Numero Marzo '07 EDITORIALE Terza uscita del 2007 per Fuori dal Mucchio, il nostro consueto appuntamento con la scena musicale “emergente, autoprodotta, esordiente, sotterranea, di culto” italiana. Una scena che in tutte le sue innumerevoli sfaccettature di stili e generi – rock, naturalmente, ma non solo – si dimostra ogni giorno che passa sempre più ricca. Di etichette, di band, di artisti… e soprattutto di uscite discografiche. Al punto che anche solo ascoltare tutto quanto diviene un compito improbo e sovente ingrato, ché quantità e qualità non sempre vanno di pari passo. Eppure, ad avere la pazienza di cercare, le cose interessanti ci sono, e anche questo mese ve ne segnaliamo un buon numero. Anzi, per salutare insieme a voi la fine ormai prossima di un inverno a dire il vero insolitamente caldo, abbiamo voluto strafare, dando vita a un numero “speciale interviste”, esattamente come quello dello scorso luglio. Otto gli incontri che vi proponiamo, con altrettante realtà diversissime tra loro ma tutte ugualmente meritevoli di un approfondimento. Nella speranza di avervi fatto un regalo gradito, cogliamo l’occasione per augurarvi come sempre buona lettura e buoni ascolti, e arrivederci al mese prossimo. Aurelio Pasini Pagina 1 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '07 Albert van Venendaal/Fabio Puglisi Duets For Prepared Unprepared And Toy Pianos Evil Rabbit/Bassesfere Il pianista Fabio Puglisi è componente del collettivo musicale bolognese Bassesfere, associazione libera di musicisti legati all’area jazz e all’improvvisazione attiva da una decina d’anni, e ha un curriculum di tutto rispetto, avendo suonato in passato con gente del calibro di John Zorn, Lester Bowie ed Enrico Rava, e avendo lavorato a lungo ad Amsterdam, intrecciando legami fruttuosi con l’ambiente free locale. È proprio in questo rapporto con la scena olandese che risiedono presumibilmente le origini di questo disco, registrato dal vivo nei Paesi Bassi con Albert van Venendaal. I due pianisti intrecciano le proprie note in brevi composizioni – sedici in tutto, per poco meno di tre quarti d’ora – a volte convulse e dense (“Short Fuses”, “Earthquakes”), altre volte più sparse ed impressionistiche (“Ou est-il?”), accomunate da una attitudine ludica e comunicativa. Ed è un vero peccato, da un certo punto di vista, che l’esperienza di questo concerto si limiti al solo udito, visto che ci piacerebbe vedere all’opera i due musicisti mentre maltrattano le corde dei loro pianoforti, insinuano scricchiolii e rumori sinistri nel tessuto musicale, fanno interagire con gli strumenti ronzii di natura incerta (“Gazz”, che acquista così una dimensione quasi ambient, man mano rarefacendosi). La tridimensionalità del suono riesce comunque ad emergere attraverso il concerto, consegnandoci un’idea di avanguardia che ci piace parecchio: curiosa, dinamica e aperta al mondo ( www.bassesfere.it). Alessandro Besselva Averame Agua Calientes Clackson! Flock Haus Risale a qualche mese fa il primo contatto del sottoscritto con gli Agua Calientes, quando in altra sede venni chiamato a commentare l'EP che ai tempi rappresentava l'unica testimonianza discografica della band. In quell'occasione l'impressione che ne ricavai fu buona, unita alla convinzione di trovarmi di fronte ad una formazione matura capace di maneggiare con facilità un ampio ventaglio di riferimenti stilistici. Riferimenti che allora richiamavano in prima battuta ska, funk e beat, declinati in chiave soul o in calce a qualche sporadica svisata pseudo-etnica; regole formali che in “Clackson!” – primo episodio sulla lunga distanza per il gruppo – sfociano in uno spumeggiante andirivieni tra ritmi giamaicani, andature in levare, ottoni in Pagina 2 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '07 fibrillazione e brani scoppiettanti. Scorre tutto liscio come l'olio nei quarantotto minuti del disco, tra alternanze di voci impegnate ad indagare i canoni estetici di riferimento e chitarre anfetaminiche, tanto che, paradossalmente, ci si accorge di essere arrivati a fine programma quasi per caso, senza uno sbadiglio ma anche senza un brivido come si deve. Merito – o colpa – della levigatezza e della pulizia formale diffusa, di una ricchezza di spunti strumentali pregevoli ma talvolta ridondanti, che alla lunga rischiano di trasformare questo “Clackson!” – per usare le parole del gruppo – in “una proposta in grado di soddisfare l'orecchio di chi vuole un semplice sottofondo musicale”. A molti potrà andar bene ma qualcuno, ne siamo certi, storcerà il naso (www.aguacalientes.it). Fabrizio Zampighi Claude Cambed & The Now Happy Gone Street Shinseiki/Audioglobe Claude Cambed è in una botte di ferro. Richiamando per assonanza nel titolo di questo album – lo dichiara il comunicato allegato al disco – il termine “epigono” (ovvero colui “che continua ed elabora idee e forme dei suoi predecessori”), il musicista bresciano blocca preventivamente qualsiasi accusa derivazionista. Ma non pensate che si tratti di semplice astuzia retorica: l’arte praticata dal nostro uomo è nobile e immeritatamente bistrattata, soprattutto quando viene dichiarata con una tale onestà. Il motivo per cui stiamo qui a parlarne, tuttavia, è un altro. Cambed non solo ama la materia cui attinge (diciamo, approssimativamente, la nobile arte britannica di imbastardire il pop con la psichedelia), ma scrive ottime canzoni, come già ha dimostrato in passato. Ad aiutarlo, in questa occasione, una vera e propria backing band, The Now: Giovanni Ferrario dei Micevice, co-autore di tre brani, e Lorenzo Corti, chitarrista di Cristina Donà e Mau Mau, qui autore di “My Buddies”. Si parte con un formidabile apocrifo XTC, “Modern Law”, si procede omaggiando il Duca Bianco (“Guilty Sky”, scritta con Ferrario), si celebra lo scomparso Syd Barrett con la dovuta delicatezza (“I Got A Sunshine”), si escogita una meraviglia che pare sfuggita a McCartney durante le registrazioni di “Rubber Soul” (“Walking”), e via dicendo. Power-pop alla maniera antica, senza farsi troppe domande sul concetto di modernità. Limitandosi a sfornare piccola pasticceria Sixties, artigianale certo, ma all’altezza dei sapori originali. Disco godibilissimo (www.shinseiki.it). Alessandro Besselva Averame Pagina 3 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '07 Alibìa Tra tutto e niente CNI/Venus Si potrebbe esordire dicendo che gli Scisma non hanno mai, ahimé, raggiunto il grande successo, però hanno sicuramente potuto contare su un pubblico attentissimo, che talvolta ha deciso di passare dall’altra parte. Lo si potrebbe dire, e non sarebbe neppure male come complimento, visto che Benvegnù e soci sono stati un tassello fondamentale nella costruzione del moderno rock italiano cantato in italiano, ma questo rischierebbe tuttavia di sminuire la musica di questo sestetto di Salerno giunto al secondo album e alla terza pubblicazione se contiamo anche l’EP “Va tutto bene” dello scorso autunno: una musica che è personale, levigata senza essere troppo luccicante e molto efficace nel creare il proprio immaginario. Un immaginario suggestivo, in equilibrio tra paesaggio sonoro e canzone, dove pianoforti e chitarre forniscono solida base all’intreccio di voci, e una tessitura finissima di suoni e intromissioni elettroniche – ma anche frammenti orchestrali e svisate noise – amplifica lo spettro espressivo. Canzoni come “Mai più” (ottimo il lavoro di basso e batteria) sono rassicuranti e avvolgenti all’apparenza, ma non riescono a nascondere del tutto un’anima malinconica. Ed è proprio su fragili equilibri come questo che si regge la riuscita del progetto, un progetto al quale, se dovessimo fare un’unica critica, forse mancano per il momento uno o più brani in grado di rivoluzionarne le sorti. Ma per quello c’è sempre tempo: “Tra tutto e niente” rappresenta al momento un ottimo risultato (www.alibia.it). Alessandro Besselva Averame Colle der Fomento Anima e ghiaccio Rome Zoo/Self Otto anni non sono per niente pochi. Eppure otto sono gli anni che i Colle der Fomento hanno fatto passare tra “Scienza doppia H” e questo “Anima e ghiaccio”. Otto anni in cui il sodalizio tra Danno e Masito non si è mai sciolto, ma anche otto anni in cui, immancabilmente, ogni anno si diceva che sì, il disco nuovo era pronto per uscire. Tanto da creare ad un certo punto la sindrome da “al lupo, al lupo”. Di solito, in situazioni come queste, ciò che alla fine si ha sono dischi sfilacciati, disomogenei, datati in alcune parti e scentrati su altre: è fisiologico. Difetti che in minima parte ci sono su questo disco, sì, ma sottolineiamo minima. Del resto una partenza poderosa come “Ghetto chic”, con una sensazionale base di Lou Chano, può far perdonare tutto; e un altro colpo ben assestato che resterà è “RM Confidential”, con ottima base di Bonnot. Musicalmente, da segnalare anche il Pagina 4 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '07 lavoro di Squarta in “Solo amore”, minimalista e creativo, e dell’illustre DJ Stile nel remix di “Più forti delle bombe”, un caravanserraglio coldcutiano primi anni 90 a dir poco appassionante. Come testi invece va detto che Masito e Danno hanno una proprietà di linguaggio e una incisività scrittoria che è decisamente sopra la media della scena rap nazionale, era così prima, è così adesso. L’unica critica è che forse, paradossalmente, questo grande pregio alla fine gli si ritorce contro: sicuri delle proprie abilità espressive, i Colle der Fomento non si sforzano di mettere a fuoco e di selezionare le immagini quanto potrebbero. Se lo avessero fatto, “Anima e ghiaccio” sarebbe una pietra miliare; così, è decisamente un buon disco. Il che non è poco. Tutt’altro. In attesa di quello di Kaos, forse il miglior disco hip hop degli ultimi due, tre anni (www.myspace.com/collederfomento). Damir Ivic Comanda Barabba Live In Rome 2005 Bassesfere Registrato dal vivo il 13 dicembre 2005 nella sala B del centro di produzione Rai per la trasmissione radiofonica “Battiti” (Radio 3), questo “Live in Rome 2005” è un’ottima manifestazione di eclettismo musicale da parte dei Comanda Barabba, quintetto appartenente al collettivo bolognese Bassesfere e impegnato in una personalissima interpretazione della tradizione jazz. Strumentazione canonica (piano, batteria, contrabbasso, sax contralto e baritono) e una marcata propensione a fuggire dai confini si fondono in marce circensi e dissonanti, evoluzioni e costruzioni collettive che improvvisamente si dissolvono in rumorismi e improvvisazioni per poi tornare a malinconie e paesaggi lunari. Colpisce l’inventiva, l’equilibrio tra padronanza dei mezzi e capacità di abbandonarne gli approdi più sicuri dove necessario, così come il ritrovarsi dei musicisti sulla stessa lunghezza d’onda di passate esplorazioni in territori jazz rock (per citare qualche consonanza che si incontra qua e là: Soft Machine, Henry Cow, Area) senza per questo apparire in qualche modo derivativi, e anzi capaci di passare in pochi istanti, ne “La faccia nei calzini”, dalla improvvisazione percussiva iniziale alle atmosfere d’antan che riportano la formazione in territori più classici, senza però macchiarsi di alcuna leziosità. Una musica che merita di uscire dal circuito di appartenenza per catturare l’attenzione di chiunque non cerchi conferme ma stimoli. Molto bravi ( www.bassesfere.it). Alessandro Besselva Averame Pagina 5 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '07 Cor Veleno Nuovo nuovo H2O/Sony Ora l’hip hop è sulla bocca di tutti e sulle copertine di “XL”, ma solo pochi anni fa era in uno dei momenti di maggior crisi a livello di esposizione. Detto in altro modo, non se lo filava nessuno, a parte i pochi dello zoccolo duro (che erano tipo gli ultimi giapponesi, mica come adesso che perfino un Daniele Interrante si dichiara fan dei Club Dogo). È proprio in quel periodo, il più duro, che i Cor Veleno erano definitivamente venuti fuori con un paio di dischi, “Rock’n’Roll” ed “Heavy Metal”, davvero potenti, compatti, forti, fottendosene quindi delle debolezze (così come dei tic) della scena. E ora? Ora sarebbe il momento di raccogliere. Con la crew romana in prima fila tra coloro che meritano davvero. Il fatto di uscire con una major, seppure per via indiretta, dovrebbe aiutare, stiamo un po’a vedere. Sta di fatto che “Nuovo nuovo” ha un pregio e un difetto al tempo stesso: non fa la cosa più prevedibile, cioè insistere solo sull’attitudine