Lo scenario in cui si trovano ad operare le aziende non profit è vario e complesso, come vari e complessi sono gli strumenti, attraverso i quali si instaurano relazioni con la Pubblica Amministrazione per la fornitura di servizi socio-assistenziali. In conclusione del precedente capitolo è stata inoltre affermata l’importanza, al fine di conseguire gli obiettivi di tutela sociale della collettività, dell’adattabilità all’ambiente degli strumenti attraverso cui dare effettività a tali relazioni, poichè la comunità esprime i suoi bisogni in maniera mutevole, complessa e diversificata; condizione necessaria (ma spesso non sufficiente) è stata poi individuata nella collaborazione tra gli attori e in nella misura in cui questi si faranno promotori di tali obiettivi. Alle caratteristiche di questi strumenti è dedicato il presente capitolo, introducendo la collaborazione come tenore delle relazioni e contesto generale di riferimento per la loro efficace operatività. I rapporti che si instaurano tra gli Enti Pubblici e le aziende non profit rappresentano un elemento di riferimento di grande rilievo per comprendere i condizionamenti e le opportunità relative allo svolgimento della gestione dei servizi socio-assistenziali. Secondo alcuni autori413, infatti, il livello dei legami di vario genere e natura con la Pubblica Amministrazione crea situazioni che vanno dall’elevato condizionamento alla totale irrilevanza rispetto alle politiche pubbliche. Sintetizzando molto la realtà, è possibile inquadrare i modelli di interazione tra soggetti pubblici ed aziende non profit in due principali categorie: lo scambio (e la concorrenza) e la collaborazione. Per chiarire meglio gli elementi distintivi che sostanziano questi due concetti appare utile ricostruire brevemente le posizioni della dottrina in merito alla questione. Secondo Azzini414, per iniziare, si può affermare il principio secondo cui l’attività economica è governata da queste due classi di relazioni. Le relazioni concorrenziali tra istituti sono governate da meccanismi di mercato, con o senza l’intervento della Pubblica Amministrazione. 413 Cfr. A. Zangrandi, 1996, Uno schema di classificazione delle aziende non profit, in Borzaga C., Fiorentini G., Matacena A. (a cura di), Non-profit e Sistemi di Welfare: Il Contributo dell'Analisi Economica, NIS, Roma, pp. 245-246. 414 Cfr. L. Azzini, 1974, Autonomia e collaborazione tra le aziende, Giuffrè, Milano, cap. 2. Le relazioni collaborative, invece, sono governate da regole di comportamento definite ed accettate dagli istituti di primo livello (famiglie, imprese, amministrazione pubblica) e sono finalizzate direttamente a perseguire l’interesse particolare ed indirettamente quello pubblico, attraverso “forme intermedie”, capaci di mediare tra le finalità economiche ed extraeconomiche. Queste si costituiscono in varie vesti, con lo scopo di prevenire o limitare situazioni di distruzione di ricchezza (e di concorrenza sleale) e per creare condizioni che rendano più trasparenti ed uniformi i comportamenti degli istituti; le forme assunte sono poi caratterizzate dalla “stabilità” e, a volte, anche da un riconoscimento di tipo istituzionale che consente loro lo svolgimento di una funzione di collegamento e di sintesi delle priorità di interessi particolari415. Molte delle complessità nelle relazioni interaziendali, quindi, vengono generate dallo scambio, mediante il quale si attuano trasferimenti di beni privati a titolo oneroso e si originano relazioni di prestito ed assicurazione416 e forme di credito417. Si fa esplicito riferimento, volendo seguire l’impostazione di Masini418, alla forma dello scambio monetario, che caratterizza le economie di mercato fondate sulla specializzazione economica e sulla proprietà privata e pubblica, ossia la cessione da parte di un’azienda (nel caso in questione, privata non profit o for profit) ad un’altra (pubblica) in cambio di un prezzo419, espresso da una quantità di moneta o di un credito420. Per valutare poi correttamente il significato di ciascuno scambio, occorre fare riferimento ai contesti aziendali e a quelli di mercato in cui lo scambio si 415 Cfr. M.A. Massei, 1992, Interesse pubblico e responsabilità sociale, EGEA, Milano, pp. 227-229. Classi di relazioni altrettanto vaste, tuttavia, si generano con forme differenti dallo scambio, come relazioni interaziendali di trasferimento di capitale di rischio e di lavoro (legame di partecipazione), di beni privati a titolo non oneroso (relazioni di liberalità) e trasferimenti impliciti (che corrispondono alle esternalità nella teoria economica). 417 Varie forme di credito si originano nel caso di non contestuale controprestazione: monetario (se la controprestazione è il pagamento con quantità di moneta corrispondente al prezzo), oppure in natura (se l’oggetto della controprestazione è un bene), di funzionamento (se mezzo temporaneo di regolamento) o di prestito (se corrisponde ad una disponibilità di moneta nel tempo). Nelle negoziazioni di crediti di prestito, il prezzo è di regola rappresentato dall’interesse. Cfr. G. Airoldi, G. Brunetti, V. Coda, 1994, Economia Aziendale, Il Mulino, Bologna, pp. 54 e segg. 418 Cfr. C. Masini, 1979, Lavoro e risparmio, UTET, Torino, pp. 72 e segg. 419 Questo indica la quantità di moneta o di credito monetario ceduto, ossia il valore monetario attribuito alle condizioni di produzione e di consumo acquisite; si può distinguere il prezzo unitario (riferito all’unità di misura delle condizioni di produzione e di consumo cedute ed acquistate; può essere il valore unitario di scambio attribuito a tali condizioni) e quello complessivo, il prezzo-costo (per l’azienda compratrice) e il prezzo-ricavo (per la venditrice). Cfr. G. Airoldi, G. Brunetti, V. Coda, 1994, op. cit., pp. 54. 420 Lo scambio, oltre al prezzo unitario, comprende anche altre condizioni, quali i tempi di consegna e le condizioni di pagamento, di trasporto, il prezzo complessivo ecc. 416 origina; per avere valutazioni corrette, infatti, questo non deve essere inteso come accadimento isolato nel tempo e nello spazio, attuato da persone singole, bensì come anello di una catena421. La teoria dello scambio è poi direttamente legata alla teoria della moneta, definibile come mezzo di pagamento univocamente accettato degli scambi ed “unità numeraria” 422. Per le condizioni di produzione oggetto di scambio (in presenza di frequenza e stabilità di comportamenti) si formano poi mercati: mercati dei beni, del credito, delle assicurazioni. Spesso, a detta di alcuni autori423, si giunge, erroneamente, ad assimilare tutte le relazioni economiche a relazioni di scambio monetario, e da ciò ad immaginare che i valori aziendali siano misurati univocamente partendo da valori monetari corrispondenti a tali “scambi”. In merito al tema portante del presente lavoro, l’evoluzione dei rapporti tra aziende pubbliche e aziende non profit, come detto, fa porre particolare attenzione sull’altro tipo di relazione tra aziende: la collaborazione. Secondo il già citato pensiero di Azzini424, ogni azienda non può prescindere del collaborare con altre e prestare le sua cooperazione per raggiungere i propri scopi, e le altre aziende accetteranno se ciò possa concorrere al conveniente perseguimento dei loro fini. Anche secondo altri autori425, lo sviluppo di formule non competitive è uno strumento di sopravvivenza, per gestire interattivamente le relazioni con soggetti esterni così da acquisire risorse specifiche e capacità progettuali tali da potersi misurare con gradi crescenti di complessità. 421 I singoli scambi di un’azienda fanno infatti parte delle complessive combinazioni economiche della stessa, le singole decisioni sono legati a processi sovraordinati, le condizioni di negoziazione sono influenzate dalla forma di mercato. Cfr. G. Airoldi, G. Brunetti, V. Coda, 1994, op. cit., pp. 54. 422 Questo permette, nella costruzione dei valori d’azienda (ossia quelli che compongono il reddito di esercizio ed il capitale di funzionamento), di distinguere i valori numerari (ossia strumento di regolazione degli scambi, che sorgono per la funzione caratteristica della moneta, quali crediti e debiti di funzionamento e disponibilità di cassa) da quelli non numerari (che non ineriscono a strumenti di regolamento, quali costi e ricavi, crediti e debiti di finanziamento). Cfr. E. Cavalieri, 1995 b, Appunti di economia aziendale, Vol. I, Ed. Kappa, Roma, sezione 1. 423 G. Airoldi, G. Brunetti, V. Coda, 1994, op. cit., p. 252 e segg. 424 Cfr. L. Azzini, 1987, Le "funzioni" del sistema economico delle aziende di consumo e delle aziende di produzione e le conseguenti relazioni tra di esse, in Amaduzzi Aldo et al., Saggi di ragioneria e di economia aziendale: scritti in onore di Domenico Amodeo, Cedam, Padova, p. 37. 425 Cfr. E. Cavalieri, 1995, Lo sviluppo dell'impresa, in Cavalieri E. (a cura di), Appunti di economia aziendale, Vol. II, Ed. Kappa, Roma, pag. 404 e segg. Questa categoria di relazioni rappresenta dunque lo strumento attraverso il quale ciascuna delle due parti trovi più agevole il raggiungimento dei propri fini. Questa è la condizione necessaria, ma non sufficiente, per definire la collaborazione: anche i rapporti di scambio nascono dal perseguimento dei fini di ogni contraente. Essi, però, si perfezionano sulla base di un interesse contrapposto426; nelle relazioni di collaborazione, questo completa la definizione, per quanto i fini siano eterogenei, gli interessi dei due soggetti sono convergenti o addirittura comuni. Secondo alcuni autori, tre fenomeni principali caratterizzano, riassuntivamente una relazione di collaborazione427: • la convergenza di interessi, come appena affermato; • l’esistenza di 428 collaborazione • condizioni ambientali affinché questa si consolidi in ; la capacità di gestione della relazione da parte delle aziende con interessi comuni429. Alcune precisazioni sono necessarie. Questo tipo di rapporti, al contrario di quanto vale per lo scambio, sono intesi come relazioni tra due aziende, non come livelli di razionalità complessiva del sistema economico; la varietà di forme e di utilità che possono conseguire, inoltre, non ne permette una puntuale descrizione. Ponendo in atto accordi di tipo cooperativo, l’impresa condivide le competenze complementari di altre imprese ed è in grado di captare e convogliare meglio gli 426 Quale, ad esempio, il minor prezzo per la P.A. acquirente ed il massimo per l’impresa venditrice. Cfr. P. Rondo Brovetto, 1996, Le relazioni tra imprese e amministrazioni pubbliche: un modello di analisi, Egea, Milano, cap. 5. 428 Questo tipo di relazioni è regolato diversamente nei vari sistemi giuridici, producendo significative diversità nei rapporti di collaborazione. La medesima fattispecie, infatti, può essere considerata una legittima forma di sostegno alle imprese in un ordinamento, oppure un illecito in un altro. Si pensi alla concessione a titolo gratuito di un terreno inutilizzato, per la costruzione di uno stabilimento, oppure si pensi alle comunicazioni tra P.A. titolari di funzioni di regolamentazione ed imprese, che possono essere completamente libere, oppure devono avvenire solo per iscritto ed essere protocollate. Fenomeni come quelli elencati influiscono evidentemente sulla gestione delle relazioni del sistema giuridico entro il quale le forme di collaborazione si sviluppano; non di meno, altri problemi ambientali vengono rinvenuti nel codice culturale dei soggetti pubblici e di quelli privati, che può essere simile ed integrare i due, oppure completamente diverso e dividerli. 429 La continuità di relazione è dovuta, oltre che a strumenti di integrazione giuridica e culturale, anche allo sviluppo della capacità di gestione di queste relazioni, configurando un’evoluzione delle aziende fra le quali si instaurano. Per le singole aziende pubbliche lo sviluppo di queste capacità è legata alla percezione dell’utilità che ne consegue e alla reattività al cambiamento; per le imprese private, è invece legata alla dimensione: per le piccole imprese è una logica che dipende dalle opportunità e perseguita non sistematicamente, mentre per le grandi imprese, una strategia “non di mercato”, non competitiva che configuri la funzione “relazioni con l’Amministrazione Pubblica” può essere considerata una funzione aziendale formalizzata. 427 stimoli ed i condizionamenti esterni, da cui dipende l’efficacia stessa dei progetti di sviluppo intrapresi. L’impresa, a detta di alcuni430, deve abbandonare i vecchi schemi di approccio autosufficienti all’ambiente, per andare verso forme di collaborazione di più ampio raggio, sfruttando tutte le potenzialità della volontaria partecipazione a progetti o accordi con soggetti autonomi; le relazioni non competitive tra imprese hanno la funzione economica di organizzare l’esternalità per rendere possibile alle imprese il conseguimento di “economie accessibili sul terreno della globalità, della flessibilità tecnologica e dell’interazione con la domanda”. Tuttavia, l’approccio collaborativo non nega alcuni aspetti positivi della competizione tipica dello scambio. Borgonovi431, infatti, parla di “competizione collaborativa”, ossia di una mediazione tra l’approccio competitivo432, necessario affinché gli attori siano in grado di trovare stimoli e di esprimere energie positive, e quello collaborativo, per attenuare il rischio dell’implementazione di comportamenti e strumenti distruttivi delle risorse433. 430 Cfr. E. Cavalieri, 1995, op. cit., pag. 406 Cfr. E. Borgonovi, 1996, Il comportamento economico dell'impresa tra il modello della competizione concorrenziale e il modello della competizione collaborativa, in Aa. Vv., Il governo dell'economia e delle istituzioni, Giuffrè, Milano. 432 La tensione competitiva, pur spingendo ogni soggetto a fare meglio e quindi, nell’accettare il confronto, a definire elementi omogenei di raffronto ed a farsi valutare da terzi sulla base di dati oggettivi (assumendo le qualità di sistema aperto), è in grado di produrre effetti positivi solo qualora sussistano determinate condizioni: la presenza di uno Stato che componga i conflitti comuni non risolvibili nell’ambiente competitivo, un basso grado di interdipendenza tra i soggetti in gioco, un elevato livello di sostituibilità e riallocazione degli attori incapaci di competere. Cfr. F. Manfredi, 1999, Il paradigma della competizione collaborativa come modello per la gestione dei rapporti tra soggetti pubblici e privati, in Meneguzzo M. (a cura di), Managerialità, innovazione e governance. La PA verso il 2000, Aracne, Roma, p. 314-315. 433 La competizione collaborativa, che esce dall’ottica meccanicistica per entrare in quella sistemica, richiede alla base criteri economici che vengono però definiti anche in base a variabili sociali e di equilibrio generale; prevale, in questo modello, la massimizzazione del vantaggio individuale in relazione al livello minimo di accettabilità degli altri soggetti ed attori sociali coinvolti. In questo modo si esclude la “competizione distruttiva”, per giungere ad un modello all’interno del quale si premia coloro che sanno meglio organizzare le risorse a disposizione, e si sanziona in minima parte coloro che si dimostrano incapaci di fronteggiare i problemi ambientali. Il modello di competizione collaborativa, quindi, si configura come un’evoluzione della logica della convenienza economica a fronte del rapido cambiamento del sistema istituzionale, all’interno del quale vi è la sempre più forte, e matura, presenza del privato non profit, il quale è chiamato, oggi più che mai, a contribuire alla ridefinizione dei processi socio economici e quindi dei ruoli e dei campi di interventi di pubblico e for profit. Cfr. F. Manfredi, 1999, op. cit., p. 315. 431 Alla luce delle considerazioni sopra svolte, giova ribadirlo, il tenore di queste relazioni “oscilla”, come un pendolo434, tra logiche di tipo competitivo e logiche di collaborazione. Il primo paragrafo, in relazione alla valenza delle ANPdi soggetti strategici nella fornitura per conto della P.A. di servizi socio assistenziali, analizza il contenuto delle relazioni tra P.A. ed imprese private e gli schemi di gestione dei servizi pubblici alternativi alla produzione in economia che si creano in conseguenza di queste, e delle implicazioni che hanno sul non profit. Il secondo, invece, nel quadro relazionale descritto, esplicita le caratteristiche degli strumenti attraverso cui coinvolgere le ANP in questo processo indicato con il termine generico di “privatizzazione” (cui verrà data specificazione di significato), le potenzialità ed i limiti di questi. L’ultimo, infine, cerca di tirare le prime conclusioni sulla direzione intrapresa da soggetti pubblici e non profit nelle reciproche interazioni. 4.1 Le relazioni pubblico – privato e le formule gestionali Il tema delle relazioni tra imprese e P.A. è relativamente recente negli studi economico aziendali, ma, ritengono alcuni autori435, ha un’origine lontana. Esso trova fondamento primo nelle relazioni tra produzione (legata all’impresa) e consumo (individuale - dei singoli e delle famiglie, e collettivo - delle formazioni sociali e delle loro espressioni politiche, le istituzioni pubbliche) della ricchezza, fasi che si influenzano a vicenda, legati cioè da relazioni di interdipendenza436. 434 Cfr. F. Monteduro, 2002, Il non profit nel sistema sanitario italiano, in Hinna L. (a cura di), Management in sanità: scenari, strumenti e casi, Aracne, Roma, p. 292. 435 Cfr. P. Rondo Brovetto, 1996, op. cit., p. 3 e segg. 436 Un primo rilancio organico delle relazioni di tipo economico tra imprese ed istituzioni pubbliche si ebbe in occasione della Grande Depressione degli anni ’30: essa dimostrò che il mercato è un meccanismo di autoregolazione che però, in presenza di alcune condizioni reali ed alcuni atteggiamenti psicologici (aspettative pessimistiche sul futuro), può portare al raggiungimento di punti di equilibrio tramite processi di distruzione della ricchezza accumulata e di abbassamento della qualità della vita che appaiono inaccettabili per le società moderne. In particolare, in occasione delle crisi apparve evidente l’importanza dell’interdipendenza tra produzione e consumo nel processo economico; da qui, nei sostegni ai consumi per conservare il ciclo positivo, traggono origine gli interventi pubblici di politica economica o di governo dell’economia, sempre più numerosi e complessi. Secondo Zangrandi, un primo modo per chiarire il ruolo dell’ente pubblico nei confronti delle ANP, è quello di mettere in evidenza i concetti di funzione e servizio437. La prima rappresenta una responsabilità dell’ente rispetto ad un’area di bisogno, in cui si evidenzia il ruolo nel coordinare interventi allo scopo di una risposta al dato bisogno, a fronte del quale esistono adeguate risorse finanziarie appositamente destinate; al “servizio pubblico” è legata alla produzione tecnica e alla erogazione di una prestazione definita in quantità e qualità438. Le funzioni, possono trovare in molti casi una concreta risposta nei servizi pubblici, ma in altre situazioni l’intervento dell’ente è gestibile solo attraverso un’attività di coordinamento dei vari soggetti economici (pubblici, privati non profit e for profit, famiglie) o attraverso la regolamentazione di definiti campi di attività439. Nel quadro di riferimento tracciato, l’ente pubblico titolare di una funzione è sovraordinato rispetto al produttore ed erogatore delle prestazioni, venendosi quindi a manifestare importanti relazioni la cui messa in evidenza è di estremo interesse ai fini dell’oggetto del presente lavoro. Le aziende non profit, infatti, sono condizionate 437 Infatti, ciascun ente pubblico evidenzia un peculiare profilo di intervento, che deriva direttamente o indirettamente dalla legislazione, dallo sviluppo delle funzioni pubbliche, dalla storia delle istituzioni e da altre variabili. In forza di ciò si manifestano due diverse tipologie di competenze: la funzione ed il servizio. Cfr. A. Zangrandi, 1996, op. cit., pp. 246 e segg. 438 Funzione e servizio hanno caratteristiche tra loro molto differenziate: la funzione si evolve in tempi lunghi e si sviluppa secondo il ruolo svolto dall’intervento pubblico rispetto a quello privato; come notato nel primo capitolo, secondo le varie condizioni storiche, sono pubbliche alcuni funzioni che in altri periodi sono lasciate ad altra regolamentazione, come l’assistenza sociale. Coordinando alcune considerazioni sparse nei capitoli precedenti, infatti, emerge che questa, nel diciannovesimo secolo, era considerata strettamente privata (a carico dei nuclei familiari o delle organizzazioni religiose), per poi essere riconsiderata pubblica (nel progetto contenuto dalla Legge Crispi del 1890); successivamente si riconosce l’apporto significativo dei privati (con la fase di consolidamento delle realtà non profit, le leggi sul volontariato e sulle cooperative sociali) e si favorisce l’integrazione degli interventi in favore di un mix bilanciato di responsabilità (il c.d. Welfare mix). I servizi, al contrario, si sviluppano in un più breve tempo e le modalità di cambiamento sono frequenti anche in base alle nuove tecnologie disponibili o a nuove modalità di “costruzione” del servizio. Gli Enti Pubblici possono essere chiamati a gestire una o più funzioni, od uno o più funzioni e servizi: si hanno enti con proprie funzioni (come le Regioni e le Province), enti chiamati ad erogare solo servizi (ospedali ed Asl), oppure enti con servizi e funzioni che si integrano richiedendo la soddisfazione di una funzione attraverso la predisposizione di servizi (come i Comuni). Il concetto di funzione non può essere contrapposto a quello di servizio: la prima delinea un’area di competenza nella quale l’ente ha autonomia di regolamentazione, essendo a tal fine necessaria la definizione di criteri e priorità di intervento, delle risorse, delle modalità di svolgimento dei servizi ecc. Viceversa, il servizio identifica una determinata attività posta in essere, la quale necessita di processi di produzione tecnica, di meccanismi di scambio economico, di governo della domanda, di valutazioni ecc. 439 Il coordinamento permette di trovare schemi di riferimento rispetto ad alcune fondamentali questioni, quali: (a) le forme organizzative più opportune per gestire funzione e servizio; (b) i sistemi più idonei per programmare i due; (c) i criteri per gestire il rapporto con la collettività per la funzione e per i servizi; (d) le caratteristiche distintive dei dirigenti di funzione e dei responsabili di servizio. dall’operatore pubblico nella misura in cui agiscono queste relazioni, nel senso, giova ribadirlo, di maggiore autonomia o dipendenza, influendo direttamente sulle condizioni di economicità. Le relazioni che si vogliono considerare sono le seguenti440: (a) relazioni di scambio, acquisti dell’Amministrazione pubblica; (b) relazioni di scambio, fornitura pubblica di servizi reali alle imprese; (c) relazioni finanziarie; (d) relazioni istituzionali; (e) relazioni di collaborazione; (f) relazioni informali. Le relazioni di scambio concernenti l’acquisto di beni e servizi da imprese, da parte dell’Amministrazione, rientrano nel concetto economico-aziendale di scambio monetario, come delineato in apertura di capitolo L’attività di scambio di molte ANP, in alcuni casi, non è soggetta al meccanismo economico del prezzo, cedendo queste gratuitamente i beni ed i servizi, oppure prestando un’attività che contribuisce alla realizzazione di un servizio complesso erogato dall’ente pubblico. In entrambi i casi, comunque, le relazioni instauratesi sono esplicite, potendo rinvenire una base contrattuale che ne fornisce il contenuto ed il fine (la realizzazione delle finalità dell’ente pubblico). Elementi caratteristici della relazione, scaturenti dalla presenza di ANP come controparte, sono considerati441: • le condizioni di cessione dei beni e servizi, non sempre legate al prezzo ed aventi la P.A. come destinataria442; 440 Cfr. A. Zangrandi, 1996, op. cit. e P. Rondo Brovetto, 1996, op. cit.. Cfr. A. Zangrandi, 1996, op. cit., pp. 248 e segg. 442 I beni o i servizi possono essere ceduti ad un prezzo remunerativo dei costi della produzione, oppure ad una tariffa non sufficiente a coprire tali costi, oppure, infine, gratuitamente. Il beneficiario può essere direttamente l’Amministrazione Pubblica, oppure terzi, rappresentando, la P.A., il “terzo pagante”, come nel caso di molti servizi socio-sanitari prestati ai singoli dal non profit, per conto dei Comuni responsabili. La determinazione delle condizioni di cessione, se da un lato è direttamente correlata alle finalità istituzionali dell’ANP e dell’ente pubblico, dall’altro rappresenta sempre un’importante punto di riferimento, in quanto il meccanismo economico dello scambio consente di evidenziare chiaramente un legame finanziario, la possibilità di implementare sistemi di valutazione sulla qualità e sulla gestione. L’assenza dello scambio monetario, per contro, comporta la definizione di un meccanismo parallelo di finanziamento basato su altri elementi (il costo complessivo, la spesa storica ecc.) e la necessità di controlli amministrativi. La condizione di “terzo pagante” assunta dalla P.A. pone necessità aggiuntive, quali la definizione di espliciti criteri di responsabilizzazione finalizzati al controllo della spesa totale 441 • le modalità di acquisto da parte della P.A., che possono influenzare il comportamento individuale della singola ANP443; • l’influsso delle finalità proprie delle ANP sui processi di cessione dei beni e servizi e sulla loro durabilità444 . Per contro, le peculiarità gestionali delle Amministrazioni Pubbliche445 impongono caratteri fondamentali ai loro processi di acquisto, quali: vincoli economici all’utilizzo delle risorse; vincoli giuridici all’utilizzo delle risorse; esigenza di qualità dei beni, servizi ed opere; dimensioni di alcuni acquisti; obblighi di trasparenza delle decisioni; obblighi di rendicontazione sull’uso delle risorse; controlli esterni; rapporti interni al settore pubblico diversi dai controlli446. 443 Le modalità di acquisto della Pubblica Amministrazione assumono grande rilievo, in quanto, come si vedrà in seguito, oggetto di profonda trasformazione nella ricerca di trasparenza, per mezzo di procedure formali e dell’economicità, attraverso le definizione dei criteri di scelta e la flessibilità degli strumenti.Di grande rilievo è la “durata” del rapporto contrattuale con le aziende non profit, in quanto questa influenza gli elementi strutturali di queste, come gli investimenti, i rapporti col personale ecc. 444 L’influsso delle finalità sui processi di cessione di beni e servizi è legato alla mission della ANP controparte e dall’esigenza di questa di mantenere una propria specifica identità, riflettendosi sulle decisioni in merito a quantità, livello dei prezzi e quant’altro. 445 Peculiarità quali l’eterogeneità dei prodotti, l’assenza di un prezzo di cessione dei propri prodotti, la formalizzazione dell’attività amministrativa,l’interdipendenza tra tempi e ritmi gestionali con quelli istituzionali ecc, cfr. E. Borgonovi 1996, op. cit., cap. 3. 446 I primi derivano dai vincoli di bilancio e dalle particolari modalità di reperimento delle risorse, ricavandole, generalmente per la parte preponderante, da altre istituzioni pubbliche (come le Regioni dallo Stato), oppure dalla cessione dei propri beni e servizi (come i Comuni), che mutano l’atteggiamento nei confronti dello stesso vincolo (come nel caso di tensioni finanziarie che irrigidiscono l’uso delle risorse, tipico degli Enti Locali). In merito ai secondi, per molti enti pubblici esistono meccanismi contabili autorizzativi derivanti da norme, al fine del controllo politico e di legittimità,e della partecipazione politica. Riguardano la quantità delle risorse, il tempo impiegato nelle procedure, ecc. Problema principale per il terzo punto risulta l’alta formalizzazione delle procedure di acquisto, che richiede una qualità dei beni e servizi acquistabili quasi a priori, essendo poi molto problematico la sostituzione o il risarcimento per la difformità, ovvero il controllo di qualità; questo pregiudica spesso la gestibilità dei fornitori, ma anche la loro scelta cristallizzando le preferenze su pochi di questi nel parco di scelta. La quantità di risorse necessarie per alcuni acquisti di mole ingente (per l’impegno e i tempi di realizzazione, si pensi alle infrastrutture) , poi, in merito al punto successivo, è spesso resa disponibile solo dalla collaborazione e condivisione tra più amministrazioni o tra queste ed imprese e dall’uso di strumenti contrattuali e finanziari (come nel caso delle operazioni di project finance, di cartolarizzazione ecc). Seppur in gradi diversi nei vari sistemi amministrativi, quart’ultima caratteristica, si pone l’esigenza di imporre regole per la trasparenza al fine dello scrutinio pubblico sull’operato (da parte dell’opinione pubblica e delle opposizioni di governo), e per ridurre la discrezionalità negli acquisti, preferendo criteri di selezione oggettivi esplicitati ex-ante, rispetto a quelli soggettivi. In ordine agli obblighi di rendicontazione, non di rado i processi di acquisto delle P.A. sono soggette a valutazioni ex-post riguardanti sia il consumo di risorse che il contributo dell’oggetto dell’acquisto alla realizzazione degli obiettivi. I controlli esterni consistono nell’attività di supervisione, verifica e sanzione cui sono sottoposti i soggetti pubblici rispetto alle loro attività, sia in modo formale, in adempimento degli obblighi di legge, che a livello informale, attraverso il giudizio degli organi di informazione. Infine, ultimo punto, spesso le procedure di acquisto sono determinati da altre amministrazioni rispetto a quella acquirente. Cfr. P. Rondo Brovetto, 1996, op. cit., pp. 255 e segg. Nel complesso e cruciale procedimento di formalizzazione delle procedure di acquisto447, un ruolo fondamentale viene svolto dalla scelta del tipo di scambio da attivare, in riferimento alla tipologia giuridica: forniture formali, offerte interne, subcontraenza, accordi-quadro, concessioni, partenariato448. Tale scelta influisce sui diversi infatti tipi di contratti, sui margini di azione e vincoli che seguono, nonché sulle difficoltà gestionali. Ricorrendo ad una molteplicità di forme organizzative, le amministrazioni pubbliche producono beni e servizi per cederli all’esterno, configurando il secondo tipo di relazioni P.A.-imprese, basate sullo scambio monetario in forma più o meno esplicita: la fornitura di servizi reali alle imprese. Le particolarità delle aziende pubbliche come controparte in posizione di venditrici (rispetto al caso precedente) sono numerose; le più importanti, tuttavia, risultano essere il fine di tutela dell’interesse generale ed il differente rilievo del risultato economico quale condizione per la vita duratura dell’azienda. Oggetto della fornitura sono i beni pubblici, i beni meritori e quelli privati449 e, ritengono alcuni autori, i diritti450. 447 I problemi relativi a questo sono ancora aperti e caratterizzano il dibattito sui principi economici e le codificazioni giuridiche, soprattutto in relazione alle istituzioni soggette alle regole, all’identificazione degli scambi soggetti alle regole, alla pubblicità della decisione di acquisto, alla metodologia della sollecitazione e dell’identificazione dei fornitori, alla valutazione delle offerte ed infine, al perfezionamento del contratto. Cfr. P. Rondo Brovetto, 1996, op. cit., pp.238 e segg. 448 Per forniture formali si intende il tipico contratto di fornitura tra ente pubblico ed istituzione privata contro prezzo; con il secondo termine si indica la facoltà offerta ad alcune amministrazioni di accettare offerte provenienti da imprese appartenenti alla istituzione acquirente o da unità organizzative al suo interno, come nel caso, ad esempio, dell’acquisto del servizio di trasporto per portatori di handicap dalla sezione trasporti da parte dell’Ente locale medesimo che gestisce il servizio sociale. I rapporti di subcontraenza hanno luogo quando un fornitore acquista a sua volta beni e servizi da altri fornitori nell’ambito delle attività che pone in essere per onorare il contratto. Gli accordiquadro definiscono semplicemente le condizioni alle quali la fornitura avrà luogo se quando l’ente riterrà opportuno richiederla; le concessioni consistono nel diritto, in capo all’impresa fornitrice, a sfruttare economicamente un’opera dopo averne effettuato la costruzione, dal punto di vista economico-aziendale, come corrispettivo allo scambio. Le ultime sono modalità di acquisto che si manifestano in varie forme, ma che in sostanza si concludono in un accordo di cooperazione, per un periodo di tempo definito, fra un’amministrazione acquirente ed un’impresa venditrice, per rapporti di durata ed elasticità contrattuale. 449 Per la disamina delle caratteristiche proprie di ogni categoria e di quelle che le distinguono le une dalle altre, vedi cap. 1. 450 Oltre a beni e servizi, infatti, le amministrazioni pubbliche possono cedere alle imprese alcuni diritti, riconducibili, nella varietà di situazioni esistenti, a due grandi categorie: i diritti di fare, in base ai quali l’impresa che ne gode ha la possibilità di esercitare una certa attività, e quelli di non fare, in base ai quali l’impresa che ne gode può ridurre i propri costi evitando di impegnarsi in attività alle quali sarebbe obbligata in assenza dei diritti stessi. Tre ordini di motivi sono alla base della creazione e cessione di un diritto: gli obiettivi di regolazione, che concernono la creazione di incentivi affinché l’utilizzo delle risorse comuni della società sia più consono agli interessi collettivi (tipico esempio è la Nelle relazioni di scambio nelle quali l’amministrazione è venditrice, la fissazione del prezzo assume caratteristiche particolari, per gli obiettivi che la sottendono, per la forza negoziale, e per le risorse finanziarie. Il prezzo di cessione viene considerato non solo rispetto al fine di equilibrio economico, ma anche come strumento di gestione delle politiche generali451. La fissazione del prezzo, difatti, oltre che basarsi sulla struttura dei costi dell’amministrazione e quindi sulla determinazione di questo, hanno un significato politico per molti beni e servizi della P.A., in relazione a considerazioni di redistribuzione dei redditi452. Si definiscono poi relazioni finanziarie tra imprese ed amministrazioni pubbliche i flussi monetari, a vantaggio delle aziende dell’una o dell’altra classe, che hanno luogo senza una correlata cessione di beni e servizi453. Esse sono classificabili in due grandi categorie, che determinano un rapporto biunivoco tra il soggetto pubblico ed i privati: i flussi dalle imprese alle P.A. (basate su imposte e tributi)454 e quelli cessione del diritto di sfruttamento di risorse naturali, o di inquinamento di aria ed acqua); gli obiettivi di ottenimento delle risorse, per ovviare a tensioni finanziarie, per ottenere vantaggi economici (come nel caso dei diritti di passaggio e di trasporto); gli obiettivi di trasferimento delle attività, nel caso di processi produttivi della P.A. inquadrabili con maggiore convenienza in un quadro istituzionale “privato” (in questa forma di trasferimento, tuttavia, gli aspetti di collaborazione sono prevalenti). Cfr. P. Rondo Brovetto, 1996, op. cit., pp. 327 e segg. 451 Come, ad esempio, per modificare il comportamento degli agenti economici (imprese e consumatori). 452 Per i beni e servizi collettivi, non escludibili e non divisibili, il “corrispettivo monetario” viene “raccolto” attraverso il sistema tributario, con tasse o imposte; per quelli individuali, escludibili e divisibili, può essere usato il meccanismo del prezzo di mercato o la tariffa. I meccanismi di fissazione dei prezzi di uso più frequente possono essere: (a) sulla base dei costi medi: il prezzo è determinato dal rapporto tra i costi e le quantità che si prevede di cedere; (b) sulla base dei costi marginali, in cui il costo marginale è dato dal costo aggiuntivo di ogni unità venduta; (c) il peak-load pricing: con questo meccanismo si determina il prezzo sulla base della somma fra in costo marginale ed un costo dell’infrastruttura, aggiunto solo quando le vendite hanno luogo nel massimo carico delle reti.; (d) le tariffe a più parti: determinano il prezzo sulla base dei costi marginali sommati ai costi dell’infrastruttura, fissati a livello amministrato, non di mercato, per la pubblicità del servizio cui generalmente sono legati. 453 Cfr. P. Rondo Brovetto, 1996, op. cit., pp.127 e segg. 454 La prima categoria prende origine dalla capacità impositiva della P.A. nei confronti delle imprese; i sistemi fiscali perseguono principalmente due obiettivi: la provvista di mezzi finanziari per il funzionamento dell’amministrazione e l’intervento sui processi di produzione e consumo che hanno luogo all’interno di esse. Le criticità di questo rapporto sono rinvenibili nella progettazione e gestione dei sistemi fiscali, alla cui efficienza viene affidata la capacità di non avere effetti troppo distorsivi, quali: la riduzione eccessiva dell’output delle imprese, l’innalzamento eccessivo dei prezzi e l’evasione, la perdita di legittimazione e la “migrazione” di imprese dal territorio. Nel quadro politico attuale, di forte tendenza al federalismo fiscale e alla creazione di sistemi regionali, che assegna a Regioni ed Enti locali autonomia impositiva e finanziaria, la ricerca di un’imposizione ottimale è di fondamentale importanza per l’equilibrio socio-economico dell’area territoriale. contrari, dalla P.A. alle imprese (basate sui trasferimenti)455, anche se sul piano pratico la distinzione tende ad affievolirsi. Le relazioni finanziarie possono discendere, quindi, da più motivazioni: • dalla cessioni di beni e servizi (in via indiretta); • dal finanziamento degli investimenti o di particolari fattori produttivi; • dal finanziamento di una parte dell’attività. In molti casi le aziende non profit dipendono finanziariamente dagli enti pubblici, potendo altresì ricollegare a quest’aspetto altri fenomeni che influiscono sull’equilibrio economico, come i tempi di pagamento, i vincoli nella utilizzazione dei fondi (tempi e destinazione). In particolare giova qui riflettere sulle modalità di determinazione del finanziamento. Se esistono processi di scambio, infatti, si ha la disponibilità finanziaria collegata alla quantità e qualità dei servizi erogati e, come detto, la determinazione dei prezzi e delle tariffe può essere collegata a meccanismi rigidi o negoziali; in questo caso è necessario incentrare l’attenzione sul controllo della domanda, soprattutto se l’amministrazione pubblica è terzo pagante rispetto ai beneficiari456. Le relazioni finanziarie possono svilupparsi anche tramite altre forme. L’ente pubblico può erogare finanziamenti con vincolo di destinazione per l’acquirente della risorsa (ad esempio il personale), collegato ad un contratto specifico, oppure per la realizzazione degli investimenti, con finanziamento una tantum. Nel rapporto con le aziende non profit, i legami finanziari sono determinanti, sia riguardo al rapporto tra finanziamento ed entrate totali delle ANP, che per i vincoli connessi all’utilizzo dei fattori produttivi457. 455 Il flusso contrario, dalla P.A. alle imprese, ha natura eterogenea e si esplicita in forme assai diverse. Trasferimenti e sussidi, nel complesso, mirano ad obiettivi immediati quali la compensazione per esternalità positive o rischi economici troppo elevati, l’incentivo a svolgere attività di pubblico interesse, supportare la ricerca e lo sviluppo, attirare e mantenere imprese in alcune aree geografiche, innalzare la performance di tutto il territorio ecc. Le diverse forme utilizzabili dall’Amministrazione possono essere: trasferimenti diretti, riduzione dell’imposizione fiscale, riduzione dei costi delle imprese ed aumento dei prezzi degli acquisti da parte della P.A., trasferimenti all’intero settore, sostegni al consumo, interventi sulle modalità di acquisizione e cessione. 456 Cfr. A. Zangrandi, 1996, op. cit., pp. 249 e segg. 457 I vincoli, come detto, possono essere collegati all’acquisizione di determinati fattori produttivi, , in determinate quantità e qualità. La dipendenza finanziaria dall’ente pubblico condiziona la gestione della ANP, condizionamento collegato alle caratteristiche del contratto, in particolare all’orizzonte temporale del finanziamento, alla specificazione delle prestazioni da fornire ecc. Un ulteriore elemento da considerare ai fini del finanziamento è il rapporto di “opportunità” che può venirsi a Nel perseguire i propri obiettivi, gli istituti pubblici definiscono in modo formale vincoli al funzionamento delle imprese e condizioni dell’ambiente nel quale esse operano. Le relazioni istituzionali, altro tipo di realzione P.A. - imprese sono strumenti attraverso i quali questi vincoli e condizioni sono espressi, specificati ed applicati458. In questo caso, l’ente pubblico è in posizione sovraordinata in forza del soddisfacimento di interessi condivisi dalla comunità di cui sono espressione, che conferisce loro potere impositivo. Queste relazioni si dividono in tre categorie: • le relazioni che hanno l’obiettivo di creare condizioni ambientali favorevoli all’attività delle imprese459; • quelle che hanno per obiettivo il governo delle strutture dei settori economici460; • le relazioni che hanno come obiettivo un comportamento delle imprese più omogeneo con gli interessi generali della collettività461. Fondate, quindi, su norme e regolamenti, queste relazioni riguardano molteplici elementi caratterizzanti le aziende non profit. L’individuazione delle caratteristiche strutturali si concretizza nella definizione di caratteri di funzionamento minimali che queste devono possedere, quali l’individuazione di requisiti professionali per gli operatori o standard architettonici e strutturali per i centri di erogazione. La definizione delle regole di comportamento è invece connessa a vincoli di vario genere e natura che le coinvolgono, quali ad esempio le modalità di presa delle creare nell’accedere ad un finanziamento dell’ente pubblico, in quanto può essere possibile conciliare la finalità pubblica dell’ente, con quella della ANP che concorre. 458 Cfr. P. Rondo Brovetto, 1996, op. cit., pp. 65 e segg. 459 Quest’attività si estrinseca nella creazione di istituzioni per l’attività economica delle imprese, dalle più semplici, come le regole di scambio monetario, alla più complesse, quali il funzionamento dei mercati finanziari o le reti di trasposto aereo, fino alla creazione di vere e proprie agenzie di sviluppo che si occupano di queste relazioni. 460 Il numero di imprese e le condotte da queste tenute nei diversi settori non sempre corrisponde a quello che le P.A. ritengono validi per uno sviluppo equilibrato del settore, come il livello di competizione. Si interviene con la regolamentazione o la deregolamentazione per avere maggiore o minore concentrazione e concorrenza (sulle infrastrutture, sulle barriere all’ingresso, sulla dimensione delle imprese ecc.) 461 Si impongono vincoli positivi (obblighi di fare) o negativi (non fare), oppure incentivi alla modifica del comportamento delle imprese, al fine di evitare danneggiamenti oltre una certa misura all’interesse della comunità. Le aree maggiormente interessate sono: la sorveglianza sulla concorrenza tra imprese, i rapporti tra imprese e persone (soprattutto in materia di lavoro), la protezione ambientale, la responsabilità sociale delle imprese, la cooperazione tra imprese e P.A. ecc. Spesso questo porta alla creazione di Autorità di vigilanza con poteri di regolamentazione, controllo e sanzionatori, come, ad esempio, nel campo della concorrenza nel mercato (c.d. Antitrust), nelle telecomunicazioni, nell’energia, nelle società quotate in borsa, per la privacy, per l’applicazione del regime fiscale agevolato alle imprese non profit ecc. decisioni, oppure la gestione di particolari risorse di origine pubblica. L’insieme di queste relazioni è in genere differenziato in ragione di vari elementi, come il tipo di servizio erogato, il grado di “pubblicizzazione” della funzione, della “storia” dell’intervento ecc. Il penultimo tipo di relazione, i rapporti di collaborazione tra imprese ed amministrazioni pubbliche, sono, nei loro aspetti economici, solo una delle diverse forme di collaborazione fra aziende del sistema economico462. Per contro, come detto in introduzione, la collaborazione è una delle forme più significative nelle quali i complessivi rapporti fra imprese e P.A. si sviluppano. Poiché non vi è un limite, se non puramente teorico, alle forme e all’utilità della cooperazione fra imprese e P.A., non è possibile fornire una descrizione compiuta463. Gli obiettivi intermedi che l’Amministrazione persegue con i rapporti di collaborazione possono essere individuati in varie tipologie: il rafforzamento della singola impresa o di un settore; la realizzazione di un’opera, la prestazione di un servizio o la produzione in sensi fisico-tecnico di un bene; il semplice mantenimento di canali di comunicazione; la co-gestione di un’area di attività464. In riferimento alle ANP, come si chiarirà in seguito, spesso la collaborazione si instaura sulla base di cooperazione professionale e scientifica, come una relazione non semplicemente di cessione di un servizio, ma come valorizzazione di specifiche competenze, anche in senso biunivoco. La cooperazione può riguardare, soprattutto nei servizi socio-assistenziali, anche il contenuto di un servizio, cui l’azienda non profit apporta competenze e conoscenze specialistiche, oppure professionalità mancanti all’interno dell’Ente collaborante (tipico nei servizi di assistenza all’handicap, alle tossicodipendenze ecc.). Molto spesso la collaborazione viene fatta sul “bisogno”, intervenendo direttamente sull’individuazione di questo e, in modo 462 Cfr. P. Rondo Brovetto, 1996, op. cit., pp. 347 e segg. Denominate anche collaborazioni pubblico-privato (CPP), partnership pubblico-privato (PPP) o reti/networks, fioriscono nei settori sanitario, culturale, socio-assistenziale e public utilities. 464 Procedendo ad alcune semplificazioni, le forme di collaborazione generalmente attuate consistono nella gestione congiunta delle infrastrutture (spesso attraverso il project financing) e servizi a rete (non quelli alla persona), nei sistemi di accreditamento e legittimazione dell’impresa (di tipo istituzionale, cioè trasferendo la legittimazione della P.A., derivante dal consenso popolare, all’impresa privata tramite questa categoria di relazioni, con un complesso di modalità e strumenti formali atti a garantire la convergenza con l’interesse pubblico) ed infine nei servizi per lo sviluppo delle imprese (servizi di consulenza, territoriali ed infrastrutturali). 