NODI DI DISCUSSIONE Il concetto di intuizione in Bergson I l concetto di intuizione è uno dei più importanti ma anche dei più complessi in Bergson. L’intuizione è la sintesi di istinto e intelletto: consente di accedere al piano metafisico e di superare la morale delle norme e la religione statica. Vediamo ora come questo concetto è stato affrontato nella storiografia filosofica. Facciamo riferimento ai commenti di Giancarlo Penati e di Gilles Deleuze. Sulla possibilità di un’intuizione diretta è fondata la possibilità della metafisica come valore conoscitivo autonomo, come sapere avente un suo oggetto ed un suo metodo, distinti da quelli delle scienze naturali e matematiche. Se «c’è una realtà data immediatamente al nostro spirito», allora il filosofo potrà ancora avere un suo specifico ed essenziale compito da svolgere accanto allo scienziato. Se invece l’uomo è ridotto all’analisi, alla scomposizione ed alla ricomposizione delle relazioni tra i fenomeni, se può soltanto tentare di ricostruire una realtà a lui data frammentariamente in modo esteriore e superficiale dai sensi, con notazioni di valore pratico e non conoscitivo, allora la «realtà in sé» gli sarà per sempre preclusa, ed una metafisica sarà impossibile. Ci potrà essere ancora una scienza della natura, avente scopi meramente pratici, utilitari, che fisserà relazioni fra gli aspetti isolati dall’analisi, creando schemi concettuali di mero valore simbolico (ogni concetto starà per un gruppo di fenomeni considerati omogenei, cioè semplificati, spogliati della loro individualità originaria); ma dal campo del relativo l’uomo non potrà evadere, appunto conformemente alle affermazioni kantiane, l’assoluto essendogli conoscitivamente precluso. L’importanza dell’intuizione come atto costitutivo fondamentale del bergsonismo ha fatto spesso designare senz’altro quest’ultimo come «filosofia dell’intuizione», con una duplice conseguenza erronea: 1. il porsi in seconda linea del suo carattere metafisico fondamentale, quasiché esso fosse anzitutto e soprattutto una dottrina gnoseologica; 2. un suo fraintendimento intuizionistico, che assimila l’intuizione bergsoniana ad uno stato emozionale di tipo mistico semiinesprimibile, ed accentua, a nostro avviso esageratamente, l’antiintellettualismo del Bergson. (G. Penati, Introduzione a H. Bergson, L’evoluzione creatrice, Brescia, La Scuola, 1983) Il carattere di vero e proprio metodo dell’intuizione è sottolineato anche da Deleuze. Bergson non vide l’intuizione come un richiamo all’ineffabile, il prendere parte a un sentimento o a un’identificazione vissuta, ma come un autentico metodo. Questo metodo si propone in primo luogo di determinare le condizioni dei problemi, cioè di esporre i falsi problemi o le questioni mal poste, e di scoprire le variabili secondo cui un dato problema deve essere posto come tale. I mezzi usati dall’intuizione sono, da una parte, uno spezzettamento o divi- sione della realtà in un dato contesto, secondo linee di nature differenti e, dall’altra, un’intersezione di linee che sono prese da vari contesti, che convergono. Questa complessa operazione lineare, che consiste in uno spezzettamento secondo le articolazioni e un’intersezione secondo le convergenze, porta alla corretta posizione di un problema, in modo che da questa dipenda la soluzione stessa. (G. Deleuze, Il bergsonismo e altri saggi, cit., p. 160) Sull’intuizione Penati torna per chiarirne i rapporti con l’intelligenza. Bergson non la definisce in termini specifici, ma stabilisce una illuminante analogia con l’intuizione estetica, esperienza più consueta e più facilmente comprensibile. L’istinto è simpatia e se, come tale, potesse estendere il suo oggetto ed anche riflettere su di sé, ci darebbe la chiave delle operazioni vitali; analogamente l’intelligenza, sviluppata e meglio indirizzata, ci introduce entro la materia: poiché non ci stancheremo di ripetere che intelligenza ed istinto sono rivolti in due direzioni opposte, la prima verso la materia inerte, il secondo