grezza e oltraggiosa, ma tenta invece di affinarsi, di fare un disco equilibrato, scorrevole, che sia consistente ma anche elegantemente rifinito. Il che non significa vendersi alla major – questo sospetto non affiora, no. È che per dimostrare di essere sempre un passo avanti, in primis a se stessi, i Cor Veleno hanno perso un po’ della loro unicità. Le tracce scorrono bene, l’impianto funk e soul (con retrogusto pop) regge bene, le rime si sviluppano bene e colpiscono; ma finisci di sentire l’LP, e ti sembra di aver ottenuto trenta quando eri sicuro che avresti avuto trentuno (www.corveleno.com). Damir Ivic DDR Diritto di rivolta Indiebox/Self C'è un filo rosso che lega il punk socialmente impegnato in italiano, un filo che parte dalle contestazioni del Virus nella Milano dei primi 80 passando in forme diverse anche per i Punkreas; ed è proprio da loro, grazie alla voce di Cippa in “Terra che non c'è”, che il testimone passa ora ai DDR e al loro “Diritto di rivolta”. Già l’esordio di un paio d'anni fa, “Alza la voce”, aveva fatto parlare di loro come una delle promesse del punk nostrano, e bisogna dire che le speranze non erano mal riposte. Distaccandosi in parte dal sound californiano che li aveva finora contraddistinti, i DDR tentano la via personale inserendo didjeridoo e tastiere, ma soprattutto lavorando in fase di arrangiamento per trovare soluzioni più ricercate. Il lavoro sulle ritmiche è infatti ben riuscito, e a titolo esemplificativo potremmo citare “In questo momento”. Un brano che, tra l'altro, mette in evidenza la voce di Selina, Pagina 6 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '07 capace di graffiare così come di farsi melodica senza perdere in credibilità Sulle tematiche abbiamo già detto: rabbia e frustrazione per un mondo che non piace, ma senza slogan o proclami; solo un pressante invito a tenere acceso il cervello. Sono ancora un po' farraginosi i testi, ma i miglioramenti ci sono stati e non tarderanno ad esserci. In sostanza, i DDR confermano e rilanciano, ed il tour che è appena iniziato li vedrà spargere il (loro) verbo in tutta la penisola. Poi non dite che non sapevate niente (www.ddrpunkrock.org). Giorgio Sala Dejligt Feed The Dog Matteite/Venus Già formidabile motore ritmico di Here, Ulan Bator e molti altri progetti, Matteo Dainese ha mollato bacchette e tamburi per imbracciare la chitarra e cantare. Quella che abbiamo appena usato è a dire il vero una semplice figura retorica, magari pure un po’ trita, siccome questo disco rielabora materiale raccolti negli ultimi anni, negli interstizi tra un progetto all’altro. È però la prima volta che la vena autoriale di Dainese trova uno sbocco compiuto: con l’aiuto di Enrico Molteni dei Tre Allegri Ragazzi Morti il musicista ha infatti registrato queste canzoni moderatamente sghembe utilizzando il nome Dejligt, mettendo insieme ritmi sintetici e memorie elettropop, strumenti acustici e un piglio istrionico nell’approccio vocale che ci fa venire in mente i primi dEUS. Tra ballate laceranti e sprofondate in abissi interiori (“Blue Station”, con una splendida tastiera wyattiana), episodi di postmoderna mutazione folk-punk (“Never Go Back”) e giocattoleria elettronica più (“Chop Chop”) o meno (“My Favorite Supervisor”) marcata, il risultato è una finestra sul mondo dell’autore, che riesce a mettere insieme spontaneità “do it yourself” ed elaborazione sonora, coinvolgendo alcuni amici tra cui Carolyn Honeychild Coleman (Badawi, Apollo Heights, Here), Troy Von Balthazar (Chokebore) e Colin Lee (Bikini Bandits).Una sorpresa inaspettata, coincidente con la nascita di una nuova etichetta, la Matteite, che ci pare partire con i migliori auspici (www.matteite.com). Alessandro Besselva Averame Pagina 7 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '07 Faveravola La contea dei cento castagni Locanda del Vento/Lizard Dopo aver dato vita ad una filiale cantautorale (La Luna e i Falò), la Lizard – che solitamente lascia tracce di un rock non codificabile, né moderno né antico, certamente originale – questa volta si lascia prendere dalla sindrome nostalgica e apre le porte della Locanda del Vento, luogo di incontri per racconti senza tempo a base di rock progressivo classico, necessariamente cantato in italiano. Coraggio o incoscienza? Certamente passione e sincera volontà di non battere le piste scontate di tante nuove label, che sembrano guardare solo a sonorità finto alternative e pseudo-intellettuali. La storia dei Faveravola (anagramma di “vera favola”), è davvero antica, e nasce negli anni 70, per poi interrompersi per i soliti problemi di scelte di vita. Ma l’amore per la musica non conosce inganni e così, a distanza di tre decenni, il fuoco si è riacceso e i protagonisti originali di tanti suoni (l’area trevigiana ricorderà nomi come Diamond Red, Dinoterium Rex, Opera Prima), si sono mescolati con nuovi musicisti, di una generazione successiva (ex di Black Jester, Cabaret du Ciel e Asgard), per dare vita a questo sentito e commovente omaggio al pop progressivo tricolore, con un tocco in più di incantevole amore per il fantasy e per ideali di lealtà, giustizia e libertà. L’album, splendidamente addobbato dai disegni di Marta De Martin, è un concept su un cavaliere medievale che, mentre attraversa la Contea dei Cento Castagni, è protagonista di incontri e storie. La vicenda si snoda attraverso canzoni leggiadre, che trasmettono purezza e serenità, con incroci di tastiere, violini, chitarre e cori, con un appeal antico che incanta. La voce di Franco Violo, che ne “La piana dei temoli del Libenza”, duetta con il grande Aldo Tagliapietra de Le Orme, ha sentimento e l’intonazione perfetta per raccontare le tante storie che attraversano queste dodici canzoni, autentica delizia per gli innamorati del pop progressivo tricolore (www.faveravola.com). Gianni Della Cioppa Flap A Poor Story In The Bottle I Flap sono un trio di Montagnana (Padova) e “A Poor Story” è il loro secondo disco, che segue di due anni l’esordio “Férmo”. Le coordinate del loro suono sono quelle di un post-rock sulle prime abbastanza didascalico e citazionista – potrebbero venire in mente gli Explosions In The Sky – ma che in realtà mostra una gamma sonora ben più ricca, toccando certi punti cari alla Wallace Records e certi nervosismi degni dell’americana Monotreme e i suoi 65daysofstatic. I sette brani che Pagina 8 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '07 compongono quest’opera seconda guardano oltreoceano e non disprezzano una sana e costruttiva contaminazione (aiutati anche dalle sapienti mani di Paolo Iocca e Marcella Riccardi dei Franklin Delano in “’700”) che cerca di espandere i confini di una musica che caccia così lo spettro della monotonia. Per dire, brani come “Mexico” e “Liberty”, per arrangiamento e voglia di esplorare, si avvicinano agli scenari morriconiani di certi Calexico. Così come “///O\\\” potrebbe ricordare i My Cat Is An Alien, che certo gli ultimi arrivati non sono. Più canoniche, invece, le conclusive “Specchiodacqua” e “Mai Visto!!!”. Musicalmente parenti dirette di un post-rock abbastanza riconoscibile ma non per questo meno efficace: ci stanno, nell’economia di un disco del genere e di genere, episodi meno originali, soprattutto quando non vanno ad intaccare il risultato finale (www.flapband.org). Hamilton Santià Glam Quello che manca In_Records/Family Affair Non bisogna giudicare un libro dalla copertina, dice il detto. Né, aggiungiamo noi, un gruppo dal nome e dalla sua immagine. Se infatti la ragione sociale di questo trio napoletano e il look abbastanza “forte” (con tanto di ricorso abbondante al make-up) fanno pensare, per l’appunto, a un immaginario e a sonorità tipicamente glam, in questo debutto c’è anche dell’altro. E più precisamente c’è parecchia dark wave, pulsante alla Joy Division e liquida alla Cure, affiancata da un senso del ritmo e del groove (anche sintetico) che non ha davvero nulla da invidiare a quello di tante celebrate band d’Oltremanica. Mescolate tutti questi ingredienti e otterrete un lavoro sfaccettato e ricco di sfumature, sofferto e rabbioso ma anche romantico, seppure in maniera tutt’altro che rassicurante. Ecco quindi che “Noir” e “Kitsch” pagano un rispettoso ma non esasperante debito agli anni 80 meno luminosi, mentre il finale di “Estetica” e la frenetica “Lentamente” vedono protagonista una sezione ritmica letteralmente travolgente, e se “Dalle ciglia” è tutta un luccicare di lustrini su cadenze da dancefloor, “Bella fresca” sfoggia un piglio decisamente post-punk. Forte anche di una notevole limpidezza sonora – grazie al contributo in fase di mastering dell’inglese John Davis – “Quello che manca” è un lavoro che riesce a farsi apprezzare con facilità; e l’impressione è che in concerto i suoi autori sappiano fare anche meglio: motivo in più per non perderli di vista (www.iglam.it). Aurelio Pasini Pagina 9 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '07 Karmablue Acquadanze Atman A volte ci sono dei titoli che, con la sintesi intuitiva di una sola pennellata, sanno riassumere perfettamente e sapientemente tutte le suggestioni e la poetica di un progetto musicale. “Acquadanze” è la parola chiave con cui i romani Karmablue (bel nome pure questo) sottoscrivono il secondo disco, dopo averci deliziato quattro anni fa con “Erratico estatico” (prodotto dalla Toast), e accendono immagini eteree, introspettive in amniotica leggerezza. “Aurorale” è delicata opalescenza elettrica, interrotta da un nervoso stacco crimsoniano, ideale biglietto d’accesso per intimistici madrigali (rubo con piacere l’azzeccata definizione dell’esordiente Atman Records), incantevoli riverberi dell’anima a cura soprattutto del chitarrista Giacomo Caruso, coadiuvato da un ensemble aperto. Poche parole fra dinamiche più strumentali, tra il recitato ed il cantato senza enfasi, frammenti di poesia (“Acquadanze”, “Specchio meccanico”), intermittenze fra altre progressioni frippiane (“Le miroir mecanique”), movenze lievi e arpeggi ipnotici, che finiscono per ricondursi in un unico avvincente tratto stilistico. Tutto molto bello dunque; solo, avremmo voluto che la magia, senza farne una risibile questione di minutaggio, si fosse protratta un po’ oltre i venticinque minuti totali del cd, soprattutto per la ricchezza di idee, la personalità e il magnetismo sonoro fin qui palesato. Che sia dunque un generoso arrivederci, senza che altri quattro anni ci dividano da nuove fluttuanti, maliose danze ( www.karmablue.it). Loris Furlan Lorenzo Hengeller Il giovanotto matto Polosud La voglia giocosa di scomporre e comporre cataloghi e canzonieri, inni e melodie, per creare nuova musica: è il blob di Lorenzo Hengeller, swingante napoletano giovanotto (per nulla matto), brillante pianista alla terza prova. Già ti fai un’idea nei tre minuti dell’“Inno di Mameli”, che giustappone la performance pseudo-patriottica di Troisi (“Fratel-li d’Ita-lia”), “Bandiera rossa”, “Giovinezza” e “Faccetta nera”. La fiera del bipartisan che non fa male a nessuno – un’equidistanza anni 50 – che torna in “Lo swing del giornalaio”. “Il tic” è uno shuffle che guarda a Carosone e Sergio Caputo (ma anche Natalino Otto, Daniele Sepe, Arbore…), con un po’ di voglia di goliardate e doppi sensi. Come anche gli intermezzi in cui Hengeller scherza, tirando su variazioni melodiche dalle suonerie Nokia, come se qualsiasi nota rubata per l’aria sia utile come la per partire. “Papaveri e papere” cantata da Angela Luce Pagina 10 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '07 segna il matrimonio inedito tra il celebre classico e “Penny Lane”. “Le tue mani” è per l’armonica di Bruno De Filippi, splendido ospite anche nella deliziosa “In Bruno veritas”: sono delle “vellutate” degne del Mingus più avvolgente, i due migliori momenti del disco. “Buonanotte al mare” e “Fraseggio in mi bemolle” di Gorni Kramer, “Pummarola Boat” del Quartetto Cetra, sono standard che fissano la rotta eleggendo i propri Virgili. Divertente e a tratti anche meglio: occhio, soltanto, a non innamorarsi troppo della propria furbizia (www.lorenzohengeller.com). Gianluca Veltri Maurizio Bianchi & TH26 Arkaeo planum Small Voices Sono trascorsi circa quattro anni da quando i TH26 esordirono per la Small Voices Allora l’etichetta pugliese muoveva i suoi primi passi e la band cagliaritana godeva del sostegno creativo di Simon Balestrazzi dei TAC, vera icona di certa musica elettronica