463 correlato, sulla domanda, ricercando le migliori modalità d’individuazione di questa e selezionare quella cui destinare i servizi465. Ultima categoria di relazioni è quella dei rapporti informali. E’ tale qualunque tipo di rapporto fra P.A. ed imprese che non abbia il carattere della formalità di una regolazione, di un atto amministrativo, o di uno scambio466. L’interesse maggiore in queste relazioni è nella situazione in cui è l’impresa ad essere parte attiva467. La varietà di forme nelle quali le imprese cercano di esercitare pressione sulle amministrazioni pubbliche, dipende in parte dalla governance del Possibilità di accordi di vario genere e natura relazioni di collaborazione relazioni informali - definizione caratteri di funzionamento minimali - definizione regole di comportamento servizi reali alle imprese Relazioni PA - ANP relazioni istituzionali - dipendenza finanziaria ANP dagli enti pubblici - modalità di determinazione del finanziamento - vincolo di destinazione delle risorse - oggetto:cooperazione professionale e scientifica - problema:valorizzazione specifiche competenze - azione sul “bisogno” - tutela interesse generale - prezzo: strumento di gestione delle politiche acquisti della PA relazioni finanziarie - assenza di un prezzo per servizi delle ANP; - formalizzazione delle procedure di acquisto - limitazioni derivanti proprie di ANP o PA Figura 4.1 a: Quadro riassuntivo delle problematiche nelle relazioni tra Pubblica Amministrazione ed aziende non profit. (Elaborazione propria) sistema (sia quella formale, che quella informale) ed hanno obiettivi intermedi finalizzati allo scambio di informazioni (sulle future decisioni della P.A.) e all’influenza sulle decisioni (per ottenere regolamentazioni di favore o di non sfavore). Nello specifico, le relazioni informali tra ANP e P.A. sono connesse ad 465 Cfr. A. Zangrandi, 1996, op. cit., pp. 250-251. Semplificando il discorso, si tratta di relazioni che si creano dove i rapporti istituzionali, che hanno a disposizione strumenti formali, trovano il loro confine nell’esercitare influenza sul comportamento sia di imprese private, che della P.A.. Cfr. P. Rondo Brovetto, 1996, op. cit., pp. 395 e segg. 467 Il caso opposto di notevole interesse viene studiato, invece, nell’ottica della business responsibility, vedi per. 1.4. 466 accordi di vario genere e natura, tra i quali hanno particolare rilevanza gli accordi politici e le lobby, che permettono di correlare interessi specifici del terzo settore a livello istituzionale468. La figura 4.2 a esprime una sintesi delle problematiche tra PA e ANP finora descritte. Gli elementi in precedenza brevemente accennati consentono alcune prime indicazioni sull’efficacia delle modalità di intervento in un definito campo di attività. Si è detto, innanzitutto, della natura di “funzione” dell’intervento pubblico, che può trovare utili risposte in molteplici “servizi”; questi possono essere gestiti direttamente o realizzati da altri soggetti, sia pubblici che privati, operanti secondo meccanismi di mercato, con finalità di profitto o non profit. Il coinvolgimento del terzo settore nella produzione di servizi socio-assistenziali, quindi, passa attraverso le scelte strategiche dell’Ente, che, all’interno del quadro delle relazioni descritte, sceglie la forma istituzionale di gestione dei servizi che consente il raggiungimento dell’economicità. Seguendo l’impostazione di Rebora e Meneguzzo469, si può considerare una pluralità di formule gestionali470: (a) imprenditoriale; (b) redistributiva; (c) garantista; (d) contrattuale; (e) volontarista. 468 Cfr. A. Zangrandi, 1996, op. cit., p. 252. Secondo gli autori, la titolarità e competenza per la funzione pubblica vera e propria si può considerare esclusiva dell’ente pubblico territoriale, ma questo non vale necessariamente per i servizi ed interventi. Cfr. G. Rebora, M. Meneguzzo, 1990, Strategia delle amministrazioni pubbliche, UTET, Torino, cap. IV. 470 Questo a seguito della “crisi” del modello classico di gestione, che limitava il conseguimento di elevati livelli di economicità dei servizi pubblici. Con la dizione modello classico di amministrazione, si fa riferimento alle modalità organizzative e gestionali tradizionalmente adottate per il funzionamento delle istituzioni pubbliche, con le seguenti caratteristiche distintive: netta separazione tra politica ed amministrazione; autonomia e neutralità dell’apparato amministrativo; centralità del procedimento amministrativo come strumento prevalente di gestione, in parte già trattati nel par.3.2. Per un approfondimento, cfr. A. Garlatti, 1994, L'impresa pubblica ed il controllo del gruppo locale, EGEA, Milano, cap. 3. 469 La formula imprenditoriale corrisponde all’adozione di un involucro normativo e formale nell’azienda pubblica che gestisce il servizio, caratterizzato da flessibilità organizzativa ed autonomia gestionale e strategica, assimilabile all’impresa pubblica. La formula redistributiva, invece, corrisponde a quei “contenitori” istituzionali dell’ente pubblico caratterizzati da elevata flessibilità organizzativa, ma limitata autonomia gestionale, come ente strumentale dell’istituto pubblico territoriale471. Alla formula garantista è riferibile la gestione in economia, caratterizzata da rilevante rigidità organizzativa e limitata autonomia gestionale, sia delle entrate che della spesa472. La formula contrattuale si ha quando l’istituto pubblico territoriale affida ad un organismo di tipo imprenditoriale (anche pubblico) la gestione di un dato servizio a fronte del quale esso riconosce un corrispettivo economico. Aspetto qualificante della formula contrattuale è che le risorse finanziarie necessarie all’impresa contraente per alimentare il rinnovarsi dei propri processi non vengono acquisiti dall’utenza, ma dall’ente territoriale terzo pagante473. Infine, la modalità volontarista prevede l’affidamento dell’attività pubblica a soggetti disponibili ad assumersi gratuitamente l’impegno, mediate forma di accordo o convenzione che non implichi riconoscimento economico, ma solo a fronte di assistenza tecnica, erogazione di agevolazioni, strumenti operativi ed altri supporti474. Le motivazioni di base all’adozione di queste formule vengono individuate nella valorizzazione delle capacità imprenditoriali dei privati (e supplire alla carenza di queste nel pubblico), nella flessibilità delle risorse (che permette, da un lato, di 471 La limitazione dell’autonomia deriva dalla gestione di un budget di spesa determinato da entrate fisse, non direttamente collegate alle prestazioni fornite; la formula si adatta tipicamente ad attività erogative, promozionali o di regolazione, come le Authorities. Fondamentale per questa formula è la definizione della delega di funzioni dall’Ente titolare di queste all’agenzia creata, e dalla verifica dei risultati. 472 A questa fattispecie sono riconducibili moltissime realtà della P.A., caratterizzate dall’espletamento di attività certificative e dall’attenzione alla regolarità formale; trova la sua ragion d’essere nella esigenza di garantire diritti di terzi e l’imparzialità del personale nell’adempimento dei propri compiti. 473 Tuttavia possono rientrare nella fattispecie anche modalità che comportano la possibilità di pagamento di un prezzo da parte dell’utenza. Critico di questa formula è la definizione dei contenuti contrattuali, quali la qualità dei servizi, il controllo, le modalità di rescissione e la durata. 474 Tipico è l’utilizzo di forze ed energie del volontariato, sia individuale, che in formazioni sociali, ed il fine solidaristico del servizio erogato. È questa la modalità che istituzionale che va assumendo in tempi recenti un rilievo consistente, anche in relazione alle inefficienze ed intempestività della P.A. in ambito sanitario e sociale. liberarne di nuove e metterle a disposizione per la mission, dall’altro, di migliorare l’efficienza e la tempestività) e nella ricerca di know-how (da interiorizzare). In relazione alle forme di gestione dei servizi pubblici locali (previste dalla L. 142 del 1990) a disposizione della P.A. locale, si può tracciare un collegamento tra queste e le formule gestionali appena descritte (figura 4.1 b). Formule istituzionali di base Caratteristiche Imprenditoriale Flessibilità organizzativa Autonomia gestionale e strategica redistributiva Strumentalità Flessibilità organizzativa Scarsa autonomia Formalizzazione Rigidità organizzativa Affidamento a terzi Rapporto contrattuale Esistenza di corrispettivo garantista contrattuale Forme di gestione ex L. 142/90 Azienda speciale Istituzione S.p.A. Consorzio Istituzione Gestione diretta in economia Concessione Azienda speciale Convenzione Consorzio volontarista Affidamento a terzi Assenza di corrispettivo Figura 4.1 b: quadro di sintesi delle formule gestionali. (Elaborazione su A.Garlatti, 1994, p. 82) Le varie formule presentate sono state applicate in diverso modo, numero e grado a seconda del comparto di Amministrazione Pubblica prescelto (prevalentemente EE.LL. e sistema sanitario nazionale) e dei settori di intervento (prevalentemente beni culturali e socio-assistenza)475. Gli Enti Locali, responsabili, come detto, dei servizi socio-assistenziali, sono stati ampiamente investiti da questa nuova metodologia di gestione dei servizi, seppur in via sperimentale476 e senza obbligo di “coerenza” tra formula gestionale e tipo di servizio477. 475 Per il settore socio-assistenziale, nello specifico, si sono attuate prevalentemente la formula volontarista e contrattuale verso il non profit, quella redistributiva (con la creazione di istituzioni) e in minor modo quella imprenditoriale (con fondazioni ed aziende speciali) . Queste sono state intraprese come decisione autonoma degli enti gestori, con la tendenza ad escludere le formule imprenditoriali per dare maggiore spazio alla presenza pubblica, soprattutto nella programmazione. 476 Nella L. 142/90 non era infatti obbligatorio l’adozione di una forma di gestione diversa da quella diretta. 477 Alcune formule erano solo “consigliate” per alcuni ambiti di attività, poiché maggiormente adatte ad alcune tipologie di servizi: quella imprenditoriale per i servizi industriali a rete, e quella redistributiva per i servizi alla persona (scuola, socio-assistenza, sport, cultura). Con il Testo Unico del 2001 si introduce formalmente la formula volontarista, prima assente ed attivata spontaneamente Richiamando le considerazioni di strategia della P.A. cha hanno aperto il discorso sulle formule gestionali, emerge l’importanza delle strategie di integrazione. Si tratta, a detta dei precedenti autori, di concepire sempre più la strategia aziendale in termini di integrazione con altri soggetti, e per definire, in rapporto a ciascuno di essi, il ruolo e l’atteggiamento da assumere nella prospettiva di orientare le relazioni del sistema verso una progettualità generale, anche a livello locale, con l’affermarsi di sistemi multicentrici e di un pensiero strategico in termini interistituzionali478. L’uso di formule gestionali (sia quella garantista che le altre alternative alla gestione diretta) influenzano l’economicità sia dell’ente che del non profit, coinvolto tramite la cessione di servizi ed il finanziamento (formula contrattuale e volontarista), la gestione di attività complesse (formula redistributiva), la tutela di interessi della collettività (all’interno dei vertici di aziende miste in base alla formula imprenditoriale), tramite vari strumenti operativi, cui è dedicato il prossimo paragrafo. 4.2 Gli strumenti di attuazione delle relazioni pubblico-privato Prima di procedere all’analisi degli strumenti attraverso cui coinvolgere le aziende non profit nei servizi di Welfare, ed in particolare quelli socio assistenziali, occorre procedere ad alcuni chiarimenti. Il tema della scelta fra le diverse modalità di svolgimento dei pubblici servizi (specificatamente quelli locali) si presta ad essere esaminato sotto il profilo della loro “privatizzazione”, termine già usato nel corso del presente lavoro per indicare genericamente il passaggio dal pubblico al privato. Secondo l’avviso di un cospicuo gruppo di autori479, a fronte di un largo ricorso all’utilizzazione del termine, i dagli EE. LL., si scoraggia la gestione diretta in favore della creazione di S.p.a (formula imprenditoriale). 478 Cfr. G. Rebora, M. Meneguzzo, 1990, op. cit., p. 104; G. Valotti, 2000, La riforma delle autonomie locali: dal sistema all'azienda, EGEA, Milano, p. 89 e A. Garlatti, 2002, Deregolamentazione e concorrenza nei servizi pubblici: implicazioni strutturali per l'economia degli enti locali, in Azienda Pubblica, n. 1-2, p. 53. 479 Ne citiamo solo alcuni: G. Farneti, 1995, La valutazione di economicità delle gestioni pubbliche locali, in Anselmi L. (a cura di), Privatizzazioni: Come e Perché, Maggioli, Rimini; L. Anselmi, 1995 a, Privatizzazioni: Come e Perché, Maggioli, Rimini e L. Anselmi (a cura di), 1995 b, L'azienda "comune", Maggioli, Rimini; G. Dossena, 1990, La privatizzazione delle imprese: modalità, problemi significati che lo stesso può assumere non sono univoci, potendo fare riferimento a molteplici schemi concettuali. Un’impostazione generalmente condivisa vede la distinzione tra privatizzazione in senso ampio (ossia la riduzione del peso del settore pubblico nell’economia che richiama i concetti di denazionalizzazione, deregolamentazione e i generali provvedimenti di liberalizzazione dei mercati) e privatizzazione in senso stretto, concernente l’effettivo trasferimento della proprietà di imprese pubbliche al privato tramite controvalore al cedente480. Volendo specificare questi concetti, secondo Dossena481, le modalità attraverso le quali il processo di privatizzazione può aver luogo sono molteplici e spaziano dalla trasformazione delle formule di gestione o degli obiettivi assegnati alla proprietà pubblica, fino al passaggio vero e proprio di questa dall’operatore pubblico a quello privato; si caratterizzano per la diversa intensità e grado di revocabilità che le connotano; ciascuna delle diverse tipologie di intervento, poi, è idonea a raggiungere specifici obiettivi assegnati al processo di privatizzazione, non risultando “equifungibili in funzione di questi”. Si possono schematizzare tre diverse “linee” di privatizzazione: • privatizzazione indiretta, attraverso numerose modalità che non prevedono il trasferimento effettivo delle attività pubbliche al privato, pur comportando alcune modificazioni anche nelle modalità di gestione della proprietà pubblica482; e prospettive, EGEA, Milano; R. Arcangeli, 1995, Economia e gestione delle imprese di pubblici servizi, Cedam, Padova; M. Nieri, 1995, Un nuovo rapporto pubblico-privato nella gestione dei servizi locali, in Anselmi L. (a cura di), L'azienda "comune", Maggioli, Rimini. 480 Cfr. R. Arcangeli, 1995, op. cit., cap. XV; G. Dossena, 1990, op. cit., cap. 1. Giova ricordare che secondo questa impostazione, la scelta di privatizzare in senso stretto discende dalla maggiore efficienza dell’organizzazione privata, per la competizione nel mercato, la presenza di rischio di gestione e del connesso profitto, stante comunque il limite del grado di concorrenzialità del mercato. Viene poi precisata anche una specificazione della privatizzazione in senso stretto, detta privatizzazione “fredda”, che non comporta il trasferimento della proprietà dell’impresa, ma solo la trasformazione della natura giuridica della proprietà e l’introduzione di obiettivi di tipo privatistico della gestione. 481 Cfr. G. Dossena, 1990, op. cit., cap.2. 482 Modalità previste per questo processo sono: la deregolamentazione; l’incentivazione di istituzioni alternative, l’apertura del monopolio pubblico alla concorrenza; la modificazione del metodo di prelievo del corrispettivo per l’acquisto di beni e servizi; l’allineamento di condotta tra imprese pubbliche e imprese private; la privatizzazione dei rendimenti pubblici; la privatizzazione “fredda”o ibridizzazione; la diluizione del controllo e la privatizzazione della forma giuridica. Per un approfondimento, cfr. G. Dossena, 1990, op. cit., pp. 26-37. • privatizzazione funzionale, la quale comporta il trasferimento al privato di un determinato compito in precedenza assolto dall’operatore pubblico, attraverso l’esternalizzazione che consente di trasferire, anziché la proprietà, la gestione dei servizi; • la privatizzazione sostanziale, che comporta l’effettivo trasferimento della proprietà dall’operatore pubblico a quello privato, il quale ne diviene a tutti gli effetti titolare; comporta, con espressione di efficace sintesi, la sostituzione, nella qualità di proprietari, dei contribuenti con i futuri azionisti. Farneti propone anch’esso tre “forme” di passaggio dal pubblico al privato, parzialmente coincidenti con quelle precedentemente esposte483: l’”aziendalizzazione” dell’ente locale o di sue “parti”; la “delega” di alcune attività all’esterno; il trasferimento della funzione di “governo” aziendale484. Lo stesso autore, in aggiunta, integra questa classificazione con due criteri - guida: (a) il criterio del controllo; (b) il criterio del mercato. Secondo il criterio sub (a), si privatizza se si trasferisce parzialmente o totalmente ad altri soggetti il controllo dell’attività svolta, o anche se si rende autonoma la medesima attività; sotto il profilo (b), invece, privatizzare significa andare proprio verso il mercato, proponendosi di determinare condizione di gestione simili a quelli che contraddistinguono le imprese private, creando nuove condizioni di competitività485. 483 Esattamente, coincidono le ultime due schematizzazioni, mentre c’è disaccordo sulla prima tassonomia proposta, in cui Farneti parla di strumenti privatistici di gestione. 484 Con il primo termine si indica l’adozione di strumenti di gestione di tipo privatistico, volendo privatizzare l’organizzazione, come avvenuto dalla L. 142/90 in poi (cedi par. 3.2.2); l’autore, per l’appunto, ritiene quest’espressione impropria se riferita solamente alla “riscoperta” dei caratteri di azienda dell’Ente Locale, poiché da sempre considerato tale dalla dottrina economico-aziendale. Il secondo termine indica l’esternalizzazione di attività (sia di puro supporto, che quelle istituzionali) da parte dell’ente in favore di soggetti privati sia con modalità contrattuali basati sullo scambio (appalto, concessione), che con coinvolgimento di questi attraverso forme societarie o partecipative (azienda speciale, istituzione, S.p.A.). L’ultimo caso può essere realizzato con la cessione vera e propria dell’attività con una sua dismissione, o scissione da società di capitali pubblica in favore del privato, conferendo l’azienda ad apposita società di capitali, successivamente ceduta a terzi (sia in totalmente, che parti maggioritarie o minoritarie del capitale) con conseguenti scelte di tipo politico (la valutazione del prezzo, il timing con i mercati finanziari, il procedimento, un eventuale risanamento). Cfr. G. Farneti, 1995, op. cit., pp. 190-204. 485 Il primo criterio è connesso ai rapporti che si vengono a determinare fra l’attività svolta e l’ente territoriale, che corrisponde agli aspetti prima considerati; il principio guarda ai modi di essere del soggetto aziendale, ritenendo che la forma giuridica non abbia autonomo valore. Il secondo è legato ai rapporti che si vengono a creare fra l’attività svolta e l’ambiente competitivo; l’EE.LL. si trova a Farneti conclude esprimendo preferenza per la privatizzazione del quadro competitivo, in cui si devono combinare, per la realizzazione di questa strategia, le varie soluzioni proposte, curando particolarmente la managerialità dei comportamenti, dovendosi muovere sempre meno verso gestioni dirette e molto più, come detto, verso strategie di integrazione con altri soggetti, verso la holding comunale. Nieri, invece, chiarisce la distinzione tra “gestione privata” (cessione dell’attività a privati) e “gestione privatistica” (tramite azienda dell’ente locale), sempre con riferimento ai servizi pubblici locali486. Secondo l’autore, la precisazione è importante proprio alla luce della dicotomia appena citata, tra il senso stretto e quello ampio in cui interpretare il concetto “privatizzazione”: il primo comprende sicuramente le forme di gestione di tipo privato, mentre il secondo coincide perfettamente con quelle privatistiche487. Rebora e Meneguzzo488, infine, analizzano il processo di privatizzazione, considerando le funzioni chiave di un soggetto, pubblico o privato, di “produttore di servizi” e “gestore strategico”, per il quale quest’ultimo ruolo assicura la strategia e la selezione dei servizi e l’affidamento della responsabilità dei processi di offerta alle organizzazioni pubbliche e private che svolgono il ruolo di produttori. Il processo di privatizzazione. Secondo gli autori, si avrebbe privatizzazione in senso pieno con il passaggio da una relazione che prevede la gestione strategica affidata al pubblico e la dover perseguire l’economicità in un ambiente operativo difficile per la mancanza di un mercato e per l’impossibilità, attraverso la misurazione dei ricavi, di valutare l’efficacia dell’attività svolta. Secondo il criterio del mercato, l’aziendalizzazione è volta all’economicità e al mercato tramite l’applicazione di metodologie che mirano, per l’appunto, all’equilibrio economico durevole ed evolutivo; l’esternalizzazione (con strumenti contrattuali), se realizzata in trasparenza, promuove un allargamento a soggetti privati e crea competitività, favorendo processi di specializzazione che rendono l’ente più flessibile, riservando, come detto, all’ente la “regia” della rete; il trasferimento della funzione di governo aziendale, ritiene l’autore, sviluppa effetti positivi solo se non si sostituisce un monopolio pubblico con uno privato, non essendovi garanzia che la gestione privata sia più attenta al quadro competitivo, e lasciando all’ente la funzione di monitoraggio. 486 Il primo caso, approfondendo il discorso, si incentra sulla cessione di attività ai privati, realizzabile attraverso la vendita dell’intera azienda prima erogante (o parte di essa) oppure con l’esternalizzazione della gestione a terze economie con capitale prevalentemente privato (con strumenti contrattuali); nel secondo caso, invece, si considera la gestione tramite azienda dell’Ente Locale, ma con la veste giuridica di società di capitali di tipo privato. Cfr. M. Nieri, 1995, op. cit., pp. 67-73. 487 Rispetto al criterio del controllo proposto precedentemente, invece, considerando forme di gestione privata, seppur coinvolgendo queste soggetti privati, solo con la cessione si ha una privatizzazione strictu senso, poiché negli altri casi l’ente locale non perde su tali attività il controllo, più o meno forte secondo la formula contrattuale prescelta. 488 Cfr. G. Rebora, M. Meneguzzo, 1990, op. cit., pp. 153-155. produzione eventualmente al privato (con applicazione della formula contrattuale, che chiamano decentralizzazione, e corrisponde pressoché alla privatizzazione funzionale) ad una diversa relazione contraddistinta dalla centralità degli organismi privati quanto a gestione strategica e produzione. Rispetto agli orientamenti proposti, volendo cercare una loro sintesi che descriva il più aderentemente possibile ciò che sta accadendo nella realtà, la “via” maggiormente usata nei servizi socio-assistenziali è una privatizzazione in senso ampio (secondo la definizione di Arcangeli), indiretta e funzionale (secondo quella data da Dossena), con gli strumenti dell’aziendalizzazione e dell’esternalizzazione secondo un’ottica di mercato (secondo la linea di Farneti, in gestione privata, secondo Nieri), e, conservando gli enti locali la funzione di definizione strategica, non “piena” (secondo l’impostazione di Rebora e Meneguzzo, escludendo a priori, per motivi di interesse pubblico, il passaggio della titolarità (della funzione) di questi alla sfera privata. Prima di analizzare nel dettaglio gli strumenti di coinvolgimento delle aziende non profit nella gestione dei servizi socio-assistenziali, occorre una ulteriore precisazione. Il Comune, nella gestione di questi servizi, come più volte esplicitato, ha tradizionalmente a disposizione le seguenti alternative: la delega alle Asl, l’esternalizzazione di servizi ad imprese sociali del non profit, il ricorso al volontariato, la creazione di aziende sociali, l’accreditamento e il ritorno alla gestione diretta. Questa categoria di servizi alla persona, a detta di autori impegnati nel loro studio489, sta attraversando un momento di particolare disequilibrio, caratterizzato dalla messa in discussione di modalità di gestione sino ad ora ritenute ottimali490. 489 Cfr. A. Battistella, 2001b, Competizione e forme di gestione in Italia, in Prospettive Sociali e Sanitarie, n. 14-15, p.3-8 490 La ricerca della forma di gestione ottimale è soggetta ad una molteplicità di opzioni; l’esperienza sul campo degli autori, tuttavia, ha evidenziato come principale limite la scarsa coerenza tra la scelta della particolare forma di gestione e le scelte di politica sociale che ne sono alla base; sembra mancare la convinzione che queste non siano solo degli strumenti tecnici, ma abbiamo un significato valoriale e di indirizzo delle politiche sociali: l’utilizzo deve essere coerente con le finalità perseguite. Rispetto al problema delle deleghe, si deve ricordare la complessità che lo che lo avvolge: per molto tempo e in comuni di piccole dimensioni ha rappresentato il modo per poter affrontare anche problemi sociali; il ritiro di queste mette gli stessi comuni deleganti in difficoltà per non aver sviluppato capacità di affrontare queste problematiche. Questo schema è oggetto di ripensamento per due motivi: la diffusa insoddisfazione dei Comuni rispetto alle scelte organizzative delle Asl, con priorità agli aspetti sanitari dell’intervento, e il nuovo ruolo assegnato a questi, facendo apparire la delega come una modalità non garante del ruolo di regista della rete. L’esternalizzazione all’impresa sociale viene Il grado di coinvolgimento, il ruolo assegnato e le problematiche relative al non profit, in conclusione, variano a seconda delle modalità di gestione scelte dagli EE.LL. e dal loro senso di cambiamento. Le tre sezioni successive analizzano più nello specifico gli strumenti operativi sopra introdotti, soprattutto valutando le implicazioni per i soggetti non lucrativi. Tali strumenti sono stati suddivisi con l’obiettivo di far emergere la gradualità del passaggio dallo scambio alla collaborazione. L’esternalizzazione, infatti, si basa sul meccanismo dello scambio e viene contrapposta all’accreditamento (base per i quasi mercati) per il diverso “modo” di creare concorrenza491: il primo ha l’obiettivo di creare meccanismi competitivi “per il mercato” con la selezione dei fornitori dei servizi, il secondo crea una competizione “nel mercato”, mettendo i fornitori in concorrenza tra di loro e valutando successivamente l’operato. La costituzione di un’azienda sociale permette di creare relazioni che tendono sempre di più verso la collaborazione, se si consente al terzo settore di non essere un mero fornitore (l’attuale tendenza). In ultimo, dopo aver completato l’illustrazione del dibattito sulla dicotomia scambio-cooperazione presentata ad inizio capitolo, si tenta di chiarire il significato del termine partnership, che nella sua etimologia richiama il concetto “puro” di collaborazione, ma che di volta in volta si presta a differenti interpretazioni. 4.2.1 L’esternalizzazione e i quasi-mercati considerata in piena maturazione: il ricorso alle convenzioni, appalti, e altre modalità contrattuali non vengono viste come l’unico modo di procedere per fronteggiare la domanda crescente, i costi dei servizi, la delegittimazione del servizio pubblico, ma uno dei tanti possibili. Il ricorso al volontariato è in forte crescita, poiché le associazioni si dimostrano sempre più professionalizzate e strutturate, in grado di garantire servizi con alto grado di specializzazione a basso costo. La creazione di aziende sociali in diversa forma (istituzione, azienda speciale, consorzio, S.r.l., S.p.A), è anch’essa in crescita, per la capacità di svincolare l’amministrazione da logiche burocratiche, di separare gestione e politica, di creare sinergie con gli altri attori del Welfare e di integrare gli interventi. L’accreditamento è, ad oggi, la forma più dibattuta: mutuata dal settore sanitario e sperimentata rispetto ai servizi residenziali per anziani dalla L. 328, è soggetta a difficoltà pratiche e di impostazione metodologica, cui si dirà in seguito. Il ritorno alla gestione diretta, infine, sembra una strada percorsa, almeno a livello di studio, da molte realtà. 491 Si è adottata quindi l’impostazione di Farneti, nell’approccio alla “privatizzazione” secondo il criterio del mercato. La modalità di riduzione dell’intervento pubblico maggiormente utilizzata nella fornitura di servizi socio-assistenziali è l’esternalizzazione di servizi. Con questo termine si intende la decentralizzazione di attività in base a formule contrattuali492 di affidamento a terzi (pubblici o privati), attraverso meccanismi competitivi per la produzione di servizi493. Molto in generale, seguendo l’impostazione di Rebora e Meneguzzo, lo sviluppo della formula contrattuale si esplica attraverso quattro “sottoformule”494; oggetto della presente sezione è la formula del contracting-out. S Produzione e fornitura di servizi Legenda: S: Stato C: consumatori P: imprese private C P S Risorse finanziarie C Delega di fornitura P prestazione Fornitura pubblica tradizionale Contracting-out Figura 4.2 c: schema di funzionamento della fornitura pubblica tradizionale e del contracting out. (Fonte: G.P. Barbetta, p. 109) 492 Cfr. G. Rebora, M. Meneguzzo, 1990, op. cit., p. 153-155. Nel quadro definitorio del temine “privatizzazione” proposto precedentemente, questa modalità può essere fatta rientrare nella privatizzazione c.d. “funzionale”. 493 Cfr. G.P. Barbetta, 1996b, Sul contracting-out nei servizi sociali, in Borzaga C., Fiorentini G., Matacena A. (a cura di), Non-profit e Sistemi di Welfare: Il Contributo dell'Analisi Economica, NIS, Roma, p. 106. 494 Le formule presentate dagli autori sono: (a) il contracting-out, nel quale l’interlocutore dell’istituto pubblico è un organismo di tipo imprenditoriale pubblico o privato; (b) il contracting-in, che prevede l’affidamento della progettazione o gestione dei servizi, e alcuni nuclei omogenei di attività ad altri istituti pubblici, con modalità di compensazione anche non economiche, o di “scambio istituzionale”; (c) franchising, ossia il contracting-out “classico” associato alla concessione o meno di una esclusiva sul servizio; (d) la partnership, nella quale si realizza una joint-venture o comunque un processo di cooperazione. Cfr. G. Rebora, M. Meneguzzo, 1990, op. cit., cap. V. Il contracting-in non verrà ulteriormente approfondito poiché non coinvolge i soggetti privati ed in particolare il non profit;anche il franchising non viene usato per il coinvolgimento del terzo settore ed il concetto di partnership verrà analizzato dettagliatamente in un sottoparagrafo dedicato, poiché merita particolari approfondimenti. Nell’analisi del contracting-out, si è poi soventi distinguere tra contracting-out totale (affidamento all’esterno di progettazione e gestione dei servizi e dei nuclei di attività) e parziale (limitato alla gestione dei servizi, riservando all’istituto pubblico il ruolo di programmazione e progettazione dell’intervento, e di verifica e monitoraggio dei risultati); tra contracting-out secondo logiche tradizionali di scelta dei potenziali fornitori (attraverso cioè le tipologie di contratti previste dalla normativa) o secondo una logica di gestione concorrenziale (competitive tendering, formula sviluppata prevalentemente in UK, che prevede la valutazione obbligatoria delle offerte provenienti dall’interno dell’ente pubblico ed elaborate direttamente da unità operative) dei potenziali fornitori. Attraverso questi meccanismi, dunque, l’operatore pubblico conserva la titolarità del servizio e si fa carico del suo finanziamento (pur restando salva la possibilità di applicare o fare applicare prezzi a carico degli utenti), ma si libera dei compiti di gestione diretta che vengono affidati ad altri soggetti495. Secondo Barbetta496, il vantaggio di un simile modello di fornitura (il cui meccanismo è rappresentato nella figura 4.2 c, in confronto al modello tradizionale di fornitura diretta) deriverebbe dalla “competizione per il mercato”, che si avrebbe a generare tra le imprese private interessate ad esercitare per conto della Pubblica Amministrazione; proprio questa competizione dovrebbe far emergere il produttore maggiormente efficiente, riducendo i costi della pubblica amministrazione; risulta da sé che, affinché questo meccanismo manifesti i suoi effetti positivi, le modalità di selezione del fornitore (di cui si dirà in seguito) devono rispettare determinate caratteristiche. I motivi cha stanno alla base della scelta di esternalizzare i servizi socio-assistenziali possono ricondursi a diversi ordini di fenomeni: l’aumento della domanda di questi servizi, la necessità di ridurre il peso finanziario dell’intervento pubblico in campo sociale, la crisi di legittimazione dell’intervento pubblico497. In teoria, il ricorso all’esternalizzazione consente, come detto, di ridurre il costo dei servizi a parità di qualità, oppure ad un miglioramento della stessa498 495 Questa formula trovano generale applicazione in un’ampia gamma di servizi, dalla realizzazione di infrastrutture pubbliche e gestione dei servizi a rete, allo svolgimento di attività produttive interne (ristorazione, pulizia, logistica, manutenzione: in questi casi, infatti, la metodologia risulta particolarmente idonea e funzionale); nel caso dei servizi socio-assistenziali si estende anche all’affido di servizi “core” (nella forma parziale), come le prestazioni vere e proprie. Nei servizi alla persona, che recentemente, ripetiamo, hanno visto la tendenza all’esternalizzazione, il decentramento della fornitura è reso più complesso, rispetto ai servizi ausiliari a quelli istituzionali dell’ente, dalla difficoltà di specificare con precisione le caratteristiche del bene/servizio da produrre; in questa tipologia di servizi, infatti, assumono rilievo fondamentale le “relazioni” che si instaurano tra fornitore ed utente del servizio. Rispetto alle tipologie di fornitori coinvolti le imprese for profit sono chiamate nelle aree dei beni e dei servizi tecnici, mentre le aziende non profit hanno, per l’appunto, una funzione assai più importante nei servizi alla persona (sanità ed assistenza). 496 Cfr. G.P. Barbetta, 1996 b, op. cit., pp. 108-110. 497 Una chiave di lettura di questi fenomeni può essere trovata in relazione alla più generale crisi del Welfare State e alle soluzioni proposte, brevemente riassunte nel capitolo primo del presente lavoro. 498 Questo effetto si riconduce ad una molteplicità di motivi, tra loro interconnessi: il passaggio da un monopolio pubblico di fornitura (inefficiente) ad una pluralità di fornitori in concorrenza (alla ricerca di efficienza per competere); la possibilità di realizzare economie di scala da parte dei fornitori privati (ad esempio, nelle aree di attività in cui vengono impiegati beni strumentali di costo rilevante; il privato può suddividere il costo degli stessi tra gli utenti e gli enti pubblici finanziatori); la struttura organizzativa delle imprese private e specialmente le ANP, come detto, tradizionalmente le principali interessate a concorrere per l’affidamento, che impone attenzione ai costi e contemporaneamente alla qualità; l’uso più flessibile della manodopera per l’impresa privata, sia con forme di lavoro flessibile Rispetto a questi vantaggi, la diffusione di pratiche di affidamento di servizi sociali ad aziende non profit (la tendenza attuale), non necessariamente diventa causa automatica dell’innesco di meccanismi di risparmio nella spesa pubblica, di innalzamento della qualità, ed efficienza499: secondo una parte rilevante della letteratura economica in materia500, infatti, i risultati economici e produttivi di questo meccanismo sono largamente influenzati dalla strutturazione del processo contrattuale. La rilevanza del problema assurge, quindi, dalla considerazione delle problematiche nelle relazioni contrattuali tra enti pubblici e non profit, in quanto, a seguito della crescita quantitativa delle esperienze di affidamento e nel sostegno di queste, non ha fatto da contrappeso la maturazione di un moderno sistema di regolazione dei rapporti tra pubblico e privato501. Lo strumento giuridico tradizionalmente “abbinato” al contracting-out è il contratto di appalto, che, per la scelta del contraente, prevede l’indizione di una gara, con varie modalità, procedure e vincoli, cui partecipano più imprese e, generalmente e genericamente, vede vincitrice quella che offre le migliori condizioni economiche per la fornitura502. Nel nostro paese, tuttavia, la “delega” delle fornitura di servizi socio-assistenziali avviene attraverso uno strumento particolare: la convenzione503. (part-time, lavoro temporaneo, collaborazioni coordinate e continuative) che volontario (soprattutto per le aziende non profit), prima fonte di soluzione contro di rigidità dei costi. Cfr. G.P. Barbetta, 1996 b, op. cit. e L. Fazzi, 1994, Affidamento dei servizi sociali ad agenzie non profit: problemi e prospettive, in Economia Pubblica, n. 6; Cfr. R. De Hoog, 1993, Potenzialità e limiti del contractingout, in Ascoli U., Pasquinelli S. (a cura di), Il welfare mix. Stato sociale e terzo settore, Franco Angeli, Milano. 499 Cfr. R. De Hoog, 1990, Competition, negotiation or cooperation. Three models for service contracting, in Administration & society, n.44. 500 Cfr., ad esempio, N. Rosenbaum, 1981, Government funding and the voluntary sector: impacts and options, in Journal of Voluntary Action Research, n. 10; P. Terrel e R. Kramer, 1984, Contracting with nonprofits, in Public Welfare, n. 2 e per una sintesi dei vari contributi, cfr. L. Fazzi 1994, op. cit.. 501 Cfr. P. Donati, 1993, Dove va il terzo settore, in Impresa Sociale, n. 10; L. Fazzi, 1993, Convenzioni tra enti pubblici e servizi sociali senza fini di lucro: istruzioni per l'uso, in Animazione Sociale, n. 4; G. Rossi, 1993, La legge sulla cooperazione sociale: problemi e prospettive, in Impresa Sociale, n. 10; S. Pasquinelli, 1993, Stato sociale e terzo settore in Italia, in Stato e Mercato, n. 2. 502 L’appalto può vedere come committenti sia i privati che enti pubblici,ed è disciplinato dal Codice Civile agli artt. 1665 e segg. ; quando il committente è un soggetto pubblico, invero, essa è in più punti integrata o sostituita da una vasta e complessa legislazione speciale che interessa l’intero svolgimento del rapporto, recentemente riformata con principi comunitari. La dottrina più recente sottolinea anzi la sempre più spiccata autonomia dell’appalto pubblico e ne prospetta la configurazione come autonomo tipo contrattuale. Cfr. G.F. Campobasso, 1999, Diritto Commerciale, Vol. 3, Contratti, titoli di credito e procedure concorsuali, UTET, Torino, pp. 38 e segg. 503 L’istituto è stato introdotto dalla legge regionale della Lombardia n. 39/80 e consiste in una modalità di accesso, per gli enti non profit, alla possibilità di stipulare convenzioni con le odierne Asl: Questa può essere definita come un contratto instaurato tra l’Amministrazione Pubblica ed un soggetto privato per la fornitura di un bene o di un servizio il cui finanziamento viene garantito dalla Pubblica Amministrazione504. Queste operazioni contrattuali di natura associativa, sin dagli anni ‘80505 venivano redatte sulla base di una trattativa privata allo scopo di coinvolgere direttamente i fornitori privati nell’identificazione e nel sostegno dei bisogni a cui gli apparati pubblici intendevano dare risposta506. Questo strumento è molto simile all’appalto, almeno per le finalità conseguite, ma se ne distingue per diversi aspetti non secondari: • la flessibilità di “produzione” dei suddetti contratti rispetto all’evoluzione di particolari forme di domanda sociale e l’assenza di meccanismi di selezione e valutazione delle offerte (che incide sulla tempestività delle risposte al bisogno); • l’indeterminatezza all’interno della quale viene presa la decisione dell’affidamento507. La direttiva CEE 92/50 del 18 giugno 1992, nel coordinare le procedure di aggiudicazione degli appalti di pubblici servizi ha posto, come vedremo, limiti l’idoneità al finanziamento veniva ottenuta dimostrando il possesso di requisiti superiori a quelli richiesti per l’autorizzazione e dava diritto a poster stipulare le dette convenzioni attraverso l’inserimento dei soggetti privati nella programmazione e organizzazione dei servizi delle Asl stesse. Cfr. M. Ghidorzi, 2000, Autorizzazione al funzionamento, convenzionamento e accreditamento delle RSA in Lombardia, in Ghidorzi M. (a cura di), Residenze Sanitarie Assistenziali, Franco Angeli, Milano. Questo termine, inoltre, non ha una puntuale definizione nell’ambito dell’Ordinamento; ad esso vengono dati diversi significati: contratto o accordo tra le parti (utilizzato in questa sede); atto con cui la parti regolano i caratteri generali di futuri contratti; accordi tra enti locali, in via generica come richiamati dall’art. 24 della L. 142/90; involucro contenente tutti gli elementi di una serie di atti negoziali e/o provvedimenti con cui la P.A. regola con un privato il soddisfacimento di un proprio interesse. Cfr. A. Battistella, 1998, Vademecum sull'utilizzo della convenzione tra enti pubblici e soggetti privati in ambito socio assistenziale, in Prospettive Sociali e Sanitarie n.12-13, p. 9. 504 Cfr. G.P. Barbetta, 1996 b, op. cit., p. 128. 505 L’uso di questo strumento coincide con la fase di “esplosione” del non profit nella fornitura di servizi e dell’affidamento da parte della P.A.; per contro, come detto, non è seguito un altrettanto significativo sviluppo dei sistemi di regolazione, che realizzavano per lo più un sovvenzionamento di attività temporanee, scarsamente strutturate e residuali rispetto all’intervento pubblico; si instauravano, inoltre, relazioni “clientelari”, in forza del ridotto numero di aziende non profit specializzate rispetto a determinati ambiti di intervento, che riduceva il fattore competitivo ad aspetto non rilevante nell’affidamento. Cfr. A. Battistella, 1998, op. cit., p. 6; per un approfondimento sul tema, cfr. C. Ranci, 1999, Oltre il Welfare State, Il Mulino, Bologna e U. Ascoli, 1999, Il welfare futuro, Carocci, Roma. 506 Cfr. G.P. Barbetta, 1991, Sui rapporti tra Ente pubblico e imprese senza fine di lucro, in Impresa Sociale, n. 2. 507 Cfr. L. Fazzi, 1994, op. cit., p. 274; secondo Battistella, inoltre, la scarsa precisione con cui gli enti pubblici definivano la prestazioni da erogare riduceva la convenzione ad una “delega in bianco” per abbassare il costo dei servizi senza garanzia di qualità, mancando ogni forma di controllo. Cfr. A. Battistella, 1998, op. cit., p. 6. molto precisi all’utilizzo della trattativa privata, rendendo obbligatorio, anche nel campo dei servizi socio-assistenziali, l’uso della gara di appalto, introducendo quindi modalità di contrattazione tra imprese pubbliche e non profit assai vicine alla formula del contracting-out. E’ dunque utile, al fine ci tracciare prospettive e limiti nell’uso efficace di questo strumento, confrontare le differenze tra le modalità di convenzionamento, usato prevalentemente nel nostro Paese, e quelle di contractingout, così come utilizzato all’estero. Il fondamentale problema che viene alla luce, secondo Battistella508, è una sorta di “dipendenza culturale” degli enti pubblici rispetto al privato sociale: nel nostro Paese risulta non infrequente la sperimentazione di nuovi servizi con affidamento ad aziende non profit, con progressivo miglioramento della qualità dei servizi; in questo caso, però, l’intervento pubblico risulta successivo e limitato al finanziamento degli interventi, rendendosi invece necessaria, nel convenzionamento, la continua collaborazione tra pubblico e privato per l’impostazione dei servizi, collaborazione che in qualche modo contrasta con l’”asettica” formula del contracting-out509. Per avvicinare queste due formule, sono necessarie alcune condizioni di base: (a) la pluralità di concorrenti; (b) un utilizzo razionale del contracting-out; (c) capacità di controllo510. Rispetto alla prima esigenza, per raggiungere l’economicità, come detto, il contracting-out si basa sui vantaggi della competizione tra fornitori potenziali; in assenza di tale condizione si sostituirebbe un monopolio pubblico con uno privato. Occorre quindi valutare la solidità del mercato, attraverso la verifica di tre presupposti: • la sufficiente indipendenza dei concorrenti dall’ente pubblico, sia in termini economici che gestionali511; in conseguenza di ciò: 508 Cfr. A. Battistella, 1998, op. cit., p. 7. L’autore continua soffermandosi su due opposte esigenze della P.A.: la necessità di trasparenza ed imparzialità nella scelta delle imprese cui affidare i servizi, e il bisogno di collaborazione con le stesse, per cui è necessario delineare un “processo” di convenzionamento per avere trasparenza ed efficacia (tipici del contracting-out) e supporto tecnico (tipico della collaborazione). 510 Cfr. A. Battistella, 1998, op. cit., pp. 6-9. 511 Questo significa che la commessa pubblica non dovrebbe rappresentare per l’azienda non profit l’unica o la principale fonte di sussistenza, per evitare dominio o dipendenza dall’ente pubblico. Nel 509 • l’incidenza della scelta delle procedure competitive, ossia le modalità di pubblicizzazione ed informazione che garantiscano una pluralità di concorrenti, affinché si conosca “l’intenzione” del soggetto pubblico e le caratteristiche del servizio richiesto, al fine di una valutazione di convenienza a concorrere512; • l’incidenza della definizione delle condizioni economiche513. L’utilizzo in modo corretto di questa tecnica, secondo punto, presuppone la sufficiente competenza tecnica per poter definire l’esistenza ed i limiti dei criteri di economicità nell’affidamento a terzi, rispetto alla gestione diretta. Sia il momento della scelta dell’alternativa produzione diretta, che la comparazione delle diverse offerte, pone la necessità di prestare attenzione non solo agli aspetti economici, ma anche alla qualità del servizio. Per tale valutazione è necessaria la massima trasparenza nella definizione delle caratteristiche del servizio e degli standard di qualità richiesti . L’ultima condizione, il controllo dell’affidatario del servizio, risulta centrale rispetto al contracting-out, in assenza del quale si vanificherebbero tutti i vantaggi che tale strumento può offrire. Tradizionalmente gli enti pubblici non hanno sviluppato adeguate capacità di controllo sull’operato delle imprese erogatrici (in mancanza delle predetta definizione di standard ed indicatori), privilegiando controlli burocratico-formali, incapaci di cogliere la reale qualità del servizio. Le difficoltà di corretta implementazione dello strumento della convenzione rendono necessaria l’analisi delle modalità con cui avviene l’accordo tra le parti ed il confronto con quelle “corrette”, che tengano conto dei vincoli culturali e di mercato esistenti nella realtà italiana. A questo fine è utile distinguere due significati del termine convenzione: (a) in termini statici, riferiti al documento, appena trattati; (b) in termini dinamici, riferibili al processo, come insieme di atti funzionalmente collegati514, con cui il soggetto pubblico arriva ad affidare ad un soggetto privato l’erogazione di un servizio socio-assistenziale. campo di questi servizi, storicamente, però, la diffusa dipendenza del non profit dai soggetti pubblici è comprovata, soprattutto dal punto di vista finanziario. Cfr. C. Ranci, 1999, op. cit., capp. 4 e 5. 512 La valutazione si baserà, quindi, sui costi in termini di giornate/lavoro per concorrere alla gara di appalto; la trasparenza abbassa questi costi e permette una previsione di recupero di questi. 