GIORNALE DI LECCO 26 settembre 2005 Il lavoro dello staff di Uberto Pozzoli pubblicato sulle riviste di settore Al «Medea» scoperta la funzione di alcune parti del DNA (ber) Non solo ricerca applicata all'uomo e alla riabilitazione, ma anche indagine scientifica pura, finalizzata alla conoscenza. L'Irccs «Medea» de La Nostra Famiglia si è segnalato alla comunità scientifica mondiale agli inizi di settembre per una scoperta frutto del lavoro dei suoi ricercatori nell'ambito della genetica. In particolare il bioingegnere Uberto Pozzoli e il suo staff del laboratorio di bioinformatica ha scoperto che gli introni (sezioni del DNA la cui funzione è tutt'ora largamente sconosciuta e che non codificano direttamente delle proteine) non sono materiale genetico inerte, ma contengono informazioni importanti per i nostri geni. Questa porzione di genoma non è dunque «spazzatura evolutiva» ma ha anzi un ruolo fondamentale nello sviluppo embrionale e nei processi cellulari fondamentali. «E' noto da tempo alla comunità scientifica che esistono queste sequenze genetiche non codificanti, anche molto lunghe, apparentemente inu- tili. Nelle ricerche che abbiamo portato a termine ci siamo chiesti se davvero, alla luce di tanti indizi che abbiamo scoperto, si tratta di parti inerti o se hanno una qualche funzione ancora da identificare - spiega il dottor Pozzoli - E così abbiamo fatto diverse ipotesi. Una prima funzione di questi intervalli non codificanti, già nota, è quella di consentire, da un unico gene, la costruzione di più proteine. Essendo infatti la parte codificante spezzettata a moduli, questi possono poi essere ricostruiti in modi diversi dando luogo a diverse proteine. Ma per questo basterebbero piccole interruzioni nelle sequenze codificanti e non si spiegherebbe la lunghezza di questi "intervalli". Finora queste lunghe sequenze non codificanti sono state considerate una specie di tributo necesario al meccanismo dell'interruzione delle parti codificanti che si è conservato per inerzia. Ma si tratta di un'ipotesi che non ha mai convinto la comunità scientifica: in natura è difficile che venga "sprecato" del ma- SI PARLA DI: IRCCS "E. MEDEA" GIORNALE DI LECCO teriale o che si conservino strutture inutili. Quindi siamo andati ad indagare la funzione di queste lunghe sequenze, facendo delle comparazioni su parti molto dettagliate di genomi di diversi organismi. Abbiamo così individuato delle sequenze che non sono mutate nel corso dell'evoluzione. L'ipotesi che abbiamo fatto è che que- ste sequenze sono responsabili dell'allungamento dei geni. Con elabo- razioni statistiche abbiamo validato quest'ipotesi e abbiamo avanzato alcune tesi relativamente alla possibile funzione degli introni: probabilmente si tratta di elementi regolatori, cioè che non contribuiscono direttamente alla codifica del prodotto, ma consentono di regolare la produzione delle specifiche proteine legate a quel gene in rapporto allo sviluppo e alle necessità dell'organismo». I ricercatori del laboratorio di bioinformatica dell' Irccs «Medea», utilizzando modernissime metodi- che di genomica comparativa e computazionale, hanno raggiunto quin- di una serie di conoscenze impor- 26 settembre 2005 tanti che possono essere riassunte nei seguenti punti. Anzitutto la lunghezza degli introni nel genoma umano è stata determinata dall'accumularsi, durante l'evoluzione, di sequenze che, in quanto funzionali, oggi troviamo conservate. La localizzazione, lungo il genoma, di tali sequenze conservate indica che molte di esse hanno un ruolo nella corretta formazione degli RNA messaggeri, cioè delle molecole che funzionano da stampo per la sintesi delle proteine al di fuori del nucleo della cellula. Alcuni geni contengono un grande numero di sequenze conservate negli introni. Si tratta di geni che hanno un ruolo nello sviluppo embrionale e in processi cellulari fondamentali. I geni che sono attivi nel cervello, infine, hanno più sequenze introniche conservate di tutti gli altri. Ma qual è l'importanza di questi risultati? «Direi che è duplice - precisa Uberto Pozzoli - Da una parte fanno luce sul paradosso della presenza nel nostro genoma di lunghi introni (non codificanti), dall'altra indicano che tali sequenze non rappresentano spazzatura ma contengo- no informazioni importanti per il funzionamento dei nostri 30.000 geni. Non è tanto il numero di geni quanto il modo in cui il loro funzionamento è regolato a rendere l'uomo uomo, il topo topo e il verme verme. Questo concetto era già chiaro, ma che gli introni contribuissero a renderci "umani", non era affatto scontato». I risultati della ricerca avranno presto anche un effetto pratico nell'ambito sanitario: «Studi recenti hanno dimostrato che malattie genetiche (o predisposizioni) possono essere causate anche da variazioni nelle sequenze degli introni, e non solo nelle sequenze che codificano direttamente proteine - continua Manuela Sironi, biologa - Risulta quindi evidente che lo studio delle sequenze introniche rappresenta una delle sfide della genetica moderna. Basti pensare che meno dell'I % della differenza del DNA di due persone risiede nelle regioni codificanti». • L'ingegner Uberto Pozzoli, dell'Ircss «Medea» SI PARLA DI: IRCCS "E. MEDEA"