GALILEO GALILEI dal “Dialogo” a- Intelletto umano e divino a confronto Salviati Si conosce Socrate non saper nulla in relazione alla sapienza assoluta, che è infinita; e perché dell’ infinito tal parte è il molto che il poco che il niente, però ben conosceva Socrate , che la finita sua sapienza esser nulla all’ infinita, che gli mancava. Ma poiché pur tra gli uomini si trova qualche sapere, potè Socrate averne maggior parte degli altri, e perciò verificarsi il responso dell’ oracolo. L’intendere si può pigliare in due modi, cioè intensive, o extensive: e che extensive, cioè quanto alla moltitudine degli intelligibili, che sono infiniti, l’intender umano è come nullo, quando bene egli intendesse mille proposizioni, perché mille rispetto all’infinità è come un zero; ma pigliando l’intendere intensive, in quanto cotal termine riguarda perfettamente qualche proposizione, dico che l’intelletto umano ne intende alcune così perfettamente, e ne ha così assoluta certezza, quanto se n’abbia l’istessa natura divina; e tali sono le scienze matematiche pure, cioè la geometria e l’aritmetica, delle quali l’intelletto divino ne sa bene infinite proposizioni di più, perché le sa tutte, ma di quelle poche intese dall’intelletto umano credo che la cognizione agguagli la divina nella certezza obiettiva, poiché arriva a comprenderne la necessità, sopra la quale non par che possa esser sicurezza maggiore. (…) 1) 2) 3) 4) 5) 6) Come viene interpretato il socratico ‘non sapere’ in relazione al finito/all’ infinito? Confronta il punto precedente con la ‘coincidenza degli opposti’ di Cusano Spiega la distinzione tra conoscere intensive ed estensive Spiega in che senso l’ intelletto umano eguaglia quello divino Spiega il significato dei termini certezza obiettiva e necessità. Confronta questo passo con quello sul “Libro dell’ Universo”, LDT p. 519 Dico che quanto alla verità di che ci danno cognizione le dimostrazioni matematiche, ella è l’ istessa che conosce la sapienza divina; ma vi concederò bene che il modo col quale Iddio conosce le infinite proposizioni, delle quali noi conosciamo alcune poche, è sommamente più eccellente del nostro, il quale procede con discorsi e con passaggi di conclusione in conclusione, dove il Suo è di un semplice intuito: e dove noi, per esempio, per guadagnar la scienza d’alcune proprietà del cerchio, che ne ha infinite, cominciando da una delle più facili e prendendo quella per sua definizione, passiamo con discorso ad un’altra, e da questa alla terza, e poi alla quarta, etc., l’intelletto divino con la semplice apprensione della sua essenza comprende, senza successivi discorsi, tutta la infinità di quelle proprietà. Or questi passaggi, che l’intelletto nostro fa con tempo e con moto di passo in passo, l’intelletto divino, a guisa di luce, trascorre in un istante, che è l’istesso che dire, gli ha sempre tutti presenti. Concludo per tanto, l’ intelletto nostro, e quanto al modo e quanto alla moltitudine delle cose intese, esser d’infinito intervallo superato dal divino; ma non però l’avvilisco tanto, ch’io lo reputi assolutamente nullo; anzi, quando io vo considerando quante e quanto meravigliose cose hanno intese investigate ed operate gli uomini, chiaramente conosco io ed intendo, esser la mente umana opera di Dio, e delle più eccellenti. 1) Differenza uomo/Dio riguardo al modo di conoscere; 2) Confronta la nozione qui presente di ‘Intuito’ con quella che Cusano chiama anche ‘intelletto’ 3) Identifica l’ aspetto ‘rinascimentale’ dell’ argomentazione galileiana sull’ uomo. B LA CRITICA AL FINALISMO ANTROPOCENTRICO Simplicio Questi discorsi camminan tutti benissimo, e non si nega che ‘1 cielo non possa superare di grandezza la nostra immaginazione, come anco l’aver potuto Dio crearlo mille volte maggiore di quello che è: ma non deviamo ammettere, nessuna cosa esser stata creata in vano ed esser oziosa nell’universo; ora, mentre che noi vediamo questo bell’ordine di pianeti, disposti intorno alla Terra in distanze proporzionate al produrre sopra di quella suoi effetti per benefizio nostro, a che fine interpor di poi tra 1 ‘orbe supremo di Saturno e la sfera stellata uno spazio vastissimo senza stella alcuna, superfluo e vano? A che fine? Per comodo ed utile di chi? Salviati Troppo mi par che ci arroghiamo, signor Simplicio, mentre vogliamo che la sola cura di noi sia l’opera adeguata ed il termine oltre al quale la divina sapienza e potenza niuna altra cosa faccia o disponga: ma io vorrei che noi fussimo certi che Iddio talmente si occupa delle cose umane, che più applicar non ci si potrebbe quando altra cura non avesse che la sola del genere umano; il che mi pare con un esempio poter spiegare: poniamo l’operazione del lume del Sole, il quale mentre riscalda quella pianta, gli attrae e la riscalda in modo, come se altro non avesse che fare; anzi nel maturar quel grappolo d’uva, anzi pur quel chicco solo, vi si applica che più efficacemente applicar non vi si potrebbe quando il termine di tutti i suoi affari fusse la sola maturazione di quel chicco. Ora, se questo chicco riceve dal Sole tutto quello che ricever si può, né gli viene tolto un minimo che dal produrre il Sole nell’istesso tempo mille e mill’altri effetti, d’invidia o di stoltizia sarebbe da incolpar quel chicco, quando e’ credesse che nel suo pro solamente si impiegasse l’azione de’ raggi solari . In tanto, quando mi vien detto che sarebbe inutile e vano un immenso spazio intraposto tra gli orbi de i pianeti e la sfera stellata, privo di stelle ed ozioso, come anco superflua tanta immensità, per luogo delle stelle fisse, che superi ogni nostra apprensione, dico che è sciocco voler far giudice il nostro debolissimo discorso delle opere di Dio, e chiamar vano o superfluo tutto quello dell’universo che non serve per noi. 1) Spiega perché secondo Simplicio l’ infinità spaziale del Cosmo è ‘vano’ e ‘superfluo’. 2) Confronta il finalismo di Simplicio (riferito all’ uomo) con quello aristotelico (riferito all’ atto puro, a Dio). Quale ti sembra più convincente e quale più ingenuo? Motiva la risposta 3) Spiega l’ esempio del chicco d’ uva, costruendo una tabella a 2 colonne. A sinistra metti i termini della metafora del chicco d’ uva, a destra i termini reali della questione (rapporto tra azione divina e suoi effetti sulla vita dell’ uomo).