513 La richiesta di risparmi esageratamente elevati rispetto al costo potrebbe infatti escludere le imprese private di minori dimensioni, che non hanno la “scala” adeguata per concorrere, e quelle che perseguono la qualità, impossibilitate ad eseguire servizi a basso costo. L’efficacia e l’efficienza della scelta di esternalizzazione dipendono fondamentalmente dal processo di convenzionamento, da quanto più questo si avvicina al modello teorico del contracting-out. Questo può essere schematizzato in due momenti fondamentali: la definizione delle caratteristiche e specifiche tecniche del servizio (le cui problematiche sono state appena analizzate) e la scelta del contraente, nella quale si manifestano i maggiori problemi. Il principale di questi è l’impossibilità di conoscere le reali possibilità di erogazione di un servizio di qualità da parte dei soggetti offerenti, a causa di “asimmetrie informative” che sono alla base di legami particolaristici e barriere all’ingresso di altri fornitori515. Gli strumenti a disposizione della P.A. per l’individuazione del soggetto contraente fanno parte della procedura di appalto516, che si presenta in due distinte procedure meccaniche di gara pubblica517: (a) pubblico incanto, procedura aperta a tutti; (b) licitazione privata, in cui si selezionano i concorrenti da ammettere alla gara. Sono poi previste due procedure negoziali: (a) l’appalto concorso, in cui si richiede alla rosa selezionata di candidati di redigere un progetto di servizio sulle specifiche della P.A., con l’indicazione dei prezzi per l’esecuzione ; 514 Cfr. V. Cerulli Irelli, 1999, Corso di diritto amministrativo, Giappichelli, Torino, p. 434. I possibili fornitori godono di un vantaggio informativo per: (a) la natura intrinseca dei servizi socio-assistenziali, per i quali, come detto, risulta difficoltoso stabilire requisiti relazionali oggettivi a priori; (b) per la separazione tra acquirente-pagatore (la P.A.) e gli utenti (cfr. G.P. Barbetta, 1996 b, op. cit.). In conseguenza di ciò si creano legami particolaristici e privilegi contrattuali con ANP già collaboranti con l’Amministrazione, nel tentativo di minimizzare la perdita d’informazione; le stesse ANP istaurano legami altamente relazionali e sviluppano elevata specializzazione, che fungono da barriere all’ingresso per altre non profit. Per le problematiche relative a questa insufficienza di mercato, inoltre, cfr. par. 1.4. 516 Questo si fonda su due presupposti: la definizione, da parte dell’ente pubblico delle caratteristiche del bene o servizio da acquistare, con la redazione del relativo capitolato di appalto, e la volontà di ottenere il bene/servizio al minor costo o alle condizioni economicamente più vantaggiose; obiettivo principale è un’assegnazione trasparente, che dia ai fornitori le stesse opportunità di aggiudicazione. Cfr. A. Battistella, 1998, op, cit.. 517 Le procedure meccaniche consentono di giungere alla scelta del contraente senza interventi di valutazione delle caratteristiche del bene o servizio offerto, ma solo sulla scorta del prezzo migliore, ossia attraverso la comparazione dei prezzi offerti. Le altre procedure proposte, appalto concorso e trattativa privata, al contrario, permettono la scelta del contraente attraverso la valutazione delle caratteristiche del prodotto/servizio offerto e delle altre condizioni della prestazione, oltre che del prezzo. Cfr. A. Spadaro, 1995, Le Forniture di Beni e Servizi nella Pubblica Amministrazione, Maggioli, Rimini, p. 157. 515 (b) la trattativa privata, procedura negoziata, come più volte accennato, per affidare le gestione a imprese di propria fiducia, con cui si definiscono i termini del contratto. Per i servizi di tipo “relazionale”, tuttavia, come detto in precedenza, si utilizzava esclusivamente la trattativa privata; solo dopo il 1992 con la direttiva CEE 50/92 l’appalto è divenuto oggetto di particolare attenzione anche nell’ambito dei servizi socio-assistenziali518. Pubblico Incanto Presupposti possibilità di una chiara e precisa definizione delle caratteristiche del servizio da acquistare • il tipo di servizio può rendere preminente il fattore costo • Elementi positivi trasparenza nell’operato della P.A. • contenimento dei costi del servizio • Elementi negativi procedura di aggiudicazione poco adatta a servizi con forte connotazione relazionale • mancato coinvolgimento del partner privato nella fase di identificazione del bisogno e delle metodologie di intervento • procedura rigida, con conseguente anelasticità del soggetto privato • possibilità di comportamenti opportunistici dell’aggiudicatario, non coinvolto nei processi decisionali • Licitazione Privata Elementi positivi Presupposti • possibilità di una chiara e precisa definizione delle caratteristiche del servizio da acquistare • esistenza di criteri condivisi e trasparenti per l’individuazione dei soggetti da invitare a gara 518 • trasparenza nell’operato della P.A. • contenimento dei costi del servizio • maggiori garanzie per la P.A. sulla correttezza del possibile vincitore Elementi negativi • procedura di aggiudicazione poco flessibile • mancato coinvolgimento del partner privato • creazione di barriere all’entrata di nuovi soggetti • rinuncia alla sperimentazione di innovazioni dei non invitati • possibilità di situazioni di privilegio contrattuale (continua) Questa procedura, aspetto rilevante nel rapporto tra pubblico e non profit, non comporta nessun coinvolgimento del fornitore nel processo che conduce alla identificazione del bisogno, degli obiettivi e degli interventi, aspetto criticato da dalle aziende non profit, che tradizionalmente svolgono una fondamentale opera di lettura dei bisogni e di innovazione dell’organizzazione dei servizi. Appalto Concorso • Presupposti presenza di servizi non routinari, specialistici, in cui la definizione delle modalità organizzative e gestionali presenti margini di contrattualità Elementi positivi trasparenza nell’operato della P.A. • massima apertura all’innovazione • possibilità di scelta dell’offerta economicamente più vantaggiosa • Elementi negativi procedura di aggiudicazione più laboriosa • rinuncia alla puntuale definizione delle prestazioni da parte degli operatori pubblici • Trattativa privata Elementi negativi procedura di aggiudicazione poco trasparente e poco adatta a mercati concorrenziali • rinuncia a risparmi derivanti dalla concorrenza tra imprese • creazione di barriere all’entrata • rinuncia all’innovazione Figura 4.2 d: caratteristiche essenziali delle varie procedure di appalto. (Fonte: A. Battistella, 1998, p. 13) • Presupposti che si rientri in uno dei casi previsti ex art. 7 D.Lgs. 157/95, oppure per importi inferiori a 200.000€ Elementi positivi massima discrezionalità della P.A. • flessibilità dello strumento contrattuale • contenimento del rischio da asimmetria informativa • • Le difficoltà derivanti da asimmetrie informative dalla scarsa capacità progettuale di servizi relazionali, in termini generali, possono essere alla base della scelta di una procedura ristretta519, al fine di controllare a priori i possibili contraenti in base alla “correttezza”, alla tendenza ad incrementare i propri margini di “guadagno” (anche indiretto, abbassando la qualità), al fine di sfruttare il vantaggio informativo di cui godono; oppure di utilizzare la discriminante “forma giuridica del fornitore” invitando le imprese non profit, che, come detto nel capitolo secondo, godendo di 519 L’appalto concorso è lo strumento che permetta all’ente pubblico di coniugare le esigenze di trasparenza delle procedure di selezione della controparte privata, con l’esigenza di un confronto con gli operatori sociali sulle modalità più opportune ed innovative per la gestione del servizio affidato, usufruendo del bagaglio di esperienze dell’aggiudicatario. A seguito della legge n. 157 del 1995, di recepimento della direttiva CEE 50/92, la trattativa privata è ammessa solo nei casi espressamente previsti, ossia laddove si tratti di piccoli importi e di prestazioni di breve durata, che, se sottoposti a gara, darebbero luogo a lungaggini non commisurati al valore della commessa. Lo stesso decreto fissa la soglia massima sotto la quale è legittimo operare in procedure negoziate in 200.000 €. I casi più significativi di deroga (artt. 6-7) riguardano: (a) servizi che per la loro particolare natura rendono impossibile stabilire precisamente le specifiche dell’appalto; (b) servizi che per loro natura possono essere eseguiti solo da un particolare soggetto; (c) servizi di impellente urgenza. Cfr. A. Battistella, 1998, op. cit. e A. Spadaro, 1995, op. cit.. vantaggio comparato rispetto alle imprese private for profit, risolvono più efficacemente il rapporto fiduciario principale-agente. Per un’analisi comparativa sintetica delle diverse procedure di scelta, rispetto alle problematiche di affidamento proposte (caratteristiche del servizio, costi, trasparenza, coinvolgimento delle ANP nelle fasi progettuali) si veda la figura 4.2 d. Il rischio di usare lo stesso strumento contrattuale per servizi molto diversi tra di loro520, può far sfruttare positivamente la flessibilità del processo di convenzionamento, adattando lo strumento di selezione ed il contenuto della convenzione secondo la tipologia di servizio da esternalizzare521. Tipologia di servizio Caratteristiche operative Contenuto della convenzione • Contenuto strutturato, per evitare • Scarso livello di specializmargini di discrezionalità del attività routinarie a zazione del servizio; soggetto privato; carattere operativo • Possibilità di individuare precisi • Durata sincronizzata con standard qualitativi ed organizzativi. investimenti dei privati. • Principale definizione degli • Difficile o impossibile deter- obiettivi; minare esattamente il contenuto della • Contenuto destrutturato per servizi a forte mantenere flessibilità organizzativa prestazione; specializzazione e a • La qualità dipende dalla del privato; carattere relazionale professionalità degli operatori e dalla • Continuo controllo della qualità; loro capacità relazionale. • Breve durata ,con rinnovo legato alla valutazione; • Può contenere limitati parametri di riferimento (attività e costi); • Aspetti organizzativi e gestionali servizi innovativi o • Approssimativa definibilità a emergenti dal continuo confronto sperimentali priori dell’oggetto del contratto. pubblico-privato; • Possibile ridefinizione in corso d’opera di obiettivi e strategie. Figura 4.2 e: relazioni tra tipologie di servizi e tipologie di convenzioni. (Elaborazione propria) I servizi, a tal fine, si possono raggruppare in tre categorie: (a) attività routinarie a carattere operativo522; (b) servizi a forte specializzazione e a carattere relazionale523; 520 Questo deriva dall’imposizione dell’uso dell’appalto per importi superiori a 200.000 €, cui si associa il corrispondente rischio di anteporre la trasparenza alle reali necessità dell’Ente. 521 Cfr. A. Battistella, 1998, op. cit., p. 12. 522 Si tratta di servizi con scarso livello di specializzazione (mensa, trasporti, pulizia), rispetto ai quali è possibile prevedere precisi standard qualitativi. (c) servizi innovativi o sperimentali524. Per ognuno di questi tipi si può strutturare un’apposita convenzione atta a soddisfare caratteristiche ed esigenze peculiari, come elencato nella figura 4.2 e. D’influenza significativa sul rapporto pubblico - non profit525 sono i criteri di aggiudicazione, recentemente ampliati dal D.Lgs. 157/95, aggiungendo il concetto dell’offerta “economicamente più vantaggiosa” a quello originario di ”prezzo più basso”. Questo significa che l’Amministrazione può assegnare l’appalto non al concorrente che applica il massimo ribasso sul prezzo, bensì a quello che offre un servizio qualitativamente preferibile, volendo coniugare risparmio e qualità526. Lo stesso decreto, all’art. 23527, elenca una serie di elementi cui fare riferimento per valutare l’economicità dell’offerta, su cui si esplica maggiormente l’autonomia decisionale dell’ente pubblico, potendo assegnare a priori un peso specifico in ogni criterio, secondo le situazioni. I criteri di uso più frequente risultano: il prezzo; il radicamento territoriale; la natura imprenditoriale del soggetto privato; l’esperienza maturata; la professionalità del personale; previsione di efficaci sistemi di collegamento con l’amministrazione; possesso di strutture adeguate; capacità di reperire ed utilizzare risorse dal volontariato528. 523 Per questi è difficile, se non addirittura impossibile, definire esattamente il contenuto della prestazione; la qualità dipende dalla capacità professionale degli operatori, dalla capacità relazionale ecc. 524 In questo caso l’ente pubblico non è in grado di definire l’oggetto del contratto, se non approssimativamente. 525 I vincoli imposti alla P.A. nei processi di acquisto di beni e servizi, come detto nel paragrafo precedente a proposito delle relazioni di scambio, influenzano in modo significativo le relazioni (nel senso della dipendenza o dell’alterità) con le aziende non profit, poiché impongono anche ad esse vincoli di comportamento al fine di accedere al mercato e ai finanziamenti. 526 Questo principio si adatta molto bene al caso dei servizi socio-assistenziali, il cui fine ultimo è quello della soddisfazione del bisogno, non tendenti ad una logica strettamente legata al costo del servizio. 527 Art. 23. - (Criteri di aggiudicazione): “1. Fatte salve le disposizioni legislative, regolamentari o amministrative riguardanti la remunerazione di particolari servizi, gli appalti pubblici di servizi di cui al presente decreto sono aggiudicati in base a uno dei seguenti criteri: a) unicamente al prezzo più basso; b) a favore dell'offerta economicamente più vantaggiosa, valutabile in base ad elementi diversi, variabili secondo il contratto in questione, quali, ad esempio, il merito tecnico, la qualità, le caratteristiche estetiche e funzionali, il servizio successivo alla vendita, l'assistenza tecnica, il termine di consegna o esecuzione, il prezzo. 2. Nel caso di aggiudicazione ai sensi del comma 1, lettera b), le amministrazioni aggiudicatrici devono menzionare, nel capitolato d'oneri o nel bando di gara, i criteri di aggiudicazione di cui si prevede l'applicazione, possibilmente nell'ordine decrescente d'importanza.” 528 Pur non rappresentando l’unico e fondamentale criterio di scelta, il prezzo riveste rilevanza essenziale, potendo avere un peso variabile tra il 20% ed il 30%; il secondo criterio, invece, tiene in considerazione la necessità che il privato conosca la realtà territoriale in cui sarà chiamato a muoversi, nonché la possibilità di organizzarsi come network e attivare il volontariato presente sul territorio. Il Esposti sommariamente i caratteri delle procedure di selezione dei fornitori ed assegnazione delle commesse, rilevanti al fine di far “coincidere” il processo di convenzionamento con il modello teorico del contracting-out, emergono alcuni aspetti critici nella relazione tra enti pubblici e aziende non profit in ambito socioassistenziale; l’analisi che segue non è esaustiva di tutte le problematiche, ma riassume quelle che comportano maggiori difficoltà o che sono oggetto di dibattito, nonchè riporta alcune soluzioni emerse in sede di discussione529. Un primo e fondamentale problema è quello del criterio del prezzo più basso, particolarmente sentito dal non profit, che risente della propensione dell’ente pubblico ad appaltare servizi a prezzi fortemente competitivi, talvolta anche fuori mercato, risultando una tecnica improduttiva o fortemente dannosa. Le soluzioni, come detto, vertono su un più ampio ricorso al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa; sulla limitazione del peso assegnato al prezzo nelle gare; sul cambiamento delle abitudini e della mentalità dei funzionari addetti alla redazione dei bandi (forse la sfida più difficile). Un secondo nodo riguarda il problema delle asimmetrie informative e la difficoltà per l’ente pubblico di conoscere adeguatamente la qualità dei servizi erogati dalle aziende non profit. La soluzione proposta va nel senso di un maggiore collaborazione di tutti i soggetti implicati nel processo di convenzionamento (enti pubblici, privati for profit e non profit, esistendo per queste ultime anche una forte componente motivazionale per legger il reale bisogno sociale), secondo due diverse direzioni: la ricerca di nuove modalità di acquisizione delle informazioni sulla qualità dei servizi erogati, coinvolgendo i destinatari finali, e il coinvolgimento in sede progettuale dei criterio successivo è particolarmente rilevante per appalti dimensionalmente elevati o complessi, cui viene connessa l’affidabilità del partner, sia finanziaria che organizzativa; riguardo al quarto, poi, la direttiva Cee consiglia di valutare le esperienze maturate negli ultimi tre anni, la dimensione economica di queste, le tipologie di servizi prestati ecc. diventando quindi fondamentale per le ANP la predisposizione di efficienti sistemi di rendicontazione. La professionalità del personale viene considerato uno dei requisiti più importanti, cui dare peso significativo; avendo l’Ente pubblico numerose difficoltà nella valutazione ex ante, ed ex post, della qualità, potendo invece esprimere la propria supervisione più su aspetti formali che sostanziali, risulta dunque essenziale un controllo a priori sulla professionalità del personale impiegato. In merito ai sistemi di collegamento, questo aspetto risulta importante per garantire la necessaria elasticità degli interventi. Rispetto all’uso del volontariato si riconosce, infine, particolare valore ai soggetti privati con una maggiore caratterizzazione solidaristica. Per le cooperative sociali di inserimento lavorativo per persone svantaggiate (quelle di tipo B ex L. 381/91), poi, è possibile fare alcune distinzioni riguardo ai criteri di aggiudicazione, dovendo considerare prevalentemente il numero di lavoratori svantaggiati e la tipologia di operatori svantaggiati impiegati. Cfr. A. Battistella, 1998, op. cit., p. 15 e segg. 529 Cfr. A. Battistella, 1998, op. cit., p. 31 e segg. soggetti cui verranno affidati i servizi, per concordare linee guida condivise in grado di limitare comportamenti opportunistici530. Altro problema è quello dei controlli, la cui difficoltà deriva, è stato ricordato più volte, dalla complessità della quantificazione o qualificazione del prodotto, dovendo considerare una grande quantità di variabili, non tutte accessibili da parte dell’ente controllante. La modalità più efficace, ancora una volta, risulta essere la collaborazione dei soggetti non profit, in un’opera di autovalutazione della qualità del servizio offerto, per due ordini di motivi: questi mostrano particolare attenzione agli aspetti qualitativi del proprio intervento; poi, l’autovalutazione del servizio, operata in concerto con l’ente pubblico, può venire sviluppata in termini di “certificazione” sulla qualità dei servizi prestati. L’ultimo ordine di problemi riguarda la ricerca di nuovi sistemi di affidamento a terzi dei servizi socio-assistenziali, in ragione del quale si introduce l’altro strumento oggetto della presente sezione: i quasi-mercati531. Con il termine quasi-mercato (o meccanismo tipo-mercato) si intende l’organizzazione di un settore produttivo quale risulta da un intervento pubblico di regolamentazione che, agendo soprattutto sulla struttura degli incentivi sottesi al comportamento dei produttori e dei consumatori, intende ovviare alle inefficienze del libero mercato (i fallimenti del mercato, vedi par. 1.1), minimizzando, nel contempo, quelle connesse con l’intervento pubblico (fallimenti dello Stato, vedi sempre par. 1.1)532. Secondo Le Grand533, due sono le caratteristiche distintive dei quasi-mercati: 530 Uno dei problemi attualmente oggetto di dibattito riguarda il senso degli Albi dei fornitori, presso cui le associazioni, le cooperative e le imprese private devono iscriversi per poter accedere alle commesse pubbliche. La criticità è data dalla scarsa capacità dell’attuale sistema di gestione degli Albi di selezionare i possibili concorrenti. L’iscrizione, secondo ricerche sul campo, solo un’operazione burocratica, dispendiosa in termini di risorse, ma non in grado di garantire sulle caratteristiche delle strutture iscritte. Cfr. A. Battistella, 1998, op. cit., p. 32. 531 I fondamentali elementi di deficit dei processi di esternalizzazione che si sono realizzati negli ultimi anni in Italia sono da attribuirsi soprattutto all’insufficiente grado di efficienza dei sistemi di finanziamento degli enti fornitori. In effetti, i sistemi di finanziamento esistenti, centrati sul principio della trattativa privata all’inizio degli anni ’90 e sull’appalto successivamente, non sono riusciti a promuovere un sistema realmente efficiente di finanziamento dei servizi. Cfr. L. Fazzi, 2000, La riforma dell'assistenza in Italia e i quasi -mercati, in Economia Pubblica, n. 6, pp. 38-39. 532 Cfr. F. Balassone, 1994, Finanziamento e produzione dei servizi pubblici: il sistema dei quasi mercati, in Economia Pubblica n. 6, p. 259. In questo senso, continua l’autore, il termine può essere considerato un sinonimo di concorrenza amministrata, espressione coniata da Enthoven, per indicare la sua proposta di organizzazione del settore sanitario; la locuzione “quasi-mercato” si deve, invece, a Williamson, soprattutto in riferimento all’organizzazione interna di un’impresa. Cfr. A. Enthoven, 1988, Theory and practice of managed competition in health care finance, North Holland, Amsterdam (a) l’abbandono, da parte dello Stato, del doppio ruolo di finanziatore e di produttore di servizi, per passare ad una funzione di finanziatore-programmatore di questi, la cui produzione viene affidata ad una pluralità di imprese o enti operanti in competizione diretta; (b) la destinazione delle risorse non ai soggetti produttori attraverso un processo di intermediazione burocratica, ma direttamente agli utenti per mezzo di titoli validi per l’acquisto o altre forme non monetarie di “espressione di gradimento” del dato produttore. Più nel dettaglio, seguendo l’impostazione di Enthoven534, le caratteristiche di una struttura di quasi-mercato, che mira a costruire concorrenza tra erogatori di servizi, possono essere così riassunte: (a) ad ogni cittadino viene data la possibilità di scegliere tra diversi produttori convenzionati (o agenzie convenzionate intermediarie tra utenti e produttori); (b) lo Stato fornisce a ciascun cittadino un contributo a parziale copertura del prezzo da questi pagato (variabile, il primo, secondo il reddito del cittadino); (c) nel caso di prezzo variabile in funzione delle caratteristiche soggettive del cliente, i cittadini possono essere raggruppati in classi di “consumo potenziale” in modo da poter collegare i prezzi ed il contributo governativo alla classe di ogni soggetto; (d) i produttori/agenzie convenzionati debbono soddisfare la domanda di qualunque cittadino e fornire un servizio conforme a standard minimi prefissati dalla legge535. e O. Williamson, 1975, Markets and Hierarchies: analysis and Antitrust implications, The Free Press, New York. 533 Cfr. J. Le Grand, 1990, Quasi markets and social policy, in Studies in decentralization and quasimarkets, working paper n.1, SAUS Publications, Bristol. 534 Vedi note precedenti. 535 La possibilità di scelta tra più produttori mira ad introdurre un elemento di concorrenza che spinga questi a soddisfare un adeguato rapporto qualità-prezzo. Non rimborsando interamente il prezzo, si ottiene che la possibilità di scelta fornita agli utenti venga utilizzata tenendo conto anche del costo, potendo così la concorrenza premiare quei produttori che, a parità di qualità, meglio riescono a contenere i costi. L’introduzione di classi di consumo potenziale dovrebbe attenuare l’incentivo per i produttore alla discriminazione degli utenti con minori consumi. L’omogeneità dei servizi offerti da ogni produttore serve ad impedire che le segmentazioni del mercato conseguenti ad una eventuale differenziazione del prodotto riducano la concorrenza. Il quasi-mercato comporta il superamento del monopolio pubblico nei servizi e lo scavalcamento di una concezione “paternalistica” dell’assistenza, che vede nel cittadino un soggetto costretto a fruire passivamente dei servizi che non è in grado di selezionare liberamente, e che non può sostituire per assenza di alternative. Si recupera così il ruolo del cittadini, non più utente (passivo), bensì cliente- I limiti della teoria esposta si trovano, in estrema sintesi, nella difficoltà di misurare la qualità di alcuni servizi; nell’eventuale incapacità di offrire una effettiva possibilità di scelta agli utenti, come nel caso di mercati oligopolistici; nell’inadeguatezza ad evitare fenomeni di selezione opportunistica degli utenti da parte di produttori/agenzie; nella complessità del sistema, che potrebbe determinare costi amministrativi molto elevati, per il controllo di qualità, della concorrenza e delle caratteristiche del bene/servizio. Partendo dal presupposto che il cittadino, cardine nel meccanismo tipo-mercato, non è sempre in grado di scegliere i servizi di cui fruire536, l’assetto dei servizi, come detto, deve essere regolato in modo da evitare comportamenti opportunistici. esistono due conseguire Al concezioni questo scopo: per la selezione degli enti erogatori che offrono le migliori garanzie in relazione alla soddisfazione del consumatore, e S riguardo il Risorse voucher finanziarie Legenda: S: Stato C: consumatori P: imprese private Scelta fornitore C Pagamento con voucher P Prestazione governo efficiente ed efficace del sistema nella riorganizzazione di funzioni Figura 4.2 f: schema di funzionamento di voucher per l'acquisto di servizi socio-assistenziali. (Fonte: G.P. Barbetta, 1996, p. 111) e responsabilità della P.A537. L’implementazione dei mercati amministrati passa quindi attraverso l’uso di due strumenti: consumatore (attivo, con diritto di scelta). Oltre agli obiettivi di aumento della partecipazione dei fruitori dei servizi, l’introduzione di meccanismi di concorrenza amministrata, nella riforma del sistema socio-assistenziale, viene considerata come un fattore di razionalizzazione della spesa e di stimolo della crescita e dell’occupazione. Cfr. F. Balassone, 1994, op. cit., p. 262. 536 Così come i soggetti vicini a questi, cui spesso, per causa di “forza maggiore”, viene delegata la scelta: si pensi ai malati psichiatrici, oppure ai tossicodipendenti o gli handicappati e le loro famiglie. 537 Sotto il primo profilo, è già stato affermato che un quasi-mercato prevede un pluralismo di erogatori di servizi, il cui rapporto con i clienti è caratterizzato da asimmetrie informative; secondo la teoria del vantaggio comparato e per le caratteristiche proprie esposte nel secondo capitolo, le aziende non profit risolverebbero questo rapporto principale-agente, meritando quindi l’attribuzione di vantaggi competitivi. Rispetto al secondo profilo, invece, l’efficienza e l’efficacia del meccanismo dipendono dall’assunzione di cruciali responsabilità dell’ente pubblico nell’esercizio della funzione regolativa, a garanzia del cittadino compratore, relativamente agli strumenti, alle culture e alle competenze per amministrare i programmi per i servizi di Welfare. Cfr. L. Fazzi, 2000, op. cit., pp. 44 e segg. • i voucher o titoli per l’acquisto, o buoni servizio; • i sistemi di accreditamento. Attraverso un voucher, l’operatore pubblico distribuisce potere d’acquisto, sotto forma di “buoni” per l’acquisto di beni e servizi, ai cittadini ritenuti idonei a ottenere la prestazione, spendibili sul mercato per procurarsi i beni/servizi cui ha diritto, secondo lo schema della fig. 4.2 f. Il titolo per l’acquisto non impegna l’operatore pubblico in nessuna relazione contrattuale con i fornitori terzi, ma lascia, come detto, libertà di scelta del fornitore ritenuto maggiormente idoneo; quest’ultimo otterrà poi dal soggetto pubblico responsabile della funzione il controvalore monetario del voucher538. La proposta di introdurre i buoni servizio, secondo Fazzi539, prende corpo dall’individuazione, come limitazione più cospicua alla creazione di un efficiente sistema di Welfare mix, di un circolo vizioso collegato all’attuale sistema di regolazione che parte dalla necessità, per le aziende non profit, di ottenere all’esterno risorse tali da finanziare l’attività solidaristica e passa attraverso il controllo pubblico dei flussi di risorse e la mediazione politica dei finanziamenti, per arrivare all’alterazione dei fini originari delle agenzie solidaristiche. Con l’introduzione dei voucher, al contrario, le ANP non si troverebbero più in condizione di dover negoziare i flussi di risorse finanziarie per il funzionamento dell’attività, ottenendo legittimazione ad operare proprio dai destinatari del servizio, assicurando il matching tra domanda e offerta. Sempre secondo tale autore, però, l’introduzione di questo meccanismo richiederebbe, per avere successo, l’esistenza di una serie talmente articolata e complessa di presupposti operativi da rendere l’implementazione alquanto difficoltosa540; l’uso dei voucher, conclude l’autore, potrebbe non essere l’unico sistema per rendere il Welfare mix efficiente, efficace ed equo. 538 L’utilizzo di questo, anziché dell’equivalente in denaro, ha l’obiettivo di vincolare il beneficiario ad un uso ben preciso dei fondi stanziati dall’operatore pubblico. Poiché tutti i beni e i servizi sono ugualmente meritori agli occhi del contribuente e dell’operatore pubblico, quest’ultimo si premura di impedire che il cittadino possa “barattare” il servizio ( di cui ha bisogno) con altri beni che possa preferire (ma non “meritori”), operazione facilitata dal trasferimento monetario, e più difficoltosa nel caso dei voucher. Cfr. G.P. Barbetta, 1996 b, op. cit., pp. 110-111. 539 Cfr. L. Fazzi, 1997, Il dilemma dei voucher nella scelta dei servizi sociali, in Rivista Trimestrale di Scienza dell'Amministrazione, n. 3-4, p. 82. 540 Le argomentazioni in favore di tale malagevolezza vengono individuate nelle condizioni per esercitare una scelta: (a) l’esistenza della pluralità di alternative che garantisca l’accesso a tutti; (b) la consapevolezza dei risultati che il cittadino vuole raggiungere ed i mezzi a sua disposizione (non sempre esistente, soprattutto nel caso di bisogni socio-assistenziali); (c) la disponibilità di L’accreditamento, cui si è accennato poche pagine fa, è un istituto orientato a regolare i rapporti tra una pubblica autorità ed alcuni soggetti privati541. L’obiettivo di questo istituto viene quindi individuato nella regolazione dell’ingresso nel mercato (sanitario e socio-assistenziale) dei soggetti che intendano erogare prestazioni per conto dei soggetti pubblici, attivando un processo permanente di promozione e miglioramento della qualità dei servizi sanitari e socio assistenziali542. In termini generali esistono due tipi di accreditamento, con dei punti di contatto, ma diversi e che non devono essere confusi543: (a) l’accreditamento istituzionale; (b) l’ accreditamento di eccellenza. Il primo, cui fa riferimento la normativa italiana544, come detto, regola i rapporti tra il soggetto pubblico alcuni soggetti privati, rispetto ai quali viene dichiarato il possesso di requisiti di qualità ed il conseguente diritto ad erogare servizi a carico del SSN o del Comune accreditante. Il secondo, invece, consiste in un’attività di valutazione tra pari, sistematica e periodica, a carattere volontario, gestita direttamente dai professionisti di un servizio, mirata a mantenere viva la tensione degli operatori verso la qualità, attraverso un continuo confronto e scambio di esperienze sul modo di operare545. La sua informazioni, per valutare la possibilità di sfruttamento delle alternative e le differenze tra queste; (d) la comparabilità delle informazioni; (e) le rigidità dei sistemi di accreditamento (di cui si dirà a breve),che se eccessive, produrrebbero elevata standardizzazione, incompatibile con la soggettività del bisogno sociale; (f) la valutazione della qualità dei servizi attraverso il semplice rapporto di finanziamento, poiché non è sempre detto che l’individuo sia razionale e massimizzi sempre la sua utilità, allocando efficientemente le risorse; (g) la presenza di barriere all’entrata degli erogatori, che produrrebbe iniquità. 541 Definito “istituzionale”è stato introdotto in Italia per il settore sanitario a seguito della riforma del 1992, è stato poi proposto dalla legge quadro 328/00 per i servizi sociali e sperimentato per i servizi residenziali per anziani. Cfr. A. Battistella, 2001 a, L'accreditamento istituzionale: una sfida difficile, in Prospettive Sociali e Sanitarie n. 21, pp. 1 e segg. e A. Battistella, 2001 b, op. cit., pp. 5 e segg. 542 L’espressione riportata è nasce considerando il dettato del decreto 502/92 e quello della legge 328/00. 543 Cfr. A. Battistella, 2001 a, op. cit., pp. 1. 544 Secondo la definizione del D. Lgs. 502/92 è l’atto attraverso il quale, a conclusione di un procedimento valutativo, le strutture autorizzate, pubbliche o private, e i professionisti che ne facciano richiesta acquisiscono la status di soggetto idoneo a erogare prestazioni sanitarie e sociosanitarie per conto del SSN. 545 Cfr. M.C. Setti Bassanini, 2000, L'accreditamento di eccellenza, in Ranci Ortigosa E. (a cura di), La valutazione delle qualità nei servizi sanitari, Franco Angeli, Milano. Questo tipo di accreditamento, di stampo anglosassone, inoltre, è stato sviluppato e utilizzato inizialmente negli Stati Uniti; si può ritenere che quello istituzionale abbia preso l’avvio da questo, negandone alcuni requisiti fondamentali ed assumendo quindi una veste del tutto diversa ed autonoma. Negli U.S.A., ad esempio, la Joint Commission of Accreditation of Health care Organizations (JCAHO) riprende e sviluppa i caratteristica fondamentale risiede nella finalizzazione ad un processo di autovalutazione e automiglioramento della qualità; esso, a differenza del primo, non ha funzione certificatoria del possesso di standard, non essendo quindi alternativo a quello istituzionale, ma di stimolo al raggiungimento delle massime performance possibili rispetto ad una data attività546. Dall’analisi della normativa, emergono due valenze diverse dell’accreditamento istituzionale547: • una “certificatoria”; • una “equiparatoria”. Con il primo termine si fa riferimento al decreto 502/92 che, volendo superare il precedente modello di finanziamento dei servizi erogati da terzi, ha introdotto un sistema di valutazione delle strutture riferito al possesso di standard predefiniti. Il provvedimento definisce l’accreditamento come una procedura obbligatoria per accedere al mercato e si rifà all’esigenza di definire con precisione le caratteristiche strutturale e organizzative dei soggetti erogatori, per poter offrire alla collettività garanzie sull’effettiva qualità delle prestazioni erogate548. contenuti propri della cultura della qualità. Si tratta di un ente non profit (privato, quindi) nel quale sono coinvolte le società scientifiche e le strutture che gestiscono o erogano l’assistenza sanitaria (le Health Maintenance Organizations (HMO), alcune università, società di certificazione, il Department for Health and Human Services del Governo) sia per conto dei gruppi assicurativi che per il Governo. L’obiettivo principale è rappresentato da essere uno strumento a disposizione degli erogatori per il miglioramento della qualità delle attività sanitarie.Tale obiettivo viene perseguito attraverso l’adesione ad un programma di accreditamento volontario che viene periodicamente aggiornato e integrato (è il caso dei Performance Measurement Systems o degli indicatori) grazie al contributo delle strutture cha aderiscono al programma. L’approccio all’accreditamento della JCAHO si fonda su quattro pilastri: (1) l’adattabilità degli standard che si correlino in modo credibile con gli outcome positivi per i paziente; (2) un gruppo di sistemi di misurazione evoluto e user-friendly con buon rapporto costo/efficacia; (3)la capacità di valutare tutti i livelli di erogazione delle cure, dal più semplice al più complesso; (4) il consenso sui migliori strumenti ed un effettivo coordinamento delle attività di valutazione tra tutti i più grandi valutatori nei settori pubblico e privato. Cfr. A. Pagano, C. Rossi, M. Zanetti, 2000, Qualità, accreditamento, certificazione, in CRISP (a cura di), I servizi di pubblica utilità alla persona, Franco Angeli, Milano, p. 266; per un approfondimento sul tema, cfr. C. Canali, 2001, Confronto tra modelli di accreditamento nell'esperienza statunitense, in Studi Zancan, n. 5-6, pp. 188 e segg. 546 Per ulteriori approfondimenti, cfr. C. Favaretti, P. De Pieri, 2001, L'accreditamento dei servizi, note terminologiche, in Studi Zancan, n. 5/6, p. 97 e segg.; L. Anfossi, 2001, Linee guida e condizioni per l'accreditamento, in Studi Zancan, n. 5/6, pp. 97 e segg. e Agenzia per i servizi sanitari regionali, 2001, L'accreditamento, in Studi Zancan, n. 5/6, pp. 219 e segg. 547 Cfr. A. Battistella, 2001 a, op. cit., pp. 2 e segg. 548 Il decreto continua riferendosi alla qualità e alla quantità delle prestazioni da garantire ai cittadini, assegnando alle Regioni la verifica dei requisisti minimi e la classificazione delle strutture erogatrici, con particolare riguardo all’introduzione e utilizzazione di sistemi di sorveglianza, nonché di strumenti e metodologie per la verifica della qualità dei servizi e delle prestazioni. Di fatto, con questo sistema si “certifica” il possesso, in capo ad una determinata struttura, di alcune caratteristiche che legittimano l’accesso a determinati finanziamenti pubblici diversificati a seconda del livello di qualità raggiunto. Si introduce, poi, il concetto di monitoraggio, con una verifica periodica del possesso dei requisiti. La valenza “equiparatoria” discende sempre dal decreto 502, che introduce anche la logica secondo cui ai cittadini deve essere garantita l’equiparazione dei soggetti pubblici e privati per l’erogazione dei servizi, assicurando loro, in tal modo, la possibilità di scelta, volendo superare la mera valenza “certificatoria”, parificando i soggetti erogatori e garantendo agli utenti la libera scelta549. La legge quadro 328/00 sembra, peraltro, rinforzare questo aspetto competitivo dell’accreditamento, laddove delinea, come detto, un mercato dei servizi erogati tramite la corresponsione di buoni servizio liberamente spendibili dagli utenti solo per i servizi accreditati. La differenza tra le due logiche non risiede in elementi strutturali, ma nell’orientamento generale del sistema550. Di fondamentale importanza sono i criteri generali per la determinazione dei requisiti che le strutture accreditate dovranno possedere in più rispetto a quelle necessarie per l’autorizzazione al funzionamento. Il D.P.R. 14 Gennaio 1997 individua quattro finalità cui devono mirare i criteri551, che identificano elementi chiave del sistema: 549 C’è da precisare che questo aspetto è stato interpretato in maniera differenziata dalle normative regionali: in alcune Regioni questo aspetto è stato preso poco in considerazione rispetto, ad esempio, al sistema lombardo, cui ha prestato particolare attenzione. Cfr. A. Battistella, 2001 a, op. cit, p. 2. 550 Considerando unicamente la valenza certificatoria, l’effettivo riconoscimento della possibilità di scelta in capo all’utente non assume particolare rilievo, essendo l’obiettivo quello di garantire il raggiungimento di particolari livelli di qualità da parte degli erogatori e di esprimere un giudizio da parte della P.A.. Assumendo come rilevante l’altra valenza, l’effettività del sistema rende necessaria l’introduzione di strumenti per l’esercizio della facoltà di scelta, ossia l’introduzione di buoni servizio. Cfr. A. Battistella, 2001 a, op. cit., p. 1-2. 551 Art. 2 - Definizione dei requisiti: “5. Nella determinazione dei requisiti ulteriori, le regioni si attengono ai seguenti criteri generali, volti ad assicurare:a) che l'accreditamento della singola struttura sia funzionale alle scelte di programmazione regionale, nell'ambito delle linee di programmazione nazionale; b) che il regime di concorrenzialità tra strutture pubbliche e private sia finalizzato alla qualità delle prestazioni sanitarie e si svolga secondo il criterio dell'eguaglianza di diritti e doveri delle diverse strutture, quale presupposto per la libera scelta da parte dell'assistito; c) che sia rispettato il livello quantitativo e qualitativo di dotazioni strumentali, tecnologiche e amministrative correlate alla tipologia delle prestazioni erogabili, nonché alla classe di appartenenza della struttura; d) che le strutture richiedenti presentino risultanza positiva rispetto al controllo di qualità anche con riferimento agli indicatori di efficienza e di qualità dei servizi e delle prestazioni previsti dagli articoli 10, comma 3, e 14, comma 1 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni ed integrazioni.” • i requisiti richiesti, per usufruire del finanziamento pubblico, devono considerarsi di livello superiore rispetto a quelli della semplice autorizzazione al funzionamento, che ne è, anzi, presupposto; • la parità tra soggetti pubblici e privati e la concorrenzialità tra questi basata sulla qualità di garanzia verso l’utenza; • l’accreditamento, pur concedendo di erogare per conto del SSN, non legittima a vendere servizi all’ente accreditante, in considerazione del fatto di prendere in esame le scelte di programmazione regionale; Prima dell’introduzione dell’accreditamento, il sistema di regolazione dei servizi residenziali era basato sull’autorizzazione al funzionamento552, differendo da questa, a detta di alcuni autori553, non per la semplice superiorità degli standard del primo, ma nella previsione di continuità del controllo sulla sussistenza dei requisiti (e non il controllo una tantum precedente). L’autorizzazione, come detto sopra, è il livello di partenza per l’apertura al pubblico, mentre l’accreditamento definisce requisiti più complessi e articolati, valutati periodicamente; limitandoci a considerare la sola valenza certificativa di questo, però, i due istituti non si discostano nettamente. L’accreditamento si differenzia anche dal convenzionamento, che, riepilogando quanto detto in precedenza, è uno strumento presente da tempo nel nostro ordinamento, impostato secondo una logica pubblicistica, con i privati chiamati a fornire servizi per conto del soggetto pubblico, che li selezionava con strumenti tipici del diritto amministrativo, in base al possesso di requisiti superiori rispetto a quelli di semplice funzionamento. Il confronto tra accreditamento e convenzionamento evidenzia come il primo rappresenti una netta evoluzione del secondo in termini di implementazione di logiche di valutazione più articolate, ma non per quanto riguarda le modalità di regolazione del sistema di erogazione554. Questa innovazione comporta alcune importanti conseguenze in termini di definizione dei criteri di qualità da assumere. 552 Questo è il provvedimento che accerta il possesso di requisiti minimi strutturali, tecnologici e organizzativi richiesto per l’esercizio da parte di strutture pubbliche e private. Cfr. F. Dalla Mura, 2001, Autorizzazione ed accreditamento, in Studi Zancan, n.2, pp. 157 e segg. 553 Cfr. A. Battistella, 2001 a, op. cit., p. 3. 554 Analizzando i due istituti secondo la valenza certificatoria, non emergono particolari differenze; sul piano di quella equiparatoria, invece, si evidenziano diversità più marcate, emergenti (1) dalla uguaglianza tra pubblico e privato quale presupposto per la libera scelta, e (2) dalla funzionalità alle scelte di programmazione regionale. Rispetto al primo profilo affiora il superamento della logica La garanzia di elementi qualitativi pone, in capo all’ente un problema di “certificazione”: la difficoltà è insita nella definizione di strumenti per misurare la ACCRED. DI ECCELLENZA ACCRED. ISTITUZIONALE Tipo “puro” Tipo “misto” √ quote all’offerta complessiva + libera scelta tra questa meccanismo concorrenziale di regolazione del mercato logica pubblicistica di regolazione del mercato valenza equiparatoria Tipo di accreditamento valenza certificatoria Caratteristiche possedute autovalutazione e automiglioramento della qualità (tra privati) stimolo al raggiungimento delle massime performance attestazione (dal pubblico) del possesso di requisiti di qualità diritto ad erogare servizi a carico dell’ente pubblico qualità ed il trade-off tra contenimento dei costi e qualità. √ √ √ √ alta alta √ alta bassa √ √ Tipo “ibrido” alta media √ Figura 4.2 g: tabella riepilogativa delle caratteristiche dei sistemi di accreditamento. (Elaborazione propria) Considerando sia un modello “puro” (lasciando la regolazione del mercato all’utente attraverso la libera scelta e i buoni servizio), che uno “misto” (mantenendo il potere di regolazione ed acquistando sul mercato dei soggetti accreditati determinate quote di servizi, impedendo la libertà di scelta e il funzionamento del mercato secondo le pubblicistica, che mette in parità, ora, il soggetto accreditato con quello pubblico nell’erogazione di servizi. Su questo piano si noterebbero però delle ambiguità del sistema di accreditamento. Considerando il sistema di regolazione, l’ente pubblico può procedere a due tipi di accreditamento: (a)l’accreditamento “puro”, lasciando la regolazione del mercato all’utente attraverso la libera scelta e i buoni servizio, disinteressando rispetto all’esito della competizione; (b)l’accreditamento “misto”, mantenendo il potere di regolazione ed acquistando sul mercato dei soggetti accreditati determinate quote di servizi, impedendo la libertà di scelta e il funzionamento del mercato secondo le sue leggi. Considerando il metodo “puro” (come quello voluto dalla L. 328/00), convenzionamento e accreditamento sono totalmente differenti, mentre rispetto alla modalità “mista”, l’accreditamento ripropone in modi diversi la logica del convenzionamento. Rispetto all’accreditamento in funzione delle scelte di programmazione regionale, emergono rilevanti criticità e discordanze. Accreditare solo quando è coerente con le possibilità di finanziamento del soggetto pubblico, tipico dell’accreditamento “misto”, e con le scelte di politica sociale, è in contraddizione con la logica stessa del sistema, basato ,giova ribadirlo, sulla parità tra erogatori in possesso dei requisiti, ma lo discosta dal convenzionamento. Per converso, accreditare tutti i soggetti in possesso dei requisiti, per differenziarsi dal convenzionamento, richiede la definizione di precise modalità di regolazione del rapporto, al fine di quantificare la spesa e la quantità di servizi erogati, alcuni criteri trasparenti di scelta oppure strumenti di classificazione degli erogatori per indirizzare l’utenza. Cfr. A Battistella, 2001a, op. cit., pp.4-5. sue leggi)555, autori impegnati in studi sul campo556, propongono in modello “ibrido” tra i due stremi, che controlli a monte l’offerta complessiva delle prestazioni con quote, lasciando poi i singoli utenti indipendenti ad accedere alle strutture liberamente scelte conseguendo gli obiettivi, prima ritenuti critici, di garanzia della qualità, di tetti alla spesa, di filtrare gli accessi, di creare competizione tra erogatori. La figura 4.2 g riassume le caratteristiche dei sistemi di accreditamento presentati. Per esplicare le proprie qualità, il modello si dovrebbe però avvicinare il più possibile ad un tipo “puro”, dovendo essere consapevoli che questo istituto, però, comporta l’introduzione di un nuovo rapporto con l’utente, e nuove modalità di filtro degli accessi, basate su un “accompagnamento” da parte di professionisti pubblici per la definizione del bisogno ai servizi, e per la valutazione dell’appropriatezza delle soluzioni prospettate. L’introduzione di sistemi di accreditamento rappresenta dunque, per i servizi socioassistenziali, una sfida importante, sia per il cittadino, che per le aziende non profit e quelle pubbliche. Alla luce delle problematiche esposte557, tuttavia, si avverte il rischio che questi divengano una “bandiera di innovazione” che nasconde tradizionali e superate modalità di acquisto dei servizi558. La legge quadro 328/00 per i servizi sociali, come ripetuto più volte, innova sostanzialmente la cornice delle forme di gestione di questi, nella logica di risposta diretta dell’ente pubblico al bisogno del cittadino, organizzata secondo formule innovative. Per quanto riguarda l’esternalizzazione di servizi attraverso l’affidamento degli stessi a soggetti privati, nelle intenzioni della legge soprattutto non profit, si prevede proprio la formula del contracting-out, considerata di rilevanza tale da aver richiesto uno specifico atto di indirizzo, emanato con D.p.c.m. del 555 30 marzo 2001559, L’analisi di questi due modelli è proposta nella nota precedente. Cfr. A. Battistella, 2001 a, op. cit., p. 6. 