Kierkegaard
Inquadramento storico, vita, opere, pensiero e aforismi di Kierkegaard
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1. Un Quadro storico e culturale dell’epoca di Kierkegaard
2. Iter biografico e intellettuale
2.1Periodo giovanile
2.2 Periodo della maturità
2.3 L’ultima parte dell’esistenza dell’autore
3. Pensiero
3.1 L'esistenza e il Singolo
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3.2 Possibilità, angoscia e disperazione
3.3 Le tre modalità esistenziali
3.4Janssen: Kierkegaard alla cattedra
3.5 Manoscritto autografo de La malattia mortale
3.6 L'ignoto
3.7 Kierkegaard e Hegel: un analasi del rapporto tra i due
autori
4. Analisi di alcune opere
4.1 Il Don Giovanni
4.2 Genialità sensuale del personaggio
4.3 La personificazione dell’amore sensuale
5. Approfondimenti del pensiero dell’autore
5.1 L’ ironia
5.2 Il peccato
5.3 Il tragico
5.4 Aut-Aut
5.5 Il concetto di angoscia
5.6 Briciole di filosofia
5.7 Postille non scientifiche
5.8 La malattia mortale
5.9 Il diario di un seduttore
6. Rapporto con altri filosofi
6.1 Hegel e Kierkegaard: la verità soggettiva
6.2 La dialettica
6.3 L’Abramo di Kierkegaard
7. Aforismi dell’autore
1. Un Quadro storico e culturale dell’epoca di Kierkegaard
Kierkegaard vive in un contesto europeo deciso dalle nazioni della Santa Alleanza al Congresso di Vienna.
La Danimarca della prima metà dell'Ottocento, governata da un regime monarchico-aristocratico, è
socialmente più prossima alla Germania che a qualunque altro paese europeo. Però è più sottosviluppata
economicamente e meno dinamica sul piano culturale. Agli avvii dell'800 la Danimarca era uscita sconfitta
dal conflitto contro l'Inghilterra. Essa in pratica vi si era lasciata implicare, con Svezia e Prussia, a causa
dell'inimicizia che la Russia mostrava contro l'Inghilterra. Fu un pesante errore. Nel '48 gli strati sociali
democratici delle due aree Schleswig e Holstein (la cui prevalenza numerica era tedesca) si ribellano al
comando danese, danno forma ad un governo provvisorio e si sollevano in un conflitto armato con l'obiettivo
di unire i due ducati alla Germania. I danesi vengono sconfitti, ma su istanza di Inghilterra, Russia e Svezia, il
governo provvisorio viene smembrato. L'armistizio però non fece che causare altri disordini. Finché nel '64 la
Prussia, alleatasi con l'Austria, attacca la Danimarca, dividendosi coll'alleato le due regioni, che erano assai
favorevoli dal punto di vista economico e strategico, essendo collocate alla congiunzione del mar Baltico col
mare del Nord.
La Danimarca finì col non avere più anche il proprio comando
sulla Norvegia che passò sotto quello svedese. Nella
letteratura danese dell'avvio del XIX sec. ebbe una grande
espansione il Romanticismo. La sua ala radicale e mistica non
mise in luce nessun personaggio rilevante. La linea
progressista e patriottica, al contrario, venne rappresentata da
A.G. Oehlenschläger (detto Oleario), autore di poemi e
tragedie che fecero rivivere i temi leggendari del trascorso
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scandinavo, facendo arretrare la falsa e arida civiltà borghese.
In ogni modo in Danimarca il Romanticismo ebbe segno più
estetico-letterario che politico. Il moto politico-liberale non volle
la fine della monarchia ma una monarchia costituzionale.
2. Iter biografico e intellettuale
Sören Kierkegaard venne al mondo a Copenaghen il 5 maggio 1813. Il padre, un venditore agiato, non aveva
avuto figli dalla prima moglie; dalla seconda al contrario ne ebbe sette, dei quali Kierkegaard fu l'ultimo. Fu
proprio il padre che guidò il giovane Kierkegaard verso l'esperienza pietistica dell’ associazione religiosa dei
Fratelli Moravi: l'educazione acquisita fu quella antica ufficiale della Danimarca di allora. Nel 1830 entrò
all'Università di Copenaghen e dopo undici anni si laureò. Durante il periodo universitario, egli prese parte al
movimento religioso-riformistico di propensione grundtvigiana, confessando idee social-cristiane: nel
giovane Kierkegaard vi è più l’ ansia di una riforma ecclesiale pietistica che abbia un riflesso anche nelle
relazioni sociali della società civile, che non la preoccupazione di incrementare un’ indagine teologica
indipendente. Grundtvig infatti aveva capito che la Bibbia non poteva difendersi da sola dagli attacchi della
filosofia hegeliana, per cui aveva mostrato attenzione nei confronti della riforma pratica della chiesa
protestante.
