gesualdi, 1999, Manuale per un consumo responsabile, Feltrinelli, Milano.
•
l’ audit esterno, classico, in cui una struttura indipendente verifica l’adozione del
processo e la struttura del bilancio di missione, con meccanismi simili a quelli di
certificazione della qualità, ambientale o di bilancio.
Il gruppo di lavoro SocialMetrica, per quanto riguarda i sistemi di rendicontazione
sociale ed il bilancio di missione delle aziende non profit, ha predisposto una
metodologia di misurazione e valutazione delle responsabilità sociale delle ANP,
estendibile anche alle aziende for profit, che si ispira al processo di stakeholder
relationship, già elaborato dalla New Economic Foundation (NEF), e descritto finora
nel presente lavoro (la figura 5.2 i confronta questo sistema con gli altri a livello
nazionale ed internazionale725, rispetto ad alcuni drivers726).
725
In generale, esistono diverse metodologie di rendicontazione sociale, di matrice nazionale o
internazionale, con differenze ed analogie tra loro, essendo rivolte, ad esempio, a diverse categorie di
stakeholder, oppure essendo applicabili solo al settore non profit o a quello for profit, oppure
sviluppando sistemi di certificazione o meno, ecc. Oltre quello proposto da SocialMetrica, tra i vari si
possono citare il LBG (London Benchmarking Group), che elabora un modello che permette alle
imprese di misurare e valutare l’impatto e il sostegno dell’attività d’impresa per lo sviluppo della
comunità locale, definendo indicatori di efficienza ed efficacia tramite la tecnica del benchmarking
(vedi www.lbg-online.net); il SA8000 (Social Accountability 8000, vedi www.cepaa.org ), che
definisce una serie di standards che assicurano il rispetto dei diritti umani fondamentali nello
svolgimento delle attività produttive (potendo poi l’impresa essere sottoposta ad un processo
indipendente di verifica e certificazione), secondo una logica di miglioramento continuo simile ai
sistemi di gestione della qualità (ISO9000) e gestione ambientale (ISO14000); la AA1000
(AccountAbility 1000), standard di processo per l’attività di social and ethical accounting, auditing
ad reporting (SEAAR), “fondativo”, che ogni impresa può adottare per implementare un sistema di
gestione della responsabilità etico-sociale, oppure da utilizzare come base di confronto per misurare
la qualità del proprio metodo di rendicontazione e comunicazione sociale (vedi
www.accountability.org e cfr. ISEA, 1999, AccountAbility 1000 (AA1000): overview standard and its
applications, London); il GRI (Global Reporting Iniziative, vedi www.globalreporting.org), che
promuove l’armonizzazione delle tecniche di rendicontazione della performance sociale delle imprese
(nonché ambientale), in modo da renderla rigorosa, confrontabile e verificabile, favorendo il dialogo
tra gli attori interessati, stimolando la collaborazione e la diffusione di documenti sulla sostenibilità
d’impresa; il GBS (Gruppo di Studio sul Bilancio Sociale), per la statuizione dei principi di redazione
del bilancio sociale, che contiene indicazioni di minima rispetto alla elaborazione del documento e
una serie di principi da osservare, tra i quali: trasparenza, identificazione, utilità, responsabilità,
coerenza ecc. (vedi www.bilanciosociale.it e cfr. GBS, 2001, op. cit.); infine, il progetto Q-RES, per
la definizione di uno standard di qualità della responsabilità etico-sociale che diffonde linee guida
basate su un “contratto” sociale equo ed efficiente tra impresa e stakeholder, per trovare un punto
d’equilibrio tra i diversi portatori d’interesse (cfr. CELE, 2001, Progetto Q-RES: la qualità della
responsabilità etico-sociale d’impresa, in Liuc Papers n. 95, Serie Etica, Diritto ed Economia, n. 5).
Cfr. B. Auci, 2002, op. cit., p. 294.