557 I temi maggiormente dibattuti in merito all’”importazione” dell’accreditamento nei servizi sociali, riepilogando, riguardano: la definizione dell’effettivo vantaggio derivante dall’introduzione di servizi accreditati, l’individuazione di un condiviso modello di accreditamento (stante la presenza di più modelli concettualmente diversi), il rischio di aumento delle spese sociali, la necessità di introdurre case manager che guidino il cittadino nella scelta dei servizi da acquistare, la criticità dei sistemi di valutazione adeguati per l’accreditamento dei soggetti erogatori. Cfr. A. Battistella, 2001 a, op. cit.. 558 Cfr. A. Battistella, 2001 b, op. cit., p. 6. 559 Art. 1 - Ruolo dei soggetti del Terzo Settore nella programmazione, progettazione e gestione dei servizi alla persona: “1. Il presente provvedimento fornisce indirizzi per la regolazione dei rapporti tra Comuni e loro forme associative con i soggetti del Terzo Settore ai fini dell'affidamento dei servizi 556 prevedendo esplicitamente come fine la regolazione dei rapporti di fornitura tra Amministrazione e soggetti non profit. Secondo tale normativa, sinteticamente (vedi fig. 4.2 h), le Regioni sono chiamate a promuovere l’offerta ed il miglioramento della qualità dei servizi, favorendo l’utilizzo di forme di valorizzazione delle capacità progettuali ed organizzative e la co-progettazione560; si fissano i criteri di preselezione dei soggetti presso cui STATO Indirizzi REGIONI COMUNI Preselezione Valutazione sulla base di: • INDICATORI PROFESSIONALI • INDICATORI ORGANIZZATIVI Aggiudicazione Sulla base del criterio dell’OFFERTA ECONOMICAMENTE PIU’ VANTAGGIOSA,tramite: • Indicatori organizzativi • Indicatori di processo Figura 4.2 h:affidamento dei servizi sociali. (Fonte: P. Ferrario, 2002 b, p. 7) acquistare o ai quali affidare i servizi, e quelli per l’aggiudicazione561; l’oggetto dell’acquisto o dell’affidamento deve essere l’organizzazione complessiva del servizio o della prestazione e non la mera fornitura di mano d’opera; infine si previsti dalla legge n. 328 del 2000, nonché per la valorizzazione del loro ruolo nella attività di programmazione e progettazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali.” 560 Questi consistono nella formazione, qualificazione ed esperienza professionale degli operatori, esperienza organizzativa maturata nei settori operativi di riferimento. 561 L’aggiudicazione deve avvenire sulla base dell’offerta economicamente più vantaggiosa, tenendo conto di indicatori organizzativi (contenimento del turnover, qualificazione organizzativa del lavoro, applicazione dei contratti organizzativi) e di indicatori di processo (conoscenza del territorio); è esclusa la possibilità di far riferimento al massimo ribasso. favorisce la co-progettazione potendo indire i Comuni istruttorie pubbliche per la progettazione di interventi innovativi e sperimentali in cui coinvolgere i soggetti non Fissazione requisiti minimi strutturali ed organizzativi STATO Definizione dei criteri generali REGIONE Gestione dei processi COMUNI ACCREDITAMENTO VIGILANZA AUTORIZZA ZIONE (garanzia qual. minima) Offerta di servizi accreditati Offerta in regime di mercato Feed-back Offerta di servizi in gestione diretta Offerta di servizi in appalto Offerta sulla base di tariffe riconosciute agli enti erogatori da parte dei comuni scelta CITTADINI-UTENTI scelta Figura 4.2 i: effetto dell'accreditamento sociale sull'offerta complessiva di servizi. (Elaborazione grafica su P. Ferrario, 2002b, p. 8) profit. Considerate le altre forme di gestione proposte dalla legge, secondo alcuni autori562, queste non hanno eliminato la tradizionale esternalizzazione di servizi, rimanendo, il contracting-out, la forma più significativa, seppur non la principale563. Rispetto ad eventuali vincoli normativi, continuano gli autori, la 328/00 non introduce particolari innovazioni, evidenziandosi un “favore” per quelle modalità di 562 Cfr. A. Battistella, 2002 a, Contracting out e l.328/00, in Prospettive Sociali e Sanitarie n. 2. Rispetto al problema di superamento delle gare di appalto, quale potrebbe derivare dal cambiamento delle modalità di gestione, attraverso l’uso di buoni per l’acquisto e di un sistema di accreditamento “puro”, e come si vedrà in seguito, un’aziendalizzazione “spinta” dei servizi alla persona, viene escluso un superamento ope legis del contracting-out: le esperienze e le sperimentazioni svolte, e quelle in corso, tentano anzi di trovare criteri e linee d’indirizzo più efficienti per innalzare la qualità dei servizi e il perseguimento del principio di sussidiarietà563, potendo considerare, oltre a ciò, lo stretto legame tra la capacità di fare “buoni appalti” e la possibilità di gettare “buone basi” per un accreditamento degli erogatori, essendo operazioni metodologiche molto simili. 563 gara che garantiscano la libera progettualità dei soggetti privati, come l’appalto concorso, e ritenendo idonea, per i servizi routinari (vedi retro), la licitazione privata. Per i criteri di valutazione, le Regioni sono chiamate alla stesura delle regole regionali per l’affidamento564. Sul versante della regolazione dei meccanismi tipo mercato, invece, la legge 328/00 non è particolarmente precisa nel fare riferimento ai “titoli per l’acquisto” di servizi, tanto da ometterne una definizione giuridica; in assenza di tale definizione, le Regioni hanno adottato nomi diversi, cui corrispondono definizioni diverse565. Le definizioni generalmente adottate sono quelle di “assegno di cura” e “buono servizio” assegno 566 . Volendo semplificare al massimo, l’assegno di dura consiste in un liberamente spendibile dall’utente, finalizzato a riconoscere economicamente l’attività di cura svolta dalla famiglia o dalla rete di solidarietà sociale; il buono servizio è di fatto riconducibile ad un ticket spendibile solo per l’acquisto di determinati servizi. I due strumenti, sembra evidente, non sono equipollenti ed hanno un impatti differente sul sistema complessivo dei servizi inibendo, nel primo caso, l’uso dei servizi sociali a vantaggio di interventi meno professionali, e favorendo, nel secondo, la diversificazione dell’offerta e l’innalzamento della qualità567. 564 Secondo gli stessi autori, questo potrebbe portare al rischio concreto di diversificazione Regionale eccessiva, facendo venire meno quell’elemento di omogeneità previsto da una normativa quadro. 565 Cfr. P. Ferrario 2002 b, Dalla legge 328/00 a oggi, in Prospettive Sociali e Sanitarie, n. 6, p. 1. 566 Con il primo termine si intende una provvidenza economica a favore di un utente per casi in cui l’assistenza possa essere prestata da un “caregiver” familiare, o appartenente a reti di solidarietà, quali il vicinato o il volontariato, oppure da personale direttamente assunto dalla famiglia e dall’utente. Il secondo termine, invece, indica una provvidenza economica a favore dell’utente utilizzabile solo per l’acquisto di specifiche prestazioni erogate da “caregiver” professionali 567 L’introduzione di un sistema di buoni servizio rappresenta, secondo Ferrario (Cfr. P. Ferrario, 2002 b, op. cit., p. 6.), una possibile risposta alla necessità di snellire le procedure di erogazione dei servizi, lasciando la contrattazione tra soggetto - cliente ed erogatore; in questo caso il mercato viene portato a diversificare l’offerta, a cercare nuovi bisogni e ad innalzare la qualità. Si tratta di un sistema complesso che trascina con se, come detto, l’intervento sui sistemi di accreditamento dei soggetti erogatori. L’introduzione di un sistema basato sugli assegni di cura, invece, punta a riconoscere l’impegno assistenziale di chi già oggi dà risposte al bisogno di assistenza di un congiunto, e a impedire che la gravosità dell’impegno porti, nel tempo, alla richiesta di assistenza e cure professionali. Sempre secondo l’autore, in questo caso si tende a contenere la rilevanza dei servizi sociali, a favore di una libertà di scelta spesso più teorica che reale, in quanto le famiglie bisognose, ribadiamo questo aspetto fondamentale del bisogno sociale, non sono in grado di giudicare le competenze necessarie per individuare le cure e per utilizzare razionalmente le risorse monetarie. La legge 328/00, all’art. 17, sembra peraltro fare riferimento al solo buono servizio, parlando di titoli liberamente spendibili presso soggetti accreditati. Cfr. P. Ferrario, 2002 b, op. cit., p. 1. Per un approfondimento sulle differenze tra i due strumenti, cfr. A. Battistella 2002 a, op. cit., pp. 1 e segg. La legge di riforma, poi, ha voluto estendere anche ai servizi sociali il sistema di accreditamento “sociale”; data la complessità di implementazione in quest’area di servizi568, rispetto a quelli sanitari da cui deriva, viene posta la limitazione ai soli servizi e strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale. La figura 4.2 i evidenzia l’effetto che si intende ottenere attraverso questo strumento569. In ultimo, volendo considerare congiuntamente gli strumenti di contracting-out e di mercati amministrati, emergono due considerazioni in merito all’efficacia dell’assetto disegnato (e dell’organizzazione pluralistica ed aperta al mercato) per i servizi socio-assistenziali: una in positivo, che riguarda la possibilità di accesso dei cittadini, che hanno a disposizione due percorsi: tramite un’attività di accompagnamento simile a quella proposta nelle metodologie del case manager (accesso, precisazione degli obiettivi, individuazione delle unità di offerta, verifica dei progressi), oppure tramite l’accesso spontaneo all’unità di offerta attraverso l’uso di titoli per l’acquisto, e una in negativo, ossia il rischio che in nome della possibilità di scelta dei cittadini, e del ruolo sussidiario della famiglia, si apra una nuova forma di “abbandono” degli utenti in situazione di bisogno, incapaci, spesso e per carenza di informazione, di scegliere i percorsi di cura570. 4.2.2 L’azienda sociale Sempre più Comuni, è utile ripetere il concetto, s’interrogano sulla forma organizzativa ed istituzionale per la gestione dei servizi sociali, valutando l’ipotesi di abbandonare la gestione diretta in economia per costituire un’azienda sociale. 568 E’ utile ricordare alcune variabili chiave: i comuni finanziano i servizi sia con fondi regionali, che con quelli del proprio bilancio; la rete dei comuni (circa 8.100) è molto più estesa e frammentata rispetto a quella delle Asl (circa 200); l’erogazione di servizi sociali è meno standardizzabile di quella di servizi sanitaria; la spesa regionale consente maggiore copertura di eventuali “errori”, in termini di costi, rispetto al bilancio del Comune. Cfr. P. Ferrario, 2002 b, op. cit., p. 8. 569 E’ possibile infatti individuare quattro aree operative coesistenti nell’offerta di servizi sociali: servizi a gestione diretta dei Comuni; servizi gestiti tramite esternalizzazione in appalto; servizi finanziati tramite accreditamento; autorizzazione per servizi sociali offerti dal mercato. Le responsabilità istituzionali sono così suddivise: i Comuni devono gestire i processi di accreditamento, autorizzazione e vigilanza e corrispondere ai soggetti accreditati le tariffe per le prestazioni erogate; le Regioni definiscono i criteri per l’autorizzazione, l’accreditamento e la vigilanza; lo Stato fissa i requisiti minimi strutturali ed organizzativi per l’autorizzazione. Cfr. P. Ferrario, 2002 b, op. cit., p. 8. 570 Cfr. sempre P. Ferrario, 2002 b, op. cit., p. 8. Da questa scelta emergono importanti opportunità sia per gli Enti Locali, per un miglioramento nella gestione dei servizi, che, per le aziende non profit, per un maggiore coinvolgimento, riconoscimento ed intervento sui bisogni. Premesso che nella costruzione dell’azienda sociale si devono necessariamente rispettare le peculiarità della situazione locale (e qui sta la flessibilità dello strumento), è pur vero che dalle scelte operate in merito alla realizzazione di tale agenzia (composizione dei soci, forma, mezzi e strumenti) dipende l’efficacia del servizi resi e quindi il perseguimento della mission istituzionale di entrambi i soggetti protagonisti del presente lavoro. Questo strumento, in effetti, consente la partecipazione di una pluralità di attori, dimostrandosi efficace sintesi “operativa” dei principi del Welfare mix, e mezzo cui, a patto di rispettare alcuni presupposti, come modalità efficaci di partecipazione del non profit e degli altri soggetti coinvolti e degli strumenti per fare ciò, si può attuare quella collaborazione indicata come fattore di successo per la realizzazione degli obiettivi preposti. Con il termine azienda sociale s’intende la creazione di un soggetto pubblico (o misto) distinto dall’ente locale o dall’ente pubblico che la costituisce (ad esempio la Asl), che hanno come finalità l’erogazione di servizi sociali e che presenta al suo interno una forte componente economico-aziendale571. Il termine azienda, per l’appunto, richiama i concetti di economicità e quindi di efficacia ed efficienza; richiama il concetto di aziendalizzazione, prima discusso, senza risolversi semplicemente in questo, ma come occasione di innovazione gestionale e di introduzione (non automatica) di strumenti gestionali tipici del privato; non significa, infine, dar vita ad imprese, nel senso di produzione e vendita di servizi sul mercato, rimanendo il rapporto con il cittadino-cliente immutato. Le esigenze alla base della scelta dell’azienda sociale vengono individuate in : (a) trovare forme di collaborazione tra più Comuni, al fine di superare la scarsità di risorse, soprattutto quando questi sono di piccole dimensioni; (b) offrire risposte coordinate con l’Asl; (c) coinvolgere maggiormente il Terzo Settore. 571 Cfr. R. Montanelli, C. Parente, 2000, La scelta della forma di gestione per i servizi sociali: i quesiti strategici e le possibili soluzioni, in Longo F. (a cura di), Servizi sociali: assetti istituzionali e forme di gestione, EGEA, Milano, pp. 25 e segg. Dai rapporti con questi altri attori (altri Comuni, Asl, Terzo Settore) emerge l’opportunità di costituire un’azienda sociale, potendo instaurare legami con questi anche con strumenti alternativi (vedi fig. 4.2 l). Per quanto riguarda i rapporti intercomunali, bisogna scegliere quanto e come coinvolgere gli Enti Locali limitrofi. Questi possono essere soci, oppure clienti; è altresì possibile coinvolgerli con forme meno strutturate quali accordi di programma e protocolli d’intesa, oppure non coinvolgerli affatto. Soggetti da coinvolgere Non collaborazione Comuni limitrofi Collaborazione Netta separazione Asl Tipo di coinvolgimento Opzioni disponibili Coordinamento • • • Soci Clienti Accordi di programma • • • • • Delega di servizi Azienda mista Rapporti contrattuali Equipe di erogazione misti Accordi di programma o protocolli d’intesa Non coinvolgimento • Consultazione periodica • Presenza nel CdA Terzo settore • Socio Coinvolgimento • Fornitore Figura 4.2 l: rapporti tra Comune ed altri soggetti per la costituzione di azienda sociale e relativi strumenti.(Elaborazione su Montanelli- Parente, 2000, pp. 30, 31,33) Per quanto riguarda le Asl, il loro apporto varia a seconda del livello di integrazione socio-sanitaria voluto; premessa la sconsigliabilità del non coinvolgimento, proprio al fine dell’integrazione tra sociale e sanitario, la scelta è tra la netta separazione (di responsabilità di gestione, di finanziamento ecc) ed il coordinamento, attraverso la delega di servizi, semplici rapporti contrattuali, accordi di programma e protocolli d’intesa, e la costituzione dei èquipe di erogazione mista. Riguardo ai rapporti con le aziende non profit, anche qui, le opzioni sono due: il coinvolgimento (che consentirebbe il passaggio di know-how, condivisione di obiettivi, la creazione di un rapporto fiduciario) come interlocutore privilegiato nella fase di programmazione, come socio (scegliendo secondo compatibilità di mission), come membro del consiglio di amministrazione, come semplice fornitore ed infine, sebbene l’azienda sociale rappresenti un’opportunità importante di partecipazione del terzo settore, l’assenza di coinvolgimento. Istituzione Azienda speciale Natura giuridica Organismo strumentale dell’E.L. Ente strumentale dell’E.L. Ordinamento Diritto pubblico Diritto pubblico Ente strumentale di più EE.LL. Diritto pubblico Personalità giuridica No Si Autonomia Gestionale Gestionale Organ.va Finanziaria Organi CdA; Presidente; Direttore; CdA; Presidente; Direttore; Funzionamento Statuto E.L. Capitale sociale Partecipazione dei soci Consorzio S.r.l. S.p.A. Società di capitali Società di capitali Diritto privato Diritto privato Si Si Si Statuto proprio Gestionale Organ.va Finanziaria Assemblea consortile; CdA; Presidente; Direttore; Statuto proprio Gestionale Organ.va Finanziaria Assemblea dei soci; CdA; (Collegio Sindacale) Statuto proprio Gestionale Organ.va Finanziaria Assemblea dei soci; CdA; Collegio Sindacale Statuto proprio - - - 10 000 € 100 000€ - - Quote Quote Azioni Figura 4.2 m:Analisi comparata delle caratteristiche strutturali delle diverse forme giuridiche dell'azienda sociale. (Fonte, F. Longo, 2000, p. 35) Le forme giuridiche che l’azienda sociale può assumere sono ricollegabili a quelle previste dalla L. 142/90, le quali comportano uno scorporo dei servizi dal Comune: istituzione, azienda speciale, consorzio, S.r.l., S.p.A., le cui caratteristiche sono raccolte nella figura 4.2 m. In generale, la creazione di un’azienda sociale presenta il vantaggio di individuare e riunire, in un unico centro di programmazione e di gestione, un ambito omogeneo di interventi che altrimenti sarebbero frammentati nei vari settori dell’ente locale; questo dovrebbe contribuire allo snellimento delle procedure, alla creazione di un maggior senso di appartenenza del personale, semplificare i rapporti con gli utenti572. Per contro, la maggiore criticità per l’ente locale è riconducibile alla perdita del 572 Cfr. A. Francesconi, 1994, La scelta dei modelli di gestione dei servizi, in Zangrandi A. (a cura di), Autonomia ed economicità nelle aziende pubbliche, Giuffrè, Milano. controllo diretto sull’attività ed alla necessità di sviluppare capacità di pianificazione strategica ex ante e sul controllo dei risultati ex post. Con riferimento ai vantaggi e limiti delle varie forme giuridiche, questi possono essere sintetizzati come nella figura 4.2 n. Azienda speciale Istituzione Vantaggi • • Autonomia gestionale rispetto all’E.L. • • Maggiore flessibilità organizzativa e gestionale; Proprio statuto; Applicabilità del C.C. al personale Consorzio • • • Possibili economie di scala; Figure professionali assenti nell’E.L.; Potere contrattuale vs. terzi • S.r.l. • • • Limiti No proprio • • Lentezza statuto; funzionamento • No separazione • Definizione • assemblea; dello statuto tra politica(grado di • Composizione gestione; • flessibilità); interessi • No contratto di presenti; • No servizio573; multiproprietà • No • • No multiproprietà multiproprietà Figura 4.2 n: Vantaggi e limiti delle diverse forme giuridiche adottabili (Elaborazione propria) S.p.A. Massima flessibilità gestionale rispetto E.L.; Responsabilizzazion e sui risultati; Partecipazione del pubblico al risparmio (S.p.A.) Acquisire competenze tecniche Acquisire risorse finanziarie; Sviluppare capacità gestionali e strategiche; Resistenza al cambiamento per l'azienda sociale. Merita inoltre una precisazione il tema dell’applicabilità delle diverse forme giuridiche ai servizi sociali. Dal punto di vista normativo, infatti, i servizi pubblici locali vengono distinti in servizi a rilevanza imprenditoriale (per i quali i costi di produzione sono coperti dai ricavi derivanti dalla cessione dei servizi) e servizi privi di tale rilevanza. I servizi sociali rientrano in questa seconda categoria, per cui è espressamente prevista la sola forma dell’istituzione. La dottrina, tuttavia, riconosce, seppur con qualche forzatura, l’applicabilità delle forme del consorzio e della società a prevalente capitale pubblico574. Si ha però che servizi che dal punto di vista giuridico appartengono a categorie diverse(industriali e alla persona), possono essere ricondotti ad un’unica categoria dal punto di vista economico aziendale, in quanto per questi valgono i medesimi meccanismi di 573 574 Questo esplicita i rapporti con la proprietà, i trasferimenti, i meccanismi di controllo. Cfr. G. Sanviti, 1995, I modelli di gestione dei servizi pubblici locali, Il Mulino, Bologna. finanziamento e di relazione tra proprietà e soggetto produttore, potendo quindi applicare tutte le forme giuridiche previste575. Con riferimento alle potenzialità di coinvolgimento diretto degli altri attori (altri Comuni, Asl, aziende non profit), le varie forme giuridiche si atteggiano in modo diverso, come riportato nella figura 4.2 o; di particolare rilevanza è l’inidoneità dell’istituzione e dell’Azienda speciale al coinvolgimento societario dei soggetti pubblici e privati del Welfare locale. Istituzione Azienda speciale Consorzio S.r.l. S.p.A. Possibilità per più comuni di √ √ √ essere proprietari Comproprietà √ √ √ della Asl Possibilità delle ANP di √ √ essere socie Figura 4.2 o: Potenzialità di coinvolgimento di più comuni, di Asl, di Anp come soci delle aziende sociali. (Fonte: F. Longo, 2000, p. 41) Come si vedrà in seguito nell’analisi del caso pratico, ma che ora è utile citare, proprio l’esigenza di porre sintesi agli interessi dei vari stakeholder istituzionali nell’organo di governo determina la scelta della forma giuridica576; per quanto riguarda il non profit in qualità di socio, l’ipotesi viene raramente presa in 575 Abbandonando l’ottica giuridica, in favore di quella economico-aziendale, si può porre l’accento sui reali meccanismi di funzionamento delle aziende e sulla loro capacità di consentire un efficace ed efficiente organizzazione delle risorse per il raggiungimento delle finalità istituzionali, le conclusioni si presentano allora differenti. Analizzando in quest’ottica i servizi imprenditoriali, infatti, si può affermare che la copertura dei costi tramite la cessione dei servizi può essere raggiunta (e di fatto questo avviene, si pensi al trasporto locale) anche quando è l’ente locale ad acquistarli, e non necessariamente quando il servizio viene ceduto sul mercato. Ciò accadrebbe anche per i servizi dell’azienda sociale, in quanto è il Comune, in qualità terzo pagante, che provvede al finanziamento, potendo quindi applicare anche le altre forme (azienda speciale, consorzio, forme societarie).Cfr. A. Garlatti, 1994, op. cit.. 576 L’azienda per i servizi sociali di Bolzano, che ha scelto la veste dell’Istituzione, ad esempio, ha operato tale scelta poiché la rappresentanza dei vari gruppi culturali che compongono il tessuto sociale e che sono rappresentati all’interno degli organi istituzionali Comunali e Regionali avrebbe fatto perdere la snellezza decisionale; nel contempo, sempre a fine della detta rappresentanza, serviva uno stretto collegamento con il Comune; l’Azienda speciale per i Servizi alla Persona e alla Famiglia di Mantova ha scelto tale forma poiché, forte di un know how gestionale adeguato, ha deciso di “recidere” i legami con il Comune ed avere autonomia; la futura Società della Salute del Circondario Empolese-Valdelsa, al contrario, avrà i caratteri del consorzio, per rappresentare gli oltre dieci comuni fondatori e l’Asl, per un coordinamento unitario. considerazione, come si vedrà in seguito,per motivi di governance complessiva del sistema. Rispetto alle esigenze di carattere gestionale, l’obiettivo principale insito nel cambiamento della forma di gestione è il maggior grado di flessibilità gestionale e snellezza decisionale. Tale obiettivo è tanto più raggiungibile quanto più la forma di gestione consente di (vedi figura 4.2 p)577: • introdurre logiche e strumenti di management (controllo di gestione ecc.); • godere di forme di autonomia patrimoniale; • modificare il rapporto di lavoro dei dipendenti; • passare al diritto privato (con impatto sulle logiche di acquisto, di gestione del personale, sulla contabilità). introdurre logiche e strumenti di management godere di forme di autonomia patrimoniale modificare il rapporto di lavoro dei dipendenti; Dir. pubblico/ diritto privato Istituzione Azienda speciale Consorzio S.r.l. S.p.A. • •• •• ••• ••• √ √ √ √ √ √ √ √ Pubblico o privato Pubblico o privato privato privato pubblico Quindi: Flessibilità gestionale Figura 4.2 p: grado di flessibilità gestionale delle diverse forme di azienda sociale. (Fonte: F. Longo, 2000, p. 42) • •• •• ••• ••• La progettazione di un’azienda sociale risulta complessa ed aggravata nel caso dei servizi socio-assistenziali per almeno i seguenti motivi578: la prevalente gratuità dei 577 Le linee di riforma delle forme di gestione previste nella L. 142/90, come detto nel par 3.2.3, vanno nella direzione del superamento dei limiti delle attuali forme giuridiche: l’istituzione dovrebbe assumere le connotazioni dell’azienda speciale e questa trasformarsi in S.p.A., conferendo maggiore autonomia. 578 Cfr. F. Longo, 2000 a, La costituzione di un'azienda sociale: progettazione istituzionale, meccanismi di finanziamento, assetti patrimoniali, in Longo F. (a cura di), Servizi sociali: assetti istituzionali e forme di gestione, EGEA, Milano, pp. 45 e segg. servizi, la funzione di terzo pagante del soggetto pubblico; la proprietà deve conciliare autonomia aziendale ed indirizzo delle politiche sociali; l’assetto proprietario dell’azienda gestisce servizi i cui clienti non sono necessariamente istituzionali dell’azienda medesima579; la domanda sociale, di norma supera la capacità di offerta pubblica: questo impone all’ente titolare della funzione di definire e programmare le priorità sociali. In funzione di queste problematiche, premettendo che la scelta della forma giuridica non esaurisce e risolve le problematiche costitutive, si necessita la definizione di molteplici elementi: (a) la corporate governance; (b) la natura giuridica580; (c) le relazioni finanziarie e patrimoniali581; (d) i contratti del personale582; (e) la scelta del tipo di contabilità generale583; (f) il percorso attuativo per la costituzione e la gestione del cambiamento. Sul piano dei rapporti con il non profit rileva, in primo luogo, il primo ordine di elementi concerne il rapporto tra proprietà ed azienda. 579 Ad esempio, un’azienda sociale partecipata paritariamente da due comuni potrebbe avere per cliente l’Asl per almeno il 40 % del bilancio ed il restante 60% i due comuni. 580 La natura giuridica di diritto pubblico o privato influenza direttamente la natura dei contratti dei dipendenti e le logiche di gestione del personale; le procedure di acquisto di beni e servizi, gli schemi contabili, gli atti e la comunicazione d’azienda, i possibili strumenti finanziari. La reale natura giuridica dipende spesso dall’orientamento dato dalla forma giuridica scelta (vedi fig. 4.2 5), non determinando meccanicamente, tuttavia, l’approccio prevalente assunto, influenzato piuttosto dalla cultura organizzativa esistente e dal livello di consenso nel processo di cambiamento, che legittima l’introduzione di strumenti privatistici o pubblicistici (come la gestione del personale). 581 Le relazioni finanziarie e patrimoniali tra proprietà ed azienda sociale sono molteplici e complesse ed intensamente correlate tra di loro. Possono essere raggruppate nelle seguenti logiche: il finanziamento delle spese correnti (a carico dell’ente titolare della funzione e generalmente proprietario, attraverso il trasferimento finanziario, oppure il rapporto acquirente-fornitore), la capitalizzazione (la cui entità influisce sull’autonomia finanziaria di indebitamento) e la gestione di immobili (come conferimento di capitale, oppure in locazione, con o senza l’onere di manutenzione straordinaria, che influisce sull’erogazione dei servizi e sulla gestione) ed investimenti; le politiche di cassa (in autonomia o in subordine alla proprietà, secondo tempi di pagamento e dalle disponibilità della proprietà). 582 Le problematiche relative ai contratti del personale riguardano l’applicazione di quale contratto, dovendo scegliere tra quello di provenienza o quello delle aziende sociali e sanitarie; indipendentemente dalla scelta è necessaria l’introduzione di strumenti di gestione di tipo privatistico. 583 La scelta della contabilità ( tra economico-patrimoniale e finanziaria) corrisponde a riflessioni strategiche e non solo tecnico-operative, influendo direttamente sull’autonomia (basata sulle disponibilità patrimoniali) e sulla possibilità di autofinanziamento. Alla scelta, introduzione o cambiamento, sono legate tre soluzioni organizzative possibili: l’internalizzazione di nuovi professionisti esperti in contabilità; l’esternalizzazione a soggetti terzi; la consulenza. Il problema della partecipazione democratica, allargata oltre i confini degli organi istituzionali al fine di discussione e confronto sulle politiche sociali: i soggetti portatori di interessi diffusi sono molteplici e la loro composizione necessita di una pluralità di istituti di partecipazione, quali consulte-forum, tavoli di concertazione, con funzione consultiva, a monte del processo decisionale degli organi elettivi. Rispetto ad altre istanze che fanno capo alle relazioni con gli stakeholders (indirizzo politico, governo aziendale della controllata, monitoraggio del soddisfacimento), sono a disposizione vari strumenti alternativi tra loro: bilanci annuali e pluriennali dell’ente proprietario, documenti di progettazione di servizi, piani programmatori e progetti obiettivo; contratto di servizio, approvazione dei bilanci e degli atti fondamentali dell’azienda sociale, il controllo di gestione del gruppo (per il governo aziendale); l’URP, il difensore civico e la carta dei servizi (per la customer satisfaction). Istanze Partecipazione allargata Modello “istituzionale” Commissione consiliare con terzo settore Modello “contrattuale” Forum aperto al Terzo settore e rappresentanti degli utenti Consiglio comunale: esprime indirizzi per politiche sociali Azienda mista Terzo settore e volontariato tra i soci Consiglio comunale: definisce servizi da delegare all’azienda Contratto di servizio Centralità delle nomine Centralità del contratto vincolante; Governo aziendale fiduciarie di servizio Potenziamento ruolo assemblea dei soci URP comunale, per URP aziendale Forum aperto agli utenti Feed-back utenti verificare azienda Figura 4.2 q: differenti disegni di corporate governance. (Fonte F. Longo, 2000, p. 52) Indirizzo politico Consiglio comunale: programma attività e approva il bilancio Un disegno chiaro, coerente ed efficace della corporate governance, secondo Longo584, deve rispettare i seguenti principi: ogni istanza deve essere rappresentata prevalentemente in un preciso organo, evitando così ridondanza (il che significa evitare che il non profit “compaia” innumerevoli volte - nel forum, nella proprietà, tra i fornitori ecc.); equilibrio tra i poteri (istituzionali e di gestione, ricercato tra la “voice” degli utenti , del Terzo settore e volontariato, il management e la proprietà); 584 Cfr. F. Longo, 2000 a, La costituzione di un'azienda sociale: progettazione istituzionale, meccanismi di finanziamento, assetti patrimoniali, in Longo F. (a cura di), Servizi sociali: assetti istituzionali e forme di gestione, EGEA, Milano, p. 49. la prevalenza ineludibile di alcune funzioni. Lo stesso autore, senza pretesa di esaustività, propone uno schema con diversi disegni di corporate governance (fig. 4.2 q). La strada maggiormente intrapresa può essere assimilata al “modello contrattuale”, come compromesso tra la centralità dell’ente locale nel governo e la partecipazione degli altri soggetti, senza arrivare ad un’azienda mista. In secondo luogo, invece, risulta di fondamentale importanza, anche per il corretto funzionamento dell’azienda sociale, la scelta dei modelli organizzativi e dei sistemi operativi585. La costituzione di un’azienda sociale può essere una importante occasione per ripensare la struttura organizzativa: sotto questo profilo è rilevante l’esigenza di integrazione tra i soggetti attori dei servizi sociali. L’azienda nasce infatti come strumento di integrazione orizzontale di enti eterogenei tra di loro (Comuni ed Asl) e di integrazione istituzionale tra soggetti con titolarità distinte (ad esempio IPAB, aziende non profit, oltre quelle già citate); per realizzare operativamente tale integrazione, è necessario, per l’appunto, un’attenta progettazione organizzativa e soprattutto la scelta di accentrare o decentrare (ricorrendo spesso a servizi non profit) la produzione di servizi secondo la dimensione del bacino di utenza. La gestione delle complessità interne ed ambientali, inoltre, impone l’affinamento dei principali sistemi operativi: • i sistemi di programmazione e controllo, necessari per pianificare e governare l’attività delle diverse unità organizzative; • i sistemi di gestione del personale, per favorire la crescita professionale degli operatori, i livelli motivazionali ed il senso di appartenenza aziendale; • i sistemi decisionali e la loro formalizzazione, che determinano la geografia di distribuzione del potere infra-aziendale, incidendo significativamente sugli iter e sui tempi di gestione; • i meccanismi di acquisizione dei fattori produttivi, soprattutto per beni e servizi, storicamente punto debole degli enti pubblici. 585 Il disegno istituzionale, infatti, è condizione necessaria ma non sufficiente per raggiungere efficacia ed efficienza nell’intervento di protezione sociale e sanitaria. Cfr. F. Longo, 2000 b, Il funzionamento di un'azienda sociale: modelli organizzativi e sistemi operativi, in Longo F. (a cura di), Servizi sociali: assetti istituzionali e forme di gestione, EGEA, Milano, p. 65. All’interno di questi strumenti, collegando decentramento produttivo e meccanismi di acquisizione che coinvolgono direttamente le aziende non profit (soprattutto le autoproduttrici e le imprese sociali), e a fronte delle rilevanti quote di esternalizzazione, toccando punte dell’80-90 % sul totale della spesa586, si collocano due formule di particolare importanza: (a) l’appalto all’esterno, di norma a cooperative sociali, per l’acquisizione dei fattori produttivi (ad es. il personale) o di prestazioni ausiliarie all’attività istituzionale (es. pulizie), o, tendenza recente, di servizi complessi; (b) l’utilizzo di strutture accreditate o convenzionate (ad es. istituti per anziani, comunità per minori ecc.) gestite spesso da realtà non profit, quali fondazioni, associazioni ecc. Le caratteristiche di questi strumenti sono state discusse precedentemente; occorre in questa sede precisare che le relazioni di fornitura in questione si orientano sempre più verso l’acquisto di prestazioni socio-sanitarie ed assistenziali complete, rispetto al quale l’ente pubblico terzo pagante viene chiamato in parte attiva (con la definizione del target, la selezione dell’utenza, la personalizzazione controllo e riprogettazione del piano assistenziale). Per l’azienda sociale, quindi, le aziende non profit che esercitano un a funzione produttiva di servizi rappresentano, in parole povere, il “braccio operativo”, senza il quale sarebbe difficile rispettare i vincoli di bilancio ed i contratti di servizio in merito alle prestazioni da erogare. La regolazione del processo di acquisto-fornitura deve essere esplicitamente disciplinata da accordi tra le parti mediante protocolli d’intesa, contratti di fornitura o di conferimento di servizi. Nel caso di un’azienda sociale, infine, la funzione di acquisto dei servizi/prestazioni può presentarsi distinta in due livelli: nel rapporto tra gli enti terzi paganti (es. Comuni, Asl) e l’azienda stessa (verosimilmente quando l’azienda è soprattutto un produttore, ossia una società operativa); nel rapporto tra azienda e fornitori (ad es. cooperative sociali ed IPAB, verosimilmente quando l’azienda è soprattutto un istituto di raccordo istituzionale, di programmazione e di acquisto). 586 Cfr. F. Longo, 2000 b, Il funzionamento di un'azienda sociale: modelli organizzativi e sistemi operativi, in Longo F. (a cura di), Servizi sociali: assetti istituzionali e forme di gestione, EGEA, Milano, p. 77. La costituzione di un’azienda sociale, per raccordare con quanto detto in apertura di sezione, è un’opportunità per rinsaldare i legami tra PA e ANP, opportunità per entrambi i soggetti, al fine di una maggiore efficacia istituzionale e soddisfazione dei cittadini (e dell’interesse pubblico) e per una legittimazione “sul campo”. Intraprendere questa esperienza è un’opzione crescente, con l’obiettivo guida, oltre ai precedenti, di portare innovazione un’area di servizi di Welfare in cui gli interventi erano finora scollegati e le responsabilità frammentate ed incerte. Le aziende non profit giocano un ruolo cardine: portano capacità di lettura dei bisogni, progettualità nella strutturazione dei servizi e nella programmazione e consenso della collettività. 4.2.3 La nuova tendenza: la partnership Nella discussione dei temi precedenti si è fatto spesso ricorso al termine “collaborazione” e alla “partnership” per definire il “tenore” di differenti situazioni; sempre più spesso, poi, anche nelle sedi istituzionali si adottano questi termini come nuovo orientamento della P.A. verso il non profit. La presente sezione cerca di chiarirne il contenuto e l’applicazione. Il tema della partnership tra enti pubblici e terzo settore sembra rivestire, oggi più che mai, importanza nodale nelle politiche sociali e nei servizi socio-assistenziali, stimolando riflessioni sia dal punto di vista teorico-concettuale, che da quello strategico-operativo587. Secondo Valotti, un fronte di grande rilievo strategico per il futuro dell’ente locale viene attraverso lo “sviluppo di alleanze”. L’opzione strategica fondamentale in questo senso, continua l’autore, è relativa alla scelta di un disegno di crescita e consolidamento sostanzialmente autonomo ed indipendente, oppure fondato sulla deliberata e sistematica ricerca di integrazione e cooperazione con altri soggetti588. 587 Cfr. G. De Robertis, 2002, La partnership possibile, in Prospettive Sociali e Sanitarie n.4, p. 1. L’autore definisce le “alleanze” come un rapporto continuativo e duraturo, fondato sulla condivisione di fini ed obiettivi, collegato a valutazioni di convenienza reciproca tra soggetti in gioco, mirante a rafforzarne la posizione competitiva e a consolidarne i percorsi di sviluppo (cfr. G. Valotti, 2000, op. cit., pp. 111-117). Un’altra possibile definizione è formulata da R. Fiocca e S. Vicari (1987, Le alleanze interaziendali per l'attuazione di strategie commerciali congiunte, in R. Fiocca (a cura di), Imprese senza confini: sviluppo e nuove forme di alleanze fra aziende, Etas Libri, Milano, pp. 33-34), che classificando i rapporti tra imprese secondo tre fondamentali categorie, relazioni, accordi, ed alleanze, definiscono le prime come lo “scambio di qualcosa” pur mantenendo i contraenti la propria 588 Sul piano giuridico vengono proposte varie alternative e strumenti utilizzabili: convenzioni, consorzi, unioni, accordi di programma, pur essendo il problema normativo meno rilevante rispetto ai criteri sottostanti la scelta strategica. alta bassa Stabilità organizzativa Istituzionalizzazione delle relazioni Forme di collaborazione Associazioni Semplici 589 Istituti - aziende di secondo livello 590 Accordi e Consorzi 591 Associazioni Complesse 592 bassa alta Complessità degli interessi perseguiti Numerosità degli istituti di I° livello Figura 4.2 r: classificazione delle forme di collaborazione. (Font: M.A. Massei, 1992, p. 229) Come più volte ripetuto nel corso del presente lavoro, la P.A. e soprattutto gli Enti Locali, nel normale operare, intrattengono rapporti di diversa natura con un quadro assai articolato di soggetti. Le forme di collaborazione con questi, come detto in identità, i secondi come tipologie di relazioni più strutturate e delimitate per oggetto, tempo e spazio e le ultime come accordi con dimensione temporale maggiormente “importante” e duratura. Al fine di una migliore comprensione di questi concetti, si faccia riferimento a quanto detto in apertura di capitolo, in cui si sostiene che l’approccio “autosufficiente” all’ambiente non sia più sostenibile e che le relazioni di collaborazione siano indispensabili per lo sviluppo dell’impresa. 589 In queste, gli interessi particolari vengono formalizzati in modo stabile, con una struttura organizzativa semplice e processi coordinati per la rappresentanza di tali interessi. Stabili e durature, hanno la finalità di rappresentanza politico-sindacale, di tutela, di fornitura di servizi senza porre in essere attività economico-imprenditoriali. 590 Questi pongono in essere una propria ed autonoma attività economica coordinata e continuativa, al fine di raggiungere finalità anche extraeconomiche, potendo essere delegate da parte della P.A. anche dell’organizzazione e gestione di servizi pubblici. Hanno prevalentemente funzione di indirizzo delle scelte (produttive, distributive, compositive di interessi ed etiche), di programmazione degli obiettivi e di controllo sui processi e sugli obiettivi. 591 Questi vengono intesi come forme di mediazione tra interessi particolari, utili a perseguire un interesse comune, al fine di dare risposte alla complessità di processi produttivi in termini di differenziazione ed integrazione, e di cooperare nei mercati globali che richiedono competitività in più aree. Per contro, risulta critica la gestione dell’informazione e la difficoltà di definizione delle responsabilità specifiche di integrazione e coordinamento. 592 Si tratta di forme intermedie che mediano sia interessi particolari, che generali, in grado di partecipare concretamente alla soluzione di problemi sociali ed economici del territorio in cui operano e di fornire servizi agli associati; giocano un ruolo istituzionale nei confronti della P.A., con funzioni di indirizzo e selezione degli interessi degli associati (accordi con EE.LL. ed imprese, servizi di commercializzazione, finanziamento con istituti di credito, esperimento di procedure amministrative ecc.; oppure con strumenti maggiormente innovativi, come la ricerca, le pubbliche relazioni, la formazione, la comunicazione), nonché di consultazione con gli enti pubblici. introduzione, vanno a creare “forme intermedie”593 di istituti, classificabili in quattro tipologie (vedi figura 4.2 r), in funzione della complessità degli interessi tutelati, della numerosità e diversità degli istituti di primo livello (famiglie, imprese for profit e aziende non profit, P.A.) e della stabilità ed istituzionalizzazione delle relazioni tra istituti coinvolti. L’interazione con altri soggetti può essere poi letta come una particolare forma di “cooperazione complementare”, ossia come una modalità cooperativa finalizzata ad obiettivi di efficienza dinamica, che rende possibile l’accesso a nuove risorse e conoscenze fondamentali per lo sviluppo dell’impresa e fra le sue parti, e non è riconducibile, come detto, ad un semplice rapporto di scambio o negoziazione594. Cavalieri595 parla quindi, senza distinzioni di carattere terminologico, di “accordi di cooperazione”, come forme di relazione contrattuale, ma data la connotazione di lungo periodo, questi rappresentano ben più di una semplice negoziazione. I partners di un’alleanza, infatti, non sono entità anonime che operano su un mercato di tipo walrasiano, essendo i loro rapporti caratterizzati da un’enfasi sulla relazionalità (più che sulle transazioni), da una condizione di continua reciprocità degli impegni assunti dalle parti, dalla presenza di accordi impliciti basati su specifiche procedure596. Le motivazioni che spingono le imprese a tali attività vengono identificate in: (a) trasferimento di tecnologia tramite la circolazione delle informazioni; (b) complementarità tecnologiche; (c) creazione di economie di scala; (d) compartecipazione al rischio. I vantaggi, con specifico riferimento alla gestione dei servizi pubblici, sono riconducibili ad un miglioramento della qualità dei servizi erogati, del grado di soddisfazione degli utenti, la riduzione di alcune categorie di costi, un miglioramento delle capacità organizzative e valorizzazione delle risorse umane, oltre che un 593 Cfr. M.A. Massei, 1992, op. cit., pp. 228 e segg. Cfr. S. Vaccà, A. Zanfei, 1989, L'impresa globale come sistema aperto di rapporti di coalizione, in Economia e Politica Industriale, n. 64, p. 12. 595 Cfr. E. Cavalieri, 1995, op. cit., pp. 408 e segg. 596 Le iniziative di cooperazione, continua l’autore, creano tipicamente valore mediante processi di integrazione verticale (portando la “catena del valore” ad un risultato più competitivo) ed orizzontale (unendo forze tra loro complementari). 594 generale innalzamento della capacità competitiva e dell’incisività dell’intervento597; sul piano strettamente economico la ricerca dei vantaggi verte sul perseguimento, come appena detto, non solo di economie di scala (legate alla dimensione), ma anche di raggio d’azione (legate alla sinergia) e di transazione (correlate alla riduzione di costi di gestione dell’interdipendenza)598. Le forme contrattuali della cooperazione, con generale riferimento alle imprese, possono essere classificate in base al grado di complessità contrattuale599, come nelle figura 4.2 s. Complessità contrattuale Forme degli accordi Meccanismi di tipo standard Realizzazione di componenti o progetti Accordi di sviluppo Forme di “equity” comportanti modificazioni sella struttura azionaria Trascurabile Bassa Media Elevata Figura 4.2 s: Matrice forme/contenuti degli accordi interaziendali. (Fonte, E. Cavalieri, 1995, p.411) E’ ormai unanimemente accettato, poi, che per il radicamento della realtà in cui operano, le aziende non profit rappresentano uno degli attori privilegiati degli enti locali nella collaborazione per la gestione dei servizi socio-assistenziali e socio- 597 Questi vantaggi assumono rilievo significativo per enti che si trovano a dover gestire una difficile fase di transizione verso condizioni di maggiore competitività a fronte di evidenti carenze sul piano strutturale, mentre si creano criticità per enti di piccole dimensioni, in cui c’è maggiore radicamento storico e culturale delle istituzioni pubbliche locali, differenziazione socio-culturale ed economica anche tra aree limitrofe, nonché la presenza di aree a bassa densità abitativa; eterogeneità delle situazioni politiche, scarsa apertura all’esterno e logiche burocratiche. Cfr. G. Valotti, 2000, op. cit., p. 112. 