2.1 Periodo giovanile
Durante il periodo universitario Kierkegaard fu pure presidente della Lega degli studenti, contrastando
soprattutto le idee liberal-borghesi di rinnovo democratico. La sua posizione non era molto differente da
quella dell'ultimo Schelling, che si dava false speranze di poter superare l'hegelismo accentuando la
rilevanza della religione. Nella tesi di laurea del '41, Sul concetto dell'ironia (che prende come riferimento
costante Socrate), diffusa lo stesso anno, Kierkegaard prende posizione verso il romanticismo estetico,
evasivo, estraniato, dei fratelli Schlegel, di Tieck e Solger, schierandosi dalla parte di Hegel. Quel tipo di
romanticismo -che secondo lui deriva dalla filosofia dell'IO di Fichte- gli appare troppo soggettivistico, in
quanto tende a mettere di fronte parzialmente il soggetto alla realtà. Nella tesi Kierkegaard accoglie la critica
romantica del mondo piccolo-borghese ("lo squallido perbenismo bacchettone", come lo definisce) e del
vuoto romanticismo di questo mondo, ma allo stesso tempo respinge che lo strumento di tale critica appunto l'ironia- venga adoperato come fine a se stesso, in totale dispregio dello Stato, della società civile e
della famiglia, e ciò in nome di una mera potenziamento intellettualistico del passato mitologico. L'ironia
romantica è secondo Kierkegaard fonte di isolamento. Verso i romantici tedeschi e danesi, egli contrappone
Goethe e Shakespeare, ove l'ironia è "dominata", cioè è soltanto un "momento", non una condizione di vita.
Kierkegaard accetta anche l’ esame di Hegel a Socrate,
secondo cui col esordio di ironia Socrate si era collocato al di
sopra dello Stato e della famiglia, facendo della individualità un
assoluto, anche se proprio in tal modo Socrate poté in un certo
senso fondare la morale, in quanto con lui l'essere umano,
nell'ambito della filosofia, comincia ad agire moralmente non
per dovere ma per convincimento personale (mentre per i
sofisti il bene collimava con l'utile). Fin qui Kierkegaard la
pensa come Hegel. Se ne separa invece su due punti: 1)
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Hegel non avrebbe capito che Socrate criticava il declino di
una realtà storica determinata, quella del suo tempo, per cui il
suo comportamento ironico andrebbe contestualizzato, per
essere meglio compreso; 2) Socrate non aveva alcun
proposito di desumere dal principio teorico dell'ironia una
qualche deduzione pratica (se non quella di confondere i
nemici insegnando loro l'umiltà e il buon senso).
L'ironia era per Socrate, afferma Kierkegaard, una deduzione determinata dalla prassi (il processo cioè era
dal concreto all'astratto e tale restava, mentre Hegel faceva per l'appunto il contrario). Socrate insomma
avrebbe dato all'ironia -secondo Kierkegaard- una rilevanza filosofica minore di quella che gli conferisce
Hegel. Non riuscendo a capire l'importanza maieutica, pedagogica, dell'ironia socratica Hegel non sarebbe
nemmeno riuscito ad accettare il valore relativo dell'ironia.
Hegel, per Kierkegaard, sarebbe approdato a tale svista perché aveva accolto le interpretazioni idealistiche
che Senofonte e Platone fecero del metodo socratico, rigettando quella realistica di Aristofane, che per
Kierkegaard è la più prossima alla verità. Ma per un'altra ragione ancora Kierkegaard appoggia l'ironia
socratica alla negazione dialettica (l'antitesi) della filosofia hegeliana (che secondo Kierkegaard in un certo
senso si bilanciano): perché mentre la dialettica hegeliana non ammette la contraddizione soltanto a livello
speculativo, l'ironia socratica invece impegna la vita di un’individuo in maniera molto concreta, portando sino
al sacrificio di sé. Come si può osservare, di conseguenza, il giovane Kierkegaard mostrava delle esigenze
realiste notevoli, con le quali mirava a oltrepassare le astrattezze dell'hegelismo prevalente nell'università di
Copenaghen.
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Ciò nondimeno nel '36 egli aveva già rotto i ponti con la Lega degli studenti. Negli anni '37-'38 si separa
anche dalla comunità morava, nella consapevolezza che l’ attuazione delle riforme religiose non era
prontamente fattibile. Sempre in quegli anni passa ad insegnare latino in un liceo di Copenaghen, ma presto
sospende, non trovando comunicazione con gli allievi. In seguito alla morte del padre riscuote una cospicua
eredità che in pratica gli consente di vivere di rendita. Una serie di lutti percuote la sua famiglia per disparati
anni: gli muoiono cinque fratelli. Egli accusa questo fatto a una pena divina in seguito a una scomunica
contro Dio che il padre aveva lanciato quando si era in ristrettezze.Dopo aver sostenuto un esame di
teologia, nel '40, che lo rendeva abile alla carriera ecclesiale, porta a termine un viaggio nello Jutland per
mettersi nuovamente da una grave forma di spossatezza nervoso, e decide all'improvviso di mettersi insieme
a Regina Olsen, anch'essa della comunità morava.