verso la vita. L’intelligenza, a mezzo della scienza da lei creata, ci renderà sempre meglio padroni dei fenomeni fisici; della vita ci darà soltanto, né d’altronde pretende di più, una ritrascrizione basata sul principio d’inerzia. Essa le gira tutt’intorno, assumendo, dal di fuori, tutte le prospettive possibili di quest’oggetto ch’essa vuol attirare nel suo campo, invece di installarsi dentro di esso. Viceversa è all’interno della vita stessa che ci conduce l’intuizione, cioè un istinto divenuto disinteressato, cosciente di sé, capace di riflettere sul suo oggetto e di ampliarlo all’infinito. Che uno sforzo di tal genere sia possibile, lo dimostra già l’esistenza nell’uomo di una facoltà estetica accanto a quella percettiva normale. Il nostro sguardo scorge le caratteristiche del vivente non organizzate in un complesso, ma poste le une accanto alle altre, cosicché la tensione interna della vita, il movimento semplice che corre attraverso gli elementi costitutivi e legandoli dà loro un significato, gli sfugge. È tale intima tensione che l’artista vuol cogliere, ponendosi all’interno del suo oggetto con una specie di simpatia, eliminando, con uno sforzo d’intuizione, la barriera che lo spazio frappone fra lui ed il suo modello. Certamente tale intuizione estetica, come del resto la percezione esterna, ha per oggetto soltanto l’individuale; ma si può supporre una ricerca orientata nella stessa direzione dell’arte, ma avente per oggetto la vita in generale, come la scienza fisica, proseguendo sino in fondo la direzione indicata dalla percezione esterna, sviluppa in leggi generali i fatti particolari. (G. Penati, Introduzione a H. Bergson, L’evoluzione creatrice cit., pp. 68-69) Deleuze sottolinea come l’intuizione ci faccia conoscere il senso delle cose al di là del loro comportamento e che Bergson la presupponga come possibilità stessa della filosofia che, se non fosse possibile questo tipo di conoscenza, dovrebbe limitarsi, come affermava Kant, a finalità soltanto critiche. L’intuizione non viene giustificata, ma posta quasi come esigenza. Il primo carattere dell’intuizione sta nel fatto che in essa e attraverso di essa qualcosa si presenta, si dà in prima persona, invece di essere dedotta e conclusa attraverso qualcos’altro. Ciò che è in questione, qui, è già l’orientamento generale della filosofia, perché non basta dire che la filosofia è all’origine delle scienze e che è stata la loro madre: ora che sono adulte e ben costituite, bisogna chiedersi perché la filosofia esiste ancora e in che cosa la scienza da sola non è sufficiente. La filosofia ha sempre risposto in due modi a questa domanda, probabilmente perché le risposte possibili sono solo due: una volta stabilito che la scienza ci dà una conoscenza delle cose, che è dunque in un certo rapporto con esse, la filosofia può smettere di rivaleggiare con la scienza, può lasciarle le cose e porsi semplicemente in maniera critica come una riflessione sulla conoscenza che ne abbiamo. Oppure, al contrario, la filosofia pretende di instaurare, o piuttosto di restaurare, un’altra relazione con le cose, quindi un’altra conoscenza, conoscenza e relazione che proprio la scienza ci occultava, di cui ci privava, perché ci permetteva solamente di concludere e inferire senza mai presentarci e darci la cosa in se stessa. È in questa seconda via che Bergson si impegna, ripudiando le filosofie critiche, quando ci mostra nella scienza, e anche nell’attività tecnica, nell’intelligenza, nel linguaggio quotidiano, nella vita sociale, nel bisogno pratico, e infine e soprattutto nello spazio, altrettante forme e relazioni che ci separano dalle cose e dalla loro interiorità. Ma l’intuizione possiede un secondo carattere: così concepita, essa si presenta proprio come un ritorno. In effetti, la relazione filosofica, che ci pone all’interno delle cose invece di lasciarci all’esterno di esse, è restaurata dalla filosofia, piuttosto che instaurata, ritrovata piuttosto che inventata. (G. Deleuze, Op. cit., pp. 110-11)