726
Nel quadro comparativo descritto dalla figura, le variabili hanno il seguente significato: (1) Campi
di applicazione: applicabilità della metodologia al settore for profit, oppure anche al non profit, o
entrambi, oppure adottata indifferentemente da grandi o piccole imprese; (2) Stakeholder di
riferimento: indica se il metodo si rivolge ad una o poche categorie di interlocutori/aree di interesse
sociale (parziale), oppure al complesso di questi (totale); (3) Relazionale: mostra se la caratteristica
fondamentale del sistema è la semplice comunicazione dei risultati etici, oppure la creazione di una
relationship; (4) Standard: se il metodo individua standard che l’impresa deve adottare o meno; (5)
Missione e valori etici: se l’approccio prevede esplicitamente valori e principi etici, e se è presente la
dichiarazione della missione aziendale, al fine di valutare la coerenza tra questi; (6) Principi: se sono
LBG
AA1000 SA8000
GRI
GBS
Q-RES
Social
Metrica
Campi di
applicazione
for profit/ non
■
■
■
■
■
■
□
profit
Nazionale/
■
■
■
■
■
■
■
Multinaz.
Stakeholder di
Parziali
■
■
■
riferimento
Totali
■
■
■
■
Relazionale
■
□
■
■
Standard
■
■
■
■
■
■
■
Missione e valori etici
□
■
□
■
■
■
Principi
Di redazione
■
■
□
Di qualità
■
■
□
□
■
Valenza
Interna
■
□
■
■
■
Esterna
■
■
■
■
■
■
■
Verifica/certificazione
□
■
□
□
■
□
Legenda:
■ il metodo rispetta la caratteristica;
□ il metodo rispetta parzialmente la caratteristica;
- il metodo non rispetta la caratteristica.
Figura 5.2 i: analisi di confronto delle principali metodologie di rendicontazione sociale rispetto ad
alcune variabili. (Fonte: B. Auci, 2002, p. 281)
Il bilancio così redatto viene sottoposto alla verifica esterna da parte di un ente terzo
indipendente, attraverso la tecnica del panel di esperti727.
presenti sia quelli di redazione, che di qualità internazionali; (7) valenza: distinta in interna ed esterna,
si riferisce al considerare il rendiconto sociale come mezzo di comunicazione ed immagine, oppure
come strumento di gestione interna; (8) verifica/certificazione: la variabile indica la presenza o meno
della fase di verifica e della relativa certificazione, sia del processo che del documento.
727
Questa prevede due fasi a seconda della tipologia di soggetti coinvolti: il revisore esterno (external
audit verifier), nella prima fase; un collegio di esperti (Audit Review Panel o Audit Group) nella
seconda. Il revisore esterno ha la funzione di verifica dell’intero processo di contabilità sociale, volta
ad assicurare la corretta esecuzione, l’affidabilità del sistema che produce il bilancio e poi
l’attendibilità e la ragionevolezza delle voci, rilasciando infine una opinion, relazione che è parte
integrante della dichiarazione sociale d’impresa. Nello svolgimento della prima fase l’external audit
verifier può essere coinvolto in ogni aspetto del sistema, con funzioni di consulenza, partecipazione
attiva e controllo del processo, comprendendo anche: la formazione e l’addestramento delle strutture
d’impresa al social auditing; partecipazione alla progettazione di ogni elemento del sistema
(soprattutto quello informativo); consulenza, partecipazione e controllo nella fase di raccolta dati.