La rottura del fidanzamento, non meno imprevista, ha luogo
l'anno dopo: Kierkegaard la discolpò appellandosi al così
chiamato "pungolo nella carne" (quasi certamente un difetto
fisico). Subito dopo aver rotto con Regina fa un viaggio a
Berlino, per seguire le lezioni di Schelling, ma ne rimane in
profondità scontento. Nel marzo del '42 torna a Copenaghen,
dando avvio alla sua ampia produzione letteraria.
2.2 Periodo della maturità
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Nel '43 pubblica quella che forse è vista come la sua opera più importante, Enten-Eller, che fu anche quella
che gli fece riscuotere maggior successo. Enten-Eller è suddiviso in due parti e contiene in un certo il
riepilogo del pensiero estetico, religioso e fenomenologico del giovane Kierkegaard. Vi sono inseriti il Diario
del seduttore (scritto per respingere Regina), i Diapsalmata (una serie di aforismi autobiografici), Il riflesso
del tragico antico nel tragico moderno, in cui Kierkegaard nega il valore dell'associazionismo della sua
epoca, preponendogli quello dell'individualità isolata, torturata, che si priva,come Antigone, per il bene
dell'ideale. In Enten-Eller vi è pure Don Giovanni, edonista esteta, e il testo che in lingua italiana è stato reso
con Aut-Aut, ma che in verità è la lunghissima Lettera dell'assessore Gugliemo, lo scritto più rilevante di
Enten-Eller. Questa Lettera, pur spuntando nella seconda parte del volume, venne redatta per prima, ed
essa, nel suo rigetto della vita estetico-romantica, è quella che meglio si riconnette alla tesi di laurea. Con
tutto ciò, Kierkegaard, quando scrisse Enten-Eller non era in direzione dell'eticità o del dovere sociale (come
il contenuto dello scritto lascia pensare), ma in direzione dell'intellettualismo astratto, personalistico, a sfondo
mistico-religioso. Tant'è che, malgrado il successo editoriale dell'opera, apparvero del tutto vani i tentativi di
implicarlo in una collaborazione culturale, filosofica (in riferimento principalmente all'estetica), da parte dei
vari circoli, club e riviste di Copenaghen. Con la divulgazione di Enten-Eller Kierkegaard usciva in modo
ufficiale dal mondo della cultura e dell'impegno sociale (egli rigettò per sempre anche la carriera
ecclesiastica). Nel '43 pubblica Timore e tremore, un’opera sulla figura di Abramo. Con esso Kierkegaard
prepone al dubbio della filosofia moderna (al cogito certesiano) la fede agitata nell'Assoluto di un essere
umano che non può mettersi in comunicazione con nessuno, sapendo di non poter essere compreso.
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Kierkegaard adopera Abramo per spiegare la sua nuova posizione sociale: l'individualismo religioso. Come
Abramo, che esteriormente si mostrava un assassino, mentre intimamente era una persona di fede, così
Kierkegaard sa di mostrarsi alla cittadinanza come una persona stravagante, anomala, inattendibile, e
proprio in virtù di questa mancanza di comprensione egli aspira a divenire qualche cosa di "speciale", di
"unico", nella consapevolezza delle proprie capacità intellettuali e dei propri drammi intimi. L'approfondirsi
dell’ argomento religioso è appunto un effetto del suo graduale disimpegno sociale. Lo si osserva molto bene
nell'interpretazione dell’ immolazione di Isacco, che risulta forzata in quanto Kierkegaard deduce l'episodio
dal contesto storico-sociale in cui è accaduto o comunque in cui è stato elaborato. La conclusione di Abramo
di sacrificare il figlio si fa vedere come la risposta a un ordine immutabile di Dio, e non come il frutto di una
scelta interiore, personale, maturata con grande angoscia. L'affanno che prova Abramo è nei confronti di una
chiamata esterna, a lui superiore, alla quale non può disubbidire.
L'Abramo di Kierkegaard ha un credo per il quale soltanto Dio
può dare delle risposte, ed è già pertanto una fede astratta,
che si dà vita ad un Dio a propria immagine e somiglianza. La
fede di Abramo viene descritta nella richiesta di una
supremazia della religione nei confronti dell'etica hegeliana.