598 Cfr. G. Airoldi, G. Brunetti, V. Coda, 1994, op. cit., pp. 380-385. 599 Cavalieri propone quattro forme: meccanismi di tipo standard, realizzazione di componenti o progetti, accordi di sviluppo, forme di equity. Con meccanismi di tipo standard si intendono accordi soggetti a bassa incertezza e a meccanismi di governo tipo standard, di breve orizzonte temporale; la seconda forma prevede la realizzazione di un determinato compito a fronte di specifiche tecniche, comportando investimenti specifici e problemi di free-riding; gli accordi di sviluppo prevedono ad oggetto la valutazione di input materiali ed immateriali necessari per la realizzazione della nuova attività e la necessità di predisporre una certa flessibilità contrattuale per far fronte a gap tra risultati ed aspettative dei partner, come ai mutamenti ambientali; per forme di equity si intendono le partecipazioni azionarie, minoritarie o paritetiche, o le joint ventures, che comportano la modifica della struttura azionaria dei partner o una partecipazione congiunta nella nuova società. Cfr. E. Cavalieri, 1995, op. cit., p. 411. sanitari600, aprendo così un dibattito sul problema di quale funzione debba essergli riconosciuta e di “quale partnership” (ossia, quali strumenti di realizzazione di questa) debba costruirsi tra i due attori601. Lo sviluppo di questa modalità è ritenuta una strategia centrale per la gestione e l’innovazione delle politiche sociali, in aggiunta al lavoro a rete602. Il concetto che di volta in volta il termine partnership esprime, tuttavia, appare non sempre chiaro: prima di analizzare gli strumenti attraverso cui si realizza, quindi, pare opportuno ricorrere a delle precisazioni. Tale nozione, di stampo anglosassone, deriva, sul piano teorico-concettuale, dal concetto di collaborazione, contrapposto o mitigante quello di scambio e competizione, espressi in apertura di capitolo603. La netta dicotomia competizione-collaborazione, applicata alla realtà, perde gran parte dei confini, non potendo distinguere univocamente logiche competitive o collaborative negli strumenti di uso comune. Gli enti titolari di funzioni pubbliche, infatti, possono agire principalmente in due modi, nel relazionarsi con i soggetti non profit604: • affidare lo svolgimento di servizi mediante convenzioni o altre forme contrattuali (come esaminato nelle sezioni precedenti); 600 Cfr. A. Matacena, C. Travaglini, 1995, L'evoluzione della presenza del volontariato nelle imprese cooperative sociali, in Lepri S. (a cura di), Il volontariato nelle cooperative sociali, Centro studi CGM, Brescia, p. 78. 601 Cfr. A. Battistella, 2000, I problemi aperti dell'interazione pubblico - non profit, in Prospettive Sociali e Sanitarie n. 15-16, p.2 602 Cfr. capitolo precedente. 603 Sembra quindi utile sintetizzare brevemente i contenuti di tali nozioni. La competizione si basa sul meccanismo dello scambio monetario (prestazione contro prezzo) e sulle condizioni accessorie che definiscono il prezzo, oppure la nascita di un credito. Questo meccanismo crea molteplici relazioni con gli attori esterni (rapporti di fornitura, di prestito, di assicurazione), le cui dinamiche interrelate influenzano l’economicità dell’azienda. Quando gli scambi diventano abbastanza omogenei per frequenza e stabilità di comportamenti tra le aziende, si creano i mercati. La collaborazione, considerata dalla dottrina economico-aziendale, come strumento di sopravvivenza per l’acquisizione di capacità progettuali e gestionali, per contrastare le complessità ambientali, si basa sulla condivisione di fini non contrapposti (come nella definizione del prezzo e delle condizioni della transazione), seppur eterogenei, ma convergenti o addirittura comuni, e di competenze complementari, cui si deve fornire l’esistenza di condizioni ambientali e la capacità relazionale che la consolidino. Le relazioni di cooperazione, poi, possono mitigare gli effetti deleteri della competizione, dando vita a ad un approccio di “competizione collaborativa”. 604 Cfr. G. Rebora, 1997, Le organizzazioni non profit, in Rebora G., Lazzarotti V., De Mattè C. (a cura di), Letture e casi di economia aziendale: aa. 1997-1998, A. Guerini, Milano, pp. 214-215. • porre in atto condizioni che facilitino la formazione e diffusione di tali aziende e ne consentano la partecipazione attiva ai processi di elaborazione delle politiche pubbliche, collaborando con i centri di gestione dei servizi. Secondo la dicotomia sopra esposta, il primo punto sarebbe da ascrivere alla logica competitiva, mentre il secondo a quella collaborativa. Nella realtà, queste due modalità si possono sintetizzare in un passaggio da una competizione tra soggetti ad una competizione tra programmi e progetti integrati di intervento, in cui il compito principale del soggetto pubblico (in particolare Stato e Regione), anche alla luce della legge di riforma dei servizi sociali, è quello di definire i ruoli e le risorse e assicurare sussidiarietà orizzontale (tra i programmi) e verticale (tra livelli di governo), mentre quello dei soggetti erogatori (Comuni, ma sempre in misura crescente, soggetti non profit affidatari) è quello di collaborare attraverso un rapporto di partnership. Possiamo assumere una definizione di partnership, in modo chiaro, seppur non esaustivo, come una modalità di rapporto significativo e rilevante tra due o più soggetti in vista di una finalità comune605, rapporto che riesca a generare sviluppo. Il concetto è centrato su una dimensione relazionale e progettuale606, superando la logica di supremazia del pubblico sul privato, entrando in una logica di concertazione tra pari607. Se sul piano teorico-concettuale si può, con qualche sforzo, tentare di definire il contenuto di questo tipo di rapporto, sul piano strategico-operativo la definizione degli strumenti di attuazione di questo incontra maggiori difficoltà. Valotti608 propone tre distinte alternative per lo sviluppo di forme di cooperazione negli Enti Locali: (a) la soluzione “istituzionale”, ossia fusione ed accorpamento di enti pubblici; 605 Cfr. M. Finizio, 1998, La partnership tra cooperative sociali e pubblica amministrazione: quali concetti e quali ruoli, in Impresa Sociale, n. 39, pp. 29-30. 606 I rapporti tra partner si fonderebbero sull’azione orizzontale, sulla cultura comune, la condivisione di valori ed obiettivi, come co-progettazione fondata sulla percezione delle diversità. Cfr. C. Giordano, M. Misino, 1998, Gestione manageriale e sviluppo per progetti, Liguori, Napoli, p. 241. 607 Cfr. M. Merana, 1997, Garanzie reciproche tra terzo settore ed enti locali, in Animazione Sociale, n. 12, p. 64. 608 Cfr. G. Valotti, 2000, op. cit., p.114. (b) la soluzione “contrattuale”, con accordi, convenzioni, programmazione congiunta e negoziata (patti territoriali; contratti di area, accordi e contratti di programma), attraverso cui si possono coinvolgere altri soggetti privati; (c) la soluzione “mista”, ottenuta combinando strumenti di natura istituzionale e contrattuale, con eventuale creazione di organismo sovracomunali ad hoc, come accade per le aziende sociali. Queste forme, fatta eccezione al punto (a), sono alla base del coinvolgimento delle aziende non profit nella fornitura di servizi. Come detto in apertura di capitolo, le difficoltà nel definire il contenuto del termine partnership derivano dall’impossibilità di elencare esaustivamente tutte le modalità di collaborazione, essendo questa fattispecie aperta; in aggiunta, nel linguaggio comune si tende ad associare il termine partnership a qualsiasi forma di coinvolgimento di soggetti terzi da parte della P.A., dall’esternalizzazione di servizi accessori alla gestione caratteristica, fino alla costituzione di società miste609. Gli strumenti cui si fa più spesso riferimento, sinteticamente, sono: contratti di affidamento, concessioni e appalti d’opera; convenzioni e appalti di servizi; S.p.A. miste e consorzi; strumenti di programmazione negoziata610: accordi di programma611 ecc. Scopo della presente sezione è di chiarire, consci delle approssimazioni necessarie e delle difficoltà concettuali, quali di questi strumenti possano conseguire gli obiettivi propri di questa modalità e che quindi vengono usati in senso proprio, e quali no, e in questo caso, quale sarebbe il concetto più vicino, secondo la definizione di partnership esposta, riassumibile in due caratteristiche essenziali: 609 Queste considerazioni nascono in conseguenza dei temi trattati nel convegno “Partnership pubblico-privato per i servizi alle amministrazioni”, tenutosi il 9 Maggio 2003 al Forum P.A., i cui atti sono in via di trascrizione. Nel convegno, sotto la stessa dizione di partnership, si sono toccati gli argomenti dei modelli contrattuali di appalto d’opera, di outsourcing di servizi di supporto, di global service, di scelta del socio privato nelle S.p.A. miste, di esternalizzazione di attività “core”, di riorganizzazione aziendale a rete degli enti locali. 610 Con questo termine si intende una serie di strumenti che perseguono forme di cooperazione tra istituzioni pubbliche di diverso livello e tra istituzioni pubbliche e soggetti privati, secondo prassi concertative tra le parti sociali ed economiche, con approccio bottom up, mediante il quale il livello locale disegna l’intervento e ne chiede il sostegno all’amministrazione pubblica competente al finanziamento. Cfr. C. Cuccurullo, 1999, Innovazione e sviluppo locale: prospettive dall'esperienza italiana, in Meneguzzo M. (a cura di), Managerialità, innovazione e governance. La PA verso il 2000, Aracne, Roma, p. 265 e segg. 611 E’ questo lo strumento contrattuale attraverso cui vengono adottati i piani sociali di zona ex L. 328/00 (redatti congiuntamente con gli attori non profit) e i piani per l’infanzia ex L. 285/97. • finalità comuni e logica progettuale per sviluppo comune; • concertazione paritaria tra gli attori. Non volendo entrare troppo nello specifico dei singoli strumenti, per non far perdere lo scopo dell’analisi, si propone la figura 4.2 t612, che, a seconda dello strumento giuridico tenta di accostare una definizione teorico-concettuale e ricondurla ai due paradigmi dello scambio e della collaborazione. partnership partnership S.p.A. e Consorzi misti esternalizza zione Program.ne negoziata e Accordi di programma esternalizza zione Contratti Convenzione e Appalti d’opera Appalto di Concessioni servizi esternalizza zione Definizione teoricoconcettuale Gestione in economia Produzione diretta Strumenti giuridici No No No Si Si Si No No No* 613 No Si Si finalità comuni e logica progettuale di sviluppo comune; concertazione paritaria tra gli attori Definizione dottrinale di scambio scambio collaborazione collaborazione scambio/collab orazione Uso comune del partnership partnership partnership partnership termine Figura 4.2 t: quadro d'insieme delle diverse accezioni di partnership. (Elaborazione propria) L’effettiva valutazione di convenienza in merito allo sviluppo di forme di cooperazione, secondo alcuni autori, infine, non può prescindere dalla combinazione di diversi criteri: di ordine strategico, come più volte ripetuto (coerenza tra disegno di medio-lungo termine ed evoluzione del ruolo e funzioni dell’ente); di ordine economico (riduzione dei costi nel breve e equilibrio economico-finanziario nel medio-lungo termine); di ordina politico-sociale (mantenimento della capacità di 612 Occorre precisare che lo strumento della gestione in economia viene proposto solo come termine di paragone, non rientrando, ovviamente affatto nel concetto di partnership. 613 Sulla base delle analisi contenute nelle sezioni precedenti, si individuano alcuni “spiragli” per una embrionale collaborazione tra pubblico e non profit. Questa riguarda la potenzialità degli strumenti dell’appalto concorso e, nei casi di servizi innovativi e altamente specializzati, della convenzione, che possono coinvolgere maggiormente le ANP nelle fasi progettuali. tutela degli interessi); di impatto sull’offerta di servizi (maggiori prestazioni o di maggiore qualità) e di ordine organizzativo (creazione di opportunità professionale ed ambiti di lavoro più qualificanti per i dipendenti)614, ma soprattutto dalla ricerca di elementi innovativi di gestione e dalle capacità progettuali e realizzative tipiche del non profit. 4.3 Prime conclusioni: i problemi aperti dell’interazione pubblico-non profit Il dibattito sul significato del ricorso ai soggetti non profit di tipo produttivo per l’erogazione di servizi socio-assistenziali e socio-sanitari è stato incentrato prevalentemente su due temi: quale ruolo questi soggetti debbano assumere nella realizzazione delle politiche sociali, e con quali strumenti e procedure si possa garantire la qualità dei servizi esternalizzati. Rispetto al primo argomento il confronto si inquadra sul riconoscimento in capo alle aziende non profit della “contitolarità” dei servizi, al pari degli enti pubblici, dibattito caratterizzato da notevole ambiguità, soprattutto sul significato della “titolarità”, potendo essere intesa secondo la sussidiarietà, oppure come “in alternativa”, nel tentativo di creare mercati dei servizi sociali in cui i cittadini possano esercitare il proprio diritto di scelta. Questo potrebbe portare ad incongruenze normative sugli strumenti appena descritti (si pensi agli appalti), e sulla stessa logica di gestione dei beni collettivi della P.A. La definizione degli strumenti giuridici per l’affidamento dei servizi, secondo punto, è fondamentale per gli aspetti sopra considerati, poiché permette un passo importante verso la costruzione di un nuovo sistema di relazioni tra pubblico e non profit, garantendo la tutela di soggetti che più degli altri sono orientati ad offrire servizi di qualità, ed esplicitamente promossi dalla legge quadro 328/00. Il miglioramento di questi strumenti dovrebbe essere guidato dalla consapevolezza che ogni scelta sia rivolta alla ricerca di maggiori prestazioni qualitative ed efficacia nei servizi, e che la riduzione dei costi non può essere perseguita con la riduzione del costo del singolo servizio, ma con altre strategie, quali l’integrazione, lo sviluppo di reti si aiuto-aiuto, 614 Cfr. G. Valotti, 2000, op. cit., p. 117. la compartecipazione al costo delle prestazioni, con i buoni servizio, con l’introduzione di case-manager e così via615. Con il nuovo assetto dei servizi sociali, come precedentemente affermato (con riferimento alla legge 328/00 ed altre prima di questa, si pensi al processo di riforma delle autonomie locali, oppure alla legge fiscale sul non profit L. 460/97), sono stati introdotti strumenti (teoricamente) efficienti per la gestione (delle relazioni per il coinvolgimento del non profit e) dei servizi socio-assistenziali e socio-sanitari; la loro efficacia nel far ciò, tuttavia, si ritiene passi attraverso la corretta applicazione di questi ed attraverso la capacità di curare gli aspetti (minimi, ma) maggiormente problematici espressi in questo capitolo, capacità stimolata, a modesta opinione, più dallo spirito di carpire l’opportunità, che non di perpetrare pedissequamente l’adempimento. La corretta applicazione dello strumento dell’esternalizzazione passa attraverso l’accesso delle ANP alla co-progettazione dei servizi e attraverso l’incentivazione della progettualità dei privati ed il confronto tra questi in sede di gara; prima di questo, tuttavia, i correlati processi di convenzionamento ed appalto devono essere migliorati nella fase di selezione dei contraenti attraverso la migliore definizione dei criteri di aggiudicazione, improntati non al prezzo minimo, bensì alla vantaggiosità (per prezzo, ma anche per qualità) dell’offerta complessiva, al fine di valorizzare l’apporto delle ANP, e non di comprometterne l’operatività o di favorire legami particolaristici per “inerzia amministrativa”. Pur rimanendo questa la forma prevalente di affidamento a terzi, nuove prospettive, come detto, si aprono con i mercati amministrati, fronte sul quale le ANP riescono a garantire un effettivo matching tra domanda ed offerta: il corretto uso di questo passa attraverso la “cultura dell’accreditamento” per stimolare la ricerca continua della qualità e continuità dei rapporti con l’Amministrazione ed i cittadini, ossia dalla “specializzazione” del sistema rispetto alla tradizionale e “conservativa”convenzione e all’autorizzazione. L’azienda sociale è un’importante opzione per la snellezza gestionale e flessibilità degli interventi per gli Enti Locali responsabili dei servizi socio-assistenziali, nella misura in cui si riescono a leggere le peculiarità della situazione locale e a “rifletterle” nell’architettura interna, soprattutto nell’istaurazione dei rapporti con il 615 Cfr. A. Battistella, 2000, op. cit.. non profit, fattore che consente a questo di essere veramente incisivo e non “imbrigliato” nella burocrazia e all’amministrazione di garantire accettabili livelli di spesa e di oneri (diretti, la spesa pro-capite, e indiretti, la qualità del servizio) per i cittadini. La correttezza di applicazione degli strumenti appena descritti può essere riassunta, poi, attraverso l’orientamento generale alla partnership tra P.A. e aziende non profit, definita però non come tutta una serie più o meno articolata di atti attraverso cui l’ente pubblico “si accaparra” servizi operando in supremazia, bensì come tutte quelle modalità in cui entrambi gli attori riescono a perseguire, attraverso una logica di sviluppo progettuale comune, comuni finalità in un clima di paritaria concertazione, ossia “tra pari”. Tale approccio riesce ad incorporare nel rapporto quel “qualcosa in più” (apportato soprattutto dalle ANP, che non si sentirebbero più un mero strumento), forse individuabile nella percezione degli effettivi benefici alla “crescita” (alternativamente nella positività della somma dell’esito del gioco), che la distingue dall’esternalizzazione e dal semplice scambio di mercato. I temi più “caldi”, tuttavia, restano quelli relativi non agli strumenti, bensì all’ambiente “culturale” generale che caratterizza il rapporto pubblico-non profit. A supporto di tale affermazione, sembra efficace riportare i risultati di una rilevazione empirica, con oggetto le percezioni sia di personale operante nelle organizzazioni non profit che di funzionari della Pubblica Amministrazione responsabili delle relazioni e delle politiche in collaborazione con questi soggetti616. Dalle interviste, in estrema sintesi, emergono nette discordanze di opinioni e comportamenti tra due soggetti chiamati ad intervenire “braccio a braccio” sui bisogni sociali, ma che sembra abbiano subito percorsi di crescita culturale e di linguaggio divergenti. Sui temi delle logiche di collaborazione617, dell’autonomia e 616 L’indagine è stata realizzata in Trentino Alto Adige, Veneto, Friuli e Lombardia nel 1995. Cfr. L. Fazzi, 1996, La privatizzazione dei servizi socio assistenziali in Italia: i primi effetti di una riforma "ibrida", in Rivista Trimestrale di Scienza dell'Amministrazione, n. 1, pp. 60 e segg. 617 Il primo tema toccato dalle interviste è stato quello delle logiche di collaborazione, che vedeva concordi sia soggetti pubblici che privati, sull’obbligatorietà del “passo”, ma non in vista della bontà finale del prodotto, per l’emergenza di determinate problematiche, e quindi temporaneo, provvisorio ed occasionale. Le motivazioni si sono però rilevate divergenti: per l’incapacità culturale e progettuale della P.A. e per l’”effetto calamita” dei finanziamenti sulle ANP, che vivono il rapporto con i soggetti pubblici in modo fortemente contraddittorio. supervisione618, della contrattazione619 e delle strategie per affrontarla620, infatti, si riscontrano orientamenti differenti da cui originano le “resistenze” al cambiamento. A conclusione dello studio, la soluzione proposta dagli autori è una serie di strategie per modificare i frameworks culturali che costituiscono l’origine delle difficoltà di collaborazione efficace ed efficiente tra i due soggetti. Le azioni sul settore pubblico, e sul non profit per la “convergenza” sono riassunte nella figura 4.3 a. L’analisi empirica proposta (e le relative azioni correttive) risale al 1995. A quasi otto anni di distanza, pur trovando generale condivisione, non pochi dei problemi allora considerati “aperti” rimangono ancora tali: la “istituzionalizzazione” del ruolo di questo, soprattutto, tema discusso nei capitoli precedenti, come “produttore” di servizi, (oggetto del disegno di legge sull’impresa sociale e dei tentativi di riforma della disciplina giuridica generale del terzo settore, al fine di darne maggiore centralità e legittimazione); quello della partecipazione delle ANP nei processi decisionali pubblici, correlato al tema precedente, per una coerente attuazione del principio di sussidiarietà; quello delle agevolazioni fiscali come “motore” 618 La diversità di opinioni caratterizza anche il secondo tema trattato, ossia il significato di autonomia e supervisione. Secondo Fazzi, solo se questi due termini vengono accettati e valorizzati con complementarità di intenti e procedure, sono in grado di spiegare le potenzialità connesse ad una interazione tra soggetti pubblici e non profit. Per i soggetti pubblici il primo termine ha il significato di “sapersela cavare”, di “risolvere i problemi da soli”, potendo questo significare che l’autonomia del non profit viene vista come il non ulteriore aggravio degli oneri amministrativi; per il terzo settore, al contrario, il termine si abbina a flessibilità, non interferenza nelle scelte strategiche, riduzione dei controlli burocratici e snellimento delle procedure amministrative. Analoghe contraddizioni anche per il termine supervisione: controllo formale (non sulle prestazioni) per i primi, creare le condizioni più favorevoli allo svolgimento dei propri compiti per i secondi. Tutto questo mette in luce la distanza tra le due mentalità e l’estraneità degli uni ai problemi degli altri. 619 La terza sezione concerneva il tema dei sistemi di contrattazione, come i contratti di convenzione. Funzionari pubblici accolgono favorevolmente questi strumenti, vedendo in loro un segnale positivo di chiarificazione dei rapporti reciproci ed un argine alle pretese economiche delle agenzie non profit, che senza un minimo criterio di rendicontazione dei costi sfuggirebbero totalmente al controllo amministrativo. Si dimostrano scettici i soggetti non profit, soprattutto per il ruolo di valorizzazione delle sinergie pubblico-privato, rimanendo secondari gli aspetti qualitativi a confronto con il vincolo di bilancio degli enti pubblici. I contratti vengono visti, sì, come principi cui attenersi, ma solo in linea di massima; la “dominanza” degli enti pubblici influisce però sui processi decisionali delle aziende non profit, che sentono di doversi adattare ai primi, e non viceversa. L’autore, per descrivere questo fenomeno, usa il termine di “colonizzazione culturale”. 620 Successivamente è stato sottoposto il tema delle strategie da adottare per stringere rapporti contrattuali. I soggetti pubblici si basano innanzitutto su rapporti fiduciari, come difesa dagli oneri di ricerca di partner efficaci ed efficienti, creando così barriere all’entrata. I dirigenti e coordinatori di aziende non profit, invece, sembrano preferire rapporti informali per conoscere le preferenze dei decisori pubblici, al fine di proporre progetti “appetibili” sul piano delle preferenze e disponibilità pubbliche. Nello studio si assimila questo rapporto come “il suggello di un patto con il quale in cambio di risorse […] non […] recuperabili da altre fonti si rinuncia a quello scostamento rispetto ai disegni della razionalità politico-amministrativa”. dell’autonomia dalla P.A. ed infine la capacità di controllo dell’Amministrazione Pubblica e rendicontazione delle ANP, come base per una cultura della responsabilità e del “rendere conto”. Azioni di modificazione dei frameworks culturali Sul settore pubblico • Sul non profit adottare una “soluzione statutaria” del settore • favorire la partecipazione ai processi decisionali non profit, sancendo formalmente il ruolo e pubblici, per sradicare la convinzione che il settore l’autonomia di questo, come cornice all’interno pubblico del quale siano privilegiati il confronto, il strumentalizzazione del non profit; dibattito, la mediazione; • • • • sempre pronto alla formare la dirigenza di questi soggetti per riorganizzare gli uffici pubblici in funzione di un aumentarne l’autonomia imprenditoriale, come coordinamento complessivo e di una maggiore autoconsapevolezza delle proprie risorse; armonicizzazione concedere maggiori di progetti e piani di • agevolazioni fiscali per intervento; allentare Razionalizzare le procedure di affidamento alle finanziamenti pubblici e premiare l’introduzione agenzie non profit, per non burocratizzare anche di migliori sistemi di rendicontazione su cui queste; scegliere i soggetti più meritevoli in base alla rinforzare i controlli sull’operato delle ANP, per trasparenza nella spesa del denaro pubblico; sviluppare una cultura della responsabilità; • sia • il “cordone ombelicale” dei aderire non solo alle preferenze pubbliche, ma contrastare la cultura di tipo tecnico-giuridico dei anche funzionari pubblici e formare i politici (per il sviluppando sistemi di mercati amministrati o veri ruolo di decisori che ricoprono) sul confronto e propri mercati dei servizi sociali; con il non profit. • a quelle private dei consumatori, creare maggiore fiducia con la realizzazione di fondi per l’avviamento di nuove iniziative e l’abbattimento di barriere all’entrata. Figura 4.3 a: azioni di modificazione dei frameworks culturali di pubblica amministrazione e non profit. (Elaborazione propria). La definizione di questi elementi (istituzionalizzazione, ossia “pari dignità”; presenza nei processi decisionali, ossia partecipazione; minor condizionamenti finanziari, ossia autonomia, seppur bilanciati dal controllo per la pubblicità dei fini, ossia la condivisione di responsabilità) potrebbe segnare il compimento del passaggio dei rapporti tra aziende non profit dallo scambio alla collaborazione. Una semplice spiegazione del vantaggio può essere ancora data con la teoria dei giochi, nel caso di giochi ripetuti tendenzialmente all’infinito: la strategia di cooperazione è quella che massimizza i payoffs dei concorrenti. 5. La rendicontazione nelle aziende non profit Molti dei “temi caldi” del rapporto tra sfera pubblica e non profit, in esplicito riferimento a quanto detto a termine del precedente capitolo (quali la “istituzionalizzazione” del ruolo produttivo di quest’ultimo; quello della partecipazione delle ANP nei processi decisionali pubblici per una coerente attuazione del principio di sussidiarietà; quello delle agevolazioni fiscali come “motore” dell’autonomia dalla P.A. ed infine la possibilità di un controllo efficiente dell’Amministrazione Pubblica), possono avere come filo conduttore la necessità dello sviluppo di regole e strumenti di rendicontazione nelle ANP, come base per una cultura della responsabilità e del “rendere conto”. Tale capacità di rispondere alle istanze degli interlocutori aziendali permette infatti di provare la solidità dell’operato e del perseguimento della missione di un’azienda non profit (legittimando un ruolo produttivo e d’interlocutore della P.A. nel perseguimento dell’interesse pubblico), di documentare la capacità di far fronte durevolmente alle condizioni di sopravvivenza e crescita nel tempo (per la detta “istituzionalizzazione”), e di uscire quindi dall’autoreferenzialità (permettendo la continua verificabilità di quanto appena detto da parte degli stakeholder), legittimando, e potendo costatarne le basi, l’attribuzione di vantaggi (fiscali e normativi) rispetto alle imprese lucrative. Anche per le realtà non profit, in quanto aziende, inoltre, emerge l’importanza di ricorrere ad adeguati strumenti informativi che possano costituire un valido supporto sia per orientare le scelte gestionali (configurando una dimensione strumentale di questi) mezzi, sia per verificare il successo nel perseguimento delle finalità sociali (dimensione finalistica). Il sistema informativo e la rendicontazione in generale dovrebbero quindi garantire, in accordo con quanto sostenuto da numerosi autori621, da un lato, un’informazione 621 Ne citiamo solo alcuni: cfr. G. Marcon, M. Thieghi, 2000, Sistema informativo e misurazioni economiche nelle aziende non profit, in A. Zangrandi (a cura di), Aziende non profit. Le condizioni di sviluppo, Egea, Milano; A. Pavan, E. Mulas, 2000, Strumenti contabili per il governo e lo sviluppo interna, in grado di favorire un adeguato controllo dell’equilibrio economicofinanziario e della mission, e dall’altro, un’informativa esterna, che sappia dare conto alla collettività dell’uso delle risorse (materiali ed immateriali, “economiche” o altruistiche) che quest’ultima mette a disposizione delle ANP. Considerata l’eterogeneità che caratterizza il settore non profit, gli aspetti che maggiormente influenzano la rendicontazione ed il sistema informativo sono strettamente legati alla particolare finalità assunta. Tra questi si possono citare: • la necessità di individuare specifici parametri per il controllo dei risultati gestionali (vista la minore rilevanza del profitto, cfr. par. 2.4) e istituzionali che impattano sulla sfera del “sociale”; • l’assenza di una netta distinzione tra la fase di creazione della ricchezza e quella della sua distribuzione, in quanto questa tende ad essere distribuita nel momento stesso in cui viene generata; • un prezzo (eventuale, peraltro) del servizio o bel bene fornito che non può essere considerato espressivo del risultato economico della gestione, poiché fortemente influenzato da aspetti sociali622. In tale contesto, considerata l’assenza di una precisa finalità collegata alla massimizzazione del risultato economico, la scarsa incisività dei meccanismi di controllo del mercato e la presenza di risorse disponibili gratuitamente, sussiste il forte rischio di una scarsa attenzione verso la massimizzazione del valore economico creato rispetto al capitale investito, la riduzione dei costi operativi e l’efficiente utilizzo delle risorse disponibili; per contro, non si dovrebbe pervenire allo sperpero di tali risorse. Le prevalenti finalità di tipo non strettamente economico non sono infatti, di per se stesse, in grado di assicurare la sopravvivenza nel tempo di delle aziende non profit, in Manfredi F., Zangrandi A. (a cura di), Aziende non profit. Dall'eterogeneità all'economicità, Egea, Milano; M. Andreaus, 1996 a, Le aziende non profit: circuiti gestionali, sistema informativo, bilancio d'esercizio, Giuffrè, Milano; A. Propersi, 1999, Le aziende non profit: i caratteri, la gestione, il controllo, Etas Libri, Milano. 622 L’attività economica, nondimeno, appare caratterizzata dalla disponibilità e dall’impiego di risorse umane e finanziarie senza vincolo di remunerazione monetaria; per le ANP, accanto ad una missione di natura etica e sociale, è possibile individuare molteplici obiettivi, espliciti o impliciti, che si integrano in forme diverse con quelli dell’organizzazione e che sono legati alle diverse categorie di stakeholder che partecipano direttamente o indirettamente alla gestione in qualità di finanziatori (che non si aspettano e non pretendono una remunerazione monetaria delle risorse apportate), sostenitori o associati (che prestano la loro opera gratuitamente, con motivazioni di autorealizzazione, appartenenza, di immagine e soddisfazione ecc. Cfr. A. Pavan, E. Mulas, 2000, op. cit., pp. 57-58. un’organizzazione, in mancanza di un corretto rapporto tra ricchezza impiegata e risultati conseguiti623. Tenuto conto di ciò, il sistema informativo, oltre che permettere la redazione dei tradizionali strumenti contabili, dovrebbe permettere l’applicazione di particolari criteri di analisi in relazione alle differenze tra le varie realtà non profit, sia in termini di definizione normativa, che di mission; dovrebbe inoltre caratterizzarsi per la disponibilità di informazioni e dati analitici ulteriori, onde agevolare la redazione di un rendiconto “istituzionale”, ovvero di un documento qualitativo e quantitativo in grado di riassumere, anche attraverso una serie sistematica di opportuni indicatori, i risultati sociali raggiunti dalla gestione. Il sistema informativo e gli strumenti di rendicontazione aziendali devono dunque risultare strumenti modellati sul fabbisogno informativo che caratterizza un data azienda, e, secondo Matacena624, deve essere creata coerenza tra tali strumenti e le finalità istituzionali perseguite (la mission), le strategie d’intervento e la struttura organizzativa; questo “modellamento” risulta nelle ANP maggiormente difficoltoso rispetto alle for profit, poiché per le prime assai meno omogenei appaiono gli obiettivi finalizzanti l’azienda625. Sono poi le finalità istituzionali perseguite dalla singola ANP a determinare gran parte del fabbisogno informativo specifico, ferma restando l’esigenza di adeguata informazione sulle dinamiche economiche e finanziarie della gestione e sulla composizione del patrimonio aziendale. 623 L’assenza del profitto quale principale finalità non deve essere vista come mancanza di un finalismo economico: l’applicazione di criteri e principi di razionalità economica prescinde infatti dalle motivazioni specifiche alla base della costituzione dell’istituto economico, rappresentando, viceversa, la condizione indispensabile e strumentale per il raggiungimento delle proprie finalità. Cfr. A. Pavan, E. Mulas, 2000, op. cit., p. 58. 624 Cfr. A. Matacena, 1998, Un sistema informativo logico per gli attori del terzo settore in Italia. Atti del convegno: Quale futuro per il Terzo Settore, in Nonprofit, n. 4, p. 9. 625 In altri termini, posta la strumentalità dell’azienda rispetto alle finalità perseguite attraverso la medesima, si può osservare che nelle aziende for profit la strumentalità si concretizza nell’obiettivo operativo di realizzare un aumento del valore economico da distribuire tra coloro che determinano/governano/guidano l’attività e si assumono il rischio della sua incertezza. Per le aziende non profit, invece, la strumentalità si concretizza con l’obiettivo operativo di aumentare l’utilità per determinati gruppi di soggetti tramite la distribuzione del valore contestualmente alla sua creazione. Ciò è peraltro reso evidente dalla diversa e più complessa nozione di equilibrio dinamico per le ANP, inteso, alla luce delle considerazioni svolte nel cap. 2 del presente lavoro, non come obiettivo cui tendere, ma come condizione per l’efficace perseguimento della mission istituzionale., Cfr. E. Borgonovi, 1994, Dalla storicizzazione dei fini e dalla flessibilità dei mezzi. Il contributo delle aziende non profit al progresso economico e sociale, in Aa.Vv. - AIDEA., L'elasticità dell'azienda di fronte al cambiamento, CLUEB, Bologna, p. 203. Alla luce delle considerazioni di carattere economico-aziendale e in conseguenza dell’attenzione dovuta anche e soprattutto agli aspetti etici e sociali, 626 informativo nelle ANP dovrebbe essere più ampio che nelle altre aziende l’obbligo . E’ pertanto possibile esplicitare una prima separazione (in quanto usata implicitamente finora) fra i bisogni informativi, discernendo l’ambito dell’azione “istituzionale” (o “sociale” o “etica”) da quelli relativi agli aspetti finanziari, economici e patrimoniali. Per i primi è possibile affermare una “varietà”, potendo essere questi diversi da azienda ad azienda, ed una “variabilità” nel tempo, secondo le strategie e la struttura organizzativa; i secondi riguardano la necessità di investigare sulla capacità di tendere agli obiettivi istituzionali nel rispetto degli equilibri economico-finanziari, e produrranno varietà e variabilità nel tempo627. Agli strumenti attraverso cui soddisfare il fabbisogno informativo (riassumendo: sia esterno – verso gli interlocutori aziendali –, che interno – per la gestione e la verifica della missione; in ottica sia economico-patrimoniale, che istituzionale) delle ANP è dedicato il presente capitolo. Il primo paragrafo si concentra sulla rendicontazione di tipo economico: le peculiarità gestionali delle aziende non profit richiedono profondi adattamenti alle logiche di interpretazione ed agli schemi di rappresentazione tradizionalmente impiegati per l’analisi dei flussi economici prodotti dai circuiti operativi. Il paragrafo successivo, invece, si incentra sugli aspetti della rendicontazione sociale: l’acquisizione della consapevolezza di una dimensione sociale prevalente su quella economica (in rapporto, la seconda rispetto alla prima, di mezzo a fine) nelle ANP e la sua rilevanza anche in termini di sistema informativo richiede, come detto, che venga valutata la priorità dell’aspetto “istituzionale” rispetto alle tradizionali “misurazioni economiche” degli effetti attesi/prodotti attraverso le operazioni di gestione, se si accetta che “il fondamento del sistema informativo è collegato […] 626 Cfr. G. Marcon, M. Thieghi, 2000, op. cit., p.77-78. Riassumendo, da quanto premesso in relazione alla necessità di soddisfare i fabbisogni informativi, si osserva: (a) l’inefficacia informativa, sotto il profilo istituzionale, di parametri economici, quali il reddito o il risparmio, e finanziari, come l’avanzo od il net cash; (b) l’assenza di indicatori atti a permettere il raffronto tra le performance istituzionali ottenute da ANP diverse, e la conseguente “varietà” degli indicatori; (c) la carenza di singoli indicatori atti ad esprimere in via sintetica il livello di efficacia istituzionale di una data ANP, e la conseguente necessità di ricorrere ad un sistema di indicatori; (d) la necessità di adattamento degli indicatori alle modificazioni dell’assetto strategico od organizzativo e la conseguente “variabilità” degli indicatori stessi. 627 alla sua idoneità a soddisfare le esigenze conoscitive interne ed esterne, con la massima efficacia ed efficienza”628. 5.1 La rendicontazione economica Obiettivo della presente sezione è lo sviluppo e una prima definizione di regole per la rendicontazione economica nelle ANP, volendo proporre criteri e modelli di accountability629 generalmente applicabili ai soggetti del terzo settore. Il sistema informativo aziendale può essere inteso come un insieme coordinato di elementi, quali dati grezzi ed informazioni, risorse umane e tecnologiche tra loro interagenti, che renda disponibile le conoscenze funzionali alla verifica del rispetto del criterio di economicità; tale strumento, giova ripeterlo, dovrà in particolare consentire di tenere sotto controllo l’efficacia delle azioni svolte, l’efficienza nell’utilizzo delle risorse, nonché il grado di raggiungimento delle condizioni di equilibrio economico, finanziario e monetario. Considerando la centralità degli stakeholder che a vario titolo partecipano alla gestione delle aziende non profit, questo deve fornire indicazioni sul livello di soddisfazione di questi e dei beneficiari delle attività svolte (vedi figura 5.1 a). Oggetto del prosieguo del discorso, tuttavia, saranno esclusivamente gli aspetti economico-finanziari. Il perseguimento di tali finalità informative rende da un lato inefficace il ricorso a modelli contabili di tipo finanziario, tipici delle imprese pubbliche; dall’altro, pare inadeguata l’adozione acritica degli strumenti di controllo di immediata derivazione dal mondo delle imprese for profit, date le particolari caratteristiche strutturali delle ANP. Sembra allora opportuno, viceversa, “utilizzare i gradi di libertà disponibili, data l’assenza di normative cogenti, per definire un sistema contabile che dia la 628 Cfr. L. Marchi, 1988, I sistemi informativi aziendali, Giuffrè, Milano. Il termine inglese accountability esprime, meglio dell’italiano rendicontazione, l’attitudine che deve essere condivisa dalle aziende non profit, indipendentemente dal quadro normativo, di informare la pubblica opinione sia sulle modalità di acquisizione ed utilizzo delle risorse, sia riguardo al regolare rispetto degli obblighi civilistici, statuari e tributari, sia rispetto all’efficacia ed all’efficienza dell’amministrazione delle risorse in oggetto per il perseguimento degli scopi istituzionali. Cfr. C. Travaglini, 1999, Lo sviluppo di regole per la rendicontazione per le aziende del terzo settore, in Matacena A. (a cura di), Aziende non profit: scenari e strumenti per il terzo settore, EGEA, Milano, pp. 81 e segg. 629 massima enfasi ai risultati economici, ai consumi di risorse e all’efficacia dell’azione svolta e che costituisca […] un agile strumento che, al prezzo di un contenuto grado di imprecisione, consenta la motivazione, il coinvolgimento ed il controllo di tutti i gruppi nei quali si articola la struttura organizzativa”630. La corretta definizione di un sistema informativo, allora, serve per sviluppare compiutezza ed analiticità nel quadro gestionale delle ANP ed originare una comunicazione aziendale (e quindi un bilancio di esercizio) che sia rappresentazione veritiera e corretta della gestione nel rispetto degli obblighi civilistici e tributari. La definizione di un sistema informativo contabile di un’azienda è poi un momento importante per orientare le procedure di rilevazione, rappresentazione e comunicazione dei fatti aziendali, e per introdurre una particolare interpretazione della rendicontazione e della programmazione e del controllo in quella particolare azienda; come detto in apertura di capitolo, il sistema informativo deve essere definito in base agli obiettivi conoscitivi e deve essere adeguato alle caratteristiche Dimensione econ.-finanziaria Misura e controllo del raggiungimento degli equilibri econ. e fin. della gestione Contabilità generale (partita doppia) e rilevazione di impegni e accertamenti, Bilancio di esercizio Dimensione dell’efficienza Misura e controllo del grado di equilibri efficienza nell’utilizzo delle risorse Contabilità generale integrata in via extracontabile (f.p. “gratuiti”), Indicatori rendimento Sistema informativo Dimensione dell’efficacia Verifica del grado di raggiungimento degli obiettivi primari (etica), di efficienza e di efficacia Budget, Analisi degli scostamenti, Valutazione di impatto Dimensione degli stakeholder Misurare e controllare il soddisfacimento delle attese Analisi di mercato, questionari di customer satisfaction, Indicatori di efficacia e di impatto sociale Figura 5.1 a: obiettivi e strumenti del sistema informativo nelle ANP. (Adattamento da A. Pavan, E. Mulas, 1999, p.60) 630 Cfr. A. Pavan, E. Mulas, 2000, op. cit., p. 59. dell’azienda (mission, governance e strategia) in cui è inserito, mantenendo l’equilibrio tra opposte esigenze di dettaglio e semplicità, nonché di uniformità per tutte le non profit e specificità per le particolari situazioni; non può prescindere, infine, dalla normativa civilistica e tributaria e fornire le informazioni previste per i relativi adempimenti obbligatori. I modelli teorici e pratici sono molteplici e non ancora pienamente condivisi, quindi l’esposizione prescinde dall’avere obiettivi di esaustività e completezza. Prima di presentare i criteri generali per la rendicontazione, appare utile trattare brevemente la regolamentazione del sistema informativo-contabile per le ANP. Tali norme possono essere classificate secondo l’origine civilistica (dipendente dalla forma giuridica dell’organizzazione come definita nel Codice Civile); tributaria (dipendenti dalla configurazione dell’organizzazione e dalle attività poste in essere, per l’imposizione dei redditi ed il loro accertamento); o normative speciali (derivanti dallo status dell’organizzazione). Dalla loro analisi emerge in generale l’assenza (salvo alcune eccezioni quali, ad esempio, le cooperative sociali) di regole predeterminate e di norme generalmente accettate per la formazione ed il contenuto dei bilanci per gli enti non profit complessivamente intesi; non si rileva uniformità di obblighi civilistici631 (peraltro in disposizioni laconiche); le disposizioni tributarie632, 631 La normativa civilistica pone una distinta regolamentazione del sistema informativo-contabile per: (a) associazioni e fondazioni: si prescrive l’obbligo annuale di convocazione dell’assemblea per l’approvazione del bilancio (art. 20, senza peraltro specificare ulteriormente nulla su questo e sulla contabilità); per disposizione statutaria (e non per obbligo informativo) possono trovare spazio norme sulla gestione; (b) comitati per la raccolta pubblica di fondi: si afferma il vincolo di destinazione del patrimonio allo scopo ideale e la responsabilità dei componenti del comitato, senza prevedere forme di rendicontazione, né un sistema informativo ad essa finalizzato (artt. 39 e ss.); (c) cooperative: per effetto della loro condizione di società commerciali, si applica il corpus normativo organico sulla contabilità, bilancio e liquidazione delle società di capitali (art. 2516). 