Metalogicon (2003) XVI, 1
Michele Malatesta
PIERPAOLO RUFFINENGO
Ontonòesis. Introduction to Metaphysics.
[Ontonòesis. Introduzione alla metafisica per un amico pasticciere]
Genova, Marietti 1820, 2002, 253 pp.
Durante il mese di giugno del 2002, la vetrina principale della pasticceria
del signor Giuseppe Buttiglieri, sita a Chieri (Torino),ha tenuto in esposizione i
cioccolatini
che facevano da cornice ad un libro da un titolo non certo
usuale: Ontonòesis. Sovrastante il libro un bel cartello con la scritta “
…
Ogni cosa ne ha uno. La ricerca del tuo
è il capitolo più nobile della tua
vita”.
Una maniera insolita e, diciamolo pure, originale, per invogliare il passante
incuriosito ad entrare e chiedere la spiegazione dell’inusitata accoppiata. Ed ecco
la spiegazione. In un dialogo immaginario con l’amico pasticciere, chiamato
familiarmente Pino, l’Autore conduce per mano il lettore digiuno di filosofia e di
terminologia filosofica fino alle soglie della metafisica.
Il Ruffinengo ritiene che la migliore maniera per introdurre al difficile
tema sia il percorso storico-filosofico. Non si tratta di una storia della filosofia
tout court, ma soltanto dell’esame storico-genetico dell’oggetto del volume in
esame, che è poi il filo conduttore di tutta la filosofia speculativa dell’Occidente.
A partire da profonde esigenze già avvertite dai presocratici, l’A. conduce
un’analisi sul “ciò che è” di Parmenide, sugli intelligibili di Platone, sui principi
chiave della filosofia aristotelica: sostanza-accidenti, materia-forma, attopotenza, principio immobile del movimento. Il Ruffinengo ben caratterizza la
differenza tra i due massimi pensatori dell’Ellade: «Platone aveva identificato
èinai con ousìa, tale che usare il verbo essere significava automaticamente far
riferimento a qualcosa di esistente e determinato. Aristotele invece ha distinto
bene èinai da ousìa. Ousìa è sostantivo, nome proprio di on, e il problema
diventa capire quando di un on possiamo dire che è veramente ousìa». (p. 59).
Passando attraverso l’analisi delle posizioni di Alessandro di Afrodisia, di Albino
e del medioplatonismo, come pure di Numenio di Apamea, l’A. perviene al
neoplatonismo. «Plotino mettendo insieme Platone e Aristotele va oltre e dice:
dal momento che l’attività del pensare e del ragionare è appunto un atto, che però
passa attraverso una forma di divenire, come posso realizzare l’attività di pensare
e ragionare intorno al bene, se non esiste il Bene che me ne rende capace? Quindi
non soltanto il Bene che corrisponde all’oggetto pensato (esigenza di Platone),
ma il Bene come causa efficiente che mi rende capace di esercitare l’attività di
pensare il bene e ogni altra cosa (l’esigenza di Aristotele)./È uno dei temi più
importanti, questo, la chiave di soluzione del nostro problema. In Plotino però è
appena accennato». (p. 94).
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Porfirio rappresenta il vertice più elevato raggiunto dal pensiero greco:
«Porfirio porta alla sua conclusione logica l’acquisizione di Plotino: se è vero che
l’unità conferisce l’essere all’essente, significa che chi comunica l’unità
all’essente gli comunica anche l’essere; ma questo significa che una e medesima
è la fonte da cui vengono l’unità e l’essere. Ora la fonte da cui viene l’unità è
l’Uno. Dunque l’Uno è anche l’Essere… Porfirio è arrivato all’Essere dopo che
Plotino era arrivato all’Uno, perché l’essere è più originario, viene prima
dell’unità». (pp. 95-97).
L’A. passa quindi ad esaminare l’actus essendi di S. Tommaso i cui
caratteri possono essere sintetizzati come segue: 1. L’essere non è l’essente (Non
posso pensare questa o quella cosa, cioè questo o quello essente, senza pensare
che sia. Ma posso pensare il puro è senza pensare questo o quell’essente). 2. La
forma è il principio dell’essere. 3. L’essere è l’atto della forma. 4. L’essere è
effetto proprio di Dio: «L’atto d’essere in virtù del quale una forma (intelligibile,
essenza) esiste come essente, è un effetto, una partecipazione reale dell’Essere
stesso che è Dio». (p.104). Tommaso va oltre Aristotele e tutti i neoplatonici: l’è
è atto: una perfezione reale aggiunta all’essenza dell’essente e distinta da essa.
A questo punto, con un’intelligente virata di bordo, il Ruffinengo delinea
un secondo percorso di storia della filosofia occidentale: quello concernente
l’intelletto agente, da Aristotele ad Alessandro di Afrodisia, ad Averroè. La
conoscenza della lingua araba consente all’A. di rendersi conto dell’operazione
culturale fatta dal Commentatore. Aristotele aveva usato èidos sia per indicare la
forma, che unita alla materia costituisce la cosa sensibile, sia per indicare
l’intelligibile, ricevuto dall’intelletto potenziale ad opera dell’intelletto agente.