Kierkegaard difatti risponde affermativamente a due
interrogativi posti nel libro: 1) Si dà una sospensione
teleologica dell'etica? (cioè esiste la eventualità di far valere gli
interessi religiosi dell’individuo su quelli etici della collettività?);
2) Vi è un dovere assoluto nei confronti di Dio? (che sia
superiore ad ogni costo a tutti gli altri doveri verso la
comunità?) Alla terza domanda: sul piano etico si può
discolpare il silenzio di Abramo con Sara, Eliezer, Isacco sul
suo progetto?, Kierkegaard fa intendere che se l'etica lo
giustifica essa è in consonanza con la religione, se essa
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invece non lo fa, allora la religione deve reclamare la propria
indipendenza
Nel '44 divulga Il concetto dell'angoscia. Kierkegaard ne aveva già parlato illustrando le figure di Antigone,
Agamennone, Jefte e soprattutto Abramo. L'interesse che il libro ebbe nella Kierkegaard-Renaissance
tedesca è stato più importante al suo reale valore intrinseco. Il libro è servito a Kierkegaard per provare che
l'angoscia consequenziale alla rottura col mondo sociale era uno stato d'animo prestabilito, come fu in un
certo senso prestabilito il peccato originale per Adamo.
Angoscia significa "possibilità della libertà", di conseguenza in teoria il peccato non è prestabilito. Tuttavia
Kierkegaard fa dipendere la colpa dal fatto che l'oggetto di tale eventualità è il "nulla". Ovverosia, l'innocente
Adamo è affannato dal fatto che nel suo stato di felicità eterna (che è ignorante) non c'è "niente contro cui
lottare". Il suo peccato non era indispensabile (altrimenti la nozione di libertà resterebbe privo di senso), ma
non era neppure scansabile, in quanto il "nulla" non concedeva alternative. In questo modo Kierkegaard può
difendere la sua rottura col mondo sociale: egli può relativizzare il proprio "peccato" ritenendo che non
c'erano valide possibilità per non farlo. Da questo "peccato" egli, come Adamo, si è poi messo in salvo col
pentimento, rimettendo ogni fiducia in Dio. Nello stesso periodo pubblica Briciole di filosofia. La tensione
drammatica dei testi antecedenti è considerevolmente ridimensionata. Ora Kierkegaard interpreta sul piano
filosofico le riflessioni maturate su quello psico-religioso. Egli inoltre cerca di ridare un principio filosofico alla
propria concezione religiosa della vita.
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I concetti che va elaborando, oltre a quello di "singolo", sono: "paradosso" (in opposizione alla mediazione
hegeliana dei contrari: la mediazione è concettuale, la vita è paradossale perché sola, irriducibile alla
comprensione adatta del pensiero), "scandalo" (che è secondo Kierkegaard, la vera faccia del dubbio
cartesiano e di tutta la filosofia moderna, che ha voluto separarsi dalla religione), "contemporaneità" (in
antitesi al concetto hegeliano di "divenire storico": per l’individuo la storia si limita a un nulla, in quanto il
problema di concretizzare una "beatitudine eterna" nella storia gli si presenta nella sua assoluta radicalità e
la storia non gli è di nessuno aiuto ai fini della attuazione).
Il singolo di Kierkegaard deve essere cosciente di vivere un'esistenza unica, incredibile e, in quanto
"discepolo di Cristo" (perché l’individuo si definisce "cristiano" o se non altro intenzionato a diventarlo) deve
altresì sentirsi "contemporaneo" a lui, aldilà dello sviluppo storico, invece contro questo stesso sviluppo, che
ha rimpicciolito l'esperienza cristiana a una banalità, a una ovvietà (si è cristiani in massa, soltanto perché si
viene battezzati, solamente perché si vive in un certo Stato ecc. dichiara Kierkegaard). In questa
"contemporaneità" la fede dell’individuo non può che destare "scandalo" nel parlante, che si sente già
cristiano e che non è dubbioso della propria fede. Lo scandalo mette in crisi le certezze conquistate, i
conseguimenti del passato. Kierkegaard rifiuta il concetto di "divenire storico" in quanto la storia ha tradito
Cristo.
Con questo saggio continua la critica, incominciata con
Timore e tremore, dell'ufficialità protestantica della Chiesa
danese, anche se tale polemica, per il momento, passa
mediante la critica dell'hegelismo. Da considerare in ogni
modo che Kierkegaard non ha mai gradito di definirsi
"filosofo": anche quando scriveva di filosofia egli gradiva
definirsi col termine di "scrittore religioso" o "edificante" (la
sua, casomai, è una filosofia della religione). Alle Briciole
seguirà nel '46 la imponente Postilla conclusiva non
scientifica. A partire da questo volume (che per Kierkegaard
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