632 La normativa tributaria pone una specifica regolamentazione per: (a) enti non commerciali senza attività commerciale: questi non hanno obblighi contabili a fini tributari; (b) enti non commerciali con attività commerciale: viene imposta contabilità separata per le attività commerciali632 (distinte dalla gestione istituzionale); La distinzione è interpretabile aziendalmente nella necessità di rilevare separatamente operazioni attinenti a circuiti gestionali distinti, dovendo contabilizzare: ricavi e proventi tributariamente commerciali (separatamente da quelli istituzionali) e costi ed oneri tributariamente commerciali (distintamente da quelli istituzionali e promiscui, imputati poi proporzionalmente secondo coefficienti); (c) enti non commerciali associativi (associazioni che svolgono attività politiche, sindacali e di categoria, religiose ed assistenziali, culturali, sportive dilettantistiche ecc., che acquisiscono un particolare status tributario per l’attività di promozione sociale, svolta attraverso la facilitazione alla partecipazione dei soci alle attività, che viene distinta dalla ordinaria cessione di servizi tipici a soggetti che non partecipano alla vita associativa): il godimento delle agevolazioni è subordinato all’obbligo di approvazione di un rendiconto economico e finanziario secondo le disposizioni statutarie (a tutela di coloro che entrano in contatto con l’associazione, soci o meno, non disciplinando, però, le modalità ed i contenuto della contabilità), impongono modesti obblighi informativi (eccetto che per le ONLUS) solo al fine di accordare agevolazioni fiscali e godere di una particolare posizione (quindi con carattere “volontario”), mentre le disposizioni speciali633 sono più orientate verso la funzione di controllo, che di comunicazione. Gli scarsi obblighi variano poi notevolmente a seconda della forma giuridica, dell’attività svolta o dello status dell’organizzazione. Nelle ANP si nota la contemporanea presenza di attività istituzionali tipizzanti e di attività accessorie volte a garantire condizioni produttive e ad acquisire risorse aggiuntive per le stesse attività istituzionali; si ha la compresenza di più livelli e relazioni di scambio (nei confronti di esterni, membri, organismi associativi, ) e, ricordiamo, l’assenza del risultato gestionale come indicatore sintetico di efficace ed efficiente gestione. Da ciò deriva quindi la necessità di valutare i risultati economici delle gestioni parziali ed i connessi indicatori di risultato, oltre al quadro sintetico; si dovrà rendicontare sulla provenienza delle risorse e sulla loro destinazione tra le funzioni in cui può essere suddivisa l’intera attività. Complessivamente, quindi, il sistema dovrà garantire informazioni per634: • la rendicontazione sulla regolarità rispetto alle norme, all’efficacia sugli obiettivi e l’efficienza nell’utilizzo delle risorse; • l’adempimento degli obblighi civilistici, statuari e tributari; affermando un valore autonomo della rendicontazione e sanzionando comportamenti di incompleta trasparenza; (d) cooperative sociali: queste godono, se rispettati determinati oneri (quali il versamento del 3% degli utili, della devoluzione del patrimonio netto di liquidazione ai fondi mutualistici, dell’indistribuibilità delle riserve e della limitata remunerazione del capitale e del prestito sociale), dell’esenzione dall’imposta sui redditi sugli utili accantonati a riserva indivisibile e di una serie di agevolazioni minori sulle imposte dirette ed indirette; (e) le ONLUS: vengono imposti obblighi di scritture contabili e obblighi formali per godere dello status, analizzati in dettaglio nel seguito del presente lavoro; (f) raccolte pubbliche di fondi: intraprese da ONLUS ed enti non commerciali, si definiscono oneri di rendicontazione il cui adempimento è condizione per l’esclusione dei fondi raccolti dall’imposizione tributaria. 633 La normativa speciale riferita alle ANP pone alcune norme specifiche per: (a) organizzazioni di volontariato: si impone l’obbligo di formazione del bilancio (dal quale devono risultare i beni, i contributi e i lasciti ricevuti) e le modalità di approvazione dello stesso bilancio da parte dell’assemblea; (b) organizzazioni non governative: devono redigere i bilanci analitici dell’ultimo triennio, secondo uno schema definito dal Ministero degli Esteri, documentando la regolare tenuta della contabilità. Il sistema informativo contabile è quindi volto a consentire la rendicontazione alla P.A. delle risorse destinate alla cooperazione allo sviluppo; (c) cooperative sociali: essendo società cooperative a tutti gli effetti, si applica la normativa per le società di capitali e quindi un bilancio formato da stato patrimoniale, conto economico e nota integrativa. Cfr. C. Travaglini, 1999, op. cit., pp. 94-101. 634 Cfr. C. Travaglini, 1999, op. cit., pp. 101-102. • la separata evidenziazione di attività e valori derivanti da relazioni di scambio con condivisione istituzionale con membri, da servizi gratuiti verso beneficiari o commerciali verso clienti esterni, dalle attività produttive a quelle erogative; • la verifica delle condizioni di equilibrio economico, finanziario e patrimoniale; • la valutazione dei risultati di gestioni particolari (attività commerciali, manifestazioni, particolari iniziative o servizi); • l’integrazione di dati monetari con indicatori non monetari di attività ed efficacia; • la programmazione, preventivamente, e la rendicontazione ed il controllo, consuntivamente635. Nelle aziende non profit, secondo Travaglini, è poi possibile individuare alcuni criteri generali per la corretta rendicontazione, i quali permettono di definire lo sviluppo di modelli adeguati alle diverse realtà. Seppur di parvenza banale, questi possono essere considerati pre-condizioni di uno schema in un campo in cui non sono stati ancora definiti modelli e regole comunemente accettati; tra i vari principi che l’autore espone, si possono citare: rilevanza ed autonomia della rendicontazione contabile; sistematicità rendicontazione sulla di rilevazione situazione e periodicità complessiva di dell’azienda rendicontazione; non profit; rendicontazione separata dei rapporti con soci e non soci; dichiarazione dei criteri di rendicontazione applicati; verifica indipendente o revisione delle scritture contabili; integrazione dei valori monetari con quelli non monetari; informazione dei compensi monetari e non, erogati ad amministratori; completezza dell’informazione636. 635 Secondo Tieghi, inoltre, oltre che coerente con le strategie e la governance dell’azienda, il sistema informativo dovrebbe essere anche: (a) proporzionato alle esigenze e alle effettive disponibilità delle risorse; (b) modulare, consentendo una eventuale realizzazione progressiva; integrato, per ricercare le massime sinergie fra i singoli sottosistemi che lo compongono; (c) flessibile, in modo da adattarsi all’evoluzione delle attività gestionali o della struttura organizzativa; automatizzato, per sfruttare le opportunità delle tecnologie informatiche; (d) caratterizzato da un’architettura lineare, così da esplicitare chiaramente i rapporti di interconnessione tra i diversi moduli componenti; (e) orientato all’utente, potendo permettere lo sfruttamento sia agli operatori che agli utilizzatori; (f) adeguato al soddisfacimento delle esigenze interne che di quelle esterne. Cfr. G. Marcon, M. Thieghi, 2000, op. cit., p. 85. 636 Nella descrizione dell’autore, una prima classe di criteri affermano la rilevanza e l’autonomia della piena, completa e corretta rendicontazione contabile per le ANP, quale requisito necessario per la trasparenza e la correttezza, e l’indipendenza dalla regolamentazione tributaria, nonchè per l’adempimento della responsabilità degli amministratori nei confronti degli stakeholders. Questo si basa, poi, sulla sistematica, cronologica ed integrale rilevazione di ogni operazione (seppur gli obblighi tributari la richiedano solo per alcuni proventi od oneri), abbinata alla periodica redazione di sintesi strutturate sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’azienda. Una seconda classe prevede che la rilevazione e la classificazione delle risorse siano primariamente basate con il criterio della provenienza da soggetti ed aree gestionali (per i proventi), e quello della destinazione Gli scopi e le funzioni indicati, dovrebbero ottenersi attraverso strumenti tecnicocontabili molto simili a quelli in uso nelle realtà for profit: • il piano strategico637; • il budget d’esercizio638; • il sistema contabile639; alla funzioni gestionali (per gli oneri); successivamente, la comunicazione della complessiva situazione dell’azienda sia composta almeno dai tre documenti fondamentali: un “rendiconto” gestionale, un prospetto delle attività e passività ed una nota integrativa dei due (i termini usati sono volutamente poco precisi, poiché le tematiche e le specificazioni verranno affrontate in seguito). Una terza classe di criteri prevedono la comparazione dei valori di più periodi, al fine di interpretare l’andamento dell’azienda; se l’ANP, nel proprio assetto istituzionale, vede la presenza di soci, associati o aderenti con diritti e condizioni differenziate rispetto a soggetti estranei al rapporto associativo, sarà utile rilevare separatamente le transazioni verso le due categorie di soggetti. Un’altra classe prevede la dichiarazione dei principi e regole per la rendicontazione (anche se non vi sia obbligata), nello statuto, in regolamenti e resa disponibile per darne opportuna informazione; inoltre, i documenti costituenti la rendicontazione vengano resi pubblici, anche in assenza di specifici obblighi giuridici, in forza dell’obbligo morale di dare piena informazione alla pubblica opinione sull’utilizzo delle risorse, specie se in presenza di agevolazioni. E’ poi auspicabile, oltre una certa dimensione, l’attività di revisione da un organo di controllo indipendente, istituzionale od esterno, per la verifica del rispetto delle normative, delle procedure relative al sistema informativo e al modello di rendicontazione. La quinta classe di criteri afferma l’integrazione tra valori monetari espressi nella rendicontazione nelle varie arre e funzioni gestionali e valori non monetari relativi a progetti ed attività; si richiede inoltre la comunicazione di tutti i compensi e le utilità non monetari erogati ad amministratori/dirigenti/dipendenti, oltre al contratto collettivo applicato ai dipendenti. Si auspica, infine, la piena e corretta informazione sull’appartenenza a gruppi di aziende non profit o a legami tra dirigenza ed altre aziende collegate. Ulteriore classe è quella che richiede, in nota integrativa, ogni informazione necessaria per completare il contenuto informativo e permettere una piena comprensione dell’attività. Cfr. C. Travaglini, 1999, op. cit., pp. 103-106. 637 Il piano strategico, inteso quale documento output finale del processo di pianificazione strategica (Cfr. R. Anthony, W.D. Young, 1992, Controllo di gestione per gli enti pubblici e le organizzazioni non profit, Mc Graw-Hill, Milano), è lo strumento con cui si definiscono la missione da perseguire, le azioni e i mezzi atti a realizzarla. L’introduzione di un processo di pianificazione strategica nelle ANP consente una maggiore comprensione del fine e di valori aziendali, così da favorire l’interazione ed il coinvolgimento dei diversi soggetti in esse impegnati, la definizione dei risultati attesi, l’orientamento dei comportamenti individuali verso gli obiettivi aziendali. 638 Sulla base di questo si può costruire il budget d’esercizio, strumento operativo di breve termine per il prossimo periodo amministrativo, con due finalità: la verifica preventiva della convenienza e della fattibilità tecnica, economica e finanziaria di iniziative e progetti; la possibilità di guidare e finalizzare l’azione degli individui, favorendo la convergenza di molteplici interessi, attraverso la responsabilizzazione sui risultati. Questo strumento si rivela particolarmente significativo nelle ANP “erogative”, secondo la definizione di Capaldo (cfr. P. Capaldo, 1996, Le aziende non profit tra stato e mercato, in Aa. Vv. - AIDEA (a cura di), Le Aziende non profit tra Stato e mercato, CLUEB, Bologna), in cui i proventi vincolano le spese: l’articolazione del budget deve allora assicurare il governo della dinamica delle spese rispetto al limito dei proventi. E’ opportuno, inoltre, articolare il budget per gruppi aziendali, aree di attività o progetti e attribuire allo stesso il carattere autorizzativo della spesa (così da conferire relativa autonomia ai responsabili); la predisposizione di questo strumento è infine fondamentale per la verifica, a scadenze brevi, delle condizioni di gestione, per la valutazione di efficacia delle azioni aziendali. 639 Il controllo delle condizioni di gestione e la valutazione di efficacia delle azioni aziendali può essere effettuata sulla base dei un sistema contabile, tenuto con il metodo della partita doppia. La usuale logica contabile avvia la rilevazione quantitativa durante l’esercizio, nel momento in cui si • il bilancio di esercizio; Negli usuali prospetti che compongono il bilancio (stato patrimoniale, conto economico e nota integrativa) sono quindi sintetizzati i risultati delle operazioni svolte nell’esercizio, pianificate nel budget secondo le linee strategiche e rilevate in contabilità generale. A questi si possono poi aggiungere il rendiconto finanziario di liquidità ed allegati quali la relazione dell’organo di governo, quella dell’organo di controllo interno, l’eventuale relazione di certificazione. In tal modo si verrebbe a configurare un sistema coordinato di documenti volto ad informare sui risultati che l’ANP ha saputo conseguire sul piano gestionale640, ed una serie di allegati esprimenti considerazioni a valutazioni nell’ottica degli esiti gestionali e sul grado di attendibilità del bilancio stesso. Tutti i documenti, infine, dovrebbero essere regolati e coordinati da una comune logica conoscitiva di riferimento, in modo da permettere la composizione in chiave sistemica in quell’unicum che è il bilancio stesso641. Il ruolo di principale mezzo di informazione esterna assolto dalla rendicontazione contabile e del suo principale strumento che è il bilancio di esercizio, è particolarmente rafforzato nelle ANP, per le quali i fini di interesse generale, la presenza di agevolazioni, la centralità della pubblica fiducia impongono una assoluta trasparenza sulle attività e sull’utilizzo delle risorse acquisite642. verifica una variazione numeraria certa o assimilata; l’indagine causale conduce poi alla individuazione dell’aspetto economico dell’operazione e a considerazioni circa la competenza a formare il reddito del periodo (Cfr. G. Ferrero et al., 1995, Contabilità e bilancio di esercizio, Giuffrè, Milano e P. Onida, 1970, La logica e il sistema delle rilevazioni quantitative d'azienda, UTET, Torino). Si suggerisce, in aggiunta a questa, la rilevazione delle fasi di impegno delle spese e accertamento delle entrate, da articolarsi per progetti, unità organizzative e attività, in stretta connessione a quanto previsto per il budget, quando questi non vengano assunti contestualmente alla liquidazione o riscossione del relativo importo. Tali rilevazioni sono finalizzate a due ordini di obiettivi informativi: da un lato, a presidiare le condizioni di equilibrio economico e finanziario rispetto a quanto previsto in sede di budget, e dall’altro, di verificare, in corso d’esercizio, lo stadio di sviluppo e l’attuazione di progetti/attività previsti (così gli impegni indicano che le attività sono in fase di contrattazione; il giroconto ai debiti verso i fornitori indica che i fattori produttivi sono già stati acquisiti; il mancato impegno che il progetto non è stato neppure avviato). Il piano dei conti di contabilità generale dovrà quindi accogliere, accanto a quelli tradizionali, due serie di conti aperti ai valori numerari presunti attivi e passivi:accertamenti ed impegni riferibili a progetti/attività (Cfr. A. Pavan, E. Mulas, 2000, op. cit., p. 63 e segg.). 640 Come si vedrà nel paragrafo successivo, la considerazione di documenti extra contabili, in aggiunta e in ampliamento di quelli appena analizzati, permette anche la corretta informazione sugli aspetti istituzionali, che, giova ribadirlo, per la categoria delle aziende non profit risultano preponderanti a quelli economico-patrimoniali. 641 Cfr. G. Marcon, M. Thieghi, 2000, op. cit., pp. 91-92. 642 Cfr. C. Travaglini, 1999, op. cit., pp. 82-83. Anziché soffermarsi sui criteri di redazione, è forse più opportuno volgere l’attenzione a considerare l’ipotesi di sfruttare, come detto in apertura di paragrafo, i “gradi di libertà” concessi in materia contabile, ed adottare una struttura di bilancio che favorisca il facile apprezzamento delle capacità dell’organizzazione di perseguire le proprie finalità istituzionali: si ritiene opportuno, cioè, adottare schemi che, da un lato, rendano agevole l’analisi delle attività svolte e la comprensione dei risultati conseguiti, mentre dall’altro, attraverso opportune rielaborazioni, favoriscano il confronto e la correlazione tra valori economici, patrimoniali e finanziari. Ciò è reso ancora più importante dal fatto che, come spesso ripetuto nel corso del presente lavoro, nelle realtà non profit il risultato d’esercizio esprime in modo non significativo l’andamento della gestione ed il raggiungimento degli obiettivi. Articolato e complesso è invece il discorso per quanto concerne il conto economico: la mancata finalizzazione alla massimizzazione dei profitti e del reddito prodotto per le ANP priva questo documento della funzione di quantificazione ed illustrazione del reddito attribuibile al periodo643. Al conto economico, dunque, spetta la funzione di esporre le modalità attraverso cui l’azienda ha prodotto, acquisito e consumato-distribuito ricchezza (attraverso l’analisi del valore aggiunto); a tal riguardo notevole importanza dovrà essere attribuita all’esame dei componenti economici direttamente connessi con il perseguimento dei fini istituzionali. In relazione alla forma, appare preferibile quella scalare, che permette di esplicitare grandezze economiche intermedie idonee a rappresentare i predetti processi di produzione/acquisizione, consumo/distribuzione di ricchezza. La classificazione dei valori più idonea al fine sembra essere quella secondo il criterio della destinazione, 643 La funzione varierà da azienda ad azienda, non solo in base alla finalità da questa perseguite, ma anche in base ai circuiti gestionali all’uopo attivati; in sostanza, il risultato gestionale evidenziato nel conto economico potrà variamente configurarsi, assumendo definizioni cui è connaturato un significato economico aziendale più o meno preciso (“risparmio/deficit”, “avanzo/disavanzo di esercizio”, lo stesso “risultato gestionale” ecc.). Emergono quindi due interrogativi: il primo riguarda l’esigenza di monitorare l’aspetto economico delle attività non profit, mentre il secondo, discendente da una risposta affermativa al primo, concerne i principi di rilevazione. In merito alla prima questione, è già stato affermato che la verifica dell’economicità è comunque un aspetto fondamentale per le ANP, poiché strumentale (anche se non obiettivo finale) alle attività istituzionali, quindi questa merita sempre di essere monitorata; sul secondo punto si può notare che il principio della competenza economica (che permette di attribuire un risultato al periodo attraverso la contrapposizione di ricavi del periodo e di costi afferenti, nel for profit) deve essere applicato, nel caso delle aziende non profit, in maniera differente. Nello specifico, il risultato del periodo emerge dalla contrapposizione di proventi ed oneri tra loro non correlabili, rilevati al momento della loro manifestazione. evidenziando i risultati parziali delle diverse aree gestionali644 (quella istituzionale o tipica, quella promozionale e raccolta fondi, la gestione patrimoniale, la gestione finanziaria e quella straordinaria)645, come riportato nella figura 5.1 b. Conto Economico 1 2 3 (1-2) 4 5 6 (3-4-5) 7 8 9 (7-8) 10 (±6 ±9) 11 12 13 (11-12) 14 15 16 (14-15) 17 (±10 ±13 ±16) Anno x Anno x+1 Proventi dell’attività di base Costi diretti dell’attività di base Margine dell’attività di base Costi strutturali Costi discrezionali Risultato dell’attività di base Proventi della gestione accessoria Costi dell’attività accessoria Risultato della gestione accessoria Risultato della gestione istituzionale Proventi della gestione promozionale e raccolta fondi Costi della gestione promozionale e raccolta fondi Risultato della gestione promozionale e raccolta fondi Proventi della gestione patrimoniale Costi della gestione patrimoniale Risultato della gestione patrimoniale Risultato operativo 18 19 20 (18-19) 21 22 23 (21-22) 24 Proventi della gestione finanziaria Costi della gestione finanziaria 25(±17±20±23-24) Risultato complessivo Risultato della gestione finanziaria Proventi della gestione straordinaria Costi della gestione straordinaria Risultato della gestione straordinaria Imposte e tasse Figura 5.1 b: schema di conto economico per aree gestionali. (Fonte: A.Pavan, E. Mulas, 2000, p. 72). Meno problematico è l’esame dello stato patrimoniale, che mantiene la funzione di rappresentare la composizione quali-quantitativa del patrimonio aziendale in un dato istante di tempo. 644 Secondo Travaglini, all’interno di ogni area gestionale, poi, si possono trovare una pluralità di proventi ed oneri riferiti ad oggetti molto diversi, tanto da vanificare una chiara rappresentazione della gestione dell’azienda non profit. In questi casi, sarebbe preferibile l’individuazione di progetti all’interno delle funzioni ed alla comunicazione di oneri e proventi suddivisi per progetti. Il progetto rappresenta un aggregato di operazioni più limitato dell’area gestionale o della funzione, in relazione necessaria ed univoca con un’area gestionale ed una funzione svolta, magari da rappresentare in schede di progetto in allegato alla nota integrativa. Per un efficace utilizzo dei progetti per l’esercizio della programmazione e controllo della ANP, occorre inoltre individuare, per ogni progetto, un responsabile e definire livelli obiettivo di proventi e/o oneri ed indicatori di verifica della performance. Cfr. C. Travaglini, 1999, op. cit., p. 109-110. 645 Cfr. A. Pavan, E. Mulas, 2000, op. cit., pp. 72-73. In merito al contenuto, considerando le caratteristiche delle ANP, si potrebbe adottare un criterio di liquidità, essendo in tal modo possibile formulare con facilità una valutazione della situazione di equilibrio finanziario646. Stato Patrimoniale Attivo Anno Anno x x+1 A IMMOBILIZZAZIONI I Immobilizzazioni immateriali a. Spese di impianto e di ampliamento … … … … II Immobilizzazioni immateriali a. Terreni e fabbricati … … … … III Immobilizzazioni finanziarie a Partecipazioni b Crediti Passivo A PATRIMONIO NETTO I II III IV Fondo di dotazione Riserve patrimoniali … Risultato del conto economico B FONDI PER RISCHI E ONERI 1 … … Fondi per le attività istituzionali … … Totale patrimonio netto Totale f.di per rischi e oneri C DEBITI ESIGIBILI OLTRE L’ESERCIZIO SUCCESSIVO 1 Trattamento di fine rapporto 2 3 Mutui passivi … … … Totale immobilizzazioni B ATTIVO CIRCOLANTE I II Rimanenze Crediti III IV V Attiv. fin. che non costit. immob.ni Disponibilità liquide Ratei e risconti attivi Totale attivo circolante TOTALE ATTIVITÀ' Anno Anno x x+1 Totale deb. mediolungo termine D DEBITI ESIGIBILI ENTRO L’ESERCIZIO SUCCESSIVO 1 2 Debiti verso fornitori Debiti verso banche 3 … Totale deb. esigibili entro es. succ. E RATEI E RISCONTI PASSIVI TOTALE PASSIVITA’ Figura 5.1 c:Schema sintetico di stato patrimoniale. (Fonte: A.Pavan, E. Mulas, 2000, p. 74) Di fronte a complessità crescenti, un’altra ipotesi plausibile è quella suggerita da Travaglini647, da combinare alla precedente: l’informazione viene fornita classificando le poste patrimoniali in base all’area gestionale (tipica o accessoria) a cui si riferiscono. Si può infine usare il criterio proposto da Marcon e Tieghi648: organizzare il documento separando gli elementi patrimoniali attivi, diversi dalle liquidità, sulla base del fatto che essi siano l’esito di circuiti gestionali connessi 646 Cfr. A. Pavan, E. Mulas, 2000, op. cit., p.73. Cfr. C. Travaglini, 1999, op. cit., p. 108. 648 Cfr. G. Marcon, M. Thieghi, 2000, op. cit., p. 95. 647 all’acquisizione o all’impiego delle risorse, e presentare gli elementi passivi in base alla loro provenienza soggettiva, distinguendo le passività dal patrimonio netto, e di infine separando, all’interno di queste macro classi gli eventuali fondi o le eventuali riserve che fossero stati specificatamente destinati al perseguimento degli scopi istituzionali della ANP. Per quanto concerne la forma, si ritiene generalmente preferibile quella contabile (vedi figura 5.1 c). Il rendiconto finanziario649 di liquidità ha la funzione di illustrare, come noto, in un’opportuna sintesi, le modalità attraverso cui l’azienda ha generato e impiegato liquidità, evidenziando opportunamente la provenienza delle fonti e la destinazione degli impieghi, costituiti da flussi monetari verificati nel periodo, ossia le modalità attraverso cui la ANP ha saputo fronteggiare il vincolo di costante solvibilità imposto dalla condizione di equilibrio finanziario-monetario. La peculiarità che deve soddisfare è l’organizzazione del documento, il quale dovrebbe essere strutturato in modo da determinare le fonti e gli impieghi in base ai circuiti gestionali attivati dall’azienda, permettendo la distinzione tra flussi connessi al perseguimento delle attività istituzionali dai rimanenti, e distinguendo flussi “correnti” da quelli “extracorrenti”. In tal modo si dovrebbe evidenziare il grado di autonomia e dipendenza dell’azienda nel perseguimento dell’equilibrio finanziario e si permetterebbe di evidenziare la tendenziale stabilità/instabilità di tale equilibrio. Assai importante è il ruolo svolto dalla nota integrativa, che ha la funzione solita di fornire conoscenze aggiuntive sui valori e sui risultati contenuti nello stato patrimoniale e nel conto economico. Nello specifico delle aziende non profit, l’attività di queste è caratterizzata dall’utilizzo di risorse reali e monetarie senza vincolo di remunerazione e dalla cessione di beni e servizi a titolo gratuito o a prezzi inferiori a quelli di mercato: emerge quindi con chiarezza la necessità di integrare le informazioni sintetiche dei due prospetti con quelle più analitiche di natura fisico-tecnica e qualitativa – numero di utenti, numero di volontari, ecc. – espressive di volumi di attività altrimenti non percepibili da parte di terzi esterni all’azienda, oltre che l’illustrazione dei principi contabili, e quelle esplicative delle voci di rendiconto finanziario, conto economico e 649 Cfr. G. Marcon, M. Thieghi, 2000, op. cit., pp. 92 e segg. stato patrimoniale650 ed altre informazioni rilevati: le schede di eventuali progetti, la mission istituzionale e la natura giuridica, l’eventuale affiliazione a federazioni e gruppi del non profit e la dichiarazione delle relazioni con gli altri soggetti del gruppo. Matacena651 propone, sul tema del bilancio degli enti non profit, un modello valevole per le ONLUS (la cui disciplina è stata riassunta brevemente nel paragrafo 2.2), categoria “fiscale” in cui cercano di rientrare gran parte delle aziende senza scopo di lucro, indipendentemente dall’assetto giuridico assunto, per usufruire di particolari trattamenti tributari. Il legislatore fiscale, come “prova” per elargire tali agevolazioni e a pena di decadenza da queste, impone l’obbligo, entro quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio annuale, di redigere un documento che rappresenti la situazione patrimoniale, economica e finanziaria (D. Lgs. 460/97, art. 25, p.to 1, lett. a)652). Appare evidente, a detta dell’autore, che i documenti sopra richiamati (rendiconto finanziario, conto economico e stato patrimoniale) siano oggettivamente conformi all’obbligo imposto653, soprattutto se la loro forma, contenuto e modalità espositiva siano adeguati allo scopo informativo perseguito. Il legislatore, continua Matacena, introduce quindi il principio di adeguatezza informativa, la quale, a suo parere, dipende dalla rispondenza delle informazioni offerte dai documenti contabili richiamati alle finalità di controllo amministrativo ed anche gestionale, motivando inoltre necessari adattamenti654. 650 Cfr. A. Pavan, E. Mulas, 2000, op. cit., p.74. Cfr. A. Matacena, 2000, Finalismo aziendale e sistema informativo delle aziende non profit, in CRISP (a cura di), I servizi di pubblica utilità alla persona, Franco Angeli, Milano, pp. 55 e segg. 652 Art. 25. “[…] 1. Le organizzazioni non lucrative di utilita' sociale (ONLUS) diverse dalle societa' cooperative, a pena di decadenza di benefici fiscali per esse previsti, devono: a) in relazione all'attivita' complessivamente svolta, redigere scritture contabili cronologiche e sistematiche atte ad esprimere con compiutezza ed analiticita' le operazioni poste in essere in ogni periodo di gestione, e rappresentare adeguatamente in apposito documento, da redigere entro quattro mesi dalla chiusura dell'esercizio annuale, la situazione patrimoniale, economica e finanziaria della organizzazione, distinguendo le attivita' direttamente connesse da quelle istituzionali, con obbligo di conservare le stesse scritture e la relativa documentazione per un periodo non inferiore a quello indicato dall'art 22.” 653 Il documento previsto, inoltre, dovrebbe essere l’esito di scritture contabili cronologiche e sistematiche atte ad esprimere con compiutezza ed analiticità le operazioni poste in essere in ogni periodo di gestione. 654 Tale adeguatezza si persegue attraverso il pieno rispetto dei principi di chiarezza, veridicità e correttezza (che sostanziano la clausola generale informante il bilancio di esercizio civilisticamente previsto) e dei principi di redazione e dei criteri di valutazione civilisticamente imposti (per un approfondimento sul contenuto dei principi di redazione del bilancio civilistico, cfr. F. Ranalli, 1996, Il bilancio di esercizio, Aracne, Roma). Ovviamente, sempre a detta di tale autore, proprio il pieno 651 Le esigenze di adattamento derivano dalle specificità di processo/prodotto/mercato proprie delle ONLUS, rispetto alle imprese for profit e mutualistiche e sono volte ad assicurare l’adeguata informazione655 ricercata. Stato patrimoniale Attivo Passivo A) Attivo fisso I) Immobilizzazioni immateriali (collegate a:) a) Attività istituzionali b) Attività connesse c) Attività promozionali e raccolta fondi d) Attività a uso promiscuo e) Funzionamento dell’ente II) Immobilizzazioni materiali (collegate a:) a) Attività istituzionali b) Attività connesse c) Attività promozionali e raccolta fondi d) Attività a uso promiscuo e) Funzionamento dell’ente III) Immobilizzazioni accessorie B) Attivo circolante I) Rimanenze II) Crediti III) Disponibilità accessorie IV) Ratei e risconti V) Disponibilità liquide A) Patrimonio netto dell’ente I) Fondo di dotazione dell’ente II) Apporti all’ente III) Riserva per scopi dell’ente IV) Risultato del periodo B) Passività da terzi I) Fondi per rischi ed oneri II) Tfr III) Debiti IV) Ratei e risconti V) Esigibilità liquide Figura 5.1 f: esempio di schema di stato patrimoniale per le ONLUS. (Fonte: A. Matacena, 2000, p. 70) Le figure 5.1 f, g, ed h, rappresentano gli schemi sintetici dei documenti contabili richiamati, ma, a differenza di quelli precedentemente proposti, costruiti su esplicito riferimento al bilancio civilistico ed adattabili per tipologia, dimensione e grado di complessità organizzativa delle ONLUS e migliorati nel grado di utilizzabilità informativa, e nelle modalità espositive656. rispetto della chiarezza, veridicità e correttezza motiverà i necessari adattamenti (in parte richiamati sopra) nella forma e nei valori contenuti, dei documenti richiamati qualora essi si conformino a quanto previsto dagli artt. 2424 (contenuto dello stato patrimoniale) e 2425 (contenuto del conto economico) del C.C. e a quanto generalmente condiviso dalla prassi dominante per i rendiconti finanziari ex principi contabili CNDC e CNR. 655 L’informazione, tra l’altro, risponde solo ad obblighi civilistici, visto che la stessa non subisce alcun vincolo fiscale (come invece accade per le imprese for profit), in quanto l’uso a fini fiscali di detta informativa è funzionale solo alla verifica del rispetto dei vincoli imposti per godere delle agevolazioni previste. 656 L’adattamento è stato ottenuto, continua Matacena, attraverso il miglioramento delle modalità espositive di stato patrimoniale e conto economico (una più precisa classificazione per destinazione e finanziaria dello stato patrimoniale e una più rispondente classificazione per natura dei componenti Lo stesso decreto 460 del 1997, poi, impone anche di distinguere, all’interno dell’attività complessiva, quella “direttamente connessa a quella istituzionale” (art. 25, p.to 1, lett. b)657. Conto economico A) Valore delle attività (tra cui:) 1. a) proventi delle attività istituzionali 1. b) proventi delle attività connesse (da 2 a 4 come C.E. ex art. 2425 CC) 5. Proventi delle attività promozionali (contributi:) 5. a) contributi da Stato e/o Enti Pubblici 5. b) contributi da aziende for profit 5. c) contributi da privati Totale B) Oneri delle attività (da 6 a 13 come C.E. ex art. 2425 CC) 14. Oneri diversi di gestione (tra cui:) 14. a) costi degli organi dell’ente 14. b) Rimborsi ai membri degli organi dell’ente Totale Differenza tra valore ed oneri delle attività (A - B) C) Proventi accessori ed oneri accessori/ finanziari 15. Proventi accessori 16. Oneri accessori 17. Oneri gestione finanziaria Totale Differenza (A - B ± C) D) Proventi ed oneri “eccezionali ed infrequenti” 18. Plusvalenze (ordinarie e straordinarie) 19. Minusvalenze (ordinarie e straordinarie) 20. Sopravvenienze ed insussistenze “attive” 21. Sopravvenienze ed insussistenze “passive” Totale Differenza (A - B ± C ± D) 22. Imposte e tasse del periodo 23. Risultato del periodo Figura 5.1 g: esempio di schema di conto economico per le ONLUS. (Fonte: A. Matacena, 2000, p. 70) del conto economico) e della tipologia di rendiconto (di tipo cash, previsto dai principi di generale accettazione), nonchè attraverso la specializzazione degli stessi, funzionale alla tipologia ed alla dimensione delle singole ONLUS. Questo consente un più ampio e articolato esame della situazione patrimoniale (attraverso un’analisi orizzontale delle poste attive e passive di stato patrimoniale), di quella finanziaria e monetaria (attraverso un’analisi verticale dello stesso stato patrimoniale e del rendiconto finanziario) e della situazione economica (approfondendo sull’efficienze e la produttività della gestione caratteristica e di quella globale). 657 Art. 25. “[…] b) in relazione alle attivita' direttamente connesse tenere le scritture contabili previste dalle disposizioni di cui agli articoli […]; nell'ipotesi in cui l'ammontare annuale dei ricavi non sia superiore a lire 30 milioni, relativamente alle attivita' di prestazione di servizi, ovvero a lire 50 milioni negli altri casi, gli adempimenti contabili possono essere assolti secondo le disposizioni di cui al comma 166 dell'articolo 3 della legge 23 dicembre 1996, n. 662”. Tale distinzione è collegabile: alla verifica del vincolo di non prevalenza delle attività connesse rispetto a quelle istituzionali – riscontro del mantenimento del finalismo solidaristico; al parametro di controllo di questo vincolo, rappresentato da rapporto proventi connessi/costi complessivi caratteristici da mantenersi al massimo uguale a 0.66 (due terzi)658, elementi conformanti il controllo della cosiddetta trasparenza gestionale, ma non direttamente riscontrabili dai documenti sopra esposti. Rendiconto finanziario dei flussi di liquidità Descrizione Entrate correnti derivanti da: Attività istituzionali Attività connesse Attività promozionali e raccolta fondi Funzionamento dell’ente A. Totale entrate correnti Uscite correnti derivanti da: Attività istituzionali Attività connesse Attività promozionali e raccolta fondi Funzionamento dell’ente Attività accessorie Gestione finanziaria B. Totale uscite correnti C. Net cash generato/assorbito dalla gestione corrente (A – B) + Entrate derivanti da acquisizione di finanziamenti non a breve - Uscite derivanti da rimborso di finanziamenti non a breve + Entrate derivanti da smobilizzo di attivo fisso (sviluppate sulla base della classificazione delle attività prevista per le entrate correnti) - Uscite derivanti da acquisto di attivo fisso (sviluppate sulla base della classificazione delle attività prevista per le uscite correnti) D. Net cash globale generato/assorbito Figura 5.1 h: esempio di schema di rendiconto finanziario per le ONLUS. (Fonte: A. Matacena, 2000, p. 71) La soluzione proposta da Matacena è il collegato sviluppo del conto economico delle attività complessive verso una struttura a Margine Operativo Lordo (MOL), ad 658 Art. 10. “Organizzazioni non lucrative di utilita' sociale – […] 5. Si considerano direttamente connesse a quelle istituzionali le attivita' statutarie di assistenza sanitaria, istruzione, formazione, sport dilettantistico, promozione della cultura e dell'arte e tutela dei diritti civili, […], nonche' le attivita' accessorie per natura a quelle statutarie istituzionali, in quanto integrative delle stesse. L'esercizio delle attivita' connesse e' consentito a condizione che, in ciascun esercizio e nell'ambito di ciascuno dei settori elencati alla lettera a) del comma 1, le stesse non siano prevalenti rispetto a quelle istituzionali e che i relativi proventi non superino il 66 per cento delle spese complessive dell'organizzazione.” esempio tra gli allegati della nota integrativa (vedi figura 5.1 i), secondo cui è prevedibile che siano soddisfatte le condizioni imposte dal D.Lgs. 460/97. Come detto precedentemente, poi, la valutazione dell’economicità della ANP non può essere fatta usando semplicisticamente i criteri sviluppati per le aziende for profit: la contrapposizione tra proventi ed oneri di periodo per le non profit viene fatta con un criterio di competenza non in senso tipico, ma in senso temporale (vedi note dietro). Non essendo i valori necessariamente intermediati dallo scambio di mercato, infatti, si hanno immediati effetti sul significato attribuito all’equilibrio economico: un risultato gestionale positivo non è necessariamente segno di una gestione economicamente soddisfacente (eccesso di valore prodotto rispetto a quello consumato), ma può semplicemente segnalare una sovrabbondanza di proventi rispetto alle capacità operative della ANP. In quest’ambito, la presenza di misure di performance (quali indicatori di risultato, di processo, di consenso sociale, accanto a quelli monetari comuni nel for profit e quelli di efficacia659) appare tanto più importanti quanto minore è il livello di scambio economico presente nelle relazioni tra ANP e beneficiari-destinatari660. Conto economico al MOL Descrizione Attività istituzionali Proventi ± (2,3 come C.E. ex art. 2425 CC) + (4 come C.E. ex art. 2425 CC) + Contributi = Valore delle attività - Costi diretti - Costi fissi diretti = Margine sui costi diretti - Costi di funzionamento dell’ente = Differenza tra valore e oneri attiv. compl. ± Proventi ed oneri accessori - oneri di gestione finanziaria ± Proventi ed oneri “eccezionali ed infrequenti” - Imposte e tasse = Risultato di periodo Aree di attività Attività Attività connesse promozion. * * * * * * * * * * * * * * * * * * Totale * * * * ** * * *** * **** * * * * ***** Figura 5.1 i: esempio di schema di conto economico al “MOL” per le ONLUS. (Fonte: A. Matacena, 2000, p. 74) 659 660 Cfr. R. Anthony e W.D. Young, 1992, op. cit.. Cfr. C. Travaglini, 1999, op. cit., p.110-111. Equilibrio econ. e fin. INDICATORI Efficacia Efficienza INDIC. DI RISULTATO INDIC. DI PROCESSO Clienti-beneficiari INDICATORI DI CONSENSO Figura 5.1 l: relazioni causali tra gli indicatori. (Fonte: A. Pavan, E. Mulas, 2000, p.75) Questi indicatori, di diversa natura, sono tra loro correlati a sistema: è così probabile che un indicatore di processo, che testimonia l’inefficiente utilizzo delle risorse, sia accompagnato da misure di cattiva qualità dei servizi, e conseguentemente da insoddisfazione di utenti e stakeholder, producendo conseguenze sul profilo finanziario ed economico reddituale (vedi figura 5.1 l)661. In tal senso, poi, l’azienda non profit deve risultare efficace ancor prima che efficiente, poiché il livello di raggiungimento dei fini istituzionali è la principale espressione della convenienza a mantenere in vita l’azienda stessa662. L’efficacia può essere definita come la capacità di un’azienda di raggiungere gli obiettivi prefissati in sede di programmazione; nel processo produttivo è rappresentata, in un dato momento, dal rapporto che esiste tra gli output del processo e quelli obiettivo che potenzialmente questo consente di ottenere663. 661 Cfr A. Pavan, E. Mulas, 2000, op. cit., p. 75. Cfr. S. Arduini, 1999, Gli indicatori di efficacia nelle aziende non lucrative, in Matacena A. (a cura di), Aziende non profit: scenari e strumenti per il terzo settore, EGEA, Milano, p. 129 e segg. 663 Questo concetto si discosta nettamente da quello di efficienza. Secondo una definizione ormai “classica” per l’economia d’azienda, l’efficienza è un indicatore del modo in cui i processi produttivi o erogativi sono attivati. Questa è determinata dal rapporto tra output ottenuto e fattore impiegato, ossia il livello quantitativo del “prodotto” per ciascuna unità di input impiegato; indica inoltre anche il livello di oneri sostenuti per la produzione. I principali indicatori di efficienza sono rappresentati, quindi, dai rendimenti e dai costi. In conclusione, la differenza tra efficienza ed efficacia può essere così schematizzata: Efficienza = output effettivi / input effettivi Efficacia = output effettivi / output desiderati Cfr. S. Arduini, 1999, op. cit., p. 129 e segg. 662 Nelle realtà non profit il concetto di efficacia assume determinate caratteristiche. E’ innanzitutto tendenzialmente “relativo”, nel senso che l’azienda può risultare tale con riferimento ad uno specifico obiettivo, ma non rispetto ad un altro, ancora più accentuato nelle ANP che lavorano per progetti. Un secondo problema riguarda la definizione stessa di efficacia. L’indicatore generico attraverso cui questa si misura, risulta essere: Output ottenuti Output programmati I principali problemi che si riscontrano nella pratica applicazione di tale quoziente riguardano : • la quantificazione dell’output ottenuto (se l’oggetto non ha materialità, come un servizio)664; • la definizione dell’output-obiettivo665. Alcuni autori propongono poi di misurare l’output delle ANP in termini di qualità di beni e servizi prestati, così come percepita dai beneficiari. In termini del tutto generali, la qualità può essere considerata come un indicatore di efficienza, potendo essere misurata mediante la valutazione del rapporto (qualità = rendimenti/costi); diviene però un valido indicatore di efficacia allorché la soddisfazione dei beneficiari avviene solo se vengono rispettati determinati standard qualitativi e se il livello della prestazione è considerato accettabile666. La meta che una ANP si prefigge di raggiungere, poi, non necessariamente è rappresentata da un dato volume di beni o servizi; essa può, al contrario, predeterminare il numero di beneficiari, o la quantità di prestazioni da erogare a 664 Per servizi erogati non immediatamente quantificabili in termini fisici o di valore, esiste sempre una qualche misura di volume delle attività svolte dall’azienda, potendo essere quantificati sia mediante espressioni, monetarie e non, (ad esempio fondi devoluti a favore di terzi beneficiari; il numero di pasti giornalieri forniti da una mensa), sia con il ricorso a variabili “dummy”, rappresentative dell’effetto che l’utilizzo di beni e servizi produce sui beneficiari (ad esempio, il numero di pazienti guariti per un’azienda sanitaria, in luogo del volume delle prestazioni erogate). 665 Il problema di definizione di questi è ricollegabile al processo di programmazione aziendale, e dei piani operativi, che hanno il compito di specificare accuratamente e in maniera facilmente interpretabile gli obiettivi, pluriennali e annuali, e di quantificarli e renderli misurabili, per poi assegnare strumenti e mezzi, strategie e tattiche per il loro conseguimento. 666 Alcuni indicatori di qualità vengono ravvisati nei “tempi di evasione” rispetto a quelli medi; la frequenza nella erogazione (per prestazioni continuative); il tasso di abbandono del servizio da parte della clientela; il livello di affollamento rispetto a situazioni do ottimale erogazione; il numero di reclami rispetto al numero di utenti. Cfr. S. Arduini, 1999, op. cit., p. 134 e segg. ciascuno di essi; può, inoltre, prescegliere l’obiettivo di erogare beni e servizi senza superare un determinato valore degli oneri medi per utente, cercando quindi di sostenere un ammontare minimo di oneri; oppure servire, in un dato periodo di tempo, un certo numero di soggetti e così via. In conseguenza di ciò, per le aziende non profit che assumono il carattere di imprese si hanno gli indicatori espressi nella figura 5.1 m. Generici indicatori di efficacia per le imprese non profit Quantità di beni/servizi totali effettivi Quantità di beni/servizi totali programmati Quantità di beni/servizi totali effettivi per utente Quantità di beni/servizi totali programmati per utente Oneri medi effettivi Oneri medi programmati Numero di utenti effettivi Numero di utenti programmati Oneri totali effettivi Oneri totali programmati Figura 5.1 m: indicatori generici di efficacia per le ANP. (Fonte: S. Arduini, 1999, p.137) Tali indicatori, peraltro, sono piuttosto generici; al fine di individuare quozienti significativi delle condizioni più specifiche per le ANP, occorre una “tipizzazione” delle numerose aziende del terzo settore. In particolare, utilizzando la classificazione proposta da Capaldo667, si possono distintamente analizzare le problematiche di misurazione dell’efficacia di: • aziende di erogazione, distinguendo all’interno associazioni e fondazioni; • imprese sociali, con esplicito riferimento alle cooperative sia di tipo A (gestori di servizi socio-sanitari), che di tipo B (di reinserimento di lavoratori svantaggiati)668. Allo scopo di valutare l’efficacia dell’operato delle aziende non profit con carattere produttivo orientate verso il “mercato”, si suggeriscono alcuni indicatori per le 667 Vedi par. 2.4 del presente lavoro, e cfr. P. Capaldo, 1996, op. cit.. Non saranno invece oggetto di specifica analisi le aziende autoproduttrici, in quanto la loro attività è principalmente rivolta al soddisfacimento dei bisogni dei soggetti che le costituiscono, i quali rappresentano gli unici destinatari dei processi di produzione ed erogazione. 668 imprese sociali669, contenuti nella figura 5.1 n, che per tale fine si distinguono da quelli utili ad associazioni670 e fondazioni671. Indicatori di efficacia per le imprese sociali Obiettivo Numero di lav. svantaggiati che hanno ricevuto una formazione Numero complessivo di soggetti svantaggiati Numero di lav. svantaggiati collocati nel mondo del lavoro Numero complessivo di soggetti svantaggiati Numero di lav. svantaggiati impiegati all’interno della cooperativa Numero complessivo dei dipendenti inserimento lavorativo e formazione (Coop.Soc. tipo B) Remunerazione annualmente corrisposta ai soggetti svantaggiati Remunerazione media annua del mercato Tariffe applicate ai servizi erogati Prezzi “privati” dei servizi erogati Erogazione di servizi (Tipo A) Figura 5.1 n: Indicatori di efficacia per le imprese sociali e relativo scopo in relazione agli obiettivi. (Elaborazione propria). 669 Le cooperative che offrono opportunità di lavoro a soggetti svantaggiati perseguono almeno uno dei due obiettivi: la formazione ed inserimento di questi nel mondo del lavoro, la creazione di opportunità di impiego all’interno della stessa cooperativa, consentendo ai beneficiari di ricevere una remunerazione tendenzialmente in linea con quelle di mercato per analoghi settori. Con riferimento alla cooperative che erogano servizi socialmente utili si può calcolare lo spread tra le tariffe dell’azienda e i prezzi di mercato per servizi analoghi. I fini dell’impresa sociale possono essere molto variegati, sia a seconda del servizio erogato, che della prevalenza o meno del carattere mutualistico rispetto all’obiettivo solidaristico, potendo distinguersi, sotto quest’ultimo aspetto, somiglianze con le ANP autoproduttrici (prevalente la mutualità, come nelle classiche cooperative) o, all’opposto, con le associazioni (se prevalente è la solidarietà). Questo origina un diverso range di indicatori utilizzabili. Cfr. S. Arduini, 1999, op. cit., pp. 141-142. 670 Caratteristica distintiva di tali organizzazioni è rappresentata dalla tendenziale gratuità dei beni e servizi erogati, volti alla soddisfazione della situazione di indigenza di soggetti esterni. Il raggiungimento di tale scopo ideale è il principale fine dell’azienda. Spesso gli associati che programmano l’attività non sono portatori di adeguate competenze, incidendo questo sulla realizzabilità degli obiettivi programmati e dovendo, quindi, misurare anche gli oneri sostenuti rispetto a quelli programmati. Ulteriore problema è quello del free-riding dei destinatari, che porta ad un consumo superiore alla effettiva necessità. Queste problematiche comportano che: (a) l’associazione debba usare anche indicatori di efficienza, per ridurre gli “sprechi”; (b) l’efficacia deve misurarsi anche nella capacità di diffondere i valori di cui l’azienda è portatrice per raccogliere risorse monetarie necessarie per la sopravvivenza. E’ inoltre opportuno distinguere l’aleatorietà dei contributi da terzi, per verificare la “stabilità” dei finanziamenti. Infine, il grado di efficacia si può misurare anche attraverso il rapporto tra volontari ed utenti rispetto ad uno standard accettabile che assicuri una certa qualità e “vitalità”. Cfr. S. Arduini, 1999, op. cit., pp. 138-140. 671 Caratteristica distintiva delle fondazioni è la presenza di un patrimonio finalizzato a scopi ideali, come la sovvenzione di attività di assistenza e beneficenza. In forza di questo, il problema è rappresentato dalla preservazione del capitale cercando di ottenere, dai fondi investiti, flussi di reddito congrui e spendibili (al netto delle imposte e degli oneri di mantenimento della fondazione) rispetto al target di risorse necessarie. Spesso la fondazione sostiene progetti a carattere pluriennale, dovendo quindi confrontare il valore attuale netto (VAN) dei redditi da patrimonio rispetto agli oneri futuri attesi dal progetto, ed utilizzare un adeguato tasso di attualizzazione che comprenda anche il rischio. Cfr. S. Arduini, 1999, op. cit., pp. 140-141. L’esauriente utilizzo degli indicatori di efficacia, tuttavia, non può prescindere da un’analisi accurata dell’ambito operativo della singola ANP, nonché delle caratteristiche distintive dei beni e servizi che questa eroga. Molteplici altri possono essere gli indici utilizzabili, a seconda degli aspetti considerati rilevanti; in ogni caso, l’analisi risulta significativa solo se i risultati sono affidati non ad un unico quoziente, ma ad un sistema di questi in modo coordinato. 5.2 La rendicontazione sociale Secondo alcuni autori672, il tema della rendicontazione sociale delle strutture non profit è destinata, in un futuro ormai prossimo, ad assumere una valenza ed un’importanza notevole sia nel processo di legittimazione sociale di tali aziende “sul mercato” (inteso come società civile), sia come strumento di marketing per la “raccolta fondi”, attività che necessita di trasparenza e di rendicontazioni precise nell’ambito del rapporto con i propri stakeholder, e che si differenzia nel significato rispetto a quanto si può rilevare nelle aziende for profit. Il bilancio sociale, strumento principe673 della rendicontazione “istituzionale” (o “etica, o “sociale”674), non costituisce tuttavia una novità675, almeno se riferito alle imprese for profit; il fatto recente consiste nel leggere la validità e l’utilità di questo, e più in generale della rendicontazione sociale, nel contesto delle strutture non profit, dove “l’unico bilancio che abbia un peso ed una sostanza è proprio il bilancio 672 Cfr. L. Hinna, 2000, Il bilancio di missione. La rendicontazione contabile e sociale nelle strutture non profit, in Rivista Italiana di Ragioneria e di Economia Aziendale luglio/agosto, p. 358. 673 Cfr. L. Hinna , 2002 b, Spinte al cambiamento manageriale nelle strutture sanitarie, in Hinna L. (a cura di), Management in sanità: scenari, strumenti e casi, Aracne, Roma, cap. 1. 674 Cfr. G. Marcon, M. Tieghi, 2000, op. cit., pp. 96. 675 Introdotto negli anni settanta in Francia, dove a seguito di grandi tensioni sindacali fu gestito come strumento di comunicazione verso i dipendenti delle imprese, approda poi in Germania dove si erano registrate le prime esperienze già a partire dagli anni trenta; introno al 1980, infine, divenne oggetto di osservazione da parte di alcuni importanti studiosi di economia d’azienda e scienziati della comunicazione (Cfr. A. Hinna, 2002 b, op. cit., p. 413). Tra i contributi dei primi autori che si dedicarono al tema, ricordiamo: A. Matacena, 1984, Impresa e ambiente: il bilancio sociale, CLUEB, Bologna; F. Superti Furga, 1977, Note introduttive al bilancio sociale, in Sviluppo e Organizzazione, n. 44; F. Vermiglio, 1984, Il bilancio sociale d’impresa nel quadro evolutivo del sistema di impresa, Grafo Editor, Messina. Seguono poi: P.E. Cassandro, 1989, Sul cosiddetto bilancio sociale dell’impresa, in Rivista Italiana di Ragioneria ed Economia aziendale, n. 7/8; A. Pasini, 1988, Il bilancio sociale, in Amministrazione e finanza, n. 16; G. Rusconi, 1988, Il bilancio sociale d'impresa, Giuffrè, Milano; O. Gabrovec Mei, 1993 a, Il bilancio sociale, in Amministrazione e finanza, n. 6. declinato in chiave sociale e in relazione alla missione che la struttura non profit si è data”676. Il tema della rendicontazione sociale è trasversale a quello dell’”etica ed economia”677, che ha attraversato, quest’ultimo, una successiva distinzione: si va dall’etica dell’impresa, che viene legata ai codici etici dell’azienda; all’etica nell’impresa, caratterizzata dalla divulgazione di questo concetto come valore organizzativo; all’etica nella conduzione dell’impresa, intesa come interpretazione ed attuazione di tale codice da parte dei managers, che essendo appunto etico, si pone nello spazio tra norma e comportamento. In questo terreno si radica poi la stakeholder theory678, “teoria dei partecipanti dell’azienda”, la quale sostiene la necessità, per l’impresa, di soddisfare ogni partecipante, coinvolgendo non solo l’azionista, il dipendente, il fornitore, il cliente, il management, bensì l’intero “contesto sociale”: tutti questi portatori di interessi esigono un “rendicontazione”, indipendentemente dal carattere non profit, pubblico, o for profit dell’azienda, come condizione di “esistenza” a pieno titolo nell’ambiente. Occorre inoltre aggiungere che la rendicontazione esclusivamente contabile di carattere strettamente economico trasmette valori ed informazioni percepibili solo da alcuni degli stakeholder, ossia quelli che hanno un legame economico con l’azienda, “escludendo” tutti gli altri portatori di interessi extra-economici, ma certamente sociali. Si passa così a dover contabilizzare un nuovo elemento negli schemi di bilancio, ossia la fiducia679 degli stakeholder, espressa non più solamente dai risultati economici (quelli espressi nell’ultima riga del conto economico a scalare, la “bottom 676 Cfr. L. Hinna, 2000, op. cit., p. 360. Tra i vari autori che hanno composto il quadro sul tema, ne ricordiamo solo alcuni: V. Coda, 1989, Etica e impresa: il valore dello sviluppo, relazione presentata al seminario interdisciplinare su Etica ed Impresa svoltosi presso il CIS, Rocca di Valmadrera, 24 giugno; O. Gabrovec Mei, 1993 b, Economia ed etica nei valori dell’impresa, in Scritti in onore di Carlo Masini, Tomo I, Egea, Milano; G. Rebora, 1981, Comportamento d’impresa e controllo sociale, ETAS Libri, Milano; F. Manni, 1994, Responsabilità sociale e informazione esterna d’impresa: problemi, esperienze, e prospettive di bilancio sociale, Giappichelli, Torino; M.A. Massei, 1992, Interesse pubblico e responsabilità sociale, EGEA, Milano; G. Rusconi, 1997, Etica e impresa. Un’analisi economica aziendale, CLUEB, Bologna. 678 Cfr. T. Donaldson, E. Preston Lee, 1994, Stakeholder Aziendali, in Sviluppo ed Organizzazione, 18. 679 La principale complessità nel fare ciò deriva non solo dalla intangibilità di questo elemento dell’attivo patrimoniale, quanto dalla natura di sommatoria di elementi intangibili che compongono la fiducia: valori, atteggiamenti, rispetto delle regole, governance, onestà, etica, in sintesi, il consenso dell’opinione pubblica. 677 line”), bensì anche da quelli ambientali e sociali (addivenendo ad un approccio “su tre righe” di un ipotetico conto economico, cioè “triple bottom line”)680, segnando un progressivo allargamento del concetto di accountability, da modulare sulla domanda della società civile, non sulla disponibilità a rendicontare delle imprese681. La rendicontazione sociale nasce quindi come tentativo di superare i limiti di quella economica, affiancandola a quella ambientale e sociale; il suo compito è quello di “spostare” il contenuto del concetto di valore da tre a quattro elementi: per gli azionisti, i dipendenti, l’impresa, ed ora, anche per la società (vedi figura 5.2 a). Dalla RESPONSABILITA’ solo ECONOMICA alla AZIONISTI RESPONSABILITA’ SOCIALE AZIONISTI SOCIETA' responsabilità sociale VALORE PER DIPEN IMPRESA responsabilità economica DIPENDENTI one bottom line IMPRESA triple bottom line Dalla RENDICONTAZONE ECONOMICA alla RENDICONTAZIONE SOCIALE Figura 5.2 a: dal triangolo del valore al quadrilatero del valore. (Fonte: L. Hinna, 2002, p. 75) In tale contesto la rendicontazione dell’impegno sociale, finisce per essere un fattore competitivo dell’azienda, con valenza diversa a seconda del tipo di azienda, ma comunque positivo682. In linea generale, per le imprese for profit, la pubblicazione di un bilancio sociale è riconducibile ad un triplice ordine di motivi: • la consapevolezza che l’attività d’impresa produce effetti sociali che la contabilità economica generale non riesce a cogliere e rappresentare; 680 Cfr. Commissione delle Comunità Europee, 2001, Libro verde “Promuovere un quadro europeo per la responsabilità delle imprese”, Bruxelles, p. 19. 681 Cfr. L. Hinna, 2002 b, op. cit., p. 71 682 Cfr. L. Hinna, 2000, op. cit., p. 361-362. • la convinzione che la riclassificazione dei dati di bilancio può mettere in evidenza significativi effetti sociali dell’attività d’impresa; • una visione d’impresa come centro di convergenza di vari gruppi di soggetti. Ciò nonostante, la massimizzazione del profitto rimane sempre il meccanismo principale di orientamento dell’attività imprenditoriale ed il reddito si configura come fine e miglior strumento di valutazione del perseguimento dei fini aziendali683. Da queste considerazioni deriva che la rendicontazione sociale si pone a completamento ed integrazione del bilancio di esercizio, il quale, se redatto in maniera trasparente, rimane lo strumento di fondamentale informazione dei risultati aziendali raggiunti. In quest’ambito il bilancio sociale può essere visto come sistema contabile e descrittivo che tratta dei costi e dei ricavi non direttamente afferenti alla gestione caratteristica, raccontando i comportamenti sociali dell’impresa, aldilà di quello che essa scambia sui mercati dei prodotti e servizi. Gli scopi per cui viene genericamente redatto vengono individuati in: pubbliche relazioni (per dare un’immagine positiva dell’impresa); strategia sociale (ossia come strumento per verificare i risultati raggiunti in relazione alle attese degli stakeholder); difesa documentata (contro atti di accusa che minano la sopravvivenza dell’impresa); miglioramento delle relazioni industriali. In relazione a questi, i contenuti usualmente rendicontati sono: il valore aggiunto prodotto e/o distribuito; condizioni di vita o lavoro dei dipendenti; impatto sull’ambiente; rapporto con consumatori e clienti; rispetto dei diritti dell’uomo; trattamento delle emarginazioni e delle minoranze; comportamenti corretti nelle pratiche di affari e con i pubblici poteri; impatto socio-economico-culturale sulla comunità circostante. In relazione ai contenuti ed alla struttura, si possono evidenziare diversi modelli di bilancio sociale. Rispetto ai contenuti, Rusconi, in una classificazione poi ripresa da Andreaus, propone una distinzione tra i diversi strumenti informativi utilizzabili, precisando che questi non sono nettamente separabili, essendo i bilanci sociali strumenti compositi, ed il loro “peso”: l’elenco delle spese sociali; l’inventario sociale; l’analisi dei 683 Cfr. A. Propersi, 1999, op. cit., pp. 14-16. programmi; gli indicatori sociali standardizzati; il bilancio socio-economico calcolo del valore aggiunto)684. Massei, invece, inquadra questi strumenti Risorse dedicate (analisi costi-benefici e/o Bilancio sociale Analisi costi-benefici Informazioni sociali ed indicatori Budget e programmi sociali Descrizione azioni sociali nell’ambito della tutela dell’interesse pubblico in ottica di relazione PA- Grado di intensità della responsabilità sociale Figura 5.2 b: gli strumenti di misurazione dell'interesse pubblico. (Elaborazione su M.A. Massei, 1992) imprese. L’autrice, seppur con differente tassonomia rispetto alla precedente ma sostanzialmente in accordo per quanto riguarda i contenuti, ritiene che strumenti di misurazione della responsabilità sociale siano: la descrizione delle azioni sociali; il budget e i programmi sociali; informazioni sociali ed indicatori; analisi costi-benefici; bilancio socio-economico685. 684 Il primo modello viene definito come la “proposta più semplice”, in quanto vengono contemplate solamente le spese sostenute dall’azienda nell’ambito del proprio ruolo sociale; in alcune configurazioni, queste possono essere collegate al conto economico per indicare costi sostenuti senza corrispondenti impegni contrattuali e giuridici, rimanendo comunque un mero elenco di iniziative prese, senza considerazioni né di efficacia, tanto meno di efficienza. L’inventario sociale è un modello più completo del precedente, consistendo in una rappresentazione dettagliata delle conseguenze sociali derivanti dall’attività aziendale, realizzati tramite varie unità di misura e modalità espositive; i dati non vengono tuttavia collegati tra loro, complicando l’operazione di sintesi e la comparabilità. L’analisi dei programmi raccoglie valutazioni fatte su specifici obiettivi, facilitando il calcolo dell’efficienza e dell’efficacia. Il quarto modello rappresenta una serie di dati statistici relativi ai risultati sociali conseguiti in determinate aree e quindi risulta assimilabile a quello per obiettivi, ma se ne differenzia per la sistematizzazione e standardizzazione di voci e misure, facilitando la comparabilità. Il bilancio socio-economico ha lo scopo principale di giungere ad un dato complessivo sul risultato aziendale, fornendo una valutazione socio-economica dell’intera gestione; i contenuti possono assumere differenti configurazioni a seconda della complessità e soggettività delle valutazioni: (a) calcolo del valore aggiunto; (b) presentazione di analisi quantitative costi-benefici. Cfr. M. Andreaus, 1996 a, op. cit., pp. 222 e segg. ; G. Rusconi, 1988, op. cit., p. 55. 685 I primi due sono consequenziali l’uno all’altro, poiché la descrizione è condizione necessaria per la progettazione del budget; sono modalità per intervenire nelle aree di interesse pubblico indicate dalle amministrazioni, soprattutto quando queste non dispongono di un adeguato sistema diretto di misurazione degli effetti esterni. Si distinguono tre modalità di intervento: la descrizione non formalizzata delle azioni sociali rispetto al rapporto tra risorse disponibili e risultati ottenuti; l’indagine sulla “percezione del bisogno” (rispetto a quanto indicato dalla P.A.) per rilevare standard di aspettative della comunità su cui basare i programmi; progettazione, coordinamento e realizzazione di autonomi programmi sociali (massima discrezionalità). Il terzo strumento viene considerato un affinamento dei precedenti, ampliando l’oggetto di rilevazione agli effetti esterni causati dalle imprese a vantaggio e svantaggio della comunità e della qualità della vita; non impone di per sé delle decisioni, ma fornisce elementi al processo decisionale o interpreta risultati conseguiti. Le informazioni sociali Tali strumenti sono poi classificabili secondo il grado di intensità di responsabilità sociale cui assolvono e a seconda delle risorse da dedicare per adempiere a tale funzione come nella figura 5.2 b. Uno dei temi maggiormente dibattuti in merito al contenuto del bilancio sociale, sia in ambito for profit che non profit, è la predisposizione di bilanci socio-economici, il cui scopo è quello di reinterpretare i risultati economici dell’azienda al fine di far emergere gli aspetti sociali della gestione. La soluzione da più parti proposta, è quella di evidenziare la ricchezza prodotta e quella distribuita ai vari interlocutori dell’azienda, costruendo un prospetto per l’analisi economica del valore aggiunto (VA)686, partendo dallo schema di conto economico e reinterpretando in chiave possono assumere diverse forme (quantitativa o descrittiva, neutrale o valutativa) e scopi: lo sviluppo di informazioni sugli effetti sociali del comportamento d’impresa, stabilire obiettivi e standard, misurare l’efficacia degli sforzi profusi. L’analisi costi-benefici consiste in un processo di valutazione e di selezione degli impieghi alternativi capaci di perseguire un livello di razionalità decisionale maggiore rispetto ai processi di negoziazione politica e sociale (Cfr. E. Borgonovi, R. Dellamano, 1983, L'analisi costi-benefici, Fondazione Smith Kline, F.Angeli, Milano, p. 21); è uno strumento particolarmente utile per confrontare le alternative piuttosto che per giudicare in termini di massimizzazione del vantaggio di un intervento rispetto ad un altro; inoltre, è utilizzato soprattutto nelle decisioni riguardanti l’allocazione delle risorse tra aree di interesse pubblico, correlando gli effetti di specifici programmi sociali alle risorse impiegate, misurando in termini economici l’utilità dei programmi selezionati (cfr. M.A. Massei, 1992, op. cit., p. 181 e segg.). Nella letteratura l’ultimo strumento, il bilancio socio-economico, è uno strumento contabile che ha lo scopo di rendere trasparente le informazioni quali-quantitative sulle azioni poste in essere dall’impresa per seguire la responsabilità sociale (Cfr. D. Votaw , P. Sethi, 1973, The corporate dilemma, Prentice-Hall, Englewood Cliffs, N.J.; N. Jacoby, 1973, Corporate power and social responsibility, MacMillan, New York; S. Salvemini, 1978, A che punto siamo con il bilancio sociale?, in Sviluppo e Organizzazione, n. 47; J. Bonal, 1982, Il bilancio sociale dell'impresa, in L'impresa e l'ambiente, prospettiva del management ambientale, Etas Libri, Milano; A. Matacena, 1984, op. cit.). Essendo inoltre uno strumento di informazione per la presa di decisioni di natura sociale (Cfr. E. Cavalieri, 1981, Aspetti sociali dell'informazione, in Rivista Italiana di Ragioneria e di Economia Aziendale, n.3, p.118), esso costituisce un momento di sintesi dei valori economico finanziari diretti e derivati dal processo di valorizzazione degli effetti sociali, processi condotti con metodologie diverse, anche allo scopo di comparare i risultati di diversi periodi amministrativi (Cfr. F. Superti Furga, 1977, op. cit., p. 22; L. Selleri, 1982, Il bilancio d'esercizio d'impresa in un ambiente in profondo cambiamento, in Rivista dei Dottori Commercialisti, n.4, p. 873). Per un approfondimento, cfr. M.A. Massei, 1992, op. cit., cap. 5. 686 Non esiste una definizione univoca di valore aggiunto. Si possono inizialmente distinguere due logiche di interpretazione: una prima, utile ai fini del presente lavoro, considera tale grandezza economica in ottica sociale, atta a misurare i risultati gestionali in una logica di ricerca del consenso basata su rapporti partecipativi; un’altra che la considera in ottica esclusivamente economica (cfr. M. Andreaus, 1996 a, op. cit., p. 160). La definizione maggiormente diffusa è quella che vede tale aggregato come la “maggior ricchezza” che scaturisce dalla gestione dell’azienda, ossia come differenza tra il valore dei beni e servizi che l’azienda acquista all’esterno (input) ed il valore dei beni e servizi che l’azienda colloca sul mercato al termine del ciclo produttivo (output) (cfr. G. Airoldi, G. Brunetti, V. Coda, 1994, Economia Aziendale, Il Mulino, Bologna). Altri definiscono il VA come quel valore creato esclusivamente dall’attività dell’impresa e dei suoi dipendenti, misurato dalla differenza tra il valore di mercato dei beni prodotti ed il costo dei beni e dei materiali acquistati da altri produttori, ossia ciò che essa addiziona ai beni e servizi consumati dopo l’acquisto sul mercato, per effetto della trasformazione (Cfr. A. Matacena, 1984, op. cit.). sociale i risultati economici687. Tale riclassificazione , inoltre, migliorerebbe la capacità informativa (soprattutto nel caso di “imprese sociali”, vedi capitoli precedenti) di tale conto, facendogli assumere un ruolo di strumento strategico di comunicazione688. Trattandosi però di una reinterpretazione della tradizionale informazione economica, essa rientra comunque nell’ambito di quest’ultima, e non di quella sociale: la dottrina economico aziendale tende quindi, prevalentemente, a non far coincidere il bilancio sociale con tale riclassificazione689. L’analisi del valore aggiunto non va pertanto confusa con il bilancio sociale, ma al più può costituire una valida base di partenza per la costruzione di tale documento690. Partendo da tali presupposti, le varie remunerazioni corrisposte ai differenti interlocutori non sono più viste come un costo, bensì come una distribuzione della ricchezza creata. Lo schema di calcolo di questo aggregato, utile per interpretare calcoli algebrici691, può essere rappresentato come nella figura 5.2 c692. 687 Per approfondimenti sul conto economico a valore aggiunto, cfr. M. Andreaus, 1996 a, op. cit., pp. 159-196; A. Matacena, 1984, op. cit., pp. 135-159; G. Rusconi, 1988, op. cit., pp. 64-66; O. Gabrovec Mei, 1984, Il valore aggiunto d’impresa, Libreria Goliardica, Trieste . 688 Cfr. G. Marcon, M. Tieghi, 2000, op. cit., p. 98. 689 Alcuni degli autori che aderiscono a tale impostazione sono già stati citati, e a questi si rimanda: Andreaus, Rusconi, Cassandro, O. Gabrovec Mei. 690 Cfr. M. Andreaus, 1996 a, op. cit., p. 160. 691 Le determinazioni del VA derivano da flussi informativi mutuati dalla contabilità generale, potendo quindi, come detto, operare riordinando la classi di valori contenuti nei prospetti di Conto Economico (C/E), integrati dai flussi informativi sulla destinazione del risultato scaturenti dalla Relazione sulla gestione. Valgono infatti le seguenti relazioni: [1] VA = VGP – CI [2] VA = Σ remunerazione degli interlocutori interni dove: VGP = valore globale della produzione CI = consumi intermedi Il risultato della trasposizione degli elementi di C/E e di riparto del reddito sono due distinti prospetti: quello di determinazione del valore aggiunto [1] e quello di riparto del VA [2], tra loro equivalenti. Tale equivalenza viene dimostrata dalle seguenti relazioni algebriche che esprimono la determinazione del reddito e il sui riparto: [3] R. Car. – (CI + RP + RPA + RCC) ± CO. Acc. e Str. - AMM = U [4] U = Div + Acc. Ris. + DL + IR dove : R. Car. = ricavi caratteristici CO.Acc. Str.= componenti accessori e CI = consumi intermedi straordinari RP = remunerazioni del personale AMM = ammortamenti RPA = remunerazione della PA Div = dividendi RCC = remunerazione del capitale di credito Acc. Ris. = accantonamenti a riserva IR = imposte sui redditi DL = distribuzioni liberali Congiungendo a sistema le due relazioni ed operando le necessarie trasposizioni si ottiene la seguente uguaglianza, la quale esprime l’equivalenza numerica tra il va determinato nei due prospetti: (R. Car. – CI) ± CO.Acc. e Str. - AMM = RP + RPA + RCC + Acc. Ris. + Div + DL sezione di determinazione = sezione di riparto Cfr. O. Gabrovec Mei, 2002, Bilancio sociale e valore aggiunto, in Hinna L. (a cura di), 2002 c, Il bilancio sociale, Il sole 24 ore, Milano, pp. 373 – 375. Negli ultimi anni, per completare infine il quadro di riferimento sulla rendicontazione sociale in ambito for profit, si nota un grande sviluppo di studi AMBIENTE (inputs) AZIENDA (permutatore) AMBIENTE (outputs) Valore delle risorse che l’azienda acquista dall’ambiente (materie prime e servizi) Attività di trasformazione che accresce il valore delle risorse acquisite Valore delle risorse che l’azienda cede all’ambiente (merci e servizi) Valore Aggiunto Lordo AMMORTAMENTI E QUOTE AI FONDI RISCHI Valore Aggiunto Netto Ricchezza distribuibile INTERESSI PASSIVI TRIBUTI RETRIBUZIONI BENEFICI SOCIALI NETTI INTEGRAZ. SALARIALI, SERV. VARI UTILE D’ESERC. Finanziatori P.A. Dipendenti Collettività Soci/Associati Potenziam. azienda Interlocutori aziendali Figura 5.2 c: formazione del valore aggiunto e sua distribuzione, schema esemplificativo. (Fonte: M. Andreaus, 1996, p. 162) 692 La parte superiore della figura rappresenta il ciclo di produzione che dà luogo alla creazione di valore aggiunto. La particolarità del processo di determinazione consiste nella collocazione degli ammortamenti “a valle” della determinazione dell’output, ma non della ricchezza distribuibile: mancando in dottrina una precisa posizione circa la collocazione di questa voce nello schema (da una parte, considerata come parte integrante del VA, come ricchezza da destinare ad autofinanziamento, oppure, diversamente, come costo correlato con l’utilizzo di un fattore produttivo a fecondità ripetuta), si opta quindi per una collocazione fuori dei costi relativi ad input di beni e servizi, ma a monte della determinazione della ricchezza distribuibile. La parte inferiore dello schema evidenzia invece il processo di distribuzione della ricchezza prodotta, evidenziando i maggiori interlocutori dell’azienda, collegando a questi le voci di conto economico che derivano direttamente dal rapporto intercorrente con la stessa azienda (di lavoro, di finanziamento, di compartecipazione, ecc.) i quali, anziché essere considerati costi d’esercizio, vengono considerate come distribuzione della ricchezza. Cfr. M. Andreaus, 1996 a, op. cit., pp . 162-165. teorici ed applicazioni del bilancio sociale d’impresa, che ha comportato lo sviluppo di principi, regole e modelli di redazione, per lo più su base volontaria693; possono quindi essere presentati in maniera estremamente sintetica diverse strutture di bilancio sociale. Il modello di redazione del bilancio sociale di Comunità e Impresa si articola in cinque sezioni: mission e vision aziendale in relazione ai rapporti con la società e la cultura d’impresa; il calcolo della distribuzione del valore aggiunto; la mappatura degli stakeholder significativi e delle interazioni strategiche con l’impresa; il budget sociale;la valutazione della qualità sociale (VQS)694. Momento centrale e qualificante di questo tipo di bilancio è la mappatura degli stakeholder e l’influenza nella vita dell’azienda, utilizzando criticamente diversi schemi di valutazione del comportamento d’impresa nei confronti dei vari interlocutori. Il bilancio sociale proposto dal GBS (gruppo di studio sul bilancio sociale) si compone, invece, di tre parti distinte ma strettamente interrelate: 693 • l’identità dell’azienda; • il calcolo e la distribuzione del valore aggiunto; • la relazione sociale695. Cfr. G. Rusconi, 2002, Impresa, accountability e bilancio sociale, in Hinna L. (a cura di), Il bilancio sociale, Il sole 24 ore, Milano, pp. 248-249. 694 La prima sezione comprende l’analisi delle caratteristiche e dei confini territoriali dell’area socioeconomica direttamente influenzata dall’azione imprenditoriale; la definizione di valori di fondo, identità culturale, obiettivi strategici e struttura organizzativa dell’impresa; nella seconda si include anche l’analisi dell’entità e della destinazione degli investimenti; la mappatura degli stakeholder viene fatta al fine di valutare in quantità e qualità gli effetti su questi dell’attività d’impresa; nel budget sociale si delineano impegni e connessi investimenti rilevanti ai fini sociali decisi nel piano strategico aziendale; la valutazione della qualità sociale (VQS), consiste nel rating sociale (vedi oltre, nelle pagine finali) attribuibile all’impegno sociale in comparazione con organizzazioni analoghe. Cfr. A. Martinelli, 2002, Il modello Comunità e impresa: stakeholder e responsabilità sociale, in Hinna L. (a cura di), Il bilancio sociale, Il sole 24 ore, Milano, pp. 409-412. 695 La prima parte si incentra sulla scelta degli obiettivi, sul modo di realizzarli, sui rapporti con gli stakeholder, che definiscono l’identità aziendale. Elementi che stabiliscono tale identità sono l’assetto istituzionale, i valori di riferimento, le strategie e le politiche. La seconda parte, nei contenuti e nei concetti, è quella proposta precedentemente nel seguente lavoro con lo scopo di ancorare il bilancio sociale ai dati contabili. L’ultima parte è dedicata alla descrizione dei risultati connessi all’attività aziendale, analizzati sotto tre dimensioni: gli obiettivi da conseguire, quelli realmente conseguiti, quello che i destinatari ritengono di aver ottenuto. Questa relazione ha contenuto definito e può essere divisa in due sezioni: nella prima si descrivono gli obiettivi proposti, le norme di comportamento e gli stakeholder destinatari, nonché quelli in prevalente rilievo; nella seconda vengono presi in considerazione gruppi di stakeholder e per ciascuno viene definito un minimo comune contenuto di informazioni: politiche perseguite, collegate a risultati programmati, missione e valori, le aspettative avvertite e il grado di soddisfazione degli interlocutori. Oltre alle informazioni comuni, possono poi esserne fornite altre, variabili da gruppo a gruppo, al fine di completare il quadro. Cfr. F. Vermiglio, 2002, Il modello GBS, in Hinna L. (a cura di), Il bilancio sociale, Il sole 24 ore, Milano, pp. 464-469. Lo stesso GBS indica poi i principi696 che presiedono alla formazione del bilancio sociale e che garantiscono completezza e attendibilità alle informazioni in esso contenute, nonché la trasparenza del procedimento seguito per la sua redazione, in riferimento alla sfera dell’etica, alla dottrina giuridica e alla prassi della professione contabile. Il modello IBS (Istituto Europeo per il Bilancio Sociale) è volto alla gestione dello sviluppo sostenibile, e si fonda sugli standard GBS (ampliati ed articolati da altri due principi697). Si basa su un processo di redazione articolato in diverse fasi (introduzione metodologica, identità, rendiconto di valore, relazione sociale, sistema di rilevazione, proposta di miglioramento, attestazione di conformità procedurale), tutte volte al miglioramento delle prestazioni sociali nei confronti degli interlocutori aziendali698. 696 I principi alla base sono: Responsabilità (identificazione preventiva di a chi rendere conto), Identificazione (esplicitazione dell’identità aziendale), Trasparenza (del procedimento di redazione), Inclusione (dar voce a tutti gli interlocutori), Coerenza (congruenza tra obiettivi, scelte, politiche e valori), Neutralità (imparzialità nelle informazioni), Competenza di periodo, Prudenza, Comparabilità Comprensibilità, chiarezza ed intelligibilità, Periodicità e ricorrenza, Omogeneità (dei dati monetari), Utilità (rispetto delle aspettative), Significatività e rilevanza (dei fatti riportati), Verificabilità dell'informazione, Attendibilità e fedele rappresentazione, Autonomia delle terze parti (incaricati di realizzare parti del bilancio sociale). Cfr. GBS, 2001, Principi di redazione del bilancio sociale, Adnkronos Comunicazione S.p.A., Roma. 697 Tali principi continuità aziendale e misurabilità del grado di soddisfazione dei soggetti interni ed esterni all’organizzazione 698 Nel giugno del 2001 l’IBS definisce il PRO.G.RE.S.S., un meta-processo in grado di canalizzare le azioni dell’impresa volte al miglioramento delle proprie performance economiche, sociali ed ambientali e, latamente, all’aumento della qualità delle proprie prestazioni. Questo definisce un percorso coordinato, trasversale e multidisciplinare di attività finalizzate alla promozione del cambiamento, in ottica di miglioramento verso una gestione economicamente e socialmente responsabile; il percorso, infine, è monitorato e rendicontato a cadenza periodica attraverso il documento del bilancio sociale. Le fasi si articolano nel seguente modo: (1) introduzione metodologica: raccoglie i principi generale o postulati da osservare nella formulazione del bilancio sociale; (2) identità: in questa sezione emergono tutti i tratti distintivi dell’impresa, descrivendo il modo di essere e di proporsi sul mercato (attraverso: cenni storici, contesto di riferimento, valori, missione, assetto istituzionale ed organizzativo; disegno strategico, piano programmatico, scelte qualificanti); (3) rendiconto di valore: è la sezione che collega il bilancio sociale a quello di esercizio, con l’espressione del valore aggiunto e degli indicatori di efficienza ed efficacia; (4) relazione sociale: esprime i vari aspetti dello “scambio” sociale tra impresa e stakeholder, al fine di mostrare l’apporto complessivo dell’attività d’impresa; ne sono oggetto l’analisi della gestione, sviluppo e valorizzazione di ogni singolo interlocutore (risorse umane, soci/azionisti, clienti, fornitori, Stato ed Autonomie Locali, collettività - persone, ambiente, media, comunità virtuale) per mezzo di indicatori statistici che permettano il monitoraggio dell’interscambio, della coerenza con missione e valori e delle aspettative degli interlocutori; (5) sistema di rilevazione: processo in itinere che verifica il comportamento d’azienda secondo il giudizio degli stakeholder; la metodologia utilizzata segue la prassi in uso nello svolgimento delle ricerche socio-economiche attraverso metodiche integrate qualiquantitative o con metodi di indagine; (6) proposta di miglioramento: parte conclusiva del processo, sulla scorta dei risultati della rilevazione sugli stakeholder, il vertice d’impresa indica gli orientamenti di miglioramento per la futura gestione; questa lega il bilancio sociale alla filosofia dei sistemi di In una recente pubblicazione, Hinna699 propone una mappa logica (figura 1.5 d) utile per cogliere le sfumature tra (la rendicontazione e) il bilancio economico e le varie forma di (rendicontazione e) bilancio sociale . Per le aziende non orientate al profitto, al contrario che per le for profit, la rendicontazione sociale assumerebbe il carattere di indispensabilità700, poiché queste trovano nel bilancio di esercizio, sintesi della rendicontazione economica, fatto di “cifre” e “parole” per rappresentare i “fatti della gestione” (risultato in senso economico, patrimoniale e finanziario) che per effetto di questa si sono venuti a creare701, limiti oggettivi ad una rappresentazione chiara, veritiera e corretta dei risultati ottenuti e delle azioni intraprese per raggiungerli. Nell’impostazione del bilancio sociale, come detto in introduzione di capitolo, di una ANP si devono infatti rispettare le tipicità di questi enti in quanto finalizzati a produrre utilità sociale702; i fatti e la informazioni quali-quantitative sulle attività sociali svolte dalla struttura non profit costituiscono, quindi, il risultato della gestione caratteristica che la rendicontazione deve esprimere. qualità; (7) attestazione di conformità procedurale, in analogia alla revisione del bilancio di esercizio (vedi oltre). Cfr. R. Marziantonio, 2002, Il modello IBS di bilancio sociale: gestione responsabile per lo sviluppo sostenibile, in Hinna L. (a cura di), Il bilancio sociale, Il sole 24 ore, Milano pp. 499 e segg. . 699 Cfr. L. Hinna, 2002 b, op. cit., p. 9. 700 Cfr. A. Hinna, 2002, Il bilancio di missione: il bilancio sociale delle organizzazioni non profit, in Hinna L. (a cura di), Il bilancio sociale, Il sole 24 ore, Milano, p. 421 e segg. 701 Cfr. L. Hinna, 2000, op. cit., p. 364 e O. Gabrovec Mei, 1999, Il linguaggio contabile, itinerario storico e metodologico, Giappichelli, Torino. 702 Nelle ANP, infatti, il patrimonio è spesso assente, come nel caso delle associazioni; essendo non profit, come detto nei capitoli precedenti, “manca” anche un “profitto” (i termini sono appositamente virgolettati, poiché su questi sono necessari approfondimenti e distinzioni rispetto al significato letterale o di uso corrente, per cui si rinvia al capitolo 2) e se questo c’è, è uno strumento della gestione, non un obiettivo principale. Conseguentemente, non solo il bilancio delle cifre, ma anche quello delle “parole” che spiega i principi adottati per determinare il risultato, perde gran parte dell’importanza usualmente attribuitagli, assumendo invece grande rilevanza la rendicontazione dei fatti realizzati, poiché in assenza di altri indicatori significativi questo diviene indicatore di performance. Per le ANP non è il risultato economico della gestione, bensì quello della gestione caratteristica raccontato mediante i fatti e informazioni quali-quantitative sulle attività svolte a causa/per merito delle finalità sociali che l’azienda non profit si è posta di perseguire. Inoltre, negli stakeholder prevale nettamente l’interesse alla conoscenza di aspetti sociali della gestione, rimanendo quella sugli aspetti economici una “curiosità, uno strumento per realizzare il fine. Come non si mancherà di dire in seguito, la rendicontazione sociale affianca quella economico-patrimoniale, completandone la “potenza informativa”. A differenza delle imprese for profit, nelle non profit non esiste un rischio di concorrenza tra iniziative sociali e finalità economiche della gestione che potrebbero “insospettire” e scontentare uno stakeholder economico interessato al suo dividendo, poiché in queste aziende si misura dapprima l’efficacia nell’erogazione di servizi o di risorse finanziarie, poi eventualmente con il reddito. Per effetto delle finalità di utilità sociale, quindi, la rendicontazione economica non riesce a cogliere tutti gli aspetti della gestione caratteristica, in quanto “sociale”. Cfr. L. Hinna, 2000, op. cit., p. 364-365. Nell’utilizzo di “parole” e “cifre”, queste ultime assumono un ruolo subordinato ed esplicativo dei fatti, risultando la situazione opposta a quella del bilancio di esercizio: da ciò deriva che per le ANP quella sociale è l’unica forma di rendicontazione capace di descrivere la sua attività, e non “un’altra” forma come succede per le imprese for profit; questo può essere inteso come un “qualcosa” che l’organizzazione fa per comprendere e comunicare come e quanto sia stata capace di realizzare la Rendicontazione Sociale Tipo di rendicontazione Economica Strumento Bilancio tradizionale Bilancio ambientale Bilancio/Rapporto Sociale Bilancio di Missione (non profit) Forma Dettata dalla norma Prassi consolidata Prassi non ancora consolidata Destinatari Shareholder e stakeholder economici Ambientale Sociale Qualità, Etica, Sicurezza, Sostenibilità Altri stakeholder (anche se divisi per categoria sociale) Partecipanti all’impresa Figura 5.2 d: le rendicontazioni: schema di sintesi (Fonte: L. Hinna, 2003) propria missione. Da questo deriva la definizione di “bilancio di missione”703 per le aziende non profit, strumento necessariamente caratterizzato da contenuti, sistemi di rilevazione, e modalità di rappresentazione assolutamente nuovi, il cui fine è quello di comunicare la mission perseguita, rendicontare i risultati conseguiti e le azioni poste in essere per raggiungerli ed infine dimostrare la coerenza tra gli elementi detti. 703 Questa espressione è stata per la prima volta utilizzata, in occasione della proposta di bilancio delle fondazioni bancarie, nel 1996 (cfr. L. Hinna, 1996, I sistemi di rappresentazione e di controllo delle attività realizzate: una proposta di bilancio per gli enti conferenti, in ACRI, Primo rapporto sulle fondazioni bancarie, ACRI, Roma), “migrata” poi nel mondo accademico (in occasione del Convegno di Taormina del giugno 1997 sul bilancio sociale, organizzato dalla Accademia Italiana di Economia di Azienda, e ad opera di autorevoli studiosi: cfr. G. Bruni, 1997), e nel mondo delle Fondazioni (cfr. L. Hinna, 1998, Il bilancio di missione come strumento di rendicontazione sociale delle fondazioni, in ACRI, Terzo rapporto sulle fondazioni bancarie, ACRI, Roma). Va poi chiarito che il termine “bilancio” potrebbe essere potenzialmente fuorviante, in quanto il documento in oggetto non è di tipo strettamente contabile, coesistendo in esso informazioni qualitative che esprimono - volendo continuare ad usare la terminologia appena adottata - valori e fatti, e dati quantitativi, le cifre, derivanti da un sistema di indicatori, utilizzato per monitorare le attività istituzionali, ed una selezione di valori finanziari, economici e patrimoniali. Il documento appare quindi a “schema aperto” e, pur essendo pienamente integrato nel sistema di bilancio tradizionale, appare dotato di una propria autonomia. Emerge il tal modo uno spirito in larga parte “descrittivo”, nel quale dati di tipo quantitativo assolvono alla duplice funzione di: • permettere la misurazione di grandezze necessarie alla comprensione ed alla valutazione delle situazioni e dei fatti descritti; • raccordare il documento stesso con quelli contabili704. Tipologia di Informazione Valori etici identità Fatti Bilancio di Missione gestione Contenuti Missione Settori d’intervento Linee di azione Assetto giuridico istituzionale Valori Organi Modello operativo Assetto organizzativo Processi primari Attiv. di raccolta fondi Gest. del patrimonio Altro Iniziative/progetti realizzati Cifre Stakeholder coinvolti risultati Rendicontazione economica Altro Figura 5.2 e: bilancio di missione e tipologie di informazioni rendicontate. (Fonte: A. Hinna, 2002, p. 423) 704 Cfr. G. Marcon, M Tieghi, 2000, op. cit., p. 103. Secondo Matacena, attraverso cifre, fatti e valori etici, il bilancio di missione può garantire, sia all’interno che all’esterno dell’azienda, la trasparenza amministrativa, quella gestionale e quella istituzionale705, derivando da queste una logica di rappresentazione e classificazione delle informazioni finalizzata a dimostrare come l’azienda in oggetto, una volta dichiarata la propria missione, sia stata capace di creare valore, rimanendo coerente nei valori etici, nella scelta del sistema di governo, nell’organizzazione dei processi primari ed infine nei risultati ottenuti. A tal fine A. Hinna propone uno schema generale di classificazione delle informazioni contenute in questo (figura 5.2 e). La particolare configurazione del soggetto economico, come più volte ricordato706, nonché la centralità che la pubblica fiducia assume per la sopravvivenza e lo sviluppo delle aziende non profit, motivano il ricorso ad uno documento pensato ad hoc, che assolva ad una valenza sia interna che esterna. La rendicontazione interna tende a favorire l’identificazione tra aspettative del personale e finalità istituzionali dell’azienda, nonché di supporto agli organi decisionali per il controllo dell’impresa. In questo quadro, del bilancio di missione sembra spesso sottovalutato il ruolo fondamentale che svolge nella presa di decisioni e di “facilitatore” del sistema di relazioni tra l’area “aziendale” e quella “istituzionale”, permettendo la verifica degli obiettivi dichiarati e la coerenza con la missione, del posizionamento rispetto alle aspettative degli stakeholder, della performance dei soggetti “gestori”. La rendicontazione esterna è legata alla conquista e al mantenimento della condizione di legittimità, rendendo controllabili i comportamenti posti in essere. Dal vincolo di non distribuzione degli utili derivano alcune caratteristiche organizzativogestionali, nate dal particolare rapporto di agenzia che le contraddistingue: la mancanza di interessi proprietari diventa un limite per la salvaguardia del patrimonio e dei fini istituzionali. Le ANP, pur avendo molti stakeholder mancano di un efficace sistema di controllo sull’operato del management. In questo contesto appare evidente come uno 705 Cfr. A. Matacena, 1998, op. cit.. Ricordiamo che delle tre componenti del diritto di proprietà (controllo dell’impresa, disposizione di una quota degli utili, facoltà di trasferire gli utili), al soggetto economico dell’azienda non profit rimane solo il diritto di controllo. 706 strumento di rendicontazione sociale finalizzato alla massima trasparenza sulla gestione, oltre che sui risultati, possa assumere, in taluni casi, un valore di “garanzia alternativa” o “strumento di controllo” per la collettività di riferimento707. In riferimento a questo strumento possono inoltre essere enucleate due diverse valenze: una di comunicazione, e l’altra di rendicontazione. Il bilancio di missione permette all’ANP di raccontare se stessa, di comunicare i propri valori di riferimento, gli obiettivi ed i risultati raggiunti. Per raggiungere appropriatamente tutti gli interlocutori aziendali (che hanno rapporti sia economici, ma anche extra-economici), questo deve utilizzare codici semantici e canali di comunicazione idonei ad innescare un vero e proprio processo comunicativo, per “massimizzare” la possibilità di comprensione degli elementi informativi. Per far ciò, punto di partenza della costruzione non è solo un vettore di obiettivi, tra cui la trasparenza, ma anche di destinatari da raggiungere; in secondo luogo, occorre uscire da uno schema di mera trasmissione di informazioni, per passare ad una bidirezionalità modificando lo schema dal semplice reporting ad una relationship708. Nel processo di comunicazione aziendale, infine, bisogna tener conto delle specificità della tipologia di azienda in questione, in merito alle finalità, ai contenuti, al valore dell’attività. Nelle ANP, infatti, lo scopo del bilancio di missione è quello promozionale di azioni finalizzate al bene della collettività; i contenuti sono altamente trasparenti, poiché, inversamente che nelle imprese for profit709, la parzialità dell’informazione non “paga”, potendo piuttosto pregiudicare l’attività; l’attività di comunicazione non è opzionale, ma strumentale al reperimento di mezzi finanziari. La valenza principale, in ogni modo, rimane quella di strumento di rendicontazione. Dalle considerazioni finora svolte, il bilancio di missione, più che come semplice 707 Cfr. A. Hinna, 2002, op. cit., p. 428 – 432. Inoltre, il “render conto” in via generale (accountability), fare reporting agli stakeholder in via specifica, e creare una relazione biunivoca, attraverso la comunicazione, con gli stessi (stakeholder relationship) sono concetti che hanno un comune denominatore: il bilancio sociale nelle sue varie forme. Si pensa, invero, che la comunicazione economica sia rendicontazione in senso stretto (cioè codificata e predeterminata), mentre la comunicazione sociale sia solo comunicazione (cioè più libera nella forma). In realtà quest’ultima deve intendersi come un tipo vero e proprio di rendicontazione che deve rispondere ad esigenze particolari di accountability, pur non essendo soggetta ad una codificazione univocamente accettata. Cfr. A. Hinna, 2002, op. cit., p. 424 – 425; per un approfondimento, cfr. anche L. Hinna, 2002 c, op. cit., cap. 1. 709 Nelle imprese for profit, ad esempio, non viene generalmente rivelata la strategia competitiva, per non avvantaggiare i concorrenti, perdendo il vantaggio acquisito. 708 documento, quindi, deve essere inteso come risultato di un processo di rendicontazione, necessario per una continua dialettica con i propri stakeholder, potendo quindi essere inteso, come precedentemente detto, quale processo a doppio senso, ossia una relationship710. Il processo di creazione di una relazione con i propri interlocutori, seguendo l’approccio del Copenaghen Charter711, si adatta perfettamente alla logica operativa del bilancio di missione ed evidenzia come si colloca questo nella procedura, il cui schema di base è riportato nella figura 5.2 f. 710 Secondo L. Hinna, questo è un processo che dovrebbe coinvolgere più soggetti, tutti ugualmente attivi, quasi fossero partner dell’attività; i vari tipi di bilancio sociale, in quest’ambito, sarebbero gli strumenti di comunicazione, verso i quali le strutture non profit dovrebbero essere maggiormente interessate. Sempre secondo lo stesso autore, nella realtà italiana questi soggetti sono spesso distratti in materia di comunicazione e sono maggiormente attenti verso i risultati, ritenendo che sia automatica la divulgazione delle informazioni sui risultati ottenuti. Questa “automaticità” non è spesso tale, e quindi comunicare si rivela tanto importante quanto realizzare. Cfr. L. Hinna, 2000, op. cit., pp. 366-367. 711 Questo documento, presentato da un gruppo di lavoro misto composto da esperti di società internazionali di revisione nell’ambito della Terza Conferenza Internazionale su contabilità etica e sociale, auditing e reporting tenutosi dal 14 al 16 Novembre 1999 a Copenaghen, organizzato dall’ISEA (International Institute of Social and Ethical Accountability), schematizza appunto il processo di costruzione di una relazione con gli stakeholder. Il processo si articola in otto fasi distinte: (1) decisione dell’alta direzione di creare una relazione con gli stakeholder: il top management decide di gestire un rapporto duraturo ed articolato con questi, e di non lasciarlo più al caso, sintomo di grande maturità manageriale; (2) identificazione degli stakeholder chiave: ossia quelli che effettivamente permettono con il loro consenso la legittimazione ad esistere dell’impresa, necessario per identificare i fattori critici di successo ed i valori ai quali sono sensibili, potendo distinguerli secondo gradi di interesse ed influenza; (3) costruzione di un dialogo permanente, attraverso la scelta di opportuni canali e strumenti per creare un struttura “stakeholder oriented”; (4) individuazione degli indicatori, al fine di comunicare i risultati ottenuti in relazione ai fatti non espressi in termini meramente economici, aprendosi però un dibattito sui principi contabili da adottare, soprattutto per le imprese for profit, cercando di uscire dalla semplice riclassificazione del conto economico mostrando il valore aggiunto prodotto, essendo questo. Come già detto, pur sempre una rendicontazione in chiave economica che trova limiti di applicazione nel non profit; (5) monitoraggio, della performance e della coerenza tra strutture e valori, per non uscire “fuori tema”; (6) identificazione di azioni di miglioramento, attraverso budget ed obiettivi specifici; (7) predisposizione, verifica e pubblicazione del resoconto: il bilancio di missione si colloca proprio in questo punto, come risultato di una predisposizione, di una verifica esterna, e della pubblicazione; (8) consultazione degli stakeholder (feed-back), attraverso vari strumenti per gestire quello flusso di ritorno: interviste ed incontri con gli opinion leaders, opuscoli e questionari allegati al bilancio per raccogliere giudizi, utilizzo di focus groups. Cfr. L. Hinna, 2000, op. cit., p. 367 e segg. Idea di creare uno stakeholder reporting Approvazione del Top management Consultare gli stakeholder riguardo performance, valori e target di miglioramento Preparare, verificare e pubblicare il resoconto. Identificare stakeholder chiave, fattori critici di successo e valori Il processo dello stakeholder reporting Obiettivi, budget e piano d'azione per il miglioramento Monitorare performance e soddisfazione con i valori della compagnia Dialogo con gli stakeholder Determinare indicatori chiave, adattare sistemi di management dell'informazione Figura 5.2 f: il processo di creazione di una stakeholder relationship (Copenaghen Charter). (Fonte: L. Hinna, 2002, p. 90) Il processo di formazione del bilancio di missione si accomuna con quest’ultimo per alcuni elementi fondamentali, ossia lo scopo (assicurare all’azienda una bilanciata e sostenibile creazione di valore, sia interno che esterno, per tutti gli stakeholder); il metodo di management (basato sul dialogo e sui valori, avente il fine di creare e gestire una efficace rete di relazioni tra gli stakeholder); il rapporto dialettico (al fine di verificare che mission, vision e valori rispecchino aspettative, domanda e valori degli stakeholder chiave); valenza strategica (raccogliere le informazioni riguardanti opportunità e conflitti); il feed-back (al fine di assicurare che valori ed aspettative siano “inglobate” nella missione e nei valori dell’azienda stessa). Linee guida 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) 8) 9) verifica del livello gerarchico creazione di un gruppo di lavoro informazione alla struttura analisi interna definizione della gerarchia delle informazioni identificazione degli stakeholder chiave up-dating sulle best practices definizione delle linee guida taratura del documento Rapporto di missione 1) 2) 3) 4) 5) 6) Recupero dei contenuti linee guida Definizione dei contenuti di base Raccolta delle informazioni sulle attività svolte Formazione di schede informative per attività Definizione e segmentazione degli stakeholder Definizione dei canali di comunicazione Bilancio di missione 1) 2) 3) 4) Analisi del modello org./gestionale Definizione di un portafoglio di indicatori Riclassificaz. risultati per destinazione di stakeholder Predisposizione questionari per coinvolgimento degli stakeholder Social Audit Linee Programm. miglioramento Pubbli cazione Figura 5.2 g: processo di formazione del bilancio di missione. (Fonte: A. Hinna, 2002, p. 440) Il processo di costruzione di un bilancio di missione può essere articolato nelle seguenti fasi712, come descritto nella figura 5.2 g . • 712 Definizione delle linee guida713. Cfr. A. Hinna, 2002, op. cit., pp.438 e segg. La costruzione del documento “linee guida” sottende poi allo svolgimento di una serie di attività, non tutte cronologicamente correlate, sinteticamente esprimibili in: (a) verifica del livello gerarchico al quale si colloca il tema del bilancio di missione, ossia del grado di “convinzione” del top management nell’intraprendere il progetto; (b) creazione di un gruppo di lavoro, e, conseguentemente, il riconoscimento di un leader, la scelta di un modus operandi, delle funzioni di supporto, del calendario dei lavori, degli obiettivi di ciascuna fase ecc.; (c) informazione alla struttura dell’iniziativa, momento di formazione per fornire a tutti un minimo di conoscenza sul progetto, attraverso seminari interni, distribuzione del materiale sul tema, ecc.; (d) analisi interna, ossia valutazione di “fattori chiave” volti a: constatare il posizionamento strategico dell’azienda; scegliere il processo di definizione e costruzione del bilancio di missione; individuare punti di forza e di debolezza, le opportunità e le minacce (SWOT analysis); individuare del gap tra l’esistente ed il necessario relativamente alla documentazione prodotta; determinare la valenza “dominante” (ad esempio di controllo di gestione, di legittimità sociale, di raccolta fondi). Questi fattori fanno capo a diverse aree di indagine: la mission; i valori; gli obiettivi strategici; la storia, le iniziative attuate ed i successi ottenuti; il modello di governance; l’organizzazione interna e le risorse umane; i processi qualificanti; le attività; i destinatari delle attività; il funding mix; (e) definizione della gerarchia delle informazioni, potendo scomporre queste in ordine espositivo da quelle fondamentali, che trovano sintesi massima nella missione, fino all’unità di informazione minima (per progetto, per iniziativa ecc.) alla quale dovrà essere riferito il sistema di contabilità sociale (fatti e cifre); (f) identificazione degli stakeholder chiave, in base al quale scegliere il target del bilancio di missione, il livello di 713 In questo documento vengono definite le valenze che il bilancio di missione deve assumere ed i fattori critici di successo, potendo trarre da questo processo anche benefici indiretti sotto il profilo gestionale ed organizzativo, ossia carpirne le valenze esterne: la verifica degli obiettivi istituzionali e del posizionamento strategico, una spinta alla pianificazione, il coinvolgimento dell’organizzazione e la spinta motivazionale, il controllo di gestione e la tenuta della contabilità. In definitiva, il Documento linee guida ha lo scopo di fornire all’alta direzione le informazioni per valutare l’opportunità di avviare il processo di costruzione del bilancio di missione; per la definizione della strategia di rendicontazione sociale (documento ad uso interno, rapporto o bilancio di missione); per l’individuazione del target; per la modalità di gestione del progetto (partecipativa o in outsourcing) ed infine per i tempi di realizzazione. • Stesura del rapporto di missione714. Questo è sostanzialmente autonomo rispetto al bilancio di missione, essendo un documento in cui si espongono “i fatti attraverso le parole”, riorganizzando questi rispetto alle valenze esterne concordate, nonché rispetto alle diverse categorie di stakeholder individuati con i metodi precedentemente esposti. • Stesura del bilancio di missione715. approfondimento delle informazioni rendicontate, la definizione del “linguaggio” più opportuno. Utile a tal fine è una matrice a doppia entrata attività-stakeholder a cui collegarne una seconda che unisce il grado di interesse a quello di influenza, come prescritto nel Copenaghen Charter; (g) up-dating sulle best practices, breve analisi delle esperienze italiane ed estere più recenti e significative sulla materia, al fine di fare benchmarking; (h) definizione delle linee guida per la stesura del bilancio di missione, termine delle fasi precedenti e in cui confluiscono tutte le informazioni di queste, base per quelle successive; (i) taratura del documento da parte degli organi di vertice, prendendo nota di spunti di riflessione e suggerimenti. 714 Le fasi attraverso cui si può arrivare a tale risultato si sostanziano in: (a) recupero dei contenuti del documento “linee guida”, ossia riformulazione di alcuni temi oggetto di considerazione nella fase precedente (mission, manifesto dei valori, inventario delle attività realizzate, mappatura attivitàstakeholder, ecc.) ; (b) definizione dei contenuti di base, sulla base delle informazioni rilavate e a seconda che si tratti di un rapporto o di un bilancio; (c) raccolta delle informazioni sulle attività svolte, con studio dettagliato delle iniziative/progetti, cercando di cogliere gli elementi di successo, di valutarne i risultati e la coerenza con la missione dichiarata; (d) formazione di schede informative per attività, sintetizzando le informazioni precedenti sulla base del target individuato, al fine di far apprendere quanto è stato fatto, le valenze di ciò e di far scoprire i propri interessi al riguardo (potendo poi successivamente alimentare depliant, siti internet ecc); sulla base di queste viene poi costruito il rendiconto generale delle attività svolte; (g) definizione e segmentazione degli stakeholder, “oggettivizzati” rispetto alla prima parte del processo, resi parte delle informazioni del medesimo processo. Si compone perciò un portafoglio di interlocutori da relazionare con le iniziative e con i settori di intervento, formando un primo sistema di “contabilità dei fatti”; (h) definizione dei canali di comunicazione, e nel caso, una nuova riclassificazione degli stakeholder in base ai canali attraverso cui possono essere raggiunti. Il fine di questa fase è la massimizzazione dell’efficacia del progetto; (i) (eventuale) pubblicazione del rapporto di missione. Si compone qui il documento nel quale confluisce lo stato delle conoscenze acquisite nel corso del progetto; ai fatti del rapporto, precisamente, verranno affiancate le cifre prodotte da questi. Si notano, però, differenze fondamentali tra rapporto e bilancio: la forma, poiché il bilancio contabilizza secondo un modello di accountability (e non racconta semplicemente); il contenuto, poiché dichiara anche informazioni concernenti il sistema di governo e la gestione dell’organizzazione, oltre che i risultati ottenuti; i sistemi di rilevazione, poiché necessita di un sistema di rilevazione contabile per il calcolo degli indicatori e per la contabilizzazione dei “fatti” secondo differenti driver coerenti con i valori, la missione e i settori di intervento (mentre il rapporto è supportato solo da schede di attività). Chiarito il processo attraverso il quale si forma il bilancio di missione, si rende ora necessaria l’analisi dei contenuti e degli strumenti, nonchè dei suoi spazi ed i suoi limiti, del bilanciamento tra i diversi elementi informativi, tra loro coordinati ed integrati a sistema. Dapprima emerge, tuttavia, il quesito se queste tipologie di informazioni debbano trovare posto nel bilancio “tradizionale”, come afferma una parte autorevole di autori716, come un’esplosione della nota integrativa e della relazione sulla gestione, oppure debbano alimentare un documento separato. Altri autori717 sostengono che la 715 Le fasi per la costruzione di tale documento possono così sinteticamente riassumersi: (a) analisi del modello organizzativo/gestionale, al fine di rintracciare la coerenza tra queste, i valori, e la mission. Elementi da prendere in considerazione possono essere: il modello di governance, l’assetto giuridico, la struttura organizzativa e i meccanismi di coordinamento, le risorse umane (e la loro gestione), processi gestionali particolarmente significativi (ad esempio: procedure di selezione delle iniziative, sistemi di monitoraggio dei progetti, ecc.); (b) definizione di un portafoglio di indicatori: momento fondamentale di costruzione del bilancio di missione, si individuano indici per il controllo della performance aziendale, al fine di offrire una dimensione dei “fatti”, attraverso l’utilità sociale prodotta, il grado di soddisfazione dei bisogni e così via. Questi possono essere economici e non , ma specifici dell’azienda e correlati alla mission, all’attività esercitata, ai soggetti cui questa è rivolta; (c) riclassificazione dei risultati per destinazione di stakeholder: essendo costoro i soggetti principali cui il processo è rivolto, emerge l’opportunità di riclassificare attività e risultati conseguiti per destinazione e portatori di interessi; (d) predisposizione di un questionario per coinvolgimento degli stakeholder: con questo si offre all’organizzazione l’opportunità di rivisitare gli obiettivi di medio periodo, metodologie operative e strumenti di comunicazione; (e) pubblicazione, divulgazione, evento: oltre alla fase materiale di pubblicazione, infatti, può essere maggiormente incisiva la gestione di un “evento” , come un momento di legittimazione, da realizzare nello stile dell’organizzazione e con le modalità più consone alla tradizione dei rapporti tra azienda e territorio. 716 Tra gli altri, cfr. P.E. Cassandro, 1989, op. cit., p. 291; S. Terzani, 1987, Responsabilità sociale dell’azienda, in Saggi di Economia Aziendale, scritti in onore di Domenico Amodeo, CEDAM, Padova; N. Persiani, 1992, Alcune riflessioni in materia di informazione sociale d’impresa, in Analisi Finanziaria, n. 8, pp. 58-59. 717 Cfr. L. Hinna, 2000, op. cit., p. 372. separazione delle informazioni contabili da quelle sociali non sia in realtà un “problema”, ma una questione di pesi ed armonie grafiche; quello che preme sarebbe più l’autonomia informativa, aldilà della collocazione: l’importante sarebbe la scelta del linguaggio e della forma più accessibili alle categorie di stakeholder. Sempre secondo tali autori, poi, l’impostazione del bilancio di missione di una azienda non profit dovrebbe discendere dal “peso”, dalla priorità dei valori sui fatti e sulle cifre. Nelle realtà for profit, la priorità di rendicontazione segue una logica decrescente di importanza di cifre, fatti e valori; per le non profit, invece le priorità si rovesciano diventando prima quelle dei valori, poi quelle dei fatti e solo in ultimo quelle delle cifre. Ossia: sono i valori aggreganti quelli che ispirano i fatti gestionali ed i comportamenti ai quali conseguono le cifre, che, nel contesto di relazione con gli stakeholder assumono rilevanza marginale. Gli strumenti a disposizione delle ANP per realizzare un bilancio di missione possono essere: • per la rendicontazione economica, quella delle “cifre”, come già detto, lo strumento è il bilancio di esercizio; • per quella dei “valori”, strumento cardine è il “manifesto dei valori”; • per la rendicontazione dei “fatti”, lo strumento è costituito dalla “filigrana”, il cui compito è quello di incrociare le attività svolte e le differenti categorie di stakeholder718. Il manifesto dei valori può essere visto come il mission statement delle ANP; tale dichiarazione della missione deve esplicitare, in maniera chiara e concisa ciò che l’azienda vuole fare e come intende conseguirlo, comunicando tale “piano” ai suoi stakeholder in modo tale da consentire un riscontro in sede di rendicontazione. Il “come” si intende raggiungere la missione andrà poi coniugato con i valori specifici della struttura, potendo questi essere declinati in maniera differenziata da realtà e realtà; questo è l’aspetto che deve correttamente essere comunicato, quello che riscuote la legittimità sociale. La difficoltà insita in questo strumento non è la realizzazione, quanto piuttosto l’efficace, semplice ed in equivoca “trasmissione” agli interlocutori. 718 Questi tre strumenti compongono l’informativa minima anche nella metodologia di rendicontazione sociale proposta dal gruppo SocialMetrica, di cui si dirà successivamente. La “filigrana” (o matrice attività-stakeholder, vedi figura 5.2 h), invece, consiste in una matrice a doppia entrata dove da un lato si identificano i vari stakeholder interessati all’attività della struttura non profit, distinguendoli e classificandoli per livello di interesse (interni - esterni, diretti – indiretti, pubblici – privati, ecc.), e dall’altra si individuano le iniziative promosse. Settori d’intervento/attività Stakeholder A B C N x x A Persone fisiche x B x x C x x A Persone giuridiche x x B x x C x x A … x x B x C Figura 5.2 h: matrice stakeholder-attività, o "filigrana". (Elaborazione grafica su A. Hinna, 2002, p. 449) Logicamente, non tutte le attività interessano a tutti gli interlocutori; la filigrana, pertanto, finisce per essere una guida alla lettura del bilancio di missione e permette a ciascuna categoria di stakeholder di individuare le attività che più interessano, senza perdere però l’opportunità di avere una visione d’insieme di tutta l’attività svolta e dei soggetti coinvolti. All’incrocio di righe e colonne di dovrà cercare di quantificare gli effetti di tali attività per mezzo di opportuni indicatori, ovviamente attraverso riferimenti di pagina, legando così i fatti della gestione con la lettura degli stessi da parte degli stakeholder di riferimento. I due strumenti riportati sono poi contenitori aperti, non strutturati, che ciascuna azienda può coniugare differentemente per trovare il livello ottimale di comunicazione con i propri interlocutori719. Si dovrà poi parlare di bilanci di missione, al plurale, diversi gli uni dagli altri a seconda della tipologia di organizzazioni (ad esempio, seguendo la classificazione adottata nel presente lavoro: autoproduttrici, di erogazione ed imprese sociali, oppure in riferimento ad altre tassonomie)720. 719 Cfr. L. Hinna, 2000, op. cit., p. 374-376. Alcune discriminanti possono essere individuate ne: lo scopo mutualistico o altruistico (soprattutto per le aziende public benefit, in riferimento ai problemi del rapporto di agenzia precedentemente esposti, il bilancio di missione ha valenza di strumento di rendicontazione e garanzia alternativa per la 720 Fase successiva alla predisposizione del bilancio di missione è quella della verifica esterna (social audit721), 722 “autoreferenzialità” , indispensabile soprattutto quando per uscire il dalla documento trappola è della predisposto autonomamente dalla struttura interna. Nella prassi esistono diverse forme di audit: • il consulente esterno723, che aiuta la predisposizione logica del bilancio di missione e, contemporaneamente, esamina le informazioni, sia quelle da inserire, che quelle da scartare, nell’ottica, comunque, di rendicontare fatti e valori nella maniera più completa possibile (social evaluator); • il rating sociale, di uso soprattutto negli USA per aziende sanitarie e imprese che operano nel largo consumo, dove associazioni di consumatori sottopongono ad una valutazione “non richiesta” il comportamento delle varie strutture, poco intrapreso in Italia724; collettività di riferimento); la tipologia delle fonti di finanziamento (per le c.d. donative, ossia quelle finanziate attraverso attività di funding, e non attraverso la vendita di beni e servizi, si avverte il problema della trasparenza completa nell’informazione circa il corretto uso dei mezzi raccolti e del mantenimento del rapporto fiduciario alla base della donazione); le categorie di beni e servizi offerti (per le ANP che offrono “beni pubblici”, soprattutto se finanziate dalla P.A., si pongono problemi di accountability di particolare rilevanza). Cfr. A. Hinna, 2002, op. cit., p. 432-436. 721 E’ opportuno, su questo tema, procedere a precisazioni terminologiche. L’uso del termine social audit, infatti, è diverso nel mondo anglosassone, rispetto a quello fatto in Italia. Nel primo, quindi, viene usato in senso ampio, comprendendo l’intero processo di comunicazione con gli stakeholder (si veda il già citato Copenaghen Charter), in cui la fase di revisione/verifica esterna rappresenta soltanto (con l’elaborazione e la pubblicazione) una delle fasi che compongono il processo di rendicontazione sociale. In Italia, differentemente, sta ad indicare solo la fase di revisione di un soggetto esterno, in autonomia rispetto all’elaborazione e pubblicazione del bilancio sociale/di missione. Altro aspetto fondamentale che differenzia gli approcci di rendicontazione internazionali da quelli nazionali concerne la focalizzazione dell’attenzione sul processo di gestione delle complesse e molteplici relazioni che si instaurano tra l’impresa e gli stakeholder. A livello internazionale il documento finale è considerato semplice conseguenza del processo di gestione delle relazioni con gli interlocutori aziendali, per cui è irrilevante definirne forma e contenuto. In Italia, diversamente, il dibattito è incardinato sulla corretta determinazione della forma espositiva e dei meccanismi tecnico-contabili di redazione del bilancio sociale/di missione, al fine di fornire adeguatezza rispetto alla descrizione della complessa realtà aziendale. Cfr. B. Auci, 2002, Il social audit: uno strumento di rendicontazione sociale, in Hinna L. (a cura di), Il bilancio sociale, Il sole 24 ore, Milano, pp. 273-281. 722 Cfr. L. Hinna, 2000, op. cit., p. 370. 723 Cfr. E. Mayo, 1996, Social auditing for voluntary organizations, NEF, Londra. 724 Il rating (nella sua accezione generale) rappresenta la valutazione effettuata da un’agenzia di informazioni commerciali sull’entità del rischio insito in ogni investimento, sia esso effettuato con capitale di credito o con capitale di rischio; consiste in una metodologia di classificazione delle imprese sulla base di criteri economico-finanziari e strategico-gestionali, costituendo uno strumento informativo sintetico ed un efficiente mezzo segnaletico, al fine di ridurre l’asimmetria informativa. Il rating etico, in particolare, è definito come un giudizio sintetico su un titolo, oggetto di possibile investimento, effettuato in base a criteri di responsabilità sociale ed ambientale. Le più accreditate società di rating sociale sono: KLD (Kinder, Lynderberg, Domini – USA), EIRIS (Ethical Investment Research and Information Service – UK), ARESE (Analylses et Recherches Sociales sur les Enterpripses – FRA), Avanzi (ITA). Cfr. B. Auci, 2002, op. cit., pp. 314-316; per un sistema proposto per l’Italia, cfr. F. Gesualdi, 1999, Manuale per un consumo responsabile, Feltrinelli, Milano. • l’ audit esterno, classico, in cui una struttura indipendente verifica l’adozione del processo e la struttura del bilancio di missione, con meccanismi simili a quelli di certificazione della qualità, ambientale o di bilancio. Il gruppo di lavoro SocialMetrica, per quanto riguarda i sistemi di rendicontazione sociale ed il bilancio di missione delle aziende non profit, ha predisposto una metodologia di misurazione e valutazione delle responsabilità sociale delle ANP, estendibile anche alle aziende for profit, che si ispira al processo di stakeholder relationship, già elaborato dalla New Economic Foundation (NEF), e descritto finora nel presente lavoro (la figura 5.2 i confronta questo sistema con gli altri a livello nazionale ed internazionale725, rispetto ad alcuni drivers726). 725 In generale, esistono diverse metodologie di rendicontazione sociale, di matrice nazionale o internazionale, con differenze ed analogie tra loro, essendo rivolte, ad esempio, a diverse categorie di stakeholder, oppure essendo applicabili solo al settore non profit o a quello for profit, oppure sviluppando sistemi di certificazione o meno, ecc. Oltre quello proposto da SocialMetrica, tra i vari si possono citare il LBG (London Benchmarking Group), che elabora un modello che permette alle imprese di misurare e valutare l’impatto e il sostegno dell’attività d’impresa per lo sviluppo della comunità locale, definendo indicatori di efficienza ed efficacia tramite la tecnica del benchmarking (vedi www.lbg-online.net); il SA8000 (Social Accountability 8000, vedi www.cepaa.org ), che definisce una serie di standards che assicurano il rispetto dei diritti umani fondamentali nello svolgimento delle attività produttive (potendo poi l’impresa essere sottoposta ad un processo indipendente di verifica e certificazione), secondo una logica di miglioramento continuo simile ai sistemi di gestione della qualità (ISO9000) e gestione ambientale (ISO14000); la AA1000 (AccountAbility 1000), standard di processo per l’attività di social and ethical accounting, auditing ad reporting (SEAAR), “fondativo”, che ogni impresa può adottare per implementare un sistema di gestione della responsabilità etico-sociale, oppure da utilizzare come base di confronto per misurare la qualità del proprio metodo di rendicontazione e comunicazione sociale (vedi www.accountability.org e cfr. ISEA, 1999, AccountAbility 1000 (AA1000): overview standard and its applications, London); il GRI (Global Reporting Iniziative, vedi www.globalreporting.org), che promuove l’armonizzazione delle tecniche di rendicontazione della performance sociale delle imprese (nonché ambientale), in modo da renderla rigorosa, confrontabile e verificabile, favorendo il dialogo tra gli attori interessati, stimolando la collaborazione e la diffusione di documenti sulla sostenibilità d’impresa; il GBS (Gruppo di Studio sul Bilancio Sociale), per la statuizione dei principi di redazione del bilancio sociale, che contiene indicazioni di minima rispetto alla elaborazione del documento e una serie di principi da osservare, tra i quali: trasparenza, identificazione, utilità, responsabilità, coerenza ecc. (vedi www.bilanciosociale.it e cfr. GBS, 2001, op. cit.); infine, il progetto Q-RES, per la definizione di uno standard di qualità della responsabilità etico-sociale che diffonde linee guida basate su un “contratto” sociale equo ed efficiente tra impresa e stakeholder, per trovare un punto d’equilibrio tra i diversi portatori d’interesse (cfr. CELE, 2001, Progetto Q-RES: la qualità della responsabilità etico-sociale d’impresa, in Liuc Papers n. 95, Serie Etica, Diritto ed Economia, n. 5). Cfr. B. Auci, 2002, op. cit., p. 294. 726 Nel quadro comparativo descritto dalla figura, le variabili hanno il seguente significato: (1) Campi di applicazione: applicabilità della metodologia al settore for profit, oppure anche al non profit, o entrambi, oppure adottata indifferentemente da grandi o piccole imprese; (2) Stakeholder di riferimento: indica se il metodo si rivolge ad una o poche categorie di interlocutori/aree di interesse sociale (parziale), oppure al complesso di questi (totale); (3) Relazionale: mostra se la caratteristica fondamentale del sistema è la semplice comunicazione dei risultati etici, oppure la creazione di una relationship; (4) Standard: se il metodo individua standard che l’impresa deve adottare o meno; (5) Missione e valori etici: se l’approccio prevede esplicitamente valori e principi etici, e se è presente la dichiarazione della missione aziendale, al fine di valutare la coerenza tra questi; (6) Principi: se sono LBG AA1000 SA8000 GRI GBS Q-RES Social Metrica Campi di applicazione for profit/ non ■ ■ ■ ■ ■ ■ □ profit Nazionale/ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ Multinaz. Stakeholder di Parziali ■ ■ ■ riferimento Totali ■ ■ ■ ■ Relazionale ■ □ ■ ■ Standard ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ Missione e valori etici □ ■ □ ■ ■ ■ Principi Di redazione ■ ■ □ Di qualità ■ ■ □ □ ■ Valenza Interna ■ □ ■ ■ ■ Esterna ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ Verifica/certificazione □ ■ □ □ ■ □ Legenda: ■ il metodo rispetta la caratteristica; □ il metodo rispetta parzialmente la caratteristica; - il metodo non rispetta la caratteristica. Figura 5.2 i: analisi di confronto delle principali metodologie di rendicontazione sociale rispetto ad alcune variabili. (Fonte: B. Auci, 2002, p. 281) Il bilancio così redatto viene sottoposto alla verifica esterna da parte di un ente terzo indipendente, attraverso la tecnica del panel di esperti727. presenti sia quelli di redazione, che di qualità internazionali; (7) valenza: distinta in interna ed esterna, si riferisce al considerare il rendiconto sociale come mezzo di comunicazione ed immagine, oppure come strumento di gestione interna; (8) verifica/certificazione: la variabile indica la presenza o meno della fase di verifica e della relativa certificazione, sia del processo che del documento. 727 Questa prevede due fasi a seconda della tipologia di soggetti coinvolti: il revisore esterno (external audit verifier), nella prima fase; un collegio di esperti (Audit Review Panel o Audit Group) nella seconda. Il revisore esterno ha la funzione di verifica dell’intero processo di contabilità sociale, volta ad assicurare la corretta esecuzione, l’affidabilità del sistema che produce il bilancio e poi l’attendibilità e la ragionevolezza delle voci, rilasciando infine una opinion, relazione che è parte integrante della dichiarazione sociale d’impresa. Nello svolgimento della prima fase l’external audit verifier può essere coinvolto in ogni aspetto del sistema, con funzioni di consulenza, partecipazione attiva e controllo del processo, comprendendo anche: la formazione e l’addestramento delle strutture d’impresa al social auditing; partecipazione alla progettazione di ogni elemento del sistema (soprattutto quello informativo); consulenza, partecipazione e controllo nella fase di raccolta dati. Questi revisiona poi la contabilità sociale e la bozza di dichiarazione attraverso sopralluoghi, controllo documentale, interviste, campionamenti ecc. Al fine di non perdere la necessaria obiettività nell’espletamento dei propri compiti professionali, data la mancanza di standard di revisione, viene inserito il secondo momento di controllo: il revisore esterno nomina un collegio di esperti a sua assistenza, conferendo maggiore legittimazione all’intero processo di rendicontazione e revisione. Il revisore esterno nomina il collegio selezionando i membri secondo i seguenti criteri: indipendenza dall’organizzazione, esperienza in temi di responsabilità sociale e etica d’impresa, rappresentatività del sistema degli stakeholder. Funzione del collegio è fornire un’ulteriore verifica della qualità del processo di social audit ed in particolare della fase di revisione esterna. Il gruppo esprime le proprie opinioni sotto forma di commenti relativi soprattutto a miglioramenti da apportare al processo di responsabilità sociale; commenti e osservazioni vengono allegati alla relazione del revisore esterno.Il ruolo del panel può quindi essere assimilato ad un “controllo di qualità” del processo di revisione contabile, di garante del sistema, derivante dalla mancanza di uno standard universalmente riconosciuto. Cfr. B. Auci, 2002, op. cit., p. 309 e segg. Giova infine ricordare che il sistema di revisione sociale interna è considerato un utile strumento di supporto alla revisione esterna, assistendo l’organizzazione nel perseguimento dei propri obiettivi, tramite un approccio sistematico finalizzato a valutare e migliorare i processi di controllo, gestione dei rischi e di corporate governance728. Per completezza di esposizione, in ultimo, sembra opportuno riportare una impostazione leggermente diversa rispetto a quella seguita finora in tema di rendicontazione sociale per le ANP. Alcuni autori, infatti, individuano tre differenti strumenti a tal fine, che si distinguono per il grado di “comunicazione “ sociale, rispettivamente crescente: il conto economico riclassificato a valore aggiunto, il rendiconto istituzionale (o bilancio di missione) e il bilancio sociale (o rendiconto sociale)729. In merito alla applicazione dell’analisi del valore aggiunto alle ANP, gli autori ritengono che questo sia particolarmente significativo per quelle aziende non profit al cui interno avvengono processi produttivi e i cui prodotti vengono scambiati sul mercato (potendo quindi misurare economicamente gli “effetti” con ragionevole attendibilità), ossia le “imprese sociali”, in quanto indicatore della capacità di autonomia economica e finanziaria tramite la sola gestione caratteristica730. Dovranno poi essere esplicitate la ricchezza creata e quella distribuita in relazione alle esigenze informative degli stakeholder, precisando che tale tipo di informazioni non esaurisce l’esigenza informativa degli interlocutori, ai quali, data la particolarità 728 Le funzioni della revisione sociale interna consistono in: migliorare la performance etica, verificare e controllare la conformità alle regole (delle azioni e dei comportamenti rispetto alle norme di condotta e alle procedure aziendali), supportare l’attuazione dell’etica di azienda. Questo viene perseguito, in via generale, attraverso l’introduzione di strutture organizzative e di controllo come i comitati etici,e gli internal ethical audting (attività indipendente ed obiettiva di garanzia e supporto). Cfr. B. Auci, 2002, op. cit., pp.311-312. 729 Secondo tali autori, infatti, i pesi dell’informazione istituzionale ed economica devono essere bilanciati differentemente secondo le diverse forme assunte dalle ANP: per le autoproduttrici e le imprese sociali (come le cooperative) si dovrebbe preferire la creazione e distribuzione di VA; nelle erogatrici (come le fondazioni), si dovrebbe privilegiare un bilancio sociale con descrizione delle spese sociali o un’analisi costi-benefici; oppure un rendiconto istituzionale (o bilancio di missione), come nel caso delle associazioni. Cfr. G. Marcon, M. Tieghi, 2000, op. cit., pp. 97 e segg. 730 Il VA della gestione caratteristica potrebbe indicare, per questa tipologia di ANP, infatti, la capacità di produrre ricchezza a prescindere dall’intervento dei contributi pubblici (non assimilabili a ricavi), segnalando capacità di autofinanziamento tramite questa sola gestione, indipendentemente dall’influenza di proventi straordinari di reddito (i quali, insieme agli elementi finanziari e al VA della gestione caratteristica, danno luogo al VA globale lordo). finalistica delle ANP, interessa verificare l’”utilità sociale” e l’orientamento istituzionale, veicoli di solidarietà non solo economica731. Il rendiconto istituzionale (o bilancio di missione), in accordo con quanto detto finora in tema (per scopi, caratteristiche, e contenuti), nella diversa impostazione, è necessario per integrare i documenti contabili con informazioni sull’aspetto istituzionale, secondo una strategia di comunicazione che consenta di riferire anche sugli aspetti qualitativi dell’attività svolta, e in autonomia informativa, ma necessariamente in integrazione nel sistema dei documenti di bilancio. Il bilancio sociale732, invece, a differenza delle linee seguite in questo lavoro733, si differenzierebbe dal bilancio di missione. Quest’ultimo, pur non rinunciando ad esprimere l’outcome sociale dell’attività dell’azienda, si configurerebbe infatti come un progetto “meno ambizioso” rispetto alla stesura del primo734, in cui i dati di tipo 731 A tal fine è utile proporre schematicamente le esigenze proprie alcune categorie di stakeholder: (a) gli associati (o i soci): questi aderiscono alla ANP non per ottenere una “remunerazione” dalla loro partecipazione, bensì per poter beneficiare di un preciso esercizio e per il perseguimento delle finalità istituzionali, trascendendo il mero contratto economico. Per i soci prestatori il VA fornisce una informazione incompleta, poiché è incapace di cogliere la crescita personale e l’altruismo che li muove; per quelli fruitori, invece, non si mostra la qualità del servizio reso; in ultimo, per i volontari, che non percepiscono remunerazioni, il VA non è in grado di esprimere l’aumento di qualità e l’ampliamento dei servizi resi possibili dall’opera di questi, nonché il raggiungimento dei fini statutari; (b) i dipendenti: a differenza del caso precedente, l’informazione verso questi assume valenza strategica, soprattutto se rivolta a dipendenti orientati, più che sull’altruismo, agli aspetti economico-contrattuali (evidenziando remunerazioni dirette e quelle indirette, nell’ottica del miglioramento del clima interno all’azienda); (c) la Pubblica Amministrazione: le ANP distribuiscono ricchezza a questa sotto forma di tributi, ma, dato il regime fiscale agevolato, i flussi corrispondenti risultano poco rilevanti; ben più significativo è il consenso che la PA fornisce al non profit, come tramite tra l’azienda e la comunità, influenzando la gestione per mezzo dell’assegnazione di risorse pubbliche; (d) la comunità di riferimento: il VA comunica solo i rapporti economici con la collettività (espressi dal sostenimento di costi – distribuzione della ricchezza legati alla produzione di servizi erogati); le voci che compongono la ricchezza distribuita a questa sono di difficile individuazione, comprendendo, ad esempio, i maggiori costi e la minore qualità di quelli forniti in sostituzione dall’Amministrazione, o altri tipi di esternalità. Dato il forte radicamento dell’operato delle ANP nella comunità locale, fondamentale è anche il consenso che si riesce a mobilitare. Cfr. M. Andreaus, 1996 a, op. cit., pp. 190 e segg. ; G. Marcon, M. Tieghi, 2000, op. cit., pp. 100-101. 732 Inteso questo come un “insieme di strumenti informativi finalizzato a fornire una valutazione qualiquantitativa dell’impatto dei processi gestionali posti in essere dall’azienda come conseguenza delle finalità sociali da essa assunte”. Cfr. G. Marcon, M. Tieghi, 2000, op. cit., p. 105. 733 Secondo l’impostazione seguita nel corso di questa esposizione, infatti, il bilancio di missione è un bilancio sociale a tutti gli effetti, con caratteristiche peculiari elaborate appositamente per le ANP, che permettono di “esprimere” l’attività di queste nella sua significatività: il perseguimento di fini istituzionali in relazione agli interessi dei vari interlocutori sociali, in coerenza con valori e missione, per mezzo di una gestione il più possibile economica. Scopo di qualsiasi tipo di bilancio sociale, come detto, è quello di rendicontare i valori attraverso i fatti e, poi, le cifre. 734 In merito ai contenuti e agli scopi, si segue l’impostazione di Rusconi (l’elenco delle spese sociali; l’inventario sociale; l’analisi dei programmi; gli indicatori sociali standardizzati; il bilancio socioeconomico), riportata precedentemente; la struttura può variare a seconda dell’attività svolta, delle dimensioni e della natura giuridica dell’azienda e vengono proposti tre diversi percorsi di costruzione: quantitativo servirebbero a descrivere i fatti e a raccordare il documento stesso con quelli contabili del “sistema bilancio”. Nella descrizione degli autori, il bilancio di missione sarebbe un elemento accessorio del tradizionale bilancio di esercizio, mentre il bilancio sociale risulterebbe come strumento strategico di comunicazione aziendale sull’attività sociale, autonomo dal bilancio economico, anche per le ANP, in cui l’informazione sociale dovrebbe comunque essere prioritaria e “strategica”, indipendentemente da quella economica. Attraverso la cultura del “render conto”, come detto in apertura di capitolo, le ANP possono affermare verso i propri stakeholder (in primis la Pubblica Amministrazione, nel caso specifico dei rapporti pubblico - non profit per la fornitura di servizi socio-assistenziali, poi alla collettività, che fornisce a queste le altre risorse necessarie), attraverso un vero e proprio processo di comunicazione (in senso biunivoco, quindi), le capacità economico finanziarie ed istituzionali del loro operato, la solidità gestionale e la spinta altruistica, e, soprattutto, possono uscire dall’autoreferenzialità, ossia dimostrare il fondamento della legittimazione “istituzionale” che da tempo rincorrono; attraverso gli stessi strumenti possono poi disporre di un “timone” che le guidi nelle decisioni di governo (la rendicontazione economica) e nella verifica della mission (la rendicontazione sociale), operazioni strumentali rispetto al fine pubblico perseguito e alla detta legittimazione. In conclusione, dai contributi degli autori riportati nel presente capitolo emergono alcune variabili “critiche” che le ANP si trovano a dover affrontare nell’implementare sistemi di rendicontazione, sia economica che sociale. Una prima considerazione scaturisce dal fabbisogno informativo: seppur questo sia “pressante”, soprattutto a causa della complessità dei servizi, della mission e della numerosità degli stakeholder cui rendere conto, queste aziende dedicano spesso poca attenzione alle problematiche concernenti il sistema informativo-contabile, se non l’analisi costi-benefici, una relazione descrittiva, degli indicatori quali-quantitativi. In sostanza, quindi, si seguono le direttrici finora riportate, con la sola differenza che queste vengono applicate ad aziende non profit. per quegli elementi atti ad assolvere eventuali (e spesso blandi) obblighi di natura civilistica o fiscale. Questo atteggiamento sembra giustificato dalle piccole dimensioni di queste e dalle scarse risorse che le medesime possono dedicare alla concretizzazione del proprio sistema informativo, nonchè dalla paura di diventare “aziende” (che nell’immaginario non profit viene spesso associato ad un distoglimento dalla missione), denotando, come verificato al termine del precedente capitolo, un problema “culturale”, il quale porta frequentemente a sottostimare l’importanza di questo strumento che permetterebbe all’ANP di operare in condizioni di economicità e quindi anche di massimizzare l’utilità per i beneficiari. A questo si ricollega un altro punto critico: sebbene si comprenda che l’economicità è mezzo per perseguire efficacemente gli obiettivi istituzionali, la verifica di questa condizione non viene usualmente affrontata (soprattutto con strumenti adeguati). Nelle ANP italiane, infatti, si rinviene una scarsa attenzione a questo principio, e, anche quando è presente un sistema informativo, per embrionale che sia, l’accento viene posto esclusivamente sulla rilevazione dei flussi economico-finanziari e sulle consistenze patrimoniali ai fini di bilancio, anziché su sistemi di indicatori di “efficacia istituzionale”. Negli stessi processi di programmazione della gestione, inoltre, gli amministratori si limitano spesso alla formalizzazione di un bilancio preventivo, in cui gli obiettivi non sono adeguatamente definiti nei caratteri essenziali della quantificabilità e misurabilità sotto il profilo istituzionale. Infine, quello che spesso non si riscontra, e che dovrebbe invece differenziare in modo determinante il sistema informativo delle ANP, è l’orientamento degli strumenti che ne sono alla base: questi dovrebbero essere “asserviti” alla finalizzazione istituzionale e non costituire semplice adempimento alle norme ed essere intrapresi in maniera non sistemica, o risultare incoerenti con mission, strategia e struttura organizzativa, o peggio, con i circuiti gestionali specifici attivati.. Per contro, occorre puntualizzare che il sistema informativo riportato nelle righe di questo capitolo risponde alle esigenze di aziende non profit di grandi dimensioni, con elevato grado di complessità e con rilevanti risorse a disposizione, le quali, nella realtà, sono in numero assai ridotto; per la maggioranza dei casi, il modello delineato potrebbe costituire un punto di riferimento per un’ipotesi di sviluppo del sistema stesso, dato che, è stato più volte accennato, il sistema informativo e la rendicontazione devono essere modellati sulla base delle specifiche esigenze dell’azienda. Le problematiche esposte, inoltre, hanno la loro influenza anche sulla rendicontazione sociale: la mancanza di un sistema informativo aziendale capace di accordare un valido supporto al governo d’impresa e alimentare un’efficace sistema di rendicontazione delle attività svolte si riflette immediatamente sullo scopo del bilancio di missione come strumento di comprensione e rappresentazione delle capacità realizzative della missione istituzionale. Le molteplici visioni sulla questione e i ritardi di elaborazione dottrinale in tema di sistema informativo hanno portato, tuttavia, come visto nel corso del capitolo, ad una pluralità di proposte di strumenti informativi atti ad illustrare la dimensione “istituzionale” della gestione delle aziende non profit (peraltro più aperte e meno strutturate di quelle relative al bilancio di esercizio); seppur manchi un’omogeneità di orientamenti, di principi-guida, di prassi e di “forme”, è ben chiaro il filo conduttore ossia il tentativo di poter esprimere, attraverso la rendicontazione, un triplice ordine di risultati (dati economici, impatto ambientale e ricadute sociali). Riprendendo brevemente le linee del primo capitolo in tema di welfare mix, infine, passato il periodo di fermento legislativo che ha guidato l’evoluzione del settore, quello che ora ci si aspetta dalle aziende non profit, e che si inizia a notare, è un comportamento “attivo”, un comportamento di coscienza organizzativa per confermare il ruolo sociale conquistato sul campo, ossia proporsi come soggetti mobilizzatori e valorizzatori delle “forze” della società, creando cooperazione tra di loro, con imprese private for profit e Pubbliche Amministrazioni. Lo strumento del bilancio di missione, non come semplice documento, bensì come anello finale del processo di creazione di una relazione con gli interlocutori aziendali, si presenta allora come uno dei fondamentali strumenti per convogliare, analizzare, elaborare, utilizzare e verificare le “energie” (conoscenze, lavoro e informazioni) della società intesa come complesso degli stakeholder, diventando questi, in tal modo, soggetti chiave del processo di gestione strategica dell’azienda e, in ottica di dimensionalmente crescente, motore della stessa cellula (azienda) - società territorio che autopoieticamente rigenerano le proprie risorse.