L’arabo conosce il solo termine su
ra per i diversi sensi del termine èidos.
•
L’aggettivo noetòn (intelligibile) è diventato ma' qu l , e non‘aqliyy come
sembrerebbe logico. Ma ma' qu l corrisponde più al greco noùmenon (latino
intellectum) che al greco noetòn (latino intelligibile). «E questa è la posizione di
Averroè: l’intelletto agente astrae la sura (èidos-forma) dalla materia della forma
immaginata (phàntasma), e la rende forma intellecta (pensata) in atto, capace di
attuare l’intelletto potenziale. Una forma pensata in atto, che non ha più nulla a
che fare con la materia. E in questo modo è anche più facile capire come per
Averroè questa operazione non possa avvenire in un’anima forma del corpo,
dotata di facoltà sensibili, ma solo in un intelletto separato dal corpo». (pp. 147148). In poche parole per la versione araba e per Averroè l’intelletto potenziale
riceve dall’intelletto agente qualcosa come l’Idea platonica separata dalla
materia. S. Tommaso obietta che l’atto conoscitivo è dell’individuo: all’homo
intelligit averroista contrappone la concretezza dell’hic homo intelligit. Fatta
salva la distinzione ontologica tra spirito e corpo, Tommaso rivendica l’unità
psicosomatica del soggetto conoscente individuale. «San Tommaso è aiutato a
fare questo anche dal lessico latino (…). Il lessico latino dispone di due termini
per tradurre èidos: species e forma. Species dice l’èidos che è ricevuto
dall’intelletto potenziale; forma dice l’èidos che insieme alla yle costituisce la
cosa sensibile. Così san Tommaso potrà dire che l’intelletto possibile è attuato
non da una forma intellecta in atto senza materia, ma da una species intelligibile,
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che è una similitudine, appunto intelligibile, della cosa sensibile, nella quale è
presente sia l’èidos (forma) che la yle (materia) della cosa stessa». (p. 149). Non
si poteva dir meglio! «Quando pensi il bicchiere – continua l’A. rivolgendosi a
Pino – lo pensi sempre come qualcosa di materiale, non come una forma senza
materia (Idea) ». (ibid.). Tommaso rivendica all’individuo (a) l’intelletto agente,
contro Alessandro ed Averroè, e (b) l’unità dell’anima intellettiva individuale,
che è anche forma del corpo fisico-organico, contro la dottrina della pluralità
delle forme. Non si poteva difendere meglio l’unità e la dignità della persona
umana e, di conseguenza, l’originalità irrepetibile della personalità che si fonda
su quella!
A questo punto – vero nodo gordiano del volume – il Ruffinengo pone un
nesso tra l’actus intelligendi (che è atto di pura riflessione) e l’actus essendi.
L’actus essendi appartiene alla res e all’actus intelligendi ma con modalità
proprie. Qui si avverte la presenza e la sana dottrina dell’Aquinate : «quia et ipse
intellectus et ratio est quedam res» (S. Th. I, 28, 2, ad IV) scrive l’Angelico anche
se non è esplicitamente citato dal Ruffinengo. Seguono le importanti
considerazioni: «…l’actus intelligendi porta dentro di sé un actus essendi. Che
significa: l’atto di intelletto con cui pensiamo e diciamo il puro ‘è’, (atto del puro
pensare, idea di essere), porta dentro di sé un atto di essere, che lo fonda e lo
rende possibile». (p. 201). «Condizione ontologica trascendentale, dunque: lo è
che fa delle cose esistenti degli essenti-cose-esistenti, ma non è esso stesso un
essente-cosa-esistente; non ha bisogno a sua volta di un è, essendo esso stesso lo
è». (p. 219). L’atto d’essere è una perfezione reale, senza essere una cosa tra le
cose; lo possiamo pensare e conoscere senza usare concetti, ma secondo la
modalità dell’intuizione; essendo una perfezione reale rinvia ad una Causa
adeguata.
Di qui la conclusione dell’intero lavoro: «… lo è del duplice atto d’essere,
dell’essente
conosciuto e dell’intelletto, è la condizione ontologica
trascendentale che rinvia oltre l’essente, nella direzione della Causa che è lo È di
tutti gli è degli essenti». (p. 238).
Segue un’appendice in cui viene riportata la corrispondenza con
Emanuele Severino, concernente l’esatta traduzione dei termini to on e to èinai,
spesso fraintesi dal filosofo bresciano.
È noto che gli scrittori di temi filosofici o usano i “paroloni” senza
spiegarli – meno persone capiscono, tanto meglio! meno intelligibile il senso di
un testo, più “profondo” è il discorso! – oppure, per evitare di trincerarsi
nell’ermetismo, cadono nelle banalità più viete. Il Ruffinengo evita entrambi
questi rischi: non cade nell’ermetismo, non banalizza il discorso. A mano a mano
che introduce la terminologia filosofica, non dà nulla per scontato, ma spiega il
senso di ogni singola parola difficile, a cominciare dal titolo del libro Ontonòesis
= intuizione dell’ente. Un’introduzione alla metafisica chiara e nello stesso tempo
rigorosissima.
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