Questi revisiona poi la contabilità sociale e la bozza di dichiarazione attraverso sopralluoghi, controllo
documentale, interviste, campionamenti ecc. Al fine di non perdere la necessaria obiettività
nell’espletamento dei propri compiti professionali, data la mancanza di standard di revisione, viene
inserito il secondo momento di controllo: il revisore esterno nomina un collegio di esperti a sua
assistenza, conferendo maggiore legittimazione all’intero processo di rendicontazione e revisione. Il
revisore esterno nomina il collegio selezionando i membri secondo i seguenti criteri: indipendenza
dall’organizzazione, esperienza in temi di responsabilità sociale e etica d’impresa, rappresentatività
del sistema degli stakeholder. Funzione del collegio è fornire un’ulteriore verifica della qualità del
processo di social audit ed in particolare della fase di revisione esterna. Il gruppo esprime le proprie
opinioni sotto forma di commenti relativi soprattutto a miglioramenti da apportare al processo di
responsabilità sociale; commenti e osservazioni vengono allegati alla relazione del revisore esterno.Il
ruolo del panel può quindi essere assimilato ad un “controllo di qualità” del processo di revisione
contabile, di garante del sistema, derivante dalla mancanza di uno standard universalmente
riconosciuto. Cfr. B. Auci, 2002, op. cit., p. 309 e segg.
Giova infine ricordare che il sistema di revisione sociale interna è considerato un
utile strumento di supporto alla revisione esterna, assistendo l’organizzazione nel
perseguimento dei propri obiettivi, tramite un approccio sistematico finalizzato a
valutare e migliorare i processi di controllo, gestione dei rischi e di corporate
governance728.
Per completezza di esposizione, in ultimo, sembra opportuno riportare una
impostazione leggermente diversa rispetto a quella seguita finora in tema di
rendicontazione sociale per le ANP. Alcuni autori, infatti, individuano tre differenti
strumenti a tal fine, che si distinguono per il grado di “comunicazione “ sociale,
rispettivamente crescente: il conto economico riclassificato a valore aggiunto, il
rendiconto istituzionale (o bilancio di missione) e il bilancio sociale (o rendiconto
sociale)729.
In merito alla applicazione dell’analisi del valore aggiunto alle ANP, gli autori
ritengono che questo sia particolarmente significativo per quelle aziende non profit al
cui interno avvengono processi produttivi e i cui prodotti vengono scambiati sul
mercato (potendo quindi misurare economicamente gli “effetti” con ragionevole
attendibilità), ossia le “imprese sociali”, in quanto indicatore della capacità di
autonomia economica e finanziaria tramite la sola gestione caratteristica730.
Dovranno poi essere esplicitate la ricchezza creata e quella distribuita in relazione
alle esigenze informative degli stakeholder, precisando che tale tipo di informazioni
non esaurisce l’esigenza informativa degli interlocutori, ai quali, data la particolarità
728
Le funzioni della revisione sociale interna consistono in: migliorare la performance etica, verificare
e controllare la conformità alle regole (delle azioni e dei comportamenti rispetto alle norme di
condotta e alle procedure aziendali), supportare l’attuazione dell’etica di azienda. Questo viene
perseguito, in via generale, attraverso l’introduzione di strutture organizzative e di controllo come i
comitati etici,e gli internal ethical audting (attività indipendente ed obiettiva di garanzia e supporto).
Cfr. B. Auci, 2002, op. cit., pp.311-312.
729
Secondo tali autori, infatti, i pesi dell’informazione istituzionale ed economica devono essere
bilanciati differentemente secondo le diverse forme assunte dalle ANP: per le autoproduttrici e le
imprese sociali (come le cooperative) si dovrebbe preferire la creazione e distribuzione di VA; nelle
erogatrici (come le fondazioni), si dovrebbe privilegiare un bilancio sociale con descrizione delle
spese sociali o un’analisi costi-benefici; oppure un rendiconto istituzionale (o bilancio di missione),
come nel caso delle associazioni. Cfr. G. Marcon, M. Tieghi, 2000, op. cit., pp. 97 e segg.
730
Il VA della gestione caratteristica potrebbe indicare, per questa tipologia di ANP, infatti, la
capacità di produrre ricchezza a prescindere dall’intervento dei contributi pubblici (non assimilabili a
ricavi), segnalando capacità di autofinanziamento tramite questa sola gestione, indipendentemente
dall’influenza di proventi straordinari di reddito (i quali, insieme agli elementi finanziari e al VA della
gestione caratteristica, danno luogo al VA globale lordo).
finalistica delle ANP, interessa verificare l’”utilità sociale” e l’orientamento
istituzionale, veicoli di solidarietà non solo economica731.
Il rendiconto istituzionale (o bilancio di missione), in accordo con quanto detto finora
in tema (per scopi, caratteristiche, e contenuti), nella diversa impostazione, è
necessario per integrare i documenti contabili con informazioni sull’aspetto
istituzionale, secondo una strategia di comunicazione che consenta di riferire anche
sugli aspetti qualitativi dell’attività svolta, e in autonomia informativa, ma
necessariamente in integrazione nel sistema dei documenti di bilancio.
Il bilancio sociale732, invece, a differenza delle linee seguite in questo lavoro733, si
differenzierebbe dal bilancio di missione. Quest’ultimo, pur non rinunciando ad
esprimere l’outcome sociale dell’attività dell’azienda, si configurerebbe infatti come
un progetto “meno ambizioso” rispetto alla stesura del primo734, in cui i dati di tipo
731
A tal fine è utile proporre schematicamente le esigenze proprie alcune categorie di stakeholder: (a)
gli associati (o i soci): questi aderiscono alla ANP non per ottenere una “remunerazione” dalla loro
partecipazione, bensì per poter beneficiare di un preciso esercizio e per il perseguimento delle finalità
istituzionali, trascendendo il mero contratto economico. Per i soci prestatori il VA fornisce una
informazione incompleta, poiché è incapace di cogliere la crescita personale e l’altruismo che li
muove; per quelli fruitori, invece, non si mostra la qualità del servizio reso; in ultimo, per i volontari,
che non percepiscono remunerazioni, il VA non è in grado di esprimere l’aumento di qualità e
l’ampliamento dei servizi resi possibili dall’opera di questi, nonché il raggiungimento dei fini
statutari; (b) i dipendenti: a differenza del caso precedente, l’informazione verso questi assume
valenza strategica, soprattutto se rivolta a dipendenti orientati, più che sull’altruismo, agli aspetti
economico-contrattuali (evidenziando remunerazioni dirette e quelle indirette, nell’ottica del
miglioramento del clima interno all’azienda); (c) la Pubblica Amministrazione: le ANP
distribuiscono ricchezza a questa sotto forma di tributi, ma, dato il regime fiscale agevolato, i flussi
corrispondenti risultano poco rilevanti; ben più significativo è il consenso che la PA fornisce al non
profit, come tramite tra l’azienda e la comunità, influenzando la gestione per mezzo dell’assegnazione
di risorse pubbliche; (d) la comunità di riferimento: il VA comunica solo i rapporti economici con la
collettività (espressi dal sostenimento di costi – distribuzione della ricchezza legati alla produzione di
servizi erogati); le voci che compongono la ricchezza distribuita a questa sono di difficile
individuazione, comprendendo, ad esempio, i maggiori costi e la minore qualità di quelli forniti in
sostituzione dall’Amministrazione, o altri tipi di esternalità. Dato il forte radicamento dell’operato
delle ANP nella comunità locale, fondamentale è anche il consenso che si riesce a mobilitare. Cfr. M.
Andreaus, 1996 a, op. cit., pp. 190 e segg. ; G. Marcon, M. Tieghi, 2000, op. cit., pp. 100-101.
732
Inteso questo come un “insieme di strumenti informativi finalizzato a fornire una valutazione qualiquantitativa dell’impatto dei processi gestionali posti in essere dall’azienda come conseguenza delle
finalità sociali da essa assunte”. Cfr. G. Marcon, M. Tieghi, 2000, op. cit., p. 105.
733
Secondo l’impostazione seguita nel corso di questa esposizione, infatti, il bilancio di missione è un
bilancio sociale a tutti gli effetti, con caratteristiche peculiari elaborate appositamente per le ANP, che
permettono di “esprimere” l’attività di queste nella sua significatività: il perseguimento di fini
istituzionali in relazione agli interessi dei vari interlocutori sociali, in coerenza con valori e missione,
per mezzo di una gestione il più possibile economica. Scopo di qualsiasi tipo di bilancio sociale, come
detto, è quello di rendicontare i valori attraverso i fatti e, poi, le cifre.
734
In merito ai contenuti e agli scopi, si segue l’impostazione di Rusconi (l’elenco delle spese sociali;
l’inventario sociale; l’analisi dei programmi; gli indicatori sociali standardizzati; il bilancio socioeconomico), riportata precedentemente; la struttura può variare a seconda dell’attività svolta, delle
dimensioni e della natura giuridica dell’azienda e vengono proposti tre diversi percorsi di costruzione:
quantitativo servirebbero a descrivere i fatti e a raccordare il documento stesso con
quelli contabili del “sistema bilancio”. Nella descrizione degli autori, il bilancio di
missione sarebbe un elemento accessorio del tradizionale bilancio di esercizio,
mentre il bilancio sociale risulterebbe come strumento strategico di comunicazione
aziendale sull’attività sociale, autonomo dal bilancio economico, anche per le ANP,
in cui l’informazione sociale dovrebbe comunque essere prioritaria e “strategica”,
indipendentemente da quella economica.
Attraverso la cultura del “render conto”, come detto in apertura di capitolo, le ANP
possono
affermare
verso
i
propri
stakeholder
(in
primis
la
Pubblica
Amministrazione, nel caso specifico dei rapporti pubblico - non profit per la fornitura
di servizi socio-assistenziali, poi alla collettività, che fornisce a queste le altre risorse
necessarie), attraverso un vero e proprio processo di comunicazione (in senso
biunivoco, quindi), le capacità economico finanziarie ed istituzionali del loro
operato, la solidità gestionale e la spinta altruistica, e, soprattutto, possono uscire
dall’autoreferenzialità, ossia dimostrare il fondamento della legittimazione
“istituzionale” che da tempo rincorrono; attraverso gli stessi strumenti possono poi
disporre di un “timone” che le guidi nelle decisioni di governo (la rendicontazione
economica) e nella verifica della mission (la rendicontazione sociale), operazioni
strumentali rispetto al fine pubblico perseguito e alla detta legittimazione.
In conclusione, dai contributi degli autori riportati nel presente capitolo emergono
alcune variabili “critiche” che le ANP si trovano a dover affrontare
nell’implementare sistemi di rendicontazione, sia economica che sociale.
Una prima considerazione scaturisce dal fabbisogno informativo: seppur questo sia
“pressante”, soprattutto a causa della complessità dei servizi, della mission e della
numerosità degli stakeholder cui rendere conto, queste aziende dedicano spesso poca
attenzione alle problematiche concernenti il sistema informativo-contabile, se non
l’analisi costi-benefici, una relazione descrittiva, degli indicatori quali-quantitativi. In sostanza,
quindi, si seguono le direttrici finora riportate, con la sola differenza che queste vengono applicate ad
aziende non profit.
per quegli elementi atti ad assolvere eventuali (e spesso blandi) obblighi di natura
civilistica o fiscale. Questo atteggiamento sembra
giustificato dalle piccole
dimensioni di queste e dalle scarse risorse che le medesime possono dedicare alla
concretizzazione del proprio sistema informativo, nonchè dalla paura di diventare
“aziende” (che nell’immaginario non profit viene spesso associato ad un
distoglimento dalla missione), denotando, come verificato al termine del precedente
capitolo, un problema “culturale”, il quale porta frequentemente a sottostimare
l’importanza di questo strumento che permetterebbe all’ANP di operare in condizioni
di economicità e quindi anche di massimizzare l’utilità per i beneficiari.
A questo si ricollega un altro punto critico: sebbene si comprenda che l’economicità
è mezzo per perseguire efficacemente gli obiettivi istituzionali, la verifica di questa
condizione non viene usualmente affrontata (soprattutto con strumenti adeguati).
Nelle ANP italiane, infatti, si rinviene una scarsa attenzione a questo principio, e,
anche quando è presente un sistema informativo, per embrionale che sia, l’accento
viene posto esclusivamente sulla rilevazione dei flussi economico-finanziari e sulle
consistenze patrimoniali ai fini di bilancio, anziché su sistemi di indicatori di
“efficacia istituzionale”. Negli stessi processi di programmazione della gestione,
inoltre, gli amministratori si limitano spesso alla formalizzazione di un bilancio
preventivo, in cui gli obiettivi non sono adeguatamente definiti nei caratteri
essenziali della quantificabilità e misurabilità sotto il profilo istituzionale.
Infine, quello che spesso non si riscontra, e che dovrebbe invece differenziare in
modo determinante il sistema informativo delle ANP, è l’orientamento degli
strumenti che ne sono alla base: questi dovrebbero essere “asserviti” alla
finalizzazione istituzionale e non costituire semplice adempimento alle norme ed
essere intrapresi in maniera non sistemica, o risultare incoerenti con mission,
strategia e struttura organizzativa, o peggio, con i circuiti gestionali specifici attivati..
Per contro, occorre puntualizzare che il sistema informativo riportato nelle righe di
questo capitolo risponde alle esigenze di aziende non profit di grandi dimensioni, con
elevato grado di complessità e con rilevanti risorse a disposizione, le quali, nella
realtà, sono in numero assai ridotto; per la maggioranza dei casi, il modello delineato
potrebbe costituire un punto di riferimento per un’ipotesi di sviluppo del sistema
stesso, dato che, è stato più volte accennato, il sistema informativo e la
rendicontazione devono essere modellati sulla base delle specifiche esigenze
dell’azienda.
Le problematiche esposte, inoltre, hanno la loro influenza anche sulla
rendicontazione sociale: la mancanza di un sistema informativo aziendale capace di
accordare un valido supporto al governo d’impresa e alimentare un’efficace sistema
di rendicontazione delle attività svolte si riflette immediatamente sullo scopo del
bilancio di missione come strumento di comprensione e rappresentazione delle
capacità realizzative della missione istituzionale.
Le molteplici visioni sulla questione e i ritardi di elaborazione dottrinale in tema di
sistema informativo hanno portato, tuttavia, come visto nel corso del capitolo, ad una
pluralità di proposte di strumenti informativi atti ad illustrare la dimensione
“istituzionale” della gestione delle aziende non profit (peraltro più aperte e meno
strutturate di quelle relative al bilancio di esercizio); seppur manchi un’omogeneità
di orientamenti, di principi-guida, di prassi e di “forme”, è ben chiaro il filo
conduttore ossia il tentativo di poter esprimere, attraverso la rendicontazione, un
triplice ordine di risultati (dati economici, impatto ambientale e ricadute sociali).
Riprendendo brevemente le linee del primo capitolo in tema di welfare mix, infine,
passato il periodo di fermento legislativo che ha guidato l’evoluzione del settore,
quello che ora ci si aspetta dalle aziende non profit, e che si inizia a notare, è un
comportamento “attivo”, un comportamento di coscienza organizzativa per
confermare il ruolo sociale conquistato sul campo, ossia proporsi come soggetti
mobilizzatori e valorizzatori delle “forze” della società, creando cooperazione tra di
loro, con imprese private for profit e Pubbliche Amministrazioni.
Lo strumento del bilancio di missione, non come semplice documento, bensì come
anello finale del processo di creazione di una relazione con gli interlocutori aziendali,
si presenta allora come uno dei fondamentali strumenti per convogliare, analizzare,
elaborare, utilizzare e verificare le “energie” (conoscenze, lavoro e informazioni)
della società intesa come complesso degli stakeholder, diventando questi, in tal
modo, soggetti chiave del processo di gestione strategica dell’azienda e, in ottica di
dimensionalmente crescente, motore della stessa cellula (azienda) - società territorio che autopoieticamente rigenerano le proprie risorse.
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