nostrana. Maurizio Bianchi dal canto suo non necessita di essere presentato: recuperate album quali “Symphony For A Genocide” (1981) o “Mectpyo bakterium” (1983) e lasciatevi danneggiare le orecchie dai deliri sonori di uno tra i più alti rappresentanti della musica industriale. E la voglia di mettersi in discussione, confrontandosi con un giovane gruppo misconosciuto, rende ancor più merito all’artista milanese, che tra l’altro continua a produrre dischi con sorprendente regolarità, a testimonianza di quanti argomenti intenda ancora sviscerare prima di giungere al traguardo dei trent’anni di carriera. “Arkaeo planum” è un album cupo ed introverso che al rumore caotico e virulento preferisce sinistri movimenti minimali. Le sue trame, tessute su campionamenti ed embrionali accenni armonici, creano atmosfere oscure e nebbiose, solo a tratti sferzate da incisivi stridori metallici che squarciano la densa coltre sonora, senza tuttavia lasciar traspirare luce alcuna. È la rappresentazione di una realtà affetta da un male incurabile che, per quanto provi a dimenarsi energicamente, non riesce ad uscire dal tenebroso incubo in cui è stata relegata (www.smallvoices.it). Fabio Massimo Arati Pagina 11 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '07 Mauve Sweet Noise On The Sofa Canebagnato La corsa della Canebagnato continua con il folgorante esordio dei Mauve, trio di Verbania formato da Carlo Tosi e Alberto Corsi alle chitarre ed Elda Belfanti alla batteria. Post-rock quando pensavi che il post-rock non avesse più niente da dire. La cartella stampa parla di Sonic Youth, Mogwai e la paternità ideale di Miles Davis. Tutto giusto e tutto sbagliato. Sono influenze che si sentono, certo, ma più di Miles Davis parlerei di John McLaughlin e del suo chitarrismo liquido che ha ispirato le trame dell’opening-track che del jazzista porta il nome. Citerei l’etereo vagare nei territori degli Slowdive e delle distorsioni che strizzano l’occhio allo shoegaze di “Keep Me Warm”. E non finisce qui. Sono solo quattro schegge sonore piene di fascino che la musica strumentale non ci era più riuscita ad offrire. Insomma, oltre ai due brani sopracitati bisogna ricordare il dinamismo di “Mauve Paranoid”, che prende quanto di buono fatto dalle formazioni post-rock per approdare laddove gli Yo La Tengo hanno dimostrato di poter arrivare in dischi come “I Can Hear The Heart Beat As One” e il fascino mesmerico di “Autumn Leaves”, paradossalmente molto più vicino a formazioni nostrane come Giardini di Mirò (si riprenda “Punk… Not Diet!” per un breve ripasso). Il tutto tenuto assieme da una personalità consapevole dei propri mezzi che rende “Sweet Noise On The Sofa” un disco da scoprire e assaporare, così come gli altri numeri del catalogo di quella che è forse la miglior etichetta uscita dall’antro bulimico del paese negli ultimi sei mesi ( www.myspace.com/feelmauve). Hamilton Santià Montecristo Montecristo Sleeping Star/Goodfellas Uno prende in mano il debutto dei Montecristo e immediatamente vede che è co-prodotto dalla band e da Tony James. Sì, proprio il bassista dei Generation X. Il che, viene da pensare, è una credenziale non da poco, almeno fino a quando non ci si ricorda che il musicista inglese era anche la mente dietro i Sigue Sigue Sputnik, e allora il sorriso si trasforma in una smorfia. Nessun timore, però, perché fin dai primi secondi dell’iniziale “Cease & Desist” ogni preoccupazione viene fugata a suon di rock’n’roll, di quello più puro e incontaminato. Un calderone fumante in cui mescolare influenze hard e atmosfere glam, schegge di rabbia punk e fango di strada, tra riffoni potenti e ritmiche incalzanti. Così per tutta la lunghezza del disco il quartetto capitolino ci trasporta in vicoli illuminati male e frequentati anche peggio, Pagina 12 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '07 all’angolo con locali dalla clientela lasciva e pieni di ragazze discinte ma col serramanico nascosto nel bikini. Del resto, titoli come “Shake Your Bones”, “Devil’s Do” e “French Kill” non lasciano adito a dubbi: questa è musica che diverte, sì, ma che non fa prigionieri; anche se a dire il vero qualche episodio – tipo l’inquietante “I’m A Wheel” – avrebbe potuto essere asciugato nel minutaggio. A rendere il tutto meno monolitico, poi, ci pensano la ballata acustica “Part Time Loser” e, soprattutto, una “Loader” che appoggia su un tappeto di chitarre shoegazer una linea melodica sognante e quasi romantica, frutto degli sforzi congiunti del cantante Emiliano e di Matilde De Rubertis degli Studiodavoli (dai quali la formazione romana prende in prestito anche le tastiere di Gianluca, presenti in cinque brani su dodici). L’ennesima riprova di come la scena r’n’r della capitale stia godendo di una salute invidiabile ( www.montecristorocks.com). Aurelio Pasini Pennelli di Vermeer Trame dannata Sintesi 3000/Self I napoletani Pennelli di Vermeer definiscono la loro proposta “rock pittorico”: descrizione che, dopo avere ascoltato i cinque brani contenuti in questo EP di esordio, ci pare decisamente appropriata, anche al di là degli ovvi rimandi alla ragione sociale scelta. La loro è infatti una musica che mescola umori e generi allo stesso modo in cui un pittore mescola i colori per ottenere le sfumature più varie: ci sono istanze cantautoriali, c’è uno spruzzo di ritmiche in levare, ci sono spezie orientali, c’è persino un poco di hard rock; ma soprattutto c’è tanto, tantissimo progressive: nelle forme, nei riff suonati all’unisono da tastiere e chitarre, nel ricorso continuo a un certo tipo di sonorità (synth, organi), nei repentini cambi di tempo, nella struttura aperta delle composizioni. Richiami formali che però sottendono ben altro, ché il quintetto non si è limitato a riprendere l’esteriorità del prog, ma ne ha ereditato anche lo spirito avventuroso, il coraggio di lanciarsi nel vuoto senza rete di protezione, con il rischio schiantarsi miseramente al suolo sotto il peso delle proprie ambizioni. Pericolo che fortunatamente la formazione sa evitare, riuscendo nel non facile compito di mediare con l’istinto un approccio di per sé improntato sulla cerebralità. Il che in un certo senso li avvicina ai Mariposa, con però meno ironia surreale e una maggiore propensione alla teatralità. Un buon inizio, dunque, specie per quanto riguarda i brani autografi (con menzione d’onore per “Onde” e il suo liberatorio coro finale), mentre convince un po’ di meno la cover di “Princesa” di Fabrizio De André, in cui un’ecessiva enfasi finisce per attenuare almeno parte della drammatica intensità dell’originale (www.ipennellidivermeer.it). Aurelio Pasini Pagina 13 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '07 Periferia Del Mondo Periferia Del Mondo ElectroRomantic Music Guidati dal musicista e cantante Alessandro Papotto (da tempo anche nella line-up del Banco del Mutuo Soccorso) e attivi da ben undici anni, i romani Periferia del Mondo, appartengono alla stirpe dei “progressivi”: quel genere di gruppi costretto a pagare pregiudizi e risatine di scherno da una certa critica che considera vetusti questi suoni, salvo rivalutarli se ne scovano inserti in realtà di tendenza (magari Mars Volta, magari Muse o Porcupine Tree). Difesa d’ufficio a parte, il sestetto capitolino dimostra di avere lucidità e talento sufficienti per guadagnare la stima sia di chi questo genere lo ama incondizionatamente, peccando spesso di senso critico, sia di chi cerca invece oltre alla qualità anche qualche lieve traccia di innovazione, seppur circoscritta all’interno dei canoni del mondo prog. I segnali di una crescita, rispetto all’esordio “In ogni luogo, in ogni tempo” e al successivo “Un Milione di voci” (gratificato da ospiti importanti come “Big” Di Giacomo e Mauro Pagani), sono documentati da una maggiore versatilità di scrittura, disseminando nelle dieci tracce inserti di jazz soffuso e soprattutto ambizioni etniche, che esplodono nei quasi nove minuti della variegata “Suite mediterranea”, autentico caleidoscopio di sonorità solari e danzanti. A fronte della maturità di “Oceani”, dell’apertura che omaggia album e band, o il rock crepuscolare di “Synaesthesia”, dobbiamo registrare anche due pezzi poco edificanti quali “Charoscuro” e “Angeli infranti”, che paiono più un telaio per il testo che autentiche canzoni. Il riscatto è immediato, infatti le due bonus-track (rispetto alla affascinante versione in vinile, un classico per la band), sono tra le cose più seducenti e dell’intero album (www.periferiadelmondo.it). Gianni Della Cioppa Rio Terra Luna e Margarita Riserva Rossa/Warner Benedetti, ma non protetti da Luciano Ligabue, questi Rio annoverano come chitarrista il di lui fratello Marco, ma – e poi chiudiamo, per sempre, la cosa qui – le assonanze terminano solo alla parentela. Dopo un primo assaggio di otto brani con un mini-CD, a distanza di due anni, il quintetto replica con questo album: sempre breve (solo dieci tracce), senza grossi mutamenti strutturali, ma con una maturità di scrittura più solida, acquisita anche in numerosi concerti, dove appare una base più Pagina 14 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '07 ruvida di quella che si ascolta in studio. Se il chitarrista si dimostra buon compositore di rock song classiche, con qualche intuizione degna di attenzione e gradevoli innesti di pop, è la voce di Fabio Mora il terminale d’eccellenza, un vero interprete di razza. Scorre adrenalina con il trittico d’apertura: si parte con gli inserti elettronici della movimentata “Margarita”, segue il refrain conturbante della nota “Come ti va” e infine “Alice”, posseduta da un riff granitico. Quindi è la volta de “La vita è perfetta” con omaggi al Messico, posto che la band ha individuato come luogo ideale del sogno e della fuga, da qui la creazione della zona di raduni e incontri Hotel Mariachi. Ed ancora “Scossa”, puro hard rock, l’intrigante r&b di “Tutto in una notte” e “Luna”, che confermano i Rio come un gruppo in crescita, nonostante le liriche siano dirette ad un pubblico post-adolescenziale. Due le ballate: l’intima “Il movimento dell’aria” e la splendida “Dimmi”, munita di un’immagine straordinaria, quella di due amanti si coccolano e lui le chiede “…soffiami addosso”. Fantastico ( www.rio.it). Gianni Della Cioppa Sintica Sintica Fluidi-CNI/Venus Un esordio che arriva dopo una lunga e fruttuosa gavetta, quello dei torinesi Sintica. Dal 2002 a oggi infatti il sestetto ha partecipato con successo a numerosi concorsi in ambito nazionale, pubblicando anche un pugno di singoli (tra i quali una cover di “Jesus To A Child” di George Michael, i cui proventi erano destinati alla LILA) e mettendo in scena una originale quanto fruttuosa strategia di promozione, con tanto di concerti nelle vetrine dei negozi di dischi. Tutto ciò per dire che questo omonimo esordio sulla lunga distanza non rappresenta soltanto un punto di partenza, ma anche un sunto di quanto fatto finora, come testimonia la presenza nell’elegante confezione di un DVD contenente filmati e videoclip. Un’attenzione per i dettagli che si riflette in una proposta musicale curata fin nel più piccolo particolare, frutto di un lavoro produttivo di tutto rispetto, all’insegna di un electro-pop sotto molti aspetti debitore della lezione dei Subsonica. Come i loro più noti concittadini, anche i Sintica cercano e trovano un compromesso tra sonorità e groove elettronici, fisicità rock e melodie a presa rapida, condendo il tutto con una discreta dose di drammaticità che però non sfocia mai nell’enfasi gratuita. Ibridando e facendo compenetrare i suddetti elementi, la formazione piemontese dà così vita a canzoni indubbiamente solide ma talvolta ostacolate proprio dalla evidente vicinanza (anche nelle linee vocali) con quanto proposto da Max Casacci e soci (www.sintica.com). Aurelio Pasini Pagina 15 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '07 The Rippers Tales Full Of Black Soot Screaming Apple Potrà sembrare strano, ma le migliori realtà garage e r’n’r nostrane provengono da una terra come la Sardegna: basta pensare a gruppi come Hangee V, Tunas, Gods Of Gamble e Rippers. In questa sede ci occuperemo, in particolare, di questi ultimi: quattro scatenati sardi, che ci tengono a mantenere nascosta la loro identità e sono già considerati dalla stampa specializzata la migliore garage band europea. Hanno alle spalle una manciata di singoli, l’omonimo LP uscito nel 2003 per la tedesca Screaming Apple, la ristampa nel 2005 di quell’album con l’aggiunta dei primi tre singoli, per arrivare fino al recente e strepitoso “Tales Full Of Black Soot”, nel quale i nostri “squartatori” lasciano inalterata l’essenza del loro sound, nella sostanza, una rilettura anfetaminica, selvaggia e primitiva del garage dei Sixties. Brandelli di brutale rhythm’n’blues, squartati da un crudo approccio garage, unito a un’autentica attitudine punk: una voce sguaiata e nasale, un’armonica esagitata e incontenibile (Ripper IV), chitarre sporche e grezze (Ripper III), un drumming furioso e potente (Ripper I) sono gli ingredienti di base della musica incendiaria e senza tempo dei Rippers. Un gruppo che ha mandato a memoria l’intera raccolta “Back From The Grave” e ricalca le orme di band seminali come Pretty Things, Shadows Of Knight, Sonics, Gravedigger V, Morlocks, Tell-Tale Hearts. L’album in oggetto allinea tredici infuocati episodi di grezzo e incontaminato Sixties punk, tra i quali segnaliamo il selvaggio r’n’b di “I Would Mistreat You” e le scatenate “She Doesn’t Believe Me” e “My Black Light”. Se volete farvi un bel ripasso di garage e musica affine, andate a lezione dei Rippers (www.myspace.com/therippersinaction). Gabriele Barone The Valentines Hot Numbers Tre Accordi/Self Che sia la volta buona? Eh si, perché i Valentines sono una formazione a dispetto di un paio di album formidabili non ha finora incontrato i riscontri di (vasto) pubblico che meriterebbe. E dire che per loro si erano scomodati in passato personaggi del calibro di Daniel Rey, produttore del precedente “Life Stinks!”. Si ritorna a far quasi tutto in casa con questo “Hot Numbers”, prodotto da Mars Valentine che è, come sempre, il motore compositivo del combo bolognese. Un disco che segna un Pagina 16 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '07 ulteriore passo nell'evoluzione dei Valentines: se non possiamo ormai più parlare di “sorpresa” riferendoci alla voce di Vale – per inciso una delle migliori frontwoman del Belpaese – è sempre un piacere scoprirla cantare pezzi come “Do You Really Wanna Die For Me” o “Silicone Smiles”, con le nuove composizioni che smussano le asprezze rock’n’roll dei precedenti lavori e concedono maggiore spazio alle melodie. Nessuna abiura del passato, quanto piuttosto una crescita naturale volta a definire il “suono Valentines” nella sua interezza. Un sound che si è sfaccettato, capace di un pezzo mid-tempo come “The Paradox” oppure della quasi-ballad “Main Deadhead”, un filotto di due brani che da soli giustificherebbero tutto il bene fin qui detto. C'è poco da fare: da queste parti si continua a tenere incrociate le dita sperando che qualcuno si accorga di loro, e “Hot Numbers” sarebbe il biglietto da visita ideale per l'operazione. E se anche stavolta il treno non dovesse passare non temete: il prossimo sarà anche migliore di questo (www.valentinesrock.com). Giorgio Sala Torquemada Tales From The Bottle Insecta “Tales From The Bottle”, album di debutto dei Torquemada, terzetto di Bergamo, formato da Alfonso Surace (voce e chitarra), Luciano Finazzi, (voce e batteria), Davide Perucchini (basso), era il disco che aspettavamo da tempo in Italia: una violenta mazzata di granitico hard/noise, infettato da insani germi blues e punk, attitudine garage e suoni selvaggiamente rock’n’roll. Un album esplosivo che ridà linfa vitale a un genere come il noise rock, che sembrava avesse ormai esaurito tutta la sua carica propulsiva. I Torquemada, sia ben chiaro, non inventano nulla, ma sono capaci, come pochi altri gruppi in giro, di canalizzare e calibrare la loro debordante energia in canzoni che coniugano irruenza e melodia, sudore e immediatezza rock’n’roll. Il loro rock presenta molte affinità con quello degli One Dimensional Man, ma, se vogliamo, rispetto a questi ultimi, è ancora più eclettico, essendo un concentrato di molteplici influenze e stili musicali: dal quadrato noise/math rock di Steve Albini al brutale ed efferato noisecore/blues degli Unsane (“It’s Going”), dallo stoner dei Kyuss (“Superrodeo Frog”) al punk/blues di Jon Spencer (“Infernalcoholic Man”), dal punk-grunge di Nirvana e Mudhoney (“Me & My Cat”) al crossover dei Rage Against The Machine (“WHO?”). Il disco vanta un’ottima produzione e riesce a trasmettere tutto l’impatto che i tre hanno dal vivo: ritmi serrati, voci alcoliche, chitarre sferraglianti e abrasive, una sezione ritmica potentissima. Con “Tales From The Bottle” siamo certi di poter dire di essere in presenza di un disco di livello internazionale (www.torquemada.tk). Gabriele Barone Pagina 17 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '07 Umberto Sangiovanni Calasole RaiTrade Dopo la “Controra”, Sangiovanni ci porta a “Calasole”. L’epopea della stanchezza che spacca la schiena e avvilisce il cuore. Il percorso che il pianista foggiano segue è quello dei segni disseminati dal bracciante e sindacalista Giuseppe Di Vittorio, uno che si onorò di appartenere ai cafoni della terra riarsa dei lavoranti cerignolesi. L’altro lato di Matteo Salvatore, il cantore pugliese qui autore del brano “Don Nicola si diverte”. Solo che Sangiovanni per il suo omaggio risponde alle proprie corde, che non sono quelle dell’etno-folk. I canti stremati sono restituiti in versione ricercata, dando luogo a un singolare ma riuscito ossimoro: da una parte canti tradizionali, versi di piantagione e sfruttamento che potrebbero essere ossatura di blues da lavoro. Dall’altra una vestizione jazz, ora calda ora altera, sempre elegante. “Annammuraru” (Teresa De Sio la propone stabilmente in scaletta) si stempera e si rarefà, perde il tempo, se lo riprende, descrive inciampi e entusiasmi d’un ritrovato amore montanaro. “Calasole”, “Craje”, “Maddalena”, “Sole rosso”, sono classici affidati alla sensibilità della Daunia Orchestra, che li tratta come standard da cui estrarre risonanze da camera, klezmer, afro. La voce brunita di Rossella Ruini, le evoluzioni melodiche di Simone Salza ai fiati, la ritmica mossa di Massimo D’Agostino (batteria) e dell’Aires Tango Marco Siniscalco (basso) sono tenute insieme dal piano del band-leader (www.umbertosangiovanni.com). Gianluca Veltri Zibba & AlmaLibre Senza smettere di far rumore Terzo Millennio/Self Il punto di Zibba è l’emotività calorosa, la capacità di contagiare. Il musicista ligure ha nel mirino la pancia degli ascoltatori, e la centra, insieme agli AlmaLibre, il quartetto che lo accompagna, tra l’altro responsabile di tutte le musiche (i testi sono del cantautore e polistrumentista). L’importante è non smettere di farsi sentire, non solo per fare rumore come suggerisce il titolo, ma anche per comunicare, usare la musica come il ponte che unisce i punti e sottrae all’isolamento, laddove altro invece tenta di dividere. “Margherita”, il pezzo trainante, è uno ska nobilitato dal violino di Fabio Biale; “La fine di un se” una classica ballatona a banda larga, sballottata tra il ping pong ritmico di tempi in 6 e in 5, mentre “Nella notte che verrà” è un pezzo che Pagina 18 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '07 scalda, vi si respira un sentire comunitario di “dolci simultaneità”. Folkeggia caldamente anche “In una notte con solo due stelle”. “La karimba di Natale” fa parecchio l’occhiolino a Capossela; “Le ultime dee”, dichiarazione di sensualità, ha chitarre ondeggianti come dune, con ritornello un po’ troppo telefonato, però. Meglio l’ordito in minore della ballad “Neve d’estate”, un manufatto di note blu che richiama certe armonie di Ligabue, per fortuna con meno roboanza. “Regalami di te” è il pretesto per un gioco di citazioni spiritose e fulminee di Stones, Deep Purple, Jethro Tull (“Jumping Jack Flash”, “Smoke on the Water”, “Burée”). Special jazz stars Dado Moroni e Enzo Zirilli (www.zibba.it). Gianluca Veltri Pagina 19 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '07 Alessio Bonomo In attesa di un album vero e proprio, Alessio Bonomo licenzia un EP (non in vendita, ma disponibile per l’ascolto gratuito su Internet) che definire interessante è dire poco: “Un altro mondo” (Rossodisera). Solo un quarto d’ora di musica e parole, ma basta a ingolosirsi. L’idea è quella di un fanta-concept, orbitante intorno al nostro destino attuale, che si allontana dalla terra (apparentemente) solo per effettuare uno zoom più puntuale. “Lettera sulla libertà”, “Strade azzurre” (che instaura un link naturale con il “Pianeta azzurro” di Silvano Agosti), “Viaggio intorno a una donna” e “Cose strane dallo spazio” sono il discorso musicale ininterrotto di Bonomo. Tappeto di suoni subliminali, testi spesso proposti in un parlato ipnotico. L’ultimo pezzo, “Cose strane dallo spazio”, rappresenta una rilettura libera che il cantautore napoletano imbastisce attorno alla bowiana “Space Oddity”, a chiudere il cerchio di un’inquietudine aliena, siderale. I suoni sono rotti, le parole semplici e pesanti come meteoriti. Abbiamo parlato con Bonomo dell’EP e dell’album imminente. Cosa ci puoi anticipare del nuovo album? Sarà una versione lunga dell’EP, o un’altra cosa? L'album sarà una sorta di concept all'interno del quale i brani e gli argomenti contenuti nell’EP verranno maggiormente sviluppati e contestualizzati. Potrei dire che sarà un album che parla del nostro tempo nella misura in cui se ne disinteressa. Credo sempre più che viviamo in una sorta di realtà virtuale, che ci appare reale solo perché ci viene confermata e la confermiamo a noi stessi innumerevoli volte. I personaggi e le storie di cui trattano le canzoni, invece, condividono proprio il fatto di esprimere tutti un punto di vista altro rispetto alle cose. Musicalmente si è cercato di creare nei suoni e negli arrangiamenti una sorta di colonna sonora che amplifichi ed esalti ciò che i testi raccontano. Sono trascorsi ben cinque anni dal tuo disco precedente. Cos’è successo da “La rosa dei venti” a oggi? Dopo aver pubblicato “La rosa dei venti”, per circa un anno ho continuato a promuovere l'album dal vivo; poi mi sono dedicato ad altro finché non ho scritto nuove canzoni ed è nata l'idea del nuovo album. Ti sei rivelato al festival di Sanremo. Sarà possibile rivederti su quel palco? Cosa ha rappresentato per te? Potrei tornare al festival se mi fosse data la possibilità come allora di partecipare in piena libertà. Fu un esperienza emotivamente molto forte. Una volta dissi che sembrava di essere sul set di un film di Fellini: c'erano nani, ballerine, persone di tutti i tipi, star internazionali, facce che di solito vedi solo mentre cambi canale con il telecomando e schiere di ragazzi che chiedevano autografi a chiunque potesse vagamente sembrare un cantante; poi, a un certo punto, per due minuti e quarantacinque, si abbassarono le luci, tutto si fermò e io potei cantare di fronte a Pagina 20 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '07 tutti la mia canzone: “La croce”. A tenerti a battesimo sono stati gli Avion Travel e Fausto Mesolella in particolare. Cosa hai appreso da loro? Continua (o continuerà) la vostra collaborazione? Di loro la cosa che mi ha sempre colpito e affascinato di più è il feeling musicale che hanno quando suonano dal vivo, hanno la capacità di diventare come una cosa sola, un’unica macchina anziché un insieme di musicisti. Siamo rimasti amici quindi capita di sentirci, di incontrarci e a volte anche di collaborare. Con Fausto Mesolella e Ferruccio Spinetti (contrabbassista degli Avion, NdI) abbiamo scritto e contiamo di continuare ancora a scrivere quando capita delle cose insieme. La rilettura di “Space Oddity” di Bowie è personale e ingegnosa. Sei riuscito a farla pervenire all’autore originario, così come facesti con la dylaniana ”Girl From The North Country”? Mi ha sempre affascinato molto questa canzone, mi è venuta voglia di rileggerla a modo mio in italiano. So che la mia etichetta sta provvedendo a contattare quella di Bowie, ma non so a che punto sono i contatti. Napoli ha dato sempre molto alla musica italiana, con ondate successive e diverse. Oggi secondo te quali peculiarità esprime Napoli musicalmente e culturalmente? È difficile dire cosa esprima Napoli oggi. Rispetto al passato le cose sembrano più confuse e meno facili da decifrare. Ciò di cui sono certo però è che da Napoli ci si può aspettare in qualunque momento qualcosa di sorprendente. Napoli, infatti, resta a mio avviso una delle città più vive e vitali al mondo. C’è un musicista con il quale ti senti confinante? Non c'è un musicista al quale mi sento confinante, e, in un altro senso ce ne sono moltissimi. Mi capita di restare colpito dalle cose più svariate e diverse tra loro. Inoltre c'è da considerare che questo lavoro si avvale del contributo di diverse persone: Roberto Romano produttore artistico del disco, Matteo D'Incà musicista con il quale collaboro dal vivo e che ha dato un suo apporto anche al lavoro in studio, Cristiano Serino che ha curato tutti gli archi e altri musicisti ancora. Quindi le influenze si moltiplicano ancora, anche se tutto, poi deve convergere in un unico linguaggio che è quello proprio del disco. Non ti chiederò come mai hai composto brani per Andrea Bocelli; piuttosto, come si è svolto il lavoro con lui, che metodo hai usato e come ti sei trovato. Prima abbiamo parlato di Napoli. Considero la canzone classica napoletana l'esempio più alto di canzone raggiunto. Quando mi è stato proposto di scrivere per Bocelli ho pensato a quello, a quel modo di scrivere molto nobile. Proprio con Fausto Mesolella, per esempio, scrivemmo mentre lavoravamo al mio primo disco un brano dal titolo Si voltò, una canzone molto delicata che Bocelli interpretò nell'album “Cieli di Toscana” e che a mio avviso si avvicina a quel modo di scrivere che citavo prima. Un modo di scrivere diverso da quello che uso per le cose che Pagina 21 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '07 interpreto io stesso, ma che mi appartiene ugualmente. Credo che ognuno di noi sia una molteplicità e non una cosa sola. Hai un estimatore speciale, che oltre a essere un cantautore è anche un professore: Roberto Vecchioni. Che rapporto hai con lui? Ho conosciuto Vecchioni in occasione dell'uscita del mio primo disco, a lui piacque molto e mi invitò a presentarlo al DAMS di Torino dove tenne una lezione in cui analizzava gli aspetti poetici e letterari delle mie canzoni. Fu molto disponibile e generoso nei miei confronti. Da allora non mi è capitato di reincontrarlo, mi piacerebbe ricontattarlo adesso per fargli ascoltare le nuove canzoni e sapere cosa ne pensa. Contatti: www.alessiobonomo.com Gianluca Veltri Bad(Love)Experience Lo ammetto, non avevo mai sentito parlare dei Bad(Love)Experience, ma appena ascoltato il loro esordio omonimo (Mabel/Audioglobe) mi sono pentito di non averlo fatto prima. Il perché è tanto banale quanto efficace: è un bell'album. Un disco in bilico tra le mille sfaccettature odierne del pop, del punk e del rock. Un lavoro che mischia molti elementi ed almeno tre decenni di musica per trovare una propria personalità, come tra l'altro emerge chiaramente nell'intervista collettiva alla quale abbiamo sottoposto i tre livornesi, che non si sono certo tirati indietro nel rispondere. Leggere per credere. "Un disco fresco!", questo ho pensato la prima volta che vi ho ascoltato. Ho forse capito male le vostre intenzioni? Com'è venuto fuori? Abbiamo cercato di mettere insieme tutte le idee che avevamo, partendo dai suoni fino al modo in cui registrare i pezzi. A livello di registrazione ad esempio abbiamo effettuato una microfonazione impostata parecchio sul suono d'ambiente, sistemando i microfoni nei vari angoli della stanza. I riverberi ottenuti ci hanno permesso di avere un suono un po’ più live ma ben poche possibilità di usufruire della tecnologia per correggere gli errori di esecuzione dei pezzi a posteriori. Abbiamo affrontato quasi tutte le take registrando le basi insieme in presa diretta, cercando di trasmettere maggiore carica e spontaneità, quasi come in un live. Nonostante ciò, siamo stati attenti a non trascurare i vari dettagli e arrangiamenti sovraincisi in seguito. Inizialmente la nostra paura era quella di fare la figura dei "cani sciolti" in un momento in cui il pop-punk in italia si sta orientando sempre più verso super produzioni. Alla fine invece pare che i più abbiano capito le nostre intenzioni e questa per noi è una delle più grandi soddisfazioni. Forse questa Pagina 22 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '07 freschezza a cui fai riferimento deriva anche da questo. Suonate da parecchio tempo assieme eppure solo adesso arrivate al primo disco: è capitato oppure la scelta era voluta? Abbiamo sempre visto la realizzazione del primo disco come un passaggio importante; fino a quando registri demo su demo riesci a dare solo una parziale idea di quello che sei, non ti metti in gioco né ti esponi. Un disco invece ti rappresenta completamente, si sente quello che pensi, quello che ascolti, quello che sei (o almeno così dovrebbe essere). Non abbiamo mai dato per scontato tutto ciò, volevamo essere sicuri noi in prima persona di quello che eravamo... Vi muovete in un territorio difficile da catalogare: probabilmente per il punkers medio siete "troppo pop" e il fan dei Franz Ferdinand vi giudica troppo duri... voi come vi sentite? Quali ascolti vi hanno influenzato maggiormente? Ci muoviamo in un territorio che da oltre cinquant’anni si chiama semplicemente rock’n’roll, poi dentro puoi metterci le sfumature che vuoi, mescolare le carte, ma l’essenza non cambia. Kinks, Who, Clash, Jam, Sonics, Beatles, insieme ad altri come Ted Leo and the Pharmacists, Pixies, Johnny Cash, Police, Elvis Costello, Small Faces, Buzzcocks, Graham Coxon, Green Day, sono state le nostre maggiori influenze. Ci metterei anche gruppi nostrani come Forty Winks, Manges, Vanilla Sky, Peawees tra i nostri ascolti. Non ci piace essere etichettati, anche se ci rendiamo conto che è quasi impossibile. Quello che stiamo cercando è un sound dei Bad[love]Experience; nessuno inventa niente nel 2007 ma tutti possono provare ad avere una propria identità, qualcosa che sia solo loro. Il fatto che tu ci definisca difficili da catalogare può significare che già qualche passo lo abbiamo mosso! Non siamo né troppo pop né troppo duri, siamo noi e basta. Il “troppo” esiste solo in rapporto a delle regole che fanno gli altri per te, la musica è libera, le regole lasciamole nelle scuole. Dando un'occhiata alle recensioni la stragrande maggioranza parla bene di voi: questo si è tradotto in un qualche interessamento o nell'era del download selvaggio questo non conta più niente? Le recensioni stanno andando abbastanza bene e questo non ci fa che piacere, in un modo o nell’altro sembra che il disco venga apprezzato. Per quanto riguarda il “download selvaggio”, beh cercare di opporvisi nel 2007 sarebbe triste ed anacronistico, poi sinceramente a un gruppo come il nostro il download può solo dare maggiore visibilità e quindi produrre anche più interessamento di quanto non facciano le stesse recensioni. I ragazzi che vengono ai concerti continuano comunque a comprare i dischi se il gruppo piace, sanno di supportare la scena con il loro contributo e sanno che quei soldi spesi non serviranno certamente ad arricchire il gruppo (ai nostri livelli molto spesso pieno di debiti). Comunque sia, tra recensioni e download selvaggio abbiamo notato una maggiore attenzione nei nostri confronti, nel senso che le cose sembrano iniziare, molto lentamente, a muoversi. Fra poco partità una distribuzione per il disco in Italia e abbiamo inziato a lavorare con un management che sta curando varie date italiane ed estere. Pagina 23 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '07 Com'è far musica a Livorno? A vederla da fuori non sembra poi così male... Livorno pur essendo una città relativamente piccola è molto attiva dal punto di vista musicale, ci sono un sacco di band di generi più disparati. Cogliamo l'occasione per farti qualche nome: Appaloosa, Le Gorille, 7 Years, Chromosomes, Egon, The Walrus, Lip Colour Revolution, 5 Impossible Dreams, Taster's Choice sono alcune delle realtà che caratterizzano il panorama musicale della città e variano dallo sperimentale al metal passando per punk e derivati. Il pubblico medio cittadino è molto selettivo, giudica molto, stimolandoti sempre nel cercare di dare il massimo. Toglietemi una curiosità: come mai coverizzare gli Who? Non me l'aspettavo davvero... e m'ha fatto molto piacere! Abbiamo voluto coverizzare gli Who perché sono uno di quei gruppi che ci ha influenzato moltissimo. Siamo dei grandi fan della band di Townshend e soci, non solo per quel che riguarda i primi dischi, di cui spesso si sono sentite cover punk-rock in giro, ma anche della fase più sperimentale post-mod. “Tommy” in quel periodo girava in continuazione nei nostri stereo e così ci siamo decisi a farne una cover. “Go To The Mirror” è stato il brano scelto sia perché si è adattato bene al nostro suono, sia perché nel film di Tommy è cantato da un giovanissimo Jack Nicholson! Contatti: www.badlovexperience.com Giorgio Sala Cheap Wine "Freak Show" (Cheap Wine/Venus) ci riporta la meravigliosa creatura pesarese dei Cheap Wine e ce la mostra in ottima forma. È un disco solido e ruvido, aggressivo ma non per questo insensibile. Un disco che segna anche i dieci anni di attività del gruppo autoprodotto più longevo d'Italia. Un caso abbastanza atipico di cui abbiamo indagato assieme a Marco Diamantini, voce e chitarra della band. Oltre ad essere il vostro nuovo disco, "Freak Show" è anche pubblicato a dieci anni dalla vostra prima uscita ("Pictures"). Come giudichi l'esperienza del gruppo fino ad ora? Che aspettative avevate quando avete cominciato e ora dove pensate di "andare"? La storia dei Cheap Wine è fantastica ed è un miracolo. Non è facile trovare le parole giuste per descrivere quello che ci ha dato e che continua a darci questa band. La musica è la nostra grande passione e siamo riusciti a costruirci un percorso artistico di cui siamo molto orgogliosi, superando con grande determinazione tutte le difficoltà che abbiamo incontrato. Abbiamo un pubblico meraviglioso, capace di trasformare in una grande festa ogni nostro concerto. Pagina 24 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '07 Personalmente, i Cheap Wine mi hanno salvato la vita e continuano a farlo ogni giorno. Dove pensiamo di andare? Vogliamo semplicemente continuare a suonare le nostre canzoni e a raccontare le nostre storie. La scelta dell'autoproduzione tout-court resterà una vostra costante? Come mai questa decisione così radicale? Cosa pensate di tutti quei gruppi e artisti (come Graziano Romani) che condividono questa filosofia? Il nostro CD d’esordio “Pictures” uscì con la Toast e non fu una bella avventura. Da quel momento decidemmo che, in mancanza di proposte davvero serie, saremmo andati avanti con l’autoproduzione e l’autogestione. Da allora, proposte serie non sono mai arrivate. E noi non siamo mai stati ad aspettare e mai lo faremo: andiamo avanti con il nostro progetto, nella massima libertà e indipendenza. Indipendenza vera. Di Graziano Romani abbiamo grande rispetto: lui, come noi, ha scelto di suonare quello che gli piace, come gli va, senza condizionamenti. È sicuramente il modo migliore per mantenere la propria integrità artistica. La consigliereste anche a chi si sta addentrando in questo mondo? Spesso le etichette propongono condizioni vantaggiose solo per loro e non per l'artista... Certo! Lo consigliamo con forza alle nuove band, però con l'avvertimento che bisogna lavorare molto duramente e con grande costanza. Ricevo parecchie telefonate da gruppi appena formati che mi chiedono come fare per ottenere attenzione e visibilità: la risposta è che non si può pensare solo a suonare ma ci sono molti altri aspetti che vanno curati e senza motivazioni fortissime è impossibile andare avanti. È un lavoro molto impegnativo e noi facciamo tutto da soli. Internet, in questo, è molto utile. Il nostro sito è ben curato e abbiamo una mailing list piuttosto vasta. È importante tenere aggiornati i fan e gli organi d’informazione sull’attività della band. Credo che il caso dei Cheap Wine sia unico in Italia: non penso esistano altre band con una storia di dieci anni di autoproduzione e autogestione. È dura, ma così ci garantiamo la massima indipendenza e libertà artistica, senza condizionamenti di nessun tipo. E in questo è importante anche il ruolo della Venus che distribuisce i nostri CD nei negozi Come evidenziato in sede di recensione, "Freak Show" è più monolitico rispetto agli altri dischi. Molto più compatto, ruvido e fisico. Come mai avete deciso di alzare il volume e diminuire le varianti più puramente psichedeliche dei vostri dischi precedenti? Voglio dire, è stato voluto o é venuto tutto così per pura coincidenza? È nato tutto molto spontaneamente, come del resto era avvenuto per i dischi precedenti. Non calcoliamo mai nulla, non ci poniamo mai degli obiettivi prestabiliti. Le canzoni sono sgorgate così, in maniera naturale: evidentemente, avevamo bisogno di esprimere quel tipo di energia e sonorità piuttosto aggressive. Leggendo la vostra newsletter, sembra che il disco sia stato accolto bene ovunque. Come si trova un gruppo come il vostro, legato ad una tradizione così estrema dal nostro paese e così "fuori moda" anche per i canoni di certo underground, a girare in lungo e in largo per l'Italia? Pagina 25 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '07 Non ci siamo mai posti il problema. Tutte queste menate sul genere, tutte queste etichette che vengono escogitate dai giornalisti ci lasciano indifferenti. "Post" - "pre" - "emo" - "alternative" - "bim-bum-bam" sono tutte stronzate. Così come la presunzione di distinguere roba "vecchia" da sonorità "nuove" o "originali". Cazzate. Esistono solo due tipi di musica: la buona musica e la cattiva musica. Il resto sono cazzate. E noi siamo una rock'n'roll band che non si è mai preoccupata di seguire mode o tendenze. Ce ne freghiamo di quello che è "in" per "certo underground". Vogliamo semplicemente suonare quello che abbiamo nell'anima, quello che ci emoziona, quello che ci piace. Questo è lo spirito con cui affrontiamo tutti i nostri concerti. Siamo indipendenti da tutto, anche dai dettami dei cosiddetti "alternativi". Oltre a fare concerti in giro per l'Italia per promuovere il disco a cosa state lavorando? Ho letto di tre concerti in Olanda. Com'è la situazione all'estero? Parlando con altre band, sembra che nel nord - sopratutto in Germania, ma anche Belgio e Olanda - ci sia molta più attenzione nei confronti della musica rock, senza razzismi di sorta dovuti al fatto che, nel nostro caso, si sia italiani. Mi ricollego alla risposta precedente. All'estero ascoltano la musica senza preoccuparsi della nazionalità di chi la suona, né di quelle seghe mentali sui generi. Io, quando inserisco un cd nel lettore, mi chiedo se mi piace o no quello che sto ascoltando: non mi chiedo se è "post" o "pre", se è "in" o "out", se è americano o bulgaro, ma solo se mi piace o no. Questo fanno all'estero ed è per questo che sanno distinguere molto meglio la qualità dalla spazzatura. Tantissime radio negli Stati Uniti, in Inghilterra, in Olanda, in Belgio, in Germania e in Australia trasmettono le nostre canzoni e non si curano certo della nostra nazionalità. Per loro conta la musica. Finché questo non succederà anche da noi, l'Italia resterà un Paese sottosviluppato dal punto di vista della cultura musicale. Contatti: www.cheapwine.net Hamilton Santià Intellectuals Esiste a Roma una fertile scena underground d’impronta garage, punk e rock’n’roll. Basta citare qualche nome: Taxi, Transex, Cactus, Motorama e, per quel che ci riguarda più da vicino, gli Intellectuals. Grazie all’apporto di Tina, chitarrista delle Felt Ups, gli Intellectuals sono diventati adesso un terzetto e ritornano in pista con un devastante ed esplosivo secondo album, “Invisible Is The Best” (Hate/Dead Beat). Registrato in soli quattro giorni, allinea quattordici canzoni deliranti, selvagge e urticanti, che tengono sempre accesa la fiamma del migliore lo-fi trash garage-punk-blues esistente qui in Italia. Ne abbiamo parlato con i diretti interessati, Francesco ed Elena, rispettivamente chitarra e batteria della formazione romana. Pagina 26 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '07 Entriamo subito in tema. Come sta andando il vostro nuovo album? Perché avete deciso di stamparlo su due etichette differenti, la versione in vinile con la romana Hate Records, quella in CD con la Dead Beat Records di Cleveland? Elena: Non lo abbiamo deciso a priori. Come sempre, cerchiamo di produrre un certo numero di demo prima; quando abbiamo un certo numero di canzoni le facciamo sentire ai nostri amici Chicca e Giggi di Hate, se gli piacciono le stampano. Il tipo di Dead Beat ci ha scritto ricoprendoci di complimenti assurdi ed era fortemente intenzionato a stampare qualcosa in America, contemporaneamente alla Hate. Aveva intenzione di fare solo il vinile (che poi è il nostro supporto preferito), così abbiamo preso la palla al balzo e abbiamo proposto di fare il CD a Dead Beat. Francesco: Per ora non so come vanno le vendite, ma i responsi sono quasi tutti positivi, ci sono state tante buone recensioni. Rispetto al primo album “Black! Domina! Now!” va segnalato un allargamento della formazione dall’originario duo a terzetto, con l’entrata di Tina dietro le tastiere. Perché avete aggiunto un terzo elemento? F: Anzitutto diciamo che le tastiere erano presenti in molte canzoni anche sui dischi precedenti, perfino sul nostro primo singolo c’erano due canzoni su quattro con la tastiera. Insomma, è uno strumento che ha sempre avuto una parte nel nostro modo di suonare; certo, adesso è un po’ più importante e presente, ma non credo abbia cambiato il nostro stile. Abbiamo scelto di allargare la formazione per diversi motivi, dal vivo volevamo che pezzi come “Fish’n’Chips” suonassero come sul disco. C’era poi una questione di vita del gruppo: dopo 5-6 anni solo in due, avevamo bisogno di cambiare aria. Così ad un certo punto ci è sembrata una buona idea far entrare un’altra amica nel gruppo… E poi Tina è fenomenale e nessuno suona una singola nota come lei! La vostra proposta, però, non cambia nella sostanza. Si tratta della solita urticante e selvaggia miscela a base di punk ’77, rock’n’roll, blues, Sixties garage, con sonorità tipicamente lo-fi. La musica degli Intellectuals è ormai diventata un vero e proprio marchio di fabbrica, facilmente riconoscibile al primo ascolto. Confermate? F: Penso proprio di sì, quelli sono i punti di riferimento principali, e credo che rimangano riconoscibili ascoltando anche questo nuovo disco. Il tutto però va rivisto in chiave Intellectuals, così inseriamo sempre qualcosa che non sia troppo scontato, ma che provenga dai nostri gusti e sia legato al nostro modo di fare. Per esempio, qualche giorno fa stavamo provando un pezzo nuovo che canta Elena, è una sorta di r’n’b/punk molto semplice e diretto. Poi Tina ha aggiunto uno strano giro di tastiera improvvisato, che lo ha reso oscuro e drammatico, però senza forzature dark: è diventato subito una cosa diversa, meno catalogabile. Ecco, queste piccole sfumature ci fanno impazzire, anche se a notarle non sono in tanti. L’album contiene tre cover: “White Light/White Heat” dei Velvet Underground, “Identity” degli X-Ray Spex e “Never Understand” dei Jesus And Mary Chain. Come mai questa scelta? Pagina 27 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '07 F: Ci piacciono cose molto diverse. La cover dei Velvet Underground è nata per gioco: dovevamo partecipare ad una festa di Halloween impersonando un gruppo storico e noi scegliemmo i Velvet Underground, perché li riteniamo fondamentali, esageratamente stilosi e con canzoni come non se ne sono mai sentite. La festa andò bene e rimase questa cover. Jesus And Mary Chain, perché io ed Elena veniamo da quegli anni là: nel 1987 scoprire quel disco fu decisivo. “Identity” è semplicemente una grande canzone con una stupenda voce femminile di uno dei gruppi che amiamo di più del ‘77. Quindi alla fine scegliamo le cover anche in maniera affettiva. Tra i vostri ascolti vi sono i dischi targati In The Red, Crypt e Rip Off, tre etichette chiave per comprendere il punk/lo-fi americano degli anni 90. Siete stati anche molto influenzati dai Bassholes, con cui avete pure suonato. Avete avuto l’occasione di conoscerli personalmente? Che tipi di persone sono? F: Fantastici. Don Howland ci ha scritto da poco e speriamo di rincontrarci per qualche concerto insieme. Sono tutte persone (anche Jeffrey Evans) che forse non si rendono neanche conto di quanto sono importanti per noi. Quella sera abbiamo diviso il palco, parlato un po’, scambiato dischi… è stato grande. Elena, la vostra batterista, prima è stata batterista delle Bambine Cattive e poi, tra il ’96 e il 2004, cantante delle Motorama. Perché ha deciso di abbandonare le Motorama, il cui debut-album era stato accolto entusiasticamente dalla stampa specializzata? E: È una storia semplice come tante altre: Laura e Daniela sono ancora mie care amiche, nonostante la separazione. Le Motorama hanno continuato molto bene anche senza la loro front-girl: ho preferito tornare dietro la batteria continuando a cantare! “Invisible Is The Best” prende spunto nel titolo da un film di Joe Dante, “Donne amazzoni sulla luna”. Cosa vi piace di questo regista? F: La sua attitudine smitizzante, è un film divertente, ci piace tantissimo ridere e quel film è micidiale per come colpisce certi luoghi comuni, ma non è che siamo grandi fan, certe cose nascono casualmente. Avevamo in mente di usare quella frase da tanto tempo, ha quel tono non-sense che si adatta a noi alla perfezione. E poi, per un sacco di gente noi siamo invisibili! Quali tra i dischi che avete ascoltato di recente vi hanno maggiormente colpito? F: Leather Uppers, Wooden Tit, Normals, Wipers, Time Flys, i live LP dei Reigning Sound. Quali sono i vostri progetti imminenti? F: Tour in Francia e Spagna con i nostri amici Normals, con i quali stiamo progettando uno split-LP. Sicuramente andremo a registrare a Strasburgo da Seb Normal, visto che le canzoni nuove già ci sono. Pagina 28 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '07 Contatti: www.myspace.com/theintellectuals Gabriele Barone Kech Spigliati e sbarazzini come la loro musica, i Kech hanno pubblicato un freschissimo terzo album. "Good Night For A Fight" (Black Candy/Audioglobe) prende un po' le idee migliori finora espresse dalla band lombarda e le porta verso una nuova forma di pop. Abbiamo parlato di tutto questo con Giovanna e Pol, rispettivamente voce e chitarra del quintetto, tra Milano e New York. Per il terzo disco avete deciso per un approccio "casalingo". Avete registrato tutto per conto vostro. Come mai? Volevate prendervela con comodo ed avere tutto il tempo a disposizione? Per quanto si sono allungate le registrazioni? Pol: Sì. Un po' per la comodità di disporre a nostro piacimento del tempo, bene prezioso quando la musica è solo un hobby da affiancare al lavoro. Le registrazioni sono iniziate verso lo scorso aprile e si sono protratte fino a novembre 2006. Non siamo stati come gli Strokes che hanno registrato "Is This It" in una settimana ma neanche come i Guns N'Roses che ci hanno messo undici anni per "Chinese Democracy". Diciamo una ragionevole via di mezzo... Giovanna: L'idea di poter avere i nostri tempi ci piace assai, anche perché lavoriamo e i tempi sono spesso quelli che sono. Poi se una sera sei stanca o se la voce non é al massimo, non sei obbligata a registrare perché hai pagato uno studio. Poi però c'è davvero il rischio di metterci una vita e non finire mai. Ma tutto sta nella ragione e misura. Anche questa volta non avete usato produttori esterni. Come mai avete sempre deciso di fare voi? Credete che un confronto con una persona fuori dalle logiche della band non possa aiutare o semplicemente non ci avete mai pensato? G: In realtà per "Join The Cousins", il nostro secondo disco, avevamo scelto di avvalerci di un vero e proprio studio di registrazione. Max Lotti aveva curato registrazione, mix e produzione, con dei pre-mix di Paolo Mauri (già collaboratore di Afterhours, La Crus e molti altri, NdI). Per questo nuovo lavoro in realtà volevamo fare dei provini noi con Tommaso (bassista della band, NdI) e poi decidere come registrare. I provini ci sono piaciuti e abbiamo continuato su quella strada e siamo soddisfatti. P: Credo che un produttore debba conoscere bene il gruppo che si accinge a produrre. Deve avere delle intuizioni che diano qualcosa in più alle canzoni che sta registrando, altrimenti limita le sue mansioni a quelle di fonico. E noi "in casa" avevamo già Tommy, che è bravo e ci sgrida sempre quando non accordiamo le Pagina 29 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '07 chitarre e non suoniamo a tempo. "Good Night For A Fight" sembra più compatto dei precedenti lavori. Si sente una maturazione e anche il suono degli strumenti pare migliorato molto. È cambiato qualcosa rispetto al passato o si sono solo aggiunti chilometri macinati per strada ed esperienze cui attingere? P: Direi i chilometri, visto che gli strumenti e gli amplificatori che abbiamo usato per registrare questo disco sono gli stessi che abbiamo usato per "Join The Cousins". Fare chilometri fa bene anche perché in furgone si parla tanto. Noi di "Good Night For A Fight" abbiamo iniziato a parlare quasi due anni fa. Eravamo sulla Cisa, dovevamo andare a Viareggio e poi da qualche altra parte a suonare e c'era una coda pazzesca - come sempre prima dei week end - e per ammazzare il tempo abbiamo iniziato a discutere sulle possibili nuove canzoni. Il disco è nato così. Poi abbiamo solo dovuto trovarci in sala prove qualche volta a suonare e registrare... Ecco, i testi. Come nascono? Li scrivete tutti assieme o qualcuno arriva con l'idea pronta e voi ci suonate sopra? Insomma, per fare tre album in cinque anni dovete essere molto prolifici. G: Normalmente scrivo io tutti i testi mentre i ragazzi, invece, pensano alla musica. Ho delle idee base sul mio quaderno di parole e poi le sviluppo e cerco di capire su che musica possono stare meglio. Mi piace mescolare esperienze vere a idee o situazioni inventate. Mi piace anche creare personaggi a volte: in "Tidoung" ce ne sono tre! Ci sono tante storie che ho scritto ma mai usato e altre canzoni che sono nate solo da due parole, non c'è mai una regola. Per la prima volta in questo disco ho scritto qualche canzone, con Nicola ("First Time" e "Good Night For A Fight") e Tommaso ("Please Don't Say No"). Il raggio sonoro delle canzoni sembra abbracciare più generi musicali. Gli arrangiamenti sicuramente sono più ricchi - in "Please Don't Say No" ci sono addirittura i fiati - Credete che questo possa essere collegato al discorso della maturità o avete cercato di allargare lo spettro per non essere schiavi dei soliti due-tre pezzi indie-rock? P: No, non credo che il problema fosse affrancarsi da un modello. Ascoltiamo moltissima musica e non escludiamo mai nessuno strumento quando pensiamo ad un arrangiamento. Poi con ProTools è molto facile, avendo piste e possibilità illimitate. Anzi, quello è quasi un ostacolo, perché poi ti viene sempre la tentazione specie se registri in casa - di affogare le canzoni sotto una valanga di roba per migliorare il suono. Abbiamo sempre fatto questo errore, e per "Good Night For A Fight" abbiamo cercato di moderarci. Questo forse potrebbe essere considerata maturità, certo. A me però la parola "maturità" - parlando di gruppi - piace sempre poco, perché suona sempre un po' come un epitaffio. I gruppi che arrivano all'ottavo disco sono maturi. Noi abbiamo fatto tre dischi in cinque anni: al massimo siamo arrivati alla seconda media... G: In realtà anche per "Join The Cousins" avevamo registrato parecchi fiati che poi nei mix abbiamo tolto non lasciato in primo piano, io avevo pasticciato un po' con alcuni strumenti e giocattoli, mentre in questo disco ho "solo" cantato. Non siamo Pagina 30 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '07 nuovi all'utilizzo di altri strumenti è' solo che in "Good Night For A Fight" ci sta un po' tutto quello che abbiamo sperimentato fino ad oggi e in maniera più evidente. Ora, nonostante alcuni problemi logistici volti alla vostra conquista degli Stati Uniti, avete in mente di portare l'album in giro? Magari uscire dall'Italia e vedere che aria si respira, chessò, in Spagna o nel resto di un'Europa molto più ricettiva? G: Io e Nicola, appena finito il disco, siamo andati a vivere a New York e logisticamente è un po' complesso fare le date di continuo come abbiamo sempre fatto. Quindi ad Aprile torneremo in Italia per un breve e compatto tour per promuoverne l'uscita. Ora stiamo organizzando quello e poi si vedrà. L'idea di fare qualcosa all'estero rimane. Vedremo dove. Siete d'accordo con me che in Italia, questo genere di musica, sia sempre relegato al circuito dei soliti quattro gatti e che non ci sono molti modi per uscire da questa situazione? Forse ci si autocompiace di essere piccoli? P: Sì, il nanismo auto-compiaciuto è sempre stato un problema di certi ambienti off, la storia è vecchia come il mondo. Ma negli ultimi anni mi sembra che le cose siano migliorate, non trovi? Può essere che il vero problema, visto anche come va l’ambito major, sia che davvero in questo momento agli altri gatti di quella cosa che si ascolta con le orecchie e che non è la suoneria del cellulare non gliene freghi semplicemente un cazzo, e che siano appagati dal bouquet Sky, dai pacchetti all-inclusive e dallo scooterone comprato a rate. Non sono così moralista da trovare tutto ciò scandaloso, perché nella storia delle arti periodi simili di stagnazione dovuti a contingenze sociali sono stati molto comuni: probabilmente i nostri figli ci rideranno sopra. Spero per loro, almeno. Contatti: www.kechworld.com Hamilton Santià Muzak Esordio meraviglioso dalla provincia di Lecce: è “In Case Of Loss Please Return To:” (Lizard/Audioglobe) dei Muzak. Una commistione di post-rock, brecce di elettronica, folk e psichedelica che sorprende in originalità e freschezza. Ho sentito una grande forza d’animo nelle liriche, nelle elucubrazioni chitarristiche e nei chiaroscuri del piano. Tutte le note parlano del loro vissuto, di quello che hanno provato, di quello hanno assorbito e ce ne trasmettono l’essenza in forma di perla. Ne parliamo con Enrico il pianista. Voi siete di Capo di Leuca in provincia di Lecce, qual è l’ambiente che vi Pagina 31 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '07 circonda dal punto di vista del territorio e d’atmosfere musicali? La nostra terra è stata sempre molto ricettiva soprattutto per quanto riguarda la musica rock sin dagli anni caldi di questa forma d’arte. Io sono nato da una famiglia che possiede una grande discoteca quindi ho potuto attingerne a piene mani. Ci siamo formati ascoltando molta musica. L’ambiente negli anni 70 brulicava d’episodi, che non hanno avuto fortuna diventando dei nomi noti come PFM e il Banco del Mutuo Soccorso, però c’era molta gente che praticava questa forma magnifica di espressione. Com’è partita l’idea di creare un gruppo come il vostro? Quando eravamo ragazzi, al pomeriggio, invece di trovarci per andare a giocare a calcetto ci siamo incontrati in cantina per suonare assieme. Tre su quattro all’interno del gruppo, siamo amici d’infanzia. Abbiamo imparato subito a suonare uno strumento. Mi ricordo che a dieci anni eseguivamo per gli amici quattro pezzi dei Beatles che conoscevamo. Siamo stati attenti poi, a lasciare subito l’idea delle cover. Molti non riescono a fare altro. Noi a quindici anni già suonavamo le nostre canzoni e a nostro rischio e pericolo. La vostra musica parla di voi o la considerate un mezzo astratto per estrapolarvi dal quotidiano? Questo disco di sicuro parla di noi, perché è il primo e perché per completarlo al meglio abbiamo fatto finta che fosse l’ultimo, quindi ci abbiamo messo soprattutto noi stessi dentro, la nostra vita, i nostri ricordi, le persone che amiamo e la musica che abbiamo ascoltato e tutto questo si sente molto. E quindi non si specula su concetti astratti ma è un disco intimista sulla vita quotidiana. La coda di “The Only Supernaut” cosa potrebbe raccontare ad esempio? Ecco. Quel brano per esempio ha un aneddoto. Il nostro professore di musica che ci ha insegnato a suonare a me il piano e a Giuseppe e Alberto rispettivamente il basso e la chitarra, aveva un gruppo negli anni 70: i Colon. In tempi non sospetti fecero un concerto nel nostro paesello che allora doveva risultare come una cosa assai strana e per tutto il concerto che durò un’ora suonarono di continuo “Supernaut” dei Black Sabbath nella loro cantina, affollata di hippy. All’interno del brano originale c’era un assolo di batteria che i Colon allungarono di mezz’ora, quasi una maratona. Questo giustifica il titolo ma non ha niente a che vedere con il brano strumentale in questione. E “Telemachus Is Walking On Arvasì” invece? Telemaco è notoriamente il ragazzo che è cresciuto senza padre e Arvasì è una zona del nostro paese che ha delle case in fila tutte uguali: quelle che lo Stato dava ai reduci di guerra. Quindi abbiamo immaginato questo personaggio omerico passeggiare per le stradine del nostro paese. Di chi è stata l’idea d’inserire all’interno del CD un foglio di quadernone scritto alla maniera di un bimbo delle elementari? Semplicemente il titolo può richiamare ad una nota, un avviso, le cose che si Pagina 32 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '07 scrivono sui post-it per ricordarsi delle priorità durante la giornata e il titolo recita appunto che in fase di smarrimento, per favore, riportate l’oggetto ad ecc.., e questo mi ha fatto subito venire in mente un biglietto scritto in fretta e strappato come la pagina di un quaderno. E anche questo supporto artigianale mi ha dato delle soddisfazioni e ne siamo molto contenti. Qual è stato il vostro modo di lavorare a queste composizioni? E’ stato un procedimento lunghissimo. Sia perché abbiamo avuto dei problemi a trovare un produttore che ci desse l’opportunità di fare un album e non un ennesimo demo, sia per motivi tecnici: perché non ci convincevano ancora. Quando siamo in saletta per comporre seguiamo un metodo abbastanza caotico e a volte vengono fuori delle cose che non ci decidiamo mai a definire. Ci sono dei brani che avevano gia un anno quando sono stati registrati. Per fortuna abbiamo trovato la persona giusta Fabio Magistrali che è stato davvero fondamentale per la buona riuscita del disco. Poi ci sono molti ospiti presenti. Come li avete conosciuti e perché proprio loro? Alcuni li abbiamo conosciuti fisicamente solo poco tempo fa. Nel caso di Paul de Jong, c’era la sua mail sul secondo album dei suo gruppo, i The Books, così ho provato a contattare questo grande violoncellista che si è rivelato come persona splendida: molto sensibile e ricettiva. Abbiamo spedito dei brani sia via internet che via posta, poi Alberto l’ha incontrato al concerto bolognese dei Books di qualche mese fa. Majirelle invece, l’abbiamo conosciuta a un concerto dalle nostre parti e l’abbiamo contattata subito dopo per l’epilogo del nostro disco. Poi ci hanno aiutato tanti amici: Giuseppe De Marco al trombone. Tutta la sezione di ottoni e clarinetti che hanno composto la nostra banda gli “If Me You Fly”. Dove avete registrato il CD? Fabio Magistrali di solito ha uno studio mobile con cui gira l’Italia in lungo e in largo, ma ha visto nella nostra saletta - che si trova in un casolare in campagna - come un luogo ideale per registrare quindi ha portato tutto il suo studio mobile e abbiamo registrato lì, in un ambiente completamente familiare. Se il vostro disco non fosse uscito per la Lizard, quale sarebbe stata la seconda opzione? Non ci abbiamo pensato. Nel momento in cui il disco era pronto le varie possibilità erano poche, perché non ci piace la scena italiana di oggi e il modo in cui la musica indipendente viene proposta e accolta dalle etichette. E soprattutto è la parola etichetta che non ci piace. E’ difficile accostare la nostra musica a qualsiasi etichetta. Loris della Lizard invece, ha capito subito di cosa si trattava e il nostro modo di fare e il nostro modo di pensare è molto simile al suo e quindi siamo stati subito d’accordo. Avete già fatto dei concerti in giro per presentare questo CD? Abbiamo suonato quest’estate dalle nostre parti. Poi ci siamo laureati tutti assieme e Pagina 33 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '07 adesso stiamo organizzando un tour nel nord-est, tramite sempre il caro Loris. Contatti: www.muzakmusic.com Francesca Ognibene Nobraino Pianura Padana, due estati fa. Caldo, zanzare e una birra accettabile. Tanta gente e il pretesto di un concorso rock, l’ennesimo. Poi salgono sul palco quattro sconosciuti di Rimini e tutto si illumina. Il loro nome è Nobraino. Dopo due anni abbondanti li ritrovo all’esordio su CD con “The Best Of” (Acanto/Self). Il cantante Lorenzo Kruger ci spiega il perché di questo titolo e molto altro. Fellini, il maestro, diceva che la Romagna, quando vuole, è al centro di tutto. I Nobraino, splendidi esordienti con il CD “The Best Of”, dimostrano che è la verità. È normale che degli esordienti, sulla scena nazionale, si noti molto la provenienza geografica. In Italia la provincialismo è un carattere forte. Lo si può perdere “facendo carriera”. Ci auguriamo di far carriera, e, come per Fellini, di non perderla mai. Per non dimenticare mai la banalità: qualche cenno biografico potrebbe aiutare chi non vi conosce a scoprire qualcosa dei Nobraino. A diciotto anni il mio compagno di banco ha affittato una batteria. Aveva il solito amico che strimpella la chitarra e ce n’era un altro che forse gli sarebbe piaciuto suonare il basso. Poi il resto. L’iter di ogni gruppetto che nasce e cresce. Concorsi fatti, vinti e persi. Poi l’incontro con il nostro attuale produttore che ha scommesso sul progetto. Nel frattempo si è aggiunta la Miller, la ragazza col baritono, il tocco di classe che ci serviva “per sembrare che facciamo sul serio”. Per ora niente da cui scrivere un best seller. Polemica - e quindi verso chi? - o una buona dose di autoironia nel titolo del CD, un possente “The Best Of”? E come siete arrivati a questo esordio? E come avete scelto i brani da registrare, ne ricordo alcuni di molto belli presenti su un vostro demo ma esclusi dall’album. Beh, in effetti in Italia si vendono solo “best of” è così abbiamo pensato che qualcuno confondendosi tra gli scaffali si comprasse pure il nostro! In realtà lo è un “best of” perché fare il primo disco dopo dieci anni di attività, vuol dire pensare ad a tutte le canzoni che hai scritto e scegliere il meglio. Andrea Felli che ha prodotto il disco, ci ha seguito in quasi un anno di pre-produzione per scegliere, capire e migliorare. I live che abbiamo sempre fatto sono serviti molto per il risultato finale di tutto il lavoro. Pagina 34 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '07 L’album sembra muoversi su due piani, uno legato all’ironia, al divertimento, ad un certo suono quasi marittimo, con suoni rock influenzati dalla Romagna, dalle balere, dove prevale una verve, oserei dire “felliniana”, con personaggi improbabili e indimenticabili. E un secondo piano più introspettivo, dove i testi diventano percorsi lunghi, quasi tortuosi, dal tratteggio riflessivo, con lo spettro di De André, padre, dietro l’angolo. È sempre la stessa anima che muove i Nobraino? I vostri/tuoi testi da dove nascono? I pezzi appartengono a vari periodi, quindi c’è già un motivo di eterogeneità. In ogni caso non ci piace seguire linee tematiche e siamo umorali sempre. L’introspezione o lo sguardo sul quotidiano, o l’ironia, sono tutti, normali alternanze dello stato d’animo. Anche il falegname ogni tanto vernicia la sedia di nero, a volte di giallo. Vi ho scoperti ad un concorso, dove avete sbaragliato la concorrenza, per manifesta superiorità, con uno spettacolo tra rock e cabaret, anche grazie alla tua presenza scenica. Quanto è importante per voi l’attività dal vivo e come state organizzate la promozione del CD? Un’ intensa attività live porta sempre all’esigenza di fare un disco (se non è un tour promozionale), un souvenir per chi ascolta. Il primo disco è stato questo. Ma non funziona così. Non nego l’importanza della diffusione tecnologica, ma mi piacerebbe che il disco fosse il punto di arrivo e non quello di partenza. Il fatto è che l’edizione del disco ha sostituito quella degli spartiti, ma è un discorso articolato. Credo che un bello spettacolo debba essere alla base di qualsiasi progetto musicale, e se non vogliamo dare priorità all’una o all’altra cosa dobbiamo almeno considerarle complementari. Per questo motivo mettiamo il massimo impegno nel creare un live che contenga le emozioni che un disco non può dare. Avete un approccio compositivo decisamente originale, per nulla allineato. Niente indie post glam e vattelapesca rock, di pop nemmeno l’ombra, di retaggi tradizionali, che conquistano la critica per bene, solo qualche traccia. Ma allora come mai le vostre canzoni funzionano così bene? Questo lo dici tu, e prendendolo come assunto, ti posso solo assicurare che noi partiamo dalla canzone. L’unico obbligo formale è quello di rispettare il rapporto musica/testo. Al tempo stesso ci lasciamo la massima libertà nel concepire arrangiamenti . Abbiamo anime molto diverse ma tutti i componenti devono potersi riconoscere in quello che facciamo. Questa convivenza all’interno delle canzoni, quando è ben equilibrata, crea l’effetto Nobraino. Tra Internet, il falso miracolo “MySpace” e giornali, oggi non è impossibile guadagnare un frammento di visibilità. Niente che garantisca immortalità e nemmeno un briciolo di successo. Ma allora come emergere da questa enorme marmellata? E’ un ambiente come tanti. Botte di culo, percorsi agevolati non sono una novità qui come altrove. Ho sempre pensato che a parte saper prendere le giuste strade, e vivere questa umanità di relazioni, per fare i musicisti basta solo continuare a suonare. Pagina 35 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '07 Inevitabile una domanda, ancora banale, sul nome. Nobraino, inteso come “no brain”, senza cervello o è tutto molto più semplice o comico? Nobraino è una vecchia sciarada, e nessuno ci mette più di cinque secondi a capire il gioco, ma involontariamente, da subito, avevamo mischiato la nostra lingua con altri suoni. Contatti: www.nobraino.com Gianni Della Cioppa Torquemada Il loro album, “Tales From The Bottle”, era esattamente quello che ci voleva per scuotere l’intorpidito panorama noise rock italiano. Si chiamano Torquemada e vengono da Bergamo. Hanno pubblicato, via Insecta Records (etichetta indipendente di Udine), un disco di potente e fragoroso noise’n’roll, con forti radici hard-blues. Le coordinate sonore di questo album – per chi scrive, una delle migliori uscite di quest’inizio d’anno – sono collocabili tra il noise rock newyorkese (Unsane) e chicagoano (Steve Albini e la sua agguerrita progenie: Big Black, Rapeman, Shellac) da un lato, il grunge/punk di Nirvana e Mudhoney, lo stoner di Kyuss e Queens Of The Stone Age dall’altro. Abbiamo intervistato Alfonso Surace, chitarra e voce della formazione bergamasca. Era da tempo che non si sentiva in Italia nulla di simile. Che cosa ha ispirato un disco così potente, energico e rabbioso? Per spiegare al meglio bisogna considerare alcuni presupposti. Io e Ciano (Luciano Finazzi, batterista, NdI) ci siamo conosciuti nei Manotazo, il nostro precedente gruppo, nel quale lui cantava e io suonavo la chitarra. Io avevo la necessità di concretizzare tutte le idee che avevo in testa e sul PC; Ciano sognava da sempre di suonare la batteria. Così abbiamo cominciato a suonare in due, dando libero sfogo ai nostri istinti sonori. L’energia sprigionata durante tre mesi di session liberatorie è la stessa che si può avvertire sul disco. I Torquemada, sul finire del 2003, erano un duo “guitar&drum”. Si chiamavano NoiseMachineBand. Quale tipo di musica suonavate allora e quali erano i gruppi a cui v’ispiravate? La NoiseMachineBand è stata una mia idea, Ciano l’ha resa possibile. In effetti, tutto è nato dal mio approccio all’home-recording. Pezzi come “Industrialnoisepostrock” presero forma già allora: ho passato tante notti al computer, improvvisando con qualsiasi strumento su loop di drum-machine, e registrando tracce su tracce. Durante le prime session Ciano diventò la mia “drum-machine”, mi seguiva perfettamente, con telepatia matematica. Eravamo affascinati dal math rock di Steve Pagina 36 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '07 Albini, ma nello stesso tempo avevamo una passione per le “Desert Sessions” di Josh Homme e soci. Terminate le registrazioni di “Tales From The Bottle” è entrato a far parte della band il bassista Davide Perucchini, il vostro fonico (già fonico di Verdena e Ulan Bator). Mi spieghi esattamente che cosa è accaduto, cosa ha spinto Davide a unirsi a voi? Nel giugno del 2004 siamo andati da Davide con l’intento di registrare solo le batterie in tre giorni. Avanzò del tempo e iniziai a registrare le chitarre. Fu in quel momento che dalla sala presa, con le cuffie in testa, sentii Davide che ci proponeva una co-produzione. Era entusiasta del nostro sound, fu subito amore tra noi, di conseguenza fummo contenti di collaborare con lui. Nel giro di poco si “invaghì” così tanto delle canzoni che non aspettò molto a proporsi come nostro bassista. Nel descrivere il vostro sound ho fatto riferimento a gruppi come Unsane, Shellac, Big Black, Kyuss. Ma non mancano spunti grunge alla Nirvana (in “Me And My Cat”) o passaggi crossover/metal alla Rage Against The Machine (nella potentissima e lisergica “WHO?”). Sono questi i gruppi che vi hanno maggiormente influenzato? Assolutamente. Sia io che Ciano abbiamo letteralmente consumato i dischi dei Nirvana, “In Utero” in primis (non a caso prodotto da Albini). Per quanto mi riguarda, i RATM sono stati il primo ciclone sonoro che ha sconvolto la mia idea di musica, come del resto hanno fatto Shellac, Big Black, Melvins, Kyuss, Primus. D’altra parte, Ciano è stato molto influenzato da Deftones, Korn, Sepultura e tutta la scena stoner degli anni 90. Davide ama Metallica, Pink Floyd, AC/DC. Sugli Unsane posso dirti che, fino a quando non ci hanno paragonato a loro, non sapevamo neanche che esistessero. Così ho comprato subito un disco (“Scattered, Smothered & Covered”, che consiglio vivamente), per carpire le analogie, e devo dire che ho riscontrato la stessa attitudine hard-blues, anche se le sonorità mi sono sembrate diverse. Quali sono i temi principali delle vostre canzoni? Diciamo che i testi sono scritti, per la maggior parte, di getto, seguendo il flusso magmatico dei pensieri. Si può dire che in questo disco nascono delle storie non-sense, deliranti, come in “Industrialnoisepostrock”, “Plug”, “Infernalcoholic Man”. Più che affrontare temi ben definiti, puntiamo a trasmettere delle sensazioni, delle emozioni: rabbia, delirio estatico, liberazione dalle inibizioni. Ci sono però anche liriche più ragionate e intimiste: “WHO?”, per esempio, è l’esternazione di un dialogo interiore sulla parte oscura dell’uomo, quella parte che nessuno riesce a controllare, con cui a volte ”si fa a guerra”. “Tales From The Bottle” allude forse ad una vostra presunta familiarità con la bottiglia e gli alcolici, come sembrate voler far credere in una vostra simpatica foto? Il titolo si collega direttamente al clima alcolico delle storie scellerate che raccontiamo. Sono “racconti dalla bottiglia”, non solo quella piena di liquore, ma anche quella che vaga per il mare con un messaggio dentro. Nessuno forse lo Pagina 37 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '07 leggerà, ma esso rimarrà ugualmente come traccia della nostra esistenza. Che cosa ne pensate dell’attuale scena alternative rock italiana? Credete sia ancora fervida e vitale come negli anni 90? Secondo me la scena attuale non ha nulla da invidiare a quella dei 90. Anzi, grazie a Internet si ha la possibilità di scoprire gruppi interessanti. Senza dubbio c’è fermento e materiale di qualità in tutta Italia. Fuck Vegas, No Seduction, Vanilla Resident, Fiub sono solo alcune delle formazioni che seguiamo con maggiore interesse. Una semplice curiosità: il nome della band è un “omaggio” al noto inquisitore spagnolo? Sì, Tomás de Torquemada. All’inizio non eravamo neanche convinti, ma, dopo un po’, ci siamo abituati al suono della parola, che in ogni caso rimane dolce, pur riferendosi ad un personaggio “cattivo” e “potente” della storia. Mi accorsi in seguito che il primo verso di “Industrialnoisepostrock” rimandava inconsciamente alle “Inquisitions”, ma anche lì è stato un puro caso. Insomma, è stato il tORQUEMADA ad appropriarsi di noi. Contatti: www.torquemada.tk Gabriele Barone Pagina 38 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Marzo '07 Morvida Nasce sul palco la musica dei Morvida, e si sente: c’è tantissima fisicità nelle canzoni del power-trio pesarese, frutto di una rabbia e di una tensione per cui il rock’n’roll, specie se suonato ad altissimo volume, rappresenta la più efficace delle valvole di sfogo. Muovendosi lungo un territorio che confina con il rock duro e con la psichedelia, con lo stoner e col grunge, la formazione è protagonista di composizioni sorrette da imponenti muri di distorsioni e travolgenti nel loro incedere, sature di elettricità ma non per questo chiuse alla melodia, che anzi sovente non manca di fare capolino. Come si diceva, è dal vivo che immaginiamo la band dia il meglio, ma anche in studio riesce comunque a non perdere la propria esplosiva energia, come dimostrano i quattro brani del “Super Muff EP” (titolo quanto mai azzeccato), ascoltabili su www.myspace.com/morvida. Aurelio Pasini